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lillyslifestyle · 6 years ago
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Curiosità in Portogallo, quello che nessuno vi racconta n.3
#Curiosità in #Portogallo, quello che nessuno vi racconta n.3
Torna il nostro appuntamento con le curiosità in Portogallo che nessuno vi racconta. Siamo giunti al nostro terzo numero di questa nuova rubrica e voglio ringraziare tutti i lettori che mi hanno scritto via email e messaggi privati per consigliarmi delle curiosità da condividere o fatto richieste speciali.
CURIOSITÀ IN PORTOGALLO 1- La casa nella pietra, la casa dei Flingston
Dopo avervi…
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aplustexto · 6 years ago
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João Álvaro Rocha Architectures 1991-2001*  
*testo pubblicato in Archit (2002)
Con grande discrezione João Álvaro Rocha si presenta in questa monografia. Si possono qui osservare i progetti più significativi di un breve ma intenso percorso che ha portato l’opera di Rocha a delimitare parte dell’intricato e controverso disegno oggi definito architettura contemporanea portoghese.
Francesco Craca, curatore del testo, suddivide l’eclettico lavoro dell’architetto in differenti sezioni:
Percorrendo le differenti destinazioni funzionali, Rocha appare immediatamente come costruttore coerente e deciso, il cui manifesto critico mette insieme i termini di tradizione, precisione, pratica e tecnica.
È il risultato di un lavoro silenzioso, notturno, tra la tenue luce di una lampada Naska Lux e numerosi fogli per schizzi sparsi sopra un tecnigrafo; non è un caso, infatti, imbattersi in Rocha, solitario e a qualunque ora del giorno, intento a terminare un dettaglio o a ragionare attentamente su come risolvere nel modo più “semplice” i complessi compromessi propri della tettonica del progetto. Jose Manuel Pozo, nella sua introduzione al testo, sembra interpretare i gesti di Rocha: silenziosi, calmi, apparentemente semplici. Rispettare il territorio e riconoscere il ruolo protagonista del luogo, formano le premesse di un‘attività che sembra sempre ispirarsi all’anonimato. Il progetto cerca di dissimularsi ed entrare a far parte del paesaggio attraverso l’uso dei materiali reperiti all’intorno. I dettagli sono semplici ma efficaci e il disegno nell’insieme appare privo di strane novità e virtuosismi, in perfetta armonia con il contesto.
È questa ricerca a semplificare, a tralasciare il superfluo che contraddistingue coerenza e tecnica nel suo lavoro. Tecnica quindi, e non tecnologia, come rileva Francisco Mangado: un dialogo attraverso materiali e forme, senza l’uso di prodotti standard o da rivista specializzata; i dettagli costruttivi non sono mai casuali, ma interagiscono con il progetto differenziandosi nelle distinte necessità formali e funzionali. Infissi, porte, scale, sempre scrupolosamente disegnate, trovano risposta al massimo numero di problemi con la minima elaborazione. Minimalismo forse, ma inteso come sinonimo di decantazione, investigazione e processo finalizzato a risolvere problemi complessi con l’uso di sensibilità e cultura.
Opere e progetti si alternano dimostrando tutti i presupposti tipici di un percorso definito inizialmente dalla Scuola di Porto. Mi riferisco in particolare alle opere più antiche (Case I e II a Vermoin, Maia) in cui il “moderno portoghese” orientato dall’entusiasmante opera di Siza, professore all’epoca di "Costruzioni", influenza inevitabilmente il giovane architetto. Ma, a parte queste giustificabili inflessioni, fin dal principio è sempre chiara una specifica ricerca d’identità. È con l’edificio ICP e con il Complesso veterinario LNIV di poco successivi che Rocha acquista maggiore libertà espressiva e autonomia stilistica, mantenendo invariate tutte le prerogative tipiche della Scuola, ma stabilendo una posizione di compromesso tra luogo, tecnica e linguaggio europeo contemporaneo. Le numerose case e ville sparse per il Portogallo cercano indistintamente di raccogliere gli elementi della loro composizione dal paesaggio circostante. Colori, forma, ambiente sviluppano condizioni che insieme ad esigenze specifiche di programma e forte capacità critica determinano forme già note alle pubblicazioni internazionali come la Casa a Carreço, o Casa da Marina. La Casa a Varzea III chiude un capitolo, marcando con la stessa logica di coerenza e discrezione la piccola area abitata di Vermoim a Maia.
PER - Case Popolari Gemunde, Maia (1996). La diversità in termini di risultato partendo dagli stessi presupposti, dà alle tre case, oltre alla chiara successione temporale, un grado di maturità costantemente evidente. Il tema dell’abitazione collettiva e in particolare economica, è trattato da Rocha attualizzando scrupolosamente i principi dettati dall’antico programma SAAL a cui parteciparono le prime generazioni della Scuola di Porto.
Importanza al contesto, economia dei mezzi, attenzione agli aspetti sociali fanno dei numerosi edifici del programma PER di Maia un esempio finalizzato a comprendere principi come modularità, rigore, e precisione. La contrapposizione di ampie finestre in banda su un lato e piccole aperture puntuali nel retro, evidenziano oltre all’immediata distribuzione interna, anche la relazione tra piccola scala di dettaglio e il corrispettivo riflesso in facciata con il conseguente peso nella scala urbana.
