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#partito socialista italiano
salottoitalia · 7 months
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Promo - 𝓗𝓪𝓶𝓶𝓪𝓶𝓮𝓽
Se vi state chiedendo se con questo nuovo clima politico verremo censurati o oscurati, non temete: abbiamo spostato in nostri studi televisivi ad 𝓗𝓪𝓶𝓶𝓪𝓶𝓮𝓽, da lì trasmetteremo verso l'Italia, sulle orme di Telecapodistria e Telemontecarlo.
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milanodabere · 1 year
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43° Congresso del Partito Socialista Italiano (PSI)
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libriaco · 4 months
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Nel nome dei Padri
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Il Presidente De Nicola firma la Costituzione. Alla sinistra dell'immagine: De Gasperi, alla destra: Terracini.
Qui sotto l'elenco dei membri della Commissione per la Costituzione (o Commissione dei 75).
Gruppo democristiano (26 membri)
Gaspare Ambrosini
Giuseppe Maria Bettiol (sostituisce dal 10 aprile 1947 Giacinto Froggio, dimissionario, che il 6 febbraio 1947 aveva sostituito Ezio Vanoni, divenuto ministro)
Pietro Bulloni
Giuseppe Cappi
Giuseppe Caronia (sostituisce dal 22 febbraio 1947 Giuseppe Togni, divenuto sottosegretario di stato)
Giuseppe Codacci Pisanelli
Camillo Corsanego
Luigi De Michele
Francesco Dominedò
Giuseppe Dossetti
Maria Federici
Giacinto Froggio (sostituisce dal 2 luglio 1947 Umberto Tupini, divenuto ministro)
Giuseppe Fuschini
Angela Gotelli (sostituisce dal 6 febbraio 1947 Carmelo Caristia, dimissionario)
Giorgio La Pira
Giovanni Leone
Salvatore Mannironi
Giuseppe Micheli (sostituisce dal 22 febbraio 1947 Umberto Merlin, divenuto sottosegretario di stato)
Aldo Moro
Costantino Mortati
Attilio Piccioni
Giuseppe Rapelli
Ferdinando Storchi (sostituisce dal 2 luglio 1947 Amintore Fanfani, divenuto ministro)
Emilio Paolo Taviani
Egidio Tosato
Giovanni Uberti (sostituisce dal 24 luglio 1946 Giovanni Ponti, dimissionario)
Gruppo comunista (13 membri)
Giuseppe Di Vittorio (sostituisce dal 10 dicembre 1946 Mario Assennato, dimissionario, che il 24 settembre 1946 aveva sostituito lo stesso Di Vittorio, dimissionario)
Edoardo D'Onofrio (sostituisce dal 27 febbraio 1947 Umberto Terracini)
Antonio Giolitti (sostituisce dal 29 maggio 1947 Riccardo Ravagnan, dimissionario)
Ruggero Grieco (Vice Presidente)
Nilde Iotti
Vincenzo La Rocca
Renzo Laconi (sostituisce dal 19 settembre 1946 Fabrizio Maffi, dimissionario)
Concetto Marchesi
Guido Molinelli (sostituisce dal 30 maggio 1947 Carlo Farini, dimissionario, che il 19 settembre aveva sostituito Giorgio Amendola, dimissionario)
Umberto Nobile
Teresa Noce
Antonio Pesenti (sostituisce dal 10 dicembre 1946 Bruno Corbi, dimissionario, che il 24 settembre 1946 aveva sostituito lo stesso Pesenti, dimissionario)
Palmiro Togliatti
Partito Socialista Italiano (7 membri)
Leonetto Amadei (sostituisce dal 10 dicembre 1946 Giovanni Lombardi, deceduto, che il 25 luglio 1946 aveva sostituito Alessandro Pertini, dimissionario)
Lelio Basso
Michele Giua
Ivan Matteo Lombardo
Pietro Mancini
Angelina Merlin
Ferdinando Targetti
Partito Socialista Lavoratori Italiani (6 membri)
Alessandro Bocconi
Emilio Canevari
Eduardo Di Giovanni (sostituisce dall'11 settembre 1946 Alberto Simonini, dimissionario)
Gustavo Ghidini (Vice Presidente)
Edgardo Lami Starnuti
Paolo Rossi
Gruppo Repubblicano (4 membri)
Giovanni Conti
Francesco De Vita (decaduto perché sottosegretario dal 22 dicembre 1947)
Tomaso Perassi (Segretario)
Oliviero Zuccarini
Unione Democratica Nazionale (4 membri)
Aldo Bozzi
Giuseppe Paratore
Giovanni Porzio
Vito Reale (sostituisce dal 16 giugno 1947 Giuseppe Grassi, divenuto ministro)
Gruppo Autonomista (3 membri)
Giulio Bordon
Piero Calamandrei
Emilio Lussu
Fronte liberale democratico dell'Uomo Qualunque (3 membri)
Francesco Colitto
Francesco Marinaro (Segretario)
Ottavio Mastrojanni
Gruppo Liberale (3 membri)
Bartolomeo Cannizzo (sostituisce dal 14 dicembre 1946 Gennaro Patricolo, dimissionario, che il 24 luglio 1946 aveva sostituito Ottavia Penna Buscemi, dimissionaria)
Orazio Condorelli (sostituisce dal 17 ottobre 1947 Roberto Lucifero d'Aprigliano, dimissionario)
Guido Cortese (sostituisce dal 27 giugno 1947 Luigi Einaudi, divenuto ministro)
Gruppo Misto (3 membri)
Gustavo Fabbri
Andrea Finocchiaro Aprile
Meuccio Ruini (Presidente)
Democrazia del Lavoro (2 membri)
Mario Cevolotto
Enrico Molé
Unione Nazionale (1 membro)
Pietro Castiglia
Fonte: Wikipedia.
