#politica commerciale
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chicklit-or-chocolate · 14 days ago
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American o German?- multipolarismo e polimini
nel mio settore sta accadendo una cosa molto spassosa: utenti più o meno esperti iniziano a domandare, con lo smarrimento del conformista che non sa più bene a che cosa gli convenga conformarsi (mi si nota di più se vengo o se non vengo?), se non sia il caso di boicottare gli USA evitando l'acquisto di giochi da tavolo americani.
Ora, questa improvvisa e sfolgorante alba della mente che acquista coscienza della geopolitica nel 2025, dopo l'elezione di Trump, è esilarante su numerosi livelli.
Primo livello: l'America è con Trump più aggressiva e verbale nella sua secolare arroganza ma, appunto, l'arroganza americana è un fatto di lungo corso. Non si capisce perché adesso scandalizzino i dazi, le azioni e la postura di Trump, il quale non fa che levare fronzoli da una vecchia carcassa. Perché mai solo ora è lecito boicottare? E prima? Secondo livello: Mi si dirà: si boicotta ora come risposta all'offesa da parte americana, ossia i dazi. Ah, ecco, dunque alla fine non è morale, sono soldi: è dunque accettabile boicottare per vendicarsi di pratiche protezionistiche, mentre non ci si dava pensiero di farlo per altre motivazioni politiche e umanitarie? Terzo livello: Che ingenua, mi si ribatterà, non sai che c'est l'argent qui fait la guerre? Ma certo che lo è, lo è sempre stato; e dunque, come può risultare rilevante il boicottaggio di quattro stronzi in un settore di nicchia, nel più vasto schema di un sistema mercantile globalizzato? Occorre tener presente che noi importiamo una parte consistente di giochi americani, ma non solo quelli. Molti giochi che di recente sono entrati nel nostro panorama europeo sono coreani, orientali, oppure europei. Già da tempo importare e localizzare un gioco costa caro, e si trovano strade alternative. Il mercato dei giochi da tavolo non è necessariamente così sostenibile come lo si potrebbe ritenere, e inoltre l'Europa ha già in sé un buon numero di inventori e produttori. L'America, d'altro canto, la quale ha un approccio diverso al gioco ed al gioco da tavolo, è già in sé stessa un vasto mercato; forse non sufficiente ad autoalimentarsi ma, di certo, non così carente di consumatori da dover compiangere eccessivamente la perdita di fette di acquirenti esteri. Quarto livello: il boicottaggio di "giochi americani" impatterà innanzitutto coloro che li importano, li localizzano, li rivendono su territorio europeo. Senza contare che alcuni titoli "americani" non sono affatto stampati in America, o non integralmente. Basta verificare sulle confezioni di silicio e le bustine spesso incluse nelle confezioni sui nostri tavoli da gioco; che c'è scritto? Ve lo dico io: Madre in P.R.C.
Ci sarebbe il quinto livello, che ho tenuto per ultimo in quanto il più ovvio e banale: qualsiasi nazione ha degli scheletri nell'armadio tali che non sarebbe assurdo pensare di boicottarla per dissociarsene.
Del resto, che la politica impatti sui giochi è già accaduto, e vi cito solo Coloni di Catan, un capolavoro dello stile eurogame, riproposto con il meno problematico titolo Catan, onde evitare di rievocare appunto il colonialismo.
Dunque, via i German, la Germania non ci piace, ha un brutto passato, è fautrice materiale del riarmo ad Est e il paese che più si sta impegnando militarmente sul fronte orientale e baltico - qui tutti sono confusissimi, sia a destra che a sinistra, perché il riarmo divide le coscienze, quindi chissà che scompiglio tra destre e sinistre!
Molti prodotti ci giungono da Ucraina e Polonia: chi non è a favore della Brigata Azov potrebbe decidere di depennare quei titoli dalla sua lista. E che dire della Polonia, non proprio inclusiva e neppure amica dell'Italia quando si tratta di prendere decisioni sulle politiche comuni in materia di debito ed immigrazione?
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Dazi Usa: Cia, allarme rosso per export agroalimentare.  rischio vini, Pecorino Romano, sidro Made in Italy: l’analisi alla X Conferenza economica
Chianti e Amarone, Barbera, Friulano e Ribolla, Pecorino Romano, Prosecco e persino sidro di mele. Nella guerra commerciale che rischia di aprirsi con l’arrivo dei dazi di Trump il 2 aprile, ci sono prodotti tricolori in pericolo molto più degli altri, perché tanto dipendenti dall’export verso gli Stati Uniti. E lo stesso vale per le regioni, con Sardegna e Toscana particolarmente esposte a…
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hopefulwizardcupcake · 19 days ago
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Trova le differenze🫩🫩🤮🤢
Mentre la Presidente del Consiglio Meloni spiega che “i dazi non sono poi questa catastrofe”, in Spagna il premier spagnolo socialista Pedro Sanchez, in meno di 24 ore, ha già dato una risposta politica ed economica fortissima a Trump e ai suoi sciagurati dazi.
Un maxi-piano di rilancio da oltre 14 miliardi di euro tra fondi, garanzie, prestiti, linee di credito con cui la Spagna sostiene concretamente le aziende che saranno più colpite.
