#rassegna DIFFUSA
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Danza e passione al Teatro Marenco di Novi Ligure: "Sehnsucht" e "After All" in scena il 12 ottobre
Una serata esclusiva di danza contemporanea con la Compagnia Lost Movement di Milano, tra desiderio, amore e introspezione, all'interno della rassegna DIFFUSA.
Una serata esclusiva di danza contemporanea con la Compagnia Lost Movement di Milano, tra desiderio, amore e introspezione, all’interno della rassegna DIFFUSA. Sabato 12 ottobre 2024, il Teatro Romualdo Marenco di Novi Ligure accoglierà una serata imperdibile per gli amanti della danza contemporanea. Promossa dall’associazione Radic’Arte nell’ambito della rassegna DIFFUSA, la serata offrirà al…
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"AVELLINO LETTERARIA" di ROSA MANNETTA
"Avellino Letteraria" non è solo una rassegna, ma un vero e proprio laboratorio culturale, in cui letteratura, arte e innovazione si incontrano per stimolare il dibattito e la riflessione. Ogni anno, la manifestazione propone un’ampia gamma di eventi, che spaziano dalla presentazione di libri alle letture pubbliche, arricchiti dalla presenza di ospiti di rilievo nazionale. La rassegna è anche un’occasione per mettere in luce talenti emergenti, offrendo loro un palcoscenico privilegiato dove confrontarsi con autori affermati e un pubblico attento. La cornice di Avellino, con il suo patrimonio storico e culturale, aggiunge fascino e autenticità all’evento, rendendolo un’esperienza immersiva e coinvolgente. In pratica, "Avellino Letteraria" celebra la potenza della parola come strumento di conoscenza che deve essere accessibile a tutti. Norberto Bobbio scriveva: "La cultura va diffusa...". La dott. Annamaria Picillo, ha la responsabilità di "Avellino Letteraria". Responsabilità culturale notevole...
ROSA MANNETTA
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««« La Società, l'Associazione, la Galleria d'arte sono di imminente apertura. Vi presento la Sede! »»»
Buondì, questo è «il primo video».
È stato realizzato sul momento, appena ricevuto i libri che vedrete nel video. Senza tagli e solo pause man mano che riprendevo.
Si è trattato di un primo passo elettrizzante per CIATU E CIURI con una casa editrice dal catalogo incisivo, la KLEINER FLUG! Il reel è ringraziamento per aver creduto nel mio progetto!
La lunghezza del video non è quella qui pubblicata: è lungo il triplo: con svariati tentativi è sempre stato tagliato da Instagram e da TikTok (fino a qualche ora fa), e avendo TikTok sempre rimosso la musica da me selezionata potrete vedere il video integrale presto nel sito ufficiale ciatueciuri.it.
È in arrivo.
Tieni d'occhio le "stories"!
★★★
Segui @ciatueciuri e la sua rassegna culturale itinerante e diffusa #LaDiligenzaDelSapere. Segui @kleinerflug!
Attendi il prossimo post.
★★★
#CiatuECiuri
@dile_tralerighe.
#VOLUME_VIPPITA: #RetreatsWithAuthor / #RitiroConAutore.
#LaDiligenzaCiuri: #simposio, #learningcommunity.
#TriskelePuntoEnne: #galleriadarte.
instagram
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Arte contemporanea alla Cappella Espiatoria di Monza
La Cappella Reale Espiatoria di Monza è tra i protagonisti di M@D – Monza Arte Diffusa, l’iniziativa del Comune di Monza in collaborazione con LeoGalleries. Durante la rassegna – iniziata lo scorso luglio – la città si popola di sculture e installazioni d’arte contemporanea, con collocazioni spesso ardite e sorprendenti. Il giardino della Cappella Espiatoria, sito del Ministero della…
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da settembre 2024 a giugno 2025: "the next real", a cura di sineglossa
THE NEXT REAL Mostre ⧫ Talk ⧫ Laboratori su Arte, Intelligenza artificiale e società settembre 2024 – giugno 2025 | Bologna a cura di Sineglossa a settembre 2024 a giugno 2025 l’organizzazione culturale Sineglossa presenta The Next Real, una rassegna di eventi su arte, intelligenza artificiale e società, diffusa in varie location della città di Bologna, da Salaborsa a Dumbo, fino al Tecnopolo…
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Cioccolatò 2023 a Torino
Dal 27 ottobre al 5 novembre a Torino è il momento di Cioccolatò, la kermesse ormai un must del calendario degli eventi della città dedicati al gusto, spettacoli e visite guidate che coinvolgeranno tutti i sensi. Il tema scelto per l'edizione 2023 è il Cioccolato delle Meraviglie, mentre il cuore dell’evento saranno le centralissime piazza San Carlo e via Roma, che ospiteranno eccellenze nazionali e internazionali, accogliendo visitatori italiani e stranieri per un viaggio tra cultura, arte, divertimento, talk, giochi, laboratori, masterclass e showcooking, con la direzione creativa di Marco Fedele. Quest’anno saranno tre le fabbriche del cioccolato allestite in Piazza San Carlo per dare a tutti la possibilità di assistere in diretta alla lavorazione del cioccolato, dalla tostatura delle fave al cioccolatino. La città ospite sarà Modica, con il Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica IGP, dove i cioccolatieri siciliani porteranno a Torino il loro cioccolato di derivazione azteca dal gusto inconfondibile per un incontro tutto da scoprire. Si rinnova l’appuntamento con i maestri