#piccolo Spoleto festival
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personal-reporter · 1 year ago
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Varese Archeofilm 2023
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La vera storia dei pirati, una serata dedicata ai dinosauri e le ricerche dei cacciatori di tsunami, sono alcune delle proposte selezionate da Marco Castiglioni per la sesta edizione di Varese Archeofilm che nella serata finale di sabato 9 settembre, insieme alle premiazioni, ospiterà le proiezioni fuori concorso sulle storie delle missioni dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, etnologi e archeologi a cui è intitolato il museo sito nel parco di Villa Toeplitz. Quest’anno il festival internazionale del cinema di archeologia, arte, ambiente ed etnologia condotto da Giulia Pruneti, non si terrà ai Giardini Estensi come in precedenza ma alla Sala Montanari di via dei Bersaglieri, con apertura fissata per mercoledì 6. Mercoledì 6 settembre ci sarà La vera storia dei pirati (Francia, Stéphane Bégoin) su come una ricerca del un team di archeologi rivela chi erano veramente questi avventurieri senza paura e questi padroni del mare, oltre a un icontro/intervista con Katia Visconti, professore associato, presidente del CdS in Storia e storie del mondo contemporaneo dell’Università degli Studi dell’Insubria. Con L’anello di Grace (Italia, Dario Prosperini) si racconta di come nel 1902,  quando la famiglia Vannozzi decise di ampliare la propria casa colonica a Monteleone di Spoleto, venne alla luce il carro d’oro, una biga etrusca unica al mondo su cui era raffigurato il ciclo completo della vita dell’eroe omerico Achille. Ma poco dopo il reperto sparì misteriosamente e riapparve nel 1903 in una teca del Metropolitan Museum di New York. Giovedì 7 settembre in Al tempo dei dinosauri (Francia-Giappone, Pascal Cuissot in collaborazione con Yusuke Matsufune e Kazuki Ueda) il pubblico imparerà, in un viaggio attraverso il pianeta, a conoscere comportamenti e caratteristiche precedentemente inaspettati con un documentario coinvolgente e spettacolare. Ci sarò un incontro/intervista con Silvio C. Renesto, professore di paleontologia dell’Università degli Studi dell’Insubria, editore associato della Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia e membro del comitato scientifico transnazionale Unesco per il sito del Monte San Giorgio e in Jurassic Cash” (Francia, Xavier Lefebvre) si darà uno sguardo al nuovo pericoloso business dei fossili di dinosauro. Venerdì 8 settembre in Mamody, l’ultimo scavatore di baobab” (Francia, Cyrille Cornu) si racconterà come,  nel sud-ovest del Madagascar, gli abitanti del piccolo villaggio di Ampotaka hanno trovato una soluzione unica per immagazzinare l’acqua e Water is life (Turchia, Anıl Gök). È su quelle persone che portano acqua, l’ancora di salvezza, ai pesci che cercano di sopravvivere in un lago prosciugato della Turchia, oltre a un incontro/intervista con Camilla Galli, climatologa del Centro Geofisico Prealpino di Varese In Tsunami, una minaccia globale (Francia, Pascal Guérin) utilizzando tecnologie all’avanguardia, video amatoriali, Cgi e ricostruzioni dei disastri del passato, l’équipe scientifica di “cacciatori di tsunami” cerca di ricostruire scenari spettacolari, e allo stesso tempo minacciosi, di un prossimo futuro. Sabato 9 settembre Dall’acqua all’acqua (Italia, Angelo e Alfredo Castiglioni) sarà la cronaca della missione del 1977 effettuata dai fratelli Castiglioni attraverso il deserto del Sahara per aprire una nuova pista di 2.500 chilometri da Gao (Mali) a N’guigmi (Niger) per congiungere il fiume Niger con il lago Ciad, allora ancora in buona parte inesplorata tra comunità Tuareg isolate, giacimenti fossiliferi, numerosi graffiti preistorici e una carovana morta di sete. Da non perdere è l’incontro/intervista con Luigi Balbo, esploratore e fotografo, Barbara Cermesoni, archeologa e conservatrice museale ai Musei Civici di Varese, e Serena Massa, archeologa, docente dell’Università Cattolica, responsabile degli scavi archeologici di Adulis in Eritrea. Infine Dall’Egitto faraonico all’Africa di oggi  (Italia, Alfredo e Angelo Castiglioni) spiega di come nei templi, nelle tombe e nelle mastabe degli antichi Egizi si trovano numerose testimonianze che rappresentano la quotidianità di questa civiltà del passato. La documentazione realizzata dai fratelli Castiglioni in oltre trent’anni di ha permesso di mettere a confronto le raffigurazioni dei monumenti faraonici con momenti di vita di alcune popolazioni africane rimasti immutate nel tempo, che sono di notevole valore didattico e scientifico. Read the full article
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uscheapticket-us-blog · 6 years ago
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USA Spoleto festival are the internationally known festival/event..Known as eye catcher event.Get to know more about : http://bit.ly/2YC8TCH
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Storia Di Musica #122 - Nuova Compagnia Di canto Popolare, La Gatta Cenerentola, 1976
Poche città posso vantare un legame alla musica come Napoli. Vuoi per il fascino misterioso e incredibile della città, vuoi per il mito esotico che da sempre la segue, essendo stata per secoli fulcro culturale europeo e del Mediterraneo, la musica napoletana rappresenta un unicum. Come altre cime della cultura partenopea, anche la musica vive del miscuglio tra colto e popolare, tra accademico e farsesco, tra saloni di balli e danze di strada. Tra l’altro la storiografia della musica individua proprio nella nuova canzone napoletana dell’Ottocento uno dei primi movimenti di musica “pop” in senso avanguardista, aiutato anche dall'incredibile fortuna degli spartiti prima e delle prime incisioni poi, che renderanno i classici della canzone napoletana dei veri e propri successi internazionali, cantati e suonati in tutto il mondo. Accanto a questi però, esisteva una tradizione di musica folk incredibilmente variegata e interessante, che prendeva spunto non solo dalla commistione di cui sopra, ma anche dalle tradizioni delle dominazioni storiche e culturali che si erano sedimentate a Napoli in secoli di regni e protettorati stranieri. A questo fine nacque nel 1967 un gruppo musicale su iniziativa di Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello, a cui si unirono Lucia Bruno, Mario Malavenda, Claudio Mendella e Carlo D’Angiò, che propose il nome di Nuova Compagnia Di Canto Popolare (anche in acronimo NCCP). I primi progetti prendono però forma vera e compiuta solo qualche anno più tardi, all’inizio del 1970, quando nella formazione arrivano le voci di Peppe Barra e Fausta Vetere e la consulenza e l’organizzazione di Roberto De Simone, musicologo, compositore, studioso della musica popolare del Sud Italia. Inizia così una delle avventure musicali e discografiche più significative di quello che sarà il “folk italiano”, che avrà seguito inaspettato, tanto che persino Canzonissima in quegli anni aveva uno spazio per le canzoni della tradizione popolare. Nel 1971 danno alle stampe Nuova Compagnia Di Canto Popolare: in repertorio la reinterpretazione di musiche del ‘500, le famose villanelle, che riporteranno in auge dopo secoli di oblio, le tarantelle che proprio in quegli anni si stavano riscoprendo anche grazie agli studi di Ernesto De Martino sui “tarantolati” e un brano, Lo Guarracino, canzone d’amore del ‘700 che parla di un pesce innamorato (il guarracino è un piccolo pesce di colore scuro tipico dei bassi fondali campani) diventerà famoso e darà il nuovo nome alla ristampa dell’album per la Ricordi (con bellissima copertina). Inizia qui un periodo di intentissima attività: non solo dischi, tra cui nel 1974 il meraviglioso Li Sarracini Adorano Lu Sole che contiene le splendide In Galera Li Panettieri, Ricciulina ma soprattutto Tammuriata Nera, ma anche teatro, con la grande affermazione di critica e di pubblico con la messa in scena de La Cantata Dei Pastori, e concerti che li porteranno in tutto il mondo (testimonianza ne è il disco che raccoglie esibizioni dal vivo del 1978 Aggio Girato Lu Munno). E proprio verso il teatro che, spinti da De Simone, il gruppo si muove, e il loro capolavoro fu pubblicato nel 1976 come disco, e prodotto come opera teatrale con prima al Festival Dei Due Mondi di Spoleto. La Gatta Cenerentola è un’opera in tre atti che si basa sul racconto contenuto ne Lo Cunto de li Cunti overo lo trattenemiento de peccerille, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L'opera, nota anche con il titolo di Pentamerone (cinque giornate), è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni, in omaggio al Decameron boccaccesco, e nonostante il titolo le tematiche non sono affatto infantili, sia per la complessità dei temi sia per il linguaggio schietto e allusivo dei testi. De Simone aggiunge personaggi, “attualizza” alcune tematiche pur restando nell’ambito di una Napoli barocca, caravaggesca nei luoghi e nelle situazioni, dove si spiega al massimo quella commistione alto basso dei temi, delle musiche, dei personaggi. In scaletta 20 pezzi, spesso dialoghi cantati dei personaggi, che variano tra le famose villanelle, qui affiancate da moresche ( forma di pantomima mascherata, probabilmente dal nome di origine crociata o quantomeno del basso mediterraneo), e le famose tammuritate (la più famosa espressione musico-coreutica della Campania). Alcuni brani, come Jesce Sole, sono riprese da lavori precedenti e rielaborati anche nella lingua napoletana usata per l’opera, un mix magico e particolarissimo di lingua dell’epoca con elementi modernissimi, che mostrano in maniera definitiva l’incredibile capacità del napoletano (inteso come lingua) e dei suoi parlanti a prendere termini e suoni dalle altre lingue. La prima dell’opera al Festival di Spoleto, diretta da Domenico Virgili, divenne un successo, con 175 repliche nei primi anni: da allora è un classico, con produzioni in tutto il mondo. Quest’opera centrale e magnifica fu però il canto del cigno del gruppo storico: De Simone e Barra si allontanano per dedicarsi al teatro, Bennato, che al teatro non vuole guardare, continuerà il recupero musicale e la rielaborazione delle musiche popolari del Sud con i Musicanova: ma gli NCCP non scompaiono, anzi hanno un nuovo vigore tra fine anni ‘80 e ‘90, con una nuova ondata di interesse per la musica popolare, e pubblicano uno splendido disco, Medina (1992) con il perno della voce di Fausta Vetere, che diventerà uno dei più bei dischi europei di “world music”. Oltre il pittoresco e la gioia “manualistica” dello spirito partenopeo, questo disco rimane uno dei più importanti esempi di ricerca, di rielaborazione, di rispetto per una tradizione immensa e inestimabile, che vive nelle tradizioni delle nostre regioni, e che aspettano solo di essere conosciute.
