#quanto sono belle loro due comunque seriamente
Explore tagged Tumblr posts
Text
Paola e levante accanto a amadeus e morandi due mondi diversi
2 notes
·
View notes
Text
Romance dipendenti
Nuova lista di libri su richiesta. Stavolta si tratta di romance che abbiano come protagonista qualcuno affetto da una dipendenza da droghe, alcool e altro.
Anche qui i titoli sarebbero tanti, soprattutto per quanto riguarda protagonisti alcolisti, perciò ho deciso di includere nella lista un solo alcolista e di cercare dipendenze più strane.
Libri disponibili in italiano:
Titolo: Tanto può la seduzione
Titolo originale: With Seduction in Mind
Autore: Laura Lee Guhrke
Dipendenza presente: Sebastian Grant era dipendente dalla cocaina
https://amzn.to/3eLLmKH
Trama: È dura per una ragazza sola guadagnarsi da vivere lavorando. Lo sa bene Daisy Merrick, che ha di nuovo perso un impiego a causa della propria schiettezza. Ecco perché, per costruirsi il futuro a lungo sognato, decide di mettere a punto un piano, che purtroppo dipende dall’uomo più esasperante che lei abbia mai conosciuto: Sebastian Grant, conte di Avermore. Lui è uno scrittore famoso, che sembra aver perso la vena creativa. In più ha una terribile reputazione, e quando Daisy gli propone un progetto bizzarro, Sebastian non ha alcuna intenzione di collaborare. Almeno finché il cuore non prende il sopravvento…
La mia opinione: Adoro come scrive Laura Lee Guhrke quindi non posso non consigliarvi questo libro, molto carino e piacevole e anche piuttosto sexy, inoltre leggere di mestieri alternativi per una donna è sempre interessante.
Titolo: Oblio e passione
Titolo originale: Addicted
Charlotte Featherstone
Editore: Harmony passioni
Dipendenza presente: Lindsay Markham è dipendente dall’oppio
https://amzn.to/3vBQ1oL
Trama: Worcestershire, Inghilterra. 1850 È ormai notte. Lord Lindsay, nobile dedito al piacere più dissoluto, invita la propria amata, Lady Anais a fare una cavalcata nell’oscurità. Complici le tenebre, i due fanno l’amore, e lui promette di sposarla. L’incontro successivo sarà a una festa in maschera. Cosa può essere più intrigante di giocare agli innamorati celati dietro un travestimento? Si può fingere di essere qualcun altro, ben sapendo di essere sé stessi. A meno che il gioco non nasconda un tranello e non si trasformi in tradimento. Così Lord Lindsay perde la sua amata e si rifugia lontano, finché il fuoco di un incendio non riporta nella sua vita il fuoco di passione del vero amore.
La mia opinione: questo lo consiglio solo a chi ama le trame forti e i libri estremamente sensuali e quando dico estremamente intendo in modo grafico e dettagliato. Non manca poi anche parecchio pathos e quasi melodramma, perciò siete avvertiti. Certo qui il tema DIPENDENZA la fa da padrone, in tutti i sensi.
Titolo: Il fiore dell’estasi
Titolo originale: Rose of Rapture
Autore: Rebecca Brandewyne
Editore italiano: Mondadori club
Dipendenza presente: Isabella Ashley Tremayne è dipendente dai semi di papavero.
https://amzn.to/30UNM1m
Trama: La storia si svolge durante gli anni finali della guerra delle due Rose, la rosa Bianca di York, la casata di Edoardo e Riccardo e la rosa rossa di Lancaster, casata che ha come pretendente al trono il gallese Enrico Tudor futuro Enrico VII. Isabella ha conosciuto l'estasi d'amore, e le pene che a essa si accompagnano. Orfana, protetta dal futuro re Riccardo III, è con lui che per riconoscenza si schiera nella cruenta guerra che strazia l'Inghilterra. Ma l'affascinante e tenebroso marito che le hanno imposto, e che lei sembra incapace di amare, combatte per la fazione avversa.
La mia opinione: Anche se non è strettamente un romanzo medievale, è molto simile a uno di essi come schema di trama, perciò se amate quell’epoca ve lo consiglio.
Titolo: Il monaco
Titolo originale: Scoundrel’s Kiss
Autore: Carrie Lofty
Editore: I Romanzi Mondadori
Dipendenza presentata: Ada è dipendente dall’oppio
https://amzn.to/2OFwqmR
Trama: Per redimersi da un passato di violenza e sangue, Gavriel de Marqueda è entrato in un ordine monastico in Spagna e ha fatto voto di castità. Prima di diventare monaco, tuttavia, deve superare la prova più ardua: aiutare una donna che ha perduto la retta via. Ada di Keyworth è la sua missione, ma si rivela anche la tentazione più grande. Fuggita dall’Inghilterra e consumata dalla dipendenza da oppio, Ada è rimasta sola e non ha altra scelta che accettare l’aiuto di Gavriel. Ben presto, però, si accorge che sotto il saio c’è un uomo virile, tormentato dai demoni, nel cui sguardo brucia un desiderio pari al suo…
La mia opinione: la trama atipica secondo me merita una lettura. Vi avverto è piuttosto sensuale, ma i personaggi sono diversi dal solito e parecchio interessanti e travagliati. La dipendenza è centrale alla trama.
Titolo: Incontrarsi e poi…
Titolo originale: The Rake and the Reformer or The rake
Autore: Mary Jo Putney
Editore: I Romanzi Mondadori
Dipendenza presente: Reginald Davenport è alcolizzato
https://amzn.to/3ePLh8L
Trama: Alys è una nobile dama che dopo una delusione d'amore è fuggita daklla sua famiglia e dalla società per rifugiarsi in campagna e diventare, sotto mentite spoglie, amministratore di una proprietà terriera per conto di un nobile, un lavoro di solito maschile. Reginald invece è un nobile libertino, che ha passato la vita immergendosi in ogni vizio, fino a cadere vittima dell'alcolismo, e solo ora rendendosi conto delle bassezze cui è arrivato ha deciso di redimersi, assumendosi le sue responsabilità e partendo appunto con l'amministrare le terra che il cugino gli ha donato. Le stesse terre che fino ad ora erano dominio di Alys.
E fu così che i due si incontrarono. Due caratteri forti ma feriti due persone veramente diverse ma anche complementari. Lei ha un gatto odioso e dominante, lui un cane pastore pauroso e fifone, eppure i due vanno d'accordo, come i loro padroni almeno finchè la vera identità di Alys non viene fuori e Reginald che per tutta la vita non ha mai fatto la cosa giusta, decide di farla stupidamente nel momento più sbagliato lasciandola andare via.
La mia opinione: ve ne ho già parlato a non finire di questo libro libro bellissimo, uno dei miei romance preferiti in assoluto, con personaggi super affascinanti pieni di difetti reali e difficili al punto giusto. Imperdibile. Ottimo uso degli animali all'interno di un romanzo senza umanizzarli. Sublime.
Titolo: Salvare un furfante
Titolo originale: To Rescue a Rogue
Autore: Jo Beverley
Dipendenza presente: Darius Debenham è dipendente dall’oppio
https://amzn.to/3txJCZA
Trama: Annoiata dalla vita tranquilla imposta dalla sorella da cui è ospite, la troppo giovane Mara St Bride accetta il corteggiamento del maggiore Berkstead, individuo che si rivela assai poco raccomandabile. Così Mara, sola, scalza, una coperta sulle spalle, fugge dalla sua casa per ritrovarsi a notte fonda tra le insidie di Londra. A salvarla è lord Dare Debenham, al quale bastano pochi attimi per scoprire che è lui ad avere bisogno di Mara. E del suo amore.
La mia opiione: a me Jo Beverly piace. Ok, non è la trama più innovativa che esista e la povera protagonista che viene salvata dall’eroe l’abbiamo vista in tutte le salse, ma lui qui merita.
Titolo: Rinascere all’amore
Titolo originale: The Wives of Bowie Stone
Autore: Maggie Osborne
Dipendenza presente: Rosie è alcolizzata
https://amzn.to/3lmPbYf
Trama: Kansas. Fine ottocento. Siamo nel West e Rosie Mulvehey è in difficoltà: la sua fattoria sta fallendo e le serve al più presto un aiuto. Così decide di salvare un uomo destinato all’impiccagione, appellandosi alla legge del Kansas che consente di riscattare un condannato a morte sposandolo. L’uomo su cui cade la scelta è Bowie Stone, un ex soldato di cavalleria dai trascorsi misteriosi, che accetta di darle una mano ma solo per una stagione, deciso poi a tornare alla sua vita. Non ha però messo in conto il sentimento che, contro ogni aspettativa, è destinato a nascere tra loro scombussolando i suoi progetti…
La mia opinione: La trama che c’è qui sopra è un poco fuorviante, così come il titolo italiano, mentre il titolo inglese era molto più esplicito: Le due mogli di Bowie Stone. Sì, perché colui che stava per essere impiccato, Stone, si ritrova con due mogli in quanto era già sposato quando Rosie lo sceglie, ma pur di non morire le tace la verità. Ora, sposato è una parola grossa in quanto in realtà la prima moglie di Stone non era sua moglie a tutti gli effetti…..ma non vi rivelo questo colpo di scena poiché è una delle belle parti del finale del libro, e non voglio rovinarvelo.
Fatto sta che le due mogli di Bowie sono al centro del libro. La prima moglie Susanna, che lo crede morto, si ritrova destituita e non in grado di mantenersi con un figlio a carico, così disperata, decide di diventare una sposa per corrispondenza, e risponde ad un annuncio su un giornale. Un avvocato di uno sperduto paesino del West cerca una moglie in gamba che sappia badare alla sua casa e sia in grado di supportarlo in tutto, quando si ritrova davanti Susanna è più che deluso, si vede subito che non ha mai lavorato un solo giorno nella sua vita e per di più ha un figlio con sé. Decide di non sposarla, lei è disperata e lui decide di darle una mano, trovandole un occupazione, potrà essere la nuova maestra del paese e così mantenersi da sola. E’ molto toccante vedere come Susanna che da sempre ha lasciato che gli uomini decidessero tutto per lei, inizi a prendere piano piano coraggio, e ha decidere per sé. E’ un percorso lento, come è giusto che sia, ma poi si rende conto che tutte le difficoltà che sta affrontando la stanno rendendo più forte e cosa ancora più importante, si rende conto che suo figlio è il suo tesoro. Prima lo affidava sempre alla sua tata e praticamente non lo conosceva, ma ora che ha solo lui e pensa a lui ogni minuto, lo ama talmente tanto che non capisce come facesse prima a fare a meno di lui. L’avvocato poi, che comunque è sempre stato attratto da Susanna perché è molto bella, ora la ammira anche per il suo carattere, vuole bene a suo figlio e inizia a corteggiarla seriamente quando accade…… ma non vi rivelo altro.
L’altra moglie di Bowie , Rosie , è un caso ancora più difficile. Si veste come un uomo, non si lava, impreca ed è sempre ubriaca. Bowie è perplesso da lei finché non la vede pulita e scopre che in realtà è bellissima e sceglie volutamente di nascondersi dietro sporcizia e abiti da uomo poiché ha subito per ben quattro anni molestie sessuali dal suo patrigno. La cosa l’ha segnata a tal punto che non riesce a resistere sobria e solo con il velo dell’ubriachezza riesce a sopravvivere, anche se non è certo vita la sua. L’unica cosa che desidera è vendetta contro il patrigno, ma lui è morto ormai prima che lei potesse ucciderlo e l’unico tipo di vendetta che può ottenere riuscendo a rendere proficua la tenuta che lui ha mandato in rovina. Per questo ha bisogno di Bowie.
Titoli non pubblicati in italiano:
Titolo: Secret Thunder
Autore: Patricia Ryan
Dipendenza presente: Luke de Perigueux è dipendente dall’erba gatta
Inedito in italiano, ma ne esiste una versione spagnola nel caso vi interessi
Questo libro è in parte ispirato al tema di La bella e la bestia.
Trama: Faithe di Hauekleah, vedova di un nobile sassone costretta a sposare un Normanno, giura a sé stessa che egli non possiederà mai il suo cuore. Ma non ha previsto il fascino che Luke di Perigueux, avrebbe suscitato su di lei o quanto la passione tra di loro l’avrebbe resa cieca di fronte al sospetto che lui le nasconda il suo vero essere, che si sussurra sia quello di una bestia sanguinaria che viene fuori quando combatte in battaglia. Luke stesso teme di essere fuori controllo, e cerca di combattere la dipendenza dall’erba gatta che prendeva per riuscire a continuare a uccidere i nemici anche dopo anni di guerra che l’avevano lasciato senza più il desiderio di combattere, soprattutto perché non vuole rischiare di fare del male a sua moglie Faithe.
La mia opinione: dalla trama non si direbbe ma è un libro molto carino e ironico anche. Lui crede di essere un mostro ma è solo incompreso ed è un orsacchiottone in realtà.
Titolo: Lady Elizabeth’s Comet
Autore: Sheila Simonson
Dipendenze presenti: Thomas Conway è dipendente dal laudano.
Trama: La più grande ambizione di Elizabeth Conway è scoprire una cometa, purtroppo però è la maggiore delle otto figlie di un duca e ha ben altri doveri agli occhi della società. Come se non bastasse ha un corteggiatore asfissiante che non le piace poi molto e l’unico uomo che abbia mai mostrato interesse nel suo lavoro scientifico è un lontano cugino che ha sempre considerato screanzato e noioso. Quando però lo rivede dopo un anno a causa dei nuovi doveri del titolo nobiliare che ha ereditato, suo cugino la stupisce mostrandole un nuovo lato di sé ed Elizabeth forse capirebbe prima cosa prova per lui se il suo corteggiatore non mettesse i bastoni fra le ruote da entrambi.
La mia opinione: libro abbastanza famoso. Non tra i miei preferiti, l’eroina è un po’ troppo fissata con l’astrologia sinceramente, però il protagonista maschile è valido e interessante.
Titolo: Bliss
Autore: Judy Cuevas
Dipendenza presente: Nardi de Saint Vallier abusa di etere e altre sostanze
Trama: Hannah Van Evan è una giovane americana curiosa di conoscere il mondo e desiderosa di imparare quante più cose possibili, ma incapace di comprendere le regole dell’alta società europea.
Nardi de Saint Vallier è un dotato giovane francese di nobili origini che ha rinunciato alla sua passione per la scultura e, deciso ad autodistruggersi,, si è rassegnato a una vita senza bellezza e a un fidanzamento senza amore… ma tutto questo prima di incontrare Hannah.
La mia opione: libro pieno di pathos e melodramma, la trama non è nelle mie corde, ma è senza dubbio uno suardo storico molto inreressante sull’epoca e il luogo dove è ambientato.
#judy cuevas#Mary Jo Putney#Jo Beverly#carrie lofty#rebecca brandewyne#charlotte featherstone#Laura Lee Guhrke
1 note
·
View note
Text
Una vita di attesa- prima parte: Notte ad Ibiza
Amadello con controrno di angst, spogliarelli amichevoli, angst, due disperati giovani che non capiscono di essere innamorati l’uno dell’altro, angst e una radio che manda musica dance. Ho già detto dell’angst?
Attenzione: menzioni di droghe (no uso), Ama e Fiore qua sono giovinetti ai tempi del famoso evento al KU.
______________________
Rosario accese un’altra sigaretta e assaporò ad occhi chiusi la prima boccata di fumo.
“Ti piace proprio il mio profilo, eh? Va bene che sono bello, ma così tanto da non riuscire a smettere di guardarmi, addirittura.”
Una figura emerse dalla camera e lo raggiunse in balcone. Amedeo indossava ancora gli stessi abiti con cui avevano filmato la nuova pubblicità per la radio quel pomeriggio, nonostante quel bagno a sorpresa che l’amico gli aveva riservato. Gli abiti si asciugano in fretta sotto il sole di Ibiza.
“Non mi piace quando ti metti a fumare così.”
Rosario riaprì gli occhi e lo guardò con aria rapita. I lunghi capelli neri, sciolti poco prima, gli ricadevano sulle spalle nude in un gioco d’ombre che ben si abbinava con la pelle abbronzata e la tonica figura del suo petto. Sorrise un po’.
“Preferiresti fosse un purino?”, rimbeccò avvicinando di nuovo la sigaretta alla bocca. Amedeo gli fermò il braccio prima che potesse aspirare di nuovo.
“Per divertirsi non serve sballarsi o fumare. Non serve nemmeno bere alcool. È-”
“Oh, per favore Ama, non ricominciare con le tue solite-”
“…tutto contenuto nella musica. Sai come ci si sballa davvero? Si balla. Si balla e si ascolta musica buona.”
Con gentilezza Amedeo provò a sfilargli il bastoncino incandescente dalle dita e ottenne un solo debole mugugno di protesta quando riuscì nel suo intento.
“Quando ancora lavoravo nei villaggi turistici,” cominciò a raccontare Rosario guardando le luci cittadine, “c’era un numero particolare che si faceva con la musica e il ballo, come dici te.”
Sorrise in modo furbesco.
“Tra noi era conosciuto come ‘Lo Spogliarello’”.
Amedeo gettò la cicca dal balcone senza preoccuparsi sul dove fosse atterrata e strinse gentilmente la mano di Rosario, che ancora era concentrato a perdersi sognante tra quelle luci lontane e vicine.
Era una notte calda ma piacevole, con un buon venticello fresco che asciugava il sudore e un buon amico con cui passare le ultime ore prima di dormire. Strano, pensò di striscio Amedeo, che l’amico non abbia proposto di andare in qualche locale come suo solito. Non che ci tenesse particolarmente, sopratutto dopo l’incidente sul cubo dell’altro giorno…al solo pensiero provò un sentimento strano, tra la vergogna e il fascino.
“‘Lo Spogliarello?’ Immagino tu abbia visto tante belle ragazze in tali occasioni.”
“Mh?”
Rosario scoppiò a ridere di gusto e avvicinò la mano alla bocca, come per tirare una boccata di fumo da una sigaretta che ormai non c’era più, e invece si ritrovò la mano di Amedeo sopra la sua. Per mascherare il gesto la portò alle labbra e le posò gentilmente sulla pelle pallida dell’amico. Gli parve di vedere un lieve sussulto turbare la sua solita compostezza, ma probabilmente era stato il vento.
“A fare lo spogliarello eravamo noi maschi. Uno spettacolo tutto per le signore. E, beh, per i signori dell’altra sponda, anche. Non si fanno discriminazioni.”
Amedeo annuì seriamente. Doveva cercare di torgliersi l’immagine mentale del suo migliore amico coperto solo da un pezzo d’intimo provocante, uno di quelli che non lasciava niente all’immaginazione…vicino a una bella donna altrettanto svestita, ovviamente, con dei bei seni tondi e i fianchi sottili, magari abbastanza giovane e abbronzata, capelli e occhi neri come quelli del suo amico.
Quanto sarebbe stata graziosa una donna con i tratti di Rosario? L’amico aprì in un sorriso la schiera ordinata di denti bianchissimi e Amedeo si ritrovò improvvisamente a deglutire, affannato. Sarebbe stata meravigliosa.
“Dopotutto non si può dire nulla finché non si prova tutto, no? Ti dirò”, aggiunse sottovoce Rosario, in arte Fiorello o Fiore per gli amici, avvicinandosi al suo viso come se ne sapesse più dell’amico,
“Il sesso tra ragazzi non è poi così male.”
“Fiore…!”
“Ricordi come si dice fiore in siciliano? Ciuri, come nella canzone. Ciuri! Quasi lo preferisco al mio nome d’arte.”
Amedeo rimase scandalizzato sia dall’argomento toccato, che dalla velocità e naturalezza con cui Ciuri, no, Rosario aveva cambiato discorso.
“Vuoi che ti chiami Ciuri?” chiese fingendo di non aver provato alcun senso di vergogna. Fiorello sembrò pensarci un po’ su, poi avvicinò il suo viso a quello di Amedeo, in arte Amadeus, abbastanza perché a quest’ultimo venissero le palpitazioni, e infine cominciò a cantare piano.
“Ciuri, ciuri, ciuri di tottu l’annu, l’amuri ca mi dasti ti lu tornu!”
Scoppiò a ridere e si allontanò di qualche centimetro, tanto che i capelli si spostarono sul petto nudo creando nuovi disegni meravigliosi.
“Sai che ti dico, Ama? Non sarebbe affatto male. Ciuri!”
“Ciuri”, ripetè l’amico.
“Comunque, parlavo dello spogliarello”.
Con dita frenetiche rovistò nelle tasche dei pantaloni in cerca del pacchetto di sigarette, alzò lo sguardo, notò quello di estrema disapprovazione di Amadeus e decise di poter tranquillamente evitare.
“Eravamo coperti solo da due cappelli da cowboy: uno dietro, uno davanti. E ballavamo, ammiccavamo, e c’era la musica e le signore concitate che seguivano con interesse il decorso degli eventi. Era magnifico. Se poi la serata era particolarmente buona, allora si toglieva il cappello di dietro, e quello davanti stava su senza mani!”
Rise ancora e fissò un Amadeus dallo sguardo sempre più scuro. Aveva cambiato posizione: ora aveva rannicchiato le gambe, portandole al petto, ma non aveva smesso di tenergli la mano.
“Ma è impossibile. Come facevi a tener su il cappello solo con la forza del…?” Le guance del povero Ama si infiammarono come mele mature.
“Ah! Segreto professionale”, rispose Fiorello alzandosi in piedi e tendendo la mano al suo amico perché facesse lo stesso. Amadeus preferì alzarsi mentre dava le spalle a Fiore, forse per avere più stabilità, o forse perché immaginare l’amico con addosso solo un cappello era bastato perché non fosse sicuro di cosa si vedesse attraverso i pantaloni. Si ritrovò ad avere caldo noonstante la presenza del vento, quindi rientrò in camera, seguito dall’amico.
“Ma se vuoi ti posso far vedere”.
Il cuore di Amadeus ebbe un sussulto e sprofondò.
“Far vedere cosa?”
“Hai un cappello?”
Si dava il caso che si, Amadeus avesse un cappello. Non era certo da cowboy, ma fungeva comunque al suo scopo, se lo scopo era quello che aveva intuito. Andò quindi a recuperarlo da un cassetto vicino al letto matrimoniale di quella stanza (che quel dettaglio fosse preambolo di cosa sarebbe accaduto dopo?) e, un po’ tremante per la confusione, lo porse a Fiorello.
Era un cappellino da baseball. Ad occhio l’amico prese le misure, sembrò ragionarsi su un attimo e infine sorrise, simile a un dispettoso e glorioso dio greco per gli occhi di Amadeus.
“Questo è perfetto!” esclamò avvicinandosi a una piccola radio portatile poggiata sopra un mobile. Con un po’ di fretta la accese e si mise a cercare una buona stazione; non doveva essere difficile in una notte estiva a Ibiza.
Intanto Amadeus avvicinò una sedia al centro della stanza.
“Devo sedermi?” chiese guardando l’amico. La radio si intonò finalmente su una buona canzone dance e Fiorello sorrise soddisfatto.
“Mh? Si, siediti, siediti. Anzi, no!”, si corresse,
“Rimani in piedi e goditi lo spettacolo.” Ammiccò e cominciò a muoversi per la stanza concentrandosi per ora in un classico ballo da villaggio turistico, senza alcun suggerimento sul successivo spogliarello.
Amadeus si unì presto a lui, nonostante il suo modo fosse decisamente più scoordinato, e insieme risero e ballarono sino alla pubblicità così tanto che si dimenticarono, per quei pochi minuti, di quello che dovevano fare all’inizio.
“Aspettiamo la prossima canzone?” chiese Amadeus senza fiato.
Senza distogliere lo sguardo da lui, Fiorello si avvicinò e gli prese con delicatezza le braccia in modo considerabile quasi seducente, se Amadeus non conoscesse così bene il suo amico da sapere di sbagliarsi.
Forse, conoscendolo, non l’avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stesso, ma la verità era che Ciuri era un coccolone di prim’ordine, una persona che non viveva senza un minimo contatto fisico ogni due minuti. Amadeus si ritrovò a contraccambiare il gesto, come al solito.
“Perché aspettare? Ogni suono è musica se ci credi abbastanza”, esclamò il futuro comico mentre mollava di colpo la presa e si esibiva in una velocissima piroetta che ebbe il potere di strappare una breve risata al suo migliore amico.
Dunque, mentre la radio dava i suoi consigli per acquisti in spagnolo, il suo Ciuri posò lentamente le dita ai bordi dei pantaloni e ci giocherellò, un po’ sculettando e un po’ ballando, mentre i lunghi capelli gli finivano sul viso e sulle spalle.
“Forza, forza! Si ha bisogno di un po’ di incitamento qui!” urlò Fiore alzando morbidamente un braccio.
La pubblicità finì, una nuova canzone iniziò, e lui cominciò ad ondeggiare a tempo cercando di trattenere il riso alla vista di Amadeus, che cercava di imitare alcune delle sue mosse e gli dava corda: infatti l’amico si esibì in un gioioso urletto di incoraggiamento e cominciò a battere le mani a tempo, come se non ci fosse nessun’altro oltre loro in quell’hotel; ma dopotutto, chi se ne fregava davvero?
Fiorello cominciò ad abbassare i pantaloni lentamente, fin troppo per un sempre più divertito (e stranamente rapito) Amadeus, che ancora era intento a urlare e saltare in giro come non avrebbe mai fatto nemmeno dentro uno strip club.
Dopo quella che parve un’eternità, Fiorello finì di togliere quell’indumento e rimase in mutande, sorridente come un divo mentre roteava i pantaloni per aria e la radio cambiava canzone.
La scena fu tanto esilarante per Amadeus che quasi piangeva dalle risate mentre ancora cercava (invano) di muoversi a ritmo e di dire qualcosa che non fossero versi scoordinati tra il riso e vocaleggi di apprezzamento.
Nonostante i suoi movimenti tenessero poco senso del ritmo, Ciuri non poté fare a meno di sentirsi bene nel vedere tutta quella foga e partecipazione da parte del suo compostissimo amico.
“Qui si arriva alla parte bollente!” esclamò Fiorello con i capelli in bocca.
Li tolse con una manata e gettò i pantaloni a terra prima di cominciare a toccare in modo suadente l’elastico delle mutande, gesto che ebbe il potere di far smettere all’istante il balletto di Amadeus, le cui orecchie d’un tratto si tinsero di un profondo rosso, come di solito accadeva quando si ritrovava in sentimenti di estrema confusione, e come sotto incantesimo si sedette zitto sulla sedia in mezzo alla stanza. Il suo migliore amico, preso com’era dal tenere lo spogliarello a ritmo, non fece caso a quell’improvviso cambiamento d’umore.
Ancora a tempo di musica, Fiorello diede le spalle all’amico e camminò all’inverso e si avvicinò sino a fermarsi a meno di un metro di distanza dalle sue gambe. La canzone finì e fu seguita da un’altra.
“Serata dance oggi per questa radio, eh? Meglio per noi!” ridacchiò sollevato. Sarebbe stato molto più strano fare quello che stava facendo con in sottofondo una malinconica canzone d’amore.
“Ora, signore, avrei bisogno del suo aiuto”, esclamò ancora diretto verso Amadeus, che dietro di lui si era fatto immobile come una statua. Il motivo per cui stava immobile così era molto semplice: la visione di Fiorello l’aveva lasciato senza parole, seppur non in modo negativo.
Si sentiva come se fosse in presenza dell’uomo più bello del mondo, con quella pelle abbronzata, il fisico asciutto e armonioso e quei dannati occhi neri, circondati dai capelli ribelli che ondeggiavano con lui. Si sentiva attratto da lui in un modo che non avrebbe mai immaginato, che non osava immaginare. Che sentimento stava provando? Non ne aveva idea.
“Come scusa?” chiese inghiottendo la saliva. Era così concentrato sul grazioso fondoschiena del suo Ciuri che non aveva percepito nemmeno mezza parola di quello che gli veniva detto. Fiorello rise e si avvicinò il tanto giusto per sfiorargli appena la gamba, contatto che gli parve scottare e gelare allo stesso tempo.
“Ma come? La notte è ancora giovane, non è mica ora di dormire! E poi si sa, chi dorme non piglia…pesci!”
La battuta era scontata quando ambigua: entrambi risero di gusto.
Amadeus provò il fugace pensiero di voler delicatamente tirare i capelli davanti a lui, in maniera giocosa forse, oppure solo per scoprire la delicata gola, e affondare le labbra nell’incavo del suo collo…
“Dicevo: ho bisogno del tuo aiuto, Ama”, ripetè Fiorello dandosi una piccola pacca sul sedere,
“Qualcuno mi deve pur sfilare le mutande, no? Altrimenti non posso mettere il cappello dove dico io, e questo diventa uno spogliarello a metà. A nessuno piacciono gli spogliarelli a metà, sono tristi e pieni di cose lasciare in sospeso.”
Come ipnotizzato, Amadeus tese le mani in avanti e le pose nei fianchi caldi e lievemente umidi di sudore dell’amico.
La differenza tra la pelle e il tessuto fu abbastanza perché avvertisse un profondissimo senso erotico cominciare ad emergere dalla parte più oscura del suo animo, eppure decise, seppur non proprio consciamente, di non reprimerlo.
Cominciò subito ad abbassare un lato di qualche centimetro, poi si fermò e tirò dall’altra parte finché non fu a livello e così via, cercando di rispettare il tempo della nuova canzone, finché il tessuto non scivolò fia da solo con il prezioso aiuto della gravità, lasciando davanti a lui due morbide pagnotte di pane più chiare su cui veniva voglia di dormire sopra.
Preso dal gioco, Fiore ondeggiò in modo sensuale e sottolineò con gli indici le natiche, per poi farle ricadere togliendo le dita di colpo.
“Ti piace quel che vedi, bel fustone?” chiese mettendo su una voce vagamente effemminata. Amadeus, che dopotutto proprio santo non era, sopratutto se si trattava di continuare una gag, gli afferrò il sedere e morsicò piano una natica, cosa che produsse un urletto da parte di Fiore, che d’istinto tentò di spostarsi un po’.
