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#postlaurea
orotrasparente · 9 months
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il postlaurea al momento è peggio dell’università
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mauriziomeani · 3 years
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Ovvero come trovare e scegliere la propria strada… Quante volte vi hanno domandato o avete chiesto cosa vuoi fare da grande? Che facoltà pensi di scegliere? Che tipo di lavoro ti piacerebbe fare? Oggi più che mai, con la proliferazione dell’offerta formativa, con la moltiplicazione delle facoltà universitarie e con le molteplici opportunità offerte da un mercato del lavoro in continua e profonda trasformazione, fare la scelta giusta è diventato davvero difficile. Attraverso una serie di incontri mirati potrò aiutare voi o i vostri figli a svelare il vostro sogno, a scoprire i vostri veri talenti e a far emergere i vostri desideri più profondi per aiutarvi nella scelta di un percorso formativo, di una facoltà universitaria o nella ricerca di un nuovo lavoro. Per informazioni sugli 0incontri personalizzati: [email protected] #orientamento #lavoro #formazione #neolaureati #manageriale #postlaurea #job #autostima #scuola #università #businessschool #tv #imprese #business #openday #strada #topmanager #infowebsite #futura #laureamagistrale #offerta #planning #sogno #auditorium #design #benessere #office #followfollowfollow #autostima #persona (presso Milan, Italy) https://www.instagram.com/p/COScp5FM4ry/?igshid=10s9gj0k7nlqb
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non lo so
mi ritrovo a scrivere ancora una volta un testo dal titolo “non lo so”.
“non lo so” è il mio mood ultimamente. “non lo so” non è un semplice non so come sto (certo, lo è anche), piuttosto un non so cosa farò nella mia vita.
sento il tempo scivolarmi velocemente, troppo velocemente tra le dita e penso che questa sia la cosa che mi fa più male al mondo. sento di non avere tempo, di non avere più tempo. sento e so di non essere più diciottenne e col mondo davanti da spaccare in quattro. con una laurea magistrale io mi sto ritrovando spaccata da quel mondo.
non so cosa voglio fare, o meglio, lo so ma non mi è possibile forse. non so nemmeno questo, vedete?
sono in uno stato di confusione tale che non mi va più di fare nulla. mi si era accesa una speranza quasi un mese fa, per la precisione me l’avevano fatta accendere ecco. 
non so cosa mi stia succedendo ultimamente. mi vergogno di avere troppo tempo libero, mi vergogno di fare quello che sto facendo: niente. tutti i miei amici hanno dei lavori (ok, non tutti), stanno proseguendo studi e perseguendo passioni in continuazione senza mai fermarsi e non avendo mai il tempo di fermarsi. 
ecco, quel tempo del mai fermarsi vorrei averlo io. no, non ci sto con la gente che dice che avere tempo libero e non fare un cazzo dalla mattina alla sera è bello. voglio avere un impegno, voglio essere e tenermi impegnata il più possibile. vorrei essere realizzata come persona, vorrei un giorno potermi solamente permettere di pensare di formare una famiglia perché ahimé, cari e care, il tempo scorre e l’orologio biologico non perdona.
i nostri giorni sono quelli che sono e io sono un’illusa, ma forse di più delusa.
un mese è passato e mi sembra sia passata un’eternità. 
ridatemi quella speranza e datemi la speranza di avere qui, a casa mia, un lavoro per cui valga la pena. (se non volete ritrovarvi con un post come questo ogni mese).
rivoglio la mia spensieratezza e vorrei avere una sola cosa dalla vita: la serenità, visto che non è stato possibile avere le cosce piccole.