pasticceri di Conpait, con incontri, laboratori e showcooking gratuiti a Casa Cioccolatò con tanti abbinamenti da provare, da quelli con i vini dei consorzi di tutela piemontesi, guidati da esperti sommelier, alla pasta al caffè. Tra le novità di quest’anno c’è un progetto di beneficenza, Cioccolato sospeso: i visitatori potranno donare del cioccolato che verrà inserito in una speciale chocobox in Piazza San Carlo e verrà donato al Sermig di Torino. La rassegna Imprenditori del Cioccolato permetterà di incontrare grandi nomi come Debora Massari, Guido Gobino, Guido Castagna, Francesca Caon. Dolci letture sarà l’appuntamento dedicato all’incontro con diversi autori, tra libri e dolci assaggi, oltre al giro sul Trenino delle Meraviglie, che porterà i golosi in giro per il centro della città in un tour inedito che, grazie al cioccolato offerto a bordo, saprà conquistare il cuore di tutti i chocolate lovers. Tra i momenti speciali ci saranno la festa di Halloween in Piazza San Carlo organizzata da NIDA e quella al Museo Egizio organizzata da Somewhere. Come sempre non mancherà Fuori di Cioccolatò, un evento diffuso capace di andare dritto al cuore e alla gola dei consumatori tra tour guidati e menù dedicati dei ristoranti della città. Inoltre Cioccolatissima colorerà Barriera di Milano con una mostra d’arte diffusa in collaborazione con i Maestri del Gusto di Torino e la kermesse valicherà i confini della città per arrivare a Vinovo, a Mondo Juve, con una serie di appuntamenti in calendario per grandi e piccini. Read the full article
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Torna il Teatro a Pedali Festival tra le province di Torino, Cuneo e Pavia
Torna il Teatro a Pedali Festival, la rassegna di spettacoli dal vivo alimentata dalle biciclette organizzata da Mulino ad Arte, che quest’anno, alla sua terza edizione, diventa un’iniziativa diffusa su più territori: conservando nel Mulino di Piossasco la sua sede principale, toccherà varie città della provincia di Torino e alcuni borghi delle montagne cuneesi e delle colline pavesi, per un…
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Foto: Mercomedy, 15 Giugno 2022, Davide Aiello © FringeMI Festival Dal 5 all’11 giugno – Milano Il FringeMI Festival, rassegna diffusa di spettacolo dal vivo, si terrà dal 5 all’11 giugno 2023. La rassegna, organizzata da Bardha Mimòs è giunta alla sua quinta edizione e si svolgerà in 11 quartieri della città di Milano con 50 location per 150 spettacoli INFO FringeMI Festival: MILANO – dal 5…
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Al Festival della Lentezza si parla di cambiamento
(ANSA) – PARMA, 08 MAG – Il cambiamento, inteso come congiunzione tra evoluzione e rivoluzione, è il tema della nona edizione del Festival della Lentezza, dal 9 all’11 giugno nel centro storico di Parma. È la “La ri(e)voluzione” il mantra della rassegna diffusa – con anteprima al Porto Fluviale di Mezzani il 21 maggio per un concerto al tramonto in omaggio a Franco Battiato di Arturo Stalteri –…
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In un periodo di emergenza sanitaria, di pandemia globale, è da persone civili ottemperare a tutte le indicazioni mediche richieste.
I vaccini per il Covid hanno salvato moltissime persone da un inutile dolore e dalla morte chi era in condizioni di salute fragili.
Chi non ha voluto vaccinarsi per il Covid, ha mancato di responsabilità verso se stesso e gli altri - soprattutto nei confronti dei più fragili; e anche degli operatori sanitari stessi, faticosamente impegnati a soccorrere e curare tutti i tipi di malattie in ospedale.
Chi ha deciso di non vaccinarsi per il Covid, mancando pure della più elementare empatia verso chi, in condizioni di fragilità, avrebbe potuto anche morire se contagiato dal virus non depotenziato, non ha il diritto di chiedere alcun tipo di comprensione e compassione.
Il green pass è stato necessario per evitare che un virus dilagasse. 'Infame' è chi ha cercato ogni mezzo per evitare di comportarsi in modo responsabile verso chi è fragile di salute (in Italia molti, visto che oltre a tanti anziani ci sono anche persone immunodepressi).
Che i vaccini stiano portando alla morte di qualcuno è totalmente falso: è una propaganda diffusa da chi era contro il vaccino per il Covid e non si rassegna alle evidenze scientifiche: che restrizioni e vaccinazione a tappeto stanno funzionando bene.
La maggioranza delle persone non ha creduto e continua a non credere alle sortite di complottisti e novax, perché, nella quotidiana esperienza, vede come la scienza, la medicina, aiutino a vivere meglio rispetto alla superstizione, alla dietrologia e pure alla fede.
Una persona ordinaria può anche essere molto credente, però, nel momento in cui sta male, non va dal sacerdote a farsi curare, ma in ospedale; papa Francesco stesso va a farsi curare da medici, da scienziati, perché sa benissimo che la religione è solo spazzatura.
A differenza della religione, scienza e medicina sono avalutative: aiutano e offrono i loro servizi a tutti, indistintamente, senza remore e ideologie settarie. Se scienza e medicina perdessero questa Etica, i primi a risentirne sarebbero sciamani, religiosi e politici di destra.