“Il più buon prosciutto che abbia mai assaggiato”, esclamò Amadeus avvicinandosi per un secondo morso. Per poco non ci riuscì: un Fiorello ridente gli allontanò il viso con la mano.
“E non hai ancora visto che salame! Dove avevo poggiato il cappello…?”
Amadeus, impeccabile come suo solito, glielo passò senza nemmeno provare a sbirciare davanti, anche perché se Fiore sino a quel momento era rimasto girato ci doveva essere un motivo ben preciso, e Amadeus non era quel tipo di persona che vuole sapere l’origine dei trucchi dei prestigiatori.
“Tra salame e prosciutto, direi che preferisco il secondo.”
“Ne sei proprio sicuro?”
No, Amadeus non lo era per nulla. Osservò la curva della schiena mentre Fiorello si piegava e sistemava in qualche modo il cappello sul davanti. Non poté evitare di osservare anche qualcos’altro: grazie all’angolo, ora poteva vedere più a fondo sotto le pagnotte che il suo Ciuri aveva sotto la schiena.
Per qualche motivo prese nota mentale del fatto che persino là sotto, o almeno così gli era parso, il suo migliore amico era ben depilato.
“Sei pronto?” chiese Fiore all’improvviso. Amadeus non era mai stato più pronto.
“Dov’è il mio incoraggiamento?”
Amadeus cominciò subito a sfarfallinare le mani e ululare il più teso “ooooo” della sua vita (finora), e nonostante non potesse vederlo, Fiore compì i suoi stessi gesti.
La radio decise di tradirli proprio in quel momento: la canzone finì e iniziò di nuovo la pubblicità.
“No!” Urlarono insieme i due amici prima di scoppiare a ridere.
“Non avevi detto che persino la pubblicità è musica o qualcosa del genere?” rincarò Amadeus accarezzandogli delicatamente una coscia, cosa che Fiorello finse di non trovare piacevole, perché dopotutto stava facendo uno spogliarello ironico per il suo amico, mica qualcosa di realmente erotico.
“Non funziona senza la parola magica.” Amadeus ci pensò un po’ su. La carne sotto le sue mani era calda e morbida in un modo che non gli era mai parso prima, che gli pareva meraviglioso in quella notte calda, quasi preannunciasse qualcosa di proibito. Oh, al diavolo proibito: erano pur sempre a Ibiza, ben lontani da qualunque limite e freno che poteva mettersi.
“Per favore?” miagolò pizzicando piano la pelle di quelle gambe sinuose. Che diavolo stava facendo?
Fiorello si ritrovò a considerare l’idea che quello spogliarello non sarebbe finito nel modo con cui lo aveva previsto. A dirla tutta, non era proprio offeso da questa idea.
“La parola magica, ovvero una sola parola. Riesci a contare da solo o hai bisogno d’aiuto?”
Ci voleva poco per far ridere Amadeus, che di nuovo rise piano, impegnato com’era a far risalire le mani lungo i fianchi e il bacino del suo migliore amico con gesti mirati e calcolati.
“Ciuri?” rispose mentre faceva aderire sui palmi la polpa del sedere. Fiorello esalò rumorosamente.
“Dillo di nuovo”, ansimò sorridendo quando allungò una mano a prendere la testa di Amadeus e lo avvicinò contro la natica senza un motivo valido, neppure giustificabile con lo scherzo.
Voleva che il suo amico lo leccasse. Era una cosa assurda, no?
Per quanto assurda potesse essere, l’amico sembrò avergli letto nel pensiero, perché poco dopo il timido Amadeus mosse le labbra e lasciò una lunga striscia refrigerante con la lingua sul suo posteriore, cosa che non solo gli provocò l’involontaria chiusura degli occhi, ma anche una debole instabilità del cappello posto sopra le sue grazie.
“Ciuri”.
La voce roca di Amadeus doveva essere uno stop, un limite alle sue azioni, e invece Fiorello si ritrovò a seguire le musichette della pubblicità fino a girarsi e finché il suo petto non fu davanti al migliore amico, il quale poteva notare, seppure non avesse esperienza nel campo, quanto quel cappello lasciasse ben poco all’immaginazione.
Amadeus voleva sentire ancora il sapore della sua pelle sulla lingua.
Per Fiorello, che ormai sapeva leggere il suo amico come un libro aperto, non ci volle molto per capire che tipo di pensieri gli frullassero in testa, sopratutto con quegli occhi scuri e le lunghe ciglia perse in qualche punto vicino alle sue coscie.
Che male mai avrebbe potuto fare? Delicatamente spostò le gambe in modo da incastrarle con quelle di Amadeus, che subito alzò lo sguardo sorpreso (e imbarazzato, a giudicare dal colore vermiglio che avevano assunto le sue orecchie) e cercò invano di indietreggiare nella sedia. Dopotutto era pur sempre cresciuto in una famiglia cristiana originaria del sud, dove cose come l’attrazione per i ragazzi era considerata uno dei peggiori peccati esistenti. Era teso come una corda di violino.
Di nuovo la radio si degnò di passare una buona canzone, e di nuovo Fiorello cominciò a ballare a tempo.
Amadeus, d’altro canto, era intento a spingere contro un enorme muro mentale: nessuno lo saprà mai, continuava a dire tra sé e sé, eppure in qualche modo qualcuno lo saprà, ne sono certo. Come ipnotizzato, di nuovo si trovò ad accarezzare dolcemente le gambe del suo Ciuri.
Sentiva di stare per esplodere.
L’odore di Fiore era così buono che gli si andava formando un nodo in gola, senza considerare l’attrito che cominciava a desiderare in modo istintivo e disperato. Non vedeva l’ora che quello spogliarello finisse. Non voleva vederne mai la fine.
Fiorello osservò ballando l’ansimare nervoso del suo migliore amico e ne fu segretamente ammaliato. In effetti quel gioco stava durando fin troppo, no? Con una mossa felina si sedette sulle ginocchia di Amadeus e ondeggiò sino a spostare il cappello a diretto contatto coi pantaloni di tela.
Non poteva avvertire nulla a causa del grosso tessuto tra lui e il bacino dell’altro, quindi non aveva la benché minima idea di come quell’azione creasse il contatto perfetto per del potenziale e agognato attrito. Amadeus ingoiò forte.
Fiorello ridacchiò, implicitamente contento di sentirsi desiderato nonostasse non riuscisse a percepire nulla di quello che stava accadendo coscientemente.
“Lor signore, le piace ciò che vede?” esclamò Fiorello scuotendo la folta chioma via dalle sue spalle.
Amadeus si sentiva alle porte dell’inferno e del paradiso in contemporanea. Doveva avvertire l’amico del contatto tra i loro bacini, oppure doveva far finta di nulla e assecondare le sue mosse?
I suoi denti splendevano come perle nella zona d’ombra tra i loro corpi, spettacolo incorniciato da quei capelli ribelli e il suo spettacolare fisico asciutto e abbronzato. Amadeus fu improvvisamente consapevole di quale fosse il pericolo più immediato.
Con una mossa disperata (ma molto debole) provò a spingere via Fiore, ma le sue mani, invece di fermarsi, continuarono il percorso sino alla schiena, per poi scendere sul bacino e spingerlo delicatamente contro di sé.
A questo punto era difficile pensare a cosa fosse giusto o sbagliato: furono catapultati in una strana dimensione, più lenta e senza alcuna morale, piena solo di sensazioni e qualcosa di profondo e incontrollabile che poteva essere definito solo come istinto.
Fiorello spinse il bacino contro quello di Amadeus.
Finalmente l’attrito tanto desiderato arrivò con la compressione. Amadeus non poté proferire parola mentre si perdeva negli occhi neri di Ciuri, che ora ricambiavano l’oscura malizia dei suoi, e sentiva vagamente il muro rompersi, un infinito e profondo senso di affetto per lui annidarsi nel petto e, ultima ma non ultima, la familiare sensazione di contrattura ritmica e incontrollabile nei suoi pantaloni.
Fu proprio quella a riportarlo improvvisamente alla realtà.
Aveva appena bagnato i pantaloni come un comune adolescente, lui, che l’adolescenza ormai l’aveva abbandonata da almeno qualche anno.
Si sentì un fallito. Si sentì euforico. Nell’impeto del momento, prima che i suoi pensieri di colpa rovinassero tutto, decise di seguire l’istinto e prese il collo di Fiore, lo avvicinò a sé e, senza tante cerimonie poggiò la bocca aperta sulla sua.
Nulla lo poteva preparare alla tremenda sensazione di labbra chiuse contro labbra aperte.
Fiore era stato preso largamente alla sprovvista, e per questo non aveva risposto. Il suo era stato un gioco, un qualcosa fatto per noia e divertimento, giusto? Ormai non lo sapeva più nemmeno lui. Quel bacio l’aveva gelato sul posto.
Ama, il suo riservato, impeccabile Ama. Cosa aveva fatto Fiorello per fargli avere quella reazione? Una cosa del genere, in terra natia, avrebbe creato troppo scandalo.
Così, per quanto il suo cuore gli ordinasse di approfondire e rispondere a quel bacio, decise di proteggerlo a modo suo, e lasciò le labbra serrate.
Il contatto fu molto breve: il tempo che Amadeus avvertisse la reazione dell’amico, e subito si staccò, in preda a rimorso e senso di colpa. Aveva esagerato. Aveva rovinato una delle più profonde e belle amicizie che aveva mai avuto.
Cosa fare adesso? Il bagnato nei pantaloni diventava tremenda offesa, il sentimento d’affetto diventava amaro come medicina. Voleva spaccare qualcosa, ma il peso di Fiorello, ancora sulle sue gambe, glielo impediva.
Una improvvisa risata riecheggiò nella stanza e fece eco alla musica.
“Non era proprio uguale alle nostre esibizioni, visto che noi ci esibivamo nel palco, ma è stato divertente lo stesso”.
In un attimo Fiorello fu in piedi, subito molto più pudico rispetto a qualche secondo prima, e tenendosi il cappello sul davanti con le mani saltellò via in maniera volutamente goffa a cercare le mutande, abbandonate per terra assieme ai pantaloni.
Amadeus non sapeva se ridere o piangere: decidette per l’alzarsi, ringraziare mentalmente la colorata fantasia dei pantaloni che nascondeva il fattaccio quasi alla perfezione e fingere di avere un’improvviso attacco di sonno.
Per fortuna era in grado di simulare gli sbadigli, pensò cercando di ignorare le tremende pugnalate che il ricordo delle labbra gelide, ancora fresco e vivido nei suoi pensieri, gli donava.
“Oh, sei stanco? Senti, io vado in discoteca a ballare un po’. Ti vuoi unire a me? Posso presentarti tante belle ragazze”.
Il tono di Fiorello era così finto che non avrebbe ingannato nessuno. Peccato che in quel momento Amadeus era messo parecchio male per quanto riguarda i ragionamenti, perché nonostante le sue migliori intenzioni i sensi di colpa stavano arrivando, e picchiavano duro, tanto che riuscirono ad alterare la percezione di quel tono come naturale e spontaneo.
“Preferisco dormire un po’”, rispose Amedeo, certo che Rosario si fosse accorto di tutto e volesse dimenticare quella tremenda esperienza con chissà quale droga, chissà quale alcool e chissà quante sigarette, e magari l’aiuto di una bella ragazza di cui improvvisamente avvertì una forte gelosia.
“Oh. Bene. Perfetto! Allora, uhm, ci sentiamo domani mattina, giusto?”
Rosario era distrutto dal desiderio di avvicinarsi al suo Amedeo, stampargli un grosso bacio sulla bocca e coccolarlo per tutta la notte.
Ah, se solo avesse potuto.
Avrebbe scaricato il desiderio distruggendo il ricordo con l’alcool, pensò infilandosi una maglietta leggera e prendendo le chiavi della stanza, e chissà, magari qualcuno vendeva qualche buona pastiglia là vicino.
“Certo, domani mattina ci sentiamo di sicuro.”
“Ti voglio bene”, esclamò Rosario senza una ragione esprimibile a parole prima di chiudere la porta della camera.
“Ti voglio bene anch’io”, sussurrò Amedeo mentre si alzava a fare una doccia e mettere il pigiama.
Forse era meglio dimenticare ciò successo quella notte.
______________________
Note: Perchè la divisione in due parti? La prima è venuta su di 4000 parole e sopratutto sono ambientate in contesti e epoche diverse, quindi ho preferito dividerle.
La seconda parte arriverà in questi giorni! Per ora una piccola anteprima: Nel palco dell’Ariston anche Fiorello ha preparato un monologo struggente su un doloroso rimpianto della sua giovinezza. Quale sarà la reazione del pubblico alle sue parole? Ma sopratutto, quale sarà la reazione del conduttore di Sanremo VentiVenti?
#Amadello#Amadello fanfiction#sanremo 2020#Scrivere ciò è stato particolarmente divertente#sostituire i nomi ai placeholder è ancora un trauma#but still#4100 parole di trash
31 notes
·
View notes
Photo
Bungou Stray Dogs - Characters - Tier List
Gli elenchi chiamano e io rispondo.
Dopo la supermassiva presenza di pokémon, mi son detta che potevo pure andare a tierlistare altrove. Ovviamente, non poteva che essere BSD.
[Grandine di spoiler grossa come uova per chi non segue il manga.]
Confesso di non essermi resa conto fino alla fine che la posizione S sarebbe stata occupata da (al momento) soli due tizi. La cosa più bella è che sono anche la mia OTP di BSD. Non era voluto! Davvero!
Posizione intermedia per due altri due tizi che, se rimangono bellissimi come sono ora, volano dritti alla S. Sigma si è fatto amare nel giro di cinque pagine. E, alla battaglia, stavo genuinamente tifando per lui. E VOGLIO SAPERE CHE AUTORE È (Io voto per Saint-Exupéry, ma ci sono indizi che potrebbero hintare Camus ). Gogol è forse il più gnocco di tutto BSD e ha seri problemi di iperattività; se già non fosse divertente averlo in scena, sembra pure avere qualcosa di serio e persino brokoro. Lui, in particolare, può scivolare alla A, se fa casino alla B+/B, se continua su questa linea va di diritto in S.
La linea A è occupata da gente adorabile, gente tsunderissima e gente rincoglionita. Atsushi è adorabile. Aveva un po’ rotto con il suo Flashback (con la maiuscola), ma in generale è molto cute. Kyouka, all’inizissimo, non mi faceva troppo impazzire, causa essere l’incarnazione dello stereotipo animanga della “ragazzina killer”, con bonus kuudere a sottolineare il cliché. Invece, è una di quelle personagge che è bello trovare in un seinen: forte, ma non Maria Susina, decisa, ma non inscalfibile, con una storia e una sottotrama interamente riguardanti sua madre (naturale e adottiva), con il romance esistente ma che non diventa lo scopo del suo personaggio. Considero lei e Atsushi praticamente sposati - e non capisco perché farla quattordicenne invece di sedicenne. Ma tanto suppongo arriverà un time skip che renderà la differenza d’età tra loro due meno una preoccupazione. Kunikida è tsunderissimo, quindi non può che andare bene. Ultimamente ha pochissimo spazio, e preferirei non avesse il Momento Trauma in ogni singolo arco. Odasaku... Credo sia uno di quei personaggi che è difficile non apprezzare. E la leggendaria Dark Era ha lasciato il segno un po’ in tutti gli spettatori/lettori. Nonostante il Papino per antonomasia mi piaccia, a volte preferirei fosse meno idolatrato- Oguri è stato una sorpresa. È abbastanza cessacchiotto e ha la faccia da scemo - diciamo che, dopo il discutibile arco del Cannibalismo, non è che mi ispirasse granché. Invece, appena apparso, già mi ha fatto ridere. Poi mi ha fatto brokorare. È stratsunderissimo, praticamente himedere, è un idiota ma è un piacere averlo in scena. Me lo immagino con la voce di Daisuke Hirakawa (Forse perché mi ricorda un po’ Rei Ryugazaki) che già ha avuto un ruolo in BSD, quindi non sarà doppiato da lui, ma vabbè. Con solo Dead Apple e l’anime, Dostoevskij era in C. Non era in “Indifferenti” solo perché “Io sono il Delitto, Io sono il Castigo, Delitto e Castigo sono amici” e il fatto che dovesse richiamare la Strega Cattiva mi aveva fatto rotolare. Poi ho letto il manga. E ho scoperto che è uno yandere rincoglionito. È yandere ma, il più delle volte, è troppo stordito per ricordarselo. E io amo gli yandere scemi. Mi dispiace un sacco che il Bones abbia tagliato tipo tutte le sue facce stordite e l’abbia fatto sembrare serio, ma capisco volessero tenere alta la tensione- BTW, ora è assolutamente in A.
La B+ sono i personaggi che non mi dispiacciono, con alcuni dal grande potenziale. Yosano, già mistress (!) di suo, ha guadagnato un sacco di punti con il suo flashback - così come Tachihara, prima per me abbastanza indifferente. Ho un po’ sudato freddo quando si è scoperto quale fosse il suo potere, dato il rischio Potere Livello Dio Incontrollato (vedasi i livelli a cui arriva Magneto) ma, per fortuna, è stato presto ridimensionato. (Insomma, c’è già Chuuya ad avere un Potere Livello Dio Incontrollato che viene controllato solo non facendolo rimanere in scena-) Fitzgerald ha scalato la classifica con l’episodio a lui dedicato. Non si può rimanere indifferenti alle pentole. (!) Di tutti gli altri, quelli da cui mi aspetto di più sono Tanizaki e soprattutto Q. Extra della linea B+, qui assente: Babbo Rando, perché non si meritava tutto quello che gli è successo. Probabilmente, non si meritava neanche un marito come sembra Verlaine-
La B sono i personaggi che “mi stanno bene”. Kenji ha guadagnato punti dal suo spargere positività nei momenti più cupi (E nella sua losca transizione da Finny a Oz). Visto quanto è spammata ultimamente, mi aspetto qualcosa da Gin. Ed esigo un’evoluzione psicologica per Higuchi, perché “la prima scrittrice giapponese donna” non può rimanere succube e impacciata. E io ci vedo un sacco di lesbo tra queste due-
La C sono i personaggi che “mi stanno bene” ma non hanno avuto troppo spazio per giudicarli. Ango non mi sta antipatico, è pure doppiato da Jun Fukuyama, ma sembra che proprio non ce la faccia a non fare il quadruplo gioco. Kajii è lol, ma sembra più un folle comic relief - persino la sua prima apparizione era, in realtà, in funzione di Yosano. Steinbeck è forse l’unico membro della Gilda che si è mai davvero impegnato, ma purtroppo sfigura di fronte agli altri personaggi. Dato che si è messo a capo della Gilda 2.0, mi aspetto qualcosa da parte sua. Hawthorne e la Mitchell hanno un sacco di potenziale, ma sono apparsi davvero pochissimo e sono impossibili da giudicare. Visti anche Dimmesdale e Rossella, immagino un sacco di angst. (E quant’è bello che da un parte ci sia The Scarlet Letter e dall’altra Scarlet O’Hara?) La Alcott è cute, ma per il momento è apparsa gran poco. Idem per Twain, che ha un design molto carino, sembra simpatico, ma ha la stessa presenza di un soprammobile.
Gončarov, Shibusawa, Melville e Gide (qui assente) mi sono assolutamente indifferenti. Melville più per il suo screentime totale di forse cinque minuti. L’avrei pure messo in C, ma ha oggettivamente DUE scene DUE e non è detto riappaia, quindi... Gide era quello con più potenziale, nella novel molto più complesso e bizzarramente appiattito nell’anime - ma, anche nella novel, necessitava come minimo di un capitolo dedicato. (Fun facts: Pensavo fosse presente nella tier list. Invece era Kouyou. Non so come abbia fatto l’autore della tier list a prendere l’unica immagine in cui Kouyou non ha la sua eterna espressione da Mammina Paziente, ma okay-) (Sì, ho confuso Kouyou con Gide, ma da quell’angolazione ci sta, su. (!?)) Gončarov e Shibusawa, invece, fanno il loro “onesto” (?) lavoro. In compenso, Shibusawa ha delle belle carte in Bungou Mayoi. (!!!!!) E chissà che non abbia più spazio in Storm Bringer.
La fila “E tu chi sei?” credo si spieghi da sola. Ace è un idiota. Ma proprio stupido, con un potere demenziale. Povero Karma e povero Fedoro. Se non altro, quell’episodio è bellissimo (Per merito di Karma e Fedoro, ovviamente.) Puškin... Cioè, non... Magari il concept del “codardo” aveva pure qualcosa di interessante, ma lui come personaggio è talmente nulla che per me è “Russo 2” (“Russo 1” è Gončarov). A voler infierire, il concept dell’essere impotente di fronte agli eventi è fatto triliardi e triliardi ma proprio triliardi di volte meglio con Sigma.
Si arriva quindi alla fascia più bassa. Ossia i Cani da Caccia. Detto chiaramente: non li sopporto, perché il loro essere Gari Stuini e Marie Susine (dichiarati) viene costantemente ribadito, con una frequenza asfissiante: vengono osannati/temuti/rispettati ad ogni loro singola apparizione, non si può avere un Cane in scena senza prima ribadire quanto sia bellofortefAigoinvincibile. Almeno non sono serissimi e hanno un accenno di “comicità” giusto per, ma non mi hanno mai fatta ridere. Anzi, un paio di volte ho pure cringiato. Ho goduto come un riccio quando è arrivato Chuuya a gonfiare Jouno e Tecchou - Chuuya dal potenziale Gary Stu immenso, ma nessuno sta lì a lodarlo, ribadirlo o anche solo permettergli di stare in scena per più di mezzo episodio per volta (Grazie Fifteen, grazie spudorata fanservice di Dead Apple). E, come ho già detto, nella battaglia di Sigma vs Teruko, stavo seriamente tifando per il primo.
Tecchou e Teruko sono quelli che più sopporto in scena. Tecchou perché continua a chiedersi cosa ci faccia lì, ha sputtanato Jouno e, in generale, mi sembra il più intelligente. Teruko viene presentata come l’incarnazione dello stereotipo della loli incazzosissima MA comunque superfAiga, che guai a farla arrabbiare!, lei è troppo fortebellafAiga! Con mia grande sorpresa, nel miniarco del casinò guadagna svariati punti, mostrando il suo lato più umano (le sofferenze che comporta l’essere un Cane) e mostrando anche quanto creda davvero nel suo lavoro di poliziotta. Non fosse stato ribadito fino allo sfinimento quanto fosse superfortesuperfAiga e non fosse stata contro Sigma, avrei persino potuto metterla in un C-. La penso con la voce di Aoi Yuuki, perché Teruko è palesemente ispirata a Tanya von Degurechaff.
Il punto più basso della classifica è occupato dagli altri due Cani. Si va in un crescendo di simpatia, insomma.
Prima del Grande Colpone di Scena, Fukuchi era il nulla. L’unico suo dettaglio di riconoscimento era l’essere protagonista di gag che non fanno ridere. L’avrei messo in “E tu chi sei?” ma, a seguito del Grande Colpone di Scena, è precipitato vicino a Jouno. Il motivo è molto semplice: Il Nulla Cosmico sarebbe (secondo loro) colui che manovra personaggi del calibro di Dostoevskij, Gogol e Sigma? Ci credo tantissimo. (Sono della fazione che crede che il vero capo sia l’ultimo membro degli Angioletti Marciti.) La motivazione, poi, sembra di una povertà devastante. È un gigantesco No.
Infine, sul punto più basso della classifica, Jouno. Jouno è l’unico personaggio di BSD che mi sta davvero sulle balle. È un Cane (quindi si parte male), di più, è il più spietato dei Cani, è crudele, è saaaaadiiiicooooo, ma proprio sadicissimo, è uno yandere che proprio cioè guarda, è addirittura colui che riesce ad arrestare Dazai in una scena di profonda inquietudine yandere. (Ovviamente, Dazai si è fatto arrestare.) Bonus scazzo: ha quasi lo stesso nome di Jonouchi, che è uno dei miei personaggi preferiti di Yu-Gi-Oh!. Questo è il motivo per cui Jouno mi sta sulle balle: se la crede, tutti ci credono (per nessun motivo), sembra l’unico yandere (parte “dere” non pervenuta), l’unico spietato, quasi trascenda il “profondo e dannato”... In un animanga che presenta personaggi tipo Dazai. Dazai. Anzi, avendo proprio un confronto diretto con Dazai stesso. Per dire, Mori riesce ad essere spanne e spanne più crudele e inquietante, e senza fare tutte le scene che fa lui. Addirittura Tanizaki, nei momenti in cui sembra uno squilibrato, lo si prende più sul serio. Se poi si vuole parlare di sadismo vero e proprio, credo Q sia abbastanza imbattibile. Non è meglio di nessuno ma, per nessun motivo, sembra gli si voglia appiccicare addosso un alone di Pericolosità IncrediBBile. Che palle.
.
E questi sono i miei pareri sui personaggi di BSD. Volevo farli da un po’ e la tier list me ne ha dato l’occasione. Chissà che non cambi qualcosa. Vedremo come sono l’ultimo Angioletto Marcito e il buon (?) Verlaine...
8 notes
·
View notes
Text
Hwarang
La serie dei piccoli problemi di cuore
Mi aspettavo delle cose belle e divertenti da questa serie, non ho mai pensato che sarebbe stata un capolavoro ma pensavo che mi sarebbe potuta piacere molto. E per vari episodi, infatti, mi è piaciuta assai. Fino a metà serie circa, dopo di che... il baratro.
Non è una serie da bocciare, alcune cose positive le ha, e l'ho anche guardata con piacere, ma è innegabile che Hwarang abbia un sacco di problemi.
Tagliamo la testa al toro: LA LEAD È IL PIÙ GRANDE MALE DI QUESTA SERIE.
All'inizio è inutile e piagnona, pensa solo a essere innamorata del presunto fratello. Poi comincia a finire nei guai in ogni singola puntata, con la conseguenza che i due lead maschili passano il 90% del tempo a preoccuparsi per lei. E poi piange. Piange sempre. Ed è passiva, non fa nulla, tutto quello che le succede è perché le viene fatto da altri.
Nemmeno Shijie di The Untamed era così tanto inutile e passiva, almeno lei teneva uniti i due fratelli risolvendo i loro problemi. Ah Ro invece i problemi non li risolve, lei i problemi li crea.
Raramente ho visto una lead così tanto insopportabile e scritta male.
Per non parlare del fatto che nessuno riesce a ucciderla nemmeno quando se ne sta ferma immobile nel mezzo di una radura, ed è qui che capisci le gravi forzature di Hwarang.
Questa serie ha una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Credo di poter riassumere la cosa in questo modo: si sono persi per strada. Perché le premesse erano buone e interessanti, e quello che poteva venire fuori era davvero molto bello, ma nella seconda parte del drama la scrittura non ha saputo reggere le aspettative che aveva inizialmente creato.
Mi sembra quasi di aver visto due serie differenti: la prima è divertente, ricca di spunti, interessante, luminosa; mentre la seconda è sempre più seria, piena di lacrime, scura, con forzature a non finire, buchi di trama e dettagli che si perdono per strada.
Allora mi chiedo quale fosse l'intento di Hwarang: fare una serie spensierata ma comunque con riflessioni interessanti (tipo Weightlifting Fairy Kim bok-joo), o fare un drama storico che si prende sul serio? (Tipo My Country).
Su questo la sceneggiatura si è proprio persa. Sembra bipolare.
Boccio in toto anche la storia d'amore principale (meno male ce n'è stata una secondaria): ripetitiva e noiosa, una brodaglia di sguardi sofferenti e parole scontate. Si tratta di una delle peggio ship che ho visto quest'anno.
La recitazione in alcuni casi è buona, ma mai nulla di straordinario, ma i tre lead non mi hanno conquistata proprio per niente. Peccato sopratutto per Park Hyung-sik, che mi aveva fatto innamorare in Strong Woman ma che qui passa la maggior parte del tempo con un'espressione da ebete depresso sulla faccia.
Per quanto riguarda i due lead maschili, li promuovo per grazia divina. Così come la Regina e il dottore.
Il protagonista è stato un personaggio abbastanza standard e davvero troppo legato a quella lagna della lead, tuttavia ho apprezzato il suo pensiero di conquistare il trono (ma dovrei dire che lo avrei apprezzato molto di più se fosse stato sviluppato meglio), perché pensavo che lo avrebbe rifiutato come qualsiasi umile eroe rifiuta il potere quando gli viene offerto.
La Regina e suo figlio hanno dato vita a un rapporto abbastanza interessante, e tra i vari problemi di scrittura che presentano questi due personaggi, li promuovo.
Il villain non è né da promuovere né da bocciare, perché è un villain molto classico e banale, il solito tizio che vuole il potere. Mi ha fatto però molto ridere la sua strategia: anziché agire nell'ombra e in modo discreto, questo ha passato tutto il tempo a sbandierare i suoi piani a chiunque lo stesse ascoltando. Ci mancava solo che andasse in giro con un cartello con su scritto "sto avvelenando la Regina". Anzi, a pensarci bene forse lo devo bocciare, perché non capisco per quale motivo non viene ucciso nel finale. Da quello che ho capito cade in disgrazia, ma mi pare troppo poco per aver cercato di assassinare i membri della famiglia reale e aver quasi istigato una rivolta. Nel fatto che l'appena eletto Re non gli abbia tagliato la testa io ci rivedo lo stesso buonismo del protagonista di My Country, quando non riuscì a uccidere il suo nemico perché padre del suo ex migliore amico. Quindi mi viene da pensare che il re non abbia ucciso il villain perché padrino del suo amico Ban Ryu.
E parlando di Ban Ryu, ecco un bel personaggio. Non è un capolavoro di psicologia, ma è stato scritto bene e questo va detto. Mi ha ricordato molto Draco Malfoy e l'ho adorato insieme alla sua amata Soo Yeon.
LORO SONO LA VERA STORIA D'AMORE DI QUESTA SERIE.
LEI AVREBBE DOVUTO ESSERE LA VERA LEAD!!!! #petizione
Sono stati carini, adorabili, naturali. Lei coraggiosa, fedele, sensibile. Lui sembrava un adolescente di quindici anni alle prese con la sua prima cotta: impacciato e incapace di spiccicare parola di fronte a lei, che ha sempre guardato manco fosse l'apparizione della Madonna XD.