Il Parco a Moutidos, il recupero di Quinta da Gruta con il suo giardino, oltre ad inquadrare Rocha in ambito urbano, vede il giovane architetto impegnato a trattare problemi direttamente legati al paesaggio e al trattamento del verde. Architettura, dettaglio e comprensione del luogo sono strumenti che fanno già parte del linguaggio di Rocha e, anche una sfida apparentemente difficile, è egregiamente vinta grazie a valori come discrezione e cultura artistica. Interventi puntuali, oggetti quasi caduti dall’alto, e percepibili in modo diverso a seconda dei differenti percorsi, compongono un ulteriore eccellente esempio di Land Art europea.
La numerosa quantità di opere e progetti nei diversi ambiti funzionali citati in questo libro, definiscono le basi di un lavoro recentemente cominciato, ma che per numero, impegno, e coerenza, denotano una matura capacità critica. I testi all’interno sono di Antonio Ravalli, Antonio Armesto, José Manuel Pozo, José V. Vallejo Lobete, Val K. Warke, Francisco José Mangado, e del fotografo, Luis Ferreira Alves.
Joao Alvaro Rocha  (1959-2014)
http://www.joaoalvarorocha.pt/
http://www.skira.net/en/books/joao-alvaro-rocha
http://architettura.it/books/2003/200310025/index.htm
Stefano Ferracini
Stefano Ferracini (Treviso 1974), Architetto. Dopo anni di formazione e lavoro tra Italia e Portogallo, si stabilisce in Belgio. Insegna architettura d’interni a Esa Saint Luc Bruxelles.
https://sfarchitecture.tumblr.com/
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pangeanews · 4 years ago
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“Qui nevica senza sosta, non accadeva da cento anni, e la proprietaria ha la grazia malinconica di Marlene Dietrich”. Una lettera di Mary McCarthy a Hannah Arendt
L’amicizia tra Mary McCarthy e Hannah Arendt scatta, per eccezionale affinità, nel 1944; è sancita da un vasto carteggio, incominciato nel 1949, durato fino alla morte di Hannah, nel 1975. La Arendt era arrivata a New York nel 1941; dieci anni dopo pubblica “Le origini del totalitarismo”. Mary McCarthy è tra le più lucide, disinibite e audaci scrittrici del proprio tempo. Quando scrive questa lunga lettera dal Portogallo alla Arendt (parte del carteggio è stata edita in Italia da Sellerio come “Tra amiche”, nel 1999), la McCarthy ha mollato Edmund Wilson, si è accasata con Bowden Broadwater (il terzo di quattro mariti complessivi), sta pubblicando “A Charmed Life” (subito tradotto da Garzanti). Di lì a poco scriverà i libri più celebri: “Memories of a Catholic Girlhood” (1957) e “The Group” (1963; ridotto poco anni dopo in film da Sidney Lumet).
***
Pensao Bela Vista 9 Rua Ataide Lisbona, Portogallo, 21 gennaio 1954
Carissima Hannah,
Qui nevica senza sosta, per la prima volta, dicono, da cento o da dieci anni, non saprei. Un pomeriggio adatto per scrivere una lettera, dunque. Un giorno sì e uno no, dopo pranzo, facciamo camminate da consumarci le scarpe. Siamo già stati nella maggior parte delle chiese, all’Alfama, ai Giardini Botanici, che sono incantevoli: a parer mio davvero l’espressione di una nazione; alla biblioteca americana, a quella inglese, in negozi, alberghi, caffetterie. La prima sera siamo arrivati fino al Rossio e abbiamo cercato il posto in cui tu e Heinrich andavate a prendere il caffè. Ma non penso di averlo trovato.