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ecodelmare · 5 years ago
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memoria #21
Fino a cinque anni fa Alberto o’ Grampied insegnava matematica in una scuola di Spoleto. Oggi fa il cantastorie nelle piazze d'Italia. La sua casa è un camper. “Ho centinaia di amici - la mia grande ricchezza - ovunque, da Santa Maria di Leuca alle Alpi”, dice Alberto al VeLino. Alberto o’ Grampied (nome che gli hanno affibbiato in Francia, dove da ragazzo andava a lavorare saltuariamente) è un artista di strada. Quest'estate ha abbandonato il mezzo a motore e ha affidato i suoi bagagli a Cecio, un asinello che lo ha accompagnato dalla Toscana al basso Lazio. “In un mese e mezzo abbiamo percorso circa 600 chilometri. Per dormire io e Cecio ci fermavamo ovunque ci dessero ospitalità: in genere i contadini ci offrivano un angolo di prato”. Alberto partecipa ai festival oppure improvvisa spettacoli nei posti in cui si trova a passare. “Noi artisti di strada portiamo il sorriso in maniera semplice e intelligente, con battute che sono antiche come il mondo, ma naturali e, cosa più bella, coinvolgiamo il pubblico”. Come tutti gli artisti di strada, vive alla giornata. “Ciò che ci caratterizza è la libertà, che da un lato ci permette di partire per una qualsiasi città del mondo anche domani. Ma dall'altro c'è la precarietà di non avere un lavoro sicuro”. Come Alberto, tante altre persone hanno abbandonato un lavoro tradizionale per dedicarsi al teatro di strada. Lo conferma Alessandro Gigli, da 14 anni direttore artistico di Mercantia, la kermesse del teatro di strada più affermata del nostro paese, che ogni anno si tiene a Certaldo, in Toscana. “C'è chi, prima di dedicarsi a questo mestiere, faceva l'insegnante, chi faceva l'esattore delle tasse”, dice al VeLino Gigli, lui stesso burattinaio e cantastorie. Clown, trampolieri, fachiri, funamboli, giocolieri, mimi: al festival di Certaldo hanno partecipato tra il 17 e il 22 luglio scorso più di cento gruppi di artisti. È una manifestazione nata nel 1988 e che ha fatto di Certaldo la patria del teatro di strada. “All'inizio è stato difficile mettere insieme una decina di gruppi, ma quando abbiamo festeggiato il decennale, nel 1997, siamo arrivati a ospitarne 276”, spiega Gigli. “Dall'anno seguente abbiamo cambiato direzione: una volta promossa l'arte di strada, abbiamo curato la qualità e l'internazionalità: oggi a Certaldo arrivano artisti dall'India, dal Giappone, dal Sud America, insomma da tutto il mondo”. Le piazze del piccolo e suggestivo borgo medioevale si trasformano in palcoscenici aperti: ospitano compagnie che rappresentano pezzi teatrali, ma non rifiutano gli artisti che “vanno a cappello”. “Già”, precisa Gigli, “sono quelli che partecipano senza ricevere il cachet, ma che dopo lo spettacolo ricevono sul piattino le offerte del pubblico. Si trovano nello spazio-off”. L'organizzazione del grande evento estivo costa al comune di Certaldo 800 milioni, che vengono quasi completamente ripagati dal biglietto dei visitatori, quest'anno circa 40 mila. “Non è un festival, è una grande festa”, chiarisce Gigli, “dove si va oltre la divisione dei ruoli. Questo è il grande potere del dell'arte di strada: il coinvolgimento del pubblico. Tutto nel nostro mondo è ravvicinato: in una piazza di 50 metri ci sono 15 punti di spettacolo”. Un genere che deve molto alla commedia dell'arte e alla tradizione del giullare di corte. “È un teatro popolare”, sostiene Gigli, “nell'accezione di non borghese, di comunitario. Ed è antico, antico quanto il mondo”. IL PROBLEMA DEGLI ARTISTI DI STRADA è l'assenza di riconoscimento da parte dello Stato. Per informarli e a tutelarli esiste però, da qualche anno, un sindacato, la Fnas (Federazione nazionale artisti di strada). Tuttavia in Italia ci sono luoghi “liberalizzati”. Tra i comuni capofila c'è San Giovanni in Persiceto, 20 chilometri da Bologna, che da sei anni riunisce un centinaio di artisti di strada (la manifestazione si svolgerà alla fine di questa settimana, dal 21 al 23 settembre). “Il comune ha deliberato l'apertura delle strade agli artisti durante tutto l'anno”, spiega Marco Schiavina, direttore artistico di Arte & Città. “Vale a dire che quelli che sono di passaggio in qualsiasi momento dell'anno, al di fuori di kermesse organizzate, possono fermarsi ed esibirsi senza chiedere il permesso”. In questo modo il centro medioevale di San Giovanni (città che conta 23 mila abitanti) mantiene viva una antica tradizione: “Il nostro paese ha dato i natali al poeta e cantastorie Giulio Cesare Croce, creatore del personaggio di Bertoldo”. Sebbene tanti altri comuni sull'esempio di San Giovanni abbiano proceduto a legalizzare questo tipo di arte, il teatro di strada in Italia è meno diffuso di quello tradizionale. Specialmente rispetto ad altri paesi d'Europa, in testa la Francia, dove si svolge il festival storico di Avignone. “È il posto dove si confrontano le più grosse tradizioni teatrali”, commenta la giornalista dell'Espresso Rita Cirio, critico teatrale. “La Francia è la capitale della libertà di espressione e di esibizione. Spettacoli del genere però, si possono vedere facilmente anche a Edimburgo e a Londra”. Ma il fatto che nella nostra nazione l'arte di strada non sia granché istituzionalizzata non dispiace ai diretti interessati. “Manteniamo una certa freschezza e quando andiamo all'estero tutti si accorgono della nostra genuinità”, dice il direttore di Mercantia. Gli fa eco l'artista Paolo Stratta di Torino, che guida l'associazione Qanet. “Legalizzare il teatro significa snaturarlo”, dice Stratta al VeLino. “È come organizzare una festa a sorpresa e poi dire a tutti ci vediamo domani alle sette”.
Articolo del 2001, qui la fonte
Giorni fa ho fatto un viaggio in treno con il cantastorie Albert'o Grampied, ci siamo incontrati ad un convegno di artisti di strada e lui mi ha accompagnato per un pezzo del ritorno raccontandomi di lui.
Non insegna più in una scuola superiore, adesso insegna matematica in un carcere, che insegnare ai criminali è meno faticoso, criminali che spesso son solo dei disperati, magari con già una laurea, che non sanno come mantenersi, ma stanno lì.
Che bello anche io se avessi potuto prendere una seconda laurea e non si sa mai, sceglierei matematica, mi spiace non averla scelta tempo fa eh, ma scommetto che quando io mi laureai a suo tempo tu non eri nemmeno nata, ma va, sembri grande, ma non così grande, beh io mi son laureato nel luglio dell'81, ah ok, hai vinto tu, ma gli anni te lo porti benissimo, lo so, io vado piano, per un po’ ho provato anche a dorso di un asino, ma è difficile.
Sarebbe meglio vivere lentamente, ma in un mondo che va veloce è difficile e doloroso, ci siam detti.
Come mai ci siamo ridotti così? Chi ci ha allontanato dallo spirito del mondo? Perchè tutte queste differenze tra noi stessi?
E allora prima di salutarmi mi ha consigliato il libro del titolo e lo consiglio a tutti e ognuno ne tragga le conclusioni che vuole. (ve l'ho linkato)
E gli ho detto che spero sinceramente di vederlo di nuovo, magari di nuovo tra gli artisti di strada, un altro raduno e lui mi ha risposto, magari prima inshallah.
Inshallah allora e buona fortuna a tutti.
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teatrogag · 4 years ago
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In occasione del decennale di ActorsPoetry Festival si è voluto dare un particolare rilievo al testo della Divina Commedia che proprio nell’interpretazione vocale recupera la sua originaria forma di fruizione e acquisisce una modalità di particolare efficacia comunicativa. Per questo sono state organizzate le serate di Lecturae Dantis nei suggestivi scenari del Chiostro di San Matteo e del Museo Diocesano che conservano elementi artistici e architettonici medievali ed echi di memorie dantesche. In questa occasione verranno interpretati da attori di alto livello professionale numerosi canti della Commedia. Ogni lettura sarà preceduta da una conferenza, da parte di studiosi di Dante, per approfondire sempre nuovi aspetti della produzione letteraria e della personalità del poeta. Roberto Trovato parlerà di “Dante e il teatro”, Rosa Elisa Giangoia di “La selva, le erbe e i fiori nella Divina Commedia” e converserà online con Kazuachi Ura, docente all’Università di Tokyo e traduttore di opere dantesche in giapponese, sulla ricezione e conoscenza di Dante nel suo paese, Marco Berisso tratterà di “Al fondo dell’Inferno: Ugolino, Branca Doria e gli altri” con intervento dell’avv. Lodovico Doria Lamba, Graziella Corsinovi illustrerà “L’anima in scena: percorsi di teatralità dantesca”, Stefano De Sando sarà impegnato nel suo spettacolo “Dante, ovvero la musica dell’endecasillabo”, Paola Martini del “Nuovo allestimento del monumento Fieschi” e infine Guido Milanese della “Musica in Dante”. 