Un altro personaggio che mi è piaciuto un sacco è stato Han Seong, interpretato da Kim Tae-hyung. È ormai da un po' di tempo che sono fan dei BTS, ma non penso di essere di parte quando dico che questo personaggio risulta essere uno dei migliori della serie, e non me lo sarei mai aspettata. È stato un amore. Un bambino innocente che stava imparando a diventare grande tra sogni e amicizie. Peccato che passati cinque minuti dalla sua morte nessuno sembra ricordarsi più di lui e nessuno ne parla più. Bah. Come vi permettete, infami.
Nessuno potrà mai togliermi dalla testa che #hanseongmeritavadimeglio
Faccio i miei complimenti a Tae hyung per la recitazione. Essendo lui un cantante e un ballerino, non mi aspettavo chissà cosa dalle sue doti recitative. STUPIDA. È stato uno dei più bravi.
(E comunque ancora non riesco a giffare la sua morte perché devo ancora riprendermi)
Per quanto riguarda il gioco del trono, ha dei grossi problemi di sceneggiatura. In particolare, la scelta di mettere i due protagonisti l'uno contro l'altro per la conquista del trono SUL FINALE, è stata semplicemente ridicola. Siccome non c'era fisicamente tempo per una guerra come si deve tra i due (cosa che mi sarebbe anche piaciuta), ho subito immaginato che sarebbe finita a tarallucci e vino. E infatti...
Concludo parlando di questi benedetti Hwarang: io credevo che la serie parlasse di loro, invece si parla più che dei problemi di cuore del terzetto protagonista + la principessa (personaggio che devo bocciare perché inutile ai fini della trama).
Posso dirlo? A me sti Hwarang sono sempre sembrati più che altro un branco di pettegoli. Simpatici eh. Però mi aspettavo che gli fosse riservato più spazio, e che il loro percorso sarebbe stato diverso. Io ancora mi chiedo seriamente come questi Hwarang che a parole (in questa serie a parole sono tutti bravissimi) dovrebbero essere indipendenti e liberi di scegliere ma che poi vanno a "scegliere" come sovrano il re a cui guarda caso spettava il trono #lecoincidenze, mi chiedo come abbiano potuto unificare la Corea.
Tra l'altro io mi aspettavo anche delle bellissime bromance tra questi ragazzi, ma, di nuovo, gli è stato dato troppo poco spazio. La bromance tra i due lead non è riuscita a conquistarmi, per assurdo mi è piaciuta di più quella tra il protagonista e Han Seong.
MA UNA BROMANCE C'È.
LORO:
Il loro rapporto combattuto tra rivalità e amicizia mi è piaciuto un sacco.
Due parole su Soo Ho: io e @dilebe06 lo abbiamo giustamente soprannominato "raggio di sole", e per vari episodi è stato la gioia della mia vita e luce dei miei occhi, ma penso che sia uno dei personaggi che più è stato sfruttato male e che non ha compiuto nessuna evoluzione. Non ho nemmeno apprezzato la sua """storia d'amore""" con la Regina, una storia a senso unico in cui fa tutto lui. All'inizio era divertente, ma poi è diventata ripetitiva e anche inutile, perché non ha portato da nessuna parte.
Ultima cosa: mi sono piaciute tantissimo le OST. Alcune sono moderne e quindi in contrasto con la presentazione storica della serie, ma a me questo mixer tra medioevo e modernità è piaciuto assai. È stato qualcosa di diverso dal solito.
Punteggio: 6.8
Questo commento mi è venuto brutto tanto quanto la storia d'amore della serie.
Consoliamoci con due risate:
#hwarang#k drama#choi min ho#do ji han#v#bts#kim tae hyung#go ah ra#park hyung shik#park seo joon#korean actors#korean actress#drama korea#bromance
3 notes
·
View notes
Text
Horror Night Halloween
Epilogo 2
Luogo: Palco di Halloween Party – Trickstar
Ritsu: (Woah... Per un pelo. Ou-sama ha appena cercato di scappare ancora, non è così?
Sembra che Secchan sia riuscito a fermarlo, ma mi chiedo perché abbia cercato di andarsene così presto?
Qui è così bello e divertente. Ahh, mi sento così contento ora...)
♪~♪~♪
Mao: ♪~♪~♪
Ritsu: ...Hey, Maa-kun, non sei un po' troppo vicino? E se ci scontriamo, huh~? Ti prenderai le tue responsabilità?
Mao: In realtà, sto cercando di starti abbastanza vicino da prenderti al volo nel caso in cui svenissi di nuovo.
Non sei ancora del tutto in forma, anche se so che probabilmente al momento sei a posto visto che sei tanto su di giri e sembri pieno di endorfine-
Ma se non fai attenzione finirai a terra. Non fare troppi sforzi, Ritsu.
Ritsu: Bene, bene, bene, ma come sei pieno di te. Hah, ora capisco... vuoi evitare che ce la metta tutta e forzarmi a stare indietro- è una tua strategia per indebolire i Knights, huh?
È inutile, sai. I Knights sono specializzati in scontri uno contro uno come i Duel.
Ognuno di noi vale per mille.
Possiamo stare anche senza un membro o due. Dopotutto, siamo riusciti a proseguire per tutto questo tempo anche mentre io ero fuori gioco, no?
Mao: perché devi distorcere il discorso in questo modo... Io sono solo preoccupato per te.
E comunque, qualcuno te lo ha detto sul serio? Che non ha importanza che tu ci sia o no?
A volte anche io mi abbatto pensando a cose simili. Pensando che se anche se me ne andassi non cambierebbe nulla, che praticamente chiunque mi potrebbe sostituire...
Ritsu: Non riuscirei a trovare qualcuno che ti sostituisca neanche se lo cercassi in tutto il mondo, lo sai?
Dove altro potrei trovare una persona così incredibile che si prende continuamente cura di me, nonostante io sia così ingestibile e fastidioso...?
Mao: Giusto. Ora che ci penso, tu hai sempre detto questo tipo di cose, huh.
E ultimamente ci sono state tante altre persone a dirmi tutte queste parole belle.
Parole del tipo, che non avrebbero voluto nessun altro al mio posto...
Io sarò anche una piccola torcia che potresti comprare ovunque, ma ci sono comunque persone che amano questa torcia e che la riconoscono come “Mao Isara”.
Non c'è motivo per continuare a buttarmi giù, no?
Anzi, piuttosto che essere una qualche stella lontana che si può solo ammirare, sono felice di essere una semplice torcia che può stare vicino a qualcuno.
Stando al loro fianco, illuminerò la strada a tutte le persone che amo. Posso aiutarle- per quanto il cielo diventi scuro o nuvoloso, posso aiutare a dare tranquillità ai loro cuori portando anche solo un po' di luce in quella oscurità.
È questa la cosa che mi rende davvero felice. Sono grato ai miei genitori per avermi fatto nascere forte e premuroso.
Ritsu: Sì. Fai bene ad esserlo, visto che i genitori non si possono scegliere...
Probabilmente tu sei uno dei più fortunati, Maa-kun.
Ma anche nel caso in cui ci troviamo sfortunati, possiamo sempre crearci una nostra nuova famiglia.
Maa-kun, per te va bene se ti penso parte della mia amata famiglia? Oppure, detto da un vampiro come me lo trovi fastidioso o disgustoso?
Mao: Chi ti ha mai chiamato disgustoso? E comunque non ho mai pensato che tu fossi davvero un vampiro, sai~?
Sei semplicemente un umano con un corpo simile a quello di un vampiro, vero? No, anzi, sei il mio prezioso amico d'infanzia.
Ritsu: …..
Mao: Haha. Ora capisco, volevi che noi due fossimo una famiglia per davvero.
Ora che ci penso, quando eravamo piccoli, tu eri sempre tutto solo in quella casa enorme... forse hai sempre desiderato una relazione come questa.
Ritsu: Così sembra come se fossi un bambino viziato.
Ma, sai, ai miei occhi tu sei sempre stato così luminoso, Maa-kun. Non so come sia adesso, ma a quei tempi, la tua sembrava una famiglia felice come quelle dei libri di fiabe, sai?
E poi eri popolare a scuola, e piacevi a tutti. Io non facevo altro che stare in un angolo, perciò a me sembrava che tutto attorno a te fosse un paradiso.
Volevo appartenere a quella luce anch'io, immagino.
Mao: Ahaha. Di cosa stai parlando? Tu ci sei già dentro.
Guardati attorno, Ritsu. Come hai detto prima, sia io sia tu abbiamo trovato molte più cose che ci sono care.
E sono tutte così luminose... tanto che, a volte, potremmo perderci l'un l'altro in quella luce accecante.
Questa volta ti ho fatto arrabbiare io, e non sono riuscito a capirti davvero e così abbiamo finito per litigare.
Ma, anche se dovremo farlo un passo per volta, io voglio riuscire a comprenderti per come sei veramente.
Perciò, la prossima volta che sarai preoccupato per qualcosa, puoi parlarmene, okay? Ero davvero in pensiero quando sei svenuto, sai?
Ritsu: ...Mm. Per quello mi dispiace. Sembravi così impegnato con SS e tutto, che ho pensato che mi avresti odiato se ti avessi dato un altro peso sulle spalle.
Ma tu sei un idiota che vuole rendere tutti felici, perciò non potresti mai iniziare a odiare qualcuno, huh.
In qualche modo me ne sono dimenticato, anche se dovrei saperlo meglio di chiunque altro... che tu sei sempre stato al mio fianco, senza mai abbandonarmi neppure una volta.
...Fufu. La prossima volta, non mi sforzerò così tanto di tenermi tutto dentro. Ne parlerò con te, Maa-kun.
Mao: Sarebbe fantastico. E sono sicuro che anche tutti gli altri sarebbero più che felici di aiutarti.
Ritsu: Lo sarebbero...? Be', immagino che provare a crederci sia un buon inizio.
Mao: Questo vale anche per me. Mi sgridano sempre perché mi sforzo troppo, perciò dovrei iniziare a seguire i miei stessi consigli.
Ovviamente devo anche ricambiare il favore, per come tutti mi hanno supportato e amato così tanto.
Ma in ogni caso, devo seriamente dare il massimo... Se perdiamo, dovremo fare qualunque cosa voi ci ordiniate, vero?
Ritsu: Sì. Be', visto come sono adesso Secchan e gli altri, probabilmente non vi darebbero ordini troppo crudeli... Non come in primavera, quando eravamo davvero messi al muro.
Ou-sama è finalmente tornato, Su~chan sta crescendo, e grazie a Nacchan siamo diventati più uniti...
Potremmo aver avuto un po' di problemi per quell'articolo di magazine, ma non lasceremo che quella cattiveria ci scomponga.
Io credo che i Knights riusciranno ad andare avanti, superando qualunque difficoltà. No- io farò del mio meglio per assicurarmi che sarà così.
Riuscirò a spingere quella porta fredda e pesante...
Mao: Per me e i Trickstar è lo stesso. Comunque, non sono così preoccupato per il risultato del nostro match.
Non sono completamente sicuro che vinceremo, ma i Knights sono nostri rivali, non nostri nemici.
Sono sicuro che non ci darete nessun ordine cattivo. Se foste dei malvagi tanto tremendi, non sareste così amati dai vostri fan, non è così, Ritsu?
Ritsu: Oh, che mossa viscida, Maa-kun. Ma chi sono io per dirlo~ Nessuno sa cosa ci riserva il futuro.
Perciò non abbassare la guardia, e questa volta fa' del tuo meglio per non cascare di nuovo in qualche trappola, va bene... Maa-kun?
Mao: Va bene. In ogni caso non sono preoccupato per te o per me, perché lo so già che cosa ci ordineremo l'un l'altro.
Dai, diciamolo insieme, al tre.
Ritsu: Sì. Uno, due...
Mao/Ritsu: “Facciamo pace.”
Mao: Ahaha. Però sembra che lo abbiamo già realizzato, questo desiderio. ...Sono più preoccupato per gli altri, soprattutto per Makoto. Facciamo attenzione, e aiutiamo gli altri fino in fondo.
Davvero, siete tutti così complicati ♪
Ritsu: Haha. Ma non è quello che ti rende felice, Mao Isara dei Trickstar? ♪
Capitolo successivo
1 note
·
View note
Text
The one with the make-up
Se Ermal ripensava a come fosse iniziata tutta quella storia, quasi gli veniva da ridere. Era cominciato tutto da una banale conversazione con Fabrizio, che gli aveva detto che avrebbe assolutamente voluto Claudia - una delle fotografe che abitualmente partecipava agli eventi di Ermal - al suo prossimo concerto perché anche lui avrebbe voluto delle foto belle come quelle del compagno. "Come se ne avessi bisogno. Potrebbero scattarti una foto mossa e con una pessima luce e saresti comunque bellissimo" aveva detto Ermal. Fabrizio aveva replicato dicendo: "Non è vero. Quello bellissimo sei tu! E nelle foto di Claudia lo sei ancora di più, quindi..." "Quindi niente. Lo sai che una delle mie foto preferite in assoluto è una tua foto di qualche anno fa? E pensa un po', non è stata scattata da Claudia! Anzi, a dire il vero non ho idea di chi l'abbia scattata" aveva risposto Ermal. A quel punto, la curiosità di Fabrizio aveva preso il sopravvento. Aveva voluto vedere quella foto che sembrava piacere così tanto a Ermal ed era rimasto stupito di vedere che fosse una foto di qualche anno prima che lui non aveva mai trovato particolarmente interessante. "Non capisco cosa ti piace così tanto di questa foto" aveva chiesto un attimo dopo. Ermal, con non poco imbarazzo, aveva ammesso che la matita nera sotto gli occhi lo avesse attirato fin da subito, rendendolo particolarmente attraente ai suoi occhi. E Fabrizio, a metà tra lo scherzoso e il serio, aveva detto: "Tu saresti sicuramente più bello con la matita sotto gli occhi. Chissà, magari prima o poi mi farai vedere come ti sta." Ed ecco perché in quel momento Ermal si stava guardando allo specchio, tenendo una matita nera tra le mani e cercando di colorarsi il bordo degli occhi senza accecarsi. Fabrizio non era presente all'evento, ma Ermal sapeva benissimo che sarebbero uscite delle foto, dei video e sicuramente degli articoli sulla serata e su quel premio importante che gli avrebbero consegnato nel corso dell'evento dedicato a Modugno. E in fondo, tutto ciò che Ermal sperava, era di fare a Fabrizio lo stesso effetto che gli aveva fatto lui in quella foto con gli occhi truccati.
Fabrizio non poteva che sentirsi estremamente fiero di Ermal. Era felice per lui e per il riconoscimento che aveva ricevuto. Aveva sempre trovato la sua versione di Amara terra mia così emozionante che assegnargli quel premio sembrava quasi scontato, ma non meno importante. Avrebbe voluto essere con lui in un momento così importante, ma avevano concordato che la presenza di Fabrizio non sarebbe sicuramente passata inosservata e sarebbe stata ingiustificata, e in quel momento nessuno dei due aveva bisogno di stare al centro dei pettegolezzi. Così, mentre Ermal era andato in Puglia - approfittandone anche per vedere la propria famiglia e organizzare una vacanza con qualche amico - Fabrizio aveva deciso di passare il tempo con i suoi figli. Era stata un'ottima decisione per tutti, soprattutto per i bambini che non vedevano l'ora di passare un po' di tempo con il padre e che lo avevano subito trascinato nella loro routine, obbligandolo a guardare insieme a loro una serie TV che avevano iniziato a vedere con Giada qualche tempo prima e che sembrava appassionarli più di qualsiasi cartone animato. E così, mentre Ermal era a Polignano a partecipare a un evento dedicato a Domenico Modugno, lui se ne stava comodamente seduto sul divano insieme a Libero e ad Anita a guardare Once upon a time. Non era particolarmente interessato alla trama - aveva solo capito che i protagonisti erano quasi tutti personaggi delle favole catapultati nel mondo reale - ed era impegnato più che altro a scorrere svogliatamente la home dei suoi social, ma quando sollevò il volto per un attimo e vide sullo schermo quello che - se non aveva capito male - doveva essere Capitan Uncino, il telefilm catturò tutta la sua attenzione. "Lui è buono o cattivo?" chiese improvvisamente interessato. "All'inizio sembrava cattivo, ma ora sta aiutando Regina e Emma a ritrovare il figlio che è stato portato sull'Isola Che Non C'è" spiegò Libero. "Quindi ora è buono?" chiese ancora Fabrizio. Anita, seduta accanto a lui, annuì muovendo la testa e disse: "Gli piace Emma. Ecco perché ha deciso di aiutarla a trovare suo figlio." "Emma è la mamma del ragazzino che si mette sempre nei guai?" "Una delle mamme. L'altra è Regina, che è quella che l'ha adottato perché Emma non poteva tenerlo" disse Libero. Fabrizio annuì sovrappensiero, cercando di collegare tutti gli elementi che aveva appena appreso, ma senza riuscirci perché troppo distratto dagli occhi truccati di quella versione di Capitan Uncino. Una versione decisamente più interessante di quella del cartone animato, doveva ammetterlo. Iniziava a capire per quale motivo Ermal amasse tanto quella sua foto con gli occhi truccati, anche se era certo che Ermal con la matita nera sotto gli occhi sarebbe stato molto meglio di lui. Probabilmente anche meglio di quel Capitan Uncino che stava osservando con tanto interesse. Sentendo il cellulare vibrare tra le sue mani, Fabrizio riprese improvvisamente contatto con la realtà. Abbassò lo sguardo e controllò il display del telefono, notando che Ermal gli aveva appena inviato una foto. Aprì la conversazione quasi sovrappensiero, convinto che il compagno gli avesse inviato l'ennesima foto del paesaggio stupendo che aveva davanti, e gli si spezzò il fiato quando vide che invece Ermal gli aveva mandato un selfie in cui non solo tentava di fare un'espressione ammiccante, ma aveva anche in testa il cappello che gli piaceva tanto. E aveva gli occhi truccati. Deglutì a vuoto, ormai con la gola secca e senza nemmeno più una goccia di saliva, e digitò velocemente una risposta.
Vuoi farmi morire?
Poi bloccò il telefono e lo abbandonò accanto a lui sul divano, passandosi una mano sul viso. Iniziava a pensare che qualcuno ce l'avesse con lui, perché non era umanamente possibile che in un paio di minuti si fosse preso una cotta mostruosa per un personaggio di un telefilm e che giusto un attimo dopo Ermal gli avesse inviato una foto in cui sembrava quasi aver replicato il look di quel personaggio. Pochi secondi dopo, la vibrazione lo annunciò che Ermal aveva risposto al suo messaggio.
Una volta ti sei chiesto come mi sarebbe stata la matita nera. Mi sembrava carino fartelo vedere. Mi sta così da schifo?
Al fondo del messaggio aveva aggiunto una faccina che rideva, anche se in quel momento non c'era proprio nulla da ridere perché Fabrizio si stava sentendo davvero morire di fronte a quella foto del suo fidanzato. Era più bello del solito, e lo sguardo ammiccante di certo non aiutava la situazione.
No, sei bellissimo. È che credo di essermi appena preso una cotta per un tizio di un telefilm, e la prima cosa che mi ha colpito sono stati gli occhi truccati. Vederti così, non aiuta.
Ah, ti sei preso una cotta per un tizio di un telefilm?
Fabrizio rimase a fissare lo schermo, temendo che Ermal se la fosse presa per quella confessione. Ma appena il più giovane inviò una faccina sorridente, capì che non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Sì, è una versione sexy di Capitan Uncino. Ma tu sei più bello e il trucco ti sta meglio.
E non glielo aveva detto così, giusto per compiacerlo. Lo aveva detto seriamente perché, per quanto fosse attraente l'uomo sullo schermo, nessuno sarebbe mai stato più attraente di Ermal per lui. Ermal aveva sempre avuto qualcosa di particolare, qualcosa che Fabrizio non era mai riuscito a identificare ma che lo attraeva come una calamita. E questo non significava che Fabrizio fosse immune al fascino di altre persone, ma semplicemente nessuna di loro avrebbe mai avuto quel magnetismo che lo teneva legato a Ermal e che lo rendeva - almeno ai suoi occhi - l'uomo più bello al mondo. E ora che lo aveva visto in quella foto, non poteva che vederlo ancora più bello.
Nonostante fossero passate settimane da quando Ermal gli aveva inviato quella foto, Fabrizio non aveva smesso di pensarci. Un po' era anche colpa di Ermal, il quale gli aveva inviato una foto - che poco dopo aveva postato su Twitter - in cui indossava un cappello da pirata e gli aveva scritto: "Sono più sexy del tuo Capitan Uncino?" Fabrizio si era limitato a rispondergli di tornare a casa con quel cappello, così gli avrebbe dimostrato davvero quanto lo trovava sexy. Così sexy che, a dirla tutta, avrebbe voluto vederlo ogni giorno con quel cappello addosso. Solo con quel cappello. Per giorni interi, Fabrizio non era riuscito a pensare ad altro e in quel modo la mancanza di Ermal era diventata quasi ingestibile. Ovviamente era felice che Ermal avesse trovato il tempo di fare una piccola vacanza con degli amici mentre lui passava il tempo con i suoi figli, ma non poteva negare che avrebbe preferito che avesse trascorso quei giorni insieme a lui. Erano rimasti d'accordo che Ermal lo avrebbe raggiunto appena finita la vacanza, ma Fabrizio iniziava a temere di non essere in grado di aspettare così tanto e così tutto ciò che rimaneva per cercare di sopportare quell'attesa era crogiolarsi nei ricordi e nei pensieri di ciò che sarebbe successo appena avrebbe rivisto Ermal. Sapeva già che lo avrebbe stretto a sé, che lo avrebbe baciato fino a fargli mancare il fiato, che... Ancora totalmente immerso nei suoi pensieri, si rese conto che qualcuno era entrato in casa solo quando sentì la porta chiudersi con un tonfo. Rimase in attesa, cercando di capire chi fosse l'intruso. Le persone che avevano una copia delle chiavi di casa sua non erano poi molte. C'erano i suoi genitori, ma non piombavano mai a casa sua senza avvertire. C'era Giada, ma prima di usare le chiavi aveva l'abitudine di suonare il campanello per controllare se Fabrizio fosse in casa. E poi c'era Ermal. Lui, in effetti, era l'unico che ormai entrava e usciva da lì come se fosse casa sua. Forse perché un po' lo era davvero. Fabrizio uscì velocemente dalla cucina, precipitandosi verso la porta d'ingresso, e non appena vide Ermal davanti a lui si gettò tra le sue braccia. Il più giovane lo strinse a sé, affondando il viso nell'incavo del suo collo e respirando il suo profumo. "Mi sei mancato da morire" mormorò Fabrizio, lasciandogli un tenero bacio su una guancia e scostandosi da lui. "Anche tu mi sei mancato. È per quello che sono tornato prima del previsto." Fabrizio sorrise felice, prima di dargli un'occhiata più attenta e notare che non solo aveva in testa il cappello che aveva indossato nella foto di qualche giorno prima, ma si era anche truccato. "Quanto sei bello" disse Fabrizio continuando a osservarlo. Ermal sorrise e gli stampò un bacio sulle labbra, poi disse: "Ah, sì? Dimostrami quanto mi trovi bello, allora." Fabrizio colse l'occasione per attirare Ermal a sé e baciarlo, prima lentamente, poi con sempre più passione fino a farlo indietreggiare verso il muro. Ermal si lasciò sfuggire un lamento quando la sua schiena scontrò la parete dietro di lui, ma continuò a baciare Fabrizio tirandoselo addosso e strusciandosi contro di lui. Era bello essere tornato a casa, essere di nuovo tra le braccia del suo uomo, così tanto che iniziava a chiedersi se davvero ne fosse valsa la pena di fare quella vacanza. Forse avrebbe semplicemente potuto tornare a casa. Ancora completamente preso dal bacio e dalle mani di Fabrizio che avevano iniziato a sbottonargli la camicia, Ermal si sfilò le scarpe abbandonandole in un angolo e poi infilò le dita oltre l'elastico dei pantaloni della tuta di Fabrizio, pronto a calarli verso il basso. Fabrizio intanto aveva finito di sbottonargli la camicia e aveva iniziato a dedicarsi al suo collo, lasciando una scia di baci e morsi sulla sua pelle, mentre premeva il proprio corpo verso quello del compagno quasi come se servisse a fondersi con lui. Gli era mancato da morire e tutto ciò che voleva era stargli accanto il più possibile. Ermal spinse le dita verso il basso, abbassando con un unico movimento sia i pantaloni che i boxer di Fabrizio, mentre il compagno - ancora intento a baciargli il collo - aveva iniziato a trafficare febbrilmente con la cintura e la cerniera dei suoi jeans. Quando finalmente riuscì a sfilarglieli insieme ai boxer, Fabrizio prese Ermal per le cosce e lo sollevò, tenendolo fermo tra il suo corpo e il muro. Ermal gemette sentendo l'erezione di Fabrizio strusciarsi contro il suo corpo, sentendo quanto lo desiderasse e quanto avesse sentito la sua mancanza in quelle settimane. Ermal allacciò le gambe alla vita del compagno e disse: "Vuoi scoparmi qui? Non hai nemmeno la pazienza di arrivare al letto?" Fabrizio si lasciò sfuggire un lamento e rispose: "L'idea era quella, ma mi sa che mi si è bloccata la schiena." Ermal scoppiò a ridere mentre Fabrizio gli faceva posare nuovamente i piedi a terra. "Sei vecchio per fare certe cose, ormai." Fabrizio si massaggiò la schiena dolente - per quanto possibile - e si ritrovò costretto ad annuire. Non aveva più l'età per fare certe acrobazie, Ermal aveva ragione. "Perché non lasci che sia il tuo capitano a prendersi cura di te?" sussurrò Ermal al suo orecchio, con tono malizioso. Poi si sistemò il cappello, come per fare capire a Fabrizio che se aveva deciso di indossarlo non era perché pensava che gli stesse bene, ma perché era intrigato da quell'assurdo gioco di ruolo che si era creato senza nemmeno farlo apposta. Non lasciò a Fabrizio nemmeno il tempo di rispondere. Lo spinse lentamente contro la parete opposta, facendogli appoggiare delicatamente la schiena dolorante al muro, e poi si inginocchiò di fronte a lui. Impugnò saldamente l'erezione del compagno e iniziò a muovere lentamente la mano lungo tutta la sua lunghezza. Fabrizio sospirò gettando la testa all'indietro, mentre Ermal continuava a masturbarlo lentamente. Dopo qualche attimo, Ermal fermò il movimento della mano guadagnandosi un lamento frustrato da parte di Fabrizio, ma appena il più grande sentì le labbra del compagno circondare la sua erezione il lamento si trasformò in un gemito. Abbassò lo sguardo vedendo Ermal, impegnato a regalargli uno dei migliori pompini della sua vita, che lo fissava. Gli occhi truccati con quello strato di matita nera sembravano ancora più profondi del normale, e Fabrizio non poteva che sentirsi attratto da quella versione di Ermal così diversa da solito ma anche così seducente. Ermal intanto continuava a tenere lo sguardo fisso su di lui, mentre muoveva sapientemente la lingua lungo l'erezione del compagno, muovendo svogliatamente una mano su e giù, stimolando così anche la base. L'altra mano, invece, era finita ben presto tra le proprie gambe, muovendosi velocemente sulla sua lunghezza. Fabrizio gemette senza ritegno rendendosi conto che Ermal non solo si stava prendendo cura di lui nel miglior modo possibile, ma contemporaneamente si stava masturbando, ormai troppo preso dalla situazione. E Fabrizio non poteva che sentirsi orgoglioso di provocare quell'effetto al compagno, di costringerlo a toccarsi senza avere nemmeno la pazienza di aspettare che fosse lui a farlo. Gli sfilò il cappello, abbandonandolo a terra, e gli infilò una mano tra i ricci accompagnando i suoi movimenti. Ermal iniziò a succhiare più forte, incavando le guance attorno al membro del compagno e continuando a fissarlo. Bastarono pochi secondi - e lo sguardo seducente di Ermal su di sé - e Fabrizio venne copiosamente nella sua bocca, mentre Ermal non perdeva nemmeno una goccia del suo rilascio e muoveva più velocemente la mano su di sé fino a venire tra le sue stesse dita. Fabrizio sospirò lasciandosi scivolare contro il muro, fino a sedersi a terra. Il dolore alla schiena sembrava essere miracolosamente svanito, o forse era solo troppo intontito dell'orgasmo per rendersene conto. Ermal, ancora inginocchiato di fronte a lui, sorrise malizioso pulendosi gli angoli della bocca e poi disse: "Come va la schiena?" Fabrizio annuì e sollevò un pollice in risposta, senza avere la forza di dire una parola, ed Ermal sorrise soddisfatto. In fondo, tutto ciò che voleva era che Fabrizio stesse bene. "Bene. Ce la fai a muoverti? Io intanto andrei a fare una doccia" disse Ermal alzandosi in piedi. Fabrizio annuì, poi disse: "A proposito della doccia..." "Che hai combinato mentre ero via?" chiese Ermal. L'ultima volta che Fabrizio aveva iniziato una conversazione in quel modo era stato quando gli aveva confessato di aver accidentalmente rotto la porta scorrevole della doccia. "Mi sa che non avrai vestiti puliti da mettere, dopo la doccia." Ermal aggrottò la fronte confuso e Fabrizio, leggermente imbarazzato, ammise: "Potrei aver fatto la lavatrice senza mettere le tue cose. Volutamente." "E perché?" "Perché così saresti stato obbligato a girare per casa nudo. Solo con quel cappello addosso. È una cosa stupida, lo so, ma mi mancavi e lo sai che quando sento la tua mancanza faccio cose stupide." "Hai ragione, è una cosa stupida" disse Ermal, prima di avviarsi lungo il corridoio che conduceva al bagno. Poi, ormai giunto davanti alla porta, si voltò verso Fabrizio e aggiunse: "Ma non vuol dire che l'idea mi dispiaccia."
