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🆘 Le tensioni tra Cina e Stati Uniti rischiano di innescare una nuova guerra commerciale, con conseguenze potenzialmente devastanti per l'economia mondiale. Come si stanno muovendo i mercati asiatici di fronte a questa minaccia? Scoprilo su oraultima.com/ e non farti cogliere impreparato.
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Cina e Stati Uniti: Tensioni, Strategia e Realpolitik tra Elezioni e Congresso
Un'analisi delle dinamiche tra Cina e USA in vista delle elezioni americ
Un’analisi delle dinamiche tra Cina e USA in vista delle elezioni americane e del Congresso cinese, con uno sguardo alla realpolitik e alle implicazioni economiche. L’articolo di Mariangela Pira offre una panoramica approfondita e attuale delle complesse relazioni tra Cina e Stati Uniti, contestualizzandole nel quadro degli eventi politici di novembre: le elezioni statunitensi e il Congresso…
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Mercati Finanziari in Crisi: Opportunità o Pericolo?
I mercati mondiali crollano: come affrontare la volatilità e proteggere i tuoi investimenti? Lunedì 5 agosto 2024, i mercati finanziari globali hanno vissuto una delle giornate più turbolente degli ultimi anni. L’indice giapponese Nikkei ha registrato una drammatica caduta del 12%, innescando una reazione a catena che ha travolto le borse europee e americane. Il Ftse Mib, indice di riferimento…
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Chiusura del 2024: Cosa Aspettarsi dai Mercati Finanziari, Rischi e Opportunità da Cogliere"
💡 Cosa ti riserva la chiusura del 2024? 💸 Non restare a guardare mentre il mercato cambia! Scopri rischi, opportunità e le strategie vincenti per costruire un futuro finanziario stabile.
Mentre il 2024 volge al termine, il panorama economico globale continua a mostrare segnali contrastanti. Da un lato, ci sono preoccupazioni legate all’inflazione persistente e alle tensioni geopolitiche, dall’altro si aprono nuove opportunità di investimento grazie all’innovazione tecnologica e ai mercati emergenti. In questo articolo, analizzeremo i principali fattori che influenzeranno i…
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PRIMA PAGINA Milano Finanza di Oggi venerdì, 09 agosto 2024
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Sanzioni flop, mosca cresce 6 volte l’europa
DUE ANNI DI PROPAGANDA E DATI IGNORATI - Crescita, Pil, Borse e banche (non il gas): i numeri sull’economia russa indicano che è ancora lontano l’obiettivo perseguito dall’Unione. Si va verso il 14° pacchetto
DI MARCO MARONI
Con il 13° pacchetto di sanzioni approvato dall’Unione europea ed entrato in vigore ieri, con misure restrittive su altre 1056 persone e 88 entità, il volume delle iniziative messe in campo per frenare l’economia russa e la sua capacità di finanziare la guerra in Ucraina ha raggiunto lo straordinario volume di oltre 19 mila. I bandi all’importazione e all’esportazione, il price cap sui prezzi energetici, la stretta su sistemi di pagamento e intermediari finanziari, il congelamento di beni pubblici (300 miliardi di dollari di riserve valutarie) e privati all’estero, fanno della Russia il Paese più sanzionato al mondo e il più sanzionato della storia. Ma dopo due anni di guerra economica scatenata dai Paesi ai due lati dell’Atlantico, e mentre il presidente Usa Biden studia un ulteriore pacchetto da 500 nuove sanzioni, sembra essere senza precedenti anche lo scostamento tra l’obiettivo che si voleva raggiungere e la realtà dei fatti.
