#politicos problematicos
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brasil-e-com-s · 2 years ago
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raffaeleitlodeo · 1 year ago
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"Mi limiterò a dire che a mio parere – non empiricamente, purtroppo, ma solo in teoria – per chi ha letto molto di Dickens, sparare al suo simile in nome di un’idea è più problematico che per chi non ha letto Dickens. E sto parlando proprio di chi ha letto Dickens, Sterne, Stendhal, Dostoevskij, Flaubert, Balzac, Melville, Proust, Musil, e così via; cioè di letteratura, non di alfabetizzazione e istruzione. Un letterato, persona colta, per essere sicuri, è pienamente in grado, dopo aver letto questo o quel trattato politico [...], di uccidere un suo simile, e anche, dopo averlo fatto, di esserne pienamente convinto. Lenin era letterato, Stalin era letterato, e così era Hitler, e Mao Zedong ha perfino scritto versi. Ciò che tutti questi uomini avevano in comune, però, era che la lista delle persone che hanno colpito era maggiore alla lista dei libri che hanno letto". - Iosif Brodskij, Discorso di accettazione del Nobel, dicembre 1987
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candyvoncaramell · 5 months ago
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Vi los tags del post preguntando por narcos en uruguay:
Y no, aca mucha mafia o estilo pandillas no hay, o al menos no al ojo publico.
Osea, historicamente ha habido casos donde se complica la situacion y de repente se agarran a balazos en barrios donde esta muy complicada la cosa (con policias, normalmente).
Pero por lo general los crimenes son casos individuales de robos/venta de drogas, asi que aunque igual tenes que andar con ojo (mas que nada de noche) no es algo de todos los dias encontrarse narcos por ahi.
Aparte como seguramente muchos politicos andan metidos en esos tratos raros con droguita por aca y por alla (como se vio con el caso marset), tampoco les sirve que los narcos sean super problematicos ni visibles. Por algo hasta marset se quizo hacer un lavado de imagen el muy hdp, con que en realidad el era un buen cristiano y no se que historia jajaj
Pero si, salvo que te metas en esos circulos (o vivas en un barrio complicado, donde haya venta de droga visible o armas) las chances de encontrarte un narco son muy bajas, por lo general 👍
Todo suele manejarse con bastante secretismo en el uruguay, es cultural. Pero esa busqueda por querer dar una buena imagen (bien de pueblito) al menos sirve en estos casos jajaj
aaah 6_6 bueno no es taaan malo, yo denoche por el barrio no salgo, hell ni de día si puedo evitarlo. llego tarde a la facultad sólo para no andar de madrugada
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finnianson · 2 years ago
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ITALIA SOVRANA E POPOLARE Prima e Dopo
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Esattamente come accaduto al Partito "VITA"  e al Partito Italexit, anche ISP sta vivendo un problematico post elezioni:
Ognuno dei soggetti che compongono la alleanza è ora alle prese con il dilemma:
Andare avanti verso la fusione? Fare un passo indietro? Restare nell'alleanza mantenendo ben distinta la propria identità?
Francesco Toscano ha cercato di guidare il proprio partito verso la continuazione del progetto ISP, ma ha trovato un forte contrasto interno capitanato dal segretario Mario Gallo
Toscano è stato accusato da più parti di essere autoritario, in effetti il problema di una mancanza di democrazia interna era già stato sollevato in varie occasioni, lamentata da molte persone in occasione delle amministrative di Parma e Genova.
In generale si ha l'impressione, almeno dall'esterno, che Toscano abbia la tendenza ad affrontare tutto su un piano personale anziché politico.
Tuttavia trovo personalmente giusta la sua linea politica. La direzione è quella di un rafforzamento del progetto ISP.
Ma potrà dare qualche frutto un partito organizzato in modo verticista, che non coinvolge la base se non per acclamazione in momenti assembleari lontani dall'essere un tradizionale congresso?
La scissione ha dato origine a due tronconi: uno capitanato da Gallo e comprendente la maggioranza delle sezioni e il canale YouTube " Ancora Italia TV" , orientato verso la ricongiunzione con Diego Fusaro in un dialogo con ITALEXIT, questo troncone manterrà il nome Ancora Italia per la Sovranità Democratica.
Il secondo troncone invece è quello di Toscano, che mantiene Visione TV come canale di riferimento e di cui fanno parte i candidati mediaticamente più di spicco nelle ultime elezioni: Enzo Pennetta, Fulvio Grimaldi, Giorgio Bianchi, Claudio Messora.. Questo secondo Troncone punta a rafforzare l'asse con Marco Rizzo, Ingroia e D'Andrea. Si chiamerà Ancora Italia Sovrana e Popolare.
EDIT
La Diaspora continua:
dopo la scissione di Ancora Italia se ne va da ISP anche Riconquistare l'Italia.. Complice il mancato coinvolgimento di RI da parte di Rizzo e Toscano, che hanno sempre relegato il segretario D'Andrea al ruolo di comprimario all'interno dell'alleanza politica..
Esce quindi Riconquistare l'Italia, che però esce spaccata da questa decisione.. Rimangono Ingroia, Rizzo e il nuovo soggetto di Toscano che nel frattempo ha nominato la ex parlamentare Granato come segretaria. Si avvicina a ISP l'ex di RI, Gilberto Trombetta, che porta sicuramente in dote una parte di RI: un “ Correntone “ che ha preso il nome di “Fronte per la sovranità popolare”.
A causa della scissione di RI , la coalizione “ Italia Sovrana e Popolare “ ha dovuto cambiare il nome in “ Democrazia Sovrana e Popolare”..
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corallorosso · 4 years ago
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Il rapporto dell'umanità con i legami causa-effetto è sempre stato tanto affascinante quanto problematico. Mi piacerebbe dirvi che, dai tempi in cui si implorava perdono al proprio Dio in concomitanza di una eclisse, ora le cose sono cambiate. Eppure, in parallelo a piccoli o altre volte sorprendentemente titanici passi avanti, ancora oggi assistiamo a indecorosi ed epici fallimenti. Qualche tempo fa, una mia peraltro affezionata studente, durante una amabile chiacchierata finalizzata all'estorsione di informazioni da essa riottosamente custodite (leggi: un esame orale), mi dato una risposta che a sua volta mi ha dato molto da pensare. La mia domanda era di stampo informatico, dunque poco digeribile. Per cui cercherò di parafrasare il tutto con sofisticate metafore. "Dunque, quali sono le cause principali di rottura di un motore?" "Ehm, cioè… allora… La spia rossa accesa sul cruscotto?" [Quando fanno così mi trovo spontaneamente a meditare. Medito di trovare dove abitano. Medito di presentarmi con una mazza da baseball all'uscio di casa. Medito di seguirli per mesi, per poi dargli uno schiaffone all'improvviso una sera in mezzo al corso della loro città, tra la gente, per poi dileguarmi nel nulla. Poi mi calmo. Gli voglio bene e *non è*, ripeto *non è* colpa loro] Sembra che nessuno abbia detto a questi ragazzi che non è che il sole sorge perchè il gallo canta la mattina. E non è colpa del termometro che segna 40°C se fa caldo. E pare che ci sia una certa corrente analfabeta piuttosto certa del fatto che se l'epidemia dilaga è "per colpa dei troppi tamponi"; e se ci sono troppi morti, è colpa dei bollettini. Un particolare esponente politico ha dichiarato proprio oggi: "Non ho parole. Non se ne può più di "esperti" che parlano ai giornali, seminando paure e insicurezze, fregandosene di tutto e tutti. Confidiamo che con Draghi la situazione torni alla normalità." Il politico di cui sopra si riferiva ai virologi che dicono, a quanto pare sbagliando, quello che pensano: "Siamo ancora nella cacca ragazzi". Il ragionamento non fa una piega. Costoro parlano troppo e infastidiscono, mentre invece è risaputo quante centinaia di chilometri aggiuntivi possano essere percorsi dando un cazzotto bene assestato alla spia della riserva. Come, perchè succede tutto questo? Non sapremo mai se il politico di cui sopra dormiva sul banco il giorno in cui la sua maestra disse a tutti gli altri compagnucci quelle due-tre cose importanti sul gallo che canta dopo aver visto il sole. Non sapremo mai se il politico di cui sopra fosse perfettamente sveglio: anzi, può essere che abbia capito benissimo come trarre a proprio vantaggio il fatto che fossero gli altri compagnucci a dormire quel giorno. Non sapremo mai se ci fu del tutto una qualche maestra a illustrare questa competenza logica di base: il verso del modus ponens; il legame tra causa ed effetto. ... E' quest'ultimo scenario quello che più mi mette a disagio: le maestre insegnano o hanno mai insegnato davvero queste banali nozioni di logica, tipo i nessi causa-effetto? Ricordate se la vostra maestra vi ha mai spiegato qualcosa del genere? Sapete se i maestri dei vostri figli lo fanno? Stiamo forse creando analfabeti funzionali perchè in realtà non insegnamo più o non abbiamo mai insegnato certe funzioni? Sono preoccupato, e molto. Poichè sembra che qualcuno sia convinto che sgozzando i galli sarà possibile impedire al sole di sorgere tutte le mattine. E non sono turbato solo perchè questo è un ragionamento fragorosamente stupido o, peggio, manipolatorio e in malafede. Sì, lo so, fare pressione sui mezzi di informazione per distorcere la realtà è un mezzuccio piuttosto caratteristico di certa pessima politica, a cui siamo abituati. Ma sono turbato perchè pensare di risolvere i problemi della collettività mettendo il bavaglio a chi dice la verità è un chiaro e inconfondibile sintomo. Di chi non si vergogna a pensare, parlare e agire da fascista. Da Barricate contro la Gonzità - di G. Ianni
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leblanchedelacroix · 6 years ago
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Giorno 9, Sabato
Km: 4.300
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E così pure questo viaggio, come tutte le cose, ha avuto il suo inizio e la sua fine.
Nove giorni in marcia, 4.300 km percorsi, sei nazioni  toccate (Austria, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Svezia e Svizzera), otto confini nazionali attraversati!
Proprio questo è il punto: soltanto pochi anni fa questo viaggio sarebbe stato molto, ma molto più problematico. Avrei dovuto attraversare 7 paesi (la Germania era divisa in due), passare 18 controlli doganali diversi, premunirmi di visti, tra cui quelli per il passaggio nei paesi al di là della Cortina di Ferro, dotarmi di assicurazione sanitaria più alcune assicurazioni rc per la moto, fare scorta di sette diverse valute.
E’ evidente che non ce l’avrei mai fatta in nove giorni: solo uno se ne sarebbe andato via, sommando tutti i controlli alle dogane.
Dite di no?
Beh, sappiate, come esempio, che oggi per passare la dogana ucraina (mi sono informato perchè era un'idea alternativa di viaggio) i tempi variano dalle due alle otto ore, più qualche “lauta mancia”. Due anni fa, quando andai in Marocco, uscii per primo dalla nave e quindi mi presentai per primo al controllo doganale, ma nonostante questo per passarlo ci schiacciai qualche ora.
Oggi, invece, le cose sono assai diverse.
Nell’immediato dopoguerra, alcuni statisti illuminati e lungimiranti, realizzarono che il futuro dei popoli avrebbe potuto essere pacifico soltanto se nel mondo i muri esistenti fossero stati abbattuti e l'Europa poteva essere il punto di partenza, la pietra angolare, di questo progetto visionario.
Si inziò così a parlare di un mercato comune all'interno del continente, così da rendere la spinta dell'azione economica un'apripista per l'unione politico-amministrativa futura.
In tutto questo l'Italia (che con Alcide De Gasperi ne era stata promotrice) giocò un ruolo fondamentale, forse il più importante, e, infatti, nel 1957 fu scelta Roma come sede dei trattati (i cosiddetti Trattati di Roma) con i quali nacque la CEE (Comunità Economica Europea).
Era il 25 marzo ed i paesi firmatari erano sei: Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo.
Tutto il resto è storia.
Perchè ne ho parlato? Perchè oggi, io posso prendere la moto e fare un viaggio fino in Svezia o andare dietro l'angolo di casa senza che questo comporti alcuna differenza. Escluso la valuta (non tutti i paesi che ho visitato hanno adottato l'Euro, ma di questo ne parlerò dopo) e lingua (ma ormai con i mezzi tecnici di oggi, penso ai traduttori per smartphone, anche il problema della lingua si è ridotto drasticamente), per tutto il resto è come essere a casa propria: nessun controllo doganale, assistenza sanitaria assicurata, assicurazione rc riconosciuta, tariffe nazionali per il cellulare, ecc.
La portata di tutto questo è enorme. L'assenza di barriere ha fatto sparire gli abusi di potere che si consumavano all'ombra delle dogane, facilita la circolazione delle cose, ma soprattutto delle persone perchè nell'Europa unita non circolano solo turisti, ma anche lavoratori e tutto questo contribuisce a ridurre le distanze perchè persone appartenenti a comunità diverse adesso iniziano a conoscersi, a confrontarsi ad integrarsi.
Era a questo che pensavo mentre tagliavo con la moto le pianure ceche e le foreste germaniche per arrivare là dove ero diretto, nella Scania. E mentre pensavo a queste cose ripassava in continuazione nella mente un servizio visto al telegiornale, dove un personaggio, pavido e orgoglioso, mostrava ad un altro personaggio (il quale si mostrava molto interessato) un'altana dietro ad un muro di filo spinato posto a guardia di un confine. 
Ma davvero vogliamo farci chiudere nuovamente dentro un muro?
Ma davvero vogliamo dare a costoro tutto questo potere?
Ma davvero c'è qualcuno che oggi pensa di poter fermare il progresso dei popoli con un filo spinato?
A chi smania dietro personaggi del genere dico di pensarci bene perchè i muri nascono per chiudere fuori e finiscono per chiudere dentro.
Ps Il discorso a parte sulle valute riguarda la svegliata che ci dobbiamo dare noi italiani. Spesso non ce ne rendiamo conto, ma siamo dei retrogradi senza speranza. Mi riferisco all'uso del contante (e parlo di esser retrogradi per non dire altro). Ma a che serve il contante oggi? A niente. Danimarca e Svezia non hanno l'Euro, ma le rispettive Corone. Beh, io ho passato quattro giorni tra questi due paesi senza avere manco una Corona in tasca. In qualsiasi esercizio entri puoi pagare con la carta di credito, si tratti di fare benzina, mangiare al ristorante o prendere un semplice caffè. Il sistema è molto più sicuro, tracciabile e, cosa non da poco, utilizzando il sistema contacless, l'operazione di pagamento è molto più veloce che col contante. Riflettete, gente.
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bangtanitalianchannel · 6 years ago
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[ARTICOLO] Come i BTS stanno conquistando il mondo
“È sera presto di un lunedì di settembre in una sontuosa suite al Ritz-Carlton a Los Angeles e Jimin, uno dei sette membri dei BTS, il gruppo più popolare al mondo, sta riposando seduto davanti ad uno specchio illuminato del camerino.
Non lo si può biasimare per essere esausto. Esattamente 24 ore prima Jimin (22), Jin (25), Suga (25), J-Hope (24), RM (24), V (22) e Jung Kook (21), si stavano preparando nel backstage dello Staples Center di L.A. per il loro quarto ed ultimo show della serie di concerti sold-out nell’arena da 20.000 posti. Ogni serata è una maratona di intense coreografie, intervalli con video musicali ed effetti pirotecnici; il tutto ovviamente contornato dai ruggiti dei fan urlanti. “È un vero onore,” ha detto J-Hope, con l’aiuto del traduttore. “Siamo orgogliosi che tutto ciò che facciamo stia sprigionando luce.”
Come i Beatles e i One Direction prima di loro, i BTS presentano un mix di bell’aspetto che fa impazzire e ritornelli che ti rimangono in mente, insieme a passi di danza sullo stile dei New Kids on the Block e *NSYNC. Ma la band – il cui nome sta per Bangtan Sonyeondan in coreano e Beyond the Scene in inglese – sta inoltre battendo nuovi territori. Non solo i BTS sono i primi artisti coreani ad essere riusciti a riempire uno stadio negli Stati Uniti (per non parlare dei record che hanno raggiunto in Asia), ma lo hanno fatto senza doversi adeguare al pubblico occidentale. Solo uno dei membri, RM, parla fluentemente l’inglese e la maggior parte delle loro canzoni sono in coreano, ulteriore prova del fatto che la musica “non deve essere in inglese per diventare un fenomeno globale”, come ha detto Steve Aoki, un DJ americano che ha collaborato con i BTS. Il gruppo è anche straordinariamente abile nell’uso dei social media per promuovere la loro musica e per connettersi con i propri fan.