10 notes
·
View notes
Note
impressioni a caldo sulla prima semifinale?
OMG anon sarà una cosa un po’ lunghetta ma proverò a dire tutto quello che penso.
Inizio con il dire che le quattro presentatrici mi fanno un cringe assurdo. Capisco voler puntare sul girl power, davvero, ed hanno probabilmente scelto le presentatrici più belle e brave che avevano ma���ho visto questa prima semifinale smorta dal punto di vista della conduzione, i siparietti degni di una RAI vecchia maniera dove “vecchia maniera” sta per demodé. Il problema non è quindi che son quattro presentatrici donne ma che son quattro presentatrici mosce. Capisco voler passare un messaggio ma almeno scegliete oculatamente chi mandare, persino quella del blue carpet sarebbe stata meglio. Ho però apprezzato questo tributo ad Anna Oxa negli anni 90 e la conduttrice giacca-pantalone che aveva un non so che della cara Turci.
Ora iniziamo con le canzoni (sì, ho la lista davanti e, no, non sono in ordine):
Albania: Allora, dovete sapere che io ho un po’ una simpatia non velata per Eugent Bushpepa. Perché, insomma, fa tutto il bad boy vestito di pelle e con i tatuaggi, poi pesa 35 kg, ha la faccia da orsetto abbracciatutti ed una voce d’angelo. Insomma, capite, penso di aver già spiegato come questo tipo di persone mi lasciano. La canzone, poi, mi è sempre piaciuta perché ha quel non so che che tantissime canzoni dell’Eurovision smollano alla ricerca dell’effettiva e subitanea recettività da parte del pubblico. Dicono “Poco show sul palco” ma mi è sembrata una qualsiasi performance sanremese quindi, almeno per l’italianissima me, non c’è stato chissà quale problema (e daje che dimentico che è l’eurovision e non sanremo).
Austria: Che Cesár sia uno dei miei preferiti penso di aver parlato già abbastanza. Ha una bellissima voce (calda, caldissima) e, di nuovo, il genere è uno che all’Eurovision /va/ ma non sempre va bene. Uniche cosa che mi ha lasciata un po’ interdetta è lo staging. Nel senso: non capisco la piattaforma rialzata con i coristi sotto tipo cameretta a soppalco, non appoggio assolutamente la scelta di quel pigiamino grigio che manco Måns Zelmerlöw con la maglia e il pantalone di H&M era così sciatto. Ma Ces è un pezzo di manzo caraibico quindi si può mettere quel che vuole, avete ragione.
Bulgaria: ALLORA, DEVO DIRLO: SONO STATI UNA PIACEVOLISSIMA SORPRESA. Ammetto che la loro canzone, quest’anno, mi era sfuggita malamente ma, oh, sul palco hanno cantato benissimo e l’unica cosa che non capisco è la scelta di far mettere alla cantante quella parrucca bionda che sa un po’ di Carrà, un po’ si Sia ed un po’ di scopa di saggina.
Cipro: Eleni è una bellissima ragazza ma per me, devo ammettere, sta canzone è no. Il suo balletto, nonché il “”vestito””, da Beyonce wannabe non mi convincono affatto. La canzone è la tipica canzonetta eurovisiva che, in una semifinale come si conviene, non sarebbe certo passata (canzoni simili sono state portate da spagna e portogallo, in passato, e sono state falciate male). Non ho molto da dire su di lei a parte che è bella ma, boh, io dell’occhio me ne faccio poco.
Rep. Ceca: Signori miei, Mikolas Josef è risalito nella mia lista, ebbene sì, Simon dei Chipmunks c’è riuscito! L’esibizione è stata godibile nonostante lui debba muoversi da automa. Avrei preferito avere il cammello ma mi rendo conto che, per scelte organizzative, poteva essere un po’ difficile. Quel che non capisco è il giochino con lo zaino che??? tbh ??? non ??????????? (Ho adorato la sua cartolina, però, una delle più spiritose fino ad ora).
Estonia: La voce di Elina è uno strumento ma canta senza alcuna espressività. Si capisce, inoltre, che canta in una lingua non sua e che non padroneggia minimamente perché le parole vengono cantate piegandosi alla musica e non al significato. Conosco il canto lirico, so che effettivamente spesso la grammatica della frase/gli accenti delle parole si spostano per /necessità/ di emissione della voce ma no, decisamente no, La Forza non è una canzone che ritengo valida. Ciò non toglie che, come già detto, la sua voce è spettacolare e se lanciava un altro acuto mi partiva l’antifurto della macchina probabilmente. Il vestito lo avrò anche pagato 65k euri ma il rumeno di non ricordo quanti anni fa se l’era fatto fare uguale (e pure più rock) per molto meno.
Finlandia: A me Saara Alto sta simpatica perché ha la faccia di quella con cui farei amicizia all’università. La canzone non è tra le mie preferite, semplicemente è senza lode e senza infamia, però mi ha fatto ridere la cosa che ha fregato ai russi il cantante rotante. Quello assicura sempre il passaggio alla finale, oh.
Irlanda: L’irlanda ripropone un episodio di Glee coverando Ed Sheeran ma con un tocco di Happy Pride che strizza l’occhio alla comunità LGBT+ che segue l’euroviscion. Non ho davvero niente da dir su di lui, la canzone è carina ma qualcosa di già ascoltato, i due ragazzi che ballano sul palco sono adorabili e su questo non c’è dubbio, Ryan è sveglio e simpatico ma stiamo votando la simpatia o la canzone?
Israele: La favorita che a me fa schifo al cazzo. In realtà un tempo era solo “non mi piace”, ora provo per lei una sorta di repellenza che non è dovuta alla povera Netta in quanto Netta (che mi starebbe anche simpy se non se la sentisse caldissima) ma alle leccate che tutti le fanno. Regà, chill, ma seriamente. Noi per un namastè s’è gridato alla cultural appropriation per sei mesi, questa porta il kimono, i mici dellall you can eat, e le ballerine con le tutine di evangelion e lei VA BENISSIMO, QUEEN INDISCUSSA, AMORE MIO? Ma scherziamo? La sua esibizione è pacchinissima, la gallina è la cosa meno girl power a cui io possa pensare, alcuni passi della canzone sono di un cringe spropositato. Però che energia. E il rosa le sta proprio bene.
Lituania: Cosa ci fa la Lituania tra i qualificati? Non capisco e non ho commenti perché sta canzone mi ha lasciata indifferente e volerle fare un complimento.
I NON QUALIFICATI
Qui andrò veloce e mi soffermerò solo su un paio che effettivamente ricordo.
LA GRECIA E’ STATA MALTRATTATA. La sua performance era calda, sentita, ed aveva qualcosa di /suo/ non era la tipica canzone impersonale montata su musica pseudo-americana. Sono così pissed che non ho neanche le parole giuste per esprimermi ma lei, la mia dea, sarà sempre la mia vincitrice.
Io capisco che Alekseev ha un musino A D O R A B I L E ma la performance era deboluccia e un po’ di cattivo gusto. Per la prima volta non ha preso manco una stecca live ma capite che non basta? Io gli auguro di migliorare, tornare e farmi cambiare idea perché per me lui era un no da inizio percorso proprio, sks per la unpopular opinion.
Il Belgio era una lagna vera, la Svizzera niente di che, l’Armenia non il mio genere e l’Azerbaijan pessimo. L’islandese mi era simpatico ma la canzone facilmente dimenticabile. Gli altri manco me li ricordo. La Macedonia vestita così male che manco io per andare a comprare il latte all’alimentari.
In generale c’è stato ritmo, poche o nulle ballad, ma sento che manca qualcosa. Questa prima semifinale è stata incredibilmente smorta rispetto a quelle che ho visto fino ad ora e, no, manco è colpa della mancanza di led e fuochi d’artificio, mi riferisco proprio alla sensazione che scorre. Ora vedremo la seconda semifinale ma, in generale, le canzoni che mi colpiscono sono pochissime e, quelle poche, non mi lasciano comunque la voglia di dire “Cavoli, questa devo averla in playlist!”. Vedremo.
9 notes
·
View notes
Text
DONNE. QUELL' UNIVERSO SCONOSCIUTO
Imparano la sottile arte dell’equilibrismo già a quattro anni, quando, furbe e vanitose, si fingono indossatrici sui tacchi della mamma. Poco importa se quelle scarpe sono di dieci numeri più grandi e rischiano, seriamente, di spezzarsi l’osso del collo. Loro ci provano lo stesso.
Perché le donne ci provano sempre. Quelle vere vanno a dormire struccate. E, al mattino, si svegliano con la faccia stropicciata dal sonno, l’impronta del cuscino stampata sulla guancia, i capelli da quattrocentomila volt, che sfidano allegramente la forza di gravità. Si guardano allo specchio. Non si piacciono. Si fanno una smorfia, una pernacchia, un gesto eloquente col dito medio.
Perché le donne sanno ridere di se stesse.
Quando vanno a fare la spesa struccate, in tuta, e con le sneakers, si imbattono nel più figo del quartiere. Uno che, fino al giorno prima, neppure sapevano esistesse. Ora invece, è li davanti a loro, e chiede gentilmente “permesso”, all’angolo tra lo scaffale della pasta e quello degli assorbenti extra-large con le ali, le cerniere e i bottoncini.
Se ci ritornano il giorno dopo, su un infallibile tacco dodici, con due mani di vernice sulla faccia, e la messa in piega calda calda del parrucchiere, al massimo inciampano nella dirimpettaia pettegola o in un seduttore ostinato.
Perché le donne, qualche volta, sbagliano i tempi.
Alcune hanno una propensione naturale per la moda. Altre, si tuffano alla cieca nell’armadio.
In entrambi i casi, capita di rado che si sentano
soddisfatte del risultato. Eppure, sono belle comunque.
Perché le donne sono belle in ogni caso. Specie quando indossano se stesse.
Nascono con una strana propensione genetica che permette loro di fare più cose contemporaneamente: parlare al telefono, rimescolare il sugo, annaffiare le piante, stendere il bucato, lavorare a una sentenza, preparare un esame, fissare un incontro con il commercialista e uno con le amiche, salutare la dirimpettaia pettegola, sfogliare una rivista di moda, sopportare gli uomini.
Perché le donne sanno fare miracoli. Peccato che qualche volta lo dimenticano.
Se un’amica piange per lo stronzo di turno, quello diventa stronzo pure per loro. La pat-condicio dell’amore.
Perché le donne sono impavidi soldati in tubino nero e tacchi a spillo. Bravi marinai nella tempesta. Non abbandonano il fronte davanti al pericolo.
Sanno fanculizzare un uomo con innata eleganza. E non importa quanto, e quanto a lungo piangeranno accoccolate nel buio della propria stanza. In quel momento, nel momento della fine, sanno tenere la schiena dritta e la testa alta: affrontano così qualunque tipo di dolore.
Perché le donne conoscono la differenza tra orgoglio e dignità. Hanno imparato da tempo quanto stupido possa essere il primo e irrinunciabile la seconda.
Conoscono l’arte dell’ironia e la pericolosità dell’intelligenza. La delicatezza di una femminilità che
non cerca ostentazione ad ogni costo. Il talento delle nevrosi. L’importanza della solitudine. La vergogna di chi non sa piangere. La forza dirompente delle proprie infinite fragilità. La magnificenza di un sorriso dato e di un sorriso preso.
#citazioni#citazioni libri#mi nutro di libri#antonia storace#donne al quadrato#donne. quell' universo sconosciuto
8 notes
·
View notes
Photo
👑 — 𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄 𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚 & 𝐦𝐢𝐤𝐞 𝐜𝐡𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 ❪ ↷↷ mini role ❫ blue moon 13.06.2020 — #ravenfirerpg
Aveva impiegato più tempo di quanto non volesse ammettere, ma il bisogno di Eleanor di apparire era sempre lì, pronto a dare voce a quella personalità che sapeva stendere tutti ai propri piedi. Aveva però imparato anche a mantenere un basso profilo quando la situazione lo richiedeva, soprattutto come in quell'occasione, dove se l'avessero mai scoperta, tutto il suo mondo sarebbe finito in pezzi. Giornate tra i libri, a prendere magari un caffè e serate dove lei stessa era la protagonista: era così che occupava il suo tempo. Quel sabato sera, infatti, non era diverso: aveva scelto con cura l'abito da indossare, aveva acconciato i capelli in morbide onde e infine aveva finito il trucco con un rossetto rosso che sembrava quasi il suo marchio di fabbrica. Si diresse al Blue Moon, un locale in quel di Ravenfire che raccoglieva una buonissima parte dei suoi coetanei, tra musica e drink. Ovviamente oltrepassò la cosa all'ingresso con un leggero sorriso ammiccante rivolto alla buttafuori ed entrò lasciandosi invadere dalla musica a tutto volume. Preferiva locali più chic, decisamente più eleganti, ma sentiva il bisogno di scatenarsi quella sera. Avanzò lentamente e solo quando intravide un volto che mai avrebbe pensato di vedere qui a Ravenfire, Eleanor si bloccò per un momento. L'esperimento s'avvicinò lentamente, scostando le persone che le stavano accanto fino a ritrovarsi l'uno di fronte all'altra.
« Mike Bradshaw? Ed io che ti pensavo ancora a New York... »
Mike Christian Bradshaw
Mike aveva preso l'impegno al Blue Moon seriamente. Da quando Richard gli aveva chiesto di tornare come proprietario presente e non più come investitore fantasma. Avevano avuto degli screzi i due e per questo Mike in un primo momento aveva lasciato, ma adesso che Dennis era sparito, Mike si sentiva in obbligo verso di lui. Non aveva spiegato all'uomo perchè fosse sparito per del tempo non prendendosi cura del locale. Come faceva a dire a qualcuno di essere stato rapito e mutato. Ora capiva come si sentivano gli x-men nel film. Scosse la testa e sorrise a causa di quel pensiero sciocco, ma che almeno lo aveva distratto da tutti quei pensieri cupi. Mike era sempre stato sopra le righe, non si era mai preoccupato di nulla e di nessuno, si divertiva, non aveva pensieri e responsabilità. Adesso era incatenato a Ravenfire e per di più stava prendendo degli impegni per la prima volta in vita sua. "Eleanor - mormorò con un sorriso sulle labbra - Io pensavo fossi TU ancora a New York" Avrebbe voluto dire altro, tipo 'magari, ma non posso', ma ovviamente non lo fece, non poteva. Non poteva parlare con nessuno, non che volesse farlo davvero. Perchè stava facendo tutti quei dannati pensieri cupi? Si stava stancando, si stava irritando da solo. "Ravenfire ha guadagnato una bellezza troppo sofisticata per questa rozza città"
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era un sorriso a fior di labbra quello che s'intravedeva sul volto della newyorchese che, senza troppi convenevoli, s'era avvicinata a quella figura che non vedeva da fin troppo tempo. Ricordava come le loro serate fossero all'insegna del lusso, dello sfarzo e mai fosse abbastanza per i loro canoni, ma vederlo in quella realtà così diversa era decisamente strano. Un leggero movimento di labbra, la punta della lingua che andò ad inumidire quelle curve scarlatte e gli occhi che osservavano con attenzione come Mike di fatto non fosse cambiato. Ma che cosa ci faceva a Ravenfire? « Adulatore come sempre, eh? » Replicò con quella ironia che spesso sfociava nel suo essere accattivante ma senza mai cadere nella volgarità. Eleanor aveva fatto dell'eleganza la sua vita, nonostante il più delle volte Ravenfire mettesse a dura prova quelle passioni che ormai parevano quasi sopite. Da quando, appena due anni prima, la Janssen si trasferì in quella sperduta cittadina della Virginia, la vita che spesso mal tollerava era stata stravolta da qualcosa che aveva letto probabilmente solamente da bambina. Esseri sovrannaturali appartenevano ai libri per ragazzi, in quella parte delle librerie in cui difficilmente metteva piede, eppure era tutto vero. L'inizio fu devastante, aveva compiuto gesti fin troppo discutibili, ma aveva interpretato Ravenfire come una seconda occasione, un'opportunità per accettare ciò che le era successo e andare avanti, senza mai guardarsi indietro. Non era forse quello che aveva detto a Camille qualche settimana prima? Il suono della musica dava perfino noia all'esperimento in quel momento, ma ciò che aveva attirato la sua attenzione spingendola ad avvicinarsi ma senza mai entrare veramente in contatto era colui che le stava di fronte, alto e fiero. « Ormai da troppo tempo... Mi sono trasferita un paio d'anni fa e la mia vita, beh, è stata stravolta... Ti vedo però in ottima forma, non pensavo che ora avessi messo la testa a posto per concentrarti sugli affari. »
Mike Christian Bradshaw
"Mi conosci, come potrei mai esimermi da farti un complimento" Non che gli costasse molto considerando che effettivamente la riteneva una bellissima donna. Mike si riteneva davvero un debole quando si trattava di belle ragazze, non poteva infatti fare a meno di fare qualche complimento, fare l'adulatore e poi provarci spudoratamente. Molte cedevano senza troppi convenevoli per fortuna, anche perchè Mike sapeva di essere appetibile e attraente. Era fatto così, era un modo per pensare, era un modo piacevole per non pensare, meglio delle sbronze che si concedeva quando non trovava una donna, dato che le sbronze lasciavano dei postumi, il sesso occasionale no. "Dire che ho messo la testa apposto è un azzardo, Eleanor. Ma sto cercando di fare del mio meglio per questo locale, questo sì." Lo doveva a Richard e a Dennis. Era solo per quel senso di lealtà verso di loro che lo stava facendo. E anche perchè suo padre non insistesse troppo con il volerlo far tornare a New York, anche perchè ormai Mike non poteva più farlo. "Due anni, dici sul serio? Anche io sono qui da tanto.. Beh in realtà sono nato qui, non so se te l'ho mai detto."
Eleanor Dahlia H. Janssen
Aveva parlato con fare ammiccante, ma senza mai perdere di vista il suo interlocutore che sapeva bene come essere affascinante sul genere femminile. Le conquiste che aveva fatto nella Grande Mela erano ormai risapute, e stentava a credere che ci fosse nessuna donna accanto a lui a fargli qualche moina per accaparrarsi magari anche l'ottimo sesso che avrebbe mai potuto desiderare. Eppure, Eleanor era diversa. Certo, le piaceva il sesso e anche molto, ma mai avrebbe confuso gli affari con il piacere, questo era il suo mantra. Il rapporto che intercorreva tra lei e Mike era sincero ma sempre basato sulla battuta. « Sei nato qui a Ravenfire? Questa sì che è nuova... » Commentò avvicinandosi di un altro passo. Eppure vi era qualcosa in Mike che continuava ad attirarla verso di lui, la stessa che sentiva ogni volta che si trovava in compagnia di Ivar, Nevil o perfino Camille. Era un legame impossibile da riconoscere, ma soprattutto nella mente di Eleanor cominciarono a formarsi i peggio pensieri. Si ritrovò così a scrollare il capo per un momento prima di inclinarlo e studiarlo meglio. « Non pensavo che potessi essere così stacanovista, ma non mi aspettavo di vederti in un luogo diverso, sai? Non vengo qui regolarmente, ma quando accade è sempre un show, questo sì. Ad ogni modo, ormai Ravenfire ha il sapore di casa anche se non ha nulla a che vedere con New York. Ci vuole sempre un po' di accettazione, no? »
Mike Christian Bradshaw
"Sì, ho vissuto qui in pianta stabile fino a 11 anni" Aggiunse poi. Non aveva idea del perchè si stesse confidando tanto con la ragazza. Sì si conoscevano, avevano passato molto tempo insieme, ma se quegli argomenti non erano venuti fuori fino a quel momento un motivo c'era. Eppure quella sera c'era qualcosa di diverso, una sensazione di fedeltà nei confronti della giovane Janssen e viceversa. Insomma aveva una strana sensazione che non riusciva a spiegare, la stessa che aveva provato nei confronti di Trisha quando l'aveva conosciuta e la stessa che aveva provato per Camille quando la fata gliel'aveva presentata. "Non sono stakanovista, cerco solo di fare quello che devo per il locale" Si sentiva in debito per Richard e per Dennis, sebbene del secondo ormai non c'erano tracce e Mike non poteva che pensare al peggio. "Io, comunque, ho la scusa di essere nato qui, tu invece? Come ci sei finita in queste lande sperdute?"
Eleanor Dahlia H. Janssen
I ricordi di un passato turbolento spesso venivano accantonati da un presente importante, e tutto si poteva dire ma non che Eleanor avesse avuto una vita facile dopo il suo trasferimento, eppure l'aveva accettato. Aveva accettato ogni cosa successa senza nemmeno diventare la regina del dramma come spesso potevano giudicarla, e aveva fatto di quei poteri qualcosa a cui aggrapparsi, con tutte le sue forze. Ivar, Camille perfino, sembravano essere arrabbiati con quella nuova condizione, in collera nei confronti di un qualcuno totalmente astratto, eppure Eleanor sembrava essere fiera di quella forza, di quella brama che le scorreva nelle vene. Era semplicemente masochista? Solo in quel momento la newyorchese si rese conto che la stessa sensazione che aveva sentito con i due amici si stava ripetendo in quel momento in compagnia dell'amico di vecchia data. Che lui...? Impossibile, assolutamente impossibile. « Ed io che ti credevo un newyorchese doc. » Commentò cercando di stemperare quella sensazione che stava diventando sempre più insistente. Che fosse anche lui una pedina in un quadro molto più grande di loro non era da escludere, eppure non voleva crederci. « Vivo qui ormai da due anni, qualcosa in più forse... I miei genitori hanno voluto trasferirsi qui per le riserve petrolifere che giacciono attorno a Ravenfire, e a me non è rimasta altra scelta. Non sapevo però che questo trasferimento sarebbe stato l'inizio di qualcosa di completamente diverso... »
Mike Christian Bradshaw
Mike guardò curiosamente la vecchia amica cercando di scorgere qualche indizio, qualcosa che potesse in qualche modo dargli una specie di conferma di ciò che sentiva. Non aveva mai provato quella sensazione prima, anche perchè l'ultima volta che si erano visti lui era umano e anche lei lo era, doveva esserlo, altrimenti non avrebbe potuto essere a New York all'epoca. Eppure qualcosa di diverso c'era, Mike poteva sentirlo, ma poteva esserne certo? Il veggente non aveva ancora abbracciato quella vita, quella nuova natura, non sapeva se quelle sensazioni fossero davvero dovute a ciò che era o no. "No, non lo sono purtroppo" Quel purtroppo aveva mille significati. Se non avesse avuto legami con quella città non sarebbe diventato ciò che era in quel momento. Questo doveva ammetterlo. Ascoltò le spiegazioni della giovane donna e corrucciò poi la fronte, sentendo in quella frase qualcosa di allusivo. Era un messaggio per lui? Anche lei aveva gli stessi dubbi? "Cosa intendi esattamente?"
Eleanor Dahlia H. Janssen
Sapeva che con quelle parole Eleanor avrebbe attirato la di lui attenzione, un fatto che non avrebbe mai fatto con qualcun altro, eppure il suo sesto senso continuava a ripeterle che qualcosa non tornava. La sensazione di collegamento che aveva avvertito con Mike era un qualcosa che non avrebbe potuto spiegare in alcun modo, a meno che anche lui non fosse qualcun altro. Qualcosa nel di lui sguardo sembrava aver preso vita, una scintilla che appariva fin troppo simile a quella che aveva provato lei stessa qualche minuto prima e il fatto che glielo avesse chiesto, chissà, sarebbe potuto essere un inizio. Un sorriso di circostanza curvò le di lei labbra prima di lasciarsi andare ad una rapida scrollata di spalle. « Nulla di importante, davvero. Ora che ti ho ritrovato, non pensare di sparire, okay? » Commentò liquidando la faccenda come se fosse cosa da nulla, eppure il desiderio di scoprire maggiori informazioni sull'amico ritrovato era sempre un boccone troppo succulento per evitarlo. Solo dopo averlo salutato, Eleanor tornò a godersi la serata, piena di dubbi e soprattutto con un ritrovato stimolo.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
0 notes
Text
Da qualche parte
È una cena come un’altra, tutt’ altro che intima. Formalmente chiude il periodo lavorativo di quest’anno, regolare come ogni dicembre; ci si veste di tutto punto, si mettono quelle scarpe da festa relegate in fondo all’ armadio e si spende del tempo a capire se il cappello si abbini con i calzini, o cose simili. Si potrebbe dire che sia una di quelle situazioni in cui l’ipocrisia scorre a fiumi e che tanto valeva organizzare un ballo in maschera, ma mi inquieta il pensiero di cosa possa fare una persona con una maschera addosso e più di un calice di vino. No, è solo una cena aziendale, in fondo si fa per stabilire un qualche legame tra impiegati. Sono sopravvissuta a tante altre, anche questa prima o poi finirà; e comunque non potevo rifiutarmi di partecipare: è il primo anno che lavoro qui, l’assenza di “quella nuova” verrebbe subito notata. Mi decido: metto qualcosa di scomodo ma socialmente appropriato e chiamo un taxi.
Il buffet è servito nella sala congressi al pianterreno: come vuole la tradizione si deve cercare il posto a sedere, ammesso e non concesso che il numero di sedie sia sufficiente, e si deve valutare con rapidità sufficiente con quante e quali persone si voglia passare il resto della serata, in modo tale da trovare un compromesso che eviti alla noia di traboccare. Vengo accolta da un po’ di volti familiari, i miei colleghi prima di tutto, e sorrido cordialmente a uno di loro che mi mostra il posto vuoto accanto a lui e sua moglie. Dall’ altro lato ho una donna dei “piani alti” con quasi il doppio dei miei anni (e di certo il doppio del mio trucco) che si vanta con altre signore benvestite di qualcosa che sono abbastanza certa non mi interessi. Il mio collega fissa il vuoto, e mangia, e beve, e annuisce impercettibilmente di fronte al fiume di parole con cui la sua compagna mi sta investendo. Mi sta bene: lasciar parlare gli altri mi permette semplicemente di annuire a mia volta, per un po’ me la caverò.
Quando ormai siamo arrivati al dessert, la musica in sottofondo viene messa in disparte in favore di una band che possa animare un po’ la serata. Li guardo e capisco che non sentirò traccia di jazz, stasera. La moglie strattona il marito perché vuole che la inviti a ballare, sostenendo che qualcuno dovrà pure iniziare; la signora accanto a me mi chiede dove sia il bagno, e vedo così le sessantenni spostarsi il blocco verso la toilette. Ci siamo: finisco questo calice di vino e trovo il modo di sparire.
Una voce alla mia sinistra: “Non so se reggo ancora un altro giro di chiacchiere inutili”. È il tipo che vedo mangiare sempre solo a mensa; credo arrivi dal secondo piano, uffici software. Dovrebbe avere un figlio, ma non ne sono certa. Sfoggia un sorriso semplice, abbastanza simpatico, e credo che sia alla disperata ricerca di dare un senso alle sue parole. Mi chiede di me e del mio lavoro per rompere un po’ il ghiaccio, se è vero che mi chiamo come mi chiamo, da quanto tempo lavoro lì. Un inizio un po’ banale, ma percepisco questa banalità come rassicurante: fino a quel momento non potevo dire di sentirmi a mio agio. Scopro che lavora qui da due anni e che in effetti ha davvero un figlio; avrebbe già cambiato posto, o città, ma quel lavoro gli serve, serve alla sua famiglia. “È un lavoro che puoi fare finché ne hai bisogno, non è detto che tu debba smettere di cercare”, esordisco io; mi guarda, fa un cortese cenno con la testa e un mezzo sorriso, ma si vede che non crede a quello che ho detto. Poi il suo sguardo si sposta verso la gente che balla. Fa’ che non mi chieda di ballare, so a malapena muovermi sui tacchi...
Riprende a parlare fissando il vuoto. “Sai,” mi dice, “a me piacerebbe aprire una pasticceria. Si, lo so che non c’entra niente con quello che ho studiato, e la glassa non si ottiene programmando automazioni; però non ci posso fare niente, ho capito tardi che quello che avrei voluto fare. Al diavolo schermi e tastiere, al diavolo le cene di lavoro; ah! Questo me lo chiamano dessert? C’è tanto di quell’ alcol dentro che avrebbero potuto mascherarci il sapore di un carciofo. Non c’è neanche un po’ di equilibrio tra i sapori, se ci fai caso: non sono riusciti ad eliminare il retrogusto di uovo dalla crema, che comunque è praticamente la metà dello strato della crema di nocciola - Nutella, ti rendi conto? Tanto valeva che il pasticcere ci mettesse pure un’acciuga, se questo doveva essere il risultato. Ah, scusami, lo so che sembro un po’ quello della televisione, quello che sgrida tutti gli aspiranti cuochi al minimo errore... È che se devi fare una cosa la fai bene, o non la fai. E stasera sarebbe stato meglio non farlo proprio questo dolce”.
Tutto continua a muoversi ad un ritmo goffo attorno a noi, mentre misuro le sue parole e adesso il suo silenzio. Credo stia improvvisamente pensando ad altro, forse qualcosa di triste. “Scusami”, gli dico piano; “Non voglio più stare qui”. Lo guardo sperando che capisca... E capisce. Ci alziamo e andiamo a recuperare i cappotti dal guardaroba. “Ti offro un caffè, se vuoi” mi dice mentre camminiamo oltrepassando lampioni e negozi chiusi, e inizia un altro sproloquio sul fatto che al mondo ci siano diverse coltivazioni di caffè, e che nel momento in cui viene tostato si deve stare attenti a non sporcarlo con il sapore del bruciato, che di certo è un errore così dissacrante che non osa farlo più nessuno ormai, anzi, nessuno osa più sbagliare in generale. “Il caffè fu scoperto da un frate, sai? Aveva notato, portando al pascolo le sue mucche, che alcune di loro mangiando una particolare bacca diventavano più inquiete e difficili da gestire. Allora ne raccolse qualcuna e provò a bollirle, ma figurati quanto poteva far schifo una bevanda del genere! Ce ne mise per capire il procedimento giusto...”. Fa una pausa; poi dice che in fondo è stupido offrire un caffè a qualcuno, cioè è una sciocchezza, è fin troppo prevedibile come scusa per chiedere di parlare ancora un po’. Guardo quest’uomo che ha sempre un argomento in tasca e capisco che non vuole impressionarmi o chiacchierare tanto per ricordarsi di essere vivo: cerca solo di rendere concreti i suoi pensieri, con qualcuno di sinceramente interessato. E mi fa veramente piacere ascoltarlo. “Un gesto gentile è quanto di meno sciocco esista al mondo,” gli dico divertita, “ma preferirei un tè”. Gli indico un bar dall’ altra parte della strada.