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alter-petrus · 3 months
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Dal dopoguerra in poi l'Italia non vince un trofeo se il Partito Socialista Italiano e i suoi eredi ufficiali non fanno parte della coalizione di governo (non che con il PSI al governo si vinca sempre, ma senza non accade mai).
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communistkenobi · 1 year
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The Italian government was ill-equipped to meet this [fascist] challenge. Indeed, an effective government had hardly existed since February 1922. We noted in the last chapter how postwar dreams of profound change brought a large left-wing majority into the Italian parliament in the first postwar election, on November 16, 1919. But this Left majority, fatally divided into two irreconcilable parts, could not govern. The Marxist Partito Socialista Italiano (PSI) held about a third of the seats. Many of the Italian socialists - the "maximalists" - were hypnotized by Bolshevik success in Russia, and felt that mere reform was a betrayal of this moment of opportunity. Another third of the Italian chamber was held by a new Catholic party, parent of the powerful post-1945 Christian Democrats, the Partito Popolare Italiano (PPI), some of whose members wanted radical social reform within a Catholic context. Catholics, even those favoring profound changes in Italian land tenure and class relations, disagreed passionately with the atheistic Marxists over religion in the schools. No alliance was possible, therefore, between the two halves of what might otherwise have comprised a progressive majority. In the absence of other workable alternatives, a heterogeneous coalition of liberals (in that period's sense of the word) and conservatives struggled after 1919 to govern without a solid majority.
god catholics really are the worst people. throwing all my left wing political goals out the window because the marxist sjws won’t let me teach my disgusting religion in schools
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rideretremando · 1 year
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LA RIVOLUZIONE PASSIVA CHE CI HA RESI TUTTI BERLUSCONIANI
Domani, 12 giugno 2023
Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi annuncia al pubblico la decisione di “scendere in campo”. Pochi in Italia credono nel suo destino politico, molti sono certi che si tratti di un fuoco fatuo. In un paese nato e cresciuto con partiti strutturati, sembra inconcepibile che un avventuriero, che ha messo in piedi un partito come fosse una catena di distribuzione alimentare, possa avere una qualche speranza di arrivare a palazzo Chigi. E si sbagliano.
Un errore che rivela quanto poca attenzione venisse prestata allora al peso del pubblico generalista da parte di chi si occupava di politica.
L’inventore della “tivù spazzatura”, com’era detta senza tanti giri di parole la televisione commerciale, aveva già fatto breccia nella mentalità degli italiani e delle italiane quando lui scese in campo. Proprio come la “Milano da bere”, che era già emblema di una società libera da “lacci e lacciuoli”, spregiudicata ed edonistica.
Homo novus in politica, Berlusconi non era un self-made man come recitavano i depliant di Forza Italia che trovavamo nelle buche delle lettere. Era parte dell’establishment della Prima repubblica, non solo perché amico personale di Bettino Craxi. Aveva ricevuto tanti favori dai politici prima che il pool di Mani Pulite guidato da Antonio di Pietro li atterrasse.
Nel 1984 la Corte costituzionale si era pronunciata per l’incostituzionalità di quello che passò alla storia come “decreto Berlusconi” che permetteva alle emittenti locali di trasmettere su tutto il territorio nazionale. Nel 1990, la legge che porta il nome del socialista Oscar Mammì codificò e regolò nel nome del nobile principio del “pluralismo” quello che era a tutti gli effetti un duopolio.
Quattro anni dopo, il Partito socialista avrebbe chiuso i battenti insieme agli alleati del “pentapartito” guidato dalla Democrazia cristiana di Arnaldo Forlnai.
La prateria d’opinione lasciata libera dai partiti era enorme e già usa al potere televisivo, quello che Giovanni Sartori avrebbe poi battezzato videocrazia. La scesa in campo del tycoon milanese era tutto fuorché un fulmine a ciel sereno e sarebbe stata tutto fuorché un fuoco fatuo.
Ciononostante, il 28 marzo 1994, giorno della vittoria elettorale di Forza Italia, rappresenta uno spartiacque. Una di quelle date che segnano, si potrebbe dire con le parole di Montesquieu, «un impercettibile passaggio da una costituzione a un’altra» pur senza alcun cambio di costituzione, perché ha effetti profondi nella vita di una società, mettendo in moto aspirazioni e timori, lotte tra «chi difende la costituzione che declina e chi porta avanti quella che sta prevalendo».