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wazoar · 5 years
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Oggi ho ripreso a studiare dopo quasi 3 mesi di fancazzo postlaurea e sono quasi contento. Non mi riconosco più
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purpleavenuecupcake · 5 years
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Andrologo, chi è costui? La salute al maschile nell’era della “icsi”
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(di Nicola Simonetti) “Nel 1951 – ha detto Filippo Boscia, già professore Medicina della riproduzione umana presso l’università di Bari e direttore U.O.C. di ostetricia e ginecologia - fu il ginecologo H. Siebke dell’Università di Bonn che propose, per la prima volta al mondo, il termine Andrologia. Personalmente ho vissuto agli albori quel periodo in cui l’andrologia, uscita dal campo delle improvvisazioni settoriali ed empiriche, andava qualificandosi come scienza moderna, basata su serie ricerche, valide esperienze cliniche per rifondarsi in una nuova entità globale che, pur riconoscendo come radici l’urologia, la endocrinologia e per certi versi la dermatologia, direi meglio la dermosifilolopatia (quella del professor Mian di Pisa), si apriva alla chirurgia, alla genetica, alla sessuologia, alla patologia clinica, agli studi citomorfologici ultrastrutturali, vere “new entries” scientifiche in campo andrologico. L’andrologia moderna sorgeva con l’intenso desiderio di armonizzarsi con le molte varie discipline per affrontare con visione unitaria un nuovo grande capitolo della medicina. L’Andrologia doveva essere scienza capace di accompagnare l’”essere uomo” dal nascere fino al suo essere maschio, al suo svilupparsi nella pubertà, al suo manifestarsi psicofisico nell’adolescenza, al suo pieno manifestarsi nell’età adulta, con interessi rivolti anche nelle fasi di successiva fragilità e di senescenza. L’Andrologia aveva un compito arduo: far uscire dall’oscurità ogni problematica che per secoli era stata condizionata da pregiudizi, tabù e altro, ma questo compito non era cosa facile. Non era per nulla agevole abbattere quel secolare tabù e la fondata credenza che la potenza sessuale coincidesse con la massima dimostrazione della fertilità! Non era facile abbattere l’infamante vergogna dell’impotenza sessuale, il cui fantasma aleggiava  in questo contesto. Quel paziente, afflitto da problemi andrologici, vagava dal medico di base al dermatologo, all’urologo, all’endocrinologo, allo psicologo, vivendo la sua eventuale impotenza come una vergogna, un fantasma, come un imbarazzo, piuttosto che come una malattia da curare. Non sono poi tanto lontani quei tempi! Accadeva in realtà che, mentre il ginecologo era da sempre figura di riferimento scientifico, culturale e psicosociale per la donna, la figura al maschile non esisteva e l’andrologo che doveva esserlo per l’uomo, non era accreditato ancora come specialista, ma anche perché per millenni la sessualità e la fertilità dell’uomo era stata coperta dal tabù e da tanti molteplici pregiudizi socio-culturali. Certamente v’era un tardivo irrompere dell’andrologia nello scenario della medicina moderna. Ma il sogno che si perseguiva in questo percorso fondativo  era quello di poter definire l’andrologia come disciplina unitaria, sorella della ginecologia, che già da tempo aveva saputo integrare in un tutt’uno le componenti ostetriche, ginecologiche, endocrinologiche, riproduttive, psicologiche ecc., e che di fatto aveva fondato sin da allora quella medicina di genere al femminile che unitariamente seguiva le funzioni degli organismi femminili, dalla pubertà all’età fertile e ora anche al climaterio, alla menopausa e alla senescenza. Ben presto però ci si rese conto che questi progetti forse avrebbero subito una consistente frenata. Si era riusciti ad ottenere un riordino delle scuole di specializzazione. V’era la promessa della scuola di specializzazione postlaurea di Pisa e di Torino; erano state confermate le prime cattedre di Andrologia di prima fascia assegnate ai corsi di laurea di Medicina e Chirurgia di Roma, Firenze e L’Aquila ecc. Ma, nell’ampio contesto delle discipline afferenti all’Andrologia,  ognuno difendeva il suo hortus conclusus: endocrinologi, urologi, ginecologi, pediatri, biologi, psicologi, psichiatri, patologi clinici. Credo che molto abbiano giocato divisioni corporative che di fatto hanno impedito di creare gli andrologi e soprattutto di farli crescere e conoscere. Il CUN, consiglio universitario nazionale, classificò nell’ 89  l’andrologia come sub specialità della endocrinologia e la inserì come tale nell’ordinamento e negli obiettivi didattici delle facoltà di medicina a far data dal 2000. A partire da questa data non ci fu più specializzazione o disciplina autonoma ma insegnamento inserito nei percorsi di formazione di discipline “parenti” e/o “affini”. A seguito di ciò l’Italia, da essere leader in questo settore, vide soffocato il suo ruolo pionieristico e preminente. Ciò ha avuto ripercussioni anche sul piano assistenziale. Mai più unità operative