Parliamo ancora, o meglio lui parla e io commento saltuariamente. Le tazze di tè davanti a noi si sono svuotate lentamente, il suo ultimo sorso era sicuramente freddo. Dopo un confronto sui gusti musicali ci concediamo un momento di silenzio in cui lui guarda ciò che rimane della sua bevanda, e io guardo lui. Devo ricordarmi di invitarlo a mangiare insieme a mensa, qualche volta. “Scusami”, mi dice improvvisamente. “Sono contento di averti parlato, stasera, sai... È solo che... Non vorrei... Io e mia moglie ci siamo lasciati un anno fa”, balbetta. “E sono tutti lì a dirmi che dovrei ricominciare... Che è quello che mi ci vorrebbe. Ma come fai a cancellare tutto... Come fai a... a chiedere a una persona, insomma, di occupare un posto che proprio non può essere occupato... Quando hai voluto bene a una persona non riesci più a buttarla fuori dalla tua vita, no? Ormai avevi trovato in lei qualcosa di prezioso e sai di non essertelo sognato. Non puoi mica... Cioè, non ti offendere, sei una bella donna e sei simpatica...” “Tranquillo”, dico io, “non mi aspettavo niente. Mi dispiace per tua moglie”. “Ah, figurati... Lei era... è una bella persona. Una splendida persona. Io... spero solo che sia felice, ovunque sia ora. Evidentemente con me non lo era, mentre io... beh, ci vorrà del tempo”.
Mi dispiace davvero. Quest’uomo è stato così gentile con me, stasera, che davvero non avrei voluto sentire questa storia. Mi guarda, un po’ incerto: “E... e tu? Tu non stai con...” “È complicato”, replico. Cristo, se è complicato. A quella persona penso ogni volta che alzo gli occhi al cielo, ogni volta che vedo le stelle; so che la notte dorme sotto quello stesso cielo e la mattina poggia i piedi su questa stessa terra. Ma non apriamo quella porta, amico mio, ti prego... non stasera, che ho ascoltato tante cose belle. “Ti ringrazio davvero della serata.Ed ora sii seriamente gentiluomo nei miei confronti e lascia pagare me”; mi avvio alla cassa senza ascoltare eventuali proteste. Usciamo, ci salutiamo, ci facciamo qualche promessa di rivederci e gli ripeto che non ho bisogno che aspetti il taxi assieme a me; poi si allontana.
Compongo il numero trovato su internet e prenoto una vettura. La aspetterò fuori, mi piace il freddo della notte. Alzo lo sguardo per caso, distrattamente; ed ecco che scende dalle nubi, lentamente. Un fiocco di neve.
1 note
·
View note
Text
Maggie Osborne
Oggi un post per aggiornarvi riguardo le uscite italiane di una delle mie autrici preferite per quanto riguarda il genere Western Romance: Maggie Osborne.
Ecco i suoi romanzi ad oggi disponibli in italiano:
Titolo: Rinascere all’amore
Titolo originale: The Wives of Bowie Stone
Trama: Kansas. Fine ottocento. Siamo nel West e Rosie Mulvehey è in difficoltà: la sua fattoria sta fallendo e le serve al più presto un aiuto. Così decide di salvare un uomo destinato all’impiccagione, appellandosi alla legge del Kansas che consente di riscattare un condannato a morte sposandolo. L’uomo su cui cade la scelta è Bowie Stone, un ex soldato di cavalleria dai trascorsi misteriosi, che accetta di darle una mano ma solo per una stagione, deciso poi a tornare alla sua vita. Non ha però messo in conto il sentimento che, contro ogni aspettativa, è destinato a nascere tra loro scombussolando i suoi progetti…
La mia opinione: La trama che c’è qui sopra è un poco fuorviante, così come il titolo italiano, mentre il titolo inglese era molto più esplicito: Le due mogli di Bowie Stone. Sì, perché colui che stava per essere impiccato, Stone, si ritrova con due mogli in quanto era già sposato quando Rosie lo sceglie, ma pur di non morire le tace la verità. Ora, sposato è una parola grossa in quanto in realtà la prima moglie di Stone non era sua moglie a tutti gli effetti…..ma non vi rivelo questo colpo di scena poiché è una delle belle parti del finale del libro, e non voglio rovinarvelo.
Fatto sta che le due mogli di Bowie sono al centro del libro. La prima moglie Susanna, che lo crede morto, si ritrova destituita e non in grado di mantenersi con un figlio a carico, così disperata, decide di diventare una sposa per corrispondenza, e risponde ad un annuncio su un giornale. Un avvocato di uno sperduto paesino del West cerca una moglie in gamba che sappia badare alla sua casa e sia in grado di supportarlo in tutto, quando si ritrova davanti Susanna è più che deluso, si vede subito che non ha mai lavorato un solo giorno nella sua vita e per di più ha un figlio con sé. Decide di non sposarla, lei è disperata e lui decide di darle una mano, trovandole un occupazione, potrà essere la nuova maestra del paese e così mantenersi da sola. E’ molto toccante vedere come Susanna che da sempre ha lasciato che gli uomini decidessero tutto per lei, inizi a prendere piano piano coraggio, e ha decidere per sé. E’ un percorso lento, come è giusto che sia, ma poi si rende conto che tutte le difficoltà che sta affrontando la stanno rendendo più forte e cosa ancora più importante, si rende conto che suo figlio è il suo tesoro. Prima lo affidava sempre alla sua tata e praticamente non lo conosceva, ma ora che ha solo lui e pensa a lui ogni minuto, lo ama talmente tanto che non capisce come facesse prima a fare a meno di lui. L’avvocato poi, che comunque è sempre stato attratto da Susanna perché è molto bella, ora la ammira anche per il suo carattere, vuole bene a suo figlio e inizia a corteggiarla seriamente quando accade…… ma non vi rivelo altro.
L’altra moglie di Bowie , Rosie , è un caso ancora più difficile. Si veste come un uomo, non si lava, impreca ed è sempre ubriaca. Bowie è perplesso da lei finché non la vede pulita e scopre che in realtà è bellissima e sceglie volutamente di nascondersi dietro sporcizia e abiti da uomo poiché ha subito per ben quattro anni molestie sessuali dal suo patrigno. La cosa l’ha segnata a tal punto che non riesce a resistere sobria e solo con il velo dell’ubriachezza riesce a sopravvivere, anche se non è certo vita la sua. L’unica cosa che desidera è vendetta contro il patrigno, ma lui è morto ormai prima che lei potesse ucciderlo e l’unico tipo di vendetta che può ottenere riuscendo a rendere proficua la tenuta che lui ha mandato in rovina. Per questo ha bisogno di Bowie.
Bowie a sua volta è un uomo abbastanza problematico di suo, e con lo spirito un pochino del martire. Ha sposato Susan per ragioni altruistiche, è stato congedato con disonore dall’esercito che era tutta la sua vita solo per essersi rifiutato di massacrare donne e bambini indiani, e poi è stato condannato a morte per un omicidio che ha commesso solo per autodifesa. Diciamo che è un pochino depresso e non ha molta voglia di vivere, anche se ha afferrato la possibilità di sopravvivere che gli ha dato Rosie. Si sente in debito e vuole aiutarla. Poi piano piano se ne innamora anche se cerca di non farlo. Rosie è così selvatica e così vulnerabile…e lui ha il temperamento giusto per farla uscire dal suo guscio, anche se non sarà facile. Ma una volta che lei l’amerà, l’amerà per sempre poiché Rosie non conosce mezze misure nella vita e Bowie invece ha altri doveri da rispettare verso Susanna e il figlio di lei…..
Questo è stato uno di quei romanzi in cui mi sono piaciuti sia i personaggi maschili che quelli femminili, e anche se ci sono due storie d’amore invece di una, l’autrice dedica ad entrambe il giusto spazio.
Come vedete c’è molta carne al fuoco nella trama e i personaggi sono molto ben costruiti e hanno tratti molto realistici. Già solo l’alcolismo di Rosie, una giovane donna, è qualcosa di molto atipico in un romance.
Io adoro le autrici con personaggi e trame atipiche, e adoro anche l’ambientazione Western (se non ci sono fuorilegge, quelli non mi piacciono, non so perché), e adoro Maggie Osborne, proprio per le sue trame fuori dalle solite righe, per le sue protagoniste femminili quasi sempre molto forti, e per il suo stile chiaro, scorrevole e piuttosto semplice come linguaggio. Non si perde in lunghe descrizioni, o in alti discorsi lirici, tende a parlare per azioni e i suoi personaggi sono spesso sanguigni e semplici. E’ un autrice semplice con i piedi per terra che crea personaggi con i piedi per terra, e non crea cattivi senza scrupoli che intralcino i piani dei buoni, non è mai tutto bianco o tutto nero con lei, anche chi agisce male ha le sue ragioni o cause per farlo, c’è molto della natura umana nei suoi libri, a volte esasperata o semplificata, ma le sue creazioni sono proprio umane in ogni senso della parola.
Inoltre c’è sempre ironia e simpatia nei suoi romanzi, in modo che il tono resti leggero o incoraggiante anche in momenti drammatici. Io senza ironia non vivrei, perciò adoro questo suo stile gaio ed irriverente a tratti, ma anche capace di approfondimento psicologico senza mai cadere nel melodrammatico.
Penso si capisca che mi piace questa autrice. E pensate, non scrive delle serie! Tutti i suoi libri sono romanzi singoli. Che brava donna.
Nel caso via abbia incuriosito sono lieta di potervi dire che diversi suoi libri sono già stati pubblicati in italiano nella collana i romanzi della Mondadori:
Titolo: Tutto cambierà
Titolo originale: Silver Linings
Trama: La corsa all'oro è stata un abbaglio che ha colpito molti uomini , ma anche qualche donna. Una di queste è Low Down, che è finita sulle Rockies, ad estrarre il prezioso minerale vestita di stracci e ridotta ad un essere che definire femminile sarebbe alquanto difficile. Non c'è spazio su quelle aspre montanee per bei vestiti o dolcezza, solo duro lavoro dalla mattina alla sera, ma l'animo generoso della donna è sopravvissuto a quella dura vita e quando il piccolo gruppo di disperati cercatori viene colpito dalla malattia è lei che si prende cura di loro instancabilmente salvandoli tutti. Quelli sono uomini cinici e duri, ma pur sempre umani e concordano tutti che l'abnegazione di Low Dow deve essere premiata., perciò si riuniscono e le chiedono quale sia la cosa che più desidera al mondo. Sorprendendoli tutti la donna non nomina l'oro o qualche altra cosa materiale, ciò che vuole è un bambino. Poichè fra gli uomini c'è anche un ministro di Dio viene deciso che per avere un bambino Low deve avere un marito e tirano a sorte per decidere chi tra loro sarà lo sfortunato, visto l'aspetto non proprio pulito e affascinante di Low. La sorte decide che tocchi a Max McCord l'onore di sposarla. Proprio Max che a casa sua in pianura ha ad attenderlo una fidanzata. Poichè gli altri lo minacciano di morte non ha altra scelta che sposare Low, ed entrambi concordano che sarà solo un matrimonio temporaneo….
La mia opinione: Di questo libro mi è piaciuto molto l'inizio, la prima parte sulle montagne, meno la parte centrale, e abbastanza la parte finale. Il giudizio è positivo, intendiamoci, ma il personaggio maschile mi è stato abbastanza antipatico poichè tratta la protagonista femminile malissimo. Ok lei non è bellissima, ma gli ha salvato la vita, caspita, un pochino di gratitudine all'inizio sarebbe apprezzata. Poi anche in seno alla sua famiglia le cose non migliorano molto, ci vuole molto tempo affinchè lui apra gli occhi sulle qualità della moglie. Non parliamo poi della sua fidanzata che all'inizio mi è stata odiosa. ….. Il libro mi è piaciuto, ma meno di altri per colpa di alcun personaggi, e alla fine lui si sarebbe meritato di perdere Low perchè non la meritava! O almeno doveva strisciare e scusarsi per un anno!
Titolo: MATRIMONIO PER TRE
Titolo originale: I Do, I Do, I Do (traduzione: Lo voglio, lo voglio, lo voglio)
Trama: America, Kansas e Wyoming, 1880 circa. Vuoi tu, Jean Jacques Villette, prendere la qui presente Zoe Wilder come tua legittima sposa?” Naturalmente sì. Lui è bellissimo e sembra amarla molto. Peccato che in realtà sia già sposato con Juliette March, e anche con Clara Klaus. Questo è ciò che scoprono le tre mogli, poco dopo le ultime nozze, quando l’affascinante sposo si è ormai dileguato con i loro soldi, forse in Alaska. Animate da propositi battaglieri, le tre donne non perdono tempo, si alleano per rintracciare il truffatore che le ha sposate tutt’e tre, allo scopo di tornare in possesso del loro denaro, ma lungo il viaggio le cose precipitano, specialmente per quei tre gentiluomini che hanno incontrato sulla strada…
La mia opinione: Molto carino e divertente, forse il più divertente fra i libri della Osborne che ho letto fino ad ora. E tenete conto che io non amo i libri con più punti di vista e in questo caso ne abbiamo tre, le tre spose, eppure mi è piaciuto. Sono tre donne molto diverse fra loro, eppure si troveranno unite specie dopo il viaggio, anche se all’inizio comprensibilmente non si stavano certo simpatiche e il lettore steso vede più i loro difetti che altro. Ma le avversità faranno emergere il meglio in loro e uscendo dal loro guscio (soprattutto Zoe) diverranno persone migliori e incontreranno tre uomini veramente degni di loro. Qui il marito truffatore non è un personaggio reale quanto una causa esterna che muove tutta l’azione, ma non ha quasi forma e alla fine la ricerca viene abbandonata poiché non conta più. Non è la meta che conta, ma il viaggio in questo caso.
Una delle cose che mi piacciono di Maggie Osborne è il fatto che non crea protagonisti piatti e perfetti, non sono bellissimi, bravissimi o coraggiosissimi, sono umani e hanno molti difetti, ma sono anche in grado di cambiare.
Titolo: Volpe di fuoco
Titolo originale: Foxfire Bride
Trama: Matthew Tanner ha un solo modo per salvare la vita del padre: portare una grossa somma di denaro a Denver attraverso le Montagne Rocciose. E per riuscirci ha bisogno di Fox, la migliore guida della zona. La ragazza accetta l’incarico, ma con un secondo fine: vendicarsi proprio del padre di Matthew. Nel loro viaggio, lungo e irto di pericoli, i due giovani si abbandonano alla passione. Ma basterà l’amore a fermare la vendetta?
La mia opinione: Fox è una delle classiche eroine mascoline della Osborne, si comporta come un maschio ed è diventata dura e cinica, ma non è altro che il risultato di un passato difficile. In questo caso è il personaggio di Fox che risolleva un romanzo dalla trama piuttosto classica, la vendetta che viene frenata dall’amore. Carino e godibile, ma ho preferito altri libri della Osborne personalmente, questo era un poco prevedibile nelle sue fasi.
Titolo: TORNARE AD AMARSI
Titolo originale: The Bride of Willow Creek
Trama: Dopo essersi sposati e subito separati, Sam Holland e Angie Bartoli si incontrano nuovamente a Willow Creek, cittadina mineraria in Colorado. Sono trascorsi dieci anni dal loro matrimonio: da quando Sam è stato costretto dal suocero a partire in cerca di fortuna e Angie si è sentita tradita e abbandonata. Lei ora vuole il divorzio, per poter sposare il ricco e affidabile Greg. Ma in un mondo povero e genuino, Sam e Angie scopriranno che a Willow Creek il vero tesoro sono gli affetti.
La mia opinione: Qui è il punto di partenza ad essere un poco fiacco, ma poi il romanzo mi è piaciuto molto. E’ solo che il motivo della separazione tra Sam e Angie è veramente da romanzo. Cioè è il padre di lei che mente per separarli, quei due giovani si bevono tutte le sue frottole e si separano pur senza divorziare. A parte che il padre di lei, mi rientra nella categoria cattivi senza remore e perciò è un poco più piatto dei soliti personaggi della Osborne, ma poi c’è sempre la solita domanda che mi faccio quando mi capitano queste trame con separazioni di decine di anni tra due coniugi per un nonnulla. Ma parlarsi a quattrocchi no? Spiegarsi? Prima di dirsi addio per dieci anni, non sembrerebbe il caso di tentare di chiarire i nostri problemi? E poi, se decido di separami, magari, non è il caso di divorziare prima di risposarmi?
Invece Sam, si innamora di un'altra donna, ci fa un figlio , la seppellisce e tutto senza divorziare da Angie per poterla sposare….. E’ Angie che quando deve sposarsi, prima di farlo si decide ad andare da Sam per chiedergli finalmente il divorzio, e lì scopre che lui si era fatto un’altra famiglia senza divorziare.
Da questo punto in poi, passate queste premesse un po’ troppo ridicole e romanzate, il romanzo prende quota. Angie è costretta a passare del tempo con Sam e con suo figlio prima di vedersi firmare le carte e in questo periodo i due riscoprono tutte le ragioni per cui si erano sposati, e ne scoprono di nuove, poiché ora sono persone diverse e più adulte, nonché più ferite dagli eventi.
E’ questa parte del libro che mi è piaciuta e che vale la pena di leggere, e questi fatti giustamente vanno a formare la parte più cospicua del romanzo.
Titolo: Lo straniero
Titolo originale: Prarie Moon
Trama: Dalla morte del marito, scomparso durante la Guerra di secessione, Della Ward conduce una vita stentata nel suo piccolo ranch in Texas. Il rimorso di una lettera che non avrebbe dovuto scrivergli la perseguita da dieci lunghi anni, avvelenandole l’esistenza e impedendole di costruirsi un futuro. Fino al giorno in cui, attraverso la prateria, arriva uno straniero a cavallo, la cui presenza risveglia un cuore troppo a lungo sopito. Ma James Cameron, uomo di legge che si trovava su quel fatale campo di battaglia, porta con sé una verità scomoda da confessare. Una verità che potrebbe distruggere le loro vite, oppure schiudere orizzonti del tutto impensabili.
La mia opinione: Le premesse sono piuttosto classiche e mi hanno ricordato alcuni regency dove una lettera spedita a un soldato inglese impegnto contro Napoleone creava non pochi problemi. Perciò ritrovare qui quell’idea, in un contesto del tutto diverso, mi ha spiazzato. Mi h ricordato anche un poco Sparks in alcuni punti perciò l’ho trovato un poco prevedibile, ma è comunque godibile.
Tra le opere di Maggie Osborne già pubblicate nella collana I Romanzi ci sono anche i romanzi MAGIA DELLE ANTILLE ( Rage to Love ) e MATRIMONIO DI FUOCO ( Shotgun Wedding ), ma io ve li sconsiglio, non sono belli quanto gli altri romanzi della stessa autrice, perciò non ve li recensisco. Il primo è uno dei primi romanzi che scrisse e non l’ho nemmeno letto, il secondo l’ho letto e ne avrei pure fatto a meno, non è tra i suoi più riusciti (e c’è un fuorilegge nella trama….e sapete cosa penso riguardo le trame con fuorilegge western).
Ma Maggie Osborne è stata pubblicata in italiano anche da Harlequin, che ha scelto di pubblicare delle sue opere brevi scritte sotto lo pseudonimo Margaret St. George: due romanzi della multiserie DeWilde, con protagonisti i membri di una famiglia che gestiscono una serie di centri commerciali per sposi, e La notte di San Silvestro, un racconto carino su due amici che si scoprono qualcosa di più.. Vi lascio il link: https://www.eharmony.it/Autori/Margaret-St.-george
Naturalmente, poiché è un’autrice che mi piace molto ho letto anche alcuni suoi romanzi inediti in italiano:
Titolo: The Brides of Praire gold
Trama: Cody Snow non sa cosa l’abbia spinto ad accettare l’incarico di guidare una carovana di dodici spose per corrispondenza dal Missouri fino a Clampet Falls, Oregon, ma già prima di partire si è pentito di averlo fatto. Non solo dovrà sorbirsi le loro innumerevoli lamentele e proteggerle dai pericoli del viaggio, ma dovrà anche combattere contro l’attrazione che prova verso una di loro, Perrin Waverly, poiché lei è promessa ad un altro, e lui ha giurato a se stesso dopo la morte della moglie, che non si sarebbe mai più sposato.
La mia opinione: Il mio libro preferito di questa autrice al momento. Non li ho ancora letti tutti, ma sarà sicuramente ai primi posti, poiché mi è piaciuto un sacco, nonostante sia piuttosto corale. Che dire. Mi è piaciuto talmente tanto che ora sto leggendo tutti i romance che riesco a trovare con protagoniste spose per corrispondenza. Nel vecchio west vista la mancanza di donne alla frontiera e nei nuovi territori appena colonizzati, era usanza che gli uomini mettessero annunci sui giornali cercando moglie, e le donne, spinte dalle più varie ragioni potevano rispondere all’annuncio via lettera. Ne conseguiva una corrispondenza che spesso si concludeva con l’uomo che pagava il viaggio alla donna che lo raggiungeva e i due, pur non essendosi mai visti, si sposavano.
Ora, di solito, se una donna rispondeva ad un tale annuncio era perché aveva dei problemi a trovare marito in altro modo o non aveva altro modo di mantenersi.
In questo libro le dodici donne della carovana hanno avuto diversi motivi per decidere di affrontare un viaggio così duro e pericoloso: Perrin è vedova, non può mantenersi da sola e non vuole rimanere nel suo paesino dove la sua reputazione è a pezzi a causa di un suo errore di giudizio dovuto però alle sue circostanze. Le pesa andare a sposarsi lontano, non per il viaggio, ma per il fatto che gli uomini l’hanno sempre sfruttata o delusa e non crede che la cosa sarà diversa stavolta. Mem invece è una donna troppo indipendente, troppo alta e schietta per trovare marito nel suo paesino, e ha sempre sognato di vivere un’avventura, desidera ardentemente questo viaggio, e le spiace un poco che sua sorella, che dipende un po’ troppo da lei, abbia deciso di seguirla perché è rimasta vedova da poco. Hilda è una maestra troppo brutta per trovare marito in altro modo e abbastanza piena di coraggio tedesco per tirarsi indietro davanti a questa sfida. Sarah, vedova di un ufficiale, ha viaggiato al suo fianco per il mondo e sa cosa aspettarsi da questo viaggio, troppo avanti con gli anni, ormai trentenne se vuole marito deve andarselo a trovare e non ha certo remore a farlo. Augusta dopo gli sbagliati investimenti del padre e il suo suicidio non possiede più nulla al mondo se non l'orgoglio di quella che una volta era la famiglia più ricca della città e odia l'idea di questo viaggio, ma non ha altra scelta. Jane, figlia di un pastore si unisca alla carovana per non viaggiare sola verso il suo promesso sposo che conosce già bene e che l'aspetta. Alice è in fuga sotto falso nome da un marito troppo manesco. Thea, una dotata disegnatrice, timida e riservata, spera in un nuovo inizio. Cora, una povera serva illetterata non ha altre prospettive. Winnie è assuefatta all'oppio e i genitori sperano che allontanarla dal paese potrà aiutarla, mentre Ona nasconde un segreto ancora più oscuro.
Il viaggio viene descritto non con troppi tediosi particolari, ma con la giusta accuratezza. Le difficoltà grandi e piccole, i problemi su come e dove occuparsi dei propri bisogni, la polvere, la sporcizia, la stanchezza la malattia, eppure è tutto parte di uno sfondo pittoresco e verosimile a una storia romantica e avvincente. In particolare, oltre alla storia principale tra Perrin e Cody. Assistiamo al triangolo amoroso tra Webb, la guida indiana della carovana (che in realtà è solo per metà indiano ed è unico erede maschio di Lord Albany, Un ricco Duca inglese), Augusta bellissima, ma arrogante e razzista, e Mem, non bella, ma atletica, dolce coraggiosa e sopra ogni cosa amichevole, leale e curiosa. Webb all'inizio è attratto dall'incredibile bellezza di Augusta, ma quando lei lo respinge perché mezzo indiano, per fortuna si accorgerà di Mem…..Ora queste poche parole non vi rendono l'idea della loro storia che è davvero molto dolce ed è la parte del libro che ho amato di più, ma fidatevi se vi dico che vale veramente davvero la pena di leggere questo romanzo. Poiché oltre a tutto ciò che vi ho già detto contiene anche un mistero da risolvere……
Titolo: A stranger’s wife
Trama: Colorado Territory, fine Ottocento. Lily Dale non è una signora, infatti ha passato gli ultimi cinque anni in prigione per colpa di un uomo. I maschi sono stati sempre la fonte di tutti I suoi problemi, e anche quando viene inaspettatamente liberata e il suo unico desiderio sarebbe quello di riunirsi alla figlia di sei anni che praticamente non conosce, si ritrova invece a dover rendere il favore a chi l'ha fatta uscire di prigione: un uomo di nome Kazinsky che vuole che lei impersoni Marian Westin a cui assomiglia in modo impresssionante. Marian altri non era che la moglie del candidato governatore del Colorado, Quinn Westin, prima di scomparire misteriosamente. Costretta a cooperare con i due uomini suo malgrado Lily inizia a calarsi nella parte e sia lei che Quinn npn devono certo fingere l'attrazione che li lega e cresce sempre di più…..Eppure il loro è un accordo temporaneo e dietro a tutte queste menzoge giace una domanda importante: Che fine ha fatto la vera Marian?
La mia opinione: questo libro ricorda un poco il film Rebecca la prima moglie. Lily è la protagonista ma il fantasma dell'altra, Marian, della sua sosia, permea ogni pagina del libro, lei è la causa che fa iniziare la storia e lei la farà concludere. Non so, questo non mi è piaciuto molto, avrei voluto che il mistero si svelasse prima in modo che Lily e Quinn liberi da altri potessero decidere per se stessi invece sono sempre in balia degli altri, delle circostance del loro orgoglio e tacciono tante cose…se solo parlassero tutto si risolverebbe subito……Il libro mi è comunque piaciuto, ma meno di altri di questa autrice. Parte bene, poi si perde un poco via per strada.
Titolo: The promise of Jenny Jones
Trama: Jenny non ricorda un momento della sua vita in cui sia stata in pace. Ogni attimo della sua esistenza è stato una lotta continua per la sopravvivenza, una lotta che sta infine per perdere poichè sta per vedere eseguita la sua condanna a morte. La salvezza però avviene miracolosamente grazie ad una donna che è disposta a prendere il suo posto e morire in sua vece pur di salvare la sua bambina. Malata e disperata la la donna non ha comunque futuro e morire davanti ad un plotone le risparmierà una lenta agonia, sarà felice di salvare Jenny se lei prometterà di salvare sua figlia conduncendola in salvo fino in California dai suoi parenti. Jenny acetta e anche se all'inizio il rapporto con la bambina di sei anni non sarà facile, lei è una donna piena di risorse forte e veloce quanto un uomo e altrettanto abile anche con la pistola, capacità che le saranno molto utili dal m omento che i cugini della bambina le inseguono poichè la vogliono morta. Un aiuto le giungerà inaspettato da un cowboy incontrato per caso, Ty Sanders, e anche se i due non lo sanno entrambi hanno la stessa missione.
La mia opinione: Bello, adrenalinico e fuori dalle righe per un romance, proprio come piace a me. Un vero e proprio western, potrebbe esserne tratto un film, ha tutti gli elementi, solo che l'eroe del film sarebbe una donna finalmente. Un pistolero donna che salva la bambina e contemporaneamente conquista pure il cuore di un rude cowboy. Bello. C'è il giusto mix di contrasto tra I due protagonisti, non è certo amore a prima o seconda vista ed è giusto sia così. Due solitari che si incontrano in un avventura che li unisce per un certo tempo, costringendoli a passare tempo assieme piano piano l'ammirazione per le abilità (simili alle proprie e anche diverse) dell'altro, si trasforma in affetto e poi amore…..il tutto natiralmente deve andare a ritmo serratao visto che sono costantemente in fuga e bè Jenny è talmente gnerosa in tutto ciò che fa nonostante non vuole lo si noti che è impossibile non ammirarla…..
Allora che ne pensate di questa autrice? Vi attira? A me piace molto e piano piano voglio riuscire a leggere tutti i suoi libri. A tratti mi ricorda Pamela Morsi, ma è un tantino migliore e più complicata in alcuni tratti, le sue trame sono più elaborate e atipiche e io adoro le cose fuori dal comune, così come le protagoniste di Romance imperfette.
Credo si possa dire senza dubbio che Maggie Osborne ha contribuito pesantemente al genere Plain Jane che tratto nella mia rubrica omonima. Quasi tutte le sue eroine sono fuori dal comune, e molte sono imperfette e per niente bele. Una cosa hanno tutte in comune: sono tutte forti, anche se alcune non lo sanno all'inizio dei suoi libri.
Non posso non nominare infine, vista la mia passione per l’urban fantasy, il libro sui vampiri scritto dall’autrice, Love bites, inedito in italiano, eccone il link: https://www.amazon.com/dp/B00NVDG96C/ref=cm_sw_r_tw_dp_U_x_ySTECbV0DTKNR
Io vi consiglio veramente caldamente di leggere i suoi romanzi, poi fatemi sapere se vi ho bene consigliato, mi raccomando.