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Bella Ciao - ORIGINALE
di Luigi Morrone
Gianpaolo Pansa: «Bella ciao. È una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare». Giorgio Bocca: «Bella ciao … canzone della Resistenza e Giovinezza … canzone del ventennio fascista … Né l’una né l’altra nate dai partigiani o dai fascisti, l’una presa in prestito da un canto dalmata, l’altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell’Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano … Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto». La voce “ufficiale” e quella “revisionista” della storiografia divulgativa sulla Resistenza si trovano concordi nel riconoscere che “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani. Ma qual è la verità? «Bella ciao» fu cantata durante la guerra civile? È un prodotto della letteratura della Resistenza o sulla Resistenza, secondo la distinzione a suo tempo operata da Mario Saccenti? In “Tre uomini in una barca: (per tacer del cane)” di Jerome K. Jerome c’è un gustoso episodio: durante una gita in barca, tre amici si fermano ad un bar, alle cui parete era appesa una teca con una bella trota che pareva imbalsamata. Ogni avventore che entra, racconta ai tre forestieri di aver pescato lui la trota, condendo con mille particolari il racconto della pesca. Alla fine dell’episodio, la teca cade e la trota va in mille pezzi. Era di gesso. Situazione più o meno simile leggendo le varie ricostruzioni della storia di quello che viene presentato come l’inno dei partigiani. Ogni “testimone oculare” ne racconta una diversa. Lo cantavano i partigiani della Val d’Ossola, anzi no, quelli delle Langhe, oppure no, quelli dell’Emilia, oppure no, quelli della Brigata Maiella. Fu presentata nel 1947 a Praga in occasione della rassegna “Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace”. E così via. Ed anche sulla storia dell’inno se ne presenta ogni volta una versione diversa. Negli anni 60 del secolo scorso, fu avvalorata l’ipotesi che si trattasse di un canto delle mondine di inizio XX secolo, a cui “I partigiani” avrebbero cambiato le parole. In effetti, una versione “mondina” di “Bella ciao” esiste, ma quella versione, come vedremo, fa parte dei racconti dei pescatori presunti della trota di Jerome. Andiamo con ordine. Già sulla melodia, se ne sentono di tutti i colori.È una melodia genovese, no, anzi, una villanella del 500, anzi no, una nenia veneta, anzi no, una canzone popolare dalmata … Tanto che Carlo Pestelli sostiene: «Bella ciao è una canzone gomitolo in cui si intrecciano molti fili di vario colore» Sul punto, l’unica certezza è che la traccia più antica di una incisione della melodia in questione è del 1919, in un 78 giri del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, intitolato “Klezmer-Yiddish swing music”. Il Kezmer è un genere musicale Yiddish in cui confluiscono vari elementi, tra cui la musica popolare slava, perciò l’ipotesi più probabile sull’origine della melodia sia proprio quella della canzone popolare dalmata, come pensa Bocca. Vediamo, invece, il testo “partigiano”. Quando comparve la prima volta? Qui s’innestano i racconti “orali” che richiamano alla mente la trota di Jerome. Ognuno la racconta a modo suo. La voce “Bella ciao” su Wikipedia contiene una lunga interlocuzione in cui si racconta di una “scoperta” documentale nell’archivio storico del Canzoniere della Lame che proverebbe la circolazione della canzone tra i partigiani fra l’Appennino Bolognese e l’Appennino Modenese, ma i supervisori dell’enciclopedia online sono stati costretti a sottolineare il passo perché privo di fonte. Non è privo di fonte, è semplicemente falso: nell’archivio citato da Wikipedia non vi è alcuna traccia documentale di “Bella ciao” quale canto partigiano. Al fine di colmare la lacuna dell’assenza di prove documentali, per retrodatare l’apparizione della canzone partigiana, molti richiamano la “tradizione orale”, che – però – specie se di anni posteriore ai fatti, è la più fallace che possa esistere. Se si va sul Loch Ness, c’è ancora qualcuno che giura di aver visto il “mostro” passeggiare sul lago …Viceversa, non vi è alcuna fonte documentale che attesti che “Bella ciao” sia stata mai cantata dai partigiani durante la guerra. Anzi, vi sono indizi gravi, precisi e concordanti che portano ad escludere tale ipotesi. Tra i partigiani circolavano fogli con i testi delle canzoni da cantare, ed in nessuno di questi fogli è contenuto il testo di Bella ciao. Si è sostenuto che il canto fosse stato adottato da alcune brigate e che fosse addirittura l’inno della Brigata Maiella. Sta di fatto che nel libro autobiografico di Nicola Troilo, figlio di Ettore, fondatore della brigata, c’è spazio anche per le canzoni che venivano cantate, ma nessun cenno a Bella ciao, tanto meno sella sua eventuale adozione come “inno”. Anzi, dal diario di Donato Ricchiuti, componente della Brigata Maiella caduto in guerra il 1° aprile 1944, si apprende che fu proprio lui a comporre l’inno della Brigata: “Inno della lince”. Mancano – dunque – documenti coevi, ma neanche negli anni dell’immediato dopoguerra si ha traccia di questo canto “partigiano”. Non vi è traccia di Bella ciao in Canta Partigiano edito dalla Panfilo nel 1945. Né conosce Bella ciao la rivista Folklore che nel 1946 dedica ai canti partigiani due numeri, curati da Giulio Mele. Non c’è Bella ciao nelle varie edizioni del Canzoniere Italiano di Pasolini, che pure contiene una sezione dedicata ai canti partigiani. Nella agiografia della guerra partigiana di Roberto Battaglia, edita nel 1953, vi è ampio spazio al canto partigiano. Non vi è traccia di “Bella ciao”. Neanche nella successiva edizione del 1964, Battaglia, pur ampliando lo spazio dedicato al canto partigiano ed introducendo una corposa bibliografia in merito, fa alcuna menzione di “Bella ciao”. Eppure, il canto era stato già pubblicato. È infatti del 1953 la prima presentazione Bella ciao, sulla Rivista “La Lapa” a cura di Alberto Mario Cirese. Si dovrà aspettare il 1955 perché il canto venga inserito in una raccolta: Canzoni partigiane e democratiche, a cura della commissione giovanile del PSI. Viene poi inserita dall’Unità il 25 aprile 1957 in una breve raccolta di canti partigiani e ripresa lo stesso anno da Canti della Libertà, supplemento al volumetto Patria Indifferente, distribuito ai partecipanti al primo raduno nazionale dei partigiani a Roma. Nel 1960, la Collana del Gallo Grande delle edizioni dell’Avanti, pubblica una vasta antologia di canti partigiani. Il canto viene presentato con il titolo O