E, insieme, dipendenti e lavoratori che rischiano il proprio posto.
Non solo. Sanchez ha anche sbugiardato pubblicamente Trump sugli inesistenti dazi al 39% da parte dell’Europa.
“Non è vero. È una menzogna. Le conseguenze di questa guerra commerciale saranno enormi, specie per chi l’ha provocata”.
Infine ha proposto di investire su un fondo comune europeo finanziato coi ricavi degli extra-dazi, dettando letteralmente la rotta all’Europa in senso europeista e anti-protezionista.
Questa è la differenza (ENORME) tra un premier che fa Politica e governa davvero, senza scodinzolare dietro il nuovo boss mondiale, e una sedicente sovranista e “patriota” che annaspa, mimimizza e tenta disperatamente di salvare il rapporto col suo amichetto americano.
Avercene di leader del livello e dello spessore di Pedro Sanchez in Italia. E in Europa.
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vintagebiker43 · 6 days ago
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Lorenzo Tosa 
È tutto qui, in questa immagine.
Giorgia Meloni si è presentata alla Casa bianca in total white in veste di “colomba”, tanto per far capire a Trump le sue intenzioni sin dall’abito.
E, per oltre un’ora e mezza di incontro, di fronte all’uomo che ha appena dichiarato guerra commerciale all’Europa e all’Italia, la “patriota” non ha detto una sola parola in difesa del proprio Paese, figuriamoci dell’Unione.
È rimasta lì, a sorridere e lasciarsi corteggiare dai complimenti di Trump (“she’s a great person”), senza portare lo straccio di un’idea, una proposta, un’azione degna di questo nome. Zero di zero.
Anche perché non ha alcuna competenza politica in materia né alcun mandato europeo per farlo.
Solo frasi fatte e da paggetta di corte.
“Insieme Usa e Europa siamo più più forti”. Chi l’avrebbe mai detto?
Ha invitato il Presidente Trump a un incontro ufficiale in Europa, con tanto di tappeto rosso, esultando pure: “Ha accettato!”
E ancora:
“Sono sicura che si possa trovare un accordo a metà strada”. Alla faccia…
Ha promesso che “le imprese italiane investiranno 10 miliardi negli Usa”.
Infine, l’apoteosi:
“Siamo uniti con gli Usa nella lotta all’ideologia woke”. Che non esiste e non c’entrava nulla col tema, ma non ha resistito a questa ennesima pagliacciata populista.
L’unico punto politico che resterà di quest’incontro è la promessa di aumentare le spese militari dell’Italia al 2%, esattamente come ordinato dal padroncino americano.
Che differenza con Macron, Sanchez e gli altri leader europei.
Abbiamo fatto l’ennesima figura miserevole a livello mondiale che i tg meloniani presenteranno come un grande successo internazionale. Sta già accadendo in questi minuti.
Credevo che Meloni si sarebbe limitata ad andare a baciare la pantofola del nuovo boss mondiale.
Ma forse su una cosa aveva ragione Trump: non era lì solo per baciare la pantofola…
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mezzopieno-news · 11 months ago
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IL SUDAFRICA METTE FINE AI SAFARI DI CACCIA DEI LEONI
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Il Sudafrica ha approvato una nuova politica per la conservazione e la prosperità sostenibile di leoni, elefanti, rinoceronti e leopardi. Il piano prevede l’introduzione del divieto di allevare i grandi animali selvatici per la caccia. La pratica a cui questo provvedimento fa riferimento è la cosiddetta ‘caccia ai trofei’ che consiste nel liberare animali nei confini di un’area recintata, per essere uccisi da cacciatori che pagano per garantirsi la cattura di una preda e per portare con sé la testa o la pelle dell’animale ucciso. In Sudafrica, tra gli 8.000 e i 12.000 leoni sono allevati in circa 350 fattorie, secondo le stime delle organizzazioni per la protezione degli animali che denunciano regolarmente le condizioni in cui gli animali sono tenuti in cattività. La nuova posizione del Governo sudafricano prevede di “porre fine alla detenzione di leoni per scopi commerciali e chiudere le strutture per i leoni in cattività, porre fine all’allevamento intensivo di leoni in ambienti controllati e allo sfruttamento commerciale dei leoni in cattività”. Il provvedimento ha l’obiettivo, inoltre, di eliminare gradualmente l’addomesticamento e l’intensificazione della gestione in cattività di rinoceronti e leopardi. “Il settore è vasto e complesso, con una lunga storia che non corrisponde più agli attuali standard internazionali e alle politiche di conservazione”, ha sottolineato Kamalasen Chetty, del comitato creato appositamente dal Governo. Il provvedimento entrerà in vigore gradualmente nel corso di due anni, per consentire agli allevatori di rilasciare gli animali in natura e per riconvertire le proprie attività. ___________________ Fonte: Governo del Sudafrica; foto di Steward Masweneng
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curiositasmundi · 6 days ago
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"La fascinazione collettiva suscitata da Trump comincia a mostrare cenni di cedimento dopo neanche tre mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca e dopo aver scatenato una guerra commerciale mondiale"
In nome di quale politica: i seguaci del trumpismo
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anchesetuttinoino · 9 months ago
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Che i magistrati rimproverino a Giovanni Toti di rimanere ai domiciliari «in quanto ha dimostrato di non aver compreso appieno la natura delle accuse» ci pare un fatto senza precedenti.