complesse di andrologia o istituti unitari, ma strutture semplici o saltuari incarichi. L’andrologia diventava sub-specialità di endocrinologia, sub-specialità di urologia, sub-specialità di ginecologia e medicina della riproduzione, sub-specialità di chirurgia. L’irrompere della medicina della riproduzione umana e delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita (dalla inseminazione alla Fivet, alla ICSI)  ha consentito  allora che queste problematiche fossero affrontate in prima istanza dai ginecologi, addirittura senza gli andrologi. Veniva facile questa esclusione perché si era tentato di costituire l’andrologia come scienza, ma si era impedito che si facessero gli andrologi e soprattutto si era impedito di farli conoscere, impedendo a molti allievi che speravano nello sviluppo di una disciplina unitaria, di formarsi in una visione unitaria orientata con esclusivo riferimento alla salute “al maschile”. Di fatto all’inizio degli anni 90, mancando un riconoscimento accademico autonomo e unificato della figura del andrologo, ci si è accorti che  per gli studenti, per gli allievi, per gli specialisti, per gli assistiti, la disciplina era ormai dispersa. Dopo questa tranciante decisione del CUN, quell’intimo desiderio di costituire le scienze andrologiche in un’unica disciplina autonoma andò ad infrangersi. L’andrologia non si sviluppò così come l’avevamo pensata, ma prevalse la frammentazione e per conseguenza venne a mancare quell’unica peculiarità richiesta alla fondativa andrologia, cioè quella di riunire in un unico comparto qui mille rivoli super specialistici, ma molto spesso “anemici”. Fu perso così l’unitario rapporto con tutte le problematiche che avevano dato origine all’unitario complesso delle scienze andrologiche e venne altresì a perdersi anche quell’unitaria sincera passione per una disciplina che al pari della ginecologia avrebbe dovuto tener desto il senso della unitarietà, di una disciplina, finalizzata a creare centri unici specializzati nell’assistenza di base dei problemi maschili, nelle sedi universitarie ospedaliere e territoriali. Oggi certamente non possiamo ignorare che l’aspettativa di vita di un uomo che vive nel mondo Occidentale è inferiore di cinque anni a quello di una donna della stessa età. Credo sia obbligatorio sottolineare l’interrogativo sul perché esista questo divario e quali misure possano essere adottate per coprirlo. Coprire il divario fra i sessi deve costituire un obbligo morale, affinché il diritto alla salute fisica e riproduttiva e sessuale non sia un diritto diluito in una sanità che a volte viaggia a due velocità, nord contro sud. Occorre coprire questi divari che, tra l’altro, quando si parla di qualità di assistenziali maschili riguarda tanti parametri che vanno dalla disfunzione erettile alla mancata prevenzione e all’insorgenza dell’infertilità (sterilità, andropausa, malattie sessualmente trasmesse, osteoporosi, incidenze di tumori della pelle, del colon retto, della prostata, del testicolo eccetera). “Bisogna – dice il prof. Milone (università, Napoli)  riequilibrare l’attenzione dei medici e della popolazione per bilanciare, gli sforzi della ricerca con una impostazione adeguata delle politiche sanitarie regionali, uguali per tutti (e non differenziate per regione). Occorre provvedere alla più giusta omogenea e diffusiva erogazione di prestazioni mediche, in modo da individuare, produrre o potenziare le giuste strategie per prevenire e ridurre le discrepanze tra i due sessi. È indubbio che il concetto di prevenzione riesca penetrare nella cultura del maschio italiano con difficoltà molto maggiore rispetto alla donna, ma quest’osservazione deve ancor più indurci alla creazione di centri specializzati per i problemi maschili che oggi mancano nel panorama assistenziale italiano ad esempio, non solo a livelli universitari e/o ospedalieri ma  anche a livello consultoriale o nelle politiche territoriali o nelle case per la salute. Motivare maggior attenzione sulla salute al maschile è importante perché l’educazione alla salute della persona non deve essere qualcosa che si possa lesinare ad un sesso rispetto all’altro, né l’allocazione delle risorse può essere guidata da mode o da indici di maggior utilizzo di tecniche avanzate in medicina della riproduzione. Paradossalmente comunque in questa dispersione, che ad alcuni è sembrata forte segnale di agonia dell’Andrologia, l’Andrologia stessa ha avuto modo di recuperare il tempo perduto: in realtà l’ingresso dell’andrologia nell’ambito della medicina della riproduzione e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita si è attuato e, all’interno di queste realtà, l’andrologia ha recuperato tutte le precedenti occasioni perse e rilanciato questa disciplina che si è posta come realtà di riferimento nelle tecniche di III livello (ICSI e nella micro iniezione). Nella PMA la funzione dell’andrologo si concentra sulle nuove conoscenze di fisiopatologia dell’infertilità e della riproduzione, indispensabili per valutare la reale qualità del seme e ricercare quei fenomeni di frammentazione