I migliori attori di tutte le edizioni di ActorsPoetryFestival interpreteranno i Canti della Divina Commedia Alice Pagotto, David Meden, Francesca Laviosa, Roberta Barbiero con la preziosa partecipazione di Hal Yamanouchi impegnato in un esperimento di contaminazione fra Dante e Teatro NO giapponese. 
Alice Pagotto (Inferno, Canti XXVIII-XXXIV, Purgatorio, Canti XIX-XXIV). Formata all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico e al Centro Santa Cristina, lavora in teatro con importanti registi e in televisione, fra cui "Che Dio ci aiuti". Per la sua interpretazione Happy hour vince il premio per la migliore attrice protagonista al Pietrasanta Film Festival -PFF. Appassionata di audiolibri, lavora stabilmente anche in Goodmood e per altre importanti società.
David Meden (Paradiso, Canti I-V, Canti XV-XX), formato all'Accademia del Piccolo Teatro di Milano, prende parte a produzioni con Federico Tiezzi, Luca Ronconi, Harry Kupfer, Valeria de Santis e Sylvia K. Milton, Marco Ghelardi e molti altri. Quale speaker registra documentari per Sky, audiolibri per Goodmood.
Roberta Barbiero (Inferno, Canti XXIII-XXVII). Formata al Teatro Stabile del Veneto prende parte a numerose produzioni film italiane e straniere vincendo premi per le sue interpretazioni. Fra le interpretazioni televisive: Marco Polo, il Commissario Brunetti, in nome della madre. In teatro ha lavorato per il Teatro Stabile del Veneto, il Teatro a l'Avogaria di Venezia con D. Jentgens, M. Ghelardi, R. Bellandi, Terrani, C. I. Massaggia.
Francesca Laviosa (Inferno, Canti XVIII-XXII. Paradiso Canto I), genovese, diplomata al Teatro Stabile di Palermo, lavora da diversi anni nelle principali produzioni di Emma Dante. Per la sua interpretazione in Odissea A/R al Teatro di Siracusa, vince a Spoleto il premio nuovo IMAIE. 
Hal Yamanouchi (Paradiso, Canto I) non ha bisogno di presentazioni: attore, doppiatore, voce ufficiale di Ken Watanabe, è coprotagonista con Hug Jackman in Wolverine, come speaker voce ufficiale di Suzuki. Partecipa in qualità di attore a molti film in Italia e all'estero. Coreografo, vince il premio Guido Monaco e il premio Colpo di scena per la sua interpretazione nella Tempesta.
Le Lecturae Dantis, per la regia di Daniela Capurro, programmate dal 10 agosto al 12 settembre 2021, saranno tutte le sere in doppio spettacolo per permettere un maggiore afflusso di spettatori.
Per il calendario di questo ricco programma: https://teatrogag.com/wp-content/uploads/2021/08/Brochure7.pdf. 
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lindsay36ho · 4 years ago
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Lowell Liebermann’s Personal Demons
In this exclusive digital encounter with the praised and enigmatic composer Lowell Liebermann on his premiere recording as a solo pianist on the Steinway & Sons label, Piano Street’s Patrick Jovell meets the pianist behind the composer and the composer behind the pianist.
Clearly, Liebermann’s latest album release is in a way an attempt to measure a time span and it’s not only a 60-year celebration but a very personal way to – and by means of the piano – let us follow the composer’s ways into his musical universe. The album contains music “he wish he wrote” and also offers music that he actually has written. Liebermann follows Stravinsky’s dictum; “my music is about the notes themselves and nothing more”, but it still leaves us with the question about the communicating qualities of the composer’s music.
Click the album cover to listen to the complete album. This feature is available for Gold members of pianostreet.com Play album >>
Personal Demons – album content: Liebermann: Gargoyles, Op. 29 Kabeláč: 8 Preludes, Op. 30 Liszt: Totentanz, S525/R188 Liebermann: 4 Apparitions, Op. 17 Schubert: 13 Variations on a theme by Anselm Hüttenbrenner in A Minor, D. 576 Busoni: Fantasia contrappuntistica Liebermann: Nocturne No. 10, Op. 99
Piano Street: Thank you for letting us talk to you about your latest recording “Personal Demons”. Your album contains composers rooted in tradition yet with a strong urge to develop contemporary concepts. They are all solitaires, I wouldn’t say misfits, but persevering despite a lack of understanding in their times. Schubert, one of many working in the total shadow of the great LvB, Busoni, the omni genius without a homeland, Kabelac, rejected by the Czech communist regime and Abbé Liszt, exploring inner, spiritual development and thus new harmonic territories – away from the extravagant superstar showmanship of his early years. In a way the mentioned composers carry personal demons too (Busoni “cannibalizing” on Bach for example) and suggest that this is a way how music can develop through time. Lowell, you are a pianist and have therefore played vast amounts of music. If you were to extend your list of fascinations – not necessarily demons – which would these be and why?
LL: You are right that the composers on this album are all, in one way or another, outliers, and that is part of their attraction. There are certainly other composers, more mainstream, who have had an even greater influence on my development as a musician. It was Bach who first made me fall in love with music. I was actually first exposed to Bach’s music through “Switched On Bach,” the synthesized versions by Wendy Carlos that have held up remarkably well, I think. But perhaps the most profound influence on my musical growth was Beethoven. My first composition teacher at Juilliard, David Diamond, had me follow a Beethovenian model of keeping sketchbooks and rigorously working out musical materials. And my piano teacher, Jacob Lateiner, was a Beethoven specialist. It was through working on the Beethoven Sonatas with him that I first fully appreciated the interconnectedness of every element of those scores: that the articulations, dynamics, etc, were inseparable from the musical content and development, and not to be altered at a performer’s whimsy. And then there is Ravel, who set a standard of musical perfection that is something to strive for.
Liszt’s Totentanz
PS: Let’s turn to the macabre part on your album and Liszt’s Totentanz, a work he re-wrote as a solo piece from originally being composed for piano with orchestra. The work is variations on the gregorian chant Dires Irae (the Day of Wrath), a theme used by many a composer. For instance, it appears in Rachmaninoff’s Paganini Rhapsody where it merges with the original theme. You also wrote a Variations on a theme by Paganini for piano and orchestra along with three piano concertos. What do you win or lose when composing for piano with orchestra compared to piano solo?
LL: Of course, when composing with orchestra one gains all the orchestral colors and an enormous amount of creative flexibility that comes with all those added instruments. And I think there is also a special dynamic in the dialogue between a solo piano and orchestra that creates a unique kind of musical tension that also opens up all kinds of possibilities.
PS: What did Liszt gain in the solo version?
LL: Going from the orchestral version of Totentanz to the solo piano version is a very special case, I think. I think the piece gains a certain kind of austerity in the piano solo version that is entirely appropriate and beneficial. At this point, I prefer the solo version. Liszt made a cut in the coda in the solo version which takes some getting used to one is familiar with the orchestral version. Several pianists have reinstated this cut, transcribing those few measures themselves. I can understand the impulse to do so, but I prefer to leave the work it as Liszt saw fit.
Performing own compositions
PS: It’s a joyous favor being able to talk to a composer who is also the performer and history has given us so much amazing music from creators with this combination of function and skill. On the album you give us two of your own works; the immensely popular Gargoyles Op. 29 and your chosen 10th Nocturne Op. 99 (out of eleven, first Nocturne composed in 1987). This poses the question about person vs. persona. When performing your own repertoire, which works do you choose and – to add an even more pathologic dimension – are you interpreting the work or are you performing/projecting yourself?
LL: The composing and performing are two very different functions that require different focus and utilize different parts of one’s brain and psyche. There is a real danger in performing one’s own works that one thinks one knows them better than one in fact does. The kind of learning that you need to do as a performer is much different from the knowledge and memory you have of a piece from having written it. A very high percentage of the memory needed for performance is muscle memory rather than intellectual memory. And so, when learning one of my own pieces for performance, I have to forget that I wrote it, and approach it as if it had been written by someone else. And that includes studying all the dynamic and expressive markings anew, because one can forget one’s own intentions and get sloppy. And this also brings up what I think is a bit of a cliché, that a composer’s music is a direct reflection of their personality, or a reflection their emotional life at the time of writing the piece. This is simply not true. A composer can write a tragic piece at the happiest point in their life and vice versa. It is often more like acting via music rather than writing an autobiography in music.
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A desirable pianistic style
PS: You are one of the few contemporary composers who can out the big names and take place in traditional pianist recital programs worldwide. What makes your music so desirable for pianists? Would you mind if I ask for a pianistic self-analysis?
LL: I’ve always felt that it is important for me, as a composer, to keep in contact with the act of performance. It informs my writing in so many ways, even just experiencing the sheer physical joy of playing certain things. I think keeping awareness of the fact that music is an act of communication in real time is very important, and it is easy to lose track of that when one has one’s head buried in the notes. One aspect of my music that, perhaps, has helped its popularity is that, no matter what is going on harmonically, my music is almost always melodically based. My music mixes tonality (usually not in a traditionally functional sense, though), atonality, octatonic or other synthetic scales, etc., basically anything that I feel fits the material at hand. Some critics have called my music neo-romantic (a label I disagree with) and I think what most of them are reacting to is the fact that it is melodically based. It’s just an element of music that I find has to be there to keep my own interest.