Stiamo in una pensione in cui sembriamo essere gli unici ospiti, sebbene abbiamo sentito alludere ad altri pensionanti. La precedente proprietaria, che ci era stata raccomandata da Leonid [Berman], il pittore, a quanto pare, è impazzita qualche anno fa e ora il posto è sotto una nuova gestione. Temo che stiano per fare bancarotta. Comunque noi abbiamo due camere, di cui una è molto grande, con il balcone e una meravigliosa vista sul porto. La nuova Madame è una certa Mlle. Carole che si avvicina ai quarant’anni, fuma un’eterna sigaretta e indossa un bolerino rosso e una camicetta inglese abbottonata fino al collo. Si porta dietro una certa grazia malinconica alla Marlene Dietrich, che denota un imminente tracollo finanziario. È metà francese e metà svedese, la madre è una grassa maman francese dall’abito nero e lo sguardo di profonda rassegnazione. Non smettono di ascoltare la radio francese e parlano in quattro lingue: tedesco, francese, inglese e portoghese. La loro tortura e afflizione è la Portoghese, ossia la loro aiutante. La cucina è davvero incostante, come il tempo; quando cucina la Portoghese, è mediocre, quando cucina Madame è buona, quando cucina Maman è superba. Come chiunque quando si trova in una condizione precaria, sembrano possedere il potere di leggere la mente. Percepiscono il momento esatto in cui decidiamo di provare qualche altro posto e Maman si dirige verso la cucina: allora la cena è all’altezza de La Pérouse. Tuttavia si respira un’aria generale di creditori incalzanti, dipendenti che si licenziano, confusione, fusibili che saltano; per fartela breve, io mi sento molto solidale con loro e Bowden si è placato dopo aver fatto un giro nelle altre pensioni; e la posizione qui è estremamente comoda: in alto, proprio sopra e a ovest del Chiado. Naturalmente, paghiamo troppo rispetto alla media portoghese, ma ci consoliamo con il fatto che non facciamo in tempo a esprimere un desiderio che tutta la pensione è già in azione. Il motivo, lo so, è che siamo americani. E gli americani, per queste persone, sono come divinità primitive, un grappolo di imprevedibili e misteriose voglie da appagare e se possibile anticipare. Hanno le idee più strane su cosa potremmo desiderare, idee timide, speranzose, come offerte. Al momento abbiamo una stufa a gas in camera, ma il ragazzo continua a salire per offrirci anche una stufa elettrica, nonostante non ce ne siano altre in casa e noi non ne abbiamo il benché minimo bisogno.
Non so quanto a lungo rimarremo qui. Dicono che l’Algarve, al sud, dove pensavamo di andare, sia completamente imbiancata, nonostante la mimosa dovrebbe essere già fiorita. Sai che il New Yorker mi ha chiesto una “Lettera dal Portogallo”? Ieri ho incontrato il nostro addetto stampa, che mi è parso piuttosto bravo e abbiamo parlato di Platone. La cosa che mi colpisce di più qui è il fenomeno dell’Americanizzazione. Sono molto attivi gli interessi commerciali americani: Ford, Buick, International Telephone, TWA; per strada si vedono migliaia di automobili nuove e le vetrine sono piene di radio, frigoriferi, pentole a pressione, vasche per neonati; molte fra queste cose sono di fattura americana. La cosa più strana è trovare sulla Rua Garrett (la principale via di negozi) scatole di salatini Ritz avvolte nel velluto rosso; una vetrina intera solo per quelle e un’altra per le Tootsie Rolls. Vi è una sorta di pathos infantile o primitivo in questo; le loro confezioni e le loro torte sono così incantevoli, come ricorderai. E ovunque, nei sobborghi, ma persino nella città stessa, spuntano case popolari. Devo dire che le loro sono meglio delle nostre.
Dal punto di vista politico non so ancora nulla di questo paese. Sembra piuttosto sconcertante a livello economico, una strana miscela di prosperità e povertà. La prosperità deve essere piuttosto diffusa tra tutta la classe media della città, ma non riesco a comprendere da dove provenga. Nelle sale da tè e nelle caffetterie si accalcano uomini e donne ben vestiti, che negli Stati Uniti considereresti gente d’affari, o persino segretarie e rappresentati; tutta la classe media più giovane, a dire il vero, sembra molto americana, come se avesse modellato espressioni e modi di fare sulla base dei film; sono solo gli aristocratici e i poveri ad avere l’aspetto che io definirei portoghese. (Trovo che questa sia una grande differenza rispetto all’Italia o alla Francia). D’altro canto, i prodotti di fabbrica nelle vetrine dei negozi, ma anche nelle strade più rinomate, sono davvero scadenti – parlo di scarpe, borse, vestiti, camicie da uomo. Tutto sembra uscito da un magazzino di Gimbel o da una svendita dopo un incendio. E poi l’artigianato sembra non esistere per nulla, solo roba dozzinale, pacchiana e rozza, affatto autentica, il tipo di oggetto che potresti acquistare alla stazione ferroviaria come souvenir. Nei vicoli e nell’Alfama regna una sorta di povertà medievale, ricorda l’Africa, come hai detto tu, o le pagine più crude de I Miserabili o di Notre-Dame de Paris.
Ora devo interrompere. Si sta facendo buio e una cosa che non sono riuscita a procurarmi in questa pensione è una buona luce da lettura o scrittura. Ti manderò un altro resoconto tra non molto. Se hai un minuto, mandami due righe qui. Parliamo costantemente di te. Dove sei stata tu a Lisbona, mi domandavo. In che quartiere?
Domani incontrerò il numero due del Segretariato per la Propaganda. L’unica altra persona del posto che abbiamo conosciuto è un ballerino di danza classica, di cui ci aveva parlato sempre Leonid, domani sera ci porterà ad ascoltare il Fado all’Alfama.
Con tanto tanto affetto per entrambi,
Mary
*Da Between Friends: The Correspondence of Hannah Arendt and Mary McCarthy, 1949-1975, di Hannah Arendt, Carol Brightman, Mary McCarthy. New York, 1995; traduzione di Valentina Gambino
L'articolo “Qui nevica senza sosta, non accadeva da cento anni, e la proprietaria ha la grazia malinconica di Marlene Dietrich”. Una lettera di Mary McCarthy a Hannah Arendt proviene da Pangea.
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