Ma almeno per ora potrebbero avere bisogno di dormire. “Sto ancora cercando di superare il jetlag”, ha detto in modo impassibile Suga, uno dei tre rapper del gruppo.
***
Fin dalla sua origine negli anni 90 il Korean Pop, o K-pop, è diventato sinonimo di ciò che le case di produzione chiamano “idol”: un gruppo di giovani, ricercati e dall’aspetto perfetto di cui l’immagine è spesso meticolosamente controllata. (Sono spesso scoraggiati dal mettere in discussione le loro vite amorose in modo da sembrare disponibili ai fan.) Ma anche se il K-pop è diventato un’industria del valore di quasi 5 miliardi di dollari con fan da tutto il mondo, le sue star più grandi – inclusi Rain, Girls’ Generation e Big Bang – hanno fallito nel guadagnare popolarità nel mercato occidentale. L’eccezione fu Psy, un rapper sudcoreano che diventò virale con la sua “Gangnam Style” nel 2012, che con la sua personalità comica e stravagante fu un pioniere insolito (e per alcuni critici anche problematico) del genere.
Quando i BTS sono arrivati nel 2013, è stato subito chiaro che avrebbero giocato secondo nuove regole. Sono stati formati da Bang Si hyuk, un disertore del K-Pop che ha lasciato una grande casa discografica per dare il via alla sua impresa privata. Ha poi scelto delle giovani stelle che sembrassero avere qualcosa in più rispetto a tutti gli altri, cominciando da RM, che faceva inizialmente parte della scena rap underground coreana. E sebbene i BTS posseggano degli elementi da idol - una brillante aesthetic, le coreografie affilate, i singoli dalla musica allegra - accettano anche i loro difetti.
Il loro primo rilascio, “No More Dream”, ha messo in luce i modi in cui gli adolescenti coreani si sentono intralciati dalle aspettative della società; RM ha registrato una canzone con Wale che allude all'importanza dell'attivismo politico; Suga ha rilasciato un mixtape in cui ha affrontato il tema della sua depressione. “Abbiamo cominciato a raccontare le storie che le persone volevano ed erano pronte ad ascoltare, storie che altre persone non potevano o non avrebbero mai raccontato” dice Suga. “Abbiamo parlato di ciò che le altre persone stavano provando - il dolore, le ansie e le preoccupazioni.”
Trasmettono questi messaggi nei loro video musicali, pieni di metafore e riferimenti culturali, nei loro aggiornamenti sui social, nei testi della loro musica, che i fan traducono e analizzano nelle bacheche online, nelle chat di gruppo e nei podcast. “Era quello il nostro obiettivo: creare una certa empatia a cui le persone potessero relazionarsi” ha continuato Suga.
Aiuta anche il fatto che il loro sound sia ampiamente accattivante, fondendo hip hop con EDM e pop. La lista di artisti con cui hanno collaborato di recente include Desiigner e Nicki Minaj, che ha aggiunto una strofa al loro ultimo singolo, “Idol”, il cui testo allude a qual è il loro posto nel firmamento del Kpop. “Puoi chiamarmi artista, puoi chiamarmi idol” cantano. “Non importa come mi chiami, non mi interessa… non puoi farmi smettere di amare me stesso”.  RM dice che quel mantra - ama te stesso - è l'essenza dell'identità dei BTS; è perfino incorporato nei titoli dei loro più recenti album. “La vita ha molte questioni, molti problemi, molti dilemmi imprevedibili” dice RM. “Ma penso che la cosa più importante da fare per vivere bene sia essere te stesso. Noi stiamo ancora cercando di rimanere noi stessi.”  
La combinazione di questi tratti ha incontrato il favore dei fan, specialmente sui social, dove i BTS hanno ammassato milioni di follower devoti. Chiamano loro stessi ARMY, che è sia un acronimo per Adorable Representative MC for Youth sia un rimando al loro potere organizzativo. Nel 2017 i fan dei BTS sono comparsi nei titoli dei giornali per aver innalzato il gruppo sulla cima della classifica Top Social Artisti di Billboard - la quale si basa sui dati streaming, sulle menzioni sui social media e su molto altro - sorpassando gente come Justin Bieber e Selena Gomez. Da allora, gli ARMY hanno catapultato entrambi gli ultimi due album dei BTS, “”Love Yourself: Answer” e “”Love Yourself: Tear”, in cima alle classifiche degli album negli Stati Uniti, in Corea del Sud e Giappone. “Anche se c’è una barriera linguistica, una volta che la musica comincia, le persone reagiscono tutte più o meno allo stesso modo ovunque andiamo” dice Suga. “Sembra che la musica ci avvicini davvero tutti”.  Jimin aggiunge: “Diamo energia agli spettatori del nostro pubblico e ai nostri ascoltatori, ma traiamo anche tanta energia da loro.” ***
Ritornando al Ritz, un makeup artist sveglia Jimin dal suo pisolino. Lì vicino, V canta un paio di note mentre i suoi capelli biondo tinti vengono asciugati. Jungkook fa scrocchiare il collo mentre un makeup artist applica del fondotinta. RM chiacchiera con un manager. Suga scivola in un paio di mocassini. Jin, che si fa chiamare con il soprannome di 'Worldwide Handsome’ dato dai suoi stessi fan, lascia che un costumista gli allacci la cravatta. Le risate di J-Hope filtrano attraverso la porta.
È un raro momento di riposo per i ragazzi. Nel corso delle prossime settimane si esibiranno  con altri 11 show andati sold out, appariranno a Good Morning America e aiuteranno persino a lanciare un'iniziativa a scopo legittimativo per i giovani all'Assemblea delle Nazioni Uniti nella città di New York, alla quale RM ha parlato del tema dell'accettare se stessi: “Non importa chi tu sia o da dove vieni, quale sia il colore della tua pelle, la tua identità di genere: fai sentire la tua voce.” Un'agenda fitta come questa ai più potrebbe sembrare scoraggiante. Ma per i BTS - e per i loro ARMY - è un segno incoraggiante di quello che deve ancora venire. “Lo dico così tanto per dire” dice Suga “ma forse potremmo esibirci al Super Bowl un giorno”.”
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©CiHope, ©lynch) |  ©TIME
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paoloxl · 6 years ago
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Discutere intorno al ruolo del “centro sociale” è di per sé un fatto in continua evoluzione, innervato dagli stimoli quotidiani che si ricevono dall’essere parte di una storia “di movimento” e “in movimento”. Allo stesso tempo riteniamo fondamentale fissare alcuni punti utili per leggere il ruolo di questi spazi, e in generale delle forme di autorganizzazione, nella fase attuale.
Organizzare l’eccedenza
Il materialismo storico, con il quale tentiamo sempre di guardare al mondo, ci aiuta a comprendere come si evolve, oggi, la “sussunzione reale della vita nel capitale”, ovvero la condizione oggettiva di riproduzione della vita nella quotidianità. Si tratta dello stadio di sviluppo più avanzato del capitalismo nel quale la vita stessa, in tutte le sue articolazioni produttive e riproduttive, è pienamente integrata nella forma sociale del capitalismo, nei suoi meccanismi di comando e sfruttamento. Non siamo più solamente piegati alle regole del capitale, ma sempre più creati, formati e strutturati dentro un rapporto di capitale. Non c’è un fuori dal rapporto di capitale; c’è solo un dentro. Il capitalismo non è solo un modello di funzionamento dell’economia; è un rapporto sociale che crea la società intera. Per parafrasare il vecchio, ma sempre valido, detto operaista “dentro e contro il capitale”, oggi questa enunciazione di antagonismo radicale va pienamente oltre i confini della fabbrica fordista, si dispiega in tutte le articolazioni complesse della “fabbrica sociale”, della macchina globale della circolazione produttiva e riproduttiva.
Una sussunzione che, però, non è mai totale, perché si scontra con la possibilità del biosdi sovvertire il rapporto sociale di dominio. La potenza della vita è un divenire in continua trasformazione e nessun apparato di cattura di bisogni e desideri può impadronirsi completamente del flusso vitale. Come questa eccedenza da possibile diventa reale? Come dalla dimensione meramente oggettiva si passa a quella soggettiva? Quali gli spazi in cui l’eccedenza si organizza assumendo i tratti di potenza collettiva rivoluzionaria?
Sono le domande che hanno sempre accompagnato il nostro agire politico, ma che nella fase attuale assumono una nuova valenza fondativa. Questo perché si collocano in quell’interregno di gramsciana memoria, in cui il “vecchio” modello di governance sta morendo, ma il “nuovo” non è ancora nato, come fosse situato nella fase magmatica della Pangèa. Una fase in cui l’agire autonomo della soggettività di classe può schiudere spazi inediti, come stiamo vedendo in Francia con i gilet gialli, a patto che si fondi sull'ambizione di plasmarsi oltre le forme organizzative e i lessici politici del passato. Questa ambizione consiste nel cogliere i punti di rottura principali del rapporto contemporaneo tra capitale e vita, trasformarli in un nuovo divenire articolato sul piano teorico, sul piano del linguaggio egemonico di medio-lungo periodo, sempre “messo in continua prova e revisione” dalle pratiche materiali di lotta ed organizzazione.
Il centro sociale come forma organizzata e organizzatrice
È necessario costruire una nuova narrazione, che riaffermi la capacità da parte di un “centro sociale” di essere luogo organizzato e organizzatore, nel contempo, della cooperazione sociale e del conflitto, all’interno di un piano spaziale in cui la dialettica tra “locale” e “globale” si è arricchita di nuove potenzialità e contraddizioni.
Una di queste riguarda senza dubbio l'Unione Europea, che continua a rappresentarsi ai suoi cittadini come vampiro-esattore dell'austerity, inquadrata come primo nemico da abbattere all'interno di una campagna elettorale permanente che forma un gioco grottesco, sospeso tra l'impossibilità della chiusura del cerchio della governance continentale (vedi la recente manovra finanziaria italiana) e l’evocazione di una sovranità nazionale assolutistica, pura mistificazione nell’epoca di progressiva dissoluzione dello Stato Nazione.
I temi del razzismo, del fascismo, del sessismo, della lotta al climate change e all’impoverimento di massa devono pertanto uscire dai binari di quella finta dicotomia tra globalismo e sovranismo, ma allo stesso tempo accompagnare e distinguere la nostra capacità di azione in uno spazio molteplice, che parta dalle mura del centro sociale e guardi immediatamente alle lotte globali e allo sviluppo di processi organizzativi transnazionali.
La fase attuale ci consegna un quadro in cui la crisi della rappresentanza novecentesca ha rotto qualsiasi rapporto mediato tra capitale e vita. C’è bisogno, al di fuori dell’autonomia del politico, di leve organizzative capaci di intersezionare le istanze e trasformarle in lotte moltitudinarie anticapitaliste. Per questa ragione i centri sociali assumono un ruolo centrale e, per certi versi, inedito che guarda immediatamente al rapporto tra soggetto politico e moltitudine. È in questa relazioni che la discussione assume valenza ontologica, perché interroga la nostra capacità di creare pratiche e soggettività autonome nella molteplicità dei contesti in cui ci troviamo ad agire.
La città come spazio di contesa
La capacità di innervare il tessuto sociale di azioni e discorsi “autonomi” è quella grammatica che ci permette di cogliere le spinte sociali, di politicizzarle e potenziarle. Per assumere concretezza questo deve avvenire a partire dal livello di prossimità spaziale in cui operiamo e in particolare lo spazio urbano. La città neoliberale è il luogo dove il conflitto tra capitale e vita emerge in tutta le sue contraddizioni. Da un lato ci sono i dispositivi della rendita, che gerarchizzano la città attraverso dispositivi di inclusione differenziale definiti in base a linee etniche e socio-comportamentali. Dall’altro ci sono corpi sociali che reclamano spazio, cittadinanza, potere. Vite che si intrecciano in quel confine tra “centro” e “periferia” diventato sempre più mobile, relazioni che si assemblano e si trasformano in laboratori, all’interno di un contesto dove i corpi intermedi tradizionali – partiti, sindacati, associazionismo – sono pienamente investiti dalla crisi della rappresentanza.
È in questa ambivalenza che i centri sociali si affermano sempre più come luoghi di rottura e di elaborazione, non solo per un’intrinseca azione che sottrae spazi reali alla rendita urbana, ma soprattutto per la capacità autonoma di intercettare le spinte innovatrici e conflittuali che attraversano la città. Il superamento del “centro sociale-ghetto” è ormai avvenuto almeno due decenni fa e la sfida che si apre adesso è quella di trasformare l’esercizio di contropotere nella costruzione di istituzioni del comune. Istituzioni del comune che non sono tali solamente perchè cooperano al loro interno, anche il capitalismo estrae valore dalle forme di cooperazione: istituzioni del comune sono tali poiché si danno una forma autonoma e creano la possibilità di fare del Comune un agente autonomo libero ed estendibile. Una sfida che inevitabilmente fonde le categorie dal politico e del sociale, che guarda al piano complessivo per ambire alla creazione di una città altra, di un mondo altro. Per questa ragione è necessario ragionare all’interno di piani diversi, da quello – costituente! - del conflitto a quello della rappresentanza e delle istituzioni.
A questo proposito crediamo che l’approccio più corretto debba avere come riferimento situazioni contingenti e circoscritte. Il caso del civismo politico, che negli ultimi anni ha investito il dibattito pubblico sulla rappresentanza, è emblematico in tal senso. Nel momento in cui il civismo è stato estrapolato dai piani locali ed è stato teorizzato come modello – o addirittura come nuova forma di militanza metropolitana – se ne colgono più limiti che pregi. Leggendolo in linee tendenziali, il civismo riproduce tutti i “difetti” dell’autonomia del politico, in primo luogo per non aver mai saputo affrontare a pieno il nodo della lottizzazione dei vecchi partiti, in secondo perché continua a ricercare la sua ragione di essere negli istituti di uno Stato di diritto sempre più in dismissione. Emerge così la contraddizione primaria di non liberarsi mai dal “vecchio”, sovradeterminando con una sorta di “assemblearismo verticista e gerarchizzato” le istanze maggioritarie delle assemblee larghe e plurali delle quali dovrebbe essere espressione e alle quali, spesso, non riesce a dare adeguata concretezza politica ed esecutiva.
Partendo da questi presupposti, è difficile immaginare, nel quadro della post-democrazia, azioni nella rappresentanza politica che eccedano i livelli di compatibilità con il potere costituito; e questo diventa maggiormente problematico quanto più si allarga la scala di riferimento spaziale, diventando nazionale ed europea. Questo non vuol dire che la questione della rappresentanza vada affrontata con un approccio antagonistico tout court, ma è essenziale intenderla in un rapporto che sappia discernere linearmente tra piano tattico e strategico, amministrazione/governo e autogoverno, potere costituito e istituzioni del comune.
Il “caso padovano”, che ci vede in qualche modo protagonisti, può fornire un interessante piano di lettura. Le elezioni comunali del 2017, e in particolare il boom elettorale di Coalizione Civica, hanno prodotto a Padova un’anomalia capace di rompere quel blocco di potere che aveva imbrigliato la città in un rapporto tra rappresentanza e movimenti ancora fortemente ancorato ai retaggi degli anni ’70. Una “novità” che va interpretata al di là del mutato quadro elettorale, ma nella possibilità concreta di esercitare nuovi rapporti di forza. Rapporti di forza che nascono da esperienze di lotta e che si sono espressi, ad esempio, con gli scontri del 17 luglio 2017 contro la presenza a Padova di Forza Nuova a pochi giorni dall’insediamento dell’amministrazione Giordani, che hanno spostato in avanti il baricentro del dibattito pubblico e politico cittadino. E lo hanno fatto grazie al primato della lotta politica e alla forza autonoma dei movimenti, non attraverso processi subordinati alla verticalità dell’autonomia del politico.