Composing for flute
PS: Melodic quality must be a key for any composer but after a look in your works list we very often see works for or/and including the flute. What is your story with this instrument?
LL: My very first commission for flute was a Sonata for Flute and Piano, which was commissioned by the Spoleto Chamber Music Festival for Paula Robison and Jean-Yves Thibaudet back in the late 80s. That piece “took off” in a really big way and started to be played all over the world. One flautist who included it in his repertoire was James Galway, who asked if I would orchestrate it for him so he could perform it with orchestra. I told him I would much rather just write a new Concerto for him, and that led to the commission for my Flute Concerto. Things escalated from there, and there were further commissions from him and other flautists: a Flute and Harp Concerto, a Piccolo Concerto, Flute Trios, etc. The flute community as a whole is one of the most enthusiastic groups of instrumentalists out there, who are constantly on the lookout for new pieces and perform them frequently. They share information and share new pieces. Flute works have indeed become an important part of my catalogue but, contrary to what a lot of people seem to think, I do not play the flute myself.
The post-pandemic period
PS: We wish to congratulate you on your 60th birthday which took place on February 22! In terms of time spans and trajectories and in reference to composers in retrospective, will you now enter a new compositional period?
LL: I think those questions of composer’s “periods” are best left to musicologists after a composer has died, and I’m not intending to do that for a while! What I can say is that, although I don’t know what period I will be entering, I do feel that there will be some sort of tectonic shift in my composition, not so much because of this particular anniversary, but because of the circumstances we have all been living through. At the beginning of the present pandemic, all of my commissions were put on hold, which enabled me to focus on my piano playing and this new recording “Personal Demons”. But this has meant that I have not actually written anything new for the better part of a year, the longest amount of time I have ever spent without finishing a composition. Now that there are flickers of light at the end of the tunnel, the commissions are being rekindled, and I do now have to start writing again. But I think the time away from writing will have a natural effect of reassessment. How that will manifest itself, I can’t really tell until I do start writing again, which should be any day now…
from Piano Street’s Classical Piano News https://www.pianostreet.com/blog/articles/lowell-liebermanns-personal-demons-11052/
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chez-mimich · 4 years ago
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NU ARTS AND COMMUNITY: DALLE “VARIAZIONI FURIOSE” A “PASTORALE”
 Perché esattamente fosse furioso Orlando, non mi è mai stato chiaro; forse perché leggendo il testo, della "furia" resta solo la traccia semantico-linguistica, ma non certo espressa in gesto, voce, mimica. Ci sarebbe voluto qualcuno che Orlando lo “interpretasse” proprio come fece fare Luca Ronconi a Massimo Foschi al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel 1969e alla cui messa in scena, Federica Fracassi dice di aver tratto ispirazione. L’attrice si è cimentata giovedì scorso nel Salone dell’Arengo del Broletto dinnanzi all’attento pubblico della prima edizione del “Nu Festival” e non se l’è cavata male nella lettura dell’Orlando e nell’introdurre i canti con brevi e poetici commenti. Certo il riferimento al capolavoro ronconiano non poteva essere che puramente evocativo, poiché confrontarsi con l’inarrivabile non è nemmeno da pensare, soprattutto quando, in quella edizione, c’era la riduzione teatrale di un certo Edoardo Sanguineti, un Angelica che di nome faceva Ottavia (Piccolo) e musiche di Salvatore Sciarrino. Qui, a “sviolinare” per le gesta del “furioso”, è un bravissimo Piercarlo Sacco con musiche originali ed incredibilmente adatte al commento del testo. Venerdì 2 ottobre l’attenzione si è spostata sulla danza, questa volta sotto le volte della Basilica di San Gaudenzio e sotto l’accogliente ventre della cupola antonelliana, che da qualche anno è divenuta il più grande palcoscenico in un luogo sacro della città. “Pastorale” è il titolo della straordinaria coreografia di Daniele Ninarello (questa sera tra i quattro performers), musicata da Dan Kinzelman e solitamente danzata da Vera Borghini, Zoé Bernbéu, Lorenzo Covello, Francesca Dibiase. “Pastorale” è anche il titolo di un enigmatico (ma non troppo), quadro di Paul Klee, un tessuto segnico apparentemente ripetitivo ma che propone piccole variazioni su motivi architettonici, naturali e decorativi, così come i “corpi” di Ninarello e dei suoi performers “agiscono” lo spazio e lo fanno abitare dal movimento, dalla variazione continuata e minimale, fino a renderlo saturo di senso. Come monadi nel loro processo di “annichilazione”, i corpi singoli vanno a comporre un’ armonia delle sfere ipnotica e necessaria. Un vorticare di corpi dall’anatomia ad assetto variabile, sostenuta e tormentata dalle variazioni del flusso continuo della musica di Dan Kinzelman. Uno spettacolo di rara bellezza, pregno di pensiero e non solo di abilità artistiche e motorie. La variazione infinita di individualità che acquistano senso, solo come un insieme. Dietro al “concept” di Daniele Ninarello, c’è anche e forte, l’influenza della “letteratura pensosa” di Philip Sollers, grande guru dell’avanguardia letteraria francese degli anni Settanta e Ottanta e in particolare del suo “Nombres”, dove cento brevi capitoli narrano del nostro errare e del nostro perenne movimento esistenziale. “Nu Festival”, sempre più uno scrigno delle meraviglie.
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monicahabibartist · 5 years ago
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24x36 Acrylic on canvas. From original photo taken in Charleston, SC during the Piccolo Spoleto Festival last year. #artist #painting #artistsoninstagram #artistsofinstagram #artistsontwitter #artistsoftwitter #artistsoftumblr #artistsontumblr #Artists #painter #oiloncanvas #oilpainting #acryliconcanvas #acrylicpainting #watercolor (at Columbus, Georgia) https://www.instagram.com/p/B-5zRIInb8x/?igshid=m4q9r53jj33f
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faucetbacon84-blog · 6 years ago
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PURE Theatre to remount critically-acclaimed Sweat by Lynn Nottage at the Queen Street Playhouse this 2019 Piccolo Spoleto Festival
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Sweat at PURE Theatre
By The Charleston Chronicle
Tuesday, May 28, PURE Theatre will open the remount of 2017 Pulitzer Prize for Drama winner, Sweat at the Queen Street Playhouse. Written by two-time Pulitzer prize-winning playwright, Lynn Nottage, and directed by PURE Theatre Artistic Director, Sharon Graci, Sweat returns by popular request and demand following its Southeastern Regional Premiere at the Dock Street Theatre where it made record attendance for PURE in the 2018 MOJA Arts Festival.
Sweat is the story of a group of friends who have spent their lives sharing drinks, secrets, and laughs while working together on the factory floor. But when layoffs and picket lines begin to chip away at their trust, the friends find themselves pitted against each other in a heart-wrenching fight to stay afloat. Filled with warm humor and tremendous heart, Sweat is “a topical reflection of the present and poignant outcome of America’s economic decline.” – Theatre Communications Group
“Sweat is powerful theatre,” says Director, Sharon Graci. “It’s electric and dynamic. It’s a near perfect arc plot. It’s provocative, satisfying, well crafted, and well acted. It is truly one of the star offerings this Piccolo Spoleto Festival. It achieves a visceral exploration of the human cost of deindustrialization by examining the effects of post-industrialization from the ground-zero perspective of laborers. Yet, make no mistake,  Sweat offers few definitive comments on complex issues such as trade agreements, collective bargaining, unionization, workers rights, and wage distribution. It asks many more questions than it provides answers. It is an exceptional platform for discussion of some of the most pressing and  complex issues of our times, including corporate consciousness, globalization, disenfranchisement of the working class, and the resulting impact on race relations as well as the rise of recessive social movements and attitudes such as anti-immigration, amplified bigotry, and fascist philosophies as they relate to the destruction of labor. As Artistic Director of PURE Theatre, I make three promises on behalf of my company: We will always tell you a story worth listening to. We will always pursue the highest standards of artistic excellence. We will always gift you with something to talk about when you leave the theatre. Sweat prefers to cue the questions, and I’m keeping my promises. It’s up to us, all of us, to find the answers.”
The remount will feature original cast members: Henry Clay Middleton, Jacob Milano, David Perez, and PURE Core Ensemble members, Cristy Landis, Douglas Scott Streater, R.W. Smith, Joel Watson, Joy Vandervort-Cobb, and Erin Wilson.
Piccolo Spoleto Festival performance times are as follows:
Tuesday, May 28 at 5:00pm
Saturday, June 1 at 2:00pm
Sunday, June 2 at 5:00pm
Tuesday, June 4 at 6:00pm
Tickets for Sweat are on sale now at piccolospoleto.com and at the Piccolo Spoleto Festival Box Office at the Gaillard Center (95 Calhoun Street) from. Advance purchases are strongly recommended.
This article originally appeared in the Charleston Chronicle. 
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Source: https://www.blackpressusa.com/pure-theatre-to-remount-critically-acclaimed-sweat-by-lynn-nottage-at-the-queen-street-playhouse-this-2019-piccolo-spoleto-festival/
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letterniece8-blog · 6 years ago
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PURE Theatre to remount critically-acclaimed Sweat by Lynn Nottage at the Queen Street Playhouse this 2019 Piccolo Spoleto Festival
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Sweat at PURE Theatre
By The Charleston Chronicle
Tuesday, May 28, PURE Theatre will open the remount of 2017 Pulitzer Prize for Drama winner, Sweat at the Queen Street Playhouse. Written by two-time Pulitzer prize-winning playwright, Lynn Nottage, and directed by PURE Theatre Artistic Director, Sharon Graci, Sweat returns by popular request and demand following its Southeastern Regional Premiere at the Dock Street Theatre where it made record attendance for PURE in the 2018 MOJA Arts Festival.