0 notes
Text
Viva l’Italia: due mostre, Alba e Genova
Un piccolo flash autobiografico: la mia modesta (dico modesta, non falsamente ma con un fine preciso) cultura visiva nasce sui libri della Skirà che mio padre, pittore della domenica e scultore mancato, portava in casa. La mia adolescenza ha avuto due capi: all’inizio su un libro che mi regalò mio nonno tedesco, illustrato però, Robinson Crousoe, il primo che lessi in assoluto, il secondo, sempre che la mia adolescenza abbia avuto una fine, su un quadro su cui mi intestardii per mesi e mesi, perché non riuscivo a produrre quei colori sgargianti che le illustrazioni della famosa casa editrice fornivano delle opere di Derain e dei Fauves in genere. Per casa circolava anche una famosa rivista, Sele Arte, sulla quale Ragghianti raccoglieva articoli vari su architettura, scultura, pittura, ma a volte anche cinema e fotografia, e una meno famosa ma senz’altro più seria, che era intitolata al famoso architetto del Labirinto: quest’ultima si occupava principalmente di arte antica e le sue illustrazioni erano in bianco e nero, mentre sulla prima incontrai Licini. Con il quale la mia adolescenza, se posso aggiungere, ebbe fine (e così anche la modestia).
Perché questa premessa? La risposta sta nel fatto che anni dopo, quando a Parigi visitai non ricordo più che museo e incontrai dal vivo i famosi Fauves, ebbi un flash, lampadina nel cervello, ripiegamento su me stesso, meditazione dolorosa e raccapriccio. Nell’adolescenza non avrei mai potuto ottenere quello che volevo, per una semplicissima ragione: quei colori non esistevano.
Ma esisteva l’arte, quella di Matisse, del primo Braque, di Vlaminck, di Marquet e appunto di Derain, e questa non poggiava sulla vivezza dei colori ma, mi resi conto con sgomento, semplicemente sui loro rapporti. Rimasi di stucco ma, oltre a rivalutare i miei sforzi compositivi adolescenziali dietro il (mio) Mediterraneo, mi resi conto di star facendo due passi avanti, dolorosi ma salutari.
Il primo: l’acquisizione della coscienza che la cultura visiva libresca ha dei limiti invalicabili e che per oltrepassarli occorre marciare gambe in spalla per mettere l’occhio a diretto contatto con le opere, perché questo non sopporta intermediari, che siano letterari o illustrativi. Tutto ciò è costoso e faticoso, ma ha il suo grande rovescio: evita qualsiasi tradimento. Da allora ho acquistato una diffidenza salutare nei confronti di qualsiasi riproduzione, diffidenza che mi porto addosso ancora adesso, anzi soprattutto oggi che Internet e virtuale dilagano e spadroneggiano (sarà questa la ragione per la quale nel mio blog sono rarissime le aggiunte di figure?).
Il secondo, un fatto molto personale: la coscienza che avrei dovuto ricominciare tutto da capo. Un celebre koan di Mummokan recita la storia di un allievo che si prostra davanti a un Maestro e gli chiede di elargirgli la sua saggezza. Il maestro gli fornisce alcuni libri importanti, indispensabili per conoscere il suo insegnamento e gli impone di mandarli a memoria e di tornare solo quando sarà in grado di recitarglieli. L’allievo, dopo un certo tempo (forse era ancora adolescente e le donne lo interessavano in egual misura degli insegnamenti del maestro), torna da lui infarcito e orgoglioso di tutto il suo sapere. Il Maestro, finita la perfetta recitazione, lo licenzia bruscamente, rifiutandogli di accoglierlo fra i propri discepoli. L’allievo esterrefatto non capisce, piange e si dispera e allora il Maestro, mosso a pietà, gli concede una chance: torna da me quando avrai tutto dimenticato.
Ma c’è una terza acquisizione, un terzo insegnamento che ho avuto da tutta questa storia: aleggia come un fantasma un convitato di pietra. Ha nome Skirà.
Altro passo indietro (ancora autobiografico!): l’altro giorno vado ad Alba a trovare mio figlio (e sopratutto la mia deliziosa nipotina, quattro anni, ma che volete, dall’adolescenza mi piacciono le donne) e incappo in una mostra alla Fondazione Ferrero, alla quale ero già stato in passato, per visitare, con un amico che ne possiede un’opera, una ricca mostra di Carrà: Il sogno e la realtà raccoglie le opere più importanti e più famose del Dadaismo e del Surrealismo. Si tratta di una mostra serissima che fa un servizio veramente egregio alla cultura del nostro paese: una specie di pietra tombale sulle rivoluzioni artistiche operate all’inizio del secolo scorso, all’indomani del primo massacro bellico europeo, la prima guerra civile continentale.
Non scherzo, ho detto proprio tombale. Mia nipote girava attentissima a tutti i calembour e alle battute della celebre trouppe, la impressionava vivamente il manichino del teatro meccanico musicato da Satie, aiutata da Tia non riusciva comunque a vedere la donna appoggiata al tavolino di Dalì ecc. Quest’ultimo, padre di famiglia e proccupato dei tempi che stiamo attraversando, probabilmente disapprovava, pensando alla quantità di denaro che la Ferrero, la ditta dove lavora sua moglie, aveva speso per mettere insieme, in provincia, una mostra del genere. Il sottoscritto non era d’accordo: una mostra fatta come diocomanda, con proiezioni, documenti sia grafici che fotografici e ricca delle opere più famose e significative di quell’Avanguardia (il nome, diventato di moda e uno dei caposaldi attorno al quale ha girato la “cultura”, soprattutto visiva, del secolo scorso e mai più abbandonato da chiunque con la patente di curatore si occupi di organizzare la marea di artisti che scorrazzano in giro, risale proprio al periodo rappresentato), una mostra degna della capitale di un grande paese (alludo agli altri) fa onore all’iniziativa privata che offre ai propri dipendenti e non solo, a tutto un bacino di utenza provinciale, un prodotto culturale formidabile, un prodotto che il sottoscritto aveva accostato da adolescente solo sui libri della Skirà. Non ho nemmeno provato a far cambiare idea a mio figlio, a fargli capire che le pietre tombali sono necessarie, che la storia va affrontata seriamente, altrimenti ci insegue e ci bastona: vedere coi propri occhi l’insignificanza delle famose Boutades del Dadaismo e del Surrealismo, constatare la mancanza di mestiere pittorico di uno come Magritte e, al contrario, l’abilità diabolica di uno come Dalì, l’intelligenza finissima di gente come Duchamp o come Man Ray , constatare come l’Avanguardia è soprattutto un prodotto mondano e d’élite di cervello, incontrare, sia pur per caso in mezzo a tanta fuffa, il mistero del manichino di Giorgio De Chirico, non è di tutti i giorni. E ancora una volta, e spero per tutte per quanto riguarda i nostri giovani e i nostri figli, verificare coi propri vergini occhi (“nasciamo liberi e finiamo in ceppi sociali” e, aggiungo io, culturali) la cosidetta Arte d’Avanguardia, poter dimenticare finalmente le immagini e i Discorsi acclusi di libri come quelli del convitato di pietra, non è di tutti i giorni. Non è di tutti i giorni l’occasione unica di liberarsi finalmente di tutti i fantasmi del passato, quelli che ci perseguitano ancora adesso a cento anni di distanza. Non pretendo che mi seguiate, che siate d’accordo che l’abilità pittorica, il talento, l’intelligenza, la finezza dialettica e persino l’immaginazione non bastano da soli a fare arte; ognuno tragga le conclusioni che crede. Una cosa è certa però, lo è per me ma lo deve essere anche per voi: la Skirà ha fatto il suo tempo!
Illuso, bell’ adolescente illuso che ancora sei! C’è qualcosa che non va: quel fantasma non è affatto scomparso, la fa ancora vistosamente da padrone fra noi! Udite, udite:
Mi viene in mente che un paio d’anni fa, a Palazzo Ducale di Genova, la Celebre Casa Editrice organizzò una grande mostra di Modigliani, i cui quadri furono denunciati come falsi (21 su una trentina) e ritirati dalla magistratura: la mostra fu costretta a chiudere e, a sentenza di conferma emessa, a risarcire gli spettatori turlupinati. Qualche osservazione.
Prima: naturalmente in un paese in cui la giustizia fa acqua da tutte le parti attenderemo per anni il verdetto; nel frattempo gli ignoranti che non usano l’organo di cui parlavo poco sopra e si affidano solo alle bagarre di cui approfittano personaggi come Sgarbi continueranno tranquillamente ad essere turlupinati. Seconda, anche solo il dubbio sull’autenticità di opere che sono costate centinaia di milioni dovrebbe consigliare a chi ha organizzato l’esposizione genovese, la Fondazione Skirà Mostre, a ritirare il catalogo e licenziare il curatore (nell’inchiesta è indagato anche il presidente della Fondazione). Terza, in un paese che si rispetti e che ricava dal turismo culturale un introito economico fra i maggiori le sentenze dovrebbero essere immediate, perché affidate a un comitato di esperti adeguatamente pagato, permanente e responsabile, composto sia da stranieri che da italiani (ci sono anche da noi, ci sono). Quarta, l’orchestrazione della truffa (devo aggiungere eventuale per amore della giustizia, ma un’occhiata ai “falsi” senza nemmeno l’aiuto del contatto diretto mi fa propendere per l’ipotesi più grave – anche internet è sufficiente) coinvolge sicuramente molte più persone di quelle tirate in ballo dalla procura: gallerie, privati prestatori, periti ecc. E’ un sistema che è corrotto alla radice e continuerà a prosperare sull’ignoranza generale. E sopra la vicenda genovese sarà messa una pietra. Tombale.
Una cosa è certa, la Skirà continuerà bellamente a farsi gli affari suoi.
Tirem innanz; sono le parole di Amintore Sciesa davanti alla casa di sua moglie prima di essere condotto all’impiccagione dagli austriaci.
Viva l’Italia!
FDL
0 notes
Text
Capitolo 44 - L’appuntamento, il non appuntamento e il mancato appuntamento (Prima Parte)
Nel capitolo precedente: Melanie fa una scenata a Mike al locale davanti a tutti i suoi amici perché non le aveva detto che Meg era la sua ex. Anche Meg, che assiste alla scena, la prende male sentendosi ancora una volta non presa seriamente da Mike e le due finiscono per coalizzarsi contro di lui. Violet ci prova di nuovo con Eddie e lui finalmente le rivela di avere una cotta per Angie, la ragazza ha una reazione insolita: un attacco di risate isteriche. Nel frattempo i membri degli Alice in Chains, con l’aggiunta di Mike McCready, scappato dalla figuraccia con le sue ex, sono alle prese con Jerry, anche lui reduce da un disastro sfiorato, quello dell’incontro con il padre di Angie. Mike Starr lo prende allegramente per il culo, Sean e Layne tentano di convincerlo che non è successo nulla e che Ray non scoprirà niente e Jerry quasi si convince, almeno finché non si ricorda di aver condiviso con l’uomo dettagli intimi su Angie e sulla loro vita sessuale. I Mookie e i Soundgarden, più il papà di Angie, vanno a un falò sulla spiaggia. Ray sorprende la figlia mentre si fa una canna con gli amici e si unisce a loro. Si scopre che la moglie di Ray non è la madre biologica di Angie. Eddie è incollato ad Angie per tutta la sera e si mostra un po’ geloso quando lei, piuttosto brilla, ha uno scambio di battute con Mark Arm.
***
“Hai poi sentito Mike per caso?” domanda con finta noncuranza la mia coinquilina dopo aver salutato cordialmente un cliente del minimarket.
“No. Grazie a dio” borbotto con la bocca piena di fagottini al cioccolato, la mia colazione, appena acquistata qui. Da quando Angie si è messa in testa di fare sport e vita sana non entra più un cazzo di dolce in casa nostra, come se la mia vita non potesse essere peggiore di così.
“Beh, dovrai parlarci prima o poi. Cioè, secondo me dovresti”
“Ma dai? Veramente? Non sapevo fosse questa la tua opinione. O forse avrei dovuto, visto che è solo l'ottantesima volta che la condividi con me”
Sono giorni che me la mena con questa storia, dalla sera in cui è successo tutto il casino. Ovviamente lo fa a suo modo, cercando di non dare troppo nell'occhio, una domandina qua, una battuta là... dopotutto quella che mette il becco nelle vite degli altri sono io, mica lei!
“Se la condivido vuol dire che la ritengo valida”
“Sarà valida per te, ma non per me. E comunque nessuno te l'ha chiesta” aggiungo sorridendo prima di finire in un boccone il secondo fagottino.
“Stai ben poco velatamente cercando di dirmi che sono invadente?”
“Nooooo, ma va, niente affatto! E poi non lo saresti mai, come potresti? Proprio tu, che odi quando gli altri si intromettono nella tua vita... nah!”
“E' una situazione completamente diversa dalla mia”
“Ah sì, e perché?” sono proprio curiosa di sapere cosa s'inventa.
“Perché io non ti sto suggerendo di perdonare Mike o rimetterti con lui”
“Anche perché se così fosse saresti da ricoverare seduta stante”
“Ti sto semplicemente consigliando di incontarlo per parlarci e chiarire, poi starà a te decidere” spiega facendo spallucce e continuando a disegnare i suoi quadratini sul blocco per appunti davanti a lei sul bancone.
“Decidere cosa? Come ucciderlo? Ok, forse potrei accettare consigli anche sulla scelta dell'arma, te lo concedo”
“Meg”
“Senti, Angie, non ho niente da dirgli e non voglio sentire cos'ha da dire lui, mi sembra tutto fin troppo chiaro”
“Beata te che hai le idee così chiare, io penso di non aver ancora capito del tutto Mike, forse solo un pochino”
“Io sì e te lo spiego volentieri. Anch'io all'inizio ero confusa, pensavo fosse solo uno che non sa cosa cazzo vuole dalla vita, che come si muove fa danni, ma fondamentalmente non una cattiva persona, uno che ti ferisce per sbaglio, senza cattiveria, soltanto perché non sa come evitarlo. Come un gattino che non ha ancora imparato a ritrarre le unghie e ti massacra le braccia quando in realtà vuole solo giocare con te” spiego e Angie posa la penna, incrocia le braccia sul bancone e comincia a sorridermi come credo di non averla mai vista fare da quando la conosco. Mi fa quasi spavento.
“Ah sì?”
“Sì. E perché cazzo sorridi così?”
“Hai appena paragonato Mike a un gattino”
“Un gattino che graffia”
“Un tenero micetto”
“Un micetto rognoso del cazzo che ti dissangua con indifferenza”
“Ma pur sempre un cucciolo”
“No, pensavo fosse un cucciolo, invece ora ho capito che lo fa apposta. Si diverte proprio a giocare coi sentimenti degli altri, da sadico bastardo”
“Ahahah ma chi?? Mike?”
“Certo. E non c'è niente da ridere. Non farti ingannare da quell'aspetto dolce e innocente, la sua anima è nera come la notte”
“Dolce eh?” chiede ammiccando ripetutamente con le sopracciglia.
“Vaffanculo, Angie”
“Meg, secondo me stai esagerando”
“Ah sto esagerando? La prossima volta che avrai problemi con un ragazzo ti riderò in faccia come stai facendo tu con me, dicendoti di non esagerare” ribatto imbronciata, appallottolando l'incarto dei fagottini e lanciandolo verso la faccia di Angie, che però lo acchiappa al volo. Questi allenamenti con la versione fitness di Henry Rollins le avranno migliorato anche i riflessi.
“Guarda che io non sto ridendo di te, è solo che Mike non mi sembra questo spietato genio del male, tutto qui. Io sono più per l'ipotesi gattino rimbambito inconsapevole” risponde buttando la carta nel cestino alle sue spalle dietro il bancone.
“Beh, anche se fosse, ha quasi 25 anni il micio, sarebbe anche ora che si svegliasse un attimo”
“Secondo me dei segnali di risveglio ci sono stati... si tratta solo di coglierli” commenta Angie col chiaro intento di insinuare qualcosa che sicuramente sto per scoprire.
“E io non li avrei colti?”
“Piuttosto li hai interpretati in modo sbagliato”
“Spiegati meglio”
“Davvero pensi che Mike non abbia detto di te a Melanie perché per lui non sei importante?”
“Se non per questo allora perché?”
“Beh, forse proprio perché sei importante, perché sotto sotto prova ancora dei sentimenti per te e non voleva che la sua ragazza si intromettesse nella vostra amicizia, che alla fine era tutto ciò che gli rimaneva con te”
“Quello che dici è già un controsenso: ha ancora dei sentimenti per me, ma ha un'altra ragazza? Dovrebbe stare con me allora, e invece no. Perché?”
“Ehm... forse perché tu l'hai sfanculato quella famosa sera del concerto all'Off Ramp?”
“Ok, tecnicamente sì. Ma anche prima di allora non stava con me, non voleva impegnarsi, quindi il motivo è un altro”
“Probabilmente non vuole impegnarsi perché è insicuro, ha paura di fare casini e, visti gli ultimi sviluppi, direi che è una paura piuttosto fondata. E poi... non hai mai pensato che potrebbe non sentirsi alla tua altezza?”
“Alla mia... che cazzo stai dicendo?” McCready coi complessi? Questa non l'avevo ancora sentita!
“Beh, tu sei bellissima, simpatica, intelligente e forte, conosci un mondo di gente, sei molto corteggiata e qualsiasi ragazzo darebbe un rene per uscire con te”
“Ci stai provando con me?”
“Ahahah no, era per dire che, insomma, a volte gli uomini possono farsi venire dei complessi di inferiorità, che ne abbiano motivo o meno. E non solo loro. E' un po' come me con Jerry... ok, è una situazione diversa, ma non parlo del triste epilogo, parlo dell'inizio, del prima: quando l'ho conosciuto pensavo fosse bello come un dio e non mi sarebbe passato nemmeno per l'anticamera del cervello di farmi delle illusioni su lui e me perché, voglio dire, mi hai vista?”
“E infatti eri una stupida e te l'ho sempre detto”
Ecco che riattacca con la solita solfa! Non che mi dispiaccia che la conversazione si sposti un po' più su di lei e Jerry eh, visto che di parlare di Mike mi sono anche un po' rotta le palle. Però non la tollero quando si butta giù così, è più forte di me. A parte il fatto che è molto carina e potrebbe avere qualsiasi ragazzo, non riesco a credere che una ragazza in gamba come lei possa veramente attribuire così tanta importanza all'aspetto fisico.
“E anche quando lui ha iniziato, come dire, a provarci, io l'ho sempre schivato perché, figurati, meglio lasciar perdere! Che poi, forse, sarebbe stata anche la cosa giusta da fare in quel caso... ehm ehm, ma non è questo il punto. Jerry probabilmente non è mai stato veramente innamorato di me, ma in tutti i mesi che siamo stati assieme sarà stato almeno vagamente attratto da me per un minuto, no? Beh, io ancora non riesco a concepirlo, non lo capivo allora e non lo comprendo nemmeno adesso. Poi va beh, il fatto che mi abbia cornificato non mi ha aiutata a convincermi di piacergli davvero”
“Angie tu stai completamente fuori, se Jerry ha fatto lo stronzo non è di certo perché non fosse attratto da te, non c'entra niente” ribatto sconcertata. Ok, quella merda di Jerry non sarà stato il fidanzato ideale, ma non è possibile che ancora abbia dei dubbi sul fatto di piacergli o no. I casi sono due: o la sua autostima è più bassa di quanto credevo o è completamente deficiente.
“Lo so, ma... ecco, non posso fare a meno di pensare che se fossi stata più bella tutto questo non sarebbe mai successo. E' un po' un pensiero che faccio sempre, non solo quando si tratta di essere scaricata da un ragazzo. Se fossi bella nessuno mi avrebbe abbandonata...” la voce le si alza leggermente e diventa più incerta, mentre elenca le sue stupide convinzioni “se fossi bella Drake il quarterback non avrebbe voluto vedermi solo di nascosto, se fossi bella non mi avrebbero fatto fare la parte del cespuglio nella recita di Natale in terza elementare, se fossi bella mi avrebbero presa come receptionist in quell'albergo figo vicino allo Space Needle, se fossi bella qualcuno mi offrirebbe spontaneamente il suo aiuto per prendere le cose dai ripiani più alti al supermercato e non dovrei arrampicarmi sugli scaffali rischiando la vita ogni volta”
“Ma lo capisci anche tu che non c'è alcuna correlazione tra la bellezza e queste cose che hai elencato, vero?” come se fossero solo le persone belle ad andare avanti nella vita. E poi belle in base a cosa, secondo quale criterio?
“Razionalmente sì, però... però no, perché in me è radicata la consapevolezza che se fossi bella la mia vita sarebbe diversa, invece la mia vita è imperfetta perché non lo sono ed è una cosa che mi accompagna sempre. Non nel senso che sto sempre lì a pensarci, non ce n'è bisogno, è come respirare o ascoltare, non è che tu stia continuamente lì a ragionare su inspirazione ed espirazione e sul fatto di avere le orecchie, ma allo stesso tempo respiri e senti i rumori e non hai bisogno di rifletterci più di tanto per sapere che dopo quattro piani di scale avrai il fiatone, perché sai già di essere fuori allenamento, lo sai già dal primo gradino, ma non ci pensi perché tanto saranno i tuoi limiti a farsi sentire al momento opportuno. Non ho bisogno di ricordare di continuo a me stessa che non sono abbastanza bella perché prima o poi andrò a sbattere contro qualcosa che me lo farà presente”
“Tu pensi che la vita di una persona bella sia perfetta?”
“No, solo più facile in alcuni contesti”
“Beh, allora la tua vita è molto facile, Angie, perché sei bellissima”
“Ci stai provando con me?” domanda ripetendo la mia battuta di qualche minuto fa.
“Ahah no, ma lo farei se non fossimo entrambe fortemente etero”
“Sarebbe comunque inutile perché io non mi sentirei alla tua altezza, come Mike” Angie è bravissima a rivoltare la frittata e ributtare su me e Mike il discorso.
“Mike non ha complessi sul suo aspetto fisico, almeno non credo”
“Non deve essere per forza l'aspetto fisico, magari non si sente abbastanza figo o forte, abbastanza fedele, abbastanza simpatico, abbastanza alto, potrebbe essere qualsiasi fottuta cosa, che so, potrebbe non sentirsi abbastanza mancino perché suona la chitarra da destro” Angie impugna di nuovo la biro e disegna sulla pagina del blocco una serie di pallini in fila, uno per ogni punto che sta elencando.
“Sì, ma in quel caso io che ci posso fare? E' un problema suo, io non ho mai fatto nulla per renderlo insicuro”
“Per l'appunto, è un suo problema e lui ha cercato di risolverlo da solo, ma nel modo sbagliato. Per esempio, raccontando versioni alternative sul vostro stare insieme agli altri, compresi i nuovi arrivati, vedi scena con Eddie all'Off Ramp. Un po' come una certa ragazza che ha tenuto segreta la sua storia con un chitarrista dalla folta chioma bionda fino alla fine...” dal primo pallino parte una linea verso sinistra, che si conclude con una punta di freccia, subito dopo seguita da una identica tracciata verso destra.
“Mmm”
“Oppure tentando il chiodo scaccia chiodo con Melanie, una ragazza che lo ha sempre venerato facendolo sentire figo. Un po' come ha fatto sempre la nostra anonima ragazza lasciandosi andare a baci sconsiderati con una sua vecchia fiamma estiva” altre due freccie si allungano dall'ultimo pallino.
“Ma io ho fatto la stronza con Mike perché se lo meritava, il chitarrista dalla bella chioma ha fatto lo stronzo perché è stronzo”
“Infatti non sto dicendo che le due storie siano uguali, anzi. Però ci sono delle cose di Mike in cui riesco a rivedermi e, in fin dei conti, come ti ho già spiegato, anche se per motivi diversi, sia io che lui pensiamo di esserci meritati ciò che ci è successo, per quanto distorto tutto questo possa sembrarti” le frecce a sinistra puntano su un triangolo, mentre quelle a destra su un rettangolo.
“Quindi stai dalla sua parte?”
“No, sto dalla vostra parte. Io sono convinta che lui ti voglia bene, ma la cosa più importante è cosa provi tu. Perché puoi anche aver passato le ultime serate a bere e parlare male di Mike con Mel, ma in fondo io credo che tu sia ancora innamorata di lui, penso che tu non abbia mai smesso di esserlo altrimenti l'avresti già archiviato come una vecchia pratica e non ti saresti arrabbiata così tanto sentendoti cancellata dalla sua vita sapendo che non aveva detto nulla di te a Melanie” prosegue mentre è ancora impegnata ad annerire con la biro l'interno delle due figure geometriche ai lati del foglio.
Odio quando ha ragione, quindi la odio molto spesso. Praticamente sempre.
“Magari mi sono arrabbiata perché lo odio e basta”
“L'odio non è il contrario dell'amore, lo sanno anche quelli che selezionano le frasi da mettere nei cioccolatini, che è poi uno dei lavori che vanno a fare quelli che non sono abbastanza belli per fare altro”
“Il contrario dell'amore è l'indifferenza”
“Brava! Allora il semestre di psicologia è servito a qualcosa!” esclama passandosi brevemente la penna nella mano sinistra e allungando la destra verso la mia per stringerla sarcasticamente.
“Non ti allargare, tesoro”
“Comunque, quello che volevo dire è che sì, scoprire cosa passa davvero nella testa di Mike non sarebbe male, ma ciò che conta veramente sono i tuoi sentimenti”
“Che tu conosci meglio di me, immagino”
“Li conosci benissimo anche tu, ma fai di tutto per mascherarli. E con scarsissimi risultati aggiungerei”
“Quindi? Cosa dovrei fare a questo punto secondo te?”
“Beh io... non voglio intromettermi nelle tue scelte, devi fare quello che pensi sia giusto per-”
“Piantala con le cazzate e spara, coraggio” io quando voglio farmi i cazzi degli altri intervengo e basta, senza farla tanto lunga.
“Beh, per citare testualmente le parole che una mia cara amica mi ha rivolto tempo fa, direi che... Mike in un modo o nell'altro ti deve una spiegazione, no? Proponigli di incontrarvi, stasera magari, e mettilo alle strette e se quello che ti dice non ti piace... puoi sempre far partire una rissa” Angie mi sta rigirando il consiglio che le avevo dato io quando era saltata fuori la faccenda di New York e Jerry era andato a prenderla da Roxy. Era un buon consiglio, e non lo dico solo perché era da parte mia, anche se col senno di poi avrei fatto meglio a suggerirle di evirarlo e friggergli l'uccello nell'olio delle patatine.
“Di fronte a una rissa non mi tiro mai indietro”
“Che coincidenza, anche la cara amica ha detto una cosa del genere a suo tempo”
“Potrei invitarlo a casa nostra... che dici? Meglio in campo neutro?” alla fine non posso che capitolare, dopotutto non posso rifiutare un mio consiglio.
“Nah, meglio un campo dove hai un leggero vantaggio. E da dove lui non possa fuggire troppo facilmente”
“Giusto”
“E non ti preoccupare, cercherò di stare alla larga, magari mi infilo in biblioteca a studiare. O male che vada rompo un po' le scatole a Chris e Matt con una scusa”
“Ah già! Tu non lavori stasera! No dai, faccio un altro giorno” mi ero completamente dimenticata del suo cambio di turno.
“Non trovare scuse, parlaci stasera e basta”
“Ok... però... c'è un però”
“Sarebbe?”
“Melanie. Abbiamo stretto amicizia adesso”
“Un'amicizia solida, costruita sul disprezzo per Mike McCready”
“Esatto. Se sapesse che lo vedo mi farebbe il culo con disprezzo”
“Va beh, ma... non è che sia obbligatorio dirglielo subito subito”
“La brava ragazza mi sta consigliando di mentire?”
“Certamente, io mento in continuazione. Ma questa non sarebbe neanche una bugia vera e propria alla fine, si tratterebbe solo di omettere una piccola informazione, che tra l'altro è ancora incompleta, visto che non sai come andrà a finire la cosa. Quando avrai il quadro completo della situazione, penserai a cosa dirle. Questo sempre secondo la mia opinione, poi vedi tu...”
“Capisco, è solo che-”
“E poi chi ti dice che non lo farebbe anche lei? Anzi, secondo me è molto probabile. Potrebbe anche averlo già fatto in fondo”
E' brava, devo ammetterlo.
“Ok, mi hai convinta”
*********************************************************************************************************************************************************************************
Non appena metto il naso fuori dalla galleria, mi tiro su il cappuccio istintivamente, prevedendo la solita pioggerellina di Seattle delle quattro e mezza del pomeriggio. Quale il mio stupore nel constatare non solo la totale assenza di gocce, sia nell'aria che sull'asfalto, ma addirittura la presenza di non poi così timidi raggi di sole che mi puntano dritto in faccia, ora che sono lì lì per tramontare. Come un paio di chicche da veri fan piazzate giusto alla fine di una setlist tutto sommato tradizionale. Mi tiro giù il cappuccio mentre faccio lo sforzo di perdonarmi mentalmente per la forzata metafora musicale, dando la colpa all'imminente tour e alle ultime fasi della composizione dell'album. In realtà la mole di pezzi che abbiamo basterebbe tranquillamente per tre dischi... va beh, non esageriamo, facciamo due album e un ep. Ma visto che la nostra vena creativa è ben lontana dall'esaurirsi non vedo perché ci dovremmo fermare. La metà di quello che stiamo facendo potrebbe finire nel gabinetto, o più probabilmente nella cantina dei miei, ma chi lo sa, magari il pezzo migliore del nostro primo album dobbiamo ancora iniziare a scriverlo, magari lo scriveremo proprio oggi.
Dopo essere uscito come un razzo, decido invece di rallentare il passo, un po' per far durare un po' di più l'ormai inedita esperienza solare, un po' perché dopo un'ora e mezza passata in uno scantinato, seppur a fare la cosa che più ami al mondo, si sente anche il bisogno di respirare un po' d'aria, anche per riordinare le idee. Mi godo Seattle nella sua luce ottimale e, anche se il panorama dei negozi che danno sul vicolo tra Belltown e Blanchard non è certo da cartolina, devo dire che ha il suo fascino. Perfino il rosso e il verde dell'insegna del 7-Eleven dove vado a comprare le sigarette sembrano più brillanti. Di ritorno verso la galleria me la prendo un po' meno comoda, perché Jeff all'inizio della sessione di prove ha accennato a un riff che gli gira in testa da ieri sera e non voglio che approfitti della mia assenza per farlo sentire prima agli altri. Quando sono quasi arrivato all'edificio colorato di graffiti però, la presenza femminile seduta sul marciapiede di fronte mi spinge a rallentare, fino a fermarmi del tutto.