Come ha scritto il governatore nella lettera al suo avvocato, c’è qualcosa che non quadra: «Ora, per tranquillizzare i giudici del Riesame, che ritengono io non abbia capito il reato commesso e dunque lo possa reiterare, vorrei essere chiaro: ho capito benissimo cosa mi viene addebitato. Per i magistrati sarebbe reato essermi interessato ad un pratica, pure se regolare, perché interessava ad un soggetto che ha versato soldi al nostro movimento politico, pure se regolarmente. Che, per paradosso, vuol dire che se mi fossi interessato alla stessa pratica di un imprenditore che non ci ha mai sostenuto, non sarei stato corrotto. E se l’imprenditore avesse finanziato un movimento politico di cui così poco stimava la politica e i leader, tanto da non parlargli neppure dei suoi progetti, non sarebbe stato un corruttore. Mi si perdoni, ma pur capendo, non sono d’accordo. Pur avendo confermato ai magistrati punto per punto quanto accaduto, senza nascondere nulla. E tuttavia la reiterazione di quel reato resta impossibile»
È cambiato qualcosa? No
Se torniamo per l’ennesima volta a parlare della carcerazione preventiva cui è sottoposto dal 7 maggio il governatore ligure non è per ribadire che, per quel che si riesce a capire, le accuse che gli vengono mosse sono piuttosto flebili (se accettare finanziamenti leciti e dichiarati è un reato, chiunque fa politica è un presunto colpevole), ma per sottolineare l’enormità di quel che appare un accanimento.
Come ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio, Toti è a casa sua, «sequestrato ad Ameglia. Un’indagine durata quattro anni, con largo uso di intercettazioni dirette e ambientali, non ha trovato per adesso prove decisive di corruzione, solo pettegolezzi di incontri su una barca, insinuazioni sui finanziamenti ai comitati elettorali e sul famoso voto di scambio, illazioni su amicizie e frequentazioni di imprenditori privati, generici sospetti su licenze a uso commerciale. Il malloppo estortivo o corruttivo non c’è».
È cambiato qualcosa? No
La legge dice che il governatore dovrebbe rimanere ai domiciliari solo se esistono le condizioni di pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. Non si comprende, dato anche il clamore della vicenda, come queste tre condizioni sussistano. Persino il Manifesto ha parlato di «un processo alle intenzioni».
Di più: finora il governatore ligure è rimasto ai domiciliari perché – così è stato detto – avrebbe potuto di nuovo influire sulle immediate elezioni. Passate le europee, è cambiato qualcosa? No. “Però potrebbe influire sulle future elezioni regionali”, è stato ancora detto. Ora, a parte che si vota nel 2025 (Toti deve aspettare un altro anno?) lui stesso ha fatto sapere che, pur potendolo fare, non si ricandiderà. È cambiato qualcosa? No.
Contro la detenzione domiciliare, la difesa ha presentato un parere espresso dal Presidente emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, ma nemmeno questo ha sortito gli esiti sperati e il riesame ha confermato la misura restrittiva.
«Un tribunale dell’Inquisizione»
Cos’altro dovrebbe o potrebbe fare Toti per riavere un po’ di libertà. O meglio, si capisce benissimo e ci chiediamo: dovrebbe dimettersi? Toti – sebbene siamo ancora nella fase delle indagini, sebbene non vi sia stato alcun rinvio a giudizio, sebbene non ci sia stato alcun processo, sebbene non vi sia stata alcuna condanna – dovrebbe, siccome «non ha capito le accuse», abbandonare subito quella poltrona che è diventata, come ha scritto nella lettera, «più un peso che un onore»? Siamo arrivati a tanto?
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rideretremando · 1 month ago
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Sono indeciso (ma tendenzialmente contrario) riguardo alla questione del riarmo europeo. Mi lascia perplesso sentire intellettuali e analisti esprimersi con assoluta certezza su ciò che sarebbe giusto o sbagliato, come se la questione fosse semplice e priva di ambiguità. Ci sono troppe variabili ignote in gioco (e troppe in bocca a rinomati mentitori) per offrire un’analisi che non sia speculativa. Chiunque abbia certezze mente a sé e agli altri.
Personalmente, ho molti dubbi sull'efficacia e sulla sostenibilità di una strategia di riarmo così imponente. Temo che investire centinaia di miliardi in armamenti finisca per sottrarre risorse preziose a settori fondamentali come istruzione, sanità, welfare e, soprattutto, alla lotta contro il cambiamento climatico, che numerosi analisti indicano da decenni come la vera radice delle crisi sociali che stiamo vivendo, e che rischia di essere sempre più ignorata.
Sospetto (sottolineo “sospetto”) inoltre che dietro le minacce di Trump di uscire dalla NATO possa esserci prevalentemente una strategia commerciale volta semplicemente a spingere gli europei ad acquistare più armi statunitensi. Ricordiamo che uscire dalla NATO significherebbe anche abbandonare moltissime basi militari strategiche in Europa.