Partiamo dalle macro cifre. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) che nel settembre 2022 stimava un’economia russa in contrazione del 6% per quell’anno e del 3,5% nel 2023, ha dovuto fare un notevole lavoro di revisione: gli ultimi dati pubblicati indicano che nel 2023 il Prodotto interno lordo (Pil) russo è cresciuto del 3%, e la previsione per il 2024 è del +2,6%. La crescita è la migliore di tutti i Paesi dell’area dell’euro, quasi in stagnazione: più 0,5% nel 2023 e una previsione dello 0,9% per quest’anno. Peggio di tutti la Germania; l’economia della cosiddetta locomotiva europea, prima vittima del caro energia e dei cali nell’export, l’anno scorso è entrata in recessione, con un Pil a meno 0,3% che quest’anno potrebbe risalire allo 0,5%. Peggio di Mosca hanno fatto anche gli Stati Uniti, più al riparo dagli effetti delle sanzioni: più 2,5% l’anno scorso e una previsione del 2,1% quest’anno. Riguardo ai mercati finanziari, la Borsa di Mosca ha guadagnato il 27% rispetto a due anni fa, il cambio del rublo ha recuperato le perdite subite, tornando ai livelli del 2021. A sperimentare una crescita da record è il sistema bancario. Grazie alla corsa ai nuovi mutui sussidiati dallo stato e ai finanziamenti per acquistare le attività delle imprese occidentali che lasciano il Paese, le banche russe l’anno scorso hanno fatto profitti per 37 miliardi di dollari, 16 volte quelli dell’anno precedente. I buoni dati economici, insieme a una propaganda che è riuscita a descrivere la guerra come una necessità esistenziale, contribuiscono peraltro al consenso, con la popolarità di Putin ai massimi da sette anni, è all’85% di gradimento.
Ciò che analisti e politici cercano di capire è come mai le sanzioni non sortiscano l’effetto sperato. I motivi sembrano risiedere in una notevole capacità della Russia e dei suoi partner commerciali di aggirare le sanzioni, e in una riconversione nell’economia e nei rapporti finanziari internazionali. Mosca ha spinto su nuovi mercati, alleato cinese innanzitutto. L’anno scorso l’interscambio commerciale tra Cina e Russia è stato di 240 miliardi di dollari, in aumento del 26,3 % sull’anno precedente. A seguire gli scambi in valuta, con la yuan cinese che sta sostituendo il dollaro.
Capitolo importazioni, ambito sensibile per i partner Nato in quanto funzionali anche all’industria degli armamenti. Dopo il brusco arresto nei primi mesi dell’invasione, con le consegne dall’Europa calate del 52%, ora si è tornati ai livelli pre-guerra. È aumentato l’import dai fornitori esistenti, sono stati sostituiti prodotti, fatti accordi con nuovo fornitori e, soprattutto si è seguita la strada delle importazioni parallele. Crescite dell’export si sono registrate dalla Turchia e da una serie di Paesi dell’ex blocco sovietico, come Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirgizistan.
In molti casi questi Paesi fanno da tramite, riesportando in Russia prodotti importati da altri che adottano la politica sanzionatoria. Per avere un’idea di come funziona, basti pensare al boom dei cellulari (i cui chip possono essere usati anche per gli armamenti) in Armenia, dove le importazioni sono decuplicate in valore.
Qualche effetto positivo sembrano invece aver avuto le misure su gas e petrolio, prima voce dell’export russo. Se nell’estate del 2022 i prezzi del gas erano arrivati a 340 euro per Megawattora, una manna per le casse russe impegnate a finanziare la guerra, la quotazione ora è a 23 euro. Mentre il petrolio è sceso dai 120 dollari al barile dell’estate 2022 a 76 dollari. Ma anche qui, Mosca non è stata messa fuori gioco. Prima del price cap, che ha proibito agli importatori occidentali di trattare petrolio russo a più di 60 dollari al barile, il 60% dell’export russo era trasportato da petroliere europee. Oggi gran parte di quel petrolio è trasportato da compagnie con sedi in Paesi non sanzionatori.
Le prossime misure, secondo quanto annunciato da Biden, dovrebbero colpire di più le banche e i loro affari, spesso poco rintracciabili con le imprese che riforniscono la Russia. Ma secondo gli analisti, il rischio qui è di mettere in pericolo la stabilità del sistema finanziario internazionale.
Chi dubita sulla reale ripresa del sistema produttivo russo argomenta che la crescita è dovuta soprattutto alla riconversione di parte della sua economia in un’economia di guerra, non sostenibile sul lungo periodo. Un ragionamento che sembra non considerare che, nella storia, la guerra è ciò che ha fatto fare un balzo in avanti produttivo alle economie in crisi.
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In un’era in cui il potere economico sembra spesso eclissare quello politico emergono inquietanti verità sul ruolo delle grandi aziende nel plasmare – e talvolta minare – i fondamenti stessi della democrazia globale. Un recente rapporto dell’International Trade Union Confederation (Ituc) getta luce su pratiche di cui forse la politica dovrebbe occuparsi con più coraggio.