del DNA negli spermatozoi umani. Avere oggi a disposizione esami capaci di testare l’integrità genomica dei gameti maschili appare ormai indispensabile. Occorre un lavoro pazientemente accurato per valutare non solo la reale qualità del seme, ma anche essere in grado di evidenziare nell’ambito della popolazione complessiva di spermatozoi presenti nel seme quelli caratterizzati dalla presenza di DNA frammentato. Quest’ultima annotazione mi consente di accennare all’aspetto più nuovo che inserisce l’andrologia  nell’ambito della medicina della riproduzione, specialmente in riferimento alle tecniche di microiniezione, che per loro natura si basano, come si sa, sull’impiego di un singolo spermatozoo: è questo un aspetto di fondamentale importanza, da quando la medicina, da puramente “curativa” è diventata, pur impropriamente, “procreativa” Il futuro della genetica, e della farmacogenetica, ci riserverà forse possibilità ora non immaginabili. Anche le tecniche chirurgiche in campo andrologico - nelle forme suscettibili di miglioramento con tali interventi – si sono notevolmente affinate. Basti pensare alla standardizzazione ed alla ottimizzazione delle tecniche di aspirazione dei gameti direttamente dall’epididimo o dal testicolo o alla ottimizzazione di tecniche per la correzione del varicocele, oggi possibile anche con metodiche di scleroembolizzazione retrograda o percutanea, o di tecniche video laparoscopiche sino a giungere alle tecniche di microchirurgia per interventi di ricanalizzazione o di anastomosi vascolari. Ancora più stupefacente, la `violenza" di irruzione e la rapidità di evoluzione della andrologia nel campo della medicina clinica, recente, anzi recentissima, dell'Andrologia nei riguardi della disfunzione erettile (termine semantico che per convenzione ha sostituito quello di "impotenza" nella cui essenza era contenuto un implicito giudizio di disprezzo e di condanna nei confronti dei pazienti). Il "muro del silenzio" intorno a questo problema è infatti caduto addirittura alla fine degli anni '80. In questo scenario l’Andrologia recupera il senso perduto e da “disciplina dispersa” diventa scienza sia interdisciplinare che intradisciplinare, migliorando le conoscenze e le prognosi in ambito endocrinologico, metabolico, morfologico, ultra strutturale endoteliale  e ultimamente genetico. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, non deve diventare il fallimento dell’andrologia. La improvvida sottolineatura, sbandierata a destra e a manca,  che basti un solo spermatozoo per risolvere un problema riproduttivo del maschio infertile, da taluni è stata giustamente vista come la banalizzazione dell’andrologia. Molti maschi infertili sono stati abbandonati ad un triste destino. Mancando la facilità di accessibilità ai servizi di andrologia e bollando come inutili o futili le consultazioni andrologiche, certamente non abbiamo fatto un buon servizio alla collettività. Qualcuno poi parlando di “filiera riproduttiva controllata” ha parlato delle tecniche di PMA come tecniche di prima scelta, che se controllate in ogni fase garantiscono percentuali più elevate di nascite di bimbi sani. Certamente a distanza dall’avvento dell’ICSI dobbiamo certamente riflettere sulle indicazioni ma anche sull’eccessivo, talora immotivato, ricorso a queste tecniche. L’ICSI è tecnica utilissima  nei casi più gravi di infertilità maschile, ma ne va lamentato l’abuso, anche perché questa tecnica solleva importanti problemi etici riferiti alle indicazioni e ai limiti da porre a queste tecniche divenute di  prima opzione. Sostanziali innovazioni hanno coinvolto i vari settori dell’andrologia: basti pensare al ruolo dell’andrologo nell’identità di genere, alla ricerca di fertilità della coppia in età sempre più avanzata, al problema della popolazione che invecchia e delle natalità in declino ed ancora alla questione morale sulle tecniche di riproduzione assistita, all’utilizzo dei gameti post mortem o alla moltitudine di embrioni congelati e in attesa di impianto  o ancor più all’anticipazione sempre più acuta di una sessualità precoce multipartner nei giovanissimi che in questo periodo ci obbligano ancor più che nel passato alla prevenzione precoce delle virosi genitali anche in età scolare ecc. Le percentuali di sterilità maschile sono in aumento e gli sviluppi registrati nelle tecniche di biologia molecolare e cellulare hanno aperto nuovi capitoli in tanti campi, ma soprattutto nell’era dei test genetici si è aperto il grande capitolo della identificazione in malattie genetiche prima della nascita, permettendo lo studio dei caratteri ereditari patologici direttamente sull’embrione allo stadio di poche cellule. Proprio in questo momento in cui le tecnologie applicate alla riproduzione umana possono offrire interessanti possibilità per nuovi trattamenti terapeutici  l’andrologia come branca a sé stante deve riprendere in ruolo determinante nella selezione dei gameti, nella diagnosi e nella terapia del maschio sterile o sub fertile e ancora potenziare le ricerche che se di qualità potranno indicare alternative capaci di ridurre il numero di insuccessi, di ridurre il numero dei mancati impianti e delle gravidanze biochimiche. Il trasferimento del genoma maschile, già organizzato in quanto tale, è praticamente possibile attraverso metodiche combinate di fertilizzazione in vitro e di micromanipolazione dei gameti, potendosi sanare così anche quei casi di incapacità degli spermatozoi a fertilizzare gli ovociti. Queste possibilità e tante altre tecnologie avanzate spettano – ha concluso Boscia - agli andrologi che devono pretendere quel ruolo di ineludibile guida nei moderni percorsi di medicina della riproduzione. Read the full article