Rifletto anche sull'ipotesi (che sostengo da anni) di un esercito europeo comune, che avrebbe aspetti positivi, come una difesa europea più coordinata ed efficace, una minore dipendenza dagli Stati Uniti e meno dispersione di risorse militari. Tuttavia, riconosco anche le difficoltà pratiche e politiche che questa soluzione comporta, come la rinuncia parziale alla sovranità nazionale e la necessità di una reale politica estera comune, al momento lontana dall'essere realizzata. Ma se la minaccia vale 800 miliardi, non può valere anche questo sforzo?
Una cosa di cui mi sento davvero certo è che il ritorno della retorica eurocentrica, nazionalista e belligerante, che vedo purtroppo diffondersi sempre di più, rappresenta una peste da estirpare con ogni mezzo, poiché ci riporta a dinamiche del passato che in Europa abbiamo provato a superare – e se qualcosa vale una bandiera, per me è questo.
Francesco D' Isa
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arcobalengo · 2 months ago
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DARWIN AWARDS
Uno sguardo cursorio sulla condizione attuale della politica europea lascia storditi. Se vivessimo su Marte ci sarebbero gli estremi per una spassosa commedia dell’assurdo, ma vivendo in Europa quella commedia è piuttosto una tragedia di cui siamo vittime.
Dopo la telefonata tra Trump e Putin ad alcuni leader europei è iniziato a balenare il sospetto che dopo il barile di pece stiano per arrivare le piume.
Hanno iniziato a strabuzzare gli occhi, agitarsi, e a produrre proclami scomposti.
La ministra degli Esteri UE Kaja Kallas si è messa a concionare pateticamente che “in ogni negoziato, l'Europa deve avere un ruolo centrale” e che “qualsiasi accordo concluso alle nostre spalle non funzionerà”. (Va dato atto alla Kallas di possedere doti attoriali fuori dal comune: è in grado di dire le più sconcertanti corbellerie sempre con aria sorridente e sicura).
Di fronte agli annunciati dazi di Trump sulle esportazioni europee la tedesca Von der Leyen si dice “profondamente dispiaciuta” e promette risposte e “contromisure ferme e proporzionate”, aggiungendo con grande senso del comico: “proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre aziende e i nostri consumatori".
Il vicepresidente americano Vance in tour europeo snobba il primo ministro tedesco Scholz dicendo che “non c’è bisogno di incontrarlo, tanto sarà cancelliere ancora per poco” – per gli sputi in faccia non era a distanza.
Limitiamoci a questa campionatura del bestiario europeo.
Ecco, quando inizieranno il volo di rientro verso la realtà i responsabili europei potrebbero cominciare a notare alcune cose. Ad esempio.
1) Hanno messo in posizioni diplomatiche chiave personaggi come la Kallas agli esteri (o il lituano Kubilius alla Difesa), rappresentanti di minoranza in paesi con la popolazione dell’Abruzzo, un PIL che è una frazione della Lombardia, ma con l’unica meritoria qualifica di essere affetti da psicosi russofobica. Oggi, mentre Putin e Trump parlano sopra le teste europee, la Kallas abbaia ferocissima al piano di sotto, minaccia, garantisce che l’Europa è fondamentale, inaggirabile, e appare pronta a lanciare un battaglione di prodi cavalieri estoni all’attacco del Cremlino. Personaggi come la Kallas sono l’equivalente diplomatico del bombardamento del North Stream sul piano energetico: servono a tagliare i ponti nel lungo periodo verso ogni riavvicinamento alla Russia.
2) La von der Leyen, neanche a farlo apposta, è tedesca della CDU, cioè rappresenta il cuore pulsante del progetto mercantilista di cui l’UE è stata esempio mondiale. Questo modello, è bene ricordarlo, ha sostenuto per decenni l’idea che la carta vincente europea era un’aggressiva politica di esportazioni, con bilancia commerciale perennemente in attivo, politica perseguita al costo di una costante compressione delle condizioni lavorative e dei salari europei. Gli “esperti”, i “tecnici”, ci hanno spiegato che i sacrifici dei lavoratori europei sarebbero stati più che compensati dall’afflusso di capitali esteri (capitali che, secondo la trickle-down theory, sarebbero percolati naturalmente dai grandi gruppi finanziari alla società tutta). A questo punto la successione nel processo di autoevirazione presenta tratti geniali.
Dapprima l’Europa ha scommesso tutto sullo “schiacciare l’avversario a colpi di esportazioni” e così facendo ha distrutto il mercato interno.
Poi ha rotto i ponti con la Russia, e ha spezzato le iniziative cinesi della nuova via della seta, riducendo i propri margini di esportazione a oriente (naturalmente nel nome della libertà contro le autocrazie).
Poi, dando udienza a qualche lobby, ha avviato obiettivi ridicolmente irrealistici sotto forma di Green Economy, creandosi ostacoli artificiali a produzione e consumo (ma, ça va sans dire, per dare il buon esempio al mondo).
Infine, ha scoperto che uno stato sovrano che abbia il physique du role, come gli USA, può cancellare con un tratto di penna tutto il tuo vantaggio competitivo.