Sweat is the story of a group of friends who have spent their lives sharing drinks, secrets, and laughs while working together on the factory floor. But when layoffs and picket lines begin to chip away at their trust, the friends find themselves pitted against each other in a heart-wrenching fight to stay afloat. Filled with warm humor and tremendous heart, Sweat is “a topical reflection of the present and poignant outcome of America’s economic decline.” – Theatre Communications Group
“Sweat is powerful theatre,” says Director, Sharon Graci. “It’s electric and dynamic. It’s a near perfect arc plot. It’s provocative, satisfying, well crafted, and well acted. It is truly one of the star offerings this Piccolo Spoleto Festival. It achieves a visceral exploration of the human cost of deindustrialization by examining the effects of post-industrialization from the ground-zero perspective of laborers. Yet, make no mistake,  Sweat offers few definitive comments on complex issues such as trade agreements, collective bargaining, unionization, workers rights, and wage distribution. It asks many more questions than it provides answers. It is an exceptional platform for discussion of some of the most pressing and  complex issues of our times, including corporate consciousness, globalization, disenfranchisement of the working class, and the resulting impact on race relations as well as the rise of recessive social movements and attitudes such as anti-immigration, amplified bigotry, and fascist philosophies as they relate to the destruction of labor. As Artistic Director of PURE Theatre, I make three promises on behalf of my company: We will always tell you a story worth listening to. We will always pursue the highest standards of artistic excellence. We will always gift you with something to talk about when you leave the theatre. Sweat prefers to cue the questions, and I’m keeping my promises. It’s up to us, all of us, to find the answers.”
The remount will feature original cast members: Henry Clay Middleton, Jacob Milano, David Perez, and PURE Core Ensemble members, Cristy Landis, Douglas Scott Streater, R.W. Smith, Joel Watson, Joy Vandervort-Cobb, and Erin Wilson.
Piccolo Spoleto Festival performance times are as follows:
Tuesday, May 28 at 5:00pm
Saturday, June 1 at 2:00pm
Sunday, June 2 at 5:00pm
Tuesday, June 4 at 6:00pm
Tickets for Sweat are on sale now at piccolospoleto.com and at the Piccolo Spoleto Festival Box Office at the Gaillard Center (95 Calhoun Street) from. Advance purchases are strongly recommended.
This article originally appeared in the Charleston Chronicle. 
Source: https://www.blackpressusa.com/pure-theatre-to-remount-critically-acclaimed-sweat-by-lynn-nottage-at-the-queen-street-playhouse-this-2019-piccolo-spoleto-festival/
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barbaraumbel · 6 years ago
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We’re so glad you made the time to visit with us at the Stockley Gardens Art Festival! Loved seeing some of my longtime friends and collectors, and meeting some fun new folks too! Thank you! Now we’re back to the studio, because Piccolo Spoleto is up next and we have to put the finishing touches on our latest collection for our tribe in Charleston squad. ☀️#stockleygardensartfestival #hamptonroads #hopehousefoundation #urchinjewel #barbaraumbel #shelljewelry #seashelljewelry #handmadejewelry #contemporaryjewelry #artjewelry #artisanjewelry #travelingartist #artfest #popupshop #artfestival #artlife #charlestoncrafts #piccolospoleto #piccolospoletocraftsshow #piccolospoletofestival #spoletofestival #charleston #charlestonsc #dailychs #chsarts #spoletousa #charlestonstyle #explorecharleston #piccolospoleto2019 #lowcountrysc (at Norfolk, Virginia) https://www.instagram.com/p/BxrtL2jhn4B/?igshid=orlcums71gmh
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uscheapticket-us-blog · 6 years ago
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Spoleto Festival
Venue : Charleston, South Carolina, United States
Date :  May 24, 2019 - June 9, 2019
Hurry ! Jump for fun! The 43rd season of "Spoleto Festival" in USA.It's going to start in just 8 days.No more wait just go with flow.The quality of its events are superb.Always recognize as a well organised concert ever.Many people,guests are start coming in the city and as always demand for accommodation is higher than previous season,So don't kill your time by sitting vacant.Get up it would be advisable to check US cheap ticket and make reservations on time.
The show will showcase in church,theatre and on open areas under city.Moreover festivals highlights are :
Opera
Concerts
Jazz
Dance shows
Choirs
Chamber & Symphonic music many more activities..
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retegenova · 4 years ago
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Nuove Terre – Le Arti della scena
Giovedì 27 agosto ore 21.30 / Piazza Bollo – DEIVA MARINA 
(Ingresso € 5,00) 
Teatro dell’Argine 
UN BÈS – ANTONIO LIGABUE 
uno spettacolo di e con Mario Perrotta 
  “Ligabue, distante da tutti, dal paese che lo teneva lontano in un bosco, da sé stesso e i suoi fantasmi inchiodati su una tela. Agisco la sua distanza siderale di allora dal mondo e mi sembra nulla quella imposta oggi a noi da un virus. Le distanze imposte da un uomo a un altro uomo fanno molto più male.”  [Mario Perrotta] 
  Officine Papage porta a Nuove Terre un altro classico del teatro contemporaneo, uno spettacolo premiatissimo firmato da un grande protagonista della scena italiana. Per Un bès (un bacio), Mario Perrotta ha provato a chiudere gli occhi e a immaginare Antonio Ligabue così come era, con la vita che sapeva di aver vissuto, ma senza aver dato o ricevuto un bacio. Neanche uno. Come si può non essere attratti e spiazzati dalla coscienza che Ligabue aveva di essere un rifiuto dell’umanità e, al contempo, un artista? Questo doppio sentire lacerava e lacera l’anima perché l’artista sapeva di meritarlo un bacio, ma il pazzo, intanto, lo elemosinava.  
“Questo m’interessa oggi di Antonio Ligabue.” – dichiara Perrotta – “La sua solitudine, il suo stare al margine, anzi, oltre il margine – oltre il confine – là dove un bacio è un sogno, un implorare senza risposte che dura da tutta una vita. Voglio avere a che fare con l’uomo Antonio Ligabue, con il Toni, lo scemo del paese. Mi attrae e mi spiazza la coscienza che aveva di essere un rifiuto dell’umanità e, al contempo, un artista, perché questo doppio sentire gli lacerava l’anima: l’artista sapeva di meritarlo un bacio, ma il pazzo, intanto, lo elemosinava. Voglio stare anch’io sul confine e guardare gli altri. E, sempre sul confine, chiedermi qual è dentro e qual è fuori. “
Premio Ubu 2013 – Miglior Attore, Premio Hystrio 2014 – Migliore spettacolo dell’anno, Premio ANCT 2015 – al Progetto Ligabue (Un bès / Pitùr / Bassa Continua), Premio Ubu 2015 – Miglior Progetto Artistico o Organizzativo al Progetto Ligabue  
INFO 
Officine Papage – 339.8698181 [email protected] 
nuoveterre.officinepapage.itPagina Facebook: Festival Nuove Terre www.officinepapage.it
Mario Perrotta – Biografia
  Mario Perrotta Autore, regista e interprete, con Italiani cìncali è finalista al Premio Ubu 2004 come migliore drammaturgia e riceve la targa della Camera dei Deputati “per l’alto valore civile e per la straordinaria interpretazione”. Nel 2006 dirige insieme a Rossella Battisti la collana Teatro Incivile pubblicata dal quotidiano l’Unità, offrendo una panoramica sui migliori esponenti del nuovo teatro italiano (Ascanio Celestini con Fabbrica, Mario Perrotta con Italiani cìncali, Emma Dante con ‘mPalermu, Davide Enia con Maggio ‘43, Giuliana Musso con Nati in casa e Armando Punzo con I Pescecani). Sempre dal successo di Cìncali nel dicembre 2006 debutta su Rai Radio 2 con Emigranti Esprèss un programma in 15 puntate scritto e interpretato da Perrotta, in cui racconta 15 nuove storie di emigrazione. La trasmissione vince nell’ottobre 2007 il Jury Special Award alla TRT International Radio Competition di Istanbul (ex equo con la BBC). Nel 2007 debutta con Odissea, affiancato dai musicisti Mario Arcari e Maurizio Pellizzari. Per questo spettacolo Perrotta è finalista come Miglior attore al Premio Ubu 2008 e riceve il Premio Hystrio alla Drammaturgia 2009. Il 20 marzo 2008 pubblica il suo primo romanzo Emigranti Esprèss edito da Fandango Libri, mentre il 13 settembre 2008 riceve il Premio Città del Diario, assegnato nelle altre edizioni a Marco Paolini, Ascanio Celestini, Rita Borsellino, Francesco De Gregori e Nanni Moretti tra gli altri. Il premio ideato dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (AR) è assegnato a personalità della cultura che abbiano centrato il loro percorso sulla valorizzazione della memoria. Ad ottobre 2009 pubblica il suo secondo romanzo Il Paese dei diari edito da Terre di mezzo Editore. Si tratta, appunto, del racconto di quel luogo straordinario che è l’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano. Il libro diventa spettacolo il 24 marzo 2011, coprodotto dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale e dal Biografilm festival. Nell’estate del 2009 avvia un nuovo progetto triennale – Trilogia sull’individuo sociale – incentrato sulla rilettura di tre classici: Il Misantropo di Molière, I Cavalieri di Aristofane e Bouvard et Pécuchet di Flaubert. Con questo progetto triennale Perrotta vince il Premio Speciale Ubu 2011 per aver “colto la disgregazione dell’uomo nel mondo contemporaneo”. Intanto i suoi spettacoli precedenti debuttano in lingua francese in Belgio e in Francia e 10 nuovi monologhi Tv scritti per Rai 3 vanno in onda durante l’anno 2012: si tratta della serie Paradossi Italiani, storie di ordinaria resistenza civile in un paese incivile. Nello stesso anno debutta con il suo primo progetto lirico Opera migrante al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. Nel 2013 avvia il suo progetto triennale: Progetto Ligabue – arte, marginalità e follia incentrato sulla figura del pittore Antonio Ligabue e concluso di recente con un evento che ha coinvolto sulle rive del Po oltre 200 persone tra artisti e tecnici. Con la prima parte della trilogia, Un bès – Antonio Ligabue, vince il Premio Ubu come Miglior attore nel 2013 e il Premio Hystrio Twister 2014 come Miglior spettacolo dell’anno a giudizio del pubblico. Il Progetto Ligabue riceve inoltre il Premio della Critica 2015 dell’Associazione Nazionale Critici 2 di Teatro e il Premio Ubu 2015 come Miglior progetto artistico e organizzativo. Gli ultimi testi del Progetto Ligabue sono tradotti e messi in scena all’estero in diverse lingue e in contesti importanti tra i quali il Festival d’Avignone 2015. Nel 2015 debutta il dittico dedicato alla Grande Guerra costituito da Prima Guerra – quattordicidiciotto e Milite Ignoto – quindicidiciotto, progetto scelto da Radio3 per commemorare il centenario della Prima guerra mondiale e inserito tra gli eventi ufficiali per il centenario della Prima guerra mondiale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A settembre 2016 ha debuttato in Salento Lireta – a chi viene dal mare, la sua nuova produzione dedicata ai migranti, nell’ambito del più ampio progetto Versoterra. Nel triennio 2018-2020 è impegnato nel progetto In nome del padre, della madre, dei figli, dedicato alle figure chiave delle famiglie millennial, con la consulenza alla drammaturgia di Massimo Recalcati. I primi due capitoli In nome del padre e Della Madre sono presentati in prima nazionale al Piccolo Teatro di Milano rispettivamente a dicembre 2018 e gennaio 2020.
