#psicologia esperimenti
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(via Philip Zimbardo)
Il 14 ottobre è morto Philip Zimbardo professore emerito alla Stanford University e direttore dello Stanford Center on Interdisciplinary Policy.
Zimbardo è stato uno degli Psicologi più influenti del secolo scorso e di questo secolo. Con le sue ricerche e i suoi esperimenti, ha rivoluzionato il modo di intendere la Psicologia Sociale attraverso lo studio del comportamento umano quando vi è l’influenza del gruppo d’appartenenza sociale..
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#philip zimbardo#experiment#effetto lucifero#psicologia#psicologia e società#prigione di Stanford#psicologia esperimenti
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inzaghi ha un dottorato segreto in psicologia a lui piace fare esperimenti e influenzare le masse fargli cambiare idea dopo dieci secondi per dimostrare la labilità delle masse.
guardali come si stavano dilaniando fino a mezz'ora fa questi
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Robot possono aiutare nella ricerca del Sé?
Robot e coscienza di sé la una nuova frontiera per la ricerca in psicologia. Un recente articolo pubblicato su Science Robotics esplora il concetto di "senso di sé" negli esseri umani e come la robotica possa contribuire a una maggiore comprensione di questo fenomeno complesso. Gli autori, un team multidisciplinare composto da una robotica cognitiva, uno psicologo cognitivo e uno psichiatra, propongono di utilizzare i robot come modelli incarnati del sé e come piattaforme per esperimenti psicologici. L'idea di base è che il senso di sé negli esseri umani sia intrinsecamente legato al corpo, alla sua percezione e alle azioni che compiamo nel mondo. La ricerca in psicologia cognitiva suggerisce che il senso di sé non sia un'entità monolitica, ma un insieme di processi in continua evoluzione, come il senso di "possesso" del corpo e il senso di "agency", ovvero la sensazione di controllo sulle proprie azioni. I robot, in quanto agenti fisicamente incarnati, possono essere programmati per simulare i processi cognitivi che contribuiscono a questo tipo di percezione nell'uomo. Ad esempio, i robot possono essere utilizzati per testare le teorie secondo cui il senso di sé si sviluppa come la migliore spiegazione che il cervello riesce a dare della propria esperienza sensoriale e del proprio ruolo nella generazione di tali segnali. Inoltre, i robot possono essere impiegati in esperimenti psicologici in cui gli esseri umani interagiscono con loro. Questi esperimenti possono aiutare a capire se le persone percepiscono i robot come "altri" sociali e se gli stati mentali che attribuiscono ai robot sono simili a quelli che sperimentano quando interagiscono con altre persone. Alcuni esperimenti condotti dall'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) hanno già dimostrato che, in determinate condizioni, gli esseri umani sviluppano un senso di "agency congiunta" con i robot, quando agiscono insieme come una squadra e il robot è percepito come un agente intenzionale. Gli autori tracciano anche un parallelismo tra lo sviluppo del senso di sé negli esseri umani nel corso della vita e la possibilità di trasferire alcune delle sue caratteristiche ai robot. Ad esempio, i bambini a 4 anni hanno già un senso di sé come entità che esiste nel tempo e percepiscono anche le altre persone come dotate di un sé. Questi aspetti del sé potrebbero essere replicati nei robot creando sistemi di memoria simili alla memoria autobiografica umana. Tuttavia, questo tipo di ricerca è ancora agli inizi. I robot attuali non hanno consapevolezza di sé come entità persistenti nel tempo, né sono consapevoli degli altri (umani o robot) come esseri dotati di un sé. L'articolo evidenzia anche le sfide future e le direzioni di ricerca per la comprensione del senso di sé attraverso la robotica, in particolare nei casi in cui il senso di sé è compromesso a causa di condizioni come la schizofrenia o l'autismo. Comprendere questa diversità potrebbe fornire nuove prospettive sui mattoni fondamentali dell'esperienza del sé. Read the full article
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Naomi Weisstein
Sono femminista perché ho visto la mia vita e quella delle donne che conosco molestate, ignorate, danneggiate, distrutte. Sono femminista perché senza le altre posso fare ben poco per fermare l’indignazione. Senza il movimento politico e sociale di cui faccio parte, la mia determinazione e perseveranza, le mie risposte intelligenti, le mie ore di paziente spiegazione, i miei anni di esortazione valgono a poco.
Naomi Weisstein, psicologa cognitiva, neuroscienziata, autrice e accademica.
I suoi scritti hanno offerto importanti spunti di riflessione sul sessismo in psicologia.
Ha condotto ricerche in psicologia sociale e cognitiva, biologia matematica e psicologia clinica e aperto la strada allo studio della percezione e dell’elaborazione visiva. Nei suoi lavori ha dimostrato come le aspettative sociali influenzano e confondono la ricerca.
Figura fondamentale del movimento femminista, ha identificato distorsioni e pregiudizi in psicologia.
Ha contribuito a fondare la Chicago Women’s Liberation Union e utilizzato il teatro, la stand up comedy e la musica per diffondere le sue idee.
Nata il 16 ottobre 1939 a New York, da Mary Menk e Samuel Weisstein, l’interesse per il femminismo le era stato tramandato dalla madre, mentre l’amore per la scienza era nato quando, giovanissima, aveva letto il libro Microbe Hunters di Paul de Kruif.
Dopo la laurea al Wellesley College, ha svolto un dottorato di ricerca dall’Università di Harvard, ma venne costretta a completare gli esperimenti sull’elaborazione parallela del cervello a Yale perché non aveva accesso al laboratorio. Non le veniva permesso di usare le attrezzature perché riservate agli uomini, avrebbe potuto danneggiarle in quanto donna!
Non poteva neppure studiare in biblioteca, perché le donne potevano distrarre gli studenti maschi.
Ha completato il post-dottorato all’Università di Chicago con il Committee of Mathematical Biology. La sua tesi di laurea verteva sul concetto di elaborazione parallela, ovvero la nozione che il cervello sia un agente attivo nel plasmare la realtà. Concetto che è ancora oggi oggetto di studio.
