#primavera non è più
Explore tagged Tumblr posts
Text
Fungo in giardino.
139 notes
·
View notes
Text
va’ a vedere che poi in SA siamo tutti italiani. potevamo davvero darci appuntamento a pordenone
#no davvero stavo guardando gli altri panel#e la proporzione di italiani su tutte le altre nazionalità è imbarazzante#siamo davvero dappertutto ma anche basta#comunque incredibile ovviamente ho delle cose da fare#tipo mandare le slide ai francesi ma direi domani#e fare application per la WS#ma INCREDIBILE ho la sera vuota#non devo più pensare a questo paper maledetto in maniera così ossessiva#torno a vivere finalmente#dato che il delirio è cominciato questa primavera col progetto di ricerca etc etc#dai dai dai giulia piano piano ce la si fa✨
1 note
·
View note
Text
« Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L'onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l'ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all'ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su sé stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell'infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l'omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose, primavera del '24, primavera del '44, proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista.
Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così.
Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l'argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l'esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola "antifascismo" in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana. »
- Antonio Scurati
Monologo (censurato dalla Rai), ma qui per condividerlo perché: antifascismo sempre!
#antonio scurati#antifascismo#nervi tesi fasci appesi#fasci appesi#viva l'antifascismo#25 aprile#censura#rai merda#giorgia meloni#democrazia#giacomo matteotti#italia#fasci merda
242 notes
·
View notes
Text
Il più grande errore di Togliatti
Ogni anno la premier Meloni ricorda la morte di Giorgio Almirante, celebrandolo come eroe della patria, uomo retto e suo riferimento politico.
Almirante in realtà è stato un razzista convinto, un criminale di guerra e un istigatore di stragi e rappresaglie.
Nella primavera del 1944 firmò il "manifesto della morte" come capo di gabinetto del ministro della Cultura Popolare dell'RSI. Il manifesto annunciava la fucilazione per "sbandati ed appartenenti a bande" che non si fossero consegnati ai "posti militari e di polizia italiani e tedeschi".
Le zone della Toscana in cui fu affisso il bando divennero teatro di stragi e rappresaglie, in particolare a Niccioleta, dopo la diffusione di quel bando, furono assassinati dai nazifascisti 83 minatori accusati di collaborazione con i “banditi partigiani”. Il manifesto della morte venne ritrovato nell'estate del 1971 e pubblicato il 27 giugno dai quotidiani "l'Unità" e "il Manifesto". Giorgio Almirante li denunciò per diffamazione.
Nel corso del procedimento furono rinvenute negli Archivi di Stato e prodotte in giudizio inequivocabili prove documentali attestanti la veridicità del manifesto di fucilazione. La Cassazione nel 1978 decretò la vittoria totale de L’Unità, che rifiutò il risarcimento economico. La stampa comunista aveva dimostrato che Almirante era un criminale di guerra. Questa è solo una delle tante criminali vicende legate alla storia di Giorgio Almirante.
Chi lo ritiene il proprio riferimento politico si qualifica da solo/a.
Cronache Ribelli
77 notes
·
View notes
Text
Ecco il testo integrale del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai:
"Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini.
L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole.
Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra.
Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
75 notes
·
View notes
Text
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana
monologo di Antonio #Scurati sul 25 aprile, censurato dalla Rai
60 notes
·
View notes
Text
Credo di essere entrata ufficialmente nel club della gente che non solo si mette a 90 e si fa inculare senza lubrificante causa lavoro senza diritti e riconoscimenti (per l'ennesima volta! UAU che novità!!!!), ma che si prende il caffè la mattina per svegliarsi: mi sono resa conto che prendere due caffè (uno nel cappuccino, l'altro per avvelenarmi la bocca ed il sangue) mi fa venire quell'isteria necessaria per correre in laboratorio e non schiattare di stanchezza e amaritudine sul bancone usando l'impasto dei gegè/macallè per cuscino. Che è un po' un forte paradosso per una che prende dei calmanti, anche se leggeri, per l'ansia e sta soffrendo di attacchi di panico sempre più frequenti.
Provo in fondo pietà e anzi pena, nella sua accezione negativa di disgusto, verso me stessa per il male che mi voglio. Mi dico di stringere i denti fino a febbraio, il tempo di sentirmi meno povera di prima (che non significa nemmeno benestante, semplicemente coi soldi per qualche emergenza dove "emergenza" sta nel ritrovarsi senza un tetto sopra la testa o malattia improvvisa di uno dei genitori) ma a volte ho l'impressione che a febbraio ci arriverò esaurita mentalmente e con l'urgenza di una bella dose massiccia di antidepressivi e ansiolitici dopo una settimana di fila di coma o anche chiamato "sonno profondo".
In tutto questo si aggiunge la Adecco che mi telefona e mi offre nel posto bermagasco dove ho vissuto questa primavera un posto di lavoro e lì subito a pensare che il mio vero atto di coraggio dopo il fallimento bergamasco sia stato non essermi andata a buttare nel fiume Serio ma essere ritornata in questo posto di merda.