Al centro di questa rete di influenza troviamo nomi che quotidianamente entrano nelle nostre vite: Amazon, Tesla, Meta, ExxonMobil, Blackstone, Vanguard e Glencore. Giganti dell’economia mondiale che, secondo l’ITUC, non si limitano a dominare i mercati ma estendono i loro tentacoli fino a toccare le corde più sensibili della politica e della società.
Multinazionali e regole democratiche
Amazon, il colosso dell’e-commerce guidato da Jeff Bezos, si distingue non solo per la sua posizione dominante nel mercato ma anche per le sue pratiche aggressive nei confronti dei sindacati. L’azienda, quinta maggiore datore di lavoro al mondo, è stata accusata di violare i diritti dei lavoratori su più continenti, di eludere le tasse e di esercitare una pressione lobbistica senza precedenti a livello nazionale e internazionale. La sua influenza si estende fino al punto di sfidare la costituzionalità del National Labor Relations Board negli Stati Uniti e di tentare di sovvertire le leggi sul lavoro in Canada.
Non meno controverso è il ruolo di Tesla e del suo eccentrico fondatore, Elon Musk. L’azienda automobilistica, simbolo dell’innovazione tecnologica, si trova al centro di accuse di violazioni dei diritti umani nella sua catena di approvvigionamento e di feroci opposizioni alle organizzazioni sindacali in Stati Uniti, Germania e Svezia. Musk stesso è finito sotto i riflettori per il suo sostegno a figure politiche controverse come Donald Trump, Javier Milei in Argentina e Narendra Modi in India, sollevando interrogativi sul ruolo dei magnati tech nella formazione dell’opinione pubblica e nelle dinamiche politiche globali.
Meta, l’impero dei social media di Mark Zuckerberg, si trova al centro di un ciclone di critiche per il suo ruolo nell’amplificare la propaganda dell’estrema destra e nel facilitare la crescita di movimenti antidemocratici. La piattaforma, che raggiunge miliardi di utenti in tutto il mondo, è accusata di essere un veicolo per la diffusione di disinformazione e odio, minando le basi stesse del dibattito democratico in numerosi paesi.
Multinazionali della finanza e dell’energia
Il rapporto dell’ITUC non risparmia nemmeno i giganti della finanza e dell’energia. Blackstone, guidata dal miliardario Stephen Schwarzman, noto sostenitore di Donald Trump, è accusata di finanziare movimenti politici di estrema destra e di investire in progetti fossili e di deforestazione nell’Amazzonia. ExxonMobil, dal canto suo, è citata per il suo ruolo nel finanziare ricerche anti-climatiche e per le sue aggressive attività di lobbying contro le regolamentazioni ambientali.
Le aziende, con le loro vaste risorse finanziarie e la loro influenza capillare, sembrano in grado di plasmare l’agenda politica globale a loro vantaggio, spesso a discapito dei diritti dei lavoratori, dell’ambiente e della stessa sovranità degli Stati nazionali.
La sfida che si presenta è titanica. Come sottolinea Todd Brogan, direttore delle campagne e dell’organizzazione dell’ITUC, “si tratta di potere, di chi ce l’ha e di chi stabilisce l’agenda”. In un mondo in cui le corporazioni multinazionali spesso superano il potere degli Stati, e in cui non esiste alcuna responsabilità democratica, è fondamentale che i lavoratori e i cittadini si organizzino per contrastare questa deriva.
Il 2024 si preannuncia come un anno cruciale, con 4 miliardi di persone chiamate alle urne in tutto il mondo. In questo contesto, l’ITUC sta spingendo per un trattato internazionale vincolante che possa finalmente rendere le corporazioni transnazionali responsabili ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani. Anche da noi Meloni aveva promesso di fare “la guerra alle multinazionali”. Per ora l’abbiamo solo ricevere un premio da Musk.