Durante gli anni universitari si è unita a diversi gruppi politici tra cui lo Student-Non-Violent Coordinating Committee, il Women’s Radical Action Project e University of Chicago Students for a Democratic Society.
Ha insegnato all’Università di Chicago, alla Loyola University e alla State University di New York, ma la vita da docente è stata come quella da studente, irta di ostacoli e discriminazione.
La diseguaglianza di trattamenti l’ha spinta a diventare un’attivista politica femminista. Alcune delle sue azioni includevano la pubblicazione di articoli nel campo della psicologia che descrivevano in dettaglio la mancanza di comprensione delle donne, così come l’adesione al Congresso sull’uguaglianza radicale.
Nel 1969 ha contribuito a fondare la Chicago Women’s Liberation Union che includeva l’omonima rock band di cui ha scritto due canzoni. L’organizzazione aveva come priorità il miglioramento della vita delle donne e delle comunità emarginate, come quella LGBT.
Ha lavorato alla Loyola University dal 1966 al 1973 e fatto parte dell’American Association for the Advancement of Science e dell’American Psychological Society.
Nel 1968 ha pubblicato l’articolo Psychology Constructs the Female, testo determinante del femminismo della seconda ondata che evidenzia il fallimento degli uomini nell’adattare le loro opinioni su natura e ruoli delle donne.
Nel 1979 le venne assegnata la borsa di studio Guggenheim Fellowship.
In seguito alle molestie subite dai colleghi, le intimidazioni nei confronti e le contestazioni, nel 1983, ha smesso di insegnare alla State University di New York a causa della sindrome da stanchezza cronica.
Si è spenta a Buffalo il 26 marzo 2015 a causa di un cancro.
Le sue scelte le hanno posto davanti sfide continue, a partire dalla disapprovazione del padre, proseguendo con la discriminazione subita a Harvard fino ai colleghi maschi che tentavano di rubarle il lavoro. La credibilità della sua ricerca è stata spesso messa in discussione e tante opportunità di lavoro le sono state negate, soltanto perché era una donna.
Ha resistito finché ha potuto e usato la sua voce e la posizione accademica per gettare le basi del femminismo nel campo della psicologia, lasciando un impatto notevole nella storia.
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Cos'è il Growth Hacking?
Il growth hacking è una strategia che startup e organizzazioni di ogni dimensione mettono in campo per puntare sulla crescita e scalare rapidamente. Nel mondo del marketing digitale è una delle tendenze più in voga del momento, ma cos'è esattamente il growth hacking e come sfruttarlo per far crescere il vostro business? Scopriamolo insieme.
Cos’è il growth hacking?
Il growth hacking è una metodologia che consiste nella sperimentazione agile di strategie, soluzioni e tattiche su prodotti e campagne di marketing per far crescere un business o raggiungere un determinato obiettivo aziendale (trovare nuovi clienti, aumentare il tasso di conversione, ampliare i contatti per l'email marketing, ecc.) il più velocemente possibile e in modo scalabile.
Più che una strategia ben definita, il growth hacking è una filosofia d’azione e un processo che consente di focalizzarsi sulla crescita, mettendo in secondo piano gli elementi più tradizionali del marketing come budget, costi e conversioni a favore di una serie di esperimenti o tecniche agili che consentono di accelerare la crescita. Nel marketing tradizionale, infatti, le risorse sono strettamente collegate al concetto di campagna stessa, con tempi, modalità e canali specifici per veicolarla; il growth hacking, invece, consente di suddividere il budget in tanti piccoli esperimenti, o campagne, di breve durata.
Per capire meglio cos’è e cosa significa growth hacking, facciamo un passo indietro per conoscere la storia del growth hacking e l’origine della parola: il termine “growth hacking” è stato coniato nel 2010 da Sean Ellis, imprenditore, investitore e consulente statunitense che ha contribuito alla crescita di startup come Airbnb, Eventbrite e Dropbox utilizzando metodi creativi e innovativi, portandole a diventare le aziende di successo che sono oggi.
Il growth hacking marketing è una strategia messa in campo dalle startup innovative che non dispongono di budget o risorse importanti e devono puntare tutto sulla crescita organica e sulla scalabilità nel tempo. Le startup, infatti, si prestano particolarmente bene al growth hacking anche per la rapidità con cui possono evolversi e cambiare direzione strategica: pensiamo a quelle startup che non hanno ancora una clientela ben definita oppure un prodotto o servizio finito e possono permettersi di sperimentare nuove strategie per capire velocemente cosa funziona e cosa no.
Per sopravvivere, le startup hanno necessariamente bisogno di crescere e il growth hacking consente di farlo con una serie di strategie a basso rischio e facilmente modificabili se necessario.
Chi è il growth hacker?
Le strategie di growth hacking vengono sviluppate dalla figura del growth hacker, un esperto di marketing che dispone di un’ampia conoscenza di skill e strumenti del mondo digitale, gestione di prodotto, comunicazione, programmazione e psicologia. Il growth hacker, quindi, è una figura che supporta startup, aziende e negozi nel loro percorso di crescita con strategie creative e fuori dagli schermi.
Dovendo combinare abilità e competenze anche molto diverse tra loro, tra cui content marketing, ottimizzazione del funnel di vendita e analisi dei dati, il growth hacker è una figura trasversale e diversa da quella del marketer tradizionale: mentre quest’ultimo si concentra maggiormente sulle fasi iniziali del customer funnel, il “top of the funnel” che include il branding, l’awareness e l’acquisizione clienti, il growth hacker si occupa anche delle fasi successive del customer journey, come la retention, il referral e il revenue.
Cosa fa il growth hacker?
Proprio per la sua adattabilità, il growth hacker spesso non ricopre un profilo specifico all'interno di un'organizzazione. Può essere un consulente esterno o inserito all’interno del marketing team dell’azienda, a seconda delle necessità.