“Oh mi spiace piccola scout, ho già comprato una decina di scatole dei vostri biscotti, non posso provocarmi la fame chimica ogni volta solo per aiutare la vostra causa” scherzo ironizzando sul colore verde dell'abito che vedo spuntare da sotto la giacca bianca di Grace e sulle sue treccine in stile Laura Ingalls.
“Ciao anche a te, Stone! Come va?” risponde senza alzarsi, ma limitandosi a sollevare gli occhi al cielo prima di salutarmi.
“Abbastanza bene, dai! A parte la glicemia. Colpa di quei fottuti biscotti...”
“Sai, noi piccole esploratrici camminiamo tanto e gli zuccheri li bruciamo facilmente, mica come i musicisti cannaioli”
“Considerando il tuo senso dell'orientamento, se tu sei un'esploratrice io sono cintura nera di karate”
“Hai anche cose carine da dirmi o pensi di concentrarti solo sulle prese per il culo per oggi?”
“In realtà non mi ero preparato nulla da dirti, visto che non ho avuto alcuna premonizione medianica sul fatto che ti avrei incontrata casualmente per strada questo pomeriggio, quindi calcola che sto improvvisando con le prime cose che mi vengono in mente pensando a te”
“Grazie, anch'io sono contenta di vederti. Ma... non lo definirei un incontro completamente casuale”
“Nel senso che il destino ci ha fatti incontrare facendoti venire il mal di piedi proprio qui davanti a dove suono spingendoti a fare una sosta?”
“Eheh non ti sei sbagliato più di tanto, sai? Comunque, più semplicemente, sono venuta appositamente a trovarti”
“Davvero? Beh, grazie per la visita. Quindi i biscotti sono in regalo?”
“Come va col disco e tutto il resto?” chiede ignorando le mie stronzate, mentre mi siedo accanto a lei.
“Bene, siamo riusciti a sganciarci definitivamente dalla vecchia casa discografica, non so se te l'avevo già detto. Comunque, continuiamo a registrare demo di pezzi nuovi, quando verrà il momento di scegliere cosa andrà nell'album sarà un bel problema”
“Problema che risolverai scegliendo tu per tutti, immagino”
“Esattamente! Non sarai un granché come esploratrice, ma il tuo intuito è imbattibile. E tu come te la passi?”
“Tutto ok, non mi lamento”
“Ottimo! E... novità?”
“Che novità?”
“Novità, non so, cose nuove che ti sono successe e che reputi interessanti, eventi che si raccontano in una conversazione normale tra due persone”
“Mmm no, nulla di che. Solite cose”
“Ok...” è venuta a trovarmi appositamente per non dirmi nulla?
“Ahimé, non ho la vita frenetica dell'artista come te, sai?”
“Siamo già arrivati al punto della conversazione in cui mi insulti anche tu per bilanciare la mia cattiveria?”
“E non sono fortunata come certi miei amici, che possono raccontare aneddoti divertenti a riguardo di clienti, come dire, particolari”
“Clienti? Particolari? A chi ti riferisci?” so benissimo a chi si riferisce, ora ho capito perché è venuta fin qui.
“Oh stavo pensando a un mio amico, si chiama Pete, non so se te ne ho mai parlato”
“No, temo di no, non ne ho mai sentito parlare. A meno che non faccia Townshend di cognome. O Sampras, ma non mi pare siano mai saltati fuori nei nostri discorsi”
“Fa il commesso in quell'enorme negozio di scarpe a downtown Seattle, hai presente? Di fronte al ristorante vegano”
“Mmm sì, forse...” mi è bastato un mini-giro di telefonate per scoprire dove lavora il mentecatto con cui esce, una decina di minuti in tutto e avevo l’indirizzo.
“Beh, comunque mi ha raccontato un aneddoto davvero curioso”
“Wow, non vedo l'ora di sentirlo” dico distrattamente, con un entusiasmo palesemente finto, mentre apro le mie sigarette appena acquistate e me ne accendo una.
“Sì, di un tizio che è stato lì ieri mattina e l'ha praticamente fatto uscire fuori di testa”
“Ah davvero? Dopotutto si sa, i lavori a contatto col pubblico sono così” chiedo ridendo sotto i baffi e nascondendolo con difficoltà.
“Del tipo che gli ha fatto tirare fuori quasi tutte le scarpe che aveva in negozio e non gliene andava bene neanche una. E tirava fuori motivazioni tecniche sempre più assurde, come la suola troppo sottile o troppo spessa, il colore troppo colorato, la punta troppo a punta, ma solo dopo avergli dato ogni volta l'illusione di aver trovato il paio giusto. Quella era la bastardata più grossa secondo me!”
“Beh, le scarpe sono importanti, una scarpa scomoda ti rende la giornata impossibile se ci pensi”
“Già, infatti è uscito dopo un'ora senza comprare niente e Pete lo voleva uccidere”
“Povero Pete” in realtà è stata un'ora e un quarto.
“Dopo averne provate un centinaio di paia, ha chiesto se avevano solo quelle”
“Addirittura?”
“E il colpo di grazia gliel'ha dato mentre usciva dal negozio, quando ha precisato che comunque era entrato solo per farsi un'idea perché era in giro senza soldi”
“Adesso, Pete non vorrà mica mettersi a fare i conti in tasca alla gente...”
“E tu... immagino che tu non ne sappia niente, giusto? Di questa storia, intendo...”
“Ne so eccome invece!”
“Allora lo ammetti?!” esclama voltandosi completamente verso di me a occhi spalancati, pensando di avermi preso in castagna.
“Certo, ovvio che ne so qualcosa, me l'hai appena raccontata tu!”
Ingenua.
“Ah-ah, divertente...”
“Non era una battuta”
“Quindi tu non c'entri? Non eri tu il cliente misterioso rompipalle?”
“Assolutamente no, chi te l'ha detto?”
“Nessuno, è che la descrizione di Pete mi ricordava qualcosa: magro, capelli lunghi, occhioni, sorriso stronzetto, bei denti, gilet leopardato. A te non dice niente?” torna a sedersi come prima, guardando dritto di fronte a sé.
“Se questa è l'esatta descrizione che ti ha fatto, comincerei seriamente a farmi delle domande sull'eterosessualità del tuo ragazzo, Grace”
“E' una descrizione rimaneggiata da me. E comunque chi ti ha detto che Pete è il mio ragazzo?” chiede guardandomi storto.
“Ho tirato a indovinare. Non lo è?”
“No”
“Ah no?”
“Ci sono uscita un paio di volte, ma mi sono accorta subito che non è il mio tipo e la cosa è stata reciproca. Quindi siamo solo amici”
“Uhm ok, capito. Comunque io non sono andato dal tuo amico” replico fingendomi totalmente indifferente alla rivelazione.
“Peccato” osserva lei alzando le spalle, sfregandole contro le mie.
“Peccato?”
“Beh, per un attimo avevo pensato che potessi essere stato tu e che, geloso o semplicemente infastidito, ci fossi andato col preciso intento di rompergli i coglioni”
“Cosa?! Ahahah geloso io? E di ch-” mi alzo producendomi in una risata molto esagerata, fin troppo, ma quel che viene dopo è talmente inaspettato che mi zittisce immediatamente.
“Cosa fai stasera, Stone?”
“Stasera? Beh, dopo le prove coi ragazzi, boh, andrò a mangiare qualcosa e poi vedremo che c'è in giro”
“E se invece mangiassi qualcosa con me e poi facessimo una passeggiata?”
“Con te?”
“Sì. Ti va?”
“E dove?”
“Mmm non saprei, sarei curiosa di provare quel ristorante vegano, che ne dici?”
“E' una trappola! Vuoi portarmi da Pete per fare un riconoscimento?”
“Ahahah no, Pete non c'è, te lo giuro. E comunque, non avresti nulla da temere, no?”
“Offri tu?” le domando dopo aver finto di pensarci un po' su, mentre anche lei sembra volersi alzare.
“Se io offro la cena, tu paghi il cinema” risponde allungando la mano verso di me per farsi aiutare.
“Cinema? C'è anche il cinema? Non basta la passeggiata?”
“Cena+passeggiata+cinema”
“In quest'ordine?”
“Prima si cena, poi passeggiando si digerisce e al cinema si sta seduti, tutto ha un preciso senso logico”
“Sicura di farcela? Sei già stanca, non riesci neanche ad alzarti”
“Va beh, io ti aspetto alle sette davanti al ristorante vegano, poi vedi tu. Ciao Stone!” scuote la testa, mi fa ciao ciao con la mano e fa per allontanarsi.
“Ho le prove fino alle sette, facciamo sette e mezza” la smetto finalmente di fare il cretino e le do una risposta sensata, al che Grace si blocca e si volta molto lentamente verso di me.
“Allora ti aspetto per le sei e mezza” ribatte facendomi l'occhiolino, per poi dileguarsi prima che io possa replicare, non perché sia veloce, anzi, se ne va a passo lento, ma perché mi ha lasciato senza parole. E non è una cosa che mi capita di frequente, tutt'altro, quindi il mio restare senza parole mi fa ulteriormente rimanere senza parole, in un sommarsi di meravigliato e meraviglioso mutismo.
A un certo punto mi riscuoto dal mio stato e torno alla normalità, si fa per dire, tanto che mi dirigo verso l'entrata principale della galleria, dimenticandomi momentaneamente che oggi è chiusa e che devo entrare dal retro. Mi do dell'idiota da solo prima di fare il giro dell'edificio e quando sto per bussare sul portone, per un pelo non mi arriva dritto in faccia.
“Ehi Stone, capiti giusto a proposito. Hai da cambiare?” Eddie esce guardando il cielo, probabilmente anche lui meravigliato dall'assenza di pioggia, e mi sventola una banconota sotto il naso.
“Sì, aspetta, ho il resto delle sigarette”
E, da quel che ho capito, ho anche un appuntamento.
**********************************************************************************************************************************
Le monete che mi ha appena dato Stone mi tintinnano nella tasca mentre esco velocemente dal vicolo per andare a mettere i soldi nel parchimetro per Jeff. Io sono venuto coi mezzi, che funzionano alla grande e sono anche piuttosto puntuali qui a Seattle. Ciononostante il numero di macchine è impressionante, praticamente chiunque qui ha un auto, tutti quelli che conoscono ne hanno una e la usano per andare ovunque, anche sotto casa. Poi magari prendono anche l'autobus o la monorotaia, vanno a lavorare in bici o in skate, ma la macchina ce l'hanno comunque. Io la prendo raramente per venire qui, soprattutto per il problema parcheggi. L'unico parcheggio un po' ampio, e gratuito, qua attorno è quello di Roxy ed era già zeppo quando sono arrivato. Mentre faccio queste considerazioni do una breve occhiata al piazzale di fronte alla tavola calda, per poi procedere a inserire le monete nell'apparecchio per aggiungere un paio d'ore. Mentre giro la manopola per mandare giù l'ennesimo quarto di dollaro, mi rendo conto di un dettaglio che sul momento mi era sfuggito: allungo di nuovo lo sguardo verso il ristorante e inquadro meglio la Mini blu scintillante parcheggiata sulla sinistra. Che diavolo ci fa al lavoro a quest'ora? Finisco di mettere i soldi nel parchimetro in modo che Jeff sia al sicuro dalle multe e attraverso velocemente la strada. Non devo neanche avvicinarmi troppo per individuarla attraverso il vetro, di spalle, mentre prende nota delle ordinazioni di una coppia di mezza età che occupa un tavolo proprio accanto alla vetrina. Faccio giusto qualche passo avanti e posso apprezzare meglio la curva dolce del suo collo, scoperto grazie alla coda di cavallo d'ordinanza, da cui fuoriescono alcuni capelli più corti sulla nuca ed è quello il punto in cui si concentra tutta la mia attenzione, mentre lei annuisce, sorride e scrive sul taccuino e non ha la più pallida idea che sono qui, che la sto osservando e che è proprio lì che vorrei affondare il naso e farle venire la pelle d'oca con baci leggeri. Mi risveglio dai miei sogni da romanzo d'appendice quando Angie si allontana dal tavolo e si dirige dietro al bancone, probabilmente per passare le ordinazioni alla cucina. Sospiro rassegnato alla mia pateticità e mi dirigo verso l'entrata.
Quando varco la soglia della tavola calda, Angie è già dall'altra parte della sala, intenta a liberare un tavolo dalle tazze vuote lasciate dai clienti andati via. Si volta al suono del campanello della porta e mi regala uno dei suoi soliti sorrisi a cui non mi abituerò mai del tutto, credo.
“Ehi Angie” la saluto quando ci incontriamo a metà strada, entrambi diretti verso il bancone.
“Ciao Eddie, da dove vieni?” domanda guardandomi in modo strano, fermandosi con me davanti al bancone per poi appoggiarci su il vassoio con le cose da lavare.
“Dalla galleria, siamo sotto con le prove, come sempre”
“E hai litigato con i tuoi compari della band?” continua strofinando i palmi delle mani sul grembiule, come per pulirsi.
“No, perché?” le chiedo perplesso.
“O sono diventati ciechi? Perché chiaramente non ti hanno degnato di uno sguardo”
“In che senso?” insisto e continuo a non capire anche quando Angie mi scosta leggermente i lembi della giacca aperta e comincia a sbottonarmi la camicia. Probabilmente lo sguardo che le rivolgo deve essere allucinato perché nel momento in cui incrocia il suo lei scoppia a ridere.
“Eheh non vedi che sono tutti sfalsati, li hai allacciati storti”
“Ah... non me ne sono accorto... mi sono vestito un po' di corsa” rispondo imbarazzato, mentre le punte delle sue dita tracciano involontariamente una linea delicata dal mio petto alla pancia, sfiorandomi appena nel riallacciare ogni bottone.
“Lo vedo. Ecco, ora sei presentabile” sentenzia a lavoro finito, mentre mi raddrizza anche il colletto, già che c'è.
“Grazie mamma”
“Non ero una regina, sono stata declassata a genitrice?” domanda ancora aggrappata al collo della mia camicia.
“Sei la regina madre!”
“Ahah ok, comunque prego.” fa per staccarsi da me per riprendere il suo lavoro, ma qualcosa va storto, non che mi dispiaccia ovviamente “Ops! Cazzo, mi sa che ho tirato un filo!”
Angie cerca di staccare la fibra incastrata nel suo orologio che la tiene ancora agganciata a me e io la guardo e sorrido, senza fare assolutamente nulla per aiutarla.
“Sarò ugualmente presentabile?”
“Sì, tranquillo, non mi sembra niente di che,” Angie riesce a sganciare il filo dal cinturino, per poi arrotolarlo un po' attorno alle dita, spezzandolo con un gesto rapido “non rimarrai nudo, tranquillo”
“Era un po' come se mi avessi al guinzaglio” commento ancora dalle nuvole.
“Ahah come un cane?”
“Sì. O come una tavola da surf”
“Le tavole da surf hanno il guinzaglio?”
“Volendo sì. Ci sono questi cavi di sicurezza che volendo puoi attaccare alla tavola e dall'altro capo c'è un anello da allacciare alla caviglia”
“Così non la perdi quando cadi in acqua, geniale” Angie smette di esaminare la mia camicia, convinta che non sia stato fatto effettivamente nessun danno, e gira dietro al bancone, prende il vassoio con le tazze e i cucchiaini sporchi e si allontana verso la cucina.
“Farebbe comodo anche a noi, così non ti perdo quando fai orari alternativi al lavoro” riprendo quando si riaffaccia dietro il bancone.
“Quindi sarei io la tavola? Pensavo il contrario”
“Il surfista sono io” le ricordo sedendomi su uno degli sgabelli al bancone.
“Ma l'anello allacciato al polso ce l'avevo io” ribatte agitando il braccio su cui ha l'orologio.
“Comunque perché sei qui? In genere non lavori mai a quest'ora”
“E tu che ne sai?”
“Davvero devo ancora ribadirti che sono un acuto osservatore? Sono molto deluso”
“Ho fatto a cambio con Steffy, un'altra mia collega, non so se l'hai mai vista. Bionda, con la frangetta e gli occhiali. Molto carina”
“Mmm no, o forse sì, non ricordo”
“Fa sempre il pomeriggio, oggi aveva un impegno e mi ha proposto di scambiarci i turni. E' anche molto single, sai? Se vuoi te la presento” aggiunge rovinando definitivamente il momento.
“No, grazie”
“Ma guarda che è davvero simpatica”
“Scusa se non mi fido del tuo metro di giudizio, visto che a te era simpatica pure Violet” ribatto mentre la porta scampanella di nuovo.
“No, lei è simpatica sul serio, alla mano e non squilibrata. Almeno, non all'apparenza. Comunque, perché non provare a scoprirlo?”
“Onestamente non sono in vena di scoperte in questo periodo, sono concentrato su altro” infatti, in questo preciso istante, tutta la mia attenzione è focalizzata sui riccioli all'insù che si è disegnata con la matita sopra gli occhi. Sembrano identici, ma uno, il sinistro, è leggermente più basso del destro, che deve essere anche più spesso di qualche frazione di millimetro.
“Lavoro immagino, col tour e il resto, posso capire” sì, infatti, hai capito tutto.
“Già. Ma quindi che turno stai facendo, a che ora finisci?”
“Oh un'oretta e sono libera” risponde mentre si dirige verso il tavolo degli ultimi arrivati, dopo avergli dato un tempo ragionevole per guardare il menù.
“Quindi finisci alle sei?” le chiedo quando mi passa di fianco, porgendo le nuove ordinazioni e prelevando i piatti pronti che le hanno passato dalla cucina.
“Esatto” conferma prima di allontanarsi di nuovo.
“Che concidenza, anche noi finiamo le prove a quell'ora” mento spudoratamente quando torna verso di me.
“Davvero?”
“Eh sì, tecnicamente oggi la galleria è chiusa e ci hanno dato quest'orario”
“Capisco” risponde apparentemente sovrappensiero mentre carica la macchinetta del caffè.
“Se vuoi possiamo fare qualcosa... insieme... se ti va”
“Del tipo?” Angie alza la testa e il suo sopracciglio è già inarcato in segno di sospetto.
“Non so, andare a mangiare un boccone da qualche parte e poi, boh, fare un giro” ci riprovo, per l'ennesima volta, e mentre lo faccio e la guardo e vedo come mi guarda penso già alle battute che farà, magari mi proporrà di chiamare Stephanie o come ha detto che si chiama la sua cazzo di collega, mi chiederà se c'è qualche problema, se devo dirle qualcosa, se sono triste, se mi sento solo, se ho una crisi creativa o qualche altra stronzata, mentre io voglio solo uscire con lei perché mi piace da matti e non so più come cazzo farglielo capire.
“Va bene, ci sto” risponde per poi tornare serenamente ad armeggiare con la macchina del caffè e io ci metto un po' ad elaborare la risposta perché all'inizio credo di non aver capito bene, ma me la meno a richiederlo e soprattutto ho paura che facendo la domanda di nuovo potrei ottenere una risposta diversa o una delle frasi tipo di Angie a cui mi riferivo prima. A un certo punto però capisco che si rende necessaria un'ufficializzazione, una conferma della cosa, perché non posso mica lasciarla cadere così nell'aria senza alcun tipo di certezza.
“Quindi ci vieni?”
“Sì, perché no? Hai già in mente un posto?” ribadisce lei e la sua voce ha l'effetto di un pizzicotto, che mi fa capire che no, non sto sognando.
“Beh, ne ho in mente qualcuno, però decidiamo insieme ovviamente. Se hai qualche preferenza...”
“Ho un'ora per farmi venire in mente qualcosa, poi decidiamo insieme, ok?” Angie viene chiamata dalla cucina e procede a portare le ordinazioni ai clienti.
“Perfetto! Allora, ehm, ci vediamo qui alle sei, insomma, passo a prenderti, cioè, passo qui al volo” esclamo cercando di contenere l'entusiasmo quando torna, dondolandomi sullo sgabello e appoggiandomi coi gomiti sul bancone, quasi arrampicandomici sopra.
“Va bene, fai pure con calma comunque, calcola che mi devo cambiare eccetera”
“Ah ok, quindi non dobbiamo neanche passare prima da casa sua, usciamo direttamente”
“Sì sì, ho gli abiti civili con me, tranquillo”
“Bene”
“Non è ora di tagliarli questi capelli?” Angie inclina leggermente la testa e mi guarda con un sorriso pieno, subito censurato dal solito scatto del labbro a coprire il canino sporgente.
“Dici che sono troppo lunghi?” le domando prendendo a esaminare una ciocca dei miei capelli ingarbugliati, cercando di districarla con le dita.
“No, parlavo di questi” Angie allunga la mano sulla mia testa e accarezza la parte della rasatura laterale, che avevo evidentemente lasciato scoperta senza accorgermene, buttando tutti i capelli dall'altra parte mentre mi agitavo come un deficiente per il suo sì, cercando invece di apparire tranquillo e imperturbabile.
“Ah”
“Sono cresciuti un bel po'” continua lei, tenendo la mano ferma sulla mia testa e muovendo solo il pollice in pelo e contropelo tra i miei capelli e io penso che se non la smette subito sono fregato, perché il suo tocco è così dolce da dare assuefazione immediata e io devo tornare dagli altri e devo trovare una scusa per scaricarli con un'ora d'anticipo e poi devo anche farla passare quell'ora e non posso di certo trascorrerla sognando il momento in cui Angie mi sfiorerà di nuovo. Anche perché non è detto che lo farà e sarebbe patetico passare il nostro primo appuntamento a escogitare metodi per farmi toccare da lei.
“Sì, ma ho pensato di farli crescere, non li raso più”
“No?”
“Nah, quel taglio mi ha stufato, li lascio crescere tutti uguali e vaffanculo” spiego passandomi una mano tra i capelli incriminati e così facendo sfiorando appena le punte delle sue dita con le mie.
“Beh ogni tanto fa bene cambiare. Io non ho mai fatto niente ai miei capelli, a volte ho la tentazione di darci un bel taglio o fare qualche colore, prima o poi lo farò” Angie si stacca di nuovo da me e io ne sento già la mancanza.
“Una bella rasatura laterale anche per te?”
“Ahah perché no? E perché non una bella cresta?” ridacchia e io vorrei dirle che tanto sarebbe bellissima anche calva coi capelli disegnati con il pennarello indelebile, ma decido di aspettare stasera per lanciarmi nei complimenti.
“Qualsiasi cosa scegli di fare con la tua chioma, sono con te”
“Grazie del supporto! Meg mi minaccia di morte ogni volta che le chiedo un consiglio su un cambio di look”
“Beh, magari comincia con qualcosa di meno drastico, poi si abituerà. Adesso... ecco, adesso dovrei andare, gli altri mi aspettano” mi alzo dallo sgabello, ma in realtà io non mi muoverei di qui. Oppure me ne andrei, ma me la porterei appresso alla galleria, possibilmente appiccicata a me o comunque il più vicina possibile, magari in spalla come al ritorno dalla festa in spiaggia. Rifarei quella strada avanti e indietro otto volte pur di sentirmela ancora addosso in quel modo.
“E vai via così?” mi chiede perplessa e io non capisco.
“Eh?”
“Non prendi niente? Non sei entrato per il tuo solito caffè?”
“Ah! No, veramente no”
“E allora perché?” già, perché? Per vederti, adorabile testa di cazzo.
“Beh per... per questo!” tiro fuori il portafoglio dalla tasca e tiro fuori una banconota da un dollaro “Ho bisogno di moneta per il parchimetro”
Angie mi cambia i soldi e ci salutiamo, dandoci appuntamento proprio qui tra un'ora circa.
La porta della tavola calda sembra come un portale dimensionale, la via di ritorno alla realtà, tanto che quando sono fuori ho bisogno di voltarmi e guardare di nuovo all'interno del locale per accertarmi che Angie ci sia veramente e che quindi ci ho veramente parlato e non ho sognato tutto. Solo mentre attraverso la strada mi rendo conto che ha iniziato a piovigginare, la solita pioggerellina pomeridiana di Seattle, fenomeno che rimarca ancora di più lo stacco tra la parentesi con Angie da Roxy e il mondo esterno. Mentre finisco di attraversare decido di sostare un attimo nei pressi del parchimetro, fingendo di armeggiare con la macchinetta, nel caso in cui Angie stesse guardando e penso di non essermi mai sentito tanto deficiente in tutta la mia vita. Sicuramente non mi sento molto meglio quando trovo chiuso il portone sul retro e nessuno risponde al mio bussare, sempre più insistente. Stanno suonando e non mi sentono e la pioviggine si sta trasformando in pioggia vera e propria. Provo a bussare di nuovo e con più vigore sul portone metallico, per poi restare con l'orecchio teso, non tanto per sentire cosa stanno suonando, ma semplicemente per approfittare dei momenti in cui smettono di suonare e riprovare a bussare per farmi aprire. Tuttavia il tempo passa e nessuno mi caga e ovviamente finisco per interessarmi al brano, un pezzo che non riesco a identificare. Dopo qualche minuto di ascolto stabilisco con certezza che questo pezzo non lo conosco, deve essere nuovo, forse partito da quel riff di basso di cui parlava Jeff. E neanche a farlo apposta, l'unica cosa che riesco a sentire da fuori è il basso, e più lo sento più mi sembra abbia qualcosa di magico, ma allo stesso tempo di solido, che si può toccare. Più che un giro di basso mi sembra una melodia. Mentre mi appoggio al muro dell'edificio più che posso, cercando un riparo inesistente dalla pioggia, infilo le mani in tasca e sento da una parte le monete ricevute da Angie, dall'altra un pezzo di carta. Tiro fuori il foglietto e ricordo immediatamente il mio piccolo furto: la pagina con i triangoli e i quadratini disegnati da Angie strappata dal blocco al mini market. Visto che sono bloccato qui fuori, tanto vale provare a combinare qualcosa di buono. Prendo una penna dalla tasca interna del chiodo. Fortunatamente ho sempre una penna con me, posso scordare il portafoglio, le sigarette, mettere calzini scombinati, abbottonarmi la camicia a cazzo di cane, ma non dimenticherò mai di infilarmi una penna in tasca prima di uscire. Piego la pagina in quattro e mi appoggio al muro, con la penna in mano, pronto a ricevere l'ispirazione: tutto quello a cui riesco a pensare è Angie, il suo sguardo tenero su di me, le sue mani, il desiderio di sentirle ancora, il filo che ci univa fisicamente e quello che ci unisce simbolicamente e che ci porta a ritrovarci sempre e non perderci, tra le onde del mare, dell'oceano. Come il mio preferito, quello che porta il suo nome.
#pearl jam#pearl jam fanfiction#grunge fanfiction#fanfiction in italiano#italian fanfiction#stone gossard#eddie vedder
8 notes
·
View notes
Text
Vagabond Commento finale
Da quando ho iniziato a vedere serie asiatiche, questo è di certo il drama che più di tutti mi sta mandando in confusione. Non so davvero da dove iniziare, non so neanche bene che cosa dire, ci sono cose che non ho capito, cose che ho trovato frettolose, mi sono persa pezzi lungo la strada. Insomma, ho voglia di mettermi le mani nei capelli.
Certo che, a iniziare così, questo drama sembra una merda.
Ma non lo è. È una bella serie che si lascia guardare in modo scorrevole, con tanti momenti adrenalinici (ancora ricordo la sequenza dell'aereo) intervallati con la politica e le parti emotive. Ne è risultato un buon equilibrio, e se c'è una cosa che non posso assolutamente dire di questa serie, è che è noiosa. Non mi sono annoiata mai, nemmeno per un attimo.
Fino a un certo punto è stata estremamente godibile, poi mi sono resa conto che mi ero persa qualche pezzo lungo la strada, fin quando gli ultimi episodi mi hanno mandata in confusione totale.
Non starò qui a spiegare la trama perché NON LA SO.
Tutto quello che so è che un aereo è stato abbattuto portando alla morte decine di innocenti, e il colpevole di questo è Edward Park. Punto. Non so altro. Non ho nemmeno capito perché Edward ha abbattuto UN SUO STESSO AEREO. Non ho capito che cosa avrebbe combinato se Cha non avesse mandato avanti i fili della trama. Non ho capito perché, prima di tutto, ha deciso di abbattere un suo aereo per mettere al potere un suo burattino. Ma un altro modo non c'era? O sono io che mi sono persa qualcosa?
Grazie al cielo non ho visto questa serie da sola, ma ero come al solito accompagnata da @dilebe06. Anzi, è stata proprio lei a scoprire questo drama e a consigliarmelo, e quando mi sono buttata sul primo episodio sono rimasta letteralmente incollata dall'inizio alla fine, col fiato trattenuto, e mi ricordo di aver anche pianto. Insomma, un mare di emozioni.
Perciò ho proseguito molto curiosa di vedere come si sarebbe snocciolata la storia. Ma siccome ho già detto che della storia non voglio parlare, mi limito a stilare una veloce lista delle cose che ho più o meno gradito, in linea di massima.
Cose che mi sono piaciute:
Go Hae-ri. Un personaggio femminile veramente, veramente bello. Carina, intelligente, simpatica, riesce a stemperare un po' la situazione con i suoi modi di fare, ma allo stesso tempo prende le cose seriamente ed è devota al suo lavoro (ancora non capisco perché per metà serie le danno dell'incompetente). Bella la trasformazione finale, da agente dei servizi segreti che combatte per la giustizia, si allea con i nemici per vendicarsi del villain numero uno. È un tipo di evoluzione che a me piace tantissimo, la trovo molto interessante, ma credo che in questo caso sia stata fatta in modo un po' frettoloso e un pochino forzato (tutto succede in un episodio).
I due protagonisti presi come coppia. Sono stati davvero carini. Il loro rapporto è costruito bene, si evolve nel corso del tempo. Prima semplici alleati/complici, diventano via via amici fino a quando non nasce qualcosa di più tenero e profondo. Nonostante nessuno dei due si dichiara mai all'altro, i loro sentimenti sono palesi. Bello l'equilibrio tra tenerezza e scherzosità.