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collettivisti da cortile
Ascoltando questi ultimi ho scoperto che il divide et impera del pollaio si è ultimamente arricchito di una nuova categoria di kulaki: i proprietari di case (al plurale: seconde, terze, quarte...) che, a seconda del narratore, sottrarrebbero con le loro smanie da rentier ora clienti agli albergatori, ora alloggi agli studenti, ora un tetto ai bisognosi, ora un nido alle giovani coppie. A questi neghittosi speculatori che in certi casi avrebbero – orrore! – ereditato dette case dagli zii e dalle nonne, pare si debbano inoltre le seguenti piaghe: inflazione immobiliare, occupazioni abusive, gentrificazione dei centri urbani, improduttività, sovraffollamento turistico, vagabondaggio e forse anche dissesto erariale, giacché alcuni di essi avrebbero osato chiedere e ottenere incentivi pubblici per la riqualificazione edilizia. Costoro andrebbero dunque, se non espropriati, almeno castigati con una generosa sferza fiscale, additati alla riprovazione di chi-lavora, costretti a mettere i loro vani a disposizione di chi-dico-io, alle condizioni che-decido-io e a prezzi drasticamente calmierati. Così imparano.
Per quanto circoscritto, il caso è affascinante perché illustra quasi ad absurdum la potenza seduttrice del benecomunismo a comando e il suo ben prestarsi a dissimulare obiettivi del tutto estranei da quanto sembra promettere. Restando nell'ovvio, già da parecchi secoli le civiltà si sono strutturate per demandare alla sfera pubblica (lo Stato, le chiese, le associazioni, le corporazioni ecc.) il compito di gestire i problemi sopra elencati e, insieme, di tutelare la proprietà e la produzione, essendo queste ultime non solo bisogni parimenti meritevoli di protezione ma anche presidi di prosperità da cui scaturiscono le forze con cui le istituzioni assolvono alle loro funzioni.
Un sovrano orientato a nutrire e non a divorare le proprie risorse può (deve) intervenire in tanti modi per soddisfare il bisogno abitativo, il più evidente dei quali è quello di acquistare, noleggiare, riscattare o direttamente realizzare gli allogi, contribuendo così anche a raffreddare il mercato.
Lo si era ad esempio fatto in un'Italia incomparabilmente più povera di oggi, quando con il solo piano INA-Casa furono consegnati più di trecentocinquantamila alloggi in un poco più di un decennio. I pluriproprietari e i plurilocatori esistevano anche allora, erano anzi la norma, ma non risulta siano stati di ostacolo a un progetto che, semplicemente, ieri si è scelto di realizzare, oggi si è scelto di abbandonare.
Ma queste sono, appunto, ovvietà. Il succo della faccenda sta invece in un fatto bizzarro: che il nemico del popolo che possedesse oggi case per un valore, diciamo, di un milione, cesserebbe del tutto di essere tale qualora disponesse dello stesso importo, o anche del doppio, o del decuplo, in depositi e titoli finanziari. In quel caso allora no: è roba sua. Ne faccia quel vuole, anzi beato lui! E qui si scopre il gioco. La differenza pratica tra i due capitalisti è pressoché nulla: entrambi traggono un godimento da ciò che hanno, entrambi sono responsabili dell'uso che ne fanno (perché quello finanziario non presta i soldi a chi-dico-io, alle condizioni che-decido-io? magari per comprarsi una casa?). La differenza teorica è invece sostanziale. Il casettaro ha osato mettere le sue sostanze in una cosa vera e, peggio ancora, utile. Ha voltato le spalle alla futilità dei consumi, al rischio dei mercati e specialmente all'impalpabilità del soldo elettronico, fiduciario e finanziario, per spingersi là dove solo i grandi possono incedere: nella realtà, nei bisogni senza tempo. È questo che non gli si perdona, di avere dato materia al suo lurido gruzzolo ereditato o sudato sottraendolo dagli ologrammi bancari, dalla possibilità di svalutarlo, decurtarlo, metterlo fuori corso, dal mare magno a cui attingono gli investitori, anche per iniziative immobiliari. Perché loro possono, il casettaro no, sicché lo danno in pasto ai Sancho Panza dell'equità. Egli deve essere fluido e ricollocabile, negli averi come nell'esistenza.
Il mattone diffuso offende dunque il denaro, mette in crisi la sua magia, disturba l'incanto in cui ci è chiesto di credere e di vegetare. Con un nemico così, c'è da temere che un giorno la polemicuccia di cui ci siamo occupati sarà rilanciata dal burattinaio sulle prime pagine e sui banchi dei parlamenti. In parte sta già avvenendo, ma avvenga almeno senza il nostro plauso.