E in quelle lotte, che mai si sono spente, si formarono un nuovo linguaggio politico e nuovi leader, e vennero sconquassate generazioni e culture politiche. Berlusconi fu il Perón italiano.
Conquistò l’opinione pubblica mettendo la famiglia sul palco, la sua vita privata (costruita per la vendita del prodotto elettorale) nei depliant. Creando le condizioni per una permanente attenzione scadalistica da parte dei media che anni dopo l’avrebbe travolto. Coniando slogan tanto dirompenti quanto all’apparenza avulsi dalla realtà.
Berlusconi entrò in politica con parole di fuoco contro la partitocrazia, alla quale egli doveva molto; e contro il comunismo, che era già tramontato prima ancora della Bolognina.
Ma quegli slogan non erano avulsi dalla realtà, se si considera che Berlusconi era esterno alla classe politica (e poteva quindi tuonare contro la partitocrazia) e che l’idea di una democrazia sociale e di una responsabilità dell’economia verso il bene pubblico era ancora parte della cultura politica diffusa, che egli da liberista qual era identificava col “comunismo”. Nel linguaggio gramsciano quella di Berlusconi fu una rivoluzione passiva.
Gli slogan di Forza Italia aggredivano quella che era una mentalità resiliente. Canovacci di una politica modellata sul Colosseo, che da allora le televisioni misero in scena ogni sera: un politica del “contro” che, scrisse Alessandro Pizzorno, aveva dismesso il giudizio politico per quello estetico, morale e sentimentale, imponendo fatalmente di stare “con” o “contro”, senza mai ragionare sulle questioni sostanziali e sulle vie migliori per attuarle o respingerle. La politica della ragione pubblica era finita.
E per questo, Berlusconi determinò non solo l’identità politica sua ma anche quella dei suoi avversari, costringendoli a imitarlo per combatterlo. Perfezionò una diade identitaria di successo, usata dalla Lega di Umberto Bossi contro i meridionali e poi da Matteo Salvini contro i migranti, fino alla presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni. “Noi” contro “loro”, dove i “loro” di Berlusconi erano i giudici, le istituzioni e chi non stava dalla sua parte, quella della libertà contro lo statalismo.
Quello schema retorico populista non sarebbe più scomparso. Avrebbe allevato generazioni di leader di partito di lotta e di governo, a destra e a sinistra. Ha visto giusto Giuliano Ferrara che nel suo Il Royal Baby. Matteo Renzi e l’Italia che vorrà, scriveva che il «teatrino della Leopolda è l’equivalente digitale del cielo azzurro di Forza Italia». Stesso stile stessa politica stesso progetto.
Ferrara scriveva nel 2015, vent’anni dopo la svolta populista dell’allora capo di Fininvest. Il cui impatto restò persistente nonostante le parentesi dei governi tecnici che, da allora e a intervalli regolari, hanno messo in stand by il populismo consentendogli di rigenerarsi invece di indebolirlo.
Il 1994 fu difficile da digerire, soprattutto per quella generazione che, emersa dall’Italia fascista, pensava alla politica come a una sfera autonoma dai poteri tradizionalmente intolleranti dei limiti dello stato: quello religioso e quello economico.
La commistione tra gli affari di Berlusconi e i governi di Berlusconi non placarono mai le critiche, né del resto fu mai risolta, e preoccupò i due maggiori pensatori politici viventi, Norberto Bobbio e Giovanni Sartori. I quali faticarono a collocare Berlusconi nelle classiche categorie della politica.
Era un cesarista? Un despota? Un sultano? Un patrimonialista? O tutte queste cose insieme, indicative di una leadership che usciva dall’alveo dei partiti e di un uso del potere che mal tollerava limitazioni istituzionali, appellandosi direttamente alla “sovranità degli elettori”. Ai quali Berlusconi si rivolgeva dalle sue tivù e da quelle di stato, siglando con il pubblico contratti e accordi.
Nel 1994, Bobbio diede alle stampe l’Elogio della mitezza dove consegnava un’immagine di sé che è diventata iconica: l’intellettuale democratico è “uomo di dubbio e di dialogo”, un “mediatore” in consapevole ambivalenza tra il realista e l’idealista.
La mitezza, una qualità impolitica, era possibile solo se i diritti di libertà erano saldi. E così, Bobbio avrebbe speso gli ultimi dieci anni della sua vita (morì nel 2004) a lottare contro Berlusconi, proprio nel nome di quella mitezza che non aveva agio di godere perché avvertiva che l’Italia democratica era a rischio. Bobbio chiamò Forza Italia un “partito fantasma”, un “partito che non c’è” che violava la regola della trasparenza e della pubblicità: «Come vi si accede? Quali gli obblighi dell’iscritto?».