I villain (o meglio, le villain) A parte Edward che non mi ha fatto impazzire, ho invece apprezzato molto Jessica e Lily, soprattutto quest'ultima. L'ho trovata bellissima. Sembra pazza come un cavallo a una prima impressione, ma in realtà nasconde un cervello che ragiona con cura e con delle regole precise. È un personaggio un po' sopra le righe, ma non l'ho mai trovata esagerata. Jessica invece ha sfoggiato un carattere freddo, senza scrupoli, calcolatrice, intelligente. Non una villain spettacolare, ma comunque molto buona.
La squadra dei servizi segreti. Il direttore Gang e il direttore Gi sono stati tra i personaggi più intelligenti della serie, e li ho apprezzati moltissimo. Mi è piaciuto soprattutto come questi personaggi abbiano equilibrato l'impulsività e la poca strategia del protagonista, dimostrando che anche i buoni potevano raggiungere dei traguardi usando il cervello e non solo per vergognosi colpi di fortuna perché sono gli eroi.
La parte d'azione. Gli inseguimenti, le scene d'azione e le sparatorie sono state, alcuni (per fortuna pochi) momenti sono ripetitivi, ma non ci si annoia mai, sono davvero godibili e tengono col fiato sospeso.
La parte emotiva. Questa mi è piaciuta veramente tanto. Non nascondo di essermi commossa più di una volta nel corso della serie, sopratutto quando si parlava dei famigliari delle vittime o del nipote di Cha. Il pezzo che più di tutti mi ha commosso è stato quando i famigliari si ribellano alla polizia, si fanno avanti e si mettono in mezzo per proteggere il signor Kim che deve andare a testimoniare in tribunale. È stata una sequenza davvero toccante e molto emozionante. Un applauso particolare all'amico del protagonista (di cui non ricordo il nome).
Per quanto riguarda il protagonista, lo metto nel mezzo. Cha è un protagonista che in linea di massima mi è piaciuto, ma non mi ha fatto impazzire. Alcune volte l'ho trovato troppo caricato, con atteggiamenti davvero improbabili e davvero troppo impulsivi. Le parti più belle sono state quelle emotive, legate al nipote e alla protagonista. Non nascondo di essermi commossa più di una volta.
Cha, detto anche "Signor non posso morire perché sono il protagonista", è il protagonista col culo più parato della storia. Ho perso il conto di quante avrebbe DOVUTO morire nel corse delle puntate, e invece è sopravvissuto perché altrimenti chi la mandava avanti la trama? Detto ciò, mi sono comunque goduta le mille scene d'azione, gli spericolati inseguimenti, i combattimenti corpo a corpo, e mi sono anche divertita quando l'ho visto scalare le mura della Casa Blu in un modo da fare invidia a Spiderman, inseguito da dozzine di guardie (ebbene sì, questa serie ha toccato livelli di fantascienza).
Cose che non mi sono piaciute:
Edward e il suo piano contorto. Se qualcuno lo ha capito ed è riuscito a seguirlo da cima a fondo, gli faccio i miei complimenti. Sono riuscita a seguire la trama per buona parte delle puntate, ma verso la fine arriva il plot twist, e io mi sono persa. A una certa non ho più nemmeno cercato di capire, anche perché non ricordavo più cos'era successo prima a causa delle mille sottotrame e bordelli vari (complice anche la mia memoria di merda). L'unica cosa che ho capito è che Edward è il villain numero uno, quello che sta dietro a tutto, ma di tutto il suo piano contorto ho capito ben poco.
La gestione del finale. Per tredici episodi la trama segue una certa direzione, poi avviene lo stravolgimento e tutto si ribalta nel giro di due ore di minutaggio. Non ho nemmeno avuto il tempo di processare. E nell'episodio finale ho proprio avuto l'impressione che si stesse correndo per raggiungere la scena finale. La protagonista crede morto Cha, piange, si infila in prigione sotto copertura, si allea con Jessica e decide di vendicarsi di Edward. Il tutto in venti minuti. Non c'è nemmeno una scena in cui parla o dice addio ai suoi compagni di squadra. È come se l'unica cosa al mondo che le importi è la vendetta, e mi pare un pochino frettoloso e un po' esagerato per un personaggio che fino all'episodio precedente ha passato la vita a essere buona, corretta, positiva, divertente, onesta.
La confusione generale. Tante trame aperte, tanti personaggi da seguire, tanti piani messi in atto. Alla fine quello che ne esce è un bordello. So raccontare la trama generale a grandi linee, ma tutti i dettagli me li sono persi per strada.
Detto ciò, a me il finale lasciato aperto, è piaciuto e mi ha incuriosito. Sono molto curiosa di vedere cosa metteranno in campo nella seconda stagione, se e come si svolgerà la vendetta, e come evolveranno i due protagonisti singolarmente e come coppia.
Considerazioni generali: molto buona la recitazione, suspance mantenuta per bene per tutto il tempo, movimenti di macchina molto traballanti, musiche dimenticabili.
Due cose:
Ammettetelo: QUESTA SERIE È UN CROSSOVER DI DESIGNATED SURVIVOR!!! I paralleli sono TROPPI per essere delle mere coincidenze: la Casa Blu, il presidente ad interim, gli incontri con i giornalisti, le stesse ambientazioni, gli stessi meccanismi.
E ormai è palese che l'organizzazione che sta dietro a Edward è il VIP. NON CERCATE DI NASCONDERLO!!!
E infine...
Non me ne sono dimenticata. Come potrei! Come potrei dimenticarmi di lui, il vero protagonista di questa serie, il vero eroe, l'uomo del popolo, il mio personaggio preferito, la voce del fandom, lo specchio degli spettatori, la vera vittima di tutto questo, colui che ha attraversato mezzo mondo e superato mille ostacoli per andare a raccontare la verità!!
IL COPILOTA KIM WOO-GI
E voi lo avete ammazzato!!
In modo assolutamente indegno, tra l'altro. Lo avete lasciato bruciare come un cane senza nemmeno darci una scena d'addio.
Non vi perdonerò mai.
#ionondimentico #teamcopilota #copilotaunodinoi
In conclusione
È una serie che consiglio? Per gli amanti del genere, direi proprio di sì. Ma la consiglio anche a chi il genere non fa impazzire. Io stessa non vado matta per le storie di questo genere, perché so che sono storie che vedo con enfasi la prima volta e poi passo oltre facilmente, ma me la sono comunque goduta appieno.
Voto: sette e mezzo.
#vagabond#korean drama#asian drama#jessica lee#edward park#samael#go hae ri#Cha Dal-gun#cha dal geon
5 notes
·
View notes
Text
Miraculous Heroes - capitolo 4
Indice dei capitoli: Miraculous Heroes
«Ma ti rendi conto?» sbottò Alya, alzando la testa verso il cielo e urlando frustrata, attirando l’attenzione degli altri studenti: «Ladybug e Chat Noir sono apparsi ieri sera. Ieri sera. Ed io ero a casa e non ho potuto riprenderli!» Marinette annuì, mordendosi il labbro inferiore e rimanendo in silenzio, mentre l’amica continuava a inveire contro la sua sfortuna: «Un nuovo super cattivo ed ho perso l’occasione! Sai da quanto non aggiorno il Ladyblog? Da mesi, ormai! L’ultimo aggiornamento riguarda quando salvarono le persone di quell’elicottero…» «Ma non sei felice? Vuol dire che Parigi era tranquilla.» «Sì, è bello questo ma…» Alya fece un gesto stizzito, scuotendo il capo: «Secondo te è tornato Papillon? Anche se mi hanno detto che Ladybug non ha fatto il suo solito rituale.» «Il suo solito rituale?» «Sì, sai quella cosa che fa con lo yo-yo e cattura quella specie di cosa nera che fa diventare cattivi.» «Ah.» la mora si picchiettò l’indice sulle labbra, incapace di rispondere: non poteva dirle che Papillon non centrava niente, in quanto Marinette non poteva saperlo e per il resto… Beh, ne sapeva veramente ben poco. «Buongiorno, ragazze!» Adrien le salutò, mentre scendeva dalla macchina argentata, che si era accostata al marciapiede e le raggiunse velocemente: «Ho parlato con Nino.» dichiarò subito, notando l’espressione cupa della ragazza: «Avrete la serata tutta per voi e sarà purrfe…voglio dire perfetto!» «E’ arrabbiata perché non è riuscita a registrare Ladybug e Chat Noir, ieri sera.» «Oh.» il ragazzo annuì, osservando l’amica: «Beh, non è la prima volta che non ce la fai.» «Ma era da tanto che non si vedevano in giro.» mormorò mogia Alya, avviandosi verso la scuola, imitata dai due: «Insomma, era tutto tranquillo e bam! Appare questo coso enorme di ghiaccio ed io ero a casa. A casa, capite? Non sono nemmeno potuta uscire e tentare di riprendere qualcosa, perché dovevo controllare mia sorella.» «Sono certo ci sarà qualche altra occasione e potrai filmare Chat in tutto il suo coraggio.» Alya ridacchiò, scuotendo il capo: «Ciò che voglio riprendere di Chat è quella meraviglia di corpo che si ritrova: sono innamorata di Nino, ma ogni volta che vedo tutti quei muscoli stretti in quella tuta nera…» sospirò sognante, mentre Adrien tossiva imbarazzato e Marinette cercava di non ridere: «Beh, la voglia di legarlo a un letto e fargli cose – tante cose – sale!» «D-davvero?» balbettò il biondo, allontanandosi leggermente dall’amica e provando a nascondersi dietro l’altra ragazza, che voltata di lato riusciva a stento a trattenersi dal ridere. «Già.» Alya scosse il capo, riprendendosi da quel sogno a occhi aperti: «In ogni caso, sto con Nino e non potrei mai tradirlo. Ok, lo tradirei solo con Chat Noir.» spiegò velocemente, prendendo il cellulare e guardando l’ora: «A proposito, se voglio stare un po’ con lui devo sbrigarmi. Ci vediamo dopo, Marinette.» La mora annuì, continuando a mordersi il labbro inferiore e osservando l’amica allontanarsi: «Non è stato bello. Per niente.» sentenziò Adrien, voltandosi e fissando torvo la ragazza: «Potevi dirle qualcosa.» borbottò, colpendola leggermente con il gomito. Marinette ricambiò il colpo, scuotendo il capo: «Dovevi vedere la tua espressione: era terrore allo stato puro.» dichiarò, mentre le spalle erano scosse dalle risate trattenute: «Povero piccolo micetto, Alya ti ha spaventato tanto.» Adrien le assestò un nuovo colpo con il gomito, provando a fissarla male ma non riuscendoci: «Devo sentire Plagg se può fare qualcosa per il mio costume. Una bella tonaca da prete. Che ne dici?» «Non per rovinare i tuoi piani, ma l’ultima volta che siamo uscite, Alya ha visto un gruppo di preti e…» «Non voglio sapere cos’ha detto. Seriamente.» mormorò Adrien, scuotendo il capo incredulo: «Nino, accidenti, dovresti farle fare qualche giro sul tuo amico dei piani bassi, invece di andare a fare il dj.» Incapace di trattenersi ancora, Marinette si accucciò, con il corpo scosso dalle risate e il volto nascosto fra le mani: «Marinette?» mormorò Adrien, chinandosi davanti a lei e cercando di scoprirle il viso: «Ti prego, non morire. Ho bisogno della mia adorata lady.» «Piantala, allora.» dichiarò la ragazza, schiaffeggiandogli il bicipite e continuando a ridere: «Non potrò più vedere Nino, gli scoppierei a ridere in faccia.» «Povero Nino, preso in giro dal suo primo amore…» «Guarda che sei tu che lo prendi in giro.» «Sempre a sottolineare…» sospirò il biondo, aiutandola a tirarsi su: «Parlando di cose serie, Nathalie mi ha chiesto se questo pomeriggio sei a casa.» «Perché la segretaria di tuo padre vuole sapere se sarò a casa?» «Beh, è una sorpresa e quindi mi è stato vietato dirti di più, altrimenti verrò akumatizzato.» dichiarò il ragazzo, alzando le spalle con espressione divertita: «Sinceramente non sono molto interessato di vedere la mia versione cattiva.» «La tua versione cattiva sarebbe…» Marinette si picchiettò l’indice sulle labbra, cercando di immaginare il ragazzo in versione supercattivo: «Mmmh, Chat Blanc.» «Il bianco non mi sta bene.» mormorò il giovane, massaggiandosi il mento: «Comunque pensavo, andiamo dal maestro Miyagi…» «Fu, si chiama Fu.» «…sentiamo quello che ha da dirci e poi andiamo a casa tua, così Nathalie ti dirà la sorpresa e poi io sarò ricompensato.» «Perché dovrei ricompensare te? Se centra Nathalie, e dato che sei stato minacciato, la sorpresa proviene da tuo padre.» «Odio il fatto che tu sia così intelligente.» «Lo so, sono geniale.» «Vola basso, coccinella. E comunque non puoi ricompensare mio padre…» si fermò, scuotendo il capo, mentre un’espressione schifata gli si stampò in volto: «Non voglio nemmeno immaginarlo. Brr. Meglio bloccare tutto e subito. Dicevo: dato che mio padre è off limits, la tua gratitudine dovrà ricadere sul sottoscritto e mi sacrificherò volentieri per la causa.» «Oh, povero piccolo Minou. Allora, vuol dire che farò la maleducata e non ringrazierò nessuno.» «Ah, no. Mio padre non deve pensare che sto con una ragazza che non sa cos’è l’educazione! No, no, no. Mi ringrazierai a dovere: possibilmente in un modo in cui centrino un letto e noi due. Nudi.» «Adrien!» Alya ridacchiò, sedendosi al tavolo e osservando l’amica posare il vassoio del pranzo e fare altrettanto: «Chi l’avrebbe mai detto che quel ragazzino pacato e tranquillo si sarebbe trasformato così?» dichiarò, scuotendo il capo mentre il viso di Marinette diventava rosso: «Alle volte, quando non inizi a balbettare cose senza senso, mi ricordate Ladybug e Chat Noir.» Forse perché siamo Ladybug e Chat Noir. «E comunque non capisco perché…» Alya si fermò, chinandosi sul tavolo e abbassando la voce, in modo che solo l’altra ragazza potesse sentirla: «Perché…beh, perché non potete farlo. Insomma, state insieme da parecchio tempo, ormai.» Marinette sospirò, prendendo la forchetta e iniziando a giocherellare con il cibo nel suo piatto: «Marinette, non c’è nulla di cui avere paura.» iniziò l’amica, allungando una mano e posandola su quella della ragazza: «Imbarazzante? Oh sì, tantissimo, soprattutto le prime volte, ma poi viene naturale.» «Per te, forse.» «Anche per te, Marinette. Basta che ti lasci andare.» Marinette gemette, spostando il vassoio di lato e poggiando il viso contro il tavolo, iniziando un monologo melodrammatico dove si parlava di cadute, incidenti mortali, arresti e ambulanze; Alya l’ascoltò ridacchiando: «Marinette, i tuoi film mentali dovrebbero essere da Oscar: mi spieghi come sei arrivata da una semplice prima volta a un arresto?» «Quando si tratta di me tutto è possibile.» sbottò la mora, alzando il viso e guardando l’amica: «Riesco a cadere dappertutto. E la volta che ho preso quel muro in faccia?» «Beh, sono certa che Adrien sia assicurato contro il Cataclisma Marinette.» «Alya.» «Mh?» «Guardami.» «Ti vedo.» dichiarò la ragazza, infilzando un pezzo di carne e portandolo alla bocca, mentre Marinette afferrava la sua borsa e tirava fuori una rivista di moda, sfogliandola velocemente: «E adesso guarda lui.» ordinò, mettendogli sotto il naso una foto di Adrien. «Ok. Lo ammetto: se non fosse il tuo ragazzo ed io non stessi assieme al suo migliore amico, ci proverei.» «Non posso. Semplicemente non posso.» «Ma perché, Marinette?» «Perché io sono io e lui è lui. Finché si tratta di botte e risposte, posso farcela: ho imparato ormai, ma…» «Questo discorso non ha assolutamente senso. Marinette, seriamente, hai solo paura e, più che dell’atto in sé, penso tu abbia paura di essere imbranata e goffa.» «Come sono sempre.» «Marinette, Adrien sa benissimo come sei fatta.» dichiarò dolcemente Alya, sorridendo: «E gli piaci così come sei, anzi è innamorato perso di te! Non lo chiamo il fidanzato perfetto per caso: si vede che ti adora e che farebbe di tutto; quindi non avere paura e lasciati andare.» «Tu non dovresti stare dalla mia parte?» «Io sto dalla parte di quello che ha più sale in zucca e, strano a dirsi, a questo giro è Adrien.» «Grazie tante.» bofonchiò Marinette, avvicinando nuovamente il suo vassoio e iniziando a infilzare la sua carne: «Alya?» «Mh?» «Davvero Adrien sembra innamorato perso di me?» «Giuro, prego che ci sia davvero un nuovo supercattivo e che, come Papillon, mi trasformi in cattiva, così ti apro quella testa per vedere cosa hai dentro!» «Quando eri…» Marinette si fermò, osservando l’ombra che era apparsa sul tavolo e voltandosi, incontrando lo sguardo sorridente di Rafael Fabre: il modello sorrise convinto, facendo vagare lo sguardo da lei ad Alya per tornare, infine, su di lei: «S-salve.» balbettò sotto lo sguardo scuro che la studiava. «Salve.» dichiarò il ragazzo, afferrando una sedia dal tavolo vicino e sistemandosi al loro: «Allora, stavo pensando di andare a fare un giro, dopo scuola e pensavo che voi due belle signorine mi potreste fare compagnia.» «Spiacente, siamo entrambe impegnate.» dichiarò decisa Alya: «E per impegnate, intendo “abbiamo il ragazzo”.» «Non sono un tipo geloso.» «Tu no.» borbottò la ragazza, spostando lo sguardo dietro al modello: «Ma il tuo collega lì e il suo amico sì.» Rafael si voltò, sorridendo ai volti scuri di Adrien e Nino che, fermi in mezzo allo spazio fra i tavoli, lo fissavano: «Ragazzi.» li salutò tranquillamente, alzandosi e rimettendo a posto la sedia che aveva preso: «Beh, signorine, se cambiate idea sapete dove trovarmi.» concluse, facendo l’occhiolino e andandosene come se nulla fosse. «Bro.» commentò Nino, osservando il tipo avvicinarsi ad altre ragazze: «Pensavo che queste cose succedessero solo ai tipi come, non anche a quelli come te.» «Queste cose cosa, Nino?» Il ragazzo si sedette, togliendosi il cappello e grattandosi la nuca: «Beh, Alya…» iniziò il ragazzo, abbozzando un sorriso: «Tu sei tu ed io sono io.» spiegò, indicando prima lei e poi sé stesso. «Anche tu?» sbuffò Alya, voltandosi verso Marinette: «Vi siete messi d’accordo per farmi ammattire?» Marinette sospirò, osservando il ragazzo che camminava davanti a lei con passo svelto: era arrabbiato, lo si poteva capire lontano un miglio e ciò era avvalorato anche dal fatto che Plagg aveva deciso di stare nella sua borsetta, piuttosto che nascosto addosso al suo partner; quasi chiamato in causa, il kwami nero si affacciò e la fissò con gli occhietti verdi: «Qualsiasi cosa hai in mente di fare, lascialo stare. Fagliela sbollire, è solo gelosia allo stato puro.» le spiegò velocemente, tornando poi al sicuro e Marinette fu quasi sicura di sentire Tikki dargli del fifone. Scosse il capo e, ignorando bellamente l’avvertimento del kwami, accelerò il passo e posò una mano sul braccio del giovane: «Adrien…» «Mai nessuno che ascolti il kwami della sfortuna.» sbuffò Plagg, dall’interno della borsetta. Il biondo si voltò, fissandola male: «L’avevo detto, no? L’avevo detto! Quel pezzo di…» si fermò, scuotendo il capo e fermandosi in mezzo al marciapiede: «Se non c’era Alya che gli diceva no, che avresti fatto? Avresti accettato, perché non sai dire di no a nessuno, tranne che a me.» «Non è vero…» «Quante volte ci ho provato nei panni di Chat e mi hai snobbato, eh?» «Questo perché…» «Ti rispondo io: sempre. Poi arriva quest’idiota e tu non riesci neanche a dirgli no.» «Te l’ho detto!» sbottò Plagg, facendo capolino dalla borsa: «E’ geloso! E quando è geloso diventa stupido.» «Plagg, vuoi ancora mangiare Camembert?» «Ehi, signorino. Vuoi ancora essere l’eroe di Parigi?» «Siamo arrivati!» trillò Tikki, mettendo fine a ogni discussione e indicando l’insegna di un centro massaggi cinese: «E lì che dobbiamo andare.» «Ma Tikki quello è…» «Esatto, Marinette.» «Ci siete già state?» domandò Adrien, voltandosi verso la ragazza e studiando sia lei che la kwami. «Una volta sola, Tikki si era sentita male e mi aveva detto di portarla da un medico per kwami.» Marinette si bloccò, portandosi una mano alla bocca: «Il vecchietto! Era lui, il medico per kwami!» Il ragazzo sospirò, guardando la porta e notando che l’anziano stava facendo capolino dalla porta e li fissava divertito: «Ladybug e Chat Noir. Siete arrivati finalmente.» «Questo caffè fa schifo.» commentò la ragazza, poggiando la tazzina e osservando male il contenuto: «E’ acqua colorata, senza sapore.» «Pretendevi di trovare del vero caffè italiano a Parigi?» le domandò il kwami arancio e dalle fattezze volpine, nascosto nella tasca della sua felpa: «Sei stata solo una povera illusa.» «Molto divertente, Vuxi.» borbottò l’umana, prendendo il proprio tablet e tornando a studiare il Ladyblog. Fu osservò i due giovani seduti davanti a lui, sorseggiando il thé tranquillamente: «Bella giornata, vero?» domandò, osservando la ragazza abbozzare un sorriso imbarazzato e il suo compagno sbuffare. «Perché ovviamente siamo venuti a parlare del tempo…» bofonchiò quest’ultimo, incrociando le braccia al petto e fissandolo. «Noto che ho scelto bene il possessore dell’anello del Gatto Nero.» commentò Fu, posando la tazza e sorridendo al giovane: «Sei impaziente come Plagg…» «Io non sono impaziente.» borbottò Plagg, volando fuori dal suo nascondiglio e accomodandosi sulla spalla di Adrien: «Non mi piace attendere quando non è necessario.» «Quello vuol dire essere impazienti, Plagg.» Marinette e Adrien si voltarono verso il grammofono, trovandosi davanti un esserino verde, molto simile a una tartaruga, che li salutò: «Buonasera, sono Wayzz.» «Il famoso Wayzz…» mormorò Adrien, mentre il kwami verde volava vicino Fu. «E’ un kwami?» «Sì, signorina.» dichiarò Fu, annuendo e mostrando loro il braccialetto che indossava: «E’ il kwami del Miraculous della Tartaruga.» «Non pensi di stare tirando un po’ troppo la corda?» Il ragazzo sorrise, voltandosi verso l’esserino blu, picchiettandogli l’indice sulla testa: «Tu dici, Flaffy?» «Io dico.» sbottò stizzito il kwami del Pavone, aprendo la coda e fissando male il suo protetto. «Mi sto solo divertendo.» «Non dovresti divertirti. Abbiamo una missione da compiere.» Adrien si fermò davanti la vecchia scuola, proprio nel punto esatto in cui, parecchio tempo prima, aveva aiutato un anziano signore a raccogliere il suo bastone: «Sai, non pensavo che quel giorno avrebbe cambiato così tanto la mia vita…» mormorò, fissando la ragazza a pochi passi da lui: «Ero riuscito a scappare di casa e stavo venendo a scuola, Nathalie e il gorilla mi avevano raggiunto, sarei riuscito a entrare, ma poi vidi quel signore e nessuno che lo aiutava…» «Anche per me fu lo stesso: ero uscita di casa e c’era questo vecchietto che attraversava con il rosso, stava quasi venendo investito da un auto e…» alzò le spalle, scuotendo il capo: «Fra tutti ero proprio la meno adatta a diventare Ladybug.» «Sicura? Secondo me ha fatto una scelta ottima.» dichiarò Adrien, offrendole il braccio e avviandosi poi verso la boulangerie dei genitori della ragazza: «Allora, cosa ne pensi?» «Del fatto che, secondo la leggenda che gira attorno ai Miraculous, Ladybug e Chat Noir sono anime gemelle? O riguardo al fatto che tale Coeur Noir vuole avere il potere assoluto e per questo sta cercando i Miraculous?» «Dato che abbiamo provato personalmente la questione delle anime gemelle, direi su Coeur Noir.» La ragazza sospirò, scuotendo il capo: «Che non c’è mai pace per i supereroi?» «E riguardo agli altri Miraculous?» Marinette strinse leggermente la presa sul braccio del ragazzo, mentre si fermavano in attesa che il semaforo diventasse verde: «Secondo il maestro Fu dovremmo trovare gli altri.» mormorò, poggiando la testa contro la spalla di lui. «Però...» Adrien sospirò, alzando il volto verso il cielo che si stava imbrunendo: «Siamo realisti, guarda cos’è successo a mio padre: chi ci assicura che anche gli altri siano tutti buoni? Seriamente, altre tre persone con superpoteri come i nostri che pensano al bene? E’ possibile?» «Noi l’abbiamo fatto.» «Sì, ma…» «Vediamo come andrà avanti questa storia, ok?» «In fondo siamo Chat Noir e Ladybug.» «Ladybug e Chat Noir, è differente.» «Come desidera la mia signora.» dichiarò Adrien sospirando e portando lo sguardo verso il negozio, notando la macchina argentea ferma davanti: «Andiamo, devi ancora scoprire la tua sorpresa.» «Così che potrò ringraziarti?» «Oh oh.» «Ti dirò semplicemente “Grazie”» dichiarò Marinette, puntandogli il dito contro il naso e attraversando velocemente la strada: «Non quello che pensi tu, gattaccio maniaco.» «E’ solo questione di tempo, my lady.» commentò Adrien, superandola e aprendole la porta della boulangerie: «Buonasera, Sabine!» «Oh, Adrien!» la mamma di Marinette gli sorrise, avvicinandosi con un vassoio di croissants: «Tom sta facendo un po’ di prove, vuoi assaggiare? Nathalie…» si volse verso la segretaria austera degli Agreste: «…ha dichiarato che quelli al caramello sono i migliori.» «Assaggio più che volentieri.» Adrien osservò il vassoio, leccandosi le labbra poi, ricordandosi di un certo evento del passato, si voltò verso Marinette, guardandola serio: «Tu non dire niente. Nulla. Zitta.» «D’accordo, d’accordo!» sbuffò la ragazza, superandolo e alzando gli occhi al cielo: «Per quanto intendi rinfacciarmelo ancora?» «Mi hai portato via un vassoio di croissants e uno di biscotti. Sono cose che non si dimenticano facilmente.» «Ma è successo quattro anni fa!» «Buonasera, Marinette.» s’intromise Nathalie, mettendo fine al diverbio e attirando su di sé l’attenzione della ragazza: «il signor Agreste mi ha detto di consegnarle questo, sperando che possa accettare ed essere presente.» La ragazza prese la busta bianca che le venne offerta e l’aprì: «Oh…mio…ah…eh..io…cioè…non…io…» «Sta dicendo “grazie”, Nathalie.» tradusse Adrien, pulendosi la bocca dalle briciole del croissant e avvicinandosi: «Papà pensava ti potesse interessare…» «Interessare? Interessare? L’apertura della settimana della moda è…oooh. Non posso crederci. Ci saranno tutti i più grandi stilisti! Ci sarà Gabriel Agreste!» «Ma va?» borbottò Adrien, prendendo un'altra brioche: «Questa a cos’è?» «Penso sia all'uva passa.» gli rispose Sabine, studiando il cornetto: «Adrien, ringrazia tuo padre per questo invito.» «Presenterò.» «Il signor Agreste…» continuò Nathalie, sistemandosi gli occhiali: «Ha chiesto se ha un modello adatto all’occasione, in modo da fornirlo ai sarti della nostra maison e realizzarlo.» «Un mio modello? Per la festa?» «Sì, possibilmente qualcosa di elegante. Un vestito lungo sarebbe ideale.» «Non ho mai disegnato niente del genere…» «Sì, invece.» s’intromise Adrien: «Ce n’è uno che va bene.» «Che succede?» domandò Tom Dupain, uscendo dal laboratorio del negozio e sorridendo ai presenti: «Adrien! Assaggiato qualcosa?» «Ho provato quello alla mela e adesso questo.» rispose prontamente il ragazzo, alzando la brioche che teneva in mano e poi tornando a fissare la ragazza: «Il blocco da disegno, Marinette.» «Tesoro, il padre di Adrien ha invitato nostra figlia all’apertura della settimana della moda.» lo informò velocemente Sabine, avvicinandosi al marito e sorridendo, mentre Adrien prendeva l’album e sfogliava le pagine finché non trovò quella che cercava: si allontanò mostrando il modello a tutti e addentando soddisfatto il croissant. «Ma è bellissimo, Marinette.» «No, questo no.» «Perché no?» chiese il ragazzo, avvicinandosi e studiando il disegno: «E’ un abito da sera, no? E poi a me piace.» «La schiena. Guarda la schiena.» Il biondo osservò il modello: «Ok, è scoperta. E allora?» «Non va bene.» «Va benissimo.» dichiarò deciso lui, passando il blocco a Nathalie e sorridendo allo sguardo di disapprovazione di Marinette: «Questo.» «Adrien, non posso metterlo…» «Perché no, tesoro?» domandò Sabine, abbracciando la figlia e sorridendo: «E’ un bel disegno e sono certa che sarai bellissima.» «Quello che dico anch’io.» assentì Adrien, osservando il vassoio di croissant: «Nathalie, quali sono quelli al caramello?» «Quelli con la granella di zucchero sopra.»
#miraculous#miraculousladybug#ladrien#ladybug#ladynoir#marinette#adrien x marinette#marichat#marinette cheng#ml fanfic#fanfiction#italian fanfiction#adrien agreste#adrinette#chatnoir#quantumuniverse
0 notes