-Il Pedante
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Crollo Credit Suisse: Associazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB) chiede conseguenze per i vertici della FINMA
Aperta denuncia dei bancari svizzeri in merito alla mancata vigilanza sull’operato di Credit Suisse. Si chiedono a gran voce le dimissioni di Marlene Amstad, presidente dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA), che a detta dell’associazione dei bancari svizzeri non ha ottemperato al suo ruolo rendendosi così (cor)responsabile di un reato che ha messo a rischio decine di…
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LA SOMALIA OTTIENE LA CANCELLAZIONE DEL DEBITO INTERNAZIONALE
La Somalia ha raggiunto un accordo per cancellare 4,5 miliardi di dollari di debito con i creditori internazionali.
L’iniziativa fa parte del programma di remissione del debito, chiamato Heavy Indebted Poor Countries della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale e altri creditori multilaterali, bilaterali e commerciali che hanno avviato nel 1996 un processo per garantire che i Paesi più poveri del mondo non siano sopraffatti da oneri finanziari insostenibili. Il programma punta a ridurre il debito delle nazioni più bisognose ma che soddisfano criteri rigorosi e porterà il debito estero somalo a meno del 6% del prodotto interno lordo entro la fine di quest’anno, dal 42% precedente. L’obiettivo è che la nazione dilaniata dalla guerra da quasi 20 anni possa ricominciare a crescere e a investire nel suo futuro e ad accedere ai mercati internazionali e finanziari dopo decenni di stagnazione economica. L’intesa dà alla Somalia l’opportunità di normalizzare i suoi rapporti con il resto del mondo, far crescere la sua economia e migliorare la sua sicurezza interna.
“Il processo di riduzione del debito della Somalia è il risultato di quasi un decennio di sforzi intergovernativi che hanno abbracciato tre amministrazioni politiche. Questa è una testimonianza del nostro impegno nazionale e della priorità di questa agenda cruciale e abilitante”, ha dichiarato il Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud. Esistono una ventina di Paesi africani candidati per ottenere la cancellazione del debito estero ma la Somalia ha raggiunto, nel 2020, i parametri necessari per iniziare a ricevere la riduzione del debito, approvando riforme politiche e sociali per la riduzione della povertà.
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Fonte: Fondo Monetario Internazionale; World Bank; foto di Marek Studzinski
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ORA ULTIMA: Piazza Affari travolta: il crollo di Milano trascina i mercati europei. LEGGI SUBITO L'ARTICOLO COMPLETO ➡️ https://www.oraultima.com/borsa-italiana-azioni/
🆘 Piazza Affari ha subito un duro colpo, con l'indice FTSE MIB che è sceso sotto i 34.000 punti. Il contagio da Wall Street ha trascinato al ribasso i principali mercati europei. Ma quali sono le cause di questo crollo e quali le prospettive per il futuro? Visita oraultima.com per scoprire di più!
❓Cosa pensi sia la causa principale di questo crollo? Commenta qui sotto e partecipa alla discussione!
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E due (colossi), nello spazio di una settimana. Prima hanno esportato il covid, ora ci riprovano col crollo dei mercati finanziari ?
Cetero censeo Cinam esse delendam.
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Wall Street in calo: timori Fed frenano l'ottimismo
Wall Street chiude in rosso, Dow Jones -1%, Nasdaq -0,6%. Timori di un rinvio del taglio dei tassi da parte della Fed frenano l’ottimismo. Rendimenti Treasury in aumento, incertezza sui tagli tassi alimenta la volatilità Il mercato azionario statunitense ha chiuso in ribasso mercoledì, con i principali indici che hanno registrato perdite significative. Il Dow Jones ha perso l’1%, l’S&P 500 lo…
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Cosa Aspettarsi dai Mercati Finanziari per la Fine del 2024: Opportunità e Rischi
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La Cina preoccupa i mercati finanziari: Istituto Elvetico di Garanzia spiega come la crescita cinese minaccia la stabilità dell’economia mondiale.
La Cina preoccupa i mercati finanziari: Istituto Elvetico di Garanzia spiega come la crescita cinese minaccia la stabilità dell’economia mondiale - Prima Como
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Immaginate andare ad un esame e sentirvi chiedere IL COLLEGAMENTO TRA IL MULTIVERSO E I MERCATI FINANZIARI
A bucchin e mammt
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