Tra le mansioni tipiche di un growth hacker, troviamo:
Sfruttare le potenzialità degli strumenti di marketing;
Effettuare esperimenti in modo continuo;
Analizzare, ottimizzare e ridurre i costi di conversione e scalabilità;
Sviluppare una strategia di crescita basata sul metodo AAARRR, che vedremo in seguito;
Migliorare il processo di acquisizione clienti per ottimizzare il tasso di conversione;
Ottimizzare la user experience per migliorare i processi aziendali.
Come si fa growth hacking: tecniche e funnel dei pirati
Se vi state chiedendo come fare growth hacking, è importante ripetere un concetto che abbiamo già spiegato: il growth hacking non è un’azione, ma un processo. Ciò significa che fare growth hacking non vuol dire lanciare una campagna di marketing virale o aumentare le vendite con tecniche di cross-selling, ma ideare, verificare e modificare il proprio approccio in modalità “lean”, agile, seguendo una serie di fasi che prende il nome di “funnel dei pirati” per l’acronimo AAARRR, e si articola nei seguenti step:
Awareness: il punto di partenza consiste nella fase di awareness, quella in cui dovrete far conoscere il vostro brand o prodotto ai potenziali clienti. Alcune delle strategie che si rivelano più efficaci sono il social media marketing, l'affiliation marketing, l’email marketing o la SEO, tanto per citarne alcune.
Acquisizione: in questa fase, il cliente è consapevole dell’esistenza del vostro brand e sta intraprendendo le prime azioni per imparare a conoscerlo, ad esempio visitando il vostro sito web. Metriche come il tempo di sessione medio o il tasso di rimbalzo possono aiutarvi a capire se il vostro sito è ben ottimizzato o se c’è del lavoro da fare. Sperimentate tramite test A/B per comprendere cosa sta funzionando e confrontare i risultati.
Attivazione: in questo step cruciale, il cliente sta prendendo in seria considerazione di passare all'azione, ad esempio acquistando il vostro prodotto o iscrivendosi alla newsletter, e potrebbe avere bisogno di un incentivo per finalizzare l'operazione; alcune delle tecniche più efficaci per convincerlo sono offrire contenuti di qualità tramite il content marketing oppure un piccolo omaggio come un codice sconto per il primo acquisto.
Retention: secondo alcuni studi, acquisire nuovi clienti può costare fino a cinque volte tanto che mantenere i clienti attuali. E l’obiettivo della fase di retention è proprio questo: trasformare clienti da abituali a fissi. Questa strategia avrà inoltre un notevole impatto sulla vostra capacità di generare reddito, perché secondo Adobe, “negli Stati Uniti, il 40% delle entrate proviene dai clienti che ritornano sul sito o ripetono l’acquisto, e questi rappresentano solo l’8% di tutti i visitatori”.
Referral: come trovare nuovi clienti e ampliare il proprio pubblico? Una tecnica comunemente utilizzata nel growth hacking è spingere gli utenti attivi a parlare del vostro servizio o prodotto ad amici, parenti e conoscenti, ad esempio tramite il referral marketing e offrendo un incentivo ai clienti che ne portano altri. Secondo AdWeek, il 74% dei clienti ha dichiarato che il passaparola influenza i propri acquisti.
Revenue: infine, questa fase serve a convincere i clienti a fare qualcosa per consentire all’azienda di guadagnare, ad esempio sottoscrivendo un abbonamento o acquistando un prodotto.
Growth hacking: esempi e casi studio
Tra i casi studio di growth hacking più efficaci, analizziamo le storie di Hotmail, Airbnb e Dropbox.
Hotmail, una delle piattaforme di email più utilizzate fino a qualche anno fa, venne lanciato nel 1996 e i suoi fondatori, invece di investire risorse pubblicitarie sui media tradizionali, pensarono di sviluppare un programma di referral basato sulla frase «P.S. Ti voglio bene. Ottieni la tua email gratuita con Hotmail», alla fine di ogni email. Questa piccola azione scatenò un vero e proprio effetto virale che consentì a Hotmail di guadagnare milioni di utenti in poco tempo e portò alla successiva acquisizione della startup da parte di Microsoft.
Un altro esempio eclatante è quello di Airbnb, che agli albori sfruttò una falla su Craiglist, una piattaforma di annunci, per consentire agli utenti che pubblicavano un annuncio di affitto immobiliare su Craiglist di pubblicare automaticamente lo stesso annuncio anche su Airbnb. Trattandosi di un target molto simile, questa strategia consentì ad Airbnb di scalare rapidamente il proprio business fino a soppiantare la stessa Craiglist come principale piattaforma di annunci immobiliari negli Stati Uniti.
C'è infine Dropbox, il servizio di file hosting in cloud, che tramite un programma di referral offre spazio di archiviazione gratuito agli utenti che invitano altre persone a iscriversi al servizio. Questa formula ha consentito a Dropbox di crescere rapidamente - e in modo organico - tramite il passaparola.
In conclusione...
Come abbiamo visto, il growth hacking è un processo di sperimentazione che permette alle startup e organizzazioni di crescere rapidamente e focalizzarsi sulla scalabilità. Ma come ogni strategia di marketing, non c'è una formula vincente per tutti: con il growth hacking diventa necessario provare, sperimentare, modificare la propria tattica fino a trovare ciò che funziona per voi.
Domande frequenti sul growth hacking
Cosa significa growth hacking?
Il growth hacking è un processo strategico che prevede una serie di esperimenti di marketing che hanno l'obiettivo di accelerare la crescita di startup, aziende e organizzazioni. Il growth hacking non si articola in una singola campagna o strategia di marketing ma consiste in un insieme di esperimenti continui e modificabili in base al feedback e ai risultati ottenuti.
Cosa fa il growth hacker?
Il growth hacker progetta esperimenti, li trasforma in procedure attuabili e traccia i risultati per capire se funzionano e, in caso contrario, interviene per modificarli.
Come si diventa growth hacker?