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pangeanews · 4 years
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“Quante volte è dovuta andare a letto con Beckett per avere questo scoop?”. Deirdre Bair, la biografa del grande Samuel che ha tenuto a bada orde di accademici
A metà del libro, Parisian Lives: Samuel Beckett, Simone de Beauvoir and Me, A memoir (Atlantic Books, 2020) la biografa statunitense, Deirdre Bair, confessa il suo crimine. Per anni ha provato a mettere le mani sulle lettere che Samuel Beckett inviava a Thomas MacGreevy sicura di trovarci il bandolo della matassa, il motivo che aveva allontanato il drammaturgo irlandese dalla sua terra natia per condurlo in Francia. Con riluttanza, i nipoti di MacGreevy le permisero di leggere le lettere sotto rigide condizioni. In quella domenica invernale, non appena si sedette di fronte alla macchina da scrivere in casa loro, mentre udiva la famiglia del poeta pranzare nella stanza accanto, Bair sapeva di dover correre contro il tempo: le poche ore concessegli dalle sorelle, non le sarebbero mai bastate per trascrivere tutta la corrispondenza di cui necessitava. “Quel pomeriggio ho fatto l’unica scelta disonesta di tutta la mia carriera” ammette Bair. Con nonchalance, l’americana si infilò una piccola selezione di lettere nella borsetta per portarsele nella stanza d’hotel in cui alloggiava.
“Mentre lavora, il biografo”, scrive Janet Malcolm, “è come un ladro professionista: irrompe in una casa, fruga nei cassetti in cui crede ci possano essere soldi e preziosi, per poi allontanarsi trionfante con la refurtiva”. Il suo libro, The Silent Woman: Sylvia Plath & Ted Hughes (riedito da Granta nel 2020) accusa i lettori di biografie di essere colpevoli di “voyerismo e indiscrezione” almeno quanto gli autori stessi: entrambi, e insieme, sgattaiolano in punta di piedi lungo il corridoio per spiare dal buco della serratura. Infatti, le sostanziose borse di studio in letteratura biografica non sono altro che una fulgida patina di rispettabilità, che scontorna la curiosità più morbosa.
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Il giorno successivo, Deidre Bair reinserì le lettere di MacGreevy nella collezione senza alcun segno di usura. Tuttavia, la sua ammissione è rivelatoria, poiché ci mostra come – da esperta reporter quale era – fosse pronta a tutto pur di scovare lo scoop. E uno scoop ha avuto. Quando, nel 1978, Samuel Beckett: A Biography vene pubblicato [in Italia è tradotto per Garzanti nel 1990, ndr], suscitò clamore e mandò in confusione molti accademici in doppiopetto. Gli studenti di Beckett si accalcarono per scrivere recensioni irrisorie che ne evidenziassero imprecisioni e lacune. Ciononostante, per quanto alcune di quelle critiche fossero lecite, il vero peccato di Deirdre Bair fu quello di essere una sconosciuta, e donna per giunta, che aveva scritto il libro su Beckett, che né professori né accademici avrebbe mai osato scrivere.
Nel 1970 Deirdre Bair aveva scelto di intrecciare la propria vita a quella di Beckett con la stessa leggerezza con cui avrebbe scelto cosa mangiare dal menu di un ristorante. Aveva passato i precedenti dieci anni a lavorare come reporter, mentre aiutava il marito a concludere un corso postlaurea e cresceva i loro due figli. Quando ebbe la possibilità di frequentare un corso annuale di letteratura presso la Columbia University, colse la palla al balzo, pensando che l’avrebbe aiutata nella sua carriera da giornalista. Scelse Beckett come oggetto di tesi solamente perché il suo nome era in cima all’ordinata lista di scrittori organizzata per ordine alfabetico, che lei stessa aveva stilato per l’occasione. Il suo tutor la ammonì: se avesse scelto di scrivere della vita di Beckett, come stava pianificando, non avrebbe mai ottenuto né un PhD, né un incarico accademico. “Non avrai una borsa di studio: è solo una biografia,” le disse.
Ma Bair “riconobbe il brivido che si prova quando si trova la storia giusta” e decise di contattare Beckett stesso per chiedergli il permesso di scrivere la sua biografia. “Noiosa e priva di interessi” le rispose una settimana più tardi riferendosi alla propria vita; “vi sono professori che ne sanno più di me” aggiunse poi. Infine, scarabocchiata, quasi l’avesse pensata in un secondo momento, una straordinaria frase senza alcun segno di cesura: “qualsiasi informazione biografica in mio possesso è a tua disposizione se verrai a Parigi ti incontrerò”.