Contrariamente a chi ha scelto “il governo” come sbocco politico, tentando goffamente di leggere in maniera omogenea esperienze “municipaliste” molto diverse tra loro, la nostra direttrice è quella di avere uno sguardo da un lato analitico e dall'altro immediatamente pratico, che ci ha evitato di cadere in semplificazioni che stanno andando a ledere e decomporre i processi di mobilitazione sociale radicale nel nostro paese.
In funzione di questo, il nostro approccio non può che porsi in termini materialisti. Interazione, discussione, contrapposizione, progettualità nuove al servizio della città, proposte, lotte: il tutto come modus operandi di una costruzione quotidiana, quartiere per quartiere, che vede i processi autonomi e istituzionali (ove possibile) mai ibridarsi, ma porsi all’interno di una dialettica conflittuale.
Ciclo reazionario e attacco ai centri sociali
Proprio per la loro capacità di aggregare e creare contropotere territoriale (e non solo), i centri sociali sono duramente messi sotto attacco dal potere costituito. Un attacco che viene da lontano e che spesso ha avuto la sua elaborazione politica nelle tante amministrazioni comunali di questo Paese guidate dal Pd, ma che oggi assume connotati nuovi, direttamente connessi con il corso storico reazionario che stiamo vivendo su più livelli.
La narrazione della destra salviniana si ostina nel tentativo repressivo e mediatico di mettere all'angolo le esperienze sociali, soprattutto laddove sono emerse come laboratori politico-sociali della solidarietà, di cultura e saperi emancipati dai processi finanziari, di forme di vita avulse da razzismo e sessismo. Il potere statuale, svuotato di sovranità organica, amplifica il suo carattere coercitivo, attaccando tutti quei processi che ricercano indipendenza e autonomia del biossociale.
Nel contesto nazionale, la ricchezza e potenza che si manifestano nella vita dei centri sociali fanno paura a chi oggi, nell'impasse della “sinistra”, non mette in discussione le identità e le eredità storiche. Ma fanno paura soprattutto al populismo razzista di Salvini, poiché il loro agire politico è in grado di smascherare i simulacri continuamente proposti dal governo giallo-verde.
Non a caso la linea di continuità tra Marco Minniti e Matteo Salvini è rappresentata dalle politiche di sgomberi e repressione nei confronti di chi oggi indica in maniera lineare percorsi di alternativa. Non a caso il Veneto leghista, cogliendo il vento destroide repressivo, inizia a muovere i primi passi contro i centri sociali della nostra regione. Quel Veneto leghista che ha devastato le nostre città e i nostri territori con grandi speculazioni finanziarie, elargendo fette di patrimonio pubblico alle grandi imprese, ha costruito un’ideologia basata sullo sviluppo illimitato delle forze produttive e il falso mito del progresso, fino ad arrivare ai disastri idromorfologici ambientali degli ultimi mesi.
Per contrapporsi a questo attacco la dimensione resistenziale è fondamentale, ma la posta in gioco è molto più alta. La sfida da cogliere è legata a due parti di società che si contrappongono su temi molto più ampi: vita contro controllo securitario; produzione e riproduzione illimitata del capitale contro ricerca e progettazione di forme di vita altre, contro il consumismo sfrenato, per una liberazione dall’alienazione delle merci e del denaro; ricatto e sfruttamento contro reddito e diritti; devastazione ambientale contro chi lotta per un nuovo equilibrio tra uomo e natura.
E questo scontro non potrà esser altro che uno scontro duro, sul quale non fare un passo indietro, sul quale mettere in gioco molto e mettersi in gioco tutte, tutti e tutto: per riaffermare con forza, in maniera moltitudinaria, la vita e l'esistenza di un altro mondo possibile.
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Sumayya Vally architetta sudafricana
https://www.unadonnalgiorno.it/sumayya-vally/
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Credo ci sia assolutamente bisogno di più donne che disegnino cose. Non solo, abbiamo necessità di progetti di più persone differenti, una varietà di più voci. Nel mondo in cui viviamo, così problematico e che viene osservato solo dal punto di vista dominante dell’uomo bianco-occidentale, guardare in modo differente può contribuire a trovare soluzioni alternative, fornire risposte più varie.
Come donna ma anche come africana e musulmana vedo le cose in maniera differente. Posso portare un contributo dato dalla ricchezza di cultura e storia del mio continente. Più diversità di vedute e opinioni coinvolgiamo meglio è, con migliore ispirazione e maggiore ricchezza per affrontare le sfide.
Sumayya Vally è l’architetta sudafricana annoverata dal Time Magazine tra le 100 persone che saranno leader del futuro per il 2021.
Fondatrice di Counterspace, studio interdisciplinare che dirige insieme a Sarah de Villiers e Amina Kaskar, è stata la più giovane architetta di sempre a vincere la prestigiosa commissione per il Serpentine Pavilion, struttura temporanea nei giardini di Kensington che segna l’inizio della stagione estiva a Londra.
Nata nel 1990, Sumayya Vally è un’indiana sudafricana cresciuta a Laudium, cittadina dell’apartheid a Pretoria. La sua città natale ha svolto un ruolo centrale nel plasmare la sua comprensione della terra, del luogo e del potere dell’architettura di connettere le persone, ha imparato a utilizzare l’architettura come un’arma. Ha interiorizzato l’infrastruttura tossica della pianificazione urbana dell’apartheid, che ha utilizzato di tutto, dalle discariche di rifiuti radioattivi delle miniere agli impianti fognari e alle zone industriali per segregare le razze.
Si è laureata a Johannesburg, città che ha plasmato il suo approccio architettonico e la passione per lo spazio urbano e nel 2015 vi ha aperto il suo studio.
Prima di laurearsi ha collaborato con una ONG e condotto progetti di ricerca e installazione per diversi musei nazionali.
Nel corso degli anni ha esplorato molte zone di Johannesburg, scegliendo diverse comunità su cui concentrarsi. Tutti questi luoghi hanno influenzato la sua pratica e il suo approccio alla progettazione che tiene conto di usi e modi di vita diversi. La sua è un’architettura sociale e pubblica, inclusiva e diversificata, una lettura urbana a ampio spettro.
Nel 2018 ha collaborato con l’università di Yale. La sua ricerca sulle discariche e sui problemi nei territori circostanti – sistemi socio-economici, credenze, tossicità, razzismo, cambiamento climatico – e su come influenzano la formazione delle città, è diventata una mostra alla Biennale di Architettura di Chicago nel 2015. Successivamente, la parte del progetto dedicata alla ricerca sui pigmenti è diventata l’installazione di specchi Folded Skies per il festival Spier Light Art a Stellenbosch nel 2018.
Pan African Plates è invece un suo progetto che esamina come le diverse comunità si riuniscono attorno al cibo.
In un villaggio a nord di Pretoria ha ideato una installazione mobile per aiutare i bambini a conoscere la matematica attraverso le forme distinte che si trovano nelle facciate dipinte delle case.
Questa stratificazione di design, storia, cultura e ricerca archivistica è la base fondante della sua progettazione. Parte sempre dal concetto di convivenza e mescolanza di culture, segregazione, esplorazione di terreni comuni nei quali dialogare e come il background culturale o politico, può influenzare il modo in cui si vive e struttura l’ambiente urbano.
Nel 2019 le è stato affidato il progetto del Serpentine Pavilion a Londra la cui inaugurazione è slittata di un anno a causa della pandemia. I materiali usati provengono da rifiuti edili riciclati, ma prima di lavorare sulla struttura fisica, ha svolto un intenso lavoro di ricerca sulle comunità di migranti a Londra.
Ha fotografato spazi, luoghi di ritrovo recenti o passati, manifesti di eventi, spazi di produzione culturale. Si è imbattuta nel primo locale per suonare musica nera nel Regno Unito; la casa editrice Centerprise centro per la comunità delle Indie Occidentali; il Theatre of Black Women, la prima compagnia teatrale di donne nere della Gran Bretagna, attiva negli anni ’80; l’iconico ristorante Mangrove Caribbean a Notting Hill; la prima moschea di Londra; e luoghi informali, come i luoghi di festival e eventi di strada che ha fatto convergere nella realizzazione della sua opera che vuole essere un luogo di incontro e scambio per tutte le culture.
L’architettura è complice della segregazione, delle differenze e del dislocamento, e Johannesburg ne è un esempio molto profondo. Ma può anche essere una forza che agisce in senso contrario: per riunire le persone, evidenziare e amplificare voci e identità attraverso il design.
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lasola · 4 years ago
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[2.3] - Una Storia Breve
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Per chiarire meglio l’approccio teorico con cui provo a tracciare linee tra le complessità di Buenaventura, occorre pensare all’economia narcotica come un’economia ordinata da una vasta serie di accordi ed alleanze che si sostengono sulla credibilità degli attori e non su contratti formali o regolamenti ufficiali. E’ quindi un’economia molto regolamentata, seppur informalmente. Ciò avviene per lo più nello svolgersi di una continua commistione tra autorità legittimate dallo Stato e quelle prodotte dalle consuetudini del business, la cosiddetta “zona grigia” che è uno spazio di confusione dove scompaiono le linee di demarcazione tra i diversi attori coinvolti. I magistrati italiani che si occupano di antimafia hanno descritto questa dimensione come un “intreccio”, dove istituzioni dello Stato ed elementi della criminalità organizzata condividono gli stessi spazi politici ed economici senza però stabilire un’allenaza strutturale e funzionale tra loro. L’intreccio è quindi una realtà a se stante nella quale emergono ed agiscono soggettività che lavorano sia per lo Stato sia per la criminalità organizzata. Sono sia l’uno, sia l’altra ma non possono essere ridotte ad una delle due macro-fazioni (1, 2). Osservando il caso di Buenaventura, le soggettività dell’intreccio operano attraverso vere e proprie licenze che permettono ad un raggruppamento piuttosto che ad un altro di operare nell’economia proibita e di farlo in certe fasi della filiera produttiva per un limitato periodo di tempo. La natura dell’impegno, le mansioni consentite, le forme di distribuzione dei proventi e la durata dell’alleanza sono tutte stabilite nella licenza. Il punto cruciale è come ottenerne il “rilascio”.
Per comprendere questo aspetto, occorre studiare antropologicamente una nozione fondamentale come quella di credibilità. Nelle diverse fasi storiche e belliche della città si costruiva a partire dall’appartenenza territoriale, come descritto nel post precedente, o sulla geneaologia, per così dire, che legava economicamente tra loro famiglie, imprenditori ed imprese. Entrambe rappresentano fattori che nell’incertezza degli scambi fornivano una continuità, nel senso di conoscibilità ed identificazione dei partner commerciali. Nel nuovo millennio la credibilità iniziò a dipendere in maniera sostanziale dalla partecipazione ad un’economia più complessiva, quella bellica, nella quale da sempre si articolava un aspetto essenziale della redistribuzione dei guadagni narcotici ma che assunse una rilevanza primaria nei locali rapporti di potere. Per garantire la continuità di operazioni che in se stesse erano abbastanza semplici e ripetitive, la capacità di armarsi e non necessariamente l’uso delle armi vero e proprio distingueva i diversi raggruppamenti. Ciò avveniva attraverso la circolazione di un “far credere” di essere in possesso o di poter reclamare quella licenza. In contesti in cui i livelli di violenza sono già alti e un tabù ancestrale come l’omicidio è normalizzato attraverso diversi dipositivi socio-culturali, ad esempio quando riguardano l’uccisione di una “cabecilla”, questo approccio, mi pare particolarmente “descrittivo”.
In molti casi, infatti, a dominare l’economia locale non fu più il traffico di mercanzia illegale in sè ma quello di armi. A segnare simbolicamente l’accesso all’economia bellica non erano il carico o lo scarico di cocaina ma la capacità di dotarsi della “forza” necessaria per acquisire credibilità rispetto ad altri che potevano eseguire la stessa mansione negli stessi tempi e con la stessa efficienza. Il nodo da risolvere non era però quanta forza si era capaci di esercitare per conquistare una ruta (rotta) poichè quella veniva concessa quasi in automatico, magari dopo qualche morto “normalizzato”. L’elemento dirimente riguardava come le licenze informali, cioè, gli accordi di passaggio da una strada o l’altra e\o il carico e scarico di mercanzia illegale costituiva rapporti di forze che organizzavano gli interessi dei gruppi locali fino a permetterne la federazione dentro istituzioni più ampie e durature, come fecero i “Re del Pacifico”. L’identificazione, definizione ed infine visibilizzazione di queste istituzioni “superiori” rappresenta l’aspetto più problematico e probabilmente più politico di tutta l’economia narcotica. In generale però la storia della città racconta che ogni fase identificativa di queste federazioni preparava il passaggio da una licenza all’altra. Certamente non riguardava la fine del traffico di armi o di droga semmai la produzione di un nuovo intreccio.
In questo senso vorrei descrivere gli eventi che toccarano la città dalla fine degli anni 90. Il Puerto sembrava non avere più padroni. I Re del Pacifico non c’erano più. Asprilla era finito in carcere. Don Efra era stato assassinato e Patiño si era consegnato alla DEA nel 2002. Buenaventura si trovava però nel mezzo di una nuova fase bellica che stabilì una rinnovata alleanza tra i gruppi narcotici di Cali e quelli di Medellin, nuove ripartizioni dei proventi e soprattutto nuovi canali di aprovigionamento di armi. Per mantenere il controllo delle economie illecite di Buenaventura il cui funzionamento risultava essenziale per la stabilità politica di tutta la città e quindi indirettamente delle sue enclave logistiche, il boss del Cartello del Norte del Valle, Don Diego Montoya, chiese l'aiuto dei fratelli Castaño, che insieme a Don Berna avevano già sostituito tutte le cabecillas di Escobar in Antioquia. Questi ex allevatori di bestiame dell’Urabà, nel 1997, avevano creato un'organizzazione ombrello, le AUC (Autodifese Unite di Colombia), che era una federazione in cui conversero diversi gruppi armati, tutti di estrazione militare, finanziati da narcotraffico e\o regalie di oro, petrolio o da fondi occulti di altre grandi imprese.
Ci sono svariati resoconti sulla storia paramilitare in Colombia. La complessità del tema riguarda soprattutto la frammentazione delle fonti e la dimensione profondamente locale di molti dei gruppi armati che sono entrati nella federazione e la loro diversa commistione con il narcotraffico. In generale però, dati alla mano, è possibile affermare che le AUC misero in piedi la più grande contro-riforma agraria della storia colombiana (1). In una decade, riuscirono ad accentrare circa il 90% delle terre “buone” nelle mani del 5% della popolazione. Contestualmente, la produzione di foglie di coca nelle terre che rimanevano toccò vette mai viste prima. In questo modo, dopo l'uscita di scena dei Rodriguez-Orejuela e di Escobar, le reti dei Castaño riuscirono a controllare fino all'80% del traffico di cocaina colombiano, che era circa il 70% del traffico mondiale. Nella regione pacifica queste tendenze furono decisamente confermate.
Il progetto politico delle AUC si inserì infatti come opposizione agli accordi di pace con alcune guerriglie che, nel 1991, portarono ad una nuova costituzione del Paese in cui lo Stato si impegnava a riconoscere e proteggere i territori etnici della Colombia. Una legge attuativa del 1993, la Ley 70, diede la possibilità ai villaggi e territori della regione pacifica di essere riconosciuti come terra ancestrale, dove comunità indigene ed africane avevano sviluppato forme e modi di vita da preservare. Poco alla volta, su tutto il litorale pacifico si formalizzarono diritti di proprietà mista privata\collettiva che tra le altre cose prevedevano l'impossibilità di parcellizzare e rivendere le terre o di poterlo fare solo attraverso meccanismi decisionali che richiedevano il consenso comunitario. Per molti, i nuovi territori etnici rappresentarono un potenziale duro colpo alle economie narcotiche e minerarie. Ma anche nel nuovo mondo della Finanza offshore, la terra era ricchezza, tanto simbolica quanto materiale. In Colombia questo era particolarmente vero poiché i proprietari terrieri non venivano tassati e qualora le loro terre servissero per progetti di pubblica utilità, come per la costruzione di strade e ferrovie, o nascondessero nel sottosuolo importanti giacimenti minerari, lo Stato di solito prometteva ottime compensazioni. Bisognava solo voler vendere.