Per diventare growth hacker, è necessario padroneggiare un'ampia serie di skill e abilità in campi spesso diversi tra loro, come marketing, gestione di prodotto, comunicazione, programmazione e psicologia, e metterli sul campo per consentire a startup e aziende di crescere rapidamente.
Quanto guadagna un growth hacker?
Lo stipendio medio annuo di un growth hacker va dai 20 ai 35 mila euro per una figura junior, mentre può raggiungere cifre intorno ai 120-130 mila euro per un profilo senior più avanzato.
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/pensieri-lenti-e-veloci/?feed_id=981&_unique_id=65140b7a8afef %TITLE% “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman è un libro che mi ha colpito per i suoi spunti illuminanti. Parlarne in modo sintetico significa inevitabilmente semplificarlo, vista la quantità di informazioni che contiene. Si tratta di una profonda esplorazione della psicologia umana applicata alla decisione. L’autore, premio Nobel per l’economia, ci guida in un viaggio affascinante dentro la mente umana, mostrandoci come prendiamo decisioni, risolviamo problemi e formuliamo giudizi. Il libro si occupa di vari aspetti: da come distinguere un’informazione vera da una falsa, a come credere o meno a una storia, a come valutare se un investimento o un rischio siano convenienti, a come si tende a scegliere un candidato politico. Il fulcro del libro è la contrapposizione tra due sistemi di pensiero: il Sistema 1 e il Sistema 2. Il Sistema 1 è il nostro pensiero automatico, rapido e intuitivo. È quello che usiamo per prendere decisioni immediate, basate su emozioni e istinti. Il Sistema 2 è invece il nostro pensiero lento e riflessivo. È quello che attiviamo quando dobbiamo affrontare compiti che richiedono analisi approfondita e calcoli dettagliati. Kahneman illustra come queste due modalità della nostra mente interagiscano, spesso in conflitto, e come i bias cognitivi e le euristiche influenzino le nostre scelte quotidiane. Ci fornisce numerosi esempi e casi studio che dimostrano come siamo soggetti a errori sistematici e irrazionalità nella nostra presa di decisione. Tra questi errori cognitivi ci sono l’ottimismo eccessivo, l’avversione alla perdita, la disponibilità eccessiva e molti altri. Una delle qualità distintive di questo libro è la sua accessibilità. Nonostante tratti di concetti complessi, è un libro facilmente leggibile e non particolarmente pesante. L’autore presenta la psicologia cognitiva e l’economia comportamentale in un linguaggio chiaro e comprensibile, rendendole accessibili anche a chi non ha conoscenze specifiche in materia. Inoltre, propone diversi esempi ed esperimenti che tutti possiamo riconoscere e sperimentare nella nostra vita. “Pensieri lenti e veloci” offre una cornice concettuale utile per comprendere il funzionamento della mente umana e per sviluppare strategie per prendere decisioni più razionali e informate. L’autore dimostra come il pensiero lento e analitico (Sistema 2) possa essere utilizzato per correggere i bias cognitivi e migliorare la qualità delle decisioni che prendiamo. Ma allo stesso tempo ci mostra come sia impossibile liberarci completamente dai bias e come questi influenzino indistintamente ogni essere umano. È una lettura essenziale per chiunque sia interessato a capire meglio come funziona la mente e come prendere decisioni più sagge nella vita personale e professionale. Il libro è un classico della psicologia comportamentale e rimane una risorsa preziosa per chiunque voglia esplorare il mondo della psicologia della decisione.
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Classe '91, curiosa di natura, determinata dalla nascita, ambiziosa per scelta.
Sin da bambina sono una creativa: da piccola disegnavo, creavo, dipingevo e a volte facevo piccoli disastri su qualche mobile. Non perdevo una puntata di Art Attack, finendo litri di colla vinilica e tonnellate di tempere.
Quando avevo le mani pulite, invece, ho scoperto la bellezza della lettura e della scrittura, due amori che dopo tanti anni vanno ancora a gonfie vele.
Finito il Liceo Classico, confermo la mia propensione per le materie umanistiche portando avanti altre due passioni: la psicologia e la filosofia, in altre parole il mondo infinito e inesplorato che gira dentro e fuori l'essere umano.
La letteratura è quella che più mi forma in assoluto a livello umano, insieme ad esperienze di vita importanti.
Credo molto nell'impegno e nella determinazione, poco o niente alla fortuna e al destino.
Dalla letteratura al marketing ci arrivo con le esperienze lavorative.
Infatti, avendo lavorato tanti anni nel campo turistico e commerciale sempre a stretto contatto col pubblico, ho fatto tanta gavetta, affrontato tante situazioni diverse e soprattutto ho osservato. Osservo sempre.
E' lavorando che faccio una scoperta straordinaria: la vendita è strettamente correlata ad elementi psicologici.
Non si compra quasi mai per pura necessità, ma si compra per soddisfare dei bisogni che nulla hanno di pratico. E spesso, neanche di consapevole.
Questo mi ha incuriosito tanto, da saperne di più. E' così che scopro il mondo del marketing.
Il mio è stato un percorso, tutto creativo, al contrario: ho cominciato
dalla pratica sul lavoro per arrivare alla teoria dei libri e dei corsi professionali: studiando il marketing e i comportamenti d'acquisto ho potuto dare un nome alle tecniche e alle regole che avevo già riconosciuto ''sul campo'', agli esperimenti svolti negli anni che avevano un nome che non conoscevo, ai processi che riconoscevo giusti.
Da un anno ho scoperto la mia strada, perchè non ho mai smesso di sentire che doveva esistere una professione che unisse tutto quello che sono e che amo fare.
Creare, non più con i pastelli ma con gli strumenti di grafica.
Scrivere, per entrare in empatia e persuadere.
Analizzare andando in profondità nelle cose, grattando la
superficie e non smettendo mai di farsi domande, come
solo la psicologia e la filosofia sanno insegnare.
Comprendere le persone e il loro mondo.
Tutto questo, per vendere.
Il lavoro che racchiude tutto questo è diventato il mio:
sono un Social Media Manager.