Come concludere, insomma? Che questi pensieri non mi aiutano ad affrontare il prossimo periodo che sarà quello natalizio dove non ci sarà nemmeno un giorno libero in quel laboratorio di merda. Io dico che mi manca focalizzazione, la psicologa mi consiglia il mindfullness ed io vorrei impiccarmi peggio ancora perché mi consigliasse almeno lo zen e letture a proposito! No. Il mindfullness. La versione occidentale annacquata e capitalistica dello zen. Però su una cosa siamo tutti d'accordo, anche gli estranei! (come dimenticare quell'autista di autobus che a Clusone mi disse "un po' di grinta!" mentre io ero impegnata a non farmi venire un attacco d'ansia al terminal) e cioè che mi manca grinta. Io pensavo che mi sarebbe venuta con la rabbia, invece con la rabbia mi è venuto solo il buco nero nel cervello che me lo fa andare in tilt ed io che inizio a temere di perdere il controllo e picchiare qualcuno.
22 notes
·
View notes
Text
Voglio gridare il tuo nome, amore, con tutte le mie forze.
Lo sentano i costruttori dalle impalcature e bacino il sole,
lo imparino i fuochisti sulle navi e respirino tutte le rose,
lo senta la primavera e arrivi più velocemente,
lo imparino i bambini così da non temere il buio,
lo dicano le canne sulle rive dei fiumi, le tortore sugli steccati,
lo odano le capitali del mondo e lo ripetano tutte le loro campane
ne chiacchierino le lavandaie la sera accarezzandosi le mani gonfie.
Possa gridarlo così forte
che nessun sogno al mondo dorma più,
nessuna speranza muoia più.
Possa il tempo ascoltarlo e non toccarti mai, amore mio.
Tasos Livatidis, da Questa stella è per tutti noi, 1952
15 notes
·
View notes
Text
Testo del monologo di Scurati censurato dalla Rai
"Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola ‘antifascismo’ in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".
51 notes
·
View notes
Text
La canzone di Marinella
L'immagine di una sconosciuta ha dato vita a una delle canzoni più popolari del 20°secolo.
Lei è Marinella, quella di Fabrizio De André.
Anni '30, Maria Boccuzzi, una ragazza senza storia emigra da Reggio di Calabria a Torino insieme alla famiglia in cerca di fortuna. Un ambiente chiuso retrogrado quello famigliare, a 15 anni scappa con un ragazzo che la lascia poco dopo. Impossibile tornare a casa, orgoglio e dignità compromessi. Così passa da un amore all'altro, prima come ballerina di 3a fila poi finendo sulla strada protetta da tale Carlone.
Nel 1953 Maria ha 33 anni viene ritrovata nel fiume Olona vicino Milano, nei polmoni poca acqua ma sul corpo sei fori di pallottole. Un omicidio con poche righe in cronaca, forse un cliente, forse un monito per una ribellione al giro di prostituzione.
Nel 1953 De André ha solo 13 anni, poca voglia di studiare e una passione per gli animaletti feriti che raccoglieva per strada, dieci anni dopo rilegge la cronaca di Maria Boccuzzi e così nasce La canzone di Marinella con pochissima fortuna finché non viene cantata da Mina e i proventi (600.000 £) rincuorano De André a continuare sulla strada cantautorale.
Ecco questa di Marinella è la storia vera che scivolo nel fiume a primavera... Come disse Fabrizio anni dopo, non potendo addolcirle la vita ha provato ad addolcirle la morte.
fonte Il Grande Rock italiano
84 notes
·
View notes
Text
🍀
[...] Tu sei il mio fabbricante di lacrime, Ognuno di noi ha il suo fabbricante di lacrime… È quella persona in grado di farci piangere, di renderci felici o di straziarci con un’occhiata. È quella persona che dentro di noi ha un posto talmente importante da farci disperare con una parola, o emozionare con un sorriso.
E non puoi mentirle… Non puoi mentire a quella persona, perché i sentimenti che ti legano a lei vanno al di sopra di qualsiasi menzogna [...]
[...] narrava di un luogo lontano, remoto...
Un mondo dove nessuno era capace di piangere, e le persone vivevano con anime vuote, spoglie di emozioni.
Ma nascosto da tutti, nella sua immensa solitudine, c'era un uomo vestito di ombre. Un artigiano solitario, che dai suoi occhi profondi era capace di confezionare lacrime di cristallo.
Andava da lui, la gente, chiedendo di poter provare un briciolo di sentimento , perché nelle lacrime si cela l'amore e il più compassionevole degli adii.
Sono la più intima estensione dell'anima, ciò che, più di gioia e di felicità, fa sentire veramente umani.
E l'artigiano li accontentava...
Infilava negli occhi delle persone le sue lacrime con ciò che contenevano, ed ecco che piangeva la gente: era rabbia, disperazione, dolore, angoscia.
Erano passioni laceranti, disillusioni e lacrime, lacrime, lacrime - l'artigiano infettava un mondo puro, lo tingeva dei sentimenti più intimi e logoranti.