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Deirdre sarebbe partita per Parigi nel novembre del ’71 e le prospettive non potevano essere più rosee: un cospicuo rimborso spese per il viaggio, un operoso agente letterario e la possibilità di convincere un editore. Ma tutto ciò non durò a lungo, ovviamente. Un amico newyorchese di Beckett, lo scrittore John Kobler, le rifilò due enormi bottiglie di whiskey Bushmill per il collega irlandese. Solo più tardi scoprì che a Beckett nemmeno piaceva il Bushmill, e che quindi aveva faticato invano per farle entrare nella valigia. Tuttavia, lo sgradito regalo era solo il presagio dei fraintendimenti e dei rischi nei quali Deirdre si sarebbe invischiata e che l’avrebbero inghiottita per i successivi sette anni.
“Non ti aiuterò – e non ti sarò d’intralcio”, le disse Becket al loro primo incontro. “La mia famiglia e i miei amici ti assisteranno; i miei nemici ti troveranno presto”. Bair, però, non si aspettava che amici e nemici di Beckett fossero tanto difficili da distinguere fra loro e, che nei sette anni occorsi per fare le opportune ricerche e ultimare il libro, il suo soggetto sarebbe stato fino a quel punto elusivo. Nonostante l’impareggiabile disponibilità che lo scrittore dimostrava, nel presentarle il suo cerchio di frequentazioni, e nel lasciarla libera di chiedere qualunque cosa volesse; Beckett spesso spariva da Parigi in modo alquanto misterioso, senza lasciare alcun recapito, durante le settimane in cui lei lo raggiungeva dall’America per proseguire il lavoro. Quando invece si palesava, Beckett imponeva rigide regole. Niente registrazioni, niente appunti. Bair doveva scriversi le domande in anticipo, memorizzarle attentamente e, dopo averlo incontrato, precipitarsi nella sua stanza d’albergo per buttare giù qualche disordinato appunto. “Quando intuiva ch’io stessi per scoprire qualcosa, s’irrigidiva”, rammenta Bair, “si arrovellava nei propri discorsi; li riempiva di commenti personali e si mostrava sprezzante”.
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Deirdre sospettava che Beckett non la prendesse seriamente.  Un giorno, divertito dalla situazione, Con Leventhal – un amico dello scrittore – le rivelò di una volta in cui Beckett si era riferito a lei come “la donna dai capelli rigati” alludendo alle mèches che Deirdre si faceva dal parrucchiere. Le ricordò dell’ordinario sessismo di cui era vittima nei suoi giorni in redazione, quando si supponeva che una “ragazza reporter” dovesse scrivere di “cucina, vestiti, club di bridge e circoli sociali” piuttosto che di cronaca vera. Ma Bair non si era arresa allora e non si sarebbe certo arresa nemmeno in questa nuova fase della sua carriera. La sua determinazione venne ripagata. “La mia parola è la mia promessa”, le disse e lei gli credette. Bair aveva il sospetto che anche Beckett fosse curioso di vedere come lo avrebbe dipinto mentre era ancora vivo.
Le esperienze con la maggior parte degli amici di Beckett furono tutt’altro che felici. Bair si sorbì tutte le “derisorie maldicenze” che venivano fuori quando litigavano su chi appartenesse o meno al circolino degli eletti. Dovette comprare una marea di scotch a George Reavey a New York, in cambio di briciole biografiche sullo scrittore (“un incubo che andò avanti durante i sette anni di scrittura del libro”). In quasi ogni pagina di Parisian Lives, si può trovare una vena di ripicca o una traccia del rancore a lungo serbato da parte dell’autrice. “Ero l’unica in grado di riconoscere i ritratti che faceva di certi personaggi noti a Dublino”, scrisse di quando leggeva l’opera di Beckett, ma le memorie dei suoi soggiorni a Dublino per cercare la verità non erano affatto piacevoli. “Ho passato serate interminabili seduta sullo sgabello di un pub nel tentativo di tenermi alla larga da innumerevoli poeti, attori, sceneggiatori, giornalisti o professori irlandesi e ubriachi”. È un peccato che la generosità e la gentilezza di Seamus e Marie Heaney, e di altri che ne mostrarono nei suoi confronti, venga fuori solo lateralmente.