Risultato finale: ogni privilegio sul mercato esterno è andato perduto mentre il mercato interno lo hai ucciso.
Roba da Darwin Awards.
3) Scholz cuor di leone è quello che alla vigilia dell’Operazione Speciale russa ha chiuso il North Stream 2 (NB: PRIMA dell’invasione dell’Ucraina), ed è quello che poi quando l’oleodotto è stato fatto saltare in aria (come dice autorevolmente Seymour Hersh, dagli americani con l’ausilio dei norvegesi) ha prontamente accusato i russi di autosabotaggio. Dopo aver così spettacolarmente pulito le scarpe degli americani - che hanno ottenuto su un piatto d’argento la chiusura degli approvvigionamenti energetici europei a basso costo – ora Scholz può essere scaricato come un vecchio clown, che non fa più ridere nessuno.
Il tragico quadro della peggiore classe dirigente europea di tutti i tempi potrebbe continuare. Ma purtroppo non possiamo continuare a goderci il divertimento di fronte a tale dabbenaggine, perché ne siamo e saremo le prime vittime.
L’Europa esce da questa vicenda letteralmente annientata.
L’Europa ha infatti perso l’unica vera leva di potere contrattuale che le era rimasta in mano, cioè l’eccellenza sul piano della trasformazione industriale. Oggi l’Europa, tra riduzione degli sbocchi di mercato (interni ed esterni) ed esplosione dei costi energetici, è in piena deindustrializzazione.
Quanto al resto, l’Europa è da tempo un’area del mondo anziana, demograficamente al collasso, in cui le famiglie e tutte le relazioni durevoli sono sistematicamente sotto attacco, sia per le celebri esigenze della flessibilità di mercato sia per la diffusione di ideologismi astratti (woke, etc.).
Militarmente l’Europa non ha mai rimesso in discussione gli esiti della seconda guerra mondiale – salvo per un periodo la Francia – ed è rimasta terra di occupazione.
Culturalmente l’Europa ha abbracciato il modello americano senza remore, smantellando le sue eccellenze nelle scienze e nelle arti, ed abbracciando qualunque schifezza provenisse da oltre Atlantico.
Da ultimo, ed è la cosa più amara e preoccupante, l’Europa che si pretendeva terra dei diritti, della libertà di parola e pensiero, è oggi un luogo dove regna un’atmosfera mefitica di censura, di asservimento mediatico, di ricatto intellettuale. Mentre gli USA, nelle mani del pessimo, “dittatoriale” Trump riapre le maglie della libertà di parola, l’Europa è quel luogo particolare dove si chiudono conti correnti a testate politicamente sgradite, dove si mettono all’indice ragionamenti di schietto buonsenso (per piacere non dimentichiamo tutte le tirate ad alzo zero sui “putiniani” e “pacifinti”, seguendo i cui consigli oggi staremmo tanto meglio); è quel luogo dove si sospendono serenamente i risultati di elezioni sgradite; è quel luogo dove si implementa quel regno dell'arbitrio che è il Digital Services Act; è quel luogo dove giornali e testate di prestigio da tempo non stanno più sul mercato, ma vivono di elargizioni opache e pubblicità privata (tutte risorse condizionate e condizionanti).
L’Europa è alla canna del gas, e con quel che costa, sarà una morte lenta e dispendiosa.
Andrea Zhok
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pier-carlo-universe · 15 days ago
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Guerra Commerciale Globale: scontro aperto tra Stati Uniti, Cina ed Europa – una minaccia alla stabilità mondiale
“Quando le merci non attraversano le frontiere, lo faranno gli eserciti.” — Frédéric Bastiat Il clima economico globale si fa sempre più teso. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’intenzione di aumentare drasticamente i dazi sulle importazioni cinesi, portandoli fino al 104%, a partire dal 9 aprile. Questa mossa rappresenta una risposta diretta alle recenti ritorsioni…
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alessandro55 · 8 months ago
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Steichen Carnet Mondain Les Années Condé Nast
sous la direction de William Ewing et Todd Brandow
Thames & Hudson, Paris 2008, 288 pages, 26x31,4cm, ISBN 978-2-87811-324-3
euro 70.00
email if you want to buy [email protected]
Steichen era già pittore e fotografo affermato sulle due sponde dell’Atlantico quando, nei primi mesi del 1923, gli offrirono l’incarico più prestigioso e certamente più redditizio nel campo della fotografia commerciale, quello di fotografo capo per “Vogue” e “Vanity Fair”, le autorevoli e influenti riviste Condé Nast di moda e costume. Nel corso di quindici anni Steichen produsse un corpus di opere di ineguagliabile genialità e si avvalse del proprio talento straordinario, accompagnato da una prorompente vitalità, per rappresentare e valorizzare la cultura contemporanea e i massimi esponenti della vita politica, letteraria, teatrale, operistica, con un occhio di riguardo per il mondo dell’alta moda. Avendo personalmente frequentato gli ambienti artistici più progressisti in patria e all’estero ed essendo un eclettico di carattere, era l’interprete ideale dell’alta moda in fotografia. Il suo era uno stile preciso, sofisticato e puntuale ed è evidente la sua influenza sull’opera di Richard Avedon, Horst P. Horst, George Hoyningen-Huene, Bruce Weber e non solo. L’archivio Steichen presso Condé Nast custodisce, oltre alle formidabili fotografie di moda, oltre 2000 stampe originali tra cui alcuni eccellenti ritratti di Winston Churchill, Cecil B. DeMille, Marlene Dietrich, Amelia Earhart, Greta Garbo, George Gershwin, Frank Lloyd Wright e di un’infinità di altri personaggi famosi. Ma stranamente finora è stato esposto e pubblicato solo un numero infinitesimale di queste stampe. Gli anni venti e trenta rappresentano il momento culminante della carriera fotografica di Steichen e tra le opere da lui realizzate per “Vogue” e “Vanity Fair” si annoverano alcune delle più stupefacenti fotografie del XX secolo.