Bella ciao a p. 148, citando come fonte la raccolta del 1955 dei giovani socialisti di cui si è detto e viene presentata come derivata da un’aria “celebre” della Grande Guerra, che “Durante la Resistenza raggiunse, in poco tempo, grande diffusione”. Nonostante questa enfasi, non c’è Bella ciao nella raccolta di Canti Politici edita da Editori Riuniti nel 1962, in cui sono contenuti ben 62 canti partigiani. Sulla presentazione di Bella ciao nel 1947 a Praga in occasione della rassegna “Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace” non vi sono elementi concreti a sostegno. Carlo Pestelli racconta: «A Praga, nel 1947, durante il primo Festival mondiale della gioventù e degli studenti, un gruppo di ex combattenti provenienti dall’Emilia diffuse con successo Bella ciao. In quell’occasione, migliaia di delegati provenienti da settanta Paesi si riunirono nella capitale ceca e alcuni testimoni hanno raccontato che, grazie al battimani corale, Bella ciao s’impose al centro dell’attenzione», omettendo – però – di citare la fonte, onde non si sa da dove tragga la notizia. Sta di fatto, che nei resoconti dell’epoca non si rinviene nulla di tutto ciò: L’Unità dedica alla rassegna l’apertura del 26 luglio 1947, con il titolo “La Capitale della gioventù”. Nessun accenno alla presentazione del canto. Come si è detto, sul piano documentale, non si ha “traccia” di Bella ciao prima del 1953, momento in cui risulta comunque piuttosto diffusa, visto che da un servizio di Riccardo Longone apparso nella terza pagina dell’Unità del 29 aprile 1953, apprendiamo che all’epoca la canzone è conosciuta in Cina ed in Corea. La incide anche Yves Montand, ma la fortuna arriderà più tardi a questa canzone oggi conosciuta come inno partigiano per antonomasia. Come dice Bocca, sarà il Festival di Spoleto a consacrarla. Nel 1964, il Nuovo Canzoniere Italiano la presenta al Festival dei Due Mondi come canto partigiano all’interno dello spettacolo omonimo e presenta Giovanna Daffini, una musicista ex mondina, che canta una versione di “Bella ciao” che descrive una giornata di lavoro delle mondine, sostenendo che è quella la versione “originale” del canto, cui durante la resistenza sarebbero state cambiate le parole adattandole alla lotta partigiana. Le due versioni del canto aprono e chiudono lo spettacolo. La Daffini aveva presentato la versione “mondina” di Bella ciao nel 1962 a Gianni Bosio e Roberto Leydi, dichiarando di averla sentita dalle mondine emiliane che andavano a lavorare nel vercellese, ed il Nuovo Canzoniere Italiano aveva dato credito a questa versione dei fatti. Sennonché, nel maggio 1965, un tale Vasco Scansiani scrive una lettera all’Unità in cui rivendica la paternità delle parole cantate dalla Daffini, sostenendo di avere scritto lui la versione “mondina” del canto e di averlo consegnato alla Daffini (sua concittadina di Gualtieri) nel 1951. L’Unità, pressata da Gianni Bosio, non pubblica quella lettera, ma si hanno notizie di un “confronto” tra la Daffini e Scansiani in cui la ex mondina avrebbe ammesso di aver ricevuto i versi dal concittadino. Da questo intreccio, parrebbe che la versione “partigiana” avrebbe preceduto quella “mondina”. Nel 1974, salta fuori un altro presunto autore del canto, un ex carabiniere toscano, Rinaldo Salvatori, che in una lettera alle edizioni del Gallo, racconta di averla scritta per una mondina negli anni 30, ma di non averla potuta depositare alla SIAE perché diffidato dalla censura fascista. La contraddittorietà delle testimonianze, l’assenza di fonti documentali prima del 1953, rendono davvero improbabile che il canto fosse intonato durante la guerra civile.Cesare Bermani sostiene che il canto fosse “poco diffuso” durante la Resistenza, onde, rifacendosi ad Hosmawm, assume che nell’immaginario collettivo “Bella ciao” sia diventata l’inno della Resistenza mediante l’invenzione di una tradizione. Sta di fatto che lo stesso Bermani, oltre ad avvalorare l’inattendibile ipotesi che fosse l’inno della Brigata Maiella, da un lato, riconosce che, prima del successo dello spettacolo al Festival di Spoleto «si riteneva, non avendo avuto questo canto una particolare diffusione al Nord durante la Resistenza, che fosse sorto nell’immediato dopoguerra», dall’altro, però, raccoglie svariate testimonianze che attesterebbero una sua larga diffusione durante la guerra civile, smentendo di fatto sé stesso. Il problema è che le testimonianze a cui fa riferimento Bermani per avvalorare l’ipotesi di una diffusione, sia pur “scarsa”, di “Bella ciao” durante la guerra civile, sono contraddittorie e raccolte a distanza di svariati anni dalla fine di essa (la prima è del 1964 …), con una conseguente scarsa attendibilità. Dunque, se di invenzione di una tradizione si tratta, è inventata la sua origine in tempo di guerra. Ritornando al punto di partenza, come sostengono Bocca e Panza, “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani. Ma il mito di “Bella ciao” come “canto partigiano” è così radicato, da far accompagnare il funerale di Giorgio Bocca proprio con quel canto che egli stesso diceva di non aver mai cantato né sentito cantare durante la lotta partigiana. Perché “Bella ciao”, nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando sin da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa “invenzione della tradizione”? Qualcuno ha sostenuto che il successo di “Bella ciao” deriverebbe dal fatto che non è “targata”, come potrebbe essere “Fischia il vento”, il cui rosso “Sol dell’Avvenir” rende il canto di chiara marca comunista. “Bella ciao”, invece, abbraccerebbe tutte le “facce” della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l’emancipazione sociale), come individuate da Claudio Pavone. Ma, probabilmente, ha ragione Gianpaolo Pansa: «(Bella ciao) viene esibita di continuo ogni 25 aprile. Anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro, che invita a cantarla». Il successo di “Bella ciao” come “inno” di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla “trovata” del Nuovo Canzoniere di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità.
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"DIFFUSA": La Rassegna di Danza Contemporanea Debutta al Teatro Marenco di Novi Ligure. Il progetto "This or Dance" porta in scena giovani talenti della danza con le performance di Sehnsucht e After All il 12 ottobre 2024
Il Teatro Romualdo Marenco di Novi Ligure ospiterà, il 12 ottobre 2024, la prima data della rassegna di danza contemporanea “DIFFUSA”, nata nell’ambito del progetto “This or Dance” promosso dall’associazione Radic’Arte.