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Parisian Lives arde nella irreprensibile ira di Bair nei confronti dei comportamenti sessisti che l’hanno perseguitata mentre seguiva Beckett e negli anni successivi. Alla pubblicazione del libro nel 1978, la frustrazione provata dai critici statunitensi, nei confronti di una scrittrice in grado di affrontare un soggetto letterario così importante, venne fuori. Richard Elmann, sulla The New York Review of Books, si chiese come Beckett avesse potuto permettere a una totale sconosciuta di scrivere della sua vita. “La domanda è interessante quanto qualsiasi altro tema proposto nel libro, e la sua risposta non è difficile da intuire”. Le sue insinuazioni non erano più complesse di quelle articolate dal giornalista che chiese a Bair: “Quante volte è dovuta andare a letto con Beckett per avere questo scoop?”. I recensori britannici furono più corretti e alternarono elogi per il lavoro di Deirdre a critiche legittime sulla biografia. Inaspettatamente, Bair non menziona alcun critico irlandese, se non Brian Fallon, che nel The Irish Times scrisse in occasione della ristampa del ’81: “Le parti migliori sono probabilmente quelle che parlano della vita di Beckett in Francia, del suo impegno nella Resistenza (per il quale venne decorato) e quelle che descrivono le circostanze in cui è riuscito a scrivere e produrre Aspettando Godot, mettendo fine a decenni di ombre e difficoltà. Le conoscenze di Ms. Bair in merito alla letteratura irlandese degli anni ’30 e ’40 sono molto meno interessanti e costellate di seccanti scivoloni e abbagli. Per esempio, viene citata un’opera di Sean O’Casey chiamata I Sogni di Padre Ned, mentre il nome di battesimo di Con’ Cremin diventa Constantine invece di Cornelius; viene citato il fantomatico bando su Joyce in Irlanda etc.”.
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Aver scritto della vita di Beckett, prima e dopo la pubblicazione, è stato sfibrante per Deirdre Bair, ma fra i lividi e le ferite di battaglia, la biografa ricorda alcuni momenti edificanti. Dopo sette anni di duro lavoro, appena prima della messa in stampa del libro, le venne comunicato che doveva ottenere il benestare di Beckett per ogni singola citazione da lettere personali e manoscritti inediti. Esausta, gli scrisse per spiegare la situazione, e chiese a Beckett di apporre le proprie iniziali accanto a ogni citazione che avrebbe voluto inserire nel libro; si trattava di ventitré pagine di citazioni. Una settimana dopo giunse la risposta dell’irlandese. Aveva firmato ogni citazione eccetto una: il poema che aveva scritto da scolaro della Portora Royal School a dodici anni: “mostra meglio la tua diligenza nella ricerca, che la mia evoluzione come scrittore” le spiegò con sagacia. Dopo tutti gli ostacoli superati e le ostilità incontrate in quegli anni, capire che Beckett era davvero un uomo di parola, commosse profondamente Bair. “Nella mia carriera ho incontrato molte persone di parola”, scrive, “ma nessuno ha mai pareggiato l’integrità mostrata da Samuel Beckett. Per lui la parola era veramente una promessa”.
*
Il successo di Samuel Beckett: A Biography fu la ricompensa di Bair. I lettori si ammassarono nelle librerie per averne una copia, le venne conferito il National Book Award nel ’81. Un editore le offrì un contratto per scrivere di chiunque avesse voluto, convinto che Deirdre potesse “tener testa a qualsiasi irlandese, compresa Virginia Woolf”. Lei giurò di aver chiuso con le biografie, ma poco dopo tornò sui suoi passi. Nel 1986 pubblicò Simone de Beauvoir: A Biography, e da allora ha scritto una mezza dozzina di altre biografie; tutte accolte ottimamente dalla critica. Carl Jung, Anaïs Nin, Saul Steinberg e Al Capone furono i suoi soggetti e anche la sua carriera accademica decollò. Tuttavia, come ci racconta nell’introduzione di Parisian Lives, dopo così tanti libri e così tanti anni, tutto ciò che interessava al pubblico erano comunque i due scrittori “di Parigi”, Beckett e de Beauvoir, che cordialmente si detestavano. Ovunque andasse e di chiunque Bair parlasse, tutti le chiedevano di loro due e sempre con la stessa domanda. “Ma com’erano veramente?”.
*
Così, a quasi cinquant’anni dalla prima volta in cui guardato nei celesti “occhi da gabbiano” di Beckett nella hall di quell’hotel parigino, Deidre Bair ha risposto alla domanda che tiene svegli i ficcanaso, mettendosi al centro della scena. Nell’introduzione di Parisian Lives descrive il libro come “un curioso ibrido: si tratta di bio-memorie”, in cui parla di sé stessa come una biografa quando incontra Beckett e de Beauvoir. La sua vita è proiettata attraverso il prisma dei suoi soggetti più noti ed è quindi particolarmente significativa la sua morte – occorsa nel 2020, all’età di 84 anni – a stretto giro dalla nomina al Premio Pulitzer di questo suo ultimo libro. Parisian Lives, non doveva essere la sua ultima opera; infatti, Deirdre Bair stava già lavorando su un altro progetto, una biografia di T.S. Eliot, quando è deceduta. Tuttavia, così, questo libro chiude nel modo più preciso il ciclo della sua relazione “a vita” con Beckett e de Beauvoir, descrivendo il suo modo scomodo e trasgressivo di inseguire le vite degli altri.