Per questa ragione, nel 1999 nacque il Bloque Calima (e un suo sotto gruppo, il Frente Pacifico), federato con le AUC. Il suo scopo, non dichiarato, era la ridefinizione dei regimi proprietari della Valle del Cauca (e della regione del Pacifico nord), nonché impedire il progetto politico di ogni minoranza etnica eccetto quella narcotica. Uno dei capi delle AUC, Carlos Castaño, avrebbe voluto mettere Don Diego al comando del Bloque ma i suoi legami diretti con la cocaina fecero propendere per una figura minore, più facilmente vendibile alle autorità ufficiali una volta terminate le campagne militari. Al suo posto come comandante del Bloque Calima venne quindi scelto Herbert Veloza García, alias “HH”, anche lui di Trujillo, come il boss, e suo amico d’infanzia. Insieme ad alias “El Fino” e a Frivet Hurtado, un ex-guerrigliero, organizzarono ed eseguirono tutte le operazioni militari con cui ufficialmente riconquistarono il Puerto ed accaparrarono le terre del litorale. Tutta la regione divenne in pochi anni uno dei luoghi al mondo con il più alto numero di rifugiati interni. Le campagne si spopolarono e le terre quasi per magia diventarono proprietà di prestanome e società scudo tutte riconducibili al Cartello del Norte del Valle di Don Diego o a qualche affiliato delle AUC in attesa del giusto acquirente. In altri casi, sfruttando proprio la Ley 70, Consigli Comunitari fittizi, composti di poche persone e meno famiglie, vennero creati appositamente per divenire i proprietari di terre “ancestrali” in attesa di essere rivendute con il “consenso” di tutti i consiglieri. Ciò avveniva, mentre la produzione di pasta base e di foglie di coca toccarono i massimi livelli della storia della regione.
Per meglio decifrare quegli anni però non si può non partire dalle storie ufficiali che interpretavano le complessità di cui ho raccontato identificando le strutture politiche dei quartieri come prova della presenza del Frente 30 delle FARC di alias Mincho. Quest’ultimo conosceva personalmente “El Negro” Asprilla (del quale si diceva che fosse anche amico di uno dei comandanti delle FARC, il Mono Jo-Joy). Tutto ciò più o meno bastò per costruire una teoria egemone che presto si trasformò in narrazione dominante che rese tutti quei gruppetti che di fatto frammentavano e quindi rallentavano il trasporto di cocaina e distribuivano quote infinitesime dei suoi proventi, affiliati alle FARC. A voler credere a quello che si diceva, appoggiando i Niches o accordandosi con loro per le rotte, dalla caduta dei Rodriguez-Orejuela le FARC controllavano il narcotraffico a Buenaventura. Inoltre, quel sistema di scambi, che ho brevemente raccontato nel post precedente, venne reinterpretato come una “tassa del popolo” che colpiva tutti i negozianti e i piccoli e medi imprenditori. In questo modo la guerrilla intendeva rafforzare il suo antistato scacciando l’istituzionalità legittima per sostituirla con i suoi apparati di governo. Questa storia, pur credibile visti i livelli di cocaina che uscivano dal Puerto in quegli anni, non era vera, o, per lo meno, non lo era del tutto. Seguendo comunque la narrazione ufficiale, il risultato fu che spaventati dai sogni irrealizzabili del socialismo, la comunità imprenditoriale di Buenaventura richiese l’aiuto di HH dotandolo di tutti gli ultimi ritrovati bellici per liberarsi delle narco-guerriglie. Così dal 2000 e per almeno 5 anni sotto quello stesso nome, il Bloque Calima rastrellò quartieri e commise un numero ancora da precisare di stragi con lo scopo di riportare le strade dentro un unico ordine armato finanziato dalla cocaina.
Tutto avvenne simultaneamente che anche i più devoti non riuscivano più a considerarlo semplice destino. La privatizzazione del Puerto, la morte di sindacalisti o il loro passaggio nei piani alti, i progetti di riqualificazione urbana, la costruzione di nuove periferie, l'autostrada, in una parola, l'ammodernamento di Buenaventura arrivarono insieme ai più alti tassi d'omicidio della storia della città. Obiettivi paramilitari dichiarati erano tutti i gruppi come il combo dell'altro José, i quali, seppur rispondevano anche loro a una certa richiesta di difesa di strade e case, usavano metodi di finanziamento non accettabili (come le rapine ai portavalori o ai camion del porto o tassando il contrabbando) e mantenevano relazioni decisamente conflittive con gli apparati politici dello Stato essendo più apertamente, loro si, schierati con gli uomini di Mincho. Il Bloque Calima era invece armato ed appoggiato da istituzioni dello Stato, dalla polizia e dall’esercito, da certi partiti politici e da alcune imprese della città che avevano rliasciato una nuova licenza per operare nel mondo proibito a scapito di tutti gli altri gruppi (1). Se quindi all'epoca di Asprilla e di Patiño, l'altro José e i suoi avevano regolato, cioè tassato e contingentato, il narcotraffico e il contrabbando nei quartieri della Piedras Cantas e nel Viento Libre, due semplici strade e moli della zona di Bajamar tra le molte disponibili, dal 2000, quegli accordi non furono più validi. Le armi dovevano essere quelle di HH e la cocaina doveva essere quella di Don Berna (Medellin) e di Don Diego (Cali\Trujillo). Quando poi, nel 2006, HH finì estradato negli States, seguito poco dopo, nel 2008, da Don Diego, a Buenaventura si pensò che la città potesse finalmente ritrovare la pace. Invece i livelli di violenza si mantennero sostenuti. Nessuno sapeva esattamente perché. O meglio nessuno poteva ammettere che la teoria egemone non spiegava quello che accadeva in città. Nella mia interpretazione ciò che accadde fu che il Bloque Calima tentò di federare, con loro o contro di loro, i diversi gruppi dei quartieri, di fatto forzando se non finanziando una corsa alle armi di piccolo taglio sulla quale si produssero divisioni senza precedenti in città. Ormai pareva che ognuno avesse un suo gruppo in armi e che senza armi fosse impossibile qualsiasi tipo di economia.
Nel 2009, più o meno quando arrivai per la prima volta a Buenaventura, vi era un certo accordo tra i ricercatori che si occupavano della città e i diversi think-tank circa la coesistenza di molti gruppi armati ognuno dei quali distinguibile soprattutto genealogicamente ma non per le pratiche di controllo dei quartieri. Erano le voci che cambiavano, non i metodi di sorveglianza e punizione e nemmeno il loro modello di business. Tuttavia la teoria dominante era che questa frammentazione fosse il prodotto dell’azione militare e paramilitare che aveva reso i gruppi in questione più deboli e piccoli ma sempre dipendenti dal narcotraffico. Rispetto alle mie osservazione e a quanto scritto fino ad ora, il contesto invece non era cambiato molto. La principale variazione fu che molti gruppi si armarono per continuare ad esistere. In alcuni casi si erano dotati di un’organizzazione e si erano professionalizzati dentro l’economia bellica che foraggiavano praticando estorsioni e partecipando al traffico di droga non solo internazionale. Il resto faceva parte delle politiche dell’identità urbane con le quali si “chiamava” un’istituzione intermedia con un nome o con un altro, giustificando ondate di militarizzazione, investimenti nella sicurezza e quant’altro in base agli umori politici di Bogotà e della comunità internazionale. Stando però a quelle identificazioni ufficiali il panorama bellico di cui si raccontava era il seguente.
Il Cartello del Norte del Valle si era diviso in due gruppi. C'erano i Macho ancora fedeli a Don Diego e c'erano i Rastrojos, formati dal suo ex-migliore amico Varela (anche lui con un passato da tenente nella Polizia di Cali). C'erano le Aguilas Negras, di estrazione militare, ex riservisti e vecchi soldati di HH che si diceva fossero ancora comandanti da Vicente Castaño, l’unico dei tre fratelli di cui si sa con certezza che sia ancora latitante. C'erano poi pezzi delle reti che venivano da Medellin che era difficile definire. Tutti facevano attenzione a non relazionarli direttamente a Don Berna che era nato a Tuluà, vicino Cali, ma che in quegli anni ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione della pax narcotica della città antioqueña insieme ai Castaño. Venivano quindi nominati in base alle cosiddette cabecillas, ai capi minori che periodicamente apparivano per controllare i traffici di cocaina ma non i flussi finanziari che ne derivavano. Nel 2009 e fino a quando rimasi in Colombia erano chiamati Urabeños appellativo che li identificava con l’Urabà, la regione dell’Antioquia da cui provenivano già i Castaño ed alcuni di loro. Più tardi furono chiamati Clan Úsuga perchè erano i tre fratelli Úsuga a gestire i traffici e non si voleva più stigmatizzare quella regione. Ancora più recentemente sono stati chiamati Clan del Golfo, definizione che aspira forse a relazionarli direttamente al cartello messicano da una cui costola sono nati gli Zetas, cioè (ex) gruppi speciali dell’esercito dediti al narcotraffico.
C'era poi ancora il Frente 30 delle FARC che, soprattutto dopo la morte di Mincho, nell’ottobre del 2011, aveva perso capacità di influenzare le vicende urbane di Buenaventura. Molte delle persone che orbitavano intorno alla guerriglia, se non erano già morte o in fuga, erano finite a lavorare per quelli che avevano vinto la guerra. I casi dell’Altro Josè o di Panamà, ma anche i casi di altri molto più famosi ed importanti di loro, a cominciare dallo stesso Don Berna che aveva iniziato tra i maoisti dell’EPL, mostravano che tutti quei combos, alcuni mai formalmente nelle FARC, semmai in relazioni di collaborazione per ragioni economiche o per opportunità commerciali puntuali, presero altre direzioni al mutare delle condizioni del conflitto. Ogni tanto si ascoltava di attacchi alla rete elettrica del Puerto che generavano rallentamenti alla logistica ma mantenevano la città al buio per diversi giorni. Questo di solito produceva più malcontento che comprensione tra gli abitanti. L’ELN invece manteneva relazioni nei quartieri periferici in modi diversi, ad esempio dando lavoro nelle miniere “informali” d’oro del Chocò, quindi organizzando gli spostamenti dei minatori o garantendo la loro incolumità, o "facilitando” il contrabbando di idrocarburi e di altri prodotti. Sembrava comunque che i suoi integranti cercassero di rimanere fedeli al rifiuto del narcotraffico come da sempre sostenuto dai Castro a Cuba. 
Infine c'erano i fuoriusciti, i disertori e quelli che aspiravano a diventare “qualcuno” e che si ritrovavano in qualche esquina della città a parlare di quando sarebbe arrivato il loro turno per mettere ordine. Appena provavano a prendere una strada e magari a farsi conoscere da qualcuno più in alto inziavano però ad andare sotto pressione e di solito non duravano molto; qualche mese, i più fortunati qualche anno. I nuovi tempi obbligavano ormai ad avere maggiori expertise e connessioni militari e molti di loro potevano contare solo degli anni come riservisti nell’esercito e poche altre conoscenze. Nella Comuna 12 dove vivevo, ce n’era stato uno dal nome improbabile, gli Spacca Porte (los Tumbapuertas), un gruppo di autodifesa non affiliato a reti più ampie che si era formato in un barrio non lontano, di cui non si poteva parlare pubblicamente ma che tutti ricordavano abbastanza bene. I suoi membri organizzavano cineforum all’aperto o serate tematiche per parlare di diritti delle comunità afro, di disobbedienza civile e per spiegare le dottrine dei maggiori leader di origini africane del mondo. A volte, intervenivano a dirimire conflitti locali anche picchiando i malcapitati in pubblico. Furono quelli che, anni prima del mio arrivo, scacciarono un ragazzo del Barrio perchè aveva rubato i computer di una scuola elementare. Per un periodo abbastanza breve formarono ronde notturne, armate di pistole artigianali che sparavano uno, massimo due colpi, quando non esplodevano nelle mani di chi le usava. Aspiravano a tenere fuori dai quartieri i gruppi di narcos ma furono più o meno tutti scacciati, se non uccisi, dal Bloque Calima e dai suoi “compadres” delle Aguilas Negras.
Nel periodo in cui vissi nella comuna 12, le “aquile” erano invece in guerra contro i Rastrojos che si diceva, sempre stando ai bollettini ufficiali, controllassero la comuna, imponendo il pizzo per l’accesso ai mercati rionali, dal trasporto a quelli di frutta e verdure, allo spaccio locale. Questo scontro che iniziò nella seconda metà del 2011 e terminò all’inizio del 2014 con “l’estinzione” dei Rastrojos e l’entrata degli Urabeños nel Barrio, proprio grazie all’appoggio delle Aguilas Negras, fece ipotizzare a più di qualcuno che nella Comuna fosse in atto un regolamento di conti tra fazioni di (ex) poliziotti e fazioni di (ex) militari. Da questa guerra emerse poi un nuovo gruppo, l'Impresa, composto da ex collaboratori sia dei Rastrojos, sia degli Urabeños, “che aspirava a mettere ordine in città” e che, per questo, in poco tempo, divenne il nemico numero 1 di tutti gli altri gruppi armati che lo liquidarono in poco tempo.
Questa ricostruzione di storie locali è sicuramente ancora parziale ma potrebbe resistere ai commenti di quei pochi testimoni interessati a parlare, che non finirono in progammi ufficiali di protezione e continuarono a bazzicare le strade del Puerto. Infatti accanto ai gruppi già identificati, vi era una vasta gamma di personaggi ed assembramenti che orbitavano intorno alle frontiere cosiddette “invisibili” imposte dal conflitto. Si trattava di persone, giovani ma non solo, che avevevano imparato ad approfittare delle divisioni della città; cioè muovendosi dentro di esse per riscuotere commissioni ed estrarre risorse quando tutti gli altri erano costretti dentro spazi quotidiani, limitati dalla guerra, dalla paura o da una condizione di indigenza concreta. Prima di descriverne alcuni e il loro operato, bisogna però mettere insieme ulteriori elementi sulla macchina mitica dei quartieri e per descriverla racconterò un mito narcotico che aleggiava sui destini del barrio in cui vivevo, quello che riguardava la “Capitana”, cioè Griselda Blanco.
Per concludere invece questo trittico, mi pare utile riordinare le sezioni 1 e 2 del blog. Negli ultimi 4 post ho cercato di descrivere non solo congiunture e traiettorie in cui gli abitanti di Buenaventura si trovavano impelagati. Ho provato a delineare le origini di quella che viene chiamata “l’assenza dello Stato”, interpretata in queste pagine non in quanto “vuoto” ma come rapporto di potere e come paradigma di controllo della città. Ne scriverò meglio nei prossimi post ma fin qui ho tentato di delinearla attraverso un’ibrido che in altri contesti ho definito Stato-e-Clan cioè un intreccio nel quale l’alleanza tra Stato ed organizzazioni criminali è divenuta strutturale pur all’interno di narrazioni molto dettagliate ed attente nello scindere i due mondi. Per ora mi sono limitato a descrivere le diverse entità di natura privata che agiscono nell’intreccio: le corporate della logistica, i gruppi di autodifesa finanziati indirettamente dal Plan Colombia, il municipio degli amici di amici ed i corpi resistenti dei quartieri. Ad essi aggiungerò nei prossimi racconti alcuni organismi internazionali non governativi che si occupavano dei “fallimenti” del mercato o delle “sconfitte” dello Stato riempendo in altri modi l’assenza.
Ho quindi tentato di descrivere alcuni elementi di un intreccio complesso, certamente non unitario, segnato da una netta divisione razziale e dominato dall’industria logistica. Che vi fosse anche un’alleanza strutturale oltre che funzionale tra dinamiche mafiose e paramilitari ed apparati di governo con lo scopo di garantire la trasportabilità delle merci da Buenaventura lo affermano svariate testimonianze oltre che ricostruzioni giudiziarie degli eventi, cui seguirono incriminazioni, espulsioni, esili ed incarcerazioni. L’alleanza fu poi ribadita nel 2013 quando, per decorso dei termini, “i Re del Pacifico”, Asprilla e Patiño e le loro proxy politiche ricominciarono a bazzicare le strade del Puerto riaffermando l’importanza di certe consuetudini, prima tra tutte il mantenimento di divisioni strutturali nei quartieri: condizione imprescindibile per il governo di Buenaventura.