[...] "Ricorda: non puoi mentire al fabbricante di lacrime" ci dicevano alla fine." [...]
[...] Gli avevano detto che l’amore vero non finisce.
Non gli avevano detto però che ti dilania fino alle ossa, l’amore vero, quando ti si radica dentro senza più lasciarti andare [...]
[...] Avevo sempre sentito dire che solo un grande potere aveva la forza di cambiare il mondo.
Io non avevo mai voluto cambiare il mondo, ma avevo sempre pensato che, invece, non fossero i grandi gesti o le manifestazioni di forza a fare la differenza.
Per me erano le piccole cose. Le azioni quotidiane. Semplici atti di gentilezza compiuti dalla gente comune [...]
[...] ma la verità è che... le persone che amiamo non ci lasciano mai veramente, sai? Restano dentro di noi, e poi un giorno ti accorgi che sono sempre state lì, dove potevi trovarle solo chiudendo gli occhi [...]
[...] Non importa se sei distrutto.
Non importa se lo sono io.
Anche i mosaici sono fatti di cocci spezzati.
Eppure guarda che meraviglia [...]
[...] Ti amo come solo le stelle sanno amare: da lontano, in silenzio, senza spegnersi mai.[...]
[...] Non voglio il lieto fine,
voglio il gran finale.
Come quelli dei prestigiatori,
quelli che ti lasciano a bocca aperta
e ti fanno credere, per un istante,
che le magie possano esistere [...]
[...] Chi ha la primavera nell'anima vedrà sempre un mondo in fiore [...]
[...] Chiusi il libro e vi posai un bacio
Ringraziandolo per le emozioni
Che mi aveva regalato
E gli promisi di mettere in pratica
Il consiglio che mi aveva dato
Quello che nonostante le ferite
Non bisogna arrendersi mai
Ma continuare a provare
Anche se si soffre e si piange
Perché piangere è umano
E non è segno di debolezza
Ma significa che " siamo vivi,
Che il nostro cuore batte,
Si preoccupa e brucia di emozioni".
Per questo esiste il " Fabbricante
Di lacrime" perché il pianto è Vita
E tutti hanno il diritto di piangere
Non solo gli adolescenti
Come erroneamente qualcuno crede [...]
Erin Doom,
citazioni tratte dal libro
"Fabbricante di lacrime"
39 notes
·
View notes
Text
CERAMICA DI SANTO STEFANO DI CAMASTRA
Anche oggi non ti ho detto che ti amo, Preso dagli affanni del giorno, dal leccare la vita per capirne ipocrisie e falsità, ho dimenticato di dirti che ti amo. O meglio, nel silenzio del giorno e nel nulla dei suoi attimi, non ho trovato tra le sue ombre e le parole vuote del mondo, il momento giusto per parlare al tuo cuore, per dirti di quanto ci lega, per confessare quello che ferma il tempo per creare un istante, un minuto delle nostre vere vite. Non volevo sconsacrare le parole che dovevo dirti, non volevo svendere il tesoro che mi doni, liquidare tutto nella banalità del quotidiano, per amarti per contratto, o glorificarti per noia. Non volevo svendere per poco, quello che sarebbe diventato il senso del giorno, nascondere tra consigli per gli acquisti e stragi degli innocenti, l’unico respiro dell’anima mia. Era troppo importante, anche se era naturale, era troppo semplice anche se è un giuramento quotidiano fatto alla tua vita perché sia la mia vita. È troppo banale sprecare quello che vuol dire amarti, è infantile ripeterlo, è assurdo pretenderlo anche se è necessario confermarlo ogni giorno, scriverlo nell’aria che ci divide, sognarlo nelle nostre notti, scambiarcelo nelle nostre carni, così che i nostri corpi siano il forziere, la vigna ed il mare di quello che proviamo, dell’ebrezza che ci scambiamo, delle emozioni su cui navighiamo. Un altro giorno muore senza averti detto che ti amo, Un altro giorno scivolato via senza sapore, diventato un anonimo giorno di pieno inverno, dove non vi sono colori, il sole è malato, il vento impazzisce e il mare diventa nemico. Eppure lo so, lo so bene, che solo quando ti dico che ti amo, il tempo ha un altro sapore, i miei affanni si sciolgono e tu mi rivesti con i sorrisi della primavera. Perché l’amore è un assegno in bianco che qualcuno ti dà e che tu devi spendere il giorno stesso perché domani non avrà più lo stesso valore e nessuno ti potrà garantire che domani ce ne sarà uno eguale. Un assegno gratuito che devi spendere in quel momento scrivendo il valore che tu dai a chi te lo ha dato. Ma se scrivi troppo o troppo poco, sei tu dopo, che dovrai pagare il doppio della cifra che hai scritto. Per questo, non dirti oggi che ti amo, è tenersi in mano quell’assegno incapace di spenderlo, incapace di sognare, incapace di volare, incapace di trasformare il grigiore dei palazzi in un intimo paradiso