In fin dei conti, Parisian Lives non parla di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato nella biografia, né vuole raccontare i crimini che si commettono nel nome di questo genere. Il vero soggetto è il prezzo che una donna ha dovuto pagare per avere successo nella vita professionale che si è scelta. Dopo le tante avversità incontrate nello scrivere di Samuel Beckett, Bair riporta le parole dell’artista franco-americana, Louise Bourgeois, che le hanno dato il coraggio per continuare a scrivere biografie: “Nell’arte, non c’è posto per una donna, fino a quando non avrà provato e riprovato che non si lascerà spazzare via”.
Ann Kennedy Smith
*L’articolo è stato pubblicato in origine su “Dublin Review of Books” come “The Hard Life”; la traduzione è di Giacomo Zamagni
L'articolo “Quante volte è dovuta andare a letto con Beckett per avere questo scoop?”. Deirdre Bair, la biografa del grande Samuel che ha tenuto a bada orde di accademici proviene da Pangea.
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mauriziomeani · 3 years
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Ovvero come trovare e scegliere la propria strada… Quante volte vi hanno domandato o avete chiesto cosa vuoi fare da grande? Che facoltà pensi di scegliere? Che tipo di lavoro ti piacerebbe fare? Oggi più che mai, con la proliferazione dell’offerta formativa, con la moltiplicazione delle facoltà universitarie e con le molteplici opportunità offerte da un mercato del lavoro in continua e profonda trasformazione, fare la scelta giusta è diventato davvero difficile. Attraverso una serie di incontri mirati potrò aiutare voi o i vostri figli a svelare il vostro sogno, a scoprire i vostri veri talenti e a far emergere i vostri desideri più profondi per aiutarvi nella scelta di un percorso formativo, di una facoltà universitaria o nella ricerca di un nuovo lavoro. Per informazioni sugli incontri personalizzati: [email protected] #orientamento #lavoro #formazione #neolaureati #manageriale #postlaurea #job #autostima #scuola #università #businessschool #tv #imprese #business #openday #strada #topmanager #infowebsite #futura #laureamagistrale #offerta #planning #sogno #auditorium #design #benessere #office #followfollowfollow #autostima #persona https://www.instagram.com/p/COP59voMMCF/?igshid=bq6k9kh2o2gi
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bannerluisstv · 11 years
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"Ad un anno dalla laurea, il 78% degli studenti LUISS trovano un impiego". Barbara Poggiali, Vice Presidente LUISS Guido Carli
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lamicog · 11 years
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Il punto è che mi sono scelto una carriera un po' strana. Con un po' di fortuna viaggerò molto - e a chi non piace viaggiare? Tuttavia, se so dove sono adesso, non so dove sarò tra due mesi, e così via. Riesci a sentirti felice in un posto, che già è ora di andare altrove. E intanto ti chiedi se quelli intorno a te rimarranno, o meglio, se tu sarai in grado di rimanere per loro. Io la mia scelta l'ho fatta: di non dire mai addio a nessuno, a parte il giorno in cui passerò a miglior vita. Perché si dice che le persone davvero importanti non ci lasciano mai, comunque vada. E questo, per ora, mi basta.
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mauriziomeani · 3 years
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Ovvero come trovare e scegliere la propria strada… Quante volte vi hanno domandato o avete chiesto cosa vuoi fare da grande? Che facoltà pensi di scegliere? Che tipo di lavoro ti piacerebbe fare? Oggi più che mai, con la proliferazione dell’offerta formativa, con la moltiplicazione delle facoltà  universitarie e con le molteplici opportunità offerte da un mercato del lavoro in continua e profonda trasformazione, fare la scelta giusta è diventato davvero difficile. Attraverso una serie di incontri mirati potrò aiutare voi o i vostri figli a svelare il vostro sogno, a scoprire i vostri veri talenti e a far emergere i vostri desideri più profondi per aiutarvi nella scelta di un percorso formativo, di una facoltà universitaria o nella ricerca di un nuovo lavoro. Per informazioni sul corso: [email protected] #orientamento #lavoro #formazione #neolaureati #manageriale #postlaurea #job #autostima #scuola #università #businessschool #tv #imprese #business #openday #strada #topmanager #infowebsite #futura #laureamagistrale #offerta #planning #sogno #auditorium #design #expriviachina #office #followfollowfollow #cucina #economia (presso Milan, Italy) https://www.instagram.com/p/CONUQdssELK/?igshid=1leoz9h0tn3hh
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