Giudicò i club di Forza Italia «comitati elettorali, cioè partiti alla vecchia maniera», e si chiedeva: «Ma composti da chi? Diretti da chi? Finanziati da chi? Una democrazia che si regge su una rete di gruppi semi-clandestini è davvero un’invenzione senza precedenti. Bella forza, Italia».
Gli faceva eco Sartori, meno militante ma non meno castigatore di Berlusconi. Sulle orme di Max Weber rispolverava la categoria del sultanato, una forma di dispotismo (e Contro i nuovi dispotismi era il titolo di una collezione di saggi bobbiani uscita nel 2004). Dispotismo e sultanato stavano a indicare l’anomalia della democrazia italiana, che sembrava non avere nei fatti un governo della legge. Il tempo avrebbe mostrato che non si trattava di una anomalia solo nostra.
anti-berlusconismo si consolidò in coincidenza con la proposta berlusconiana di riforma costituzionale. L’appello che lanciò Bobbio con Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso e Paolo Sylos Labini a votare contro la Casa delle libertà «per salvare lo stato di diritto», segnò una stagione politica nella quale la Costituzione divenne oggetto del contendere tra schieramenti politici, e che avrebbe segnato i successivi due decenni, con altri progetti di riforma, ultimo quello targato Renzi-Boschi. Da un berlusconismo a un altro, si potrebbe dire senza timore di essere faziosi.
Poiché, come nel caso di Perón, con Berlusconi venne inaugurata una nuova forma di politica. Berlusconismo è oggi una categoria politica e una ideologia, un modo di fare politica e di gestire l’immagine del leader politico. Designa anche una concezione del ruolo dello stato e delle istituzioni come meno distanti, nell’illusione che ciò convenga a tutti. Una specie di trickled-down della politica, con una vicinanza tra società e stato ottenuta direttamente dal leader.
Quando venne eletto Donald Trump, nel 2016, commentatori e giornalisti americani non ebbero difficoltà a incasellarlo come un esempio di berlusconismo, il patrimonialismo nell’età del capitalismo finanziario.
Nadia Urbinati (troppo buona)
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warsofasoiaf · 2 years
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How was it that the communist party never took control over Italy following WWII?
That primarily stems from the 1948 Italian elections, which were influenced by many factors.
The Partito Comunista Italiano (PCI) and the Partito Socialista Italiano (PSI) had melded together to form a singular party, the Fronte Democratico Popolare (FDP). This however, did not lead to the result that the PCI had wished. The PCI had effectively marginalized the PSI out of leadership role, which engendered hostility from moderate socialists, social democrats, and other non-communist voters. Several disenfranchised center-left politicians had established of the Unità Socialista (US) Party, which was an anti-communist social democrat party. Many center and center-left voters simply stayed home or switched their ballot to the US, resulting in a lackluster performance by the FDP.
The Democrazia Cristiana (DC) enjoyed extensive foreign electioneering support by the CIA, who underwrote a lot of DC's politicians' expenses, helping them produce record numbers of posters, pamphlets, and events. The western world had been alarmed with the Czechoslovak coup earlier in 1948, and had feared (probably correctly), that the Soviets would use a successful election by the PCI to set up a new puppet state. The most successful of these operations was a letter-writing campaign, where Italian-Americans were urged to write letters home encouraging their family members to stop the FDP at the ballot box. The success of this campaign encouraged many more CIA influence operations of a similar nature across the globe.
Domestically, the PCI also faced social opposition from the Catholic Church, who opposed communist anti-clericalism and so extensively preached against being a member of the communist party. Catholic church services were a key cornerstone of social activity in 1940's Italy, and being refused church services caused many members of the PCI significant distress (the Church would later issue a decree that would excommunicate Catholics for Communist beliefs in 1949). This amounted into a large social movement that consistently messaged anti-communism and pressured PCI members to switch to other left-wing parties or not volunteer for PCI activities.
The FDP also suffered from a very muddled campaign message, largely ignoring issues of foreign policy such as the Soviet vetoing of Italy's membership into the UN and what the change in alignment would result in regards to the loss of Marshall Plan funding and reconstruction from the west would mean for Italy, instead pursuing a campaign strategy of raising living standards with little concrete ideas of policy-making. The DC hammered the FDP on the coup in Czechoslovakia and that an FDP victory would see violence and suffering in Italy - which wasn't helped by the PCI's refusal to restrain more militant members from committing acts of terror in the Red Triangle.
All in all, this led to an incredibly disastrous performance by the FDP. DC expertly managed coalition building with their Centrismo strategy in the 1940's and 50's to prevent another large coalition opposing them. Later, DC would establish accords with the PSI under Fanfani and the Historic Compromise with the PCI under Moro. This consistently kept most socialist and communist political parties divided but operating within the democratic framework, which itself caused further division with other communist groups like the Brigate Rosse who were expressly anti-democratic; they would later murder Moro. Without significant local support, there was never enough clout within the country to launch a coup, and by 1949, Italy became a founding member of NATO. Launching a direct coup attempt against Italy would have meant World War III. So because of these conditions, communism never was able to take over in Italy.