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La noia
Ti dichiaravi insoddisfatto di qualunque cosa terrena, e nell'immaginare l'Universo intero, con il suo inestimabile numero di mondi, sentivi ch'era anch'esso insufficiente e piccolo per il tuo animo e il tuo desiderio. Innanzitutto vorrei dirti che immaginare non è sperimentare. Per quanto con il pensiero induttivo confidente nella logica, che tu praticavi, possono persino essere condotti esperimenti scientifici senza neppure toccare un alambicco, la realtà ha un elemento di sorprendente imponderabilità che io chiamo la sua magia (scientificamente chiamata teoria del caos).
L'universo non è infinito; il vuoto - se avesse estensione - lo sarebbe. Infatti dicevi che l'essere è nient'altro che un neo - un difetto - del nulla, e ch'è così poca cosa di fronte all'estensione del nulla, da poter essere considerato, senza molto scarto d'errore, anch'esso nulla. La tua frase, altamente suggestiva e seducente per estremismo, epitome della tua filosofia è, appunto, l'essere è il nulla.
Capisco che immaginare infiniti mondi sostanzialmente identici fra loro, rocce e gas, e tutte le stelle come repliche del sole, non sia di nessuna soddisfazione. Perché in tutto ciò, noi rimarremmo uguali: prigionieri, per quanto sia grande la prigione.
Ma di cosa, realmente, si è insoddisfatti, dei molteplici mondi o della propria condizione? Se fossimo liberi da tutti i nostri problemi fisici e psicologici (in primo luogo relazionali), e potenti di tutto, saremmo ancora insoddisfatti? Credo certamente che lo saremmo meno. Nella vita pratica non vi è assolutezza, ma parzialità. Non vi è tutto o nulla, ma meno e più. La psicologia non è filosofia.
Se credi, come hai detto nella Storia dell'Umanità, che l'amore corrisposto rende beati a un passo da quanto siano gli dei, vorrei saperti immerso in un'infinità d'amore, non da immaginare, ma da sperimentare in tutta la sua magia. Per una persona di eccelsa, e direi ineguagliabile, levatura morale come te, sarebbe l'elemento naturale. Altrove non potresti vivere.
Ti auguro una gioia che non solo ti basti, ma oltrepassi la misura. Così che l'unica insoddisfazione residua sarebbe di non poterla abbracciare tutta. Ma conciliare la completa conoscenza (che abbia, quindi, un oggetto finito) con l'infinità del nostro desiderio (appagabile da un oggetto infinito), è un problema di cui penso non verrò a capo. Quindi mi affido a te, con questa preghiera:
"Tu che creavi con le parole, perché ne vedevi l'origine, la storia e le accezioni, tu che ri-creavi la psiche umana scomponendola in tutti i suoi elementi costitutivi, dai più arcaici fino a quelli che ci rendono uomini contemporanei infelici, diventa il Santo patrono di chi si annoia. Inventa per noi la condizione in cui finalmente potremmo amare l'essere."
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Esperimento di Zimbardo
Lo studio di Stanford sulla prigionia, condotto da Philip Zimbardo nel 1971, è diventato uno dei più famosi esperimenti di psicologia di tutti i tempi. Lo studio ha coinvolto 24 studenti universitari maschi sani che sono stati casualmente assegnati ai ruoli di guardie o prigionieri in un simulato carcere all'interno dell'Università di Stanford.
Lo scopo dello studio era quello di esplorare come la situazione di prigionia potesse influire sull'atteggiamento e il comportamento dei partecipanti. Purtroppo, l'esperimento si è rivelato estremamente stressante per i prigionieri e ha dovuto essere interrotto dopo soli sei giorni, anziché i 14 previsti, a causa dell'intensità degli effetti psicologici sui partecipanti.
Le guardie, che avevano il potere, sono diventate rapidamente sadiche e hanno adottato comportamenti brutali nei confronti dei prigionieri, che a loro volta hanno sviluppato sintomi di depressione e disperazione.
L'esperimento di Zimbardo ha mostrato come le situazioni sociali possono influire in modo significativo sul comportamento umano e come la sottomissione a un potere autoritario può portare a comportamenti disumani. Inoltre, ha anche messo in evidenza la necessità di un'etica rigorosa nella ricerca psicologica, poiché gli effetti negativi sui partecipanti sono stati evidenti.
In generale, l'esperimento di Zimbardo ha fornito importanti insegnamenti su come le situazioni sociali possono influire sul comportamento umano e ha avuto un'enorme influenza sulla psicologia sociale e sulla comprensione delle dinamiche di gruppo.
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continuo a non ricordarmi metà esperimenti di psicologia sociale✨🥲
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IL MIO ANATROCCOLO MI SEGUE 🦆
🐣 COS’È L'IMPRINTING
È un particolare apprendimento istintivo che avviene entro le 24-48 ore dopo la nascita, detto “periodo critico”.
Lorenz è un etologo, biologo austriaco, che aveva osservato che gli anatroccoli appena nati seguono il primo oggetto in movimento che compare alla loro vista e tendono a seguirlo di continuo fintanto che non crescono.
L’autore dimostra che in alcune specie di animali poteva svilupparsi un forte legame nei confronti di una specifica figura materna senza l’intermediazione del cibo.
Definisce così l’Imprinting come la fissazione di innato istinto su un determinato oggetto. In generale questo primo oggetto è la madre, che ha covato le uova, ma lo stesso comportamento può essere messo in atto anche nei confronti di un essere umano, oppure addirittura verso una scatola di cartone:
🐁 ESPERIMENTO:
Harlow, un altro studioso, condusse una serie di ricerche su delle scimmiette separate dalla madre alla nascita, pervenendo alla stessa conclusione. 🐒🐒Le scimmiette venivano fatte alloggiare in una gabbia laddove erano presenti due fantocci: il primo era metallico e vi era legato un biberon dal quale la scimmietta poteva rifornirsi di latte; il secondo invece era ricoperto con un panno morbido.