Il Teatro Romualdo Marenco di Novi Ligure ospiterà, il 12 ottobre 2024, la prima data della rassegna di danza contemporanea “DIFFUSA”, nata nell’ambito del progetto “This or Dance” promosso dall’associazione Radic’Arte. L’obiettivo della rassegna è quello di creare uno spazio dedicato alla danza contemporanea e alle arti performative per giovani artisti under 35, offrendo una piattaforma…
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Il borgo di Castel del Monte sorge arroccato a 1345 metri di quota, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, nel cuore dei territori più autentici della regione Abruzzo. Dalla sua posizione privilegiata si affaccia sulla splendida Valle del Tirino ed accoglie ad oggi poco meno di 500 abitanti. Parte della Comunità Montana Campo Imperatore-Piana di Navelli, il borgo è stato inserito a pieno diritto nel circuito dei Borghi più belli d’Italia. Le origini di Castel del Monte si perdono in tempi antichi, con ritrovamenti archeologici che testimoniano la presenza umana nella zona fin dal XI secolo a.C., e da allora le vicende di questo gioiello abruzzese hanno attraversato i secoli fino ad offrire oggi ai visitatori un nucleo medievale perfettamente conservato nelle architetture e nelle atmosfere. Castel del Monte unisce magistralmente il fascino di un villaggio sospeso nel tempo e l’incredibile bellezza della natura che lo circonda, regalando momenti di pace e panorami mozzafiato dalla rocca su cui è adagiato. Grazie all’orgoglio e alla caparbietà dei suoi abitanti è riuscito inoltre a risollevarsi magistralmente dal terribile terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009, e mostra la sua eccezionale accoglienza a chiunque capiti su queste terre. Cosa vedere e fare a Castel del Monte Il piccolo borgo di Castel Del Monte conserva intatta la sua genuinità ed il suo passato di luogo dedito alla transumanza ed alla vita contadina. È una meta ideale per chi ha voglia di lasciarsi ammaliare da un paese caratteristico e pittoresco, che nel contenuto spazio dei suoi confini racchiude edifici ed opere dall’alto valore artistico e culturale. La sua architettura urbana presenta due caratteristiche costruttive molto particolari, frutto delle necessità difensive e della conformazione del territorio stesso. La prima è la presenza delle originali case-mura, dalla struttura simile ad una torre dalla duplice funzione abitativa e difensiva. La seconda è rappresentata invece dagli sporti, peculiari tunnel sotterranei scavati nella roccia che collegano in maniera insolita varie parti dell’abitato: un’attrazione imperdibile per chi passeggia tra i vicoli di Castel del Monte. Numerose sono le chiese presenti in paese, molte delle quali conservano ancora l’impianto originario e sono simbolo della forte spiritualità che intride la vita quotidiana di Castel del Monte. La principale per importanza e dimensioni è la Chiesa di S. Marco, che si erge nella parte superiore dell’abitato, chiamata Ricetto. Questa zona è probabilmente il cuore dal quale originò l’intero borgo e punto nel quale doveva essere collocato l’antico castello. Oggi la Chiesa di San Marco svetta da questa posizione di spicco, con il suo antico torrione di vedetta adibito a campanile. Segue per importanza devozionale la chiesa dedicata al santo patrono del borgo, ovvero la Chiesa di San Donato, situata a nord fuori dal perimetro del paese, scrigno di un pregiato altare in legno scolpito e della nicchia dove è conservata un’antica statua del Santo. Splendida anche la Chiesa della Madonna del Suffragio, intimamente legata alle vecchie tradizioni pastorizie e nota anche come la Chiesa della Madonna dei Pastori. Castel del Monte ospita anche interessanti musei che permettono di ripercorrere le più antiche usanze del paese e di conoscere più da vicino l’affascinante universo contadino di queste zone. Uno su tutti, il Museo Civico ed Etnografico, costituito da diverse sedi espositive distribuite all’interno del centro storico, dedicate alle attività dei pastori, ai costumi di un tempo, alla lavorazione della lana ed alle più sentite tradizioni religiose. Luogo di partenza ideale per lunghe ed emozionanti sessioni di trekking, Castel del Monte sorge proprio all’interno dei confini del Parco Nazionale d’Abruzzo e Campo Imperatore, un contesto naturalistico dell’imperdibile bellezza, vero paradiso per gli amanti delle attività all’aria aperta. Per la sua assoluta scenograficità il villaggio abruzzese è stato anche scelto come set di importanti produzioni cinematografiche. Tra streghe e ovini: i migliori eventi a Castel del Monte Nei secoli passati era diffusa tra i Castellani la credenza popolare nell’esistenza delle streghe e questa combinazione di superstizione e religiosità viene rievocata ancora oggi, ogni anno tra il 17 ed il 18 agosto: nella magica Notte delle Streghe, spettacoli teatrali itineranti, concerti, bancarelle a tema e maschere misteriose si mescolano in un’esplosione di suggestione e divertimento. Curiosa e estremamente tipica è anche la Rassegna Ovina di Campo Imperatore che, sempre in agosto, allieta i borghi della valle con una grande festa a base di prodotti tipici abruzzesi ed ambientazioni agresti. Durante i mesi invernali invece il borgo si anima di spettacoli e mostre durante il Borgo Innevato ed ha luogo inoltre la celebre Marcia di Campo Imperatore, un evento sportivo dal richiamo internazionale. Cosa mangiare a Castel del Monte Come ogni borgo italiano che si rispetti, Castel del Monte prende i visitatori per la gola, offrendo un’ampia scelta di succulenti prodotti gastronomici tradizionali. Imperdibili tra le leccornie casearie il canestrato di Castel del Monte, un formaggio di pecora a pasta dura, ed il marcetto, una crema piccante di formaggio fermentato. Da assaggiare prima di lasciare il borgo anche i deliziosi arrosticini tipicamente abruzzesi, ed i calcioni, un impasto di pecorino e uova, racchiuso in una sfoglia di farina, acqua ed olio di oliva. Ma anche le rape strascinate o le saporite chicocce e patate: Castel del Monte insomma non lascia proprio nessuno a bocca asciutta. https://ift.tt/2U0aH9B Cosa vedere a Castel del Monte, il borgo degli sporti Il borgo di Castel del Monte sorge arroccato a 1345 metri di quota, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, nel cuore dei territori più autentici della regione Abruzzo. Dalla sua posizione privilegiata si affaccia sulla splendida Valle del Tirino ed accoglie ad oggi poco meno di 500 abitanti. Parte della Comunità Montana Campo Imperatore-Piana di Navelli, il borgo è stato inserito a pieno diritto nel circuito dei Borghi più belli d’Italia. Le origini di Castel del Monte si perdono in tempi antichi, con ritrovamenti archeologici che