Thanks for the question, Anon.
SomethingLikeALawyer, Hand of the King
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jgmail · 1 month
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El Estado de D'Annunzio: la experiencia de un anarquismo aristocrático fundado en bases republicanas  
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Por Alexander Bolshakov
Traducción de Juan Gabriel Caro Rivera
¿Es este un mundo de colores y fantasmas? Una dictadura sin poder
Los intelectuales europeos de principios del siglo XX soñaban con revivir las antiguas tradiciones heroicas de las repúblicas usando como base las instituciones políticas de la época actual. Muchos escritores, artistas y políticos opositores en Francia, Alemania, Italia y Rusia idealizaron el antiguo sistema político griego y romano siguiendo las ideas nietzscheanas. Por ejemplo, el simbolismo poético de Viacheslav Ivanov está impregnado del espíritu dionisiaco y el culto al superhombre. El mismo Ivanov percibía este culto no sólo de forma abstracta, sino también como una práctica política y un modelo que debía ser aplicado. El mito republicano fue en ese entonces y sigue siendo atractivo por la combinación de elementos que normalmente no se encuentran juntos en otras partes. Entre ellos podemos contar el ideal del valor aristocrático, el reconocimiento del valor supremo de una causa común y el sano anarquismo de un colectivo cohesionado que no necesita de una autoridad externa.
Después de la Primera Guerra Mundial se hizo posible hacer realidad estos sueños intelectuales en medio de la política europea. Había un vacío en la opinión pública: la izquierda aún no era lo suficientemente fuerte y las fuerzas reaccionarias, defensoras del Estado, habían salido debilitadas de la guerra. Ninguna de ellas pudo evitar la catástrofe y la culpa del estallido de la guerra recayó en la totalidad de la clase política. Pero los republicanos, que hasta entonces no habían tenido ni representación en el poder ni influencia en la prensa, podían utilizar fácilmente la retórica de la renovación política; tenían a su alcance una oportunidad histórica.
Gabriele d'Annunzio, escritor italiano de origen aristocrático, personificaba las aspiraciones filosóficas, poéticas y políticas de los intelectuales de derechas. Sus novelas, poemas y obras de teatro eran conocidos en toda Europa. En ellos ensalzaba el epicureísmo, el triunfo de la voluntad del yo y las perversiones eróticas. Hay que decir, en primer lugar, que las opiniones políticas de D'Annunzio no tenían nada que ver con el sentido común y que los ideales republicanos abstractos no se correspondían con los suyos. Era un aventurero que se dejaba llevar por las olas de la historia. Percibía al instante las nuevas ideas y se convertía en su encarnación. Pero, sin un programa político claro, D'Annunzio anhelaba el cambio, algo que se percibe en sus libros y discursos públicos donde pedía una reorganización del orden social. Su idée fixe era el renacimiento de la cultura de la antigua polis griega; D'Annunzio creía que recreando sus antiguos rituales sería posible restaurar las instituciones sociales que correspondientes, las cuales eran más justas que las de su época. ¡Incluso introdujo en el vocabulario de sus compañeros el grito de batalla de los guerreros griegos eja eja alalà! (algo así como el “¡hurra!” ruso). Veía en la emotividad espontánea y la pasión de la unidad colectiva la quintaesencia de la democracia ateniense.
El tono de la vida política de la Italia de finales del siglo XIX era marcado por dos partidos: la “Izquierda” liberal-progresista (Sinistra) y la “Derecha” conservadora (Destra). “Izquierda” y "Derecha" son nombres históricos de los partidos políticos que no se corresponden con la afiliación política de la “izquierda” o la “derecha” actuales. Las diferencias ideológicas entre ellas eran prácticamente nulas y juntas formaban una especie de frente mayoritario progubernamental. Además de estos partidos podíamos encontrar en el parlamento el “Partido de Extrema Izquierda” (Estrema Sinistra), de ideología radical socialista, el “Partido Republicano” (Partito Repubblicano Italiano), de ideología social-liberal, y el “Partido Socialista” (Partito Socialista Italiano). En las elecciones parlamentarias de 1897, los tres partidos liberales obtuvieron 451 de los 508 escaños y los dos partidos socialistas 57 escaños.