🐒🐒Le scimmiette trascorrevano la maggior parte del loro tempo aggrappate al secondo fantoccio, dimostrando di preferirlo a quello che forniva loro il cibo. Inoltre era al secondo fantoccio che la scimmietta si aggrappava in cerca di protezione se provava paura.
#scienza#curiosità scientifiche#focus#notizie#notizie scientifiche#psicologia ita#psicologia italiana#psicologia dello sviluppo#sviluppo#lorenz#harlow#esperimenti#esperimenti scientifici#ambiente
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L'ESPERIMENTO MILGRAM - Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, filosofi, psicoanalisti e storici discussero per anni su come centinaia di migliaia di persone comuni eseguirono con disarmante normalità le azioni più riprovevoli ed aberranti (...). La “banalità del male” come l’aveva definita Hanna Arendt nel 1963 fu soggetta ad una verifica durante uno dei più controversi e scioccanti esperimenti di psicologia sociale nel 1961. Il professore Stanley Milgram dell’Università di Yale reclutò attraverso annunci sui giornali 40 volontari, maschi, tra i 20 e i 50 anni, di diversa estrazione sociale e professionale: insegnanti, dipendenti pubblici, ingegneri, operai, commercianti. Fu loro comunicato che avrebbero collaborato, dietro ricompensa, a un esperimento sulla memoria e sugli effetti dell’apprendimento. (...) Il volontario (è) condotto in una stanza (...). Nell’altra stanza (un allievo) “finto” (é) legato ad una sedia e gli viene fissato un elettrodo al polso. Il volontario, accompagnato da uno “scienziato” (...) ha a disposizione un generatore (...) in grado di somministrare delle scosse elettriche (all'allievo). Il suo compito è (...) leggere ad alta voce una serie di coppie di parole (...) che l’allievo nell’altra stanza deve imparare a memoria. Poi legge una lista di parole singole e l’altro deve dire la parola che vi era appaiata: se la risposta è giusta si procede, ma se è sbagliata il volontario deve comunicare la risposta esatta, quindi annunciare l’intensità della scossa che sta per mandare e poi premere un interruttore per somministrarla. A ogni risposta sbagliata l’intensità della corrente viene aumentata di 15 volt. Ovviamente il generatore di scosse è finto e l’allievo che in realtà è un attore simula paura e dolore quando viene “colpito” dalle scosse in un crescendo che presto mette a disagio diversi volontari. Quando si arriva ai 300 volt e le grida dell’allievo diventano insopportabili, alcuni volontari sono presi da crisi di nervi, altri appaiono dubbiosi e recalcitranti, in questo caso lo “scienziato” a loro fianco interviene incoraggiandoli con qualche parola e poi, di fronte a ulteriori dubbi, dice che non hanno altra scelta che andare avanti. Se si rifiutano, l’esperimento si conclude. Milgram pensava che pochi volontari sarebbero arrivati alla fine dell’esperimento ovvero a giungere al livello di 450 volt, invece sorprendentemente nonostante alcune crisi ed un profondo senso di disagio in diversi volontari, tutti e 40 arrivarono alla soglia dei 350 volt, mentre soltanto 5 si rifiuteranno di applicare la scossa da 450 volt. Questo stupefacente grado di obbedienza che aveva travalicato i principi morali della quasi totalità dei 40 volontari era ascrivibile fondamentalmente a tre fattori: - percezione di legittimità dell’autorità (nel caso in questione la persona in camice bianco incarnava l’autorevolezza della scienza). - adesione al sistema di autorità (l’educazione all’obbedienza fa parte dei processi di socializzazione). - le pressioni sociali (disobbedire allo sperimentatore avrebbe significato metterne in discussione le qualità oppure rompere l’accordo fatto con lui). L’esperimento fu molto criticato (...) ma ebbe il merito di fare luce sui meccanismi oscuri e perversi che possono indurre in determinati contesti delle brave persone a trasformarsi e compiere azioni gravissime e spietate se viene a loro richiesto dall’autorità. (...)
https://www.reccom.org/lesperimento-milgram-ovvero-la-banalita-del-male/
STIAMO VIVENDO UNO SCONFINATO ESPERIMENTO MILGRAM. SENZA “ATTORI”.
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[...] Correndo o camminando a un ritmo facile da sostenere la mente è libera di vagare perché si riduce l’attività nelle regioni prefrontali del cervello. Queste aree favoriscono i pensieri razionali e lineari, e alcuni studi suggeriscono che ridurre la loro attività permette il fluire di idee più ampie e creative.
Gli effetti continuano per almeno quindici minuti dopo aver smesso di camminare, hanno stimato i ricercatori dell’università di Stanford, in California. Secondo loro fare una passeggiata prima di un incontro dove si discuteranno nuove idee potrebbe essere benefico. Ma attenzione: i camminatori danno prestazioni leggermente peggiori rispetto a chi è rimasto seduto quando i problemi da risolvere sono più lineari.
È interessante anche il fatto che fare una pressione leggera sui piedi quando si cammina lentamente ha effetti sul flusso sanguigno che arriva al cervello. Gli studi di Dick Greene e dei suoi colleghi dell’università New Mexico Highlands di Las Vegas suggeriscono che quando il nostro piede tocca terra le arterie vengono compresse. Questo crea una turbolenza nel flusso sanguigno che aumenta di circa il 15 per cento la spinta verso il cervello.
Se si aumenta il ritmo della camminata fino a quello della marcia, le cose diventano ancora più interessanti. Negli esperimenti di Greene il principale aumento del flusso sanguigno coincide con il momento in cui i battiti del cuore e il ritmo dei passi si sincronizzano – 120 battiti e 120 passi al minuto, il che sembra suggerire l’esistenza di uno sweet spot, un punto magico. Non è chiaro che effetti abbia questo afflusso supplementare di sangue al cervello, ma sappiamo che l’esercizio in generale aumenta la materia grigia nell’ippocampo, che è fondamentale per la memoria e la consapevolezza spaziale.