Even today I didn't tell you that I love you, Caught up in the worries of the day, in licking life to understand its hypocrisies and falsehoods, I forgot to tell you that I love you. Or rather, in the silence of the day and in the nothingness of its moments, I didn't find among its shadows and the empty words of the world, the right moment to speak to your heart, to tell you how much binds us, to confess what stops time to create an instant, a minute of our true lives. I didn't want to desecrate the words I had to say to you, I didn't want to sell off the treasure you give me, liquidate everything in the banality of everyday life, to love you by contract, or glorify you out of boredom. I didn't want to sell off for a little, what would have become the meaning of the day, hide among shopping tips and massacres of innocents, the only breath of my soul. It was too important, even if it was natural, it was too simple even if it is a daily oath made to your life for it to be my life. It is too banal to waste what it means to love you, it is childish to repeat it, it is absurd to demand it even if it is necessary to confirm it every day, to write it in the air that divides us, to dream it in our nights, to exchange it in our flesh, so that our bodies are the treasure chest, the vineyard and the sea of what we feel, of the intoxication we exchange, of the emotions we sail on. Another day dies without having told you that I love you, Another day slipped away without flavor, become an anonymous day in the middle of winter, where there are no colors, the sun is sick, the wind goes crazy and the sea becomes an enemy. And yet I know, I know well, that only when I tell you that I love you, time has another flavor, my worries melt away and you dress me with the smiles of spring. Because love is a blank check that someone gives you and that you have to spend that same day because tomorrow it will no longer have the same value and no one can guarantee you that tomorrow there will be an equal one. A free check that you have to spend at that moment by writing the value that you give to the one who gave it to you. But if you write too much or too little, it is you later, who will have to pay double the amount you wrote. For this, not telling you today that I love you, is holding that check in your hand incapable of spending it, incapable of dreaming, incapable of flying, incapable of transforming the grayness of the buildings into an intimate paradise
13 notes
·
View notes
Text
IL RACCONTO DELL'IMMAGINE - di Gianpiero Menniti
SETTE ANNI
Ero un adolescente alla metà degli '80, quando il "secolo breve" prese la via del suo ripido declino.
I muri, patologia del confine, cominciarono lentamente a sgretolarsi come gesso sotto una minuta pioggia.
I "due blocchi", inatteso ma inevitabile residuo delle guerre suicide d'Europa della prima metà del '900, si affacciarono da un'unica soglia rimasta per un quarantennio nascosta.
L'aria aveva l'odore di una primavera di speranza e Sting cantava "Russians":
«[...] Condividiamo la stessa biologia, indipendentemente dall'ideologia. Ma ciò che potrebbe salvarci, me e te, è se anche i russi amassero i loro figli. »
Era il 1985, il mese di Marzo.
Michail Sergeevič Gorbačëv divenne Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
La sua parabola durò fino all'estate del 1991.
L'anno prima era stato insignito del Premio Nobel per la Pace.
Mentre in Sudafrica Nelson Mandela riacquistava la libertà.
E nel 1989 la "cortina di ferro" di churchilliana memoria veniva abbattuta tra lo stupore e l'entusiasmo generale.
In quei sette anni di formidabile accelerazione degli eventi non finiva la storia, come qualcuno improvvidamente profetizzò: la storia riapriva i suoi volumi impolverati.
Nulla, poi, andò come previsto.
Il fragore sordo e potente del "Muro di Berlino" fece sentire i suoi effetti sismici in un mondo da tempo ridotto alla sua globalità.
E la mia generazione, senza più la macchina da scrivere ma catturata dagli schermi dei primi pc, orfana di un modello politico e incerta del futuro, visse l'ultimo decennio in corsa verso il XXI secolo osservando il paesaggio come su un treno che lascia appena l'istante di un'immagine sfocata.
Eppure, in quei sette anni, l'illusione della luce fu più ardente della sua stessa ombra.
- Michail Gorbačëv (1931 - 2022) fotografato da Francis Giacobetti (classe 1939)
#thegianpieromennitipolis#racconti brevi#fotografia#francis giacobetti#Michail Gorbacev#gianpieromenniticopywriter
17 notes
·
View notes
Text
Piloti di Formula 1: edizione rapimento Moro. Ovvero: come reagirebbero i piloti della griglia 2024 a guidare la Renault 4 in cui era stato rapito lo statista Aldo Moro. Leggere a discrezione della propria sensibilità.
Max Verstappen: il tempo di prepararsi un caffè, e Max è già tornato alla base delle BR. L'unico problema è che attacca una pippa di due ore su tutti i problemi della Renault: sospensione fottuta, motore ridicolo, aerodinamica imbarazzante. Poi parte con l'elogio della RB19 mentre cerca in rubrica il numero di Newey, perché senza di lui si rifiuta di far parte del team. La polizia invade il covo delle BR il giorno dopo perché Max stava streammando da lí una gara di sim racing. Prima di essere arrestato, Max riceve un telegramma da Jos che lo insulta perché poteva andare più veloce in curva e risparmiare un paio di secondi durante il rapimento.