Ufficio stampa
Marzia Spanu
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Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
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Il Secolo XIX
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MusicforPeace Programma 29 maggio
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Genova Celebra Colombo
27 ago – Il Ligabue del Premio Ubu Mario Perrotta a Deiva Marina per Nuove Terre Nuove Terre - Le Arti della scena Giovedì 27 agosto ore 21.30 / Piazza Bollo – DEIVA MARINA  …
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pangeanews · 5 years ago
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“Dio solo basta”. Dalle macerie alla vita: dialogo con Alessandro Leone, il regista di “Storie di pietre”
“Dio solo basta”. I versi senza tempo di Santa Teresa D’Avila sono pazientemente intagliati sul legno, lettera dopo lettera, con un piccolo coltellino, da un frate, il monaco polacco Tadeusz, che vive da vent’anni a Preci, sulle morbide colline nell’eremitaggio di San Fiorenzo, in Umbria. È il 2017, nei dintorni di Norcia si consuma la quiete dopo il terremoto: siamo nel cuore del docufilm Storie di pietre, del regista e sceneggiatore Alessandro Leone che ha vinto con Massimo Donati il Nastro d’Argento Speciale per Fuoriscena, pellicola presentata al 31° Torino Film Festival e vincitrice di numerosi altri riconoscimenti in Italia e all’estero. Storie di pietre è stato presentato da poco in anteprima internazionale al 67° Trento Film Festival, dove si è aggiudicato il Premio RAI come miglior documentario di attualità, è stato inserito nella selezione ufficiale del Torino Cinemambiente e scelto, tra gli otto documentari italiani, nella selezione ufficiale del Cardiff Italian Film Festival.
*
Immerso nel silenzio secolare della solitudine, a mille metri di altitudine, il monaco polacco è intento a riparare le lievi crepe della chiesa che si aprono dopo ogni scossa di terremoto. Il film è la storia, le storie nate dopo il violento terremoto delle 7 e 40 di quel tragico 30 ottobre 2016; ma al fragore del sisma, il regista preferisce il silenzio, ai dialoghi, la potenza delle immagini, in una fotografia che resta a lungo negli occhi. Siamo nella piccola, familiare, comunità della frazione di Frascaro di Norcia, che lotta per strappare alle macerie parti preziose della tela che valorizzava la loro antica chiesa romanica, San Salvatore in Campi. Una chiesa che è ridotta a un cumulo di macerie e a uno scheletro di lamiera con il tetto a capanna. Si sente il frinire delle cicale, gli uccellini che cantano, nella morbida campagna che ricorda una preghiera francescana, dove persino le nuvole sembrano macerie di un terremoto, ridotte a brandelli. Le ruspe si fermano e si scava a mani nude. Quella del restauro è un’arte tutta femminile, con delicatezza le restauratrici accarezzano pietre che parlano ferite. Si estrae, nel rumore delle pietre, un candelabro, gli affreschi sono tenuti insieme da bende, sottili come la pelle.
*
Il film è “immersivo”. Sulla dolorosa ricostruzione, piove come se persino il cielo lacrimasse, dal dolore. Nonostante il nero di nubi, come gabbiani, si vedono volare uomini in parapendio. Con la leggerezza di chi non ha ormai più nulla da perdere, nessun peso da portare. E solo Dio basta. Solo Dio basta anche nei moduli abitativi, dove la vita va avanti grazie a un piatto di spaghetti, al movimento ciclico delle lavatrici, si stendono i panni. Dei ragazzi giocano con il telefonino. Le parole si smorzano definitivamente quando si guardano le foto della chiesa, del paese di Frascaro, prima delle scosse di terremoto, come un mutilato rivede le foto di quel suo arto fantasma. Solo la natura e il suo respiro rimangono immutati mentre il film “fotografa” i volti dei bambini che erano un tempo quei vecchi di oggi. Lo sguardo del ragazzo di Frascaro ormai non è più triste. È rassegnato. “Qualcosa può essere ancora trovato”. Tra le vie del paese, i ragazzini, con una pietra nel pugno, bussano sui muri del paese ancora rimasti in piedi. Il rumore che fanno, il rumore di fondo, accompagna il film, è la storia atavica, primitiva, delle pietre. L’occhio del regista indugia sul volto di Cristo in croce, mutilato, sembra ancor più sofferente. Un bambino, intanto, diventa grande. Un passero ferito a morte, caduto dal nido, viene sepolto nella terra, con una croce di legno stilizzata. I richiami al Vangelo sono così numerosi che non vale contarli. Gli occhi guardano le macerie e si pensa a quello che abbiamo perso, a quello che era stato e che non tornerà più. A chi eravamo stati. E il garage diventa una camera da letto.
*
Le immagini del restauro sono le più poetiche del film. La deposizione della Croce è un omaggio al Mantegna. Il Deposito di Santo Chiodo a Spoleto racchiude un tesoro ridotto a puzzle, a tessere di un mosaico che forse mai troveranno mai pace. Il chiodo infilato nei piedi di Dio, una vivida crudeltà. Il corpo di Cristo viene avvolto in un sudario e poi nella plastica. Gli uomini di Frascaro sollevano il cartello con il nome del paese, perché, si sa, se alle cose diamo un nome, esistono. Un agnellino, ancora sporco di sangue e di placenta, tenta faticosamente di sollevarsi e di avvicinarsi alla sua mamma. Impossibile non pensare al sacrificio. I rimandi al Vangelo sono ovunque. Scavando a mani nude nella montagna di macerie, si trova la mano piccola di una piccola statua. Ed è tutto nel tentativo di fare la processione tradizionale del paese il sacrificio narrato da questo film sulla ricostruzione di ciò che è andato distrutto, che prima di tutto è una ricostruzione spirituale, una rinascita. Delle macerie che sono anzitutto dentro di noi, dopo un terremoto, dopo il lutto di perdere tutto, e tutto ciò che eravamo. E il tentativo poetico, struggente, di ritrovarsi, insieme, nel dolore. E nella sua cura.
*
Una fotografia dal film “Storie di pietre” (2019) di Alessandro Leone
Dopo il racconto corale di Fuoriscena – scritto e diretto con Massimo Donati – frutto di un anno di riprese nell’Accademia Teatro alla Scala, scuola d’eccellenza fra le più prestigiose a livello internazionale, sei tornato tra le pieghe dell’intimità di una vicenda corale e personale insieme, nel risvolto di una storia che diventa personale e dolorosa, con un messaggio alto, coraggioso. Di rinascita, ricostruzione, dopo la distruzione.
“È un film immersivo e che chiede immersione al pubblico. Questo genere di documentari di osservazione si generano lentamente, sui ritmi di ciò che raccontano. Guarda, Linda, penso che la realtà abbia una componente drammaturgica elevata: si tratta solo di farla emergere. I primi 13 minuti sono forse i più ostici, li ho girati sapendo di dover far conto solo su suoni e rumori, tutto il resto è un’immagine del mondo contadino che sta scomparendo. Volevo iniziare con una premessa che osserva i luoghi della distruzione. Poi il film inizia di nuovo con un briefing e i diversi frammenti di vita. Con l’approccio del documentario di osservazione, rinunciando a interviste e voci narranti, il film è un’immersione progressiva in un tessuto antropologico ferito per comprendere la relazione tra le persone e il territorio; il valore del sacro di fronte alla perdita dei luoghi di culto; la volontà di preservare tradizioni secolari e radici che affondano nel rapporto tra vita contadina e patrimonio artistico; la percezione del presente e la possibilità del futuro nonostante la minaccia incombente. Dagli anziani ai bambini, i protagonisti di Storie di pietre sembrano saldamente legati a questa terra magnifica e disgraziata”.
Che cosa hai voluto ritrarre?