En 1897 D'Annunzio fue elegido diputado al Parlamento italiano como candidato conservador. Atrajo a los votantes prometiendo luchar por el cambio social en nombre del triunfo de los antiguos ideales y se declaró diputado de la belleza (deputato della bellezza). En sus discursos, apelando a la mayoría, D'Annunzio criticaba paradójicamente el derecho de esa mayoría democrática a determinar la política del país. Hablaba de la inadmisibilidad de construir un Estado sobre los principios de la igualdad electoral, pues creía que la clase privilegiada debía dirigir el desarrollo de la sociedad y que sólo dentro de las formas políticas creadas por la aristocracia es posible la libertad de acción de las masas. En 1900 el poeta cambia repentinamente su orientación política de conservadora a socialista. Justo en medio de una reunión del Parlamento abandona desafiantemente su posición en la mitad de la sala, donde se encontraba la facción conservadora, y se va al campo de los socialistas. Explicaba este acto por su deseo de unirse a la única fuerza social que representa la vida y la novedad, oponiéndose al esquematismo utilitario burgués del partido en el poder. D'Annunzio utiliza ahora la retórica de la extrema derecha, que no tenía intención de abandonar, para justificar ideas izquierdistas. Su posición política es una síntesis de esnobismo estético, nacionalismo sincero y retórica socialista superficial, pero emocionalmente intensa. D'Annunzio se siente atraído por el mito nacionalista, los objetivos de los socialistas no le inspiran, pero aprende de ellos el uso del populismo y el arte de la movilización de las masas. En 1900 D'Annunzio deja el Parlamento, pero no abandona la actividad política.
Con el estallido de la Primera Guerra Mundial el político encuentra por fin una salida a su sed de entrega heroica a una causa. Siendo un militarista acérrimo, D'Annunzio aboga por la entrada de Italia en la guerra del lado de la Entente. La guerra, desde su punto de vista, puede ser un instrumento de resurgimiento nacional, dándole a Italia una oportunidad histórica de convertirse en un imperio. En 1915, a la edad de 52 años, el poeta acude al frente como piloto militar voluntario, se convierte en uno de los mejores pilotos de combate del ejército italiano, toma el mando de una escuadrilla y pierde la vista de un ojo en combate. En 1918 D'Annunzio es ascendido al grado de mayor.
Durante el año siguiente al final de la guerra el malestar social en Italia fue en aumento, pero no encontró una salida políticamente significativa. Para ser más precisos, hubo muchos excesos, pero no se produjeron acontecimientos significativos y simbólicos que marcaran la futura historia de Europa. El entusiasmo del Risorgimento – que en el siglo XIX encontró una salida en el difícil trabajo político de reunificación de las tierras italianas, el cual no se agotó del todo – se fue combinando con una especie de ideología abstracta de expansión exterior muy común a principios del siglo XX. La situación cambió cuando, durante el acuerdo fronterizo de posguerra, se planteó la cuestión de la propiedad del Fiume, antigua parte del Imperio Austrohúngaro; la comunidad internacional se inclinó por entregar el Fiume al Reino de los Serbios, Croatas y Eslovenos en lugar de a Italia, que la había reclamado.
A los ojos de los “patriotas” italianos, la ciudad se convirtió en un símbolo no sólo de la derrota del gobierno italiano, sino también del debilitamiento de la cultura italiana, heredera directa de la cultura de la Antigüedad. D'Annunzio encontró en sí mismo los principios de un líder anarquista cuando, el 12 de septiembre de 1919, a la cabeza de un grupo de militares que habían traicionado sus juramentos, invadió el territorio del Fiume y, tras romper la débil resistencia de las tropas de ocupación anglo-estadounidenses-francesas, proclamó allí la soberanía italiana. Por supuesto, el gobierno italiano no apoyó esta aventura. Entonces, el 8 de septiembre de 1920, D'Annunzio anunció, al estilo revolucionario, el establecimiento de la Regencia Italiana de Carnaro, que pasó a la historia como la “República del Fiume”. El nuevo Estado no duró mucho (del 12 de septiembre de 1919 al 30 de diciembre de 1920): la República cayó en manos del ejército italiano aproximadamente un año después. Al principio, sin embargo, su surgimiento parecía ser la prueba política de la eficacia de las ideas republicanas.
La liberación del Fiume fue acogida con entusiasmo por la izquierda europea (principalmente los artistas surrealistas), los futuristas del círculo de Marinetti y B. Mussolini, que lanzó la consigna “¡Fiume o muerte!” En Rusia Mayakovsky caracterizó este acontecimiento de la siguiente forma: “El faisán es hermoso, pero su cerebro es pequeño. / El Fiume fue tomado por el embriagador D'Annunzio”. Existe un relato apócrifo perteneciente a un internacionalista italiano que sostiene que Lenin dijo que el único verdadero revolucionario que existía en Italia era D'Annunzio. Sin embargo, había muchos revolucionarios en Italia. El círculo íntimo del poeta-jefe incluía al sindicalista italiano Alceste de Ambris, al internacionalista Leone Kochnitzky, al piloto militar medio loco Guido Keller y al anarquista radical Mario Carli. Más tarde Filippo Marinetti se uniría a todos ellos en su aventura en el Fiume. D'Annunzi ejerció una fuerte influencia en que la élite intelectual italiana adoptara posteriormente las ideas fascistas, adelantándose al mismo Mussolini.