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biopoliticanavile · 4 years ago
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capitolo 2
IL LATO IN OMBRA DELLA COLLINA
Tra le esperienze da non perdere nella Lonely Planet di Bologna c’è una gita sui colli bolognesi. Citando il ritornello di 50 Special di Cesare Cremonini, i colli vengono descritti come luogo di svago ed evasione dalla vita urbana, residenza della borghesia cittadina, e dove respirare aria più pulita. La pianura Padana è infatti una delle porzioni di territorio più inquinate d’Europa e l’Italia il paese europeo con più morti collegati all’esposizione di PM2,5, ozono e diossido di azoto. I colli bolognesi si manifestano come simbolo delle disuguaglianze ecologiche della nostra società. Le caratteristiche morfologiche, quanto quelle ecologiche, economiche, e culturali, rendono le colline che si affacciano su Bologna tanto naturali quanto artificiali. Questa ibridazione la ritroviamo in altre colline presenti all’interno della maglia urbana.
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Nel 1460 il Palazzo Bentivoglio venne concluso nel lusso più maestoso. Largo 30 metri su Via Zamboni, si spingeva in profondità per circa 140 metri, con quasi 250 stanze. La sua realizzazione fu uno degli avvenimenti più importanti per l’affermazione del primato della famiglia sulla città. Nel 1507, dopo circa 50 anni di potere, il Palazzo fu saccheggiato e distrutto da una sommossa popolare, dopo che la cittadinanza aveva in larga parte perso la fiducia nella famiglia, responsabile di non aver saputo gestire la diplomazia e le violenze che ne erano conseguite. La famiglia Bentivoglio fu esiliata ma i detriti del loro Palazzo vennero ammassati poco distanti formando una collina che non venne mai più spostata. I detriti, da allora, hanno partecipato alla vita urbana a tutti gli effetti, nascondendosi, trasformandosi, fino a diventare nel 1975 il Giardino del Guasto.
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Se la collina del Giardino del Guasto ci racconta dell’esilio di una famiglia, un’altra collina ci racconta dell’affermazione di potere di altre famiglie. A partire dal 1511, dall’ultima distruzione della fortezza Galliera, vennero ammassati nell’area adiacente i detriti della fortezza insieme agli scavi per la costruzione delle fondamenta dei nuovi Palazzi senatori (Palazzo Davia Bargellini, Palazzo Bocchi, Palazzo Pepoli Nuovo, Palazzo Fantuzzi, Palazzo Bentivoglio). Gli scavi e i detriti, come nel caso dei detriti di Palazzo Bentivoglio, non furono spostati e nel 1662 diventarono ufficialmente i Giardini della Montagnola.
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Un’altra montagna di detriti, per la precisione 1 Milione di m3, ci racconta di un’altra affermazione di potere, quella dei processi di integrazione europea. Parliamo dei detriti dello scavo per la realizzazione della stazione ad alta velocità di Bologna, il cui cantiere è stato aperto nel 2008. La realizzazione della stazione assieme al potenziamento della linea ferroviaria nazionale rientra all’interno del progetto di realizzazione delle reti transeuropee dei trasporti TEN-T, “un progetto d'infrastrutture di trasporto integrate previste per sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle merci e delle persone e rafforzare la crescita, l'occupazione e la competitività dell'Unione europea”. Le trasformazioni che coinvolgono oggi il Navile sono strettamente legate alla riuscita di quello che è stato definito “uno dei più grandi scavi urbani a cielo aperto d’Europa”.
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Tra le più grandi difficoltà che lo scavo doveva affrontare era quello di evitare crolli ai binari ed abitazioni presenti nel perimetro dello scavo. Questo, assieme alle notevoli dimensioni dello scavo, ha richiesto l’utilizzo di soluzioni costruttive specifiche. Il costruttore, la Astaldi Spa, ha adottato la tecnica di consolidamento CSM (cutter soil mixing) a terreni fini coesivi. La tecnologia, sviluppata nel 2003 dalla tedesca Bauer Maschinen GmbH, è stata fondamentale per la realizzazione del progetto grazie alla sua capacità di effettuare scavi sviluppando poche vibrazioni e quindi evitare il dissesto del terreno circostante. Tale lavorazione ha rappresentato all’epoca l’intervento massivo più esteso al mondo.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza dislocare i detriti lontano dal luogo di estrazione, senza la possibilità di creare altre due colline artificiali nei pressi della Cava Pigna 2 e della Cava Corticella, cave esaurite, poco distanti dal parco dei laghetti di Corticella, parco creato negli anni ’80 sui resti di una cava esaurita.
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La città moderna ha trovato il modo di potenziare la capacità di modificazione del proprio territorio, ma allontanando e nascondendo i residui dei suoi processi, e contemporaneamente variando la propria composizione sociale. I detriti, come i Bentivoglio, vengono esiliati, proibendogli la capacità di contribuire alla vita urbana.  
L’8 giugno 2013 viene inaugurata la stazione dell’Alta Velocità sotterranea di Bologna. Nella realizzazione di questa infrastruttura si manifesta in modo molto chiaro l’ambiguità del progetto politico e sociale che la città contemporanea promuove. Per far posto alla stazione sono stati mobilitati un milione di metri cubi di terra (equivalenti circa a 2 campi da calcio riempiti di 300 Torri degli Asinelli) ma questi sono stati allontanati nelle cave della periferia urbana. Come la collina del Guasto è stata sotto gli occhi dei cittadini per secoli rendendo la collettività costantemente responsabile del suo utilizzo e delle sue trasformazioni, al contrario l’allontanamento dei detriti dello scavo della stazione AV rende questo processo di responsabilizzazione molto più complesso. L’allontanamento delle componenti non funzionali al progetto urbano e politico non rende i cittadini consapevoli delle conseguenze del progresso, restituendoci questo come automatico, non problematico e non conflittuale.
Il progetto realizzato non è tuttavia il progetto originale, vincitore del bando firmato dall’architetto giapponese Arata Isozaki, Arup e M+P & partners. 
Gran parte della struttura sopraelevata non viene realizzata a causa della crisi economica del 2008, così come gli spazi di accoglienza e commerciali previsti. Del progetto originale rimane un approssimativo sistema di mobilità ma nessuna delle qualità architettoniche previste dal progetto trova spazio in una realizzazione senza dubbio arida, brutale ed insignificante.  Se il progetto della nuova stazione di Bologna doveva rappresentare la porta di accesso alla città ed il definitivo voltare pagina dall’attentato del 1980, nulla di tutto questo vi si ritrova oggi. 
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L’11 Dicembre 2013 le fermate dei treni ad alta velocità della tratta Bologna-Venezia vengono spostate ai binari sotterranei. In questo modo il nodo ferroviario di Bologna diventa il primo in Italia ad avere il traffico delle linee ad alta velocità completamente separato da quello delle linee convenzionali. Le due “stazioni”, quella sopraelevata, che ospita i binari della linea a bassa velocità (nazionale/regionale), e quella sotterranea, che accoglie i binari della linea ad alta velocità (nazionale/europea), viaggiano separate ed in parallelo, operando come dei sistemi di smistamento dei flussi di persone in base al loro potere economico. Questa divisione ha un impatto notevole sulle due porzioni di città limitrofe alla stazione storica e alla nuova stazione dell’Alta Velocità che si affaccia su Via De’ Carracci.
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Tra le finalità che aveva il progetto della nuova stazione di Bologna c’era la ricucitura del tessuto urbano tra il centro storico ed il quartiere Navile. Per adempiere a questo è stato creato un attraversamento pedonale sotterraneo, il cui utilizzo è vincolato agli orari di apertura della stazione. La ricucitura non ha portato ad un collegamento efficace tra le due porzioni urbane una volta distinte, non le ha omogeneizzate, ma ha semplicemente creato un nuovo tipo di disuguaglianza. 
Osservando la struttura della stazione, si può notare come il flusso di utenti della linea dei treni convenzionali, utilizzato principalmente da pendolari, lavoratori o studenti, e da immigrati per spostarsi tra città alla ricerca di opportunità lavorative, sia favorito ad indirizzarsi verso il centro storico. Testimone di questa relazione è la localizzazione dell’associazione UNIVERSO che si è posizionata proprio in corrispondenza dell’uscita dalla stazione storica, all’interno di Porta Galliera. L’associazione ha, tra le altre, la finalità di creare un ponte tra gli immigrati e la realtà bolognese, sia per quanto riguarda l'integrazione nel tessuto sociale, che la fruizione di servizi per l'immigrazione.
Dall’altro lato, chi utilizza la linea dell’alta velocità, la linea monorotaia del people mover di collegamento all’aeroporto ed il passaggio carrabile sotterraneo, ha un accesso privilegiato al quartiere Navile. Uscendo dalla stazione dell’alta velocità, quello che si incontra è il Palazzo degli uffici comunali, Palazzo Bonaccorso e la piazza Liber Paradisus, nome rispettivamente del Podestà di Bologna che redasse il Liber Paradisus, il documento che abolì la schiavitù in città, nel 1257, modificando lo status di diritti di una parte della popolazione per poter ampliare il bacino di individui tassabili.
Così come un libro diventa attivatore dell’eliminazione di una forma di segregazione sociale, così la struttura della stazione partecipa attivamente alla separazione di due flussi di persone, costruendo una forma di distinzione di natura economica e, conseguentemente, due modelli urbani distinti.
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fotopadova · 4 years ago
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Migranti ambientali. L’ultima illusione.  Il presente nelle immagini di Alessandro Grassani
di Terry Peterle
-- Fino al 6 settembre, la Chiesa di San Lorenzo a San Vito al Tagliamento (Pordenone) ospita la mostra “Environmental Migrants - the last illusion” del fotografo Alessandro Grassani. In occasione della 34^ Rassegna di Friuli Venezia Giulia Fotografia, il CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, di Spilimbergo punta l’attenzione su una delle tematiche attuali che incrocia il nostro già difficile presente, il cambiamento climatico.
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L’esposizione, realizzata dal CRAF con la collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia, il sostegno di Fondazione Friuli ed il patrocinio dell'Università degli Studi di Udine, descrive le profonde conseguenze che l’innalzamento climatico sta, da lungo tempo, portando alle popolazioni più fragili all’estremità del mondo, con la dimostrazione di quanto sia assente un concreto piano d’azione politico davanti al vacillare della sopravvivenza di uomini e donne costrette a svendersi alla miseria e ad un futuro del tutto incerto.
Le immagini del milanese Alessandro Grassani, che si definisce un narratore di storie, sono forti, struggenti e a tratti inconcepibili. Il progetto di lungo termine, è iniziato nel 2011 ed è ancora oggi, per lui, tematica di approfondimento. Secondo Legambiente nel 2012 il Pianeta Terra è stato rappresentato da fenomeni climatici distruttivi di ampia portata. Cicloni, tornadi, terre secche in aree rurali insospettabili, incapacità di allevare bestiame fonte di sopravvivenza millenaria per molte popolazioni a causa di climi rigidi o torridi sono state immagini e storie di cronaca che abbiamo visto passare nei media tv.
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Del resto “il CRED - Centre for Research on the Epidemiology of Disasters - ha contato 310 calamità naturali che hanno portato a quasi 10 mila morti, 106 milioni di persone colpite e sopravvissute costituendo un danno economico pari a 138 miliardi di dollari”1. Forse non tutti sanno che entro il 2050 da ipotesi OIM e ONU, una persona su 45 sarà un migrante ambientale, e che da una decina di milioni di oggi, le stime ammontano a 200/250 milioni di persone costrette a migrare verso orizzonti migliori a causa del mutamento climatico.
Mentre la comunità scientifica internazionale converge verso il rischio ambientale causato dall’attività dell’essere umano, ciò che rende problematico lo scenario futuro è l’impatto che l’uomo avrà sulle sue attività e sulla sua stessa vita. L’adattamento non sempre possibile, pone come unica alternativa quella di fuggire a vite migliori e verso l’ignoto, visto che gran parte del flusso dei migranti ambientali è rappresentato da individui provenienti da Paesi in via di sviluppo, che infine approdano in megalopoli già sovraffollate tra baraccopoli che spesso assicurano miseria e destini incerti.
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“La migrazione ambientale è come un dispositivo inesploso: in un futuro non troppo lontano, l'intero pianeta dovrà affrontare l'onere economico e sociale delle sue conseguenze”2, afferma Grassani e ha ragione, la sensazione di inadeguatezza è sensibilmente palpabile davanti alle sue microstorie presentate nello spazio espositivo.
La mostra è innanzitutto costruita da un ottimo allestimento curato dall’architetto Alvise Rampini (nonché neo-direttore CRAF), da Alessandro Grassani e da Maria Santoro. Il colore grigio scuro determina il fil rouge dell’esposizione, un colore di mezzo, un richiamo all’incertezza. “Dietro ad ogni cambiamento si nasconde un’opportunità” così il visitatore viene introdotto alla mostra, una entrée che vuole intenzionalmente imprimere consapevolezza. Ogni sezione è poi rappresentata da una storia di uno dei Paesi d’indagine di Grassani e da una frase con cui l’autore esprime le sue sensazioni davanti ad un fenomeno poco raccontato. Toccante: “I migranti ambientali sono dei fantasmi, ho voluto dare loro un volto”.
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Colpisce la prima immagine, scattata ad Ulan Bator in Mongolia. Grassani, che abbiamo avuto modo di intervistare racconta: “l’immagine ritrae Erdene, una Donna pastore della mongolia che trascina una pecora morta su un carretto di legno. Ebbene in Mongolia, ove ho iniziato questo progetto nel 2010 sono morti 8 milioni di capi di bestiame e 20 mila pastori come Erdene sono stati costretti ad abbandonare la campagna per migrare in città. Ho vissuto con Erdene e ho raccontato la sua sfida quotidiana contro lo dzud, l’estremo inverno mongolo che raggiunge temperature di -50° e quello che di fatto uccide milioni di pecore portando questi pastori all’esasperazione. Quando ho incontrato Erdene, si stava lentamente avvicinando ad Ulan Bator, capitale della Mongolia e aveva perso la metà delle sue duemila pecore a causa dell’estremo freddo”.
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 Questo progetto cerca di collegare la tematica dei cambiamenti climatici e l’urbanizzazione. Pensate che in Mongolia, un Paese grande 5 volte la Francia vivono solo 3 milioni di persone e la metà di queste vivono ammassate una sopra l’altro a Ulan Bator che negli ultimi dieci anni ha raddoppiato la propria popolazione, proprio causa dell’arrivo di questi pastori dalle campagne. Costoro portano con sé l’unico bene rimasto delle proprie ricchezze, la gher (o iurta), la tradizionale tenda mongola che poi ricostruiscono nella periferia della città che si sviluppa e si urbanizza con delle tende”.
In Bangladesh il racconto della comunità di pescatori sull’isola di Bongor e sulla difficile e situazione che vivono con le frequenti inondazioni del fiume Meghna che in tre anni ha eroso due terzi dell’isola. Grassani ci porta nell’intimità delle vite di queste persone non arrendevoli davanti alla durezza della vita.
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Poi Haiti, uno dei Paesi più poveri al mondo. La città di Port-au-Prince è di fatto la meta di migliaia di migranti climatici provenienti dalle campagne, un territorio particolarmente colpito e fragile dai rischi idrologici e sismici che abbiamo avuto modo purtroppo di seguire ai notiziari. A dieci anni dal terremoto di magnitudo 7.0 la situazione è ancora precaria, tanto che Grassani specifica che la mancanza di servizi essenziali è ancora una nota dolente. Le immagini di Haiti sono rovine di una quotidianità che è andata avanti, nella miseria e nella forza delle persone che cercano di farcela come meglio possono.
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Le immagini del Kenya sono l’opposto della Mongolia: il caldo torrido ha aumentato la desertificazione dei territori e complicato i rapporti tra le popolazioni. Nella serie di queste immagini vediamo Leduung Elimlin, un pastore della tribù dei Turkana. Con la tribù avversaria dei Poket, si contendono i pochissimi pascoli e riserve idriche del territorio. La tensione porta a forti scontri, tanto che nel protagonista ne sono visibili le ferite. Delle vere e proprie faide civili che portano anche alla morte: Grassani documenta le fosse comuni dove un cartello indica il numero di corpi seppelliti. I cambiamenti climatici hanno portato anche a questo, all’inasprirsi di scontri tribali per il controllo dei pascoli e dei miseri bacini d’acqua presenti.