23/08/24
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fiat500nelmondo · 1 year ago
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Fiat 500 D: la versione Sprint della Cinquecento d'epoca
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Dal 1960 la Fiat 500 D ha fatto la storia. Un auto che ha segnato un'epoca e continua anche oggi a vivere nei cuori degli appassionati.
La Fiat Nuova 500 D, conosciuta affettuosamente come "Cinquino", rappresenta un capitolo fondamentale nella storia automobilistica italiana. La sua introduzione nel 1960 segnò una svolta per la Fiat, grazie a prestazioni e finiture migliorate rispetto ai modelli precedenti. Questo articolo esplora la storia, il design, e le specifiche tecniche della Fiat 500 D, un'autovettura che ha lasciato un'impronta indelebile nel cuore degli italiani e degli appassionati di auto d'epoca.
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  La Nascita di un Simbolo: La 500 D
Nel 1960, il Salone di Torino fu testimone del lancio della nuova Cinquecento D. Questo modello, evoluzione della Nuova 500 lanciata nel 1957, si distingueva per il suo motore più potente e le rifiniture di qualità superiore. Con un bicilindrico da 499,5 cm³ e 17,5 CV, la 500 D sfiorava i 100 km/h, un notevole incremento rispetto alla versione originale.
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Un Design Funzionale
La Fiat 500 D ereditava la linea della Nuova 500 con alcune modifiche estetiche significative, tra cui un tettuccio apribile più corto e la parte posteriore del padiglione in lamiera. Il suo design compatto non era solo un simbolo di modernità, ma rispondeva anche alle esigenze di mobilità in un'epoca di grandi cambiamenti sociali e urbanistici in Italia.
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Motore e Prestazioni: Un Salto di Qualità
La Cinquecento D si distingueva per le sue prestazioni migliorate, grazie al motore derivato dalla precedente versione Sport. Con una velocità massima di circa 102 km/h, la 500 D garantiva un'esperienza di guida più dinamica, ideale per le nascenti autostrade italiane. Le modifiche apportate al motore e ai rapporti del cambio rappresentavano un progresso tecnico significativo per l'epoca.
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Economia e Accessibilità: Il Prezzo della 500 D
Nonostante le sue caratteristiche avanzate, la Fiat 500 D era venduta a un prezzo competitivo, fissato a 450.000 lire. Questa politica di prezzo accessibile contribuì notevolmente al suo successo commerciale, rendendola una scelta popolare tra gli automobilisti italiani.
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Innovazioni e Aggiornamenti: Evoluzione Continua
La 500 D vide una serie di aggiornamenti nel corso degli anni, tra cui modifiche ai deflettori, al serbatoio, e miglioramenti all'interior design come l'introduzione di un portacenere e di alette parasole imbottite. Queste innovazioni rispecchiavano le mutevoli esigenze e aspettative degli automobilisti italiani.
Colori e Stile: L'estetica della Cinquecento D
La gamma colori della Cinquecento 500 D era vasta e variava nel tempo, offrendo una scelta quasi ventennale di tinte. Dai classici avorio, blu scuro, e verde chiaro, a tonalità più vivaci come il rosso e il celeste, la Cinquecento D si presentava in una varietà di colori che rifletteva la sua personalità vivace e versatile.
La Fiat Cinquecento D nelle Città Italiane: Un Fenomeno Urbano
La Fiat 500 D divenne un elemento caratteristico delle città italiane durante gli anni del boom economico. La sua dimensione compatta e la maneggevolezza la resero l'auto ideale per gli spazi urbani, testimoniata dalla sua presenza onnipresente nelle fotografie d'epoca.
L'Eredità della D
La Cinquecento D non fu solo un'auto: divenne un simbolo di un'era, un'icona di design e ingegneria. La sua evoluzione continuò con l'introduzione della versione F nel 1965, che incorporò ulteriori miglioramenti in termini di sicurezza e design. L'ingegner Dante Giacosa, padre della 500, continuò a guidare queste innovazioni, assicurando alla 500 un posto nella storia dell'automobilismo. Con oltre 640.000 esemplari prodotti, la 500 D rimane una delle auto più amate e ricordate, un simbolo di un'epoca di cambiamento e progresso.
E voi?