En esencia, D'Annunzio era un hombre influido por la cultura clásica, un cripto-monarquista que tenía gustos por lo arcaicos desde el punto de vista de los artistas de vanguardia de su época y que era más partidario de la voluntad que teórico de la novedad. Al mismo tiempo, desde los primeros días en que dio su golpe se encontró rodeado de radicales de las tendencias políticas más opuestas. L. Kochnitzky (nombrado ministro de Asuntos Exteriores de la República de Fiume) y M. Carli querían hacer de la ciudad-estado un puesto avanzado de la futura revolución mundial, Alceste de Ambriz (nombrado jefe del gobierno de la República del Fiume) era partidario de las ideas sindicalistas (una tendencia que dio origen al corporativismo) y Marinetti representaba a los círculos de la aristocracia de ultraderecha. Ninguno ellos consiguieron lo que quería. Todas estas figuras políticas, singularmente incompatibles y unidas artificialmente por la voluntad del poeta-demiurgo, neutralizaron mutuamente sus ambiciones, lo que llevó a que en el Fiume surgiera un fructífero microcosmos de libertad alejado de las ideologías. La libertad de discusión política se combinaba con la dictadura del caudillo, las fiestas orgiásticas con las continuas maniobras militares y todo ello con el trasfondo de una poetización de la vida cotidiana que adoptaba formas grotescas.
Si hacemos un paralelismo con la realidad de la dictadura soviética resulta fácil ver las diferencias: desde los primeros días de la Revolución de Octubre el nuevo hombre soviético estaba sometido a la opresión de nuevas normas sociales; el nuevo hombre de Fiume, por el contrario, estaba liberado hasta el punto de caer en un estado de naturaleza que emulaba el espíritu de Rousseau. No se trata de una exageración retórica; los testimonios de los huéspedes de Fiume (entre ellos el inventor de la radio Marconi, el director de la orquesta Toscanini y la familia del duque de Aosta) son inequívocos: la libertad política, social y sexual alcanzó límites casi antropológicos. La estética de lo absurdo y lo grotesco se convirtió en un referente que marcaba el comportamiento de todos. El héroe de guerra Guido Keller, que tuteaba a D'Annunzio y era su confidente más cercano al frente de las tropas, marcaba la pauta. Introdujo la moda del nudismo entre los soldados, pasear sin ropa no estaba prohibido sino interfería con la disciplina del ejército. Las drogas, sobre todo la cocaína, estaban ampliamente disponibles y eran baratas. Las mujeres locales simpatizaban con los libertadores. Cada tres días se celebraba un desfile de colores en un ambiente de amor libre. Sus participantes, en su mayoría “legionarios” junto con sus amantes, solían ir vestidos con ropas del sexo opuesto. Se pueden establecer paralelismos entre la experiencia del Fiume y las prácticas sociales que cincuenta años más tarde entraron en la vida de todo el mundo occidental gracias a la revolución estudiantil de 1968. En ambos casos, el apasionado impulso creativo de intelectuales marginados logró barrer con las rígidas y arcaicas estructuras de la sociedad para liberar, en nombre de la justicia, las energías humanas que se encontraban oprimidas por una cultura conservadora.
El mundo capitalista que rodeaba a la nueva república pronto comenzó a causar problemas. El cese del suministro de alimentos obligó a los revolucionarios a introducir un sistema de distribución de alimentos mediante tarjetas, contribuyendo a la creación de una economía al margen del sistema de circulación monetaria. Se decidió no cobrar impuestos a la población. Unos ochocientos niños tuvieron que ser enviados con parientes a los distritos vecinos de Italia para no exponerlos a las posibles penurias de un largo bloqueo. Sin embargo, se encontró una ingeniosa solución al problema del abastecimiento. D'Annunzio requisó la armada local, comandada por el simpático almirante Casanova, y la puso al servicio de una docena de pilotos militares que habían volado a Fiume desde todas partes de Italia con tal de organizar estas fuerzas en escuadrones móviles de piratas que debían apresar a los barcos en tránsito o robar a los grandes terratenientes en aquellas partes de Italia a las que se pudiera llegar fácilmente. Las flamantes rentas cobradas a los capitalistas vecinos permitieron a la sociedad revolucionaria subsistir por sí misma.
D'Annunzio se convirtió en el dictador (comandante) de facto del autoproclamado Estado y, junto con sus socios, redactó una Constitución (Carta del Carnaro) para tal entidad política. La Constitución del Fiume, inspirada por los antiguos ideales romanos, proclamaba la creación de una sociedad en la que cada ciudadano estaba obligado a ser miembro de una de las diez corporaciones profesionales. D'Annunzio quería desarrollar un sistema de gobierno fundamentalmente nuevo, descentralizado, fragmentado, pero unido por un principio común, como una sinfonía musical. El instrumento de la descentralización debían ser las corporaciones independientes, autónomas, que, aisladas, están compuestas por profesionales especialistas en un solo oficio, pero que, juntas, conformaban la totalidad de las fuerzas que existían en la sociedad: ningún individuo quedaba fuera de este sistema. Mediante la fragmentación y la descentralización del espacio social se debía llegar a una síntesis sólida mediante un mecanismo coherente de centralización del poder: nueve corporaciones (ingeniero-burocráticas) estaban completamente liberadas de la carga de tomar decisiones políticas, mientas que los “aristócratas del espíritu” reunidos en la décima corporación (creativa) tomaban las decisiones. La idea central de D'Annunzio era que la esfera de lo político debía ser completamente sustituida por la esfera de lo poético. La improvisación creativa y la pasión, tomadas en su forma más pura, eran el genio transformador del mundo. Las libertades políticas no se dispersaban entre los individuos, sino que se concentran en manos de unos pocos elegidos, artistas, poetas y héroes. De este modo, D'Annunzio da vida al mito nietzscheano del artista que gobierna el mundo. Sin embargo, la imagen del “superhombre” termina por arraigarse, cotidianizarse y pierde su singularidad, pues el creador no actúa solo, sino en alianza con otros como él, unidos en el Consejo de los Mejores (Consiglio degli Ottimi). Además del Consejo de los Mejores, se creó un Consejo de las Corporaciones (Consiglio dei Provvisori). Las reuniones conjuntas de los dos consejos (Arengo del Carnaro) debían convocarse en caso de emergencia con el fin de nombrar a un dictador.