Sergio "Checo" Perez: con evidenti difficoltà, dopo un'ora circa Perez è rientrato alla base. Il ritardo è dovuto ad un tamponamento con Kevin Magnussen, che appena ha visto Perez in strada ha rubato un motorino parcheggiato davanti ai un punto SNAI solo per andargli a sbattere contro. La Renault è ammaccata e ha uno sportello distrutto. Aldo Moro è morto a causa di una commozione celebrale a seguito dell'impatto con Magnussen, le BR hanno perso il loro ostaggio e non hanno più modo di ricattare il governo. Tuttavia, Perez viene ugualmente riconfermato come pilota per i prossimi due anni perché "tiene famiglia".
Charles Leclerc: stava andando tutto bene, finchè il motore non ha deciso di andare in panne nel bel mezzo della strada. Charles telefona alla base delle BR lamentando il problema, ma l'unica risposta che ottiene é "We are checking". Inoltre, per qualche motivo la macchina ha le catene e le ruote da neve in primavera. Mentre la macchina è ferma, le passano davanti quattro gatti neri. Charles si mette a piangere e picchiare sul volante gridando "Why am I so unlucky?". Aldo Moro tenta di consolarlo dal bagagliaio. Alla fine è costretto a chiamare un carro attrezzi per ritirare l'auto. Moro viene scoperto nel bagagliaio. Charles viene sottoposto a interrogatorio e viene fuori che era convinto che le BR fossero una sottodivisione della Ferrari in quanto rosse. Riesce a corrompere gli ufficiali con delle confezioni di gelato LEC e se la dà a gambe, a piedi: così è sicuro che non ci siano imprevisti tecnici.
Carlos Sainz: la guida prosegue inizialmente liscia, Carlos spara a volume altissimo Smooth Operator della radio per coprire i lamenti di Moro. Tuttavia, al momento di fare il pieno, un agente segreto delle BR che era appostato alla pompa di benzina per fare sì che nessun estraneo vedesse e riconoscesse il volto di Carlos riempe il serbatoio col diesel invece che la benzina. Le BR sono costrette a chiamare un carro attrezzi e Moro viene scoperto operato nel bagagliaio, a Carlos tocca la galera. Si scopre che l'incidente era programmato per togliere dalle palle Carlos, così che possa subentrare Hamilton.
Lando Norris: ignorando la raccomandazione alla discrezione, Lando si presenta davanti alla casa di Moro sparando a mille i suoi pezzi da DJ dalla radio della Renault. Chiama Moro "muppet" cinque volte e prima di riuscire a mettere a moto la macchina deve calmarsi dal ridere perché "la situa è troppo assurda bro". Arriva alla base senza troppi imprevisti, ma dopo 5 minuti arriva anche la polizia che lo ha facilmente seguito grazie agli giganteschi sticker fluorescenti con il suo logo che Lando ha attaccato alla macchina.
Oscar Piastri: è letteralmente Baby Driver di Edgar Wright. La polizia non lo ferma mai perché c'ha troppo la faccia da bravo ragazzo. Mentre guida taglia la strada a Carlos Sainz che si mette a inseguirlo gridandogli dal finestrino che doveva dargli la precedenza, cabrón. L'inseguimento alla Fast and Furious si interrompe quando alla macchina di Carlos si buca una ruota, Oscar scuote la testa mormorando "Classic Carlos". Moro viene consegnato alla base delle BR senza ulteriori problemi. Dopo questa felice collaborazione, le BR provano ad ingaggiare Oscar per un altro colpo, considerandolo ormai parte della squadra. La sua risposta è una missiva contenente la seguente dichiarazione: I understand that, without my agreement, Brigate Rosse have put out a statement this afternoon that I am driving for them next year. This is wrong and I have not signed a contract with BR for 1979. I will not be driving for BR next year.
Lewis Hamilton: nonostante la manomissione del sedile e del motore da parte dell'ex capo Toto Wolff, Hamilton riesce ad arrivare sotto casa di Moro, che quasi si imbarazza alla presenza del 7 volte campione del mondo britannico e si scusa che lo abbiano scomodato per il rapimento di uno statista qualunque. Insomma, Hamilton meriterebbe come minimo un presidente della repubblica! Ma il britannico sorride educatamente e lo tranquillizza, ringraziandolo per i complimenti e la stima. Viene fermato dalla polizia che lo vede bere al volante, ma il disguido è presto spiegato: si tratta della tequila analcolica di sua produzione, spiega Hamilton con un occhiolino. Ne lascia un paio di bottiglie ai poliziotti insieme a un autografo e va per la sua strada. Tutto sembra andare liscio, finché non incontra ad un incrocio Nico Rosberg. Istintivamente, si lancia in una corsa senza pietà che si conclude con Nico e e Lewis che si tamponano a vicenda. Moro approfitta della confusione per uscire dal bagagliaio e scappare. Appena uscito dall'auto, Nico tenta di intervistare Lewis in una live di TikTok chiedendogli di commentare l'incidente. Lewis se ne va senza dire una parola. Quando fa ritorno alla base delle BR senza Renault e senza Moro, alla richiesta di spiegazioni Lewis scrolla le spalle. Le BR non hanno il coraggio di domandare oltre: lui é Lewis Hamilton, Cavaliere della Corona Britannica e sette volte campione del mondo, e loro non sono un cazzo.