Avete storie o aneddoti particolari che legano voi o la vostra famiglia a questo iconico modello? Condividete con noi le vostre esperienze personali e ciò che la Fiat 500 D significa per voi! Read the full article
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abr · 1 year ago
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Il mega-decreto annunciato il 20 dicembre dal presidente dell’Argentina, Javier Milei, getta le basi per un’ampia deregulation dell’economia nazionale (...). In un video trasmesso a reti unificate, il capo dello Stato ha presentato 30 delle oltre 300 deroghe e disposizioni che figurano nel testo e che verranno adesso sottoposte in blocco all’approvazione delle Camere. (...)
Giovedì 21 dicembre la Borsa di Buenos Aires ha aperto in rialzo di oltre il 4% in seguito alle misure annunciate da Milei.
Nel primo articolo si decreta “l’emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previdenziale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025”.
Il secondo è dedicato alla deregolamentazione e afferma che “lo Stato nazionale promuoverà la vigenza di un sistema economico basato su decisioni libere, adottate in un contesto di libera competenza”. Per raggiungere questo fine, recita il testo, “verrà attuata la più ampia deregolamentazione del commercio, dei servizi e dell’industria”.
Il terzo articolo riguarda invece la politica estera commerciale, e afferma la necessità di adottare standard internazionali in materia di commercio di beni e servizi nel rispetto in particolare delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Sulla base di queste premesse il megadecreto stabilisce tra le altre cose la derogazione della legge sull’approvvigionamento che assicura quote di beni al mercato interno; della legge sugli acquisti nazionali che impone allo Stato di privilegiare imprese locali per appalti e concessioni; delle leggi di promozione industriale e commerciale; e della legge che impedisce la privatizzazione delle aziende statali.
Dopo l’annuncio del decreto migliaia di argentini si sono riversate nelle strade delle principali città del Paese per protestare. (...)
La Borsa che non guarda in faccia a nessuno festeggia, le proteste sono ampiamente messe in preventivo: i virus e i parassiti incistati si agitano all'annuncio della cura. Uhhh la shvendita (come se fosse roba loro, non roba sfruttata da parassiti e mantenuta da tutti). Don't worry Milei ha le idee chiare: nessuna "privatizzazione" all'italiana cioè cessione di monopolio ad amichetti, sarà deregolamentazione. Non sarà indolore, ma più tardi si comincia, peggio è.
via https://www.ilsole24ore.com/art/argentina-neopresidente-milei-avvia-maxi-deregulation-dell-economia-AFB98i8B
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mezzopieno-news · 10 months ago
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3000 EURO AI DIPENDENTI CHE FANNO UN FIGLIO: L’AZIENDA PREMIA LA VITA
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Un’azienda con oltre 1.700 dipendenti in provincia di Torino e in diversi stabilimenti nel mondo, ha deciso per tutto il 2024 di regalare 3.000 euro per ogni lavoratore che ha figli o che li adotta. Una scelta in controtendenza con la prassi che vede avere bambini come un ostacolo alla produttività o alla presenza al lavoro, soprattutto per le donne.
L’incentivo è parte della politica dell’azienda per migliorare il benessere dei propri dipendenti e, più in generale, per creare meccanismi virtuosi con il territorio e le realtà locali ove essa opera, oltre a contrastare la sindrome delle culle vuote e della denatalità che si sta verificando anche in Italia. “Siamo un’azienda molto giovane con un’età media dei dipendenti sotto i 40 anni e il 60% donne” spiega Niccolò Bellazzini della Sparco, azienda multinazionale che produce abbigliamento tecnico per gli sport motoristici e per le competizioni auto e motociclistiche. “Anche nel management abbiamo un numero elevato di donne, molte sono responsabili di prima linea in posti strategici come il commerciale, il legale, il motorsport, le risorse umane. Ho preso spunto da aziende grandi come la Prysmian che ha fatto un’operazione analoga a luglio garantendo 5.000 euro ai suoi dipendenti che faranno un figlio” dichiara il manager piemontese che crede nel valore della famiglia come elemento di forza per i suoi collaboratori e di ricchezza per la società. “Le imprese hanno una responsabilità sociale prevista anche dalla nostra carta istituzionale e solamente restituendo ricchezza soddisfiamo il nostro dettato costituzionale” ricorda Bellazzini.
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Fonte: Sparco; foto di Carlos Santiago
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fashionbooksmilano · 2 years ago
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L’arte della moda
L’età dei sogni e delle rivoluzioni 1789-1968
A cura di Cristina Acidini, Fabiana Giacomotti, Fernando Mazzocca
Dario Cimorelli Editore, Milano 2023, 384 pagine, 400 ill. col., 23 x 28 cm, ISBN  9791255610014
euro 34,00
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Mostra Forlì, Musei San Domenico, 18 marzo - 2 luglio 2023. A cura di G. Brunelli e F. Mazzocca
La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo. Dal Settecento a oggi, la mostra ricostruisce e racconta un inedito e affascinante viaggio tra due arti sorelle. Nel Settecento la moda diventa moderna e diffusa tra classi sociali diverse. L'abito come oggetto di consumo modifica lentamente l'organizzazione della distribuzione, sempre più caratterizzata, soprattutto nelle città, da luoghi fissi. Nascono i negozi. La ricerca dei materiali rivoluziona il mondo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche. Dalla fine dell'Ottocento il rapporto tra arte e moda va incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un'arte, a essere uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema. Nel Novecento le vicende della moda si sono confuse con i temi della politica, del cambiamento sociale.