“Il film intreccia luoghi e storie connesse dal sisma: la piccola comunità della frazione di Frascaro di Norcia, per niente rassegnata a perdere parti di una preziosa tela che valorizzava la loro antica chiesa; i restauratori volontari di Chief attivi a San Salvatore in Campi, perla del romanico di cui rimangono poche mura perimetrali; infine due luoghi silenziosi: il Deposito di Santo Chiodo a Spoleto, dove un team di restauratrici mette in sicurezza ciò che arriva da San Salvatore, Frascaro e da altri siti in macerie; l’eremo di San Fiorenzo, dove a mille metri, un eremita polacco, da più vent’anni, ripara la struttura dopo ogni scossa. Un lavoro solitario che ha reso robusta la pietra che abita con Dio. Il racconto procede per frammenti raccolti nello spazio filmico come tessere di un mosaico, in maniera simile al lavoro dei restauratori che tentano di ricostruire i magnifici affreschi della chiesa distrutta di San Salvatore. Gli stessi frammenti di racconto sono intervallati da “spazi neri” in cui le immagini mancano, lasciando solo i suoni. Non sono neri usati come punteggiatura, ma neri che marcano un’assenza, che definiscono per analogia la frammentazione di un tessuto sociale che improvvisamente si trova orfano di pezzi di vita quotidiana. Se gli interni claustrofobici del container contrastano con gli esterni luminosi, i suoni e i rumori di pietre, il vento, gli animali, fanno da collante tra uomini, paesaggi, icone sfregiate, e si fanno carico di significati anche dove le immagini non ci sono più”.
Sei ritornato sui luoghi del terremoto a distanza di tempo dalle riprese?
“Sì, ci sono tornato e ci torno ancora, perché sono nati legami forti con gli abitanti di Frascaro, con Tadeusz, con i luoghi, c’è dunque familiarità. Un film come Storie di pietre non si risolve in qualche settimana di riprese, è invece un percorso di conoscenza che chiede tempo. Quella delle zone colpite dal sisma è una realtà dolorosa e per questo ogni documentazione deve essere rispettosa del contesto, della vita delle persone che lo abitano. I mesi trascorsi a Frascaro hanno cementato un’amicizia che perdurerà, ne sono certo. La condivisione di storie personali e collettive è una cosa seria, è un atto di fiducia. Il film è ciò che emerge in superficie di questo legame”.
Come procede la ricostruzione?
“È da agosto che manco da Norcia, ma ciò che ho visto la scorsa estate e ciò che mi raccontano gli amici di Frascaro è uno stallo. San Salvatore in Campi è stata messa in sicurezza, dopo che i volontari di Chief Onlus avevano recuperato e catalogato ciò che rimaneva del patrimonio artistico sepolto. A San Benedetto sono iniziati timidamente dei lavori. Anche a Castelluccio. Sono state aperte delle strade. Per il resto, le frazioni attendono ancora interventi. Le casette alloggio che hanno svuotato i container non possono essere la soluzione. Mancano luoghi di aggregazione intorno ai quali ricostruire il tessuto sociale. Questo è il problema più grosso. Non basta una sistemazione temporanea, bisogna riattivare le comunità, permettere loro di riappropriarsi dei vessilli identitari che custodiscono la storia territoriale, come le opere d’arte, le effigi, anche solo ciò che rimane dopo i crolli. È per questo che nel film vediamo con quanta tenacia a Frascaro si sia scavato a mani nude per recuperare frammenti di una tela o di sculture lignee”.
Quali i tuoi prossimi progetti in cantiere?
“Sono in fase di scrittura. Su due progetti in verità. Uno ancora embrionale e che si propone di raccontare un quartiere di Mumbai (una realtà che frequento da quindici anni), l’altro è più definito ma siamo alla ricerca di fondi per lo sviluppo. Infine sto lavorando su un testo che racconta il cinema attraverso gli occhi dei bambini. Spero di poterlo pubblicare nel 2021”.
Linda Terziroli
*Alessandro Leone si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Brera. Regista, sceneggiatore e critico, ha pubblicato diversi saggi sul cinema, tra cui Il girone del cinema di poesia, (in Pasolini – Un’idea in azione, AA.VV., ed. Abrigliasciolta, 2010), Corpo da ring – La boxe immaginata dal cinema (ed. Falsopiano, 2014), Viaggi in Italia (in Essere Vincent Price, AA.VV., ed. Falsopiano, 2014). Nel 2013, con Massimo Donati, scrive e dirige Fuoriscena (Opening Act, 2013); presentato al 31° Torino Film Festival, il documentario ottiene il Nastro d’Argento speciale 2014 e numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. Nel 2010 scrive il documentario diretto da Daniele Azzola, La via del ring, Guirlande d’Honneur al 28th International Sport Movies & Tv di Milano. Nel 2009 è co-autore della serie di dieci documentari per Yamm 112003 – Gruppo Endemol, Portraits – Ragazzi venuti da lontano. L’anno prima co-sceneggia il film diretto da Federico Rizzo Fuga dal call center, Agave di Cristallo alla sceneggiatura per i migliori dialoghi e premiato come Miglior film al Clorofilla Film Festival nel 2011. Del 2005 è la sua prima regia, il cortometraggio La fune, premiatissimo in diversi festival italiani ed esteri. Storie di pietre è il suo secondo lungometraggio da regista. Il documentario è stato presentato in anteprima assoluta al 67° Trento Film Festival, dove si è aggiudicato il Premio RAI Trento come miglior documentario di attualità.
Storie di Pietre Scritto e diretto da Alessandro Leone. Musiche originali di Rolando Marchesini. Prodotto da Ester Produzioni e Start, Distribuito da Start, Italia, 2019. Durata 74’
L'articolo “Dio solo basta”. Dalle macerie alla vita: dialogo con Alessandro Leone, il regista di “Storie di pietre” proviene da Pangea.
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anestiefel · 5 years ago
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10 of the Best Spring Getaways on the East Coast
Miami
Lifeguard tower on the beach in Miami/Oyster
It might sound like a no-brainer, but Miami is queen when it comes to East Coast spring getaways. A spring break hub, the city has way more to see and do than just chugging tropical drinks on Ocean Drive (though, a night of that is always fun, too). These days, Miami’s grown-up side makes it an equally awesome spring getaway for families, couples, and singles who aren’t just fresh out of college. We love the slightly more refined hotel-and-pool scene along Collins Avenue north of Lincoln Road in South Beach. But you should also make time to head inland. Wynwood — a prime street-art destination where you can book tours — is Miami’s Brooklyn and is flush with cafes and galleries. Looking for a little bit of culture? Little Havana is the beating heart of Miami’s Cuban community and is definitely worth a visit.
Our Miami Hotel Pick: The Setai Miami Beach
View of South Beach from The Setai Miami Beach/Oyster
Looking for a taste of the finer side of Miami? The Setai is definitely for you. This stunning beach resort features an amazing spa, fitness center, and free yoga on the beach, making this the kind of place where indulging doesn’t just mean amazing food and cocktails.
Pricing for The Setai, Miami Beach
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Savannah, Georgia
The dreamy Savannah Historic District/Oyster
With mild to warm weather, Spanish moss hanging everywhere, and tons of history, Savannah makes an awesome spring getaway. Timing your visit before summer hits means you’ll get to enjoy the city before it withers under Georgia’s heat and humidity. You won’t be alone, though — spring marks one of Savannah’s peak seasons. Why is that? The flowers blooming across the city give it an even more magical atmosphere and there’s a lot to do. Savannah’s cultural calendar comes to life in the spring, with events that include the Savannah Music Festival plus numerous music and dance performances. Feel like partying? Savannah’s St. Patrick’s Day Parade is legendary as well.
Our Savannah Hotel Pick: Mansion on Forsyth Park, Autograph Collection
The iconic red-brick facade of the Mansino on Forsyth Park in Savannah, Georgia/Oyster
It’s not right in the middle of the city’s tourist scene but that’s the point. That location helps make the Mansion on Forsyth Park is arguably one of the coolest hotels in town. Expect an amazing art collection, a great cooking school, and a well-liked restaurant all on-site.
Pricing for Mansion on Forsyth Park, Autograph Collection
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Charleston, South Carolina
The beach outside of Charleston, South Carolina/Oyster
A bit farther up the East Coast than Savannah, Charleston is equally as packed with tradition and history, all wrapped in an impossibly pretty package that’s been charming visitors for a long time. And like much of the southern U.S., mid to late spring can be beach season here. While the water will be chilly, daytime temperatures often merit showing a little skin and soaking up the sun. That weather also makes strolling the charming Charleston Historic District all the more pleasant. You’ll find the Magnolia Plantation and Gardens blooming, as well as many of the city’s historic private gardens. The late spring also brings the Piccolo Spoleto art festival, which takes place over the course of a few weeks starting in late May.
Our Charleston Hotel Pick: Market Pavilion Hotel
A suite at the Market Pavilion Hotel in Charleston, South Carolina/Oyster
If you’re hoping to be right in the heart of the Charleston Historic District, it’s hard to top the Market Pavilion Hotel’s location — as the name suggests — near City Market. The hotel itself is rich with history and has preserved its Old World style through and through.
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Asheville and the Blue Ridge Mountains, North Carolina
The Biltmore Estate outside of Asheville, North Carolina/Oyster
Springtime in Asheville and the nearby Blue Ridge Mountains is all about the outdoors. While the countryside here is most celebrated during the fall, you shouldn’t skip the spring months. Wildflowers are in abundance at this time of year, and the milder weather only adds to the magic. There are too many hikes to count in this region (check out Hickory Nut Gorge for starters), and the bright flowers of the wild rhododendron are everywhere during the later months of the season. Elsewhere, the gardens of the Biltmore Estate will be in early bloom as will the North Carolina Arboretum. Asheville itself is a great place to spend your day before and after you explore the great outdoors. Expect plenty of microbreweries, cafes, and excellent restaurants.