George Russell: il problema maggiore è superare la barriera linguistica, dato che George parla esclusivamente britannico stretto che consiste di espressionj insensate tipo "if and buts, carrots and nuts", "right, what's all this then" e "innit, mate". Dopo avergli fatto un disegnino, George capisce il piano e si reca a casa di Moro. Tutto starebbe andando per il meglio, finché nella visuale di George non si para un muro davvero irresistibile e il pilota britannico non riesce a controllare la tentazione e vi si schianta. In modo apparentemente non correlato, Carlos Sainz esulta per aver vinto una gara di sim racing contro Max Verstappen. L'onorevole Moro ha dato una capocciata contro il bagagliaio e ha apparentemente perso la memoria. Cosa ancora più tragica, adesso parla anche lui in britannico stretto e fa discorsi strani sul restaurare la monarchia in Italia e abolire il caffè a favore del the.
Lance Stroll: abituato al lusso, Lance si rifiuta di guidare una miserrima Renault. Si presenta davanti casa di Moro con un'Aston Marton Valkyrie, regalo di papino. Il bagagliaio in cui Moro viene tenuto prigioniero ha tutti i comfort: é spazioso, rivestito in pelle, c'è l'aria condizionata condizionata e qualche rivista messa a disposizione per ingannare l'attesa. A lavoro finito, l'onorevole Moro dichiara sia stata un'esperienza più rilassante di una crociera, da provare almeno una volta nella vita. Ovviamente la macchina di Lance non passa inosservata e la polizia risale facilmente a lui. Tuttavia, papà Stroll corrompe tutti i giudici con un ammontare di denaro che basterebbe a saldare il debito pubblico italiano e tutti sono felici e contenti. Nel frattempo, inizia a discutere l'acquisizione delle BR così da garantire a Lance il posto fisso. Cosa non si fa per amore di un figlio.
Fernando Alonso: accusato di aver violato tutte le leggi della strada nonché diversi articoli della convenzione di Ginevra con la sua guida, ha rischiato di investire 12 pedoni. Ha passato un numero imprecisato semafori rossi, dato il medio a 5 vigili e guidava a 120 km all'ora per le strade di Roma, almeno secondo quanto sostiene l'accusa. Briatore peró rassicura: Alonso non era al corrente di avere lo statista della Democrazia Cristiana nel bagagliaio. Assolto con formula piena, nel dubbio la colpa va a Nelson Piquet jr. Alonso fa inoltre ricorso al tribunale per accursalo di bias contro gli spagnoli.
Daniel Ricciardo: quel gran simpaticone di Daniel si presenta sotto casa di Moro gridando "Donne! È arrivato l'arrotino!". Lo carica in macchina dopo aver fatto u. paio di battute per alleggerire la situazione e si mette in moto. Alle BR aveva assicurato: un quarto d'ora, venti minuti se c'è traffico, sono da voi. Passa un'ora e mezza e di lui non c'è traccia. È anche vero che gli avevano promesso una Renault 4, però ci sono stati problemi con la gestione dei fondi finanziari e adesso Daniel si muove con una Renault 4CV. Alla base, le BR sono divise: c'è chi dice che Daniel ormai non vale più nulla come pilota e dovrebbero scaricarlo e chi sostiene che sia la Renault 4CV a impedirgli di dare la sua prestazione migliore. Il dibattito dura per altre 3 ore, quando finalmente Daniel arriva, senza Moro. Sono rimasti imbottigliati nel traffico per 2 ore, hanno avuto modo di fare conoscenza e Daniel non se l'é sentita di consegnarlo alla morte. Si sono bevuti un paio di Vodka RedBull ad un bar e poi lo ha riaccompagnato a casa. Le BR sono ancora troppo impegnate a discutere se Daniel sia o meno ancora un grande pilota per interessarsi della situazione Moro.
Yuki Tsunoda: anche a Yuki tocca una Renault 4CV, il modello precedente della Renault 4. Inizialmente c'era timore che, a causa dei tratti somatici tipicamente giapponesi, Yuki potesse facilmente riconosciuto dalla polizia. Ma Yuki inizia a sbraitare e bestemmiare da inizio e fine corsa, strombazzando il clacson contro qualunque macchina gli si pari davanti, e la polizia lo scambia per un veneto qualunque. L'onorevole arriva alla base delle BR traumatizzato dalle volgarità che è stato costretto ad ascoltare e prega la Brigate di ucciderlo il prima possibile.