Opere di Reynolds, Batoni, Hayez, Canova, Molteni, Sala, Boldini, Lega, Signorini, Borrani, Caillebotte, Tissot, Sargent, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos, Bonzagni, Boccioni, Balla, Severini, Bucci, Casorati, Martini, de Chirico, Melotti, Fontana, Campigli, Mondrian, Picasso, Matisse, Delaunay. Abiti e accessori di Maison Collot, Lanza, Sartoria Ventura, #Poiret, #Fortuny, #Balla, #Depero, #Chanel,# Lanvin, #Worth, Monaci Gallenga, #Dior, #Ferré, #Valentino, #Ferragamo, #Capucci, #Schon, Marucelli,#SaintLaurent #Yamamoto, Balestra.
19/05/23
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moviemaniac2020 · 1 year ago
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LA ORCA, film "maledetto" del 1976, diretto da Eriprando Visconti, nipote del più noto Luchino, ambientato e girato a Pavia, quando la nostra città in quei decenni era una piccola "Hollywood di provincia", che vide grandi attori e registi aggirarsi per le strade del centro storico e paraggi. Fra le tante pellicole, molte di ambientazioni milanesi, MA girate a Pavia, per ricostruire scenografie caratteristiche o storiche, come "L'Albero degli Zoccoli" di Ermanno Olmi, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes, anno 1978 (sequenze in corso Cavour e piazza Botta). Non dimentichiamo Dario Argento e il suo "Le Cinque Giornate", né il romantico "Fantasma d'Amore" di Dino Risi con Marcello Mastroianni e Romy Schneider. Tornando a LA ORCA, con tre giovanissimi Michele Placido, Flavio Bucci e Vittorio Mezzogiorno, opera sesta del Visconti Jr., che immortala la città di Pavia in numerose sequenze, riconoscibilissimi la stazione ferroviaria (interno e piazzale esterno), Piazza della Vittoria, Piazza del Duomo, Corso Garibaldi, Borgo Basso e poi l'immancabile scena al Ponte della Becca - vero e proprio "must" cinematografico in quegli anni (come non citare il duello finale fra il commissario Tomas Ravelli (Thomas Milian) e il capo della banda dei marsigliesi (Gastone Moschin) nell'epico duello de "Squadra Volante" di due anni prima?) - LA ORCA riprende quella sordida Pavia degli anni Settanta, la rende ancora più "poliziottesca" e inquietante dei film di Stelvio Massi ("Mark il poliziotto", "Cinque donne per l'assassino"), più intrisa di lotta politica, più impregnata di sangue, violenza e suspence, dove la delinquenza delle cosiddette "batterie" è di casa, anzi di sotto casa, perché appena esci da uno dei tanti palazzi di via San Giovanni in Borgo e sei figlia di una ricca famiglia borghese pavese vieni sequestrata da tre pochi di buono (nefasta anticipazione a quello che succederà poi, negli anni a venire, a un pavese vero e in carne e ossa come Cesare Casella, tanto da fare uno storico esempio di caso mediatico televisivo). In un claustrofobico casolare nelle campagne pavesi si svolge il resto del film: ruoli che si ribaltano, scene disturbanti fra sequestrante e sequestrata, atmosfere claustrofobiche da clima horror, eros onirico e reale, e un finale da pugno nello stomaco. Dopo la sua uscita nei cinematografi italiani fu la pellicola a essere sequestrata dal Tribunale di Roma per scene di stupro estremamente spinte. Soltanto nel 2006 il film fu rimesso in circolazione tramite trasposizione in DVD. Costato appena 40 milioni di lire, il capolavoro di Visconti incassò più di un miliardo al botteghino finché fu libero di circolare. Fu il maggior successo commerciale del regista, tanto che lo spinse un anno più tardi a dirigere un sequel ("Oedipus Orca"), anch'esso in gran parte girato e ambientato a Pavia (con Miguel Bosè e ancora la protagonista del primo, Rena Niehaus, nel ruolo principale). Senza nulla togliere a capisaldi come "Il Cappotto" di Alberto Lattuada, a "I sogni nel cassetto" di Renato Castellani o a "Paura e amore" di Margherethe Von Trotta, opere classiche girate in riva al Ticino, LA ORCA resta ancora oggi un capolavoro della "Cinematografia alla Pavese", una chicca da vedere e rivedere, per capire com'erano le città di provincia, tipo Pavia, durante i difficili e duri anni di piombo. Assolutissimamente consigliato. DVD ordinabile in edicola, film guardabile in streaming su Prime Video. Cult-movie di nicchia, per pochi, ma senza eguali nel suo genere. LA ORCA (Italia, 1976, drammatico/poliziottesco, 90') di Eriprando Visconti. Con Michele Placido, Rena Niehaus, Vittorio Mezzogiorno, Flavio Bucci.
(rece: Mirko Confaloniera)
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