testimoniano la presenza umana nella zona fin dal XI secolo a.C., e da allora le vicende di questo gioiello abruzzese hanno attraversato i secoli fino ad offrire oggi ai visitatori un nucleo medievale perfettamente conservato nelle architetture e nelle atmosfere. Castel del Monte unisce magistralmente il fascino di un villaggio sospeso nel tempo e l’incredibile bellezza della natura che lo circonda, regalando momenti di pace e panorami mozzafiato dalla rocca su cui è adagiato. Grazie all’orgoglio e alla caparbietà dei suoi abitanti è riuscito inoltre a risollevarsi magistralmente dal terribile terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009, e mostra la sua eccezionale accoglienza a chiunque capiti su queste terre. Cosa vedere e fare a Castel del Monte Il piccolo borgo di Castel Del Monte conserva intatta la sua genuinità ed il suo passato di luogo dedito alla transumanza ed alla vita contadina. È una meta ideale per chi ha voglia di lasciarsi ammaliare da un paese caratteristico e pittoresco, che nel contenuto spazio dei suoi confini racchiude edifici ed opere dall’alto valore artistico e culturale. La sua architettura urbana presenta due caratteristiche costruttive molto particolari, frutto delle necessità difensive e della conformazione del territorio stesso. La prima è la presenza delle originali case-mura, dalla struttura simile ad una torre dalla duplice funzione abitativa e difensiva. La seconda è rappresentata invece dagli sporti, peculiari tunnel sotterranei scavati nella roccia che collegano in maniera insolita varie parti dell’abitato: un’attrazione imperdibile per chi passeggia tra i vicoli di Castel del Monte. Numerose sono le chiese presenti in paese, molte delle quali conservano ancora l’impianto originario e sono simbolo della forte spiritualità che intride la vita quotidiana di Castel del Monte. La principale per importanza e dimensioni è la Chiesa di S. Marco, che si erge nella parte superiore dell’abitato, chiamata Ricetto. Questa zona è probabilmente il cuore dal quale originò l’intero borgo e punto nel quale doveva essere collocato l’antico castello. Oggi la Chiesa di San Marco svetta da questa posizione di spicco, con il suo antico torrione di vedetta adibito a campanile. Segue per importanza devozionale la chiesa dedicata al santo patrono del borgo, ovvero la Chiesa di San Donato, situata a nord fuori dal perimetro del paese, scrigno di un pregiato altare in legno scolpito e della nicchia dove è conservata un’antica statua del Santo. Splendida anche la Chiesa della Madonna del Suffragio, intimamente legata alle vecchie tradizioni pastorizie e nota anche come la Chiesa della Madonna dei Pastori. Castel del Monte ospita anche interessanti musei che permettono di ripercorrere le più antiche usanze del paese e di conoscere più da vicino l’affascinante universo contadino di queste zone. Uno su tutti, il Museo Civico ed Etnografico, costituito da diverse sedi espositive distribuite all’interno del centro storico, dedicate alle attività dei pastori, ai costumi di un tempo, alla lavorazione della lana ed alle più sentite tradizioni religiose. Luogo di partenza ideale per lunghe ed emozionanti sessioni di trekking, Castel del Monte sorge proprio all’interno dei confini del Parco Nazionale d’Abruzzo e Campo Imperatore, un contesto naturalistico dell’imperdibile bellezza, vero paradiso per gli amanti delle attività all’aria aperta. Per la sua assoluta scenograficità il villaggio abruzzese è stato anche scelto come set di importanti produzioni cinematografiche. Tra streghe e ovini: i migliori eventi a Castel del Monte Nei secoli passati era diffusa tra i Castellani la credenza popolare nell’esistenza delle streghe e questa combinazione di superstizione e religiosità viene rievocata ancora oggi, ogni anno tra il 17 ed il 18 agosto: nella magica Notte delle Streghe, spettacoli teatrali itineranti, concerti, bancarelle a tema e maschere misteriose si mescolano in un’esplosione di suggestione e divertimento. Curiosa e estremamente tipica è anche la Rassegna Ovina di Campo Imperatore che, sempre in agosto, allieta i borghi della valle con una grande festa a base di prodotti tipici abruzzesi ed ambientazioni agresti. Durante i mesi invernali invece il borgo si anima di spettacoli e mostre durante il Borgo Innevato ed ha luogo inoltre la celebre Marcia di Campo Imperatore, un evento sportivo dal richiamo internazionale. Cosa mangiare a Castel del Monte Come ogni borgo italiano che si rispetti, Castel del Monte prende i visitatori per la gola, offrendo un’ampia scelta di succulenti prodotti gastronomici tradizionali. Imperdibili tra le leccornie casearie il canestrato di Castel del Monte, un formaggio di pecora a pasta dura, ed il marcetto, una crema piccante di formaggio fermentato. Da assaggiare prima di lasciare il borgo anche i deliziosi arrosticini tipicamente abruzzesi, ed i calcioni, un impasto di pecorino e uova, racchiuso in una sfoglia di farina, acqua ed olio di oliva. Ma anche le rape strascinate o le saporite chicocce e patate: Castel del Monte insomma non lascia proprio nessuno a bocca asciutta. Castel del Monte è un piccolo borgo dell’Abruzzo ricco di luoghi da visitare: oltre alle numerose chiese c’è il Museo Etnografico per scoprire il passato contadino.
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L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino
Alle nove di sera, l’operaia Elisa, tornando a casa dal lavoro dopo un lungo viaggio in tram da parte a parte di Milano, annunciò al marito: “La sai la novità? Da domani si sta a casa tutto il giorno!”.
Italo Mazzoni, turnista di notte, raggiunto da una notizia così incredibile mentre stava indossando il giaccone impermeabile per andare in fabbrica, mormorò, con gli occhi ancora spenti e appannati di sonno: “Ti hanno licenziata?”.
“Ma no! È a causa del virus che sta infettando mezza Italia. Il padrone non ha sanificato gli ambienti ed è stato denunciato e costretto a chiudere la fabbrica”.
“La fabbrica! Dio, ho fatto tardi?” urlò Italo, e come un automa si allontanò senza neppure guardarla, con in mano le chiavi della macchina e l’immancabile pacchetto di sigarette.
Elisa ebbe un attimo, appena un attimo di smarrimento nell’accorgersi che lui non l’aveva ascoltata, ma poi gli corse dietro e lo raggiunse sulle scale. Disse: “Amore, non hai capito. La fabbrica rimarrà chiusa per un mese”.
Allora Italo, improvvisamente scosso dal suo ipnotico torpore, intuì che qualcosa di grosso era accaduto. Un disastro o un evento fortunato? Prima che potesse iniziare a darsi una risposta, la sua attenzione si concentrò sulle mani di lei, sporche di cioccolata.
“Ma cosa hai fatto?”.
“Sono stata al centro commerciale, ho preso due dolci. Uno anche per te”.