Pierre Gassly: Pierre si mette alla guida della Renault con l'orgoglio che solo un francese può provare nel guidare una vettura di gallica matrice. Purtroppo la Renault 4 è uno scossone e Pierre impiega 20 minuti per metterla in moto. Mentre si dirige a casa di Moro, intravede il connazionale Estaban Ocon che cammina su un marciapiede. Decide di fare una breve deviazione di percorso e tenta di investire Ocon numerose volte gridando dal finestrino "VOGLIO IL TUO SCALPO". La Renault non rientrerà mai alla base e l'onorevole Moro è sano e salvo. Qualcuno sostiene che Gassly sia ancora da qualche parte a Castelli a inseguire Ocon e che la Renault si alimenti puramente del suo odio e della sua frustrazione. Il suo obiettivo è incidere sulla fronte di Ocon le parole "liked by Pierre Gassly".
Esteban Ocon: anche il suo orgoglio francese dura poco alla guida della Renault e la sua attenzione viene rapita dalla vista del rivale Gassly. Tuttavia, Ocon deve inoltre avere a che fare con un impressionante numero di persone a cui è riuscito a stare sul cazzo negli anni. Quindi, nel bel mezzo dell'insegnamento, devo schivare una serie di bombe carta che gli vengono tirate addosso da Fernando Alonso e Checo Perez. Aldo Moro, che passa di lì per andare a lavoro, sente un improvviso un sfrigolamento di coglioni alla vista di Esteban, e si fa prestare qualche bomba carta da Alonso e Perez. Il giorno dopo, tutt i giornali riportano la notizia di un giovane francese attaccato dall'onorevole Moro, che viene arrestato per aggressione.
Nico Hulkenberg: le BR volevano un pilota di tedesco, che quelli sono fortissimi, ma Schumacher non era disponibile e Vettel non lo potevano permettere, quindi hanno dovuto ripiegare su Nico Hulkenberg, sperando che i geni teutonici facciano qualcosa di buono. Hulkenberg fa un lavoro sorprendente pulito. Moro viene recapitato alla base delle BR senza complicazioni e in perfetto prario. Le Brigate si imbarazzano nell'aver sottovalutato e gli chiedono come mai un pilota della sua caratura non ha mai raggiunto il podio. Una lacrima solitaria scende sulla pallida gota alemanna: é la domanda che si pone Hulkenberg ogni sera, fissando il soffitto della sua camera da letto per ore intere.
Kevin Magnussen: appena individuato Moro, Magnussen gli tira due sberle e lo spinge nel bagagliaio con un calcio. Durante il tragitto verso la base delle BR, causa volutamente tre incidenti e investe un gruppo di ciclisti per aver osato mettersi sulla sua strada. Fa una deviazione e si mette a guidare sui sampietrini, per il gusto di rendere il viaggio più sgradevole a Moro, che viene sballotatto su e giù nel bagagliaio. Per la stessa ragione, frena all'improvviso ogni tre per due. Quando i vigili lo fermano, Magnussen non nega la sua colpevolezza: non batte ciglio mentre i vigili lo privano di tutti i punti della patente, ma prima che possano portarlo in centrale si rimette al volante, guidando a 150 all'ora verso la base delle BR. La Renault 4 a malapena si tiene insieme quando la parcheggia. Magnussen apre il bagagliaio e trascina un Aldo Moro grondante di sangue per un orecchio al cospetto delle BR. A tale vista, le Brigate mettono seriamente in discussione la possibilità di potersi definire terroriste se messe al confronto col pilota danese. Due membri della banda trascinano l'onorevole in infermeria, mentre un terzo chiama di nascosto la polizia, pregando che li venga a salvare dallo psicopatico che hanno accidentalmente ingaggiato. L'onorevole Moro viene portato in salvo, le BR si costituiscono e Kevin Magnussen viene condannato a nove ergastoli.
Valterri Bottas: Bottas aveva chiesto di poter passare a prendere l'onorevole in bici, ma non c'è stato verso di convincere le BR. Bottas si presenta sotto casa di Moro con invidiabile nonchalance, occhiali da sole e braccio fuori dal finestrino. Batte un paio di colpi sulla portiera: come a dire, entra. L'onorevole sarebbe dovuto entrare nel bagagliaio, ma lì Bottas tiene la bici, quindi lo fa sedere davanti con lui. L'onorevole e il pilota piombano in un silenzio imbarazzante. Moro prova a fare conversazione, ma senza successo. Tuttavia, invece di dirigersi alla base delle BR, perché è una bella giornata, Bottas decide di fare una deviazione verso Ostia e andare al mare. Ovviamente, Bottas si dirige verso una spiaggia di nudisti e, appena messo piede sulla sabbia, si disfa di ogni indumento e si tuffa a mare ignudo come mamma lo ha fatto. Aldo Moro, che famosamente si presentava in giacca e cravatta persino in spiaggia, è disgustato da cotale spettacolo e si allontana indignato. Le BR non vedranno mai più nè Aldo Moro, né la loro Renault 4, nè Valterri Bottas, almeno dal vivo, perché anni dopo lo ritroveranno su un calendario a posare nudo.