Our Asheville Hotel Pick: Grand Bohemian Hotel Asheville, Autograph Collection
The Deluxe King Room at the Grand Bohemian Asheville/Oyster
Only a five-minute drive from downtown Asheville and right in the Biltmore Village, this charming hotel has its own atmosphere that’s worth a stay. Expect perks like live music, a spa, and an art gallery, as well as a prime location near the Biltmore Estate and plenty of trailheads.
Pricing for Grand Bohemian Hotel Asheville, Autograph Collection
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Berkshires, Massachusetts
Quaint scenes like this are all over the Berkshires/Oyster
This laid-back mountain region is wonderful to explore in the spring — you’ll just need to be prepared for an array of weather. If you head to the Berkshires in March, slopes like Ski Butternut and the Catamount Mountain Resort will be open, as snow is can be in abundance due to chilly temperatures. But if you visit later in the season, consider hiking parts of the Appalachian trail, fly fishing, or bird watching. If the outdoors isn’t quite your thing, the region has great spas, yoga studios, and an amazing art museum — Mass MoCA, which is in North Adams. Towns like Stockbridge and Lenox both have enough to keep visitors busy, from antiquing to cafe-hopping.
Where to Stay: The Red Lion Inn
The Red Lion Inn in Stockbridge, Massachusetts/Oyster
This inn is a classic Berkshires hot spot, and it has everything you’d need to find peace and adventure. With incredible food, a pool, and fun bars on site, you don’t even need to hit the trails to have fun.
Pricing for The Red Lion Inn
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Newport, Rhode Island
The coast and harbor of Newport, Rhode Island/Oyster
Newport, Rhode Island, is a quaint town with plenty of nautical fun. But what makes it so special are the small businesses and artistic culture that’s celebrated year-round. The seaside municipality is also well known for its historical preservation. In the spring, visitors can stroll through town and marvel at the opulent mansions that have made Newport famous, or explore Fort Adams State Park and its 19th-century fort. It might not be beach weather yet, but visitors can still enjoy the stunning Cliff Walk along the coast.
Where to Stay: Jail House Inn
The Jail House Inn in Newport, Rhode Island/Oyster
Just like its name suggests, this quaint Rhode Island inn used to be a jailhouse. But you’d never be able to tell. It’s within walking distance from the heart of the town and there’s a free breakfast in the morning.
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Washington D.C.
The White House lit up at night in Washington, D.C.
Around the world, spring heralds cherry blossom season. And while Japan is the most famous destination for taking in this stunning scene, the U.S. capital puts on a pretty amazing show when it comes to cherry blossoms. The tradition dates back to the early 20th century, when Tokyo gifted Washington D.C. with its first cherry trees. The official festivities generally take place in early April, and include the National Cherry Blossom Festival. Blooms can start in late March, though, so check ahead if you’re bent on visiting during peak bloom.
Our Washington, D.C. Hotel Pick: Mandarin Oriental, Washington D.C.
The Mandarin Suite at the Mandarin Oriental, Washington D.C./Oyster
The Mandarin Oriental chain is easily one of our favorite luxury hotel brands, and what better way to spend your cherry blossom weekend in D.C. than living it up in style. You’ll find everything from an excellent spa and fine dining to a great indoor pool. It’s only a 15-minute walk from the National Mall and sits along the beautiful Tidal Basin.
Pricing for Mandarin Oriental, Washington DC
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Hilton Head Island, Georgia
Kayaking the lagoon near Hilton Head, Georgia/Oyster
Off the coast of Savannah, Georgia, Hilton Head Island might be small, but it has many attractions. Year after year it’s been voted one of the best places in the country for families to vacation together, as it has a lot to offer for people of all ages. Expect gorgeous beaches, sprawling golf courses, and lots of adorable ice cream parlors in town. Note that average high temperature in March is the upper 60s, but by May it’s the low 80s, which is certainly beach weather.
Our Hilton Head Hotel Pick: Omni Hilton Head Oceanfront Resort
The Studio at Omni Hilton Head Oceanfront Resort/Oyster
Bright and contemporary, this beachfront resort is a solid pick if you’re visiting in the later spring months, when temperatures are high and the ocean is calling. You can expect balconies in all rooms as well as kitchenettes.
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Catskills, New York
Street scene and antique shops in Phoenicia, New York/Oyster
The Catskills region in upstate New York is quickly becoming a rival to the Hudson Valley when it comes to cute towns and great atmosphere. Enjoy gorgeous hiking trails if it’s warm (May average highs are in the 60s) and epic ski trails if the cold is still hanging around (March average highs are in the 40s). Towns like Woodstock and New Paltz make for great daytime walkabouts — and have their own cool cafe-and-bar scene. Of course, antiquing is high on the list if you’re exploring the Catskills, and the region has it’s own must-visit local institutions, including the famous Phoenicia Diner. Even without foliage, Catskills hikes are stunning and come with amazing views. Check out Gertrude’s Nose in the Minnewaska State Preserve or the Fire Tower Hike in Woodstock (Overlook Mountain) if you’re after amazing scenery.
Where to Stay: The Roxbury
The Roxbury hotel is an attraction all on its own. It has a luxurious spa, and the decor is unlike anything else in the area. Each room embodies a different theme, ranging from The Noir Boudoir to the Angel Hair Room (dedicated to Farrah Fawcett) to The Archaeologist’s Digs.
Pricing for The Roxbury, Contemporary Catskill Lodging
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Manchester, Vermont
Early spring snow is common in Manchester, Vermont/Oyster
Manchester is a popular getaway in southern Vermont, tucked up high in the Green Mountains. Spring temperatures come late here, so this is a great destination for travelers looking to hit the slopes or explore the charming towns of Vermont when there’s still a chill in the air (apple cider, anyone?). The town of Manchester itself has great cafes, bars, and outlet shopping, while the mountains offer endless possibilities. March into April is still a great time to ski, and both Bromley Mountain and Stratton — one of the largest ski resorts in the northeast — are 15 and 45 minutes away by car, respectively.
Where to Stay: The Equinox
The beautiful The Equinox hotel in Manchester, Vermont/Oyster
The Equinox Golf Resort & Spa is a gigantic historic property with beautiful rooms and features including an indoor pool and spa. It’s perfect for families or individuals looking to pamper themselves or have a rustic adventure.
Pricing for The Equinox, A Luxury Collection Golf Resort & Spa, Vermont
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tmnotizie · 5 years ago
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SAN BENEDETTO – Per il ciclo “Incontri con l’Autore ed. Autunno” Monica Guerritore domani pomeriggio alle ore 17 presenterà il libro “Quel che so di lei” nella Sala Consiliare di viale De Gasperi. Evento organizzato da I Luoghi della Scrittura a cura di Mimmo Minuto con il patrocinio ed il sostegno dell’Amministrazione Comunale e della Regione Marche. Conversa con l’attrice, Giovanna Frastalli.
Monica Guerritore, grande personalità del teatro italiano, esordisce nel ’74, a soli 16 anni, con la regia di Giorgio Strehler ne Il giardino dei ciliegi e costruisce la sua carriera interpretando, al cinema e in teatro, personaggi femminili intensi e complessi, dalla Lupa, a Lady Macbeth, la Signorina Giulia, Madame Bovary, Carmen. Autrice e drammaturga, scrive e interpreta tra gli altri Giovanna d’Arco (oltre 300 rappresentazioni a New York e Londra) e Mi chiedete di parlare, lo spettacolo su Oriana Fallaci che, presentato al Festival di Spoleto 2011, ottiene un grande successo e segna il suo ritorno al Piccolo Teatro di Milano dopo molti anni di assenza.
Nel 2017 Woody Allen le consente di rielaborare drammaturgicamente la sceneggiatura di Mariti e mogli per farne un testo teatrale. Il suo lavoro più recente, come regista e interprete, è L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht, omaggio all’edizione dell’81 del suo Maestro Strehler. Sposata con Roberto Zaccaria, ha avuto due figlie da Gabriele Lavia, Maria e Lucia. Testimonial della Fondazione Veronesi e del FAI, ha avuto e vinto un tumore al seno nel 2006. Per Mondadori ha pubblicato l’autobiografia La forza del cuore (2006).
Giulia Trigona, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, viene trovata morta il 2 marzo 1911 in un albergaccio vicino alla stazione Termini. È stata uccisa dal suo amante, al quale aveva concesso un ultimo appuntamento. Un femminicidio feroce, uno schema che ancora oggi si ripete: le donne abbassano le difese, non guardano con i mille occhi dei lupi, credono nell’amore come lo vedono gli occhi dei bambini e tentano la via nuova con lo stesso sguardo e lo stesso cuore di ieri. Ma vengono annientate da uomini che ne spezzano il volo.
Cosa cercava, Giulia, in quella squallida stanzetta? Monica Guerritore le si è messa accanto e, nel tempo dilatato di quel pomeriggio di marzo che conduce Giulia alla stanza dove troverà la morte, rivive i momenti fatali che l’hanno portata fin lì. A guidarla in questo viaggio saranno apparizioni, figure della mente come Emma Bovary, la Lupa, Oriana Fallaci, Carmen, la Signorina Giulia. In ognuna di loro vive un racconto immutabile, specchio o eco di un percorso femminile di solitudine, desiderio e perdizione, tanto reale che quando lo riconosciamo il nostro cuore ha un sussulto.
Sono otto grandi personaggi femminili che l’autrice ha interpretato nella sua carriera. Le loro storie tessono un filo rosso di sangue e passione. Prenderne consapevolezza può permetterci di lasciare andare le nostre compagne di ieri per specchiarci, nuove, in un racconto del femminile ancora tutto da scrivere. Magari abbandonando il pianto per ballare al ritmo di una ritrovata, leggera dolcezza.
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