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Una mostra che va vista, con attenzione e con la mente aperta. Le immagini di Grassani sono “l’ultima illusione” di una opportunità di vita migliore, per questi migranti climatici, che si vanifica davanti ad una realtà ben diversa da una iniziale speranza. Possiamo esserne complici o possiamo essere fonte di cambiamento? Ad ognuno di noi la propria risposta.
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1 Fonte: Profughi Ambientali. Cambiamento climatico e migrazioni forzate. A cura del Dipartimento Internazionale Maurizio Gubbiotti, Tiziana Finelli, Elena Peruzzi, Melania di Vara. Luglio 2013              
2 Fonte: sito web di Alessandro Grassani. Link: http://www.alessandrograssani.com/portfolio/permalink/261384/9790d861954b9e
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twitteritaly · 5 years ago
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Guida alle alternative etiche su Twitter: Come (e perché) evitare Twitter
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le alternative a twitter
Non importa quanto attentamente curate la vostra esperienza, molte persone concordano sul fatto che Twitter può essere malsano per la maggior parte delle persone coinvolte. È probabilmente il posto più facile da trovare online, nonostante sia visto come un’alternativa più tranquilla a Facebook quando è stato rilasciato per la prima volta nel 2006.
I loro introiti pubblicitari continuano a salire e nel primo trimestre del 2019 hanno registrato 330 milioni di utenti in tutto il mondo.
Se state pensando di lasciare il sito, abbiamo preparato una guida con alcune delle migliori alternative etiche a Twitter, così come le ragioni per cui è intelligente limitare il suo utilizzo.
Le origini di Twitter
Sembra che Twitter sia in circolazione da sempre, ma la maggior parte delle persone di età superiore ai 30 anni si ricorderà di averlo visto a metà degli anni 2000. Inizialmente era visto come un luogo di chat e aggiornamenti senza senso, e si potrebbe sostenere che poco è cambiato nel decennio successivo.
Il co-fondatore di Twitter Jack Dorsey ha infine spostato il servizio online da una piattaforma basata su SMS, da dove proviene il limite originale di 140 caratteri. La base di utenti ha continuato a crescere, pur non riuscendo a realizzare un profitto trimestrale fino alla fine del 2017. Vale la pena notare che hanno deciso di smettere di condividere mensilmente il numero di utenti attivi, il che potrebbe indicare un graduale declino.
La fase di sviluppo è stata piuttosto oscura, dato che nel 2005 è stato formato un team per lavorare sull’app Odeo incentrata sui podcast. Apple ha posto fine a tutto questo grazie ad iTunes che compete nello spazio podcast, quindi è stato necessario un nuovo prodotto in tempi brevi.
Dorsey ha ideato l’idea per Twitter, e il CEO di Odeo Evan Williams ha riacquistato azioni dagli investitori originali dopo avergli inviato una lettera in cui si diceva:
“A quasi due mesi dal lancio, Twitter ha meno di 5.000 utenti registrati. Continuerò a investire in Twitter, ma è difficile dire che questo giustifica l’investimento di rischio — soprattutto perché quell’investimento era per un mercato completamente diverso”.
Dopo cinque anni, l’azienda valeva mille volte l’investimento iniziale di 5 milioni di dollari. Anche se gli utenti continuano a pubblicare barzellette e video per gatti, ora è un terreno fertile per più argomenti.
Può ancora essere una piattaforma utile, con la capacità di risolvere problemi in tempi di emergenza, o semplicemente di comunicare con persone in tutto il mondo. L’ottantacinque per cento degli utenti di piccole e medie imprese si affidano a Twitter per fornire un servizio clienti, evidenziando il potenziale che ha quando viene utilizzato in modo significativo.
7 motivi per evitare Twitter Ci sono un mucchio di ragioni per cui è meglio evitare Twitter, se possibile. Qui ci sono sette degli argomenti più convincenti per cui vale almeno la pena di ridurre il tempo che trascorrete sul sito:
1. Trolling e frasi di odio
Tanto vale cominciare da uno dei maggiori problemi sui social media. Il trolling può colpire chiunque, dalle celebrità ai bambini, ed è solo peggiorato con la crescita della piattaforma. Discuteremo di trolling sponsorizzato dallo stato qui sotto, ma anche i singoli individui che parlano di odio sono un problema per il sito. Le donne sono particolarmente colpite, mentre la razza e la sessualità sono anche fattori.
Amnesty International e Element AI hanno scoperto che le donne di colore sono state prese di mira in modo sproporzionato, un tweet su dieci che menzionano donne nere è abusivo o problematico, rispetto a uno su quindici per le donne bianche.
Il dieci per cento potrebbe non sembrare tanto, ma diventa moltissimo quando viene scalato fino a corrispondere alle dimensioni attuali di Twitter. Ciò che è ancora peggio è che il sito stima che meno dell’1% di tutti gli account sono segnalati per abuso. Sicuramente questo rende l’esperienza peggiore per l’altro 99% degli utenti.
Tutto, dal razzismo casuale alle minacce di morte e sembra impossibile per Twitter fermare tutto.
Nonostante l’annuncio di utilizzare una combinazione di strumenti, politiche e processi non specificati per arginare l’abuso, questo ha portato a un calo complessivo delle segnalazioni solo dell’8%. È chiaramente un passo nella giusta direzione, ma questa è una scarsa consolazione.
Le piattaforme di social media alternativi non consentono alcun discorso di odio e possono essere curate attentamente per rimuovere i troll.
2. Spam e account falsi
Twitter è sinonimo di spam, da account per adulti a risposte confuse e senza senso. Non appena ti iscrivi puoi aspettarti di essere inondato di followers e richieste da parte di account fasulli che stanno cercando di vendere qualcosa o altro, e lo stesso vale per le risposte ai tweet. Per ora, la risposta migliore è quella di bloccare e segnalare il mittente, o utilizzare filtri sul feed principale.
Non è difficile identificare la maggior parte degli account falsi, ma stanno cominciando a diventare più sofisticati a causa del tempo e dello sforzo speso per affinare i loro metodi nel corso degli anni. Tuttavia, il sito ha fatto uno sforzo per arginare la marea di falsificazione.
Twitter ha risposto limitando il numero di account che è possibile seguire ogni giorno, da 1000 a 400. All’inizio del 2018, hanno anche limitato “la capacità degli utenti di eseguire azioni coordinate su più account”. Twitter ha vietato l’uso di “qualsiasi forma di automazione per pubblicare contenuti identici o sostanzialmente simili”, il che aiuta a impedire che le stesse cose appaiano sulla vostra linea temporale. Indipendentemente da ciò, gli account falsi abbondano ancora sulla piattaforma.
3. Fake News
Notizie finte. La maggior parte di noi non ha quasi mai abbastanza tempo per cliccare sui link, e la natura sensazionalizzata della vita reale rende facile credere a quasi tutto.
Le notizie false vanno bene sui social media perchè facilmente fruibili. Infografiche, immagini e citazioni sono ampiamente condivise, e ci vogliono solo due secondi per ritweettare qualcosa se si adatta alla tua visione del mondo.
Uno studio del 2018 condotto da un trio di studiosi del MIT ha studiato la velocità con cui le notizie false si diffondono su Twitter. Hanno scoperto che le notizie false viaggiano più rapidamente delle notizie reali, fino a sei volte più velocemente. Piuttosto che i bot, hanno scoperto che sono stati gli account unici che hanno fatto la maggior parte della condivisione e del retweeting, specialmente quando si trattava di argomenti politici. Hanno scoperto che “le notizie false hanno il 70% di probabilità in più di essere ritweeted rispetto alle storie vere”.
In altre parole, la maggior parte di noi condivide e ritweeta ciò che vogliamo sentire. Una citazione erroneamente attribuita a Mark Twain afferma: “Una bugia può viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta mettendo le scarpe”. Questo sembra certamente vero per i social media.
La diffusione di notizie false è spesso fatta da individui, e vale la pena ricordare che gran parte di ciò che vediamo sui social media rappresenta estremi, pubblicati da persone con programmi chiari. Sta accadendo anche su una scala più ampia, con i governi che cercano di influenzare l’opinione pubblica sui fatti di attualità. Twitter ha recentemente rivelato “un’importante operazione di informazione sostenuta dallo Stato, incentrata sulla situazione a Hong Kong, in particolare il movimento di protesta e le loro richieste di cambiamento politico”.
Hanno scoperto che 936 testimonianze dalla Cina “stavano deliberatamente e specificamente cercando di seminare discordia politica a Hong Kong, anche minando la legittimità e le posizioni politiche del movimento di protesta sul campo”.
Twitter è un terreno di coltura ideale per molti tipi di disinformazione, e la piattaforma stessa riconosce il lavoro degli agenti sostenuti dallo Stato. Questo può anche diffondersi al di là della politica, alimentando cospirazioni e altre teorie ai margini. Uno studio del 2018 sull’American Journal of Public Health ha esaminato l’impatto di “Twitter bots and Russian trolls” sul dibattito dei vaccini. Hanno concluso:
“Mentre i bot che diffondono malware e contenuti non richiesti diffondono messaggi anti-vacino, i troll russi promuovono la discordia. Gli account che si mascherano da utenti legittimi erodendo il consenso pubblico sulla vaccinazione”.
È facile collegare le cose insieme su Twitter, creando una falsa narrazione nonostante le misure che la piattaforma di social media è riuscita a mettere in atto. Il modo più semplice per evitarlo è quello di allontanarsi completamente da Twitter, e potreste rimanere sorpresi dalla differenza di umore.
4. Scarsa visibilità ed effetto “urla al vento”
Da una prospettiva di marketing, gli annunci pubblicitari tendono ad avere scarsa visibilità rispetto ad altre alternative di social media. Si tratta di un problema in quanto i contenuti possono perdersi tra il flusso infinito di aggiornamenti, il che non porta ad altrettanti click e acquisti da parte dei clienti a meno che non si sappia realmente cosa si sta facendo. Molti marchi hanno ora una “personalità”, usando i memi per attirare l’attenzione sui loro prodotti.
La piattaforma è ideale per fornire un servizio clienti istantaneo e ogni azienda dovrebbe avere una qualche forma di presenza sui social media. Tuttavia, come utente, si ha la sensazione di essere costantemente attrato a comprare qualcosa mentre si scorre verso il basso, e gli annunci sono diventati sempre più presenti.
La maggior parte delle persone non hanno il gran numero di seguaci delle aziende, portando a un minor numero di risposte medie ai tweet. Può sembrare di urlare al vento, difficile trovare un coinvolgmento o essere costantemente divertenti o scioccanti. Per la maggioranza, i tweet passano per lo più inosservti, quindi è spesso come un diario online che nessuno si preoccupa di leggere.
5. Dipendenza e visione col paraocchi
I social media creano dipendenza e Twitter non fa eccezione. Ogni like o retweet dà all’utente una ricompensa piacevole, una dose di dopamina che riceverai da qualsiasi ricompensa, e il nostro stile di vita può cambiare quando iniziamo a rafforzare il comportamento con un uso prolungato. Ecco perché un numero significativo di utenti sembra essere su Twitter 24 ore su 24, 7 giorni su 7 giorni su 7, rispondendo costantemente a una raffica di tweet. Questo può portare a un sovraccarico di informazioni e l’utente può essere desensibilizzato al contenuto che sta consumando così rapidamente.
Una ricerca di Anxiety UK suggerisce che i giovani che trascorrono più di due ore al giorno su siti di social network come Facebook, Twitter o Instagram hanno maggiori probabilità di segnalare una cattiva salute mentale, compreso il “disagio psicologico”. Se vi sentite giù, potrebbe essere meglio allontanarsi per almeno una settimana o giù di lì.
Se non si seguono persone con una varietà di punti di vista politici, è facile avere una visione col paraocchi quando si tratta di certi problemi. Twitter è particolarmente colpevole in questo. Ci sono piattaforme migliori se si vuole effettivamente avere una discussione, elencheremo di seguito alcune delle migliori piattaforme etiche.
6. Privacy
Twitter ammette liberamente di raccogliere tutti i tipi di dati dall’utente medio, ed è probabile che sia più di quanto ci si possa aspettare. Utilizzano i DM per “mostrare contenuti più rilevanti”, e raccolgono dati esterni aggiuntivi da società terze e siti web con integrazione di Twitter per profilare ulteriormente gli utenti a fini pubblicitari.
È possibile disattivare alcune raccolte di dati nel menu Privacy e sicurezza quando si è connessi. Nella pagina Personalizzazione e dati è meglio disattivare tutto.
In passato hanno anche avuto problemi con la protezione dei dati. Le password sono state trovate per essere state memorizzate in forma di testo normale a causa di un bug nel maggio 2018, mentre un altro bug ha permesso agli sviluppatori di leggere i messaggi diretti privati degli utenti nel settembre dello stesso anno. I difetti sono sconvolgenti se si considera la dimensione dell’azienda e l’impegno a mantenere i dati per sé stessi.
Anche Twitter in passato non è stato in grado di rispettare le linee guida del General Data Protection Regulation (GDPR), rifiutando di consegnare le informazioni al ricercatore sulla privacy Michael Veale dopo aver chiesto tutti i dati che avevano su di lui nel 2018. Questa è stata la prima indagine che hanno affrontato sul rispetto delle norme sulla privacy di GDPR.
7. Deplatforming
Rilasciato nel 2016, il “filtro di qualità” di Twitter ha lavorato per rimuovere contenuti come “Tweet duplicati o contenuti che sembrano essere automatizzati” dalle linee temporali. In maniera tipica, non hanno mai rilasciato dettagli su come hanno determinato il valore del contenuto, o su cosa avrebbe causato la segnalazione. Nel luglio 2019, il sito ha deciso di rimuovere la funzione Filtro di qualità in quanto “confusa” per molti utenti.
Recentemente hanno rimosso un certo numero di personalità estreme e testate giornalistiche, ma solo dopo aver violato i termini e le condizioni in qualche forma. Dorsey ha negato che la sua piattaforma era politicamente selettiva. Le società di social media stanno censurando i punti di vista e cancellando gli account in modo casuale, spesso in risposta alle maree politiche piuttosto che alle violazioni delle regole, giocando efficacemente il ruolo di giudice e giuria con i nostri diritti.
Alternative etiche a Twitter:
E’ difficile eguagliare le dimensioni dell’audience di Twitter. Quasi tutti hanno un account, anche se poco utilizzato, con molte persone obbligate a mantenerne uno aperto per lavoro o per impegni sociali.
Abbiamo stilato una lista di alternative etiche su Twitter se si è pronti a fare lo switch, anche se nessuna si avvicina per dimensioni. Potrebbero avere un aumento del numero di utenti, quindi provate a portare con un amico o più amici!
Mastodon
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mastodon — alternativa a twitter
Questa è la prima alternativa etica nella nostra lista. Mastodon è cresciuto a un ritmo incredibile dopo il suo rilascio nel 2016, promettendo di essere un social network più amichevole rispetto a quello a cui siamo abituati. È open-source e decentralizzato, e a prima vista assomiglia molto a Twitter. Mastodon è diviso tra migliaia di siti web, ognuno dei quali serve al proprio scopo per una comunità dedicata. Non vendono dati utente e il limite di caratteri è di solito di 500 per post, che sono chiamati “toots”.
Movin
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mivim, un twitter alternativo
Movim (My Open Virtual Identity Manager) è un’altra opzione open-source, con l’aggiunta del bonus di utilizzare XMPP per la comunicazione. Questo significa che puoi chattare con altri utenti XMPP, che non dovranno necessariamente usare Movim. È cresciuta rapidamente con la scomparsa di Google+, quando gli utenti si sono accorsi all’applicazione incentrata sulla privacy.
Disponibile su dispositivi iOS, Android e desktop, con molte buone caratteristiche. È decentrata e non ci sono annunci sulla piattaforma. Puoi parlare con gli amici, controllare le ultime notizie o trovare una comunità a cui aderire. Hanno anche un piccolo account Twitter.