Zhou Gyanyu: una Renault 4 potrà essere poco chic, ma ci pensa l'outfit griffato di Zhou a restituire charme a questo rapimento che di terroristico ha solo il senso dello stile. La guida sarebbe proseguita senza intoppi se non fosse per il pitstop di 45 minuti alla pompa di benzina. Zhou si era fermato solo per riempire il serbatoio, ma oer qualche ragione dopo mezz'ora la macchina ha una ruota in meno e caccia fumo. Quando finalmente ritorna alla sede delle BR, Zhou tiene una TedTalk sul comunismo di Mao, mentre le Brigate prendono appunti. Zhou sostanzialmente li addita come dilettanti e afferma di aver partecipato al rapimento solo per pietà nei loro confronti. Quando, quattro ore dopo, le Brigate vanno a recupare Moro dal bagagliaio scoprono che è morto di asfissia.
Alex Albon: la Renault di Alex Albon, oltre a ospitare uno statista nel bagagliaio, trasporta tre dei suoi tenerissimi gattini. Alex si scusa con l'onorevole, ma purtroppo quel giorno aveva già confermato una visita dal veterinario e proprio non la puó rimandare: promette di fare il prima possibile. Moro è costretto ad aspettare un paio d'ore parcheggiato in macchina. Alex torna tutto pimpante, informando accuratamente Moro della buona salute dei suoi animali domestici. Durante la conversazione a senso unico, riceve un messaggio da Lily, che gli ricorda dell'appuntamento romantico fissato per quella sera: Alex se n'era proprio scordato! Peró mica puó lasciare i gatti da soli. Chiede quindi a Moro se non gli dispiaccia fare da babysitter ai gatti per una sera. Moro, persona cortese, accetta di buon grado. Alex e Lily passano una splendida serata, rasserenati dalla consapevolezza che i loro animali domestici godono di buona salute. Una volta tornato a casa, Alex ringrazia di cuore l'onorevole Moro e si offre di accompagnarlo a casa per il disturbo. Alex riconsegna la Renault alle BR con tanto di pieno, e alla domanda "E Moro?" risponde "Una persona squisita, vi saluta tanto!"
Logan Sargeant: Sargeant prova a mettere in moto la macchina (che gli era stata fatta trovare parcheggiata davanti casa di Moro per evitare che si schiantasse almeno all'andata), ma compreso che si tratta di un modello con cambio manuale si mette a piangere sul volante. Prova ugualmente a guidarla ma si schianta contro un palazzo a 5 metri da casa dell'onorevole. La polizia arriva nel giro di 20 minuti, recupera Aldo Moro e consola Sargeant.
#max verstappen#checo perez#f1#formula 1#charles leclerc#carlos sainz#ferrari#red bull racing#lando norris#oscar piastri#mclaren#lance stroll#fernando alonso#aston martin#williams racing#alex albon#logan sargeant#nico hulkenberg#kevin magnussen#haas f1 team#stake f1 team#valterri bottas#zhou guanyu#daniel ricciardo#yuki tsunoda#visa cashapp rb#mercedes#lewis hamilton#george russell#italian tag my masterwork
17 notes
·
View notes
Text
Charles Bukowski: “Sei incancellabile tu”
Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?
Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?
Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.
Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore.
che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.
C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.
Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.
Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.
Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.
Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.
Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?
Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.
Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.
Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.
Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.
Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.
A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.
Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.
Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.
Sei incancellabile tu.
Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?
(Charles Bukowski)
15 notes
·
View notes
Text
Sacra vestizione
Questi primi giorni di ottobre mi hanno avvolta nel caloroso abbraccio di un gelo autunnale. Ho avuto la conferma di essere cascata nella trappola di un narcisista negli ultimi due anni, ragion per cui ho definitivamente lasciato andare una persona che ho creduto essere uno dei miei migliori amici; al contempo, questo dolore mi ha permesso di trovare finalmente il coraggio di affrontare con la mia guida spirituale ciò che mi incatena da anni e di cui è giunta l'ora liberarsi. Ho realizzato che la laurea slitterà ancora, salvo imprevisti alla prossima primavera, e che la ricerca di un lavoro nel mio ambito ha prospettive più funeste di quanto immaginassi, slittando tra buone occasioni che attualmente non posso cogliere e proposte impossibili o indecenti; tuttavia, avrò modo di ingannare l'angoscia con un club del libro che ho appena istituito e godendomi i miei affetti più cari finché sarò chiamata a restare qui. Insomma, si è istillata in me una forza sovrumana, una grinta che prevale su ogni scoramento, una voglia di rigenerarmi e rinascere nonostante il peso delle ferite e la presenza ingombrante dell'incertezza più assoluta. Questi primi giorni di ottobre mi hanno avvolta nella loro armatura di bronzo; se prima ero una quercia strattonata dal vento, ora sono una civetta che cerca la cavità di tronco adatta per il suo nido, o un albero che approfitta dell'aggrinzirsi delle sue foglie per risplendere d'auree speranze e cangianti propositi.
11 notes
·
View notes