Tutto questo appare logico se si pensa che gli esseri umani sono fatti per camminare molto, correre un po’ e usare i loro grandi cervelli per cacciare e raccogliere. L’antropologo David Raichlen dell’università della Southern California sostiene che ci siamo evoluti per diventare “atleti di resistenza e attivi a livello cognitivo”, e quindi non dovrebbe sorprenderci che i nostri corpi siano costruiti in modo tale che muoversi e pensare siano attività interconnesse.
[...] Per rafforzarsi non è necessario andare in palestra o comprarsi dei pesi: basta usare il peso del vostro corpo. Trascorrere più tempo seduti sul pavimento, per esempio, è un buon modo per irrobustire i muscoli delle gambe, perché a un certo punto dovrete alzarvi. Gambe forti rafforzano l’equilibrio e la coordinazione, due aspetti che risentono negativamente dei nostri stili di vita sedentari.
[...] Come specie, siamo nati per ballare. [...] Dalle ricerche emerge che i bambini di quest’età possono muovere il corpo a tempo con la musica, e che più sono in grado di muoversi a ritmo più sorridono. Anche in tenera età muoversi a ritmo sembra farci stare bene. Secondo gli studi condotti da Morten Kringlebach all’università di Oxford, la sensazione di benessere deriva dal fatto che i nostri cervelli funzionano come macchine predittive, che provano costantemente a indovinare cosa succederà. Secondo Kringlebach un ritmo regolare crea soddisfazione perché facilita la previsione di cosa succederà. Ogni volta che abbiamo ragione, otteniamo una piccola dose di dopamina, un neurotrasmettitore che partecipa alla sensazione di piacere. Tenere il ritmo con il corpo fornisce una seconda dose di dopamina, e potrebbe anche creare l’illusione che siano proprio i nostri movimenti a dare quel ritmo, dice la psicologa e musicologa Edith Van Dyck dell’università di Gand, cosa che ci fa sentire forti e con la situazione sotto controllo.
Muoversi a ritmo di musica quando siamo soli può renderci lo stesso felici. Farlo in una stanza con altre persone porta la soddisfazione a un livello superiore, perché aggiunge il piacere dei legami sociali. Alcuni esperimenti condotti sui bambini hanno mostrato che ci sono maggiori probabilità che questi aiutino gli adulti, per esempio a raccogliere un oggetto caduto per terra, dopo che hanno saltellato a tempo di musica. Se invece perdono il ritmo, sono meno disposti a collaborare. Qualcosa di simile succede anche agli adulti: muoversi in sincrono con altre persone aumenta la possibilità che ci interessiamo a loro e che condividiamo le nostre esperienze.
[...] quando regolate il vostro respiro, vi state in realtà prendendo carico delle vostre onde cerebrali, collegandole al ritmo con cui l’aria entra ed esce dal naso.
[...] Il modo più facile di mettere in pratica la cosa è chiudere la bocca e respirare al ritmo di sei respiri al minuto: inspirando per cinque secondi e poi espirando per altri cinque. È stato mostrato che respirare a questo ritmo è il modo più efficiente per riempire d’aria i polmoni e lasciare che l’ossigeno si diffonda nel sangue. Questo ritmo può aumentare la saturazione d’ossigeno dell’1 o 2 per cento circa, abbastanza per migliorare, anche se di poco, le funzioni cerebrali. È stato dimostrato anche che inspirare ed espirare sei volte al minuto stimola il nervo vago, che fa parte del sistema nervoso parasimpatico, il quale riporta il corpo a uno stato di calma dopo lo stress. Fatto interessante: gli studi dedicati alle preghiere e agli inni religiosi hanno scoperto che queste attività tendono a rallentare la respirazione, portandola a sei respiri al minuto.
[...] A tre respiri al minuto, succede qualcosa di totalmente diverso. In uno studio del 2018, coordinato da Andrea Zaccaro dell’università di Pisa, ad alcuni volontari è stata soffiata dell’aria nel naso, per simulare un respiro al ritmo di tre inalazioni al minuto. Dallo studio è emerso che le onde cerebrali si sincronizzavano nelle onde cerebrali delta e theta a bassa frequenza, soprattutto nelle regioni che processano le emozioni. Le onde theta sono collegate a un profondo rilassamento e a uno stato di “essere” piuttosto che di “pensare”, una condizione provata da molti volontari. La cosa è risultata così rilassante che alcuni partecipanti si sono addormentati. Ma per chi è riuscito a rimanere sveglio abbastanza a lungo, la respirazione lenta è un lasciapassare gratuito per raggiungere stati alterati di coscienza, senza bisogno di sostanze chimiche.
[...] Secondo gli studi di psicologia, una postura cadente è da lungo tempo associata a pensieri negativi e a sentimenti di sconfitta, mentre una postura eretta e distesa produce un atteggiamento mentale più positivo. Gli esperimenti dimostrano anche che tenere il corpo dritto durante un evento stressante aiuta le persone a essere meno colpite e a recuperare più velocemente.
[...] Allungare i muscoli contratti fa sentire bene, ma sembra che ci siano alcuni sorprendenti benefici aggiuntivi nello sciogliere i muscoli tesi. Nuove ricerche suggeriscono che lo stretching porta a cambiamenti nella fascia, quei fogli di tessuto connettivo che avvolgono i nostri muscoli e permettono loro di scivolare l’uno sull’altro quando ci muoviamo. [...] Questo potrebbe significare che l’allungamento o stretching aiuta a muovere i fluidi del corpo, permettendo al sistema immunitario di dare a questi liquidi una regolare pulizia e di rispondere all’infiammazione quando questa si manifesta. Si tratta di un fatto importante per la mente, perché alle infiammazioni incontrollate sono associati depressione, dolore cronico e fatica. Le infiammazioni incontrollate sono aggravate anche dallo stile di vita contemporaneo e dall’obesità, e accelerano mano a mano che invecchiamo. Gli studi sullo stretching e le infiammazioni sugli esseri umani sono ancora in corso, ma se fosse confermato che allungare e schiacciare la fascia spegne l’infiammazione dopo che la minaccia è passata, si spiegherebbe anche perché le persone che fanno yoga e tai chi hanno meno indicatori d’infiammazione nel sangue. Il che potrebbe essere un ulteriore motivo per concedersi pause regolari per fare stretching.