Infilò una mano nella borsa e tirò fuori una ciambella al cioccolato. Disse: “Volevo festeggiare. Mi vergogno un poco perché fuori la gente sta morendo e il rimedio contro questo maledetto virus non l’ha ancora trovato nessuno. Ma finalmente avremo tempo per stare insieme. Sei contento?”.
Italo allargò le braccia in un gesto che manifestava tutta la sua sorpresa. Disse: “Non dovrò più andare in fabbrica di notte? E neanche tu, di giorno?”.
“Esatto. La produzione è stata bloccata. Siamo in cassa integrazione fino a nuove disposizioni del Governo. E a me sta bene”.
“Dormiremo insieme?”.
“Dalla sera alla mattina”.
Si strinsero forte e pensarono le stesse cose: niente più caffè presi al volo, niente incontri fugaci sulla porta di casa, niente corse nella nebbia, niente grane sul lavoro.
Erano trascorsi quattro mesi da quando il coronavirus aveva fatto la sua comparsa in città, dando il via a quella che nel giro di poche settimane sarebbe diventata un’epidemia diffusa. Nelle famiglie obbligate a rimanere in casa, il bollettino dei morti era diventato un argomento di conversazione perfino più ricorrente della crisi economica. Per evitare l’ulteriore diffondersi del virus, il Governo aveva reagito con misure draconiane, chiudendo scuole, negozi, ristoranti e ora anche quelle fabbriche dove gli operai erano costretti a lavorare gomito a gomito. Ai cittadini era stato ordinato di limitare i contatti sociali.
Stando tutti e due a casa, Elisa e Italo avrebbero finalmente vissuto la vita da sposini che il lavoro gli aveva sempre negato: andare a letto insieme, nudi e un po’ eccitati, scambiarsi qualche parola oscena e poi fare l’amore ogni sera, con la stessa emozionante e convulsa serialità.
Vivevano a Sesto, periferia industriale di Milano, in un monolocale di 40 metri quadri. Il cucinino era umido e buio, il bagno aveva la finestra a tetto, ma Elisa diceva di essere innamorata di quel posto perché gli ricordava Un amore in soffitta, un telefilm che guardava da ragazza.
Italo invece amava l’agricoltura, e se avesse avuto una casa in campagna e un fazzoletto di terra da coltivare non si sarebbe fatto pesare qualche ora di auto in più per raggiungere la fabbrica. Tuttavia, per non mettere in difficoltà sua moglie, che era stata bocciata alla scuola guida un numero impressionante di volte, si era adattato a quello spazio angusto che gli dava ansia.
Ormai erano sposati da sette anni ma non avevano mai vissuto insieme per più di qualche ora al giorno. La chiusura della fabbrica li proiettava in un territorio sconosciuto, una convivenza vera che non li spaventava, poiché volevano viverla con tutto l’amore che erano stati a lungo costretti a reprimere.
La prima notte insieme fu meravigliosa. Senza bisogno di parole, riuscirono a darsi esattamente ciò che volevano: una brama di interezza mai provata, una passione incandescente, tanta pace.
La notte successiva ci fu un piccolo imprevisto. Elisa si accorse che Italo russava. Non era cosa da poco, perché la costringeva a prendere sonno con un concerto di tromboni nelle orecchie.
Questa piccola scoperta la turbò, come una nuvola nera apparsa in un giorno di sole.
Lui dal canto suo, era abituato a dormire da solo nel letto a due piazze, e aveva molta difficoltà a condividere il materasso. Ripensava con nostalgia a quando si coricava e, dopo qualche minuto, piano piano si spostava dalla parte di Elisa, assorbendone l’assenza e il tepore. E così s’addormentava.
Ora invece, se provava a uscire dal suo confine, veniva ricacciato indietro con parole di fuoco: “Italo, non riesci a stare fermo? Ogni volta che sto quasi per dormire, sento che mi tocchi una gamba e perdo il sonno!”.
Poi a Elisa sembrò che suo marito avesse l’alito pesante. Fu indecisa se dirglielo, per paura che lui la prendesse male, ma poiché quel difettuccio non passava, dopo quattro notti nelle quali ebbe l’impressione di dormire con un ubriaco che si era bevuto un cocktail di superalcolici e aglio, si fece coraggio e gli suggerì di lavarsi i denti prima di mettersi a letto.
Ma lui si offese e ribatté: “Ieri notte ti è scappato un peto”.
“Non è vero!”.
“Sì, è così. Avrei voluto aprire la finestra ma ho preferito non svegliarti per non essere insultato”.
“Quando ci vedevamo poco, l’amore c’era”, disse lei, in tono amareggiato.
Lui annuì: “Ora le cose dovrebbero andare meglio, e invece è il contrario”.
Si tennero il muso per ore, ma la sera, passando in rassegna gli inconvenienti che erano accaduti, pensarono che in fondo si era trattato di piccoli malintesi, equivoci senza importanza.
Convennero che anche nella persona che amiamo di più al mondo può esserci qualcosa che non ci piace ma che non deve mandarci il sangue alla testa in un secondo. Bisogna comprendere e pensare al buono. Così la rabbia finisce lì, senza emozioni distruttive.
Si promisero pazienza, ma non servì.
Da quando faceva i turni di notte, a causa delle alterazioni del ciclo sonno-veglia, Italo era ingrassato ― ormai sfiorava i cento chili ― e dopo una piccola corsetta il cuore gli batteva all’impazzata. Come se non bastasse, aveva sviluppato un’ipertrofia prostatica che lo faceva correre al bagno appena sentiva lo stimolo. Se dentro c’era Elisa, gli montava il nervoso e cominciava a dare pugni alla porta.
“Amore, mi scappa! Lo sai che sto male! Non posso fare la pipì sul pavimento, fammi entrare! Se non mi fai entrare, spacco tutto!” gridava, come un bambino capriccioso.
Elisa era furiosa. Tra i mille oltraggi cui non amava sottoporsi, il peggiore era trovarsi sulla tazza del cesso con un pazzo che le chiedeva di fare in fretta. Ma anche Italo aveva le sue ragioni: la vescica che scoppiava non era il suo unico problema. L’abitudine a riempire le giornate con il lavoro era così consolidata che, dovendo restare chiuso in casa, si sentiva morire di noia e, per quanto odiasse la fabbrica, la preferiva a una stanza in cui camminare avanti e indietro come una belva in gabbia.