Micro.blog
Micro.blog è visivamente simile a Twitter, anche se manca di alcune delle caratteristiche appariscenti che ci aspettiamo dal gigante dei social media. Ha ancora una strada da percorrere, ms Micro.blog ti permette di pubblicare brevi messaggi simili a Tweet e offre risposte, conversazioni e una linea temporale per seguire i tuoi amici.
La piattaforma è stata progettata, fin dall’inizio, per prevenire abusi e molestie e puoi controllare le linee guida della community per saperne di più sulla funzione Safe Reply che funziona per prevenire messaggi abusivi da parte di persone che non segui.
Aether
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l’ alternativa aether, un twitter alternativo
Simile nello stile a Reddit, Aether è ottimo se si desidera connettersi con persone che la pensano allo stesso modo. A differenza di Reddit o Twitter, i contenuti scompaiono dopo sei mesi e le comunità sono libere di eleggere i propri mods e leader. Si tratta di un progetto più piccolo, sono ancora da rilasciare le applicazioni mobili, attualmente gira su Windows, Mac e Linux. Le azioni dei moderatori sono anche trasparenti e aperte a tutti gli utenti, il che dovrebbe aiutare a rendere felice la comunità. Viene fornito con la modalità scura come opzione predefinita, ed è possibile unirsi (o creare) nuovi gruppi facilmente. Non ci sono molti difetti, e migliorerà solo con il tempo.
Scuttlebutt
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Scuttlebutt
Scuttlebutt è “una piattaforma sicura”, che richiede un po’ di tempo per abituarsi. Il nome deriva da un vecchio termine di navigazione per pettegolezzi, dandovi un’idea più precisa di ciò per cui è generalmente utilizzato.
E’ open-source, e usa applicazioni esterne per leggere i messaggi. Il più popolare è Patchwork, che può essere utilizzato sia off- che online. Una FAQ aiuta a spiegare la sua terminologia, così come il suo funzionamento in termini profani.
Come fermare il tracciamento che fa Twitter su di te
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E ‘un dato di fatto che Twitter tiene traccia di tutto, dai tweet, retweet, posizione, lingua e seguaci per costruire un profilo utente per la vendita di annunci pubblicitari. L’Informativa sulla privacy di Twitter afferma anche che essi controllano il tuo indirizzo IP e il tipo di dispositivo, i contenuti che hai letto, “e altre informazioni per determinare quali argomenti ti interessano, la tua età, le lingue che parli e altri segnali per mostrarti contenuti più rilevanti”.
Se non l’hai indovinato, raccolgono molti dati personali e non devi nemmeno essere su Twitter per essere compromesso. Ricevono determinate informazioni quando si utilizzano i nostri servizi o altri siti web o applicazioni mobili che includono i nostri contenuti, e da terzi, compresi gli inserzionisti”. Questo include i moltissimi siti web che si sono integrati con Twitter.
Il sito di social media è stato in grado di realizzare un profitto grazie alla sua capacità di vendere spazi pubblicitari, considerando la quantità di dati che accumulano. Negli ultimi anni stanno facendo più soldi con meno utenti attivi, il che dà un’indicazione di quanto bene tracciano le persone e di come monetizzare i dati risultanti. Dovrai evitare completamente la piattaforma per ottenere i migliori risultati, ma, che tu sia connesso o meno, essi raccoglieranno comunque i dati mentre il tuo account è attivo.
Vale anche la pena di provre un’estensione del browser come Privacy Badger per tenere a bada alcuni dei tracker.
Cancellare il tuo account è solo il passo successivo, e se non sei sicuro di cosa fare, abbiamo fornito una guida rapida qui sotto.
Chiudere il tuo account Twitter
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Non è così difficile come Facebook, ma dovrete comunque aspettare se volete chiudere definitivamente il vostro account Twitter. Ecco una rapida guida passo dopo passo per l’eliminazione dell’account sul sito desktop.
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Se sei in ansia per la cancellazione di Twitter, gli account disattivati possono essere riattivati entro trenta giorni accedendo al servizio con le tue credenziali. Non sarai in grado di farlo dopo che il periodo è scaduto, in quanto inizieranno a cancellare i tuoi dati, ma sperano che tu cambierai idea prima di allora.
from https://medium.com/@twitter_italia/guida-alle-alternative-etiche-su-twitter-come-e-perch%C3%A9-evitare-twitter-ce88ac50cb36?source=rss-ec3739ae0f6b------2 via Twitter Italia
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marikabi · 6 years ago
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Forza verde
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Il verde ‘omnicomprensivo’ (detto anche greenery, ovverosia ‘verzure’) è stato il colore Pantone dell’Anno, nel 2017.
(Per la cronaca, nel 2018 c’è stato l’aubergine, altrimenti detto color mulignama, per taluni di cattivo augurio. In effetti...)
Per il 2019 dobbiamo ancora attendere. Tuttavia, sommessamente io riproporrei il greenery.
Se in ambito estetico/grafico/modaiolo il verde medio (un po’ vellutata di piselli) è già démodé, da un punto di vista socio-politico è la prossima tendenza. O, se volete, la migliore proposta.
Vi ricordate che un paio di settimane fa ci sono state le elezioni in Baviera? E che i Grünen hanno fatto un grosso balzo in avanti? Riconoscete - d’altro canto - che la Baviera, nell’intera Germania, è il Land più avanguardista, imprime tendenze e anticipa soluzioni?
Non vi sarà sfuggito che in Baviera l’inclusione (perché l’integrazione è limitante) degli immigrati sub-sahariani e medio orientali è ben governata e che invece di chiudersi in casa o invocare trincee di sbarramento all’invasione, i Bavaresi si son rimboccati le maniche e hanno fatto spazio per tutti?
Se così non fosse, più che preoccuparsi per l’ambiente, il futuro climatico e produttivo, i Bavaresi avrebbero tranquillamente fatto stravincere AfD (Alternative für Deutschland), l’ultra-destra xenofoba. Invece, forza Verdi! Anzi, forza Greenery.
Eh già, perché sono gli ambientalisti - a mio parere - i veri eredi della socialdemocrazia e della sinistra, tutti assieme in un verdolino universale, il greenery, appunto.
I Verdi  (attributo-apposizione che vorrei utilizzare poco, perché richiamano un più dannoso verde padano) sono la vera alternativa che potrebbe unificare - almeno conciliare - tutte le aspirazioni progressiste, ambientaliste, democratiche (ambiente e clima riguardano tutti, ricchi e poveri, bianchi e neri, ad ogni latitudine, occupati e disoccupati, tutti i sessi e tutte le età), pacifiste, finanche un po’ egalitarie che da sempre contraddistinguono le istanze di sinistra.
Il ragionamento è piuttosto semplice ed ha a che fare con una delle strategie di problem solving, nel combinato disposto della Teoria dei Giochi.
Nello scontro politico tra le parti (e spesso anche all’interno della stessa parte, come è successo a sinistra), la regola è una strategia win-lose, ovvero mors tua vita mea. Chi vince prende tutto, in un gioco a somma zero, com’è - d’altronde - anche la regola fondante dell’economia capitalistica. La politica è un match in cui difficilmente si pareggia (perché si ricorrerebbe sempre a nuove elezioni, quindi, ad altri match).
Le parti politiche (in ogni Paese) si fanno la guerra tra loro usando come armi i problemi (e talvolta le diverse proposte di soluzione), più che considerarli l’oggetto del problem solving. Lo scopo di ciascuna parte è solo vincere nello scenario del problem setting, minacciando apocalissi ovvero eden, alla bisogna.
Vale anche per il governo italiano in carica: promettere molto eden (in un contesto molto problematico, quasi apocalittico) per vincere le elezioni. Però i problemi restano tutti: povertà, decrescita infelice, pensioni, disoccupazione, welfare, industria.
La migliore strategia di problem solving è orientarsi sul problema, che è terzo rispetto alle proprie convinzioni politiche: la disoccupazione non è di destra o di sinistra (non è creata dalla destra, né dalla sinistra, cioè), è solo un gravissimo problema e basta. Possono esserci strategie di soluzione di destra o di sinistra, indubbiamente, ma il problema è neutro e trasversale.
Al pari, l’inquinamento è un problema senza colore politico: è un altro gravissimo problema, che tra l’altro crea i nubifragi cui stiamo assistendo da qualche tempo nel nostro Paese del sole. Idem per il dissesto idrogeologico: costruire meno o meglio, dare attenzione ai boschi e ai bacini idrogeologici sono soluzioni ai problemi appartenenti a chiunque, a prescindere dalle tendenze ideologiche.
I Verdi-ecologisti (per distinguerli dai Verdi leghisti), slegati da logiche partitiche tradizionali, vogliono occuparsi globalmente dell’ambiente: cambiando metodi di produzione industriale, nonché di produzione e consumazione dell’energia; intervenendo sull’urbanistica delle città e sui sistemi di trasporto pubblico; reinventando organizzazioni urbane; migliorando il benessere generale per garantire migliore salute a tutti.
Sono problemi che possono essere affrontati (e si spera risolti o quanto meno ridotti) mediante soluzioni che incidono soprattutto sui sistemi economici dei Paesi, cambiando le tipologie di lavori, incrementando alcuni settori (agricoltura, energie rinnovabili, turismo, industria alimentare, ma anche automotive, nonché istruzione e formazione tecnica e tecnologica).
Ecco perché a mio modesto parere il Nuovo Verde che avanza (quello che ho definito Greenery) può essere la più autentica, originale, sensata risposta alle crisi partitiche, economiche e sociali, da noi come in tutto il resto del mondo.
Pensate, per esempio, ad un’Italia che diventi leader nella razionalizzazione dell’agricoltura in Africa, più che insistere sull’estrazione (pericolosissima) del petrolio in Libia. Potremmo convertire o migliorare il know how dei nostri tecnici, avremmo una nuova mission e staremo tutti meglio, qui come in Africa.
Immaginate che la nostra edilizia possa rifondarsi sulla sostenibilità totale, in un Paese per giunta a rischio sismico elevato, migliorando le tecniche di costruzione a basso impatto (ho visto bellissime case costruite con le balle di fieno impermeabilizzate).
Ovviamente, ciò non significa che dobbiamo evitare il progresso, tutt’altro. (Il progresso non è obbligatorio: è inevitabile.) Neanche significa che essere/diventare verdi favorisca l’ineluttabilità degli integralismi, tipo vegetariani, vegani, fruttariani, respiriani, altrimenti il movimento si autoeliminerà nello spaccare l’atomo, come è successo nel PCI. 
Non deve esserci un verde più verde: ecco perché è più consono il greenery.
© Orticalab
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alls-my-problems · 6 years ago
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Recuerdos
Quemando recuerdos, buscando atajos Salir de tu pais con una bolsa en la cara, en busca de un trabajo Bajo tus propios medios, a los politicos no les importa y no miran para abajo La otra cara de la vida, es cruel, por eso me fajo.
En busca de unos cincuenta me rompo el lomo, ya que algo nos diferencia Y son la seguidilla de ceros en la cuenta... ¿Que mas queda en el silencio? En el pensamiento de barrio.
Que si vengo de un edificio y hablo mierd@ Que soy muy problematico por las cosas que rescito Acaso no has visto en la calle comiendo basura los carajitos Y si no lo has visto, no representas nada.
Alegan que estoy loco, que me pierdo. Aun sabiendo la cantidad de odio que desahogo en el cuaderno. No firmare un papel, pa servirle a un cuerdo con cuernos. Yo no renuncio a mi libertad, no me la van a quitar.
Muchos sueños perdidos, cuando estas arriba todos quieren un pedazo de la mitad. Pero que va, no colega, no lo va a lograr. A los ojos de dios no gana el que se la juega Gana aquel que hace el bien sin mirar a quien
Aunque por unos cien, existe gente ciega "Dame pal refresco" "¿Cuanto hay pa esa?" Ni disparandome podran robar los dolares en mi cabeza Mi realidad espesa, cuerpos presos y pentabillonarios siguen buscando presas.
Mientras el hambre y lamento se llevan a varios En mi diario, sere quien los representa Este es parte de mi sueño y conseguir la tranquilidad de ellos es mi meta Bastantes noches de tristeza yacen en mi libreta
Todo lo que sube baja, por eso hermano no vayas a subir al cielo por una receta. Que cuando toques tierra, la realidad es que nunca hubo semillas en la maceta La meta es morir feliz y tener pa llenar la geta Maldigo al que me dio la mano portando una careta?
Raspack.
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pinkcaseotakadl · 8 years ago
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Diabolik lovers Lost Eden (prólogo Tsukinami) ~traducción+CG~
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Pink, por qué haces el prólogo Tsukinami si todavía no vas a empezar la ruta de Shin y no has terminado a Ayato?  Porque como diría 8Senpai, eees mi canal y yo hago lo que quiero xD Madrazozzz debajo del corte~
Lugar: Jadín en la azotea.
*Sonido de viento*
Yui: (El viento se siente bien...)
-Monólogo de Yui-
Han pasado meses desde que vine aquí.
Al principio todo pasaba pacificamente, Pero enseguida eso cambió. Incluso ahora la situación en el Makai está cambiando drásticamente.
Eso es porque el rey del Makai ahora eso otro, KarlHeinz-san le dió su fuerza a uno de sus hijos.
Cuando la balanza estaba siendo mantenida todo era pacifico, pero el estado del Makai cambió en un instante.
Desde entonces en cada tribu demoniaca, los que heredarían el gran poder tratarían de usurpar el trono y convertirse en el siguiente rey. Por todos lados en el Makai están pasando disturbios... ...
-Fin.
/Dios casi muero, que onda con este monólogo PUTA VIDA.
Yui: (Los vampiros, los wolf, Adora(Águila en alemán) y los víboras... esas son las 4 tribus más importantes del Makai.) Yui: (Y separado de esto están Carla-san y Shin-kun, los cuales son Fundadores... Los Primera Sangre.) Yui: (Ellos tienen mucha más fuerza que las otras tribus, es por eso que muchas personas vienen a buscarlos) Yui: (...Para usar el poder de los Fundadores.) Yui: (Incluso hoy han sido invitado por una incontable de gran cantidad de demonios.) Yui: ...Debe ser muy problematico. Yui: (Pero parece que ellos hacen que todas las personas que vienen de visita aquí se vayan.) Yui: (La verdad es que... me alivia un poco. Estaba preocupada de quedar atrapada en disturbios, de alguna manera es algo terrorifico)
*Alguien llega*
Shin: Haaa... hoy también estoy agotado. Yui: Ah, Shin-kun. Buen trabajo! Shin: Realmente. Hasta me dispararon. (Khe!? Kutakuta es eso creo.) Shin: Incluso aunque los rechase, aún así se reusan. Si que son unos tipos molestos. Shin: Sigo diciendoles que no importa lo mucho que me lo pidan Nii-san no los verá, siguen siendo persistentes... Haa... Yui: Todos los días deben ser dificiles. Shin: Así es. Bueno, pero entiendo el sentimiento que tienen al querer que nosotros los ayudemos.) Shin: Despues de todo nosotros somos Fundadores... Los Primer Sangre. Ah, cierto. Ten esto, te lo doy.
*Shin se lo lanza*
Yui: Wa? *Lo atrapa* Yui: (Qué será este frasco...?) Shin: Parece que es algo que algun demonios trajo para ofrecer. No se adapta a Nii-san, así que te lo doy a ti. Yui: A mí? Shin: ...Si alguien le diera algo así a Nii-san con una envoltura tan linda, definitivamente tendría más problemas que ya en si haber venido. (Se imaginan? xDDD) Yui: (Ciertamente es verdad... ya que los trajo, lo abriré.)
*Yui abre el frasco*
Yui: Ah... mira, son dulces de repostería! Shin: Lo sé. ...Ya lo he revisado para que no tenga nada raro. (Osea, no le va a dar unos dulces envenenados duh) Yui: *Sonrojo* Ah, es verdad. Gracias.  Shin: De nada. Bueno, lo hice porque te lo iba a dar. (Esta sonriendo, no respiro) 
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Yui: Pero estoy feliz. Entonces, tomaré uno...