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La manipolazione si basa sull’induzione di una dissonanza cognitiva, ossia una contraddizione interna che porta qualcuno a parlare e a pensare in modo contrario a ciò che sente e percepisce o a ciò che un ragionamento logico suggerirebbe.
La sudditanza psichica, implica sempre una dissonanza cognitiva, ecco perché essa è funzionale al potere.
Un prigioniero, ad esempio, si abitua a vedere un benefattore nel proprio carceriere, imparando a negare dentro di sé le emozioni di rabbia e paura, così come la consapevolezza che questi lo privi della sua libertà.
Una donna che rimane accanto ad un marito violento, nega a se stessa che l’uomo che oggi, scusandosi, le ha portato un bel mazzo di fiori, sia lo stesso che ieri l’ha presa a pugni.
Capiamo quindi molto bene perché il potere si serva di queste leve psicologiche: un essere umano allenato a negare ciò che sente e ciò vede può essere indotto a fare qualsiasi cosa e obbedire a qualunque ordine, senza alcun limite etico.
Diversi esperimenti lo hanno dimostrato in modo incontestabile, laddove la storia non basti a fornire esempi.
Ho scelto la nuova campagna di marketing firmata Gucci, in quanto molto istruttiva nell’indicare come funzioni la comunicazione manipolativa.
La ricetta della manipolazione è la seguente:
Si presenta un fatto, che induce un certo sentire.
Nel caso di Gucci si sceglie come testimonial una donna, che palesemente mostra un aspetto contrastante con il ruolo assegnatole.
Chiunque, vedendo la sua foto, sente immediatamente che c’è qualcosa che non va.
Quel medesimo sentire viene però indicato come “sbagliato”, sotto il peso di un giudizio morale e di una conseguente punizione, che può essere anche la semplice stigmatizzazione sociale, cui l’essere umano è molto sensibile (punizione).
Nel nostro caso, chiunque facesse notare ciò che tutti vedono, ossia che la donna in questione non è bella, dimostrerebbe di essere un individuo meschino, che giudica una donna per il suo aspetto – ma di una foto su una copertina, cos’altro si dovrebbe giudicare, se non l’aspetto???
Si spingono quindi le persone, sotto il peso della minaccia (la riprova sociale è una forma di “punizione”), a dover affermare l’opposto di ciò che sentono, elogiando nel contempo chi accondiscende alla negazione (premio).
Ammiriamo in questo caso le sofisticate contorsioni retoriche di chi cerca di affermare che la modella abbia una “bellezza differente” ed altre sciocchezze del genere, che sarebbero argomenti validi in un saggio di filosofia, ma che non cambiano il fatto meramente estetico (forme, proporzioni, armonia, colori) che la modella non è bella.
Questo è l’aspetto più sottile. La reazione fisiologica che si genera nella psiche di chi sta subendo una manipolazione è la rabbia.
La rabbia, se incanalata correttamente, avrebbe proprio la funzione di spingere a reagire contro chi ci sta manipolando. Dal momento però che la natura della manipolazione è restare nascosta, la maggior parte delle persone prova in questi casi una forte rabbia, ma non sa perché.
Non trovando il suo vero bersaglio, ossia il manipolatore, la rabbia devia verso un oggetto secondario (la modella), che non è il manipolatore, ma parte del contesto attraverso cui si viene manipolati.
La rabbia è dovuta alla percezione di essere manipolati, ma quasi nessuno riesce a chiarirsi cosa stia accadendo. Il manipolatore (Gucci o chi per loro) non viene visto e la rabbia si dirige verso il mezzo con cui si è stati manipolati: la modella.
La vittima (il manipolato) sopraffatta dalla rabbia, la sfogherà in modo scomposto verso la modella che, di per sé, è solo una donna che si è prestata ad un servizio fotografico. E rivolgerà a quest’ultima una serie di insulti.
Questi deprecabili insulti, ma naturali e spontanei, serviranno ai manipolatori a “dimostrare” (faziosamente) quanto coloro che non si piegano alla manipolazione siano delle persone orrende.
ATTENZIONE, è verissimo che insultare una persona per il suo aspetto è un comportamento scorretto. Chi lo fa, sbaglia.
Ma il punto è questo(!): chi lo fa è stato indotto a sbagliare dalla manipolazione stessa!!!
Questo giochino è il sigillo più raffinato della manipolazione e si chiama in psicologia:”doppio legame”. Cioè la situazione nella quale qualunque comportamento agito da un soggetto (la vittima) sarà sempre considerato sbagliato e penalizzante.
Se fai il “bravo bambino” e accondiscendi, sei penalizzato perché devi ingoiare il rospo e negare ciò che senti.
Se protesti, sei giudicato cattivo e violento e sarai colpevolizzato.
Come si esce dalla manipolazione?
Semplice: unendo pensiero & sentire.
IL sentire fastidio o rabbia di fronte alla foto della modella – per restare nell’esempio – non va negato, ma accolto come legittimo e motivato.
In secondo luogo uso la mente (pensiero) per analizzare la situazione e trovare la vera causa della rabbia: scoprendo che non sono arrabbiato con la modella, ma con il comportamento manipolativo di Gucci.
In questo modo potrò produrre un’azione integra che esce dal doppio legame:
non cedo alla manipolazione, né protesto insultando la modella – cosa che mi fa ricadere nella manipolazione;
e poi posso denunciare la modalità manipolativa della campagna di Gucci.
Questo processo possiamo applicarlo a ogni caso di manipolazione in cui c’imbattiamo.
Bisogna sempre fare un salto di livello rispetto al contesto della manipolazione.
Meditate, allenatevi a riconoscere le manipolazioni ed eleviamoci al di sopra di esse, perché ci rendono docile gregge nelle mani di persone abiette.
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