Di giorno non aveva sonno e non sapeva che fare. Accendeva la tv e si innervosiva nel vedere che tutte le trasmissioni parlavano del coronavirus. Metteva qualcosa a cuocere e la dimenticava sul fuoco. Sfaccendava, creando un gran disordine. Accendeva la stufa anche se non faceva freddo. Elisa cominciò a temere che prima o poi l’avrebbe visto impazzire.
E infatti una sera, alle nove e tre quarti, Italo prese il portavivande, il termos, si mise l’impermeabile e uscì.
“Dove vai?” chiese lei. “A quest’ora i supermercati sono chiusi. C’è il coprifuoco”.
“Vado in fabbrica”.
Elisa capì che la vita a volte offre dei regali. Era stanca di litigare. Proprio stanca. Perciò non provò a fermarlo. Disse solamente: “Aspetta, prendi la mascherina”.
E lo salutò con un bacio.
Italo corse giù velocemente, in modo macchinale, infrenabile, ma non riuscì a dare un passo fuori dal portone perché un militare armato di mitra gli fece cenno di tornare indietro.
Scoraggiato, rimase per un tempo incalcolabile seduto sulle scale, con la mente perduta in una zona d’ombra tra l’alienazione e la fuga. Poi gli venne sonno e si addormentò.
Anche Elisa, rimasta sola, spense la luce e andò a letto.
Accucciata sotto le coperte, nel silenzio riconquistato, allungò un braccio verso il cuscino di suo marito e lo portò verso di sé.
Meditò su quell’amore che aveva bisogno di non essere mai del tutto con lei.
Sentì il veleno della nostalgia, doloroso e incurabile, dentro al petto.
Francesco Consiglio
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Fotogiornalismo internazionale, 30 autori a Padova
di Andrea Scandolara
-- Finalmente a Padova un’iniziativa di ampio respiro e si può ben dire che per 17 giorni la città sarà la capitale internazionale della fotografia.
Dal 10 al 26 maggio 2019 si svolgerà IMP Festival 2019 - International Month of Photojournalism con un programma da fare invidia ad altre blasonate rassegne internazionali; i numeri stupiscono e un po’ anche spaventano: 19 mostre, 19 autori di rilievo internazionale, sei spazi espositivi, tre workshop, due giorni di letture portfolio con alcuni photoeditor dei maggiori periodici internazionali, una rassegna cinematografica di tre serate dedicata ai temi del Festival, conferenze, visite guidate dagli autori. A questo vanno aggiunte altre undici mostre del circuito Off dislocate in altri punti della città, per un totale di 30 mostre e 30 autori.
Cosa ha spinto Riccardo Bononi, l’organizzatore e direttore artistico del festival a realizzare tutto ciò? “Molti ne sentivano il bisogno; la fotografia non è soltanto qualcosa che può piacere o non piacere, ma anche un veicolo d’informazione; in un periodo storico di crisi dell’informazione il valore stesso di verità di ciò che leggiamo o guardiamo viene messo in dubbio.”
Il fotogiornalista non è qualcuno che abbia particolari conoscenze tecniche o che si trovi in una situazione di osservatore privilegiato; oggi la tecnologia si è fatta democratica ed è arrivata nelle mani degli stessi protagonisti delle storie. Il ruolo di un fotografo che produce immagini interessanti, ma comunque scattate da lontano o da fuori, può passare in secondo piano rispetto alle foto create dai protagonisti stessi. I fotografi che esporranno all’IMP sono stati tutti testimoni del narrato e alcuni sono andati anche oltre la storia, persone che sono andate al di là della semplice notizia, non limitandosi ad essere testimoni di quello che stavano vivendo, ma diventandone protagonisti a loro volta; capaci di scavalcare il limite tra osservatore e osservato, diventando parte della storia, schierandosi e, soprattutto, superando e facendoci superare l’indifferenza oggi diffusa.
Ma come è possibile organizzare una rassegna così impegnativa? L’ideazione e la realizzazione è di IRFOSS - Istituto di Ricerca e Formazione nelle Scienze Sociali, istituto impegnato verso la ricerca internazionale, con un forte orientamento verso il sociale e un approccio etico, associata alla promozione di forme comunicative e metodologie dell’antropologia visuale, del reportage e del visual storytelling. Decisivo però è stato il sostegno dei promotori, degli sponsor, dei patrocinatori e dei partner, oltre una ventina, tra i quali l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, l’Università degli Studi di Padova, la Regione del Veneto, la Provincia di Padova, l’Ordine dei giornalisti del Veneto, Emergency, l’agenzia internazionale Magnum Photos e l’Agenzia Prospekt Photographers.
Una rassegna del fotogiornalismo internazionale di grande rilievo, basta scorrere l’elenco degli autori delle mostre principali per rendersene conto: Alex Webb, Mads Nissen, Giulia Nausicaa Bianchi, Peter Bauza, Francesco Cito, Pietro Masturzo, Mario Dondero, Thomas Dworzak, Patrick Brown, Giles Duley, Francesco Giusti, Scott Typaldos, Riccardo Bononi, Massimo Sciacca, André Liohn, Erik Messori, Alessandro Vincenzi, Ciro Battiloro e Claudia Gori.
Le sedi espositive principali sono tutte in zona centrale raggiungibili tra loro a piedi senza molto sforzo: Palazzo del Monte di Pietà, Loggia della Gran Guardia, Scuderie di Palazzo Moroni, Galleria Cavour, Palazzo Angeli, Centro Culturale San Gaetano, Cattedrale ex Macello; il biglietto d’ingresso unico sarà in vendita al Palazzo del Monte di Pietà e all’ex Macello.
https://www.impfestival.com/
http://www.irfoss.com/
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settembre 2024 - giugno 2025: "the next real", a cura di sineglossa
THE NEXT REAL Mostre ⧫ Talk ⧫ Laboratori su Arte, Intelligenza artificiale e società settembre 2024 – giugno 2025 | Bologna a cura di Sineglossa a settembre 2024 a giugno 2025 l’organizzazione culturale Sineglossa presenta The Next Real, una rassegna di eventi su arte, intelligenza artificiale e società, diffusa in varie location della città di Bologna, da Salaborsa a Dumbo, fino al Tecnopolo…
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