*Sonido de tapa*
Yui: (Waa, de alguna forma esto es nostálgico.) Yui: ...Aquí, ten uno tú también Shin-kun. Shin: Mm. ...Uwa, muy dulce... Yui: Fufu, es verdad. Pero de alguna manera este sabor me tranquiliza. Shin: Bueno, es verdad. (Hace desde un rato que Shin tiene esa cara triste ;n;) Yui: (De esta manera es como si estuviera en el mundo humano, me da un sentimiento relajante...) Yui: Estarán sucediendo conflictos en el mundo humano? Shin: Debe ser porque es una oportunidad única en la vida. Si intentas huir de esto podría volver a ser abrumada como antes. (No entendí) Yui: (Uno de los chicos Sakamaki debe llevar la fuerza de KarlHeinz-san, verdad. ...Qué están haciendo en este momento?) Yui: (Podría ser que ya están en batalla con alguna tribu demoniaca...?) Shin: Stop, stop. Justo ahora tú pensaste en ellos, no es así? Yui: Eh? (Komo lo zupo?.jpg) Shin: Es inutil aunque te hagas la tonta. ...Estas pensando en los Sakamakis, no es así? Yui: ...Si. Un poco, nosotros estuvimos juntos por un tiempo, así que no quiero que algo malo les pase a ellos. Shin: Haaa... ...tú realmente eres amable. Shin: Pero sabes. No importa que pase rechazaremos a todos, pero si de momento pasa algo, nosotros tendremos que volver a pelear con ellos, sabes? Shin: Y si eso sucede, qué es lo que tú harás? Yui: Eso es... Yui: (Mirar a las personas que conozco peliando... definitivamente no quiero eso.) Yui: (Quiero evitar que ellos choque... pero está bien que lo diga? No lo sé) Yui: ... ... ... ...
*Viento muy fuerte suena*
Shin: ...El viento llegó. Ya es momento de que entremos. Yui: Si...
Lugar: Habitación de Yui.
Yui: (Podrían llegar a pelear, eh...)
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Yui: (No quiero llegar a ver eso pero, ellos tienen sus propias razones.) Yui: (Podría ser el deseo de los Fundadores obtener el heregemonía de los vampiros de regreso.) (O es territorio? No se que onda ;--;) Yui: (Sin embargo, mientras KarlHeinz-san estaba ese plan fracasó terriblemente.) Yui: (Ciertamente ellos podrían volver a ese entonces. Pero, si lo hacen...) Yui: (MMmmmm, estoy pensando en circulos.)
*Alguien llama a la puerta* (Casi grito puta madre)
Carla: Voy a entrar. (Carla golpeando puertas? Qué? Tercera guerra mundial? KHE!?) Yui: Si, adelante.
*Carla entra*
Yui: (Qué habrá ocurrido?) Carla: Hay un olor que no reconozco, tienes alguna idea de eso? Yui: Eh? Hhmmm... Yui: Capaz sean estos dulces? Carla: *o.o wut* ... ... ... ... Yui: Hace un rato Shin-kun me los dio y comimos juntos. (CofCof, no en frente del novio Yui) Carla: Dulces de reposteria? ...Como olia un olor raro, pensé que radicales estaban invadiendonos. (Radicales=politicos) Yui: (Así que vino a ver por eso. Lo hice preocupar.) Yui: Carla-san, quieres uno? Carla: No es necesario. ...No me gustan las cosas dulces. (Aguante lo salado loco!) Yui: Ya veo... Carla: A ti te gusta eso? Yui: Si! Cuando la dulzura se derrite en mi lengua de alguna manera me da un sentimiento de felicidad... Carla: ...Ya veo. Entonces valió la pena haberlo recibido. (Le esta diciendo que bueno que lo aceptó o algo azy) Yui: (Ha estado muy ocupado así que no hemos intercambiado muchas palabras pero parace que él estaba pensando en mí) Yui: (...Me hace feliz.)
*Shin llama a la puerta*
Shin: Nii-san? La comida ya esta lista. (...Shin cocina?) Carla: Bien. ...Vamos. Yui: Si
Lugar: No puedo leerlo puta vida.
Yui: (A la hora cuando los tres nos reunimos juntos me siento aliviada pero... de alguna manera se siente tenso.)
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Carla: ...El reporte de la situación. (Me encanta como Carla habla a lo robot. Yo, tú, reporte, ya. xDDD) Shin: Sigue igual que siempre. Como decirlo, se siente como si no tuvieran interesa en nada más que no sea nuestra fuerza.) Shin: Todos ellos eran demasiados molestos, y de repente me dio ganas de quemarlos a todos. (Reiji al ataque) Carla: Es inevitable. Ellos quieren nuestros poderes ya que somo mucho más fuertes que ellos. Shin: Pero sabes, sus esperanzas violencia son demasiado transparentes ya que sólo quedamos nosotros dos. (Osea, quiere decir que están de altaneros porque ya que son sólo dos no corren mucho peligro.) Shin: Pensar que será tomado con esa clase de comportamiento, realmente me enfada...! (Osea, con amabilidad todo se puede(?) Yui: (Shin-kun esta tratando con esas tribus todos los días, seguramente debe tener mucho estrés acumulado.) Shin: Por supuesto que no lo han dicho directamente, pero están tomando mucha ventaja por el simple hecho de que somos sólo dos. Carla: Pero, es verdad que nada más quedamos nosotros dos. Eso es sólo una especulación de las otras tribus demoníacas. Shin: ... ...Oye, Nii-san, qué es lo que planeas hacer? Shin: Si esto sigue así, qué es lo que pasará! Carla: ...No es el momento de apresurarse. Shin: Tal vez? Shin: Todos, todos los días un montón de demonios se la pasan viniendo aquí... Ya estoy cansado! Shin: Es el momento ideal para robar la hegemonía del Makai, así que por qué simplemente te quedas callado? Carla: *Grrr* ... ... ... ... Yui: Shin-kun, tranquilisate... Shin: Tú no sabes nada... sólo cállate! Yui: Algo así... Yui: (Ciertamente yo no estoy al frente como Shin-kun lo esta haciendo, y tambien no estoy haciendo nada.) Yui: (No estoy al tanto sobre la condición actual o la situación pero... me lastima un poco.) Carla: ... ... ... ...(Me mata su ''grrr'' AJAJAJAJ)
*Carla se levanta y se va*
Shin: Es... qué sucede.... Yui: ... ... ... ... Yui: (Yo también iré con Carla-san.)
Lugar: Pandemiun-Entrada.
Yui: Haa... Yui: (Dije cosas innecesarias.) Carla: No maldigas a Shin. Yui: No haré eso. Shin-kun seguramente esta cansado. Carla: Shin aún es demasiado joven. Y es por eso que se termina dejando llevar. Carla: Él quiere que esta situación termine lo más pronto. Carla: Tal vez yo también hice algo similar cuando era joven. (Entonces admitis que estas viejo) Carla: Decidir tan facilmente que esta bien, es algo que no se puede hacer tan rápido. Yui: Es cierto... Carla: Justo ahora nosotros dos estamos solos. Aunque tengamos una fuerza tan poderosa, nos superan en número. ...No puedo decir que todo vaya bien. Carla: Pero no importa que, no tengo intención de ser usado por las tribus demoniacas. ...Es una cuestión de orgullo de los Fundadores. Yui: (Orgullo, eh. Es una palabra bastante importante.)
*Carla se va*
Yui: (Seguramente Carla-san tendrá su propia forma de luchar.) Yui: (Shin-kun es el movimiento y Carla-san el silecio... aunque lleven la misma forma de pensar, es un sentimiento muy diferente.) Yui: (...Muchas cosas dificiles) (x2)
*Funde*
*Cuervos*
Yui: (Mm... este sonido...?)
*Un montón de cuervos*
Yui: (Cuervos? Por qué están aquí...)
*Shin abre la puerta too desesperado*
Shin: ! Que alivio... Yui: Shin-kun! Pasó algo? Shin: De repente esos tipos raros comenzaron a atacarlos. ...Que alegría de que este bien. Yui: Y Carla? (Tipico, Shin todo buenito y le nombras a Carla) Shin: Él esta bien. Por ahora preocupate por ti misma. De todos modos, nos iremos de aquí. Yui: Eh? A donde? Shin: Iremos a la otra mansión, y a esperar a ver que pasa.
???: --No escaparán.
*MÚSICA DE ROCK QUE AMO SKDAJASKLDE*
Yui: (Quien es...?) Kino: Holi. Yo soy Kino. Soy un miembro del grupo llamado Raven. (Khe!?) Shin: Ahh, ya veo. Después de meterque aquí sin ningún permiso, qué es lo que quieres? Kino: Vine a buscar a esa chica de ahí. ...Los dulces te gustaron? Yui: Eh? Kino: Toma mi mano... Eva. Yui: (Como es que me conoce... Eva...?) Shin: Ha? No te la daré a un tipo como tú. Si la quieres... será después de que me derrotes. Kino: EHhhhh~? Eso es una molestia sin embargooo... Bueno, si quieres eso entonces te lo daré. Shin: Hee... ya que sabes hablar tanto, yo te ensenaré como hacerlo!! Yui: Shin-kun, no lo hagas! Yui: Tú quedate atras...!
*PANTALLA VIBRA* *Shin ataca rápidamente a Kino*
Yui: Kya! Kino: Huumm... la forma de pelear de los Primera Sangre es algo lenta. Shin: Haa? NO ME JODAS---!
*Sonido de cosas rotas*
Kino: Hahaha. No me has dado para nada~? Que estas intentando hacer destruyendo tu propio castillo? Shin: Kuh, realmente te mataré...! Yui: (Qué debería hacer. Quiero detenerlos, pero parece que no debería meterme...) Carla: ...Haa!
*EN TU PUTA CARA KINO MAGIA*
Kino: Ugh... uh... haa*Se cae* /La cara de Shin, ''qué verga pasó?'' Yui: Carla-san...! Carla: Que malos modales. Cuando solicitas una audencia con el rey... primero debes declarar tu nombre. (JAJAJAJAA, EL PUTO AMO POR FAVOR) Kino: Ouch,ow ow... bueno, como era de esperarse. Esto definitivamente es el poder de los Primera sangre. Kino: Yo soy Kino. El hijo de Karlheinz, el principe número cero. Yui: Eh? Yui: (Lo que quiere decir, que esta persona también es un hijo de KarlHeinz? Shin: ...Todavía hay más vampiros molestos ademas de aquellos, eh. Kino: Hoy sólo vine a saludar. Así que volveré. Soy el que me convertiré en Adan, así que vendré para que me devuelvan a Eva. Yui: (...Me esta mirando...) (Literal dice: Nuestras miradas se encontraron LOLOLOLOLOL)
*Cuevos mami*
Kino: Oh, parece que ya es la hora de que me vaya. ...Nos vemos.
*Kino comienza a corre*
*Stap*
Kino: Ahh, cierto, cierto. Kino: El de cabello largo de ahí, tienes una terrible enfermedad, no es así? (AJAJAJA, Kino y sus apodos, rip aliento) Yui: (Como es que sabe eso...) Kino: No te queda mucho tiempo de vida, así que si te quieres quedar escondido, por qué ya no estregas a esa chica? (.....) Carla: ... ... ... ...*Grrr* (JAJAJAJAJAJ, NO PUEDO AIRE, estaba triste por lo que dijo, pero Carla se pasa xD) Kino: AhAHA. Entonces, byebye~~~
*Kino se va con los cuevos papi*
Shin: Kuh, espera! Carla: Déjalo. ...Por ahora. Shin: Por ahora dices... Yui: (Carla-san esta muriendo... Es por que el Enzeit lo esta comiendo.) Yui: (Su comportamiento no parecía haber cambiado en absoluto, así que lo había olvidado...) Yui: (Es algo que no puede recuperarse completamente, por lo que es como si estuviera siempre al lado de la muerte.) Carla: ...Que cosas absurdas.
*Carla se va*
Shin: *In the kokoro* ... ... ... ...
MONÓLOGOS NO-
-Monólogo de Yui
Enzeit. Hace mucho que no escuchaba el nombre de esta enfermedad.
Por alguna razon, Carla-san mantenia un comportamiento por el cual nadie se daba cuenta de la enfermedad.
Aunque parezca que la enfermedad ha disminuido, esa presión, no sería raro que él la siguiera sintiendo.
Seguramente, lo habrá estado ocultando en frente de nosotros, para que no nos dieramos cuenta.
Cuando pienso que fue así, mi pecho comienza a apretarse de dolor.
-Fin.
Lugar: Balcón del Pandemium.
Yui: (El Enzeit no es algo que desaparece. --Pero aún así, si me preocupo demasiado seguramente me afecte...)
*Lobo aulla*
Yui: (...Oh?) Yui: (Los lobos que están entrando al bosque... Shin-kun!?) Yui: (Carla-san... no esta aquí) Yui: (No me digas que él va a vengarse por lo de recién... Tengo que detenerlo!)
Lugar: Bosque.
*Yui esta corriendo*
Yui: Haa, haa... Yui: (Como lo supuse tal vez haber corrido tras ellos fue algo un poco imprudente.) Yui: (Sé que debería haberle dicho a Carla-san pero... No puedo mirarlo fijamente con lo que acaba de pasar.) Yui: (...De todas formas, ya que llegué hasta aquí tengo que seguirlo--)
*Alguien nos atrapa*
Yui: ! Yui: (Mentira... alguien esta atras mio...?) Yui: Lo siento, perdoname... Shin: Que planeabas viniendo hasta este lugar? Yui: Shin-kun? Shin: Regresa al castillo. Si lo haces entonces te perdonaré. Rápido! Yui: Espera! Shin-kun, a donde planeas ir tú solo? Shin: ...Nii-san esta siendo consumido por el Enzeit. Ya no hay más tiempo para perder. Shin: Si nos quedamos en el castillo sin hacer nada podríamos desaparecer... Antes de que eso pase intentaré hacer algo. La heregemonía del Makai volverá a ser nuestra...! Yui: (Shin-kun... entiendo que estes tan desesperado, pero seguramente esto no le gustará a Carla-san.) Yui: Pero, no es bueno hacer un movimiento al azar. Hay que pensar en otro método, pero, no crees que es un poco tarde? Shin: Será demasiado tarde! Yui: Eso no es así! Carla: ...Qué están haciendo. Yui: Carla-san...
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Shin: Nii-san, lo siento por hacer cosas sin permiso. Pero... Carla: ... ... ... ...Desde hace tiempo que siempre has sido así. Eres muy imprudente. Shin: ... ... ... ... Carla: Qué es lo que planeabas hacer? Primero que todo iba a ir hacia la tribu/clan de los Wolfs. Shin: Desde hace mucho ellos siempre han protegido su dominio, tienen un fuerte sentido del deber, y el liderazgo del jefe es perfecto. Shin: Si iba a hacer un pacto, entonces pensé que ellos serían los mejores. Yui: (Ya veo.. así que eso era.) Carla: Ya veo. Pero, escucha muy atentamente Shin. Carla: Nosotros somos Fundadores. Los primera Sangre no se unen con los demas. Shin: Pero, antes con Merz... Carla: Aquello fue porque ese hombre mostraba un comportamiento de adoración. Y por eso terminé aceptando, es solamente eso. Shin: ... ...Entonces, qué es lo que dices que haga? Carla: Nostros dos los Fundadores, tomaremos el Makai. (No sé si dice eso, o ''tumbaremos'') Yui: Eh? Carla: ...No, nosotros 3, verdad. Yui: (Eh... me incluyó?) Carla: Fu... no quiero quejas. Shin: ...Ahh, Nii-san...! Shin: Hagamos eso. Definitivamente nosotros ganaremos...!
*Desvanece*
*Todos los lobos comienzan a aullar*
*Luna*
-Monólogo de Yui
Cuando Carla-san lo corrigió a ''nosotros 3'', mi corazón latió fuertemente.
El sentimiento de que finalmente me reconocian, calentó mi corazón.
Pero, después de eso también sentí una sombra de preocupación.
Había alguien con quien debíamos luchar. Y la nueva persona que apareció afirmando que se convertiría en Adán.
Desde ahora yo, podré aguantar toda la confusión y la lucha en el Makai?
-Fin.
Yui: (Pero, tengo que creer. Porque yo decidí seguir a estar personas...)
~Fin del prólogo Tsukinami~
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