La Constitución garantizaba a los ciudadanos el habeas corpus (libertad personal); educación primaria gratuita; un salario digno; plenos derechos civiles con independencia de sexo, raza y religión; y un salario digno para los desempleados. También consagraba un concepto peculiar de los derechos de propiedad: en adelante, nadie podría reclamar una propiedad a menos que fuera adquirida directamente mediante el trabajo personal. D'Annunzio promovió el lema fatica senza fatica (“trabajo sin fatiga”); creía que el trabajo no debía desplazar a las alegrías de la vida y que la mistificación socialista de la “alienación” podía vencerse incrustando el arte en el tejido mismo del trabajo cotidiano.
Se declaró que la música era el principio fundamental de la organización del Estado, por lo que los desfiles de carnaval no cesaban ni de día ni de noche. Se postuló la prioridad de la mayor libertad posible del ciudadano. Los derechos de las minorías estaban plenamente garantizados. Existía una prohibición absoluta de la violencia. Y, de hecho, no hubo represión. El nuevo orden fue bien recibido. La ciudad mantenía un ambiente bohemio; sólo en los dos últimos meses la alegría general se vio empañada, esta vez por el bloqueo total de Fiume por las tropas gubernamentales.
Sin embargo, no fue posible restablecer la rutina de la vida tras la toma de la ciudad. Las tiendas no funcionaban, los comercios estaban inactivos y no se respetaba la regularidad del transporte público. La población de Fiume se encontró fuera del espacio de la sociabilidad burguesa. Su rechazo manifiesto de los principios liberal-capitalistas de la estructura social hacía imposible la normalización de la vida urbana, lo que significaba que el ideal republicano de la causa común, del trabajo creativo conjunto de ciudadanos iguales, era inalcanzable. El experimento de D'Annunzio demostró así irrefutablemente la falacia de oponer los valores liberales a los republicanos. Allí donde se niegan los fundamentos liberal-burgueses de la civilización europea la república es imposible.
Las teorías republicana y liberal están inextricablemente entrelazadas. Representan dos líneas de razonamiento paralelas y a la vez interrelacionadas. La primera, originada en la Antigüedad, contiene reflexiones sobre cómo debe organizarse un Estado ideal y cómo debe comportarse un gobernante razonable para fortalecer su poder en aras del bien común. La segunda, surgida en los Nuevos Tiempos y desarrollada durante la Ilustración, dirige su atención a la relación entre el poder y el individuo. El republicano se interesa ante todo por la forma de organización del Estado, mientras que el liberal se interesa sobre todo por la lucha del individuo con las autoridades para mantener su libertad. No existe ninguna contradicción insalvable entre ellos; al contrario, hay una larga tradición que ha permitido un diálogo teórico muy fructífero entre ambas. No hay ninguna garantía de que los republicanos sean mejores que los liberales a la hora de abordar los problemas de la organización social. Sin embargo, es posible que sean capaces de impregnar la corriente liberal, ahora dominante, del pensamiento político europeo con algunas ideas del republicanismo clásico, como la introducción de mecanismos de elecciones por sorteo en la formación del gobierno local. Pero esos intentos de construir una sociedad neogriega o neorromana que van acompañados de la abolición de las instituciones de la democracia liberal y la economía capitalista, como hizo d'Annunzio, están condenados al fracaso. Además, las ideas republicanas tergiversadas pueden degenerar en fascismo.
D'Annunzio, sin embargo, no poder ser considerado como un ideólogo del fascismo. Sin duda alguna echó leña al fuego al proclamar la necesidad de la transformación social en la posguerra al ser un crítico convincente del liberalismo y el racionalismo y se le puede llamar padrino político de Mussolini, pero filosófica y estéticamente la doctrina fascista no se correspondía con su mentalidad poética. D'Annunzio era un hombre del Renacimiento, individualista y centrado en sí mismo, mientras que el fascismo era originalmente una ideología opuesta al individualismo y a la iniciativa personal. En La doctrina del fascismo (un ensayo de 1932 firmado con el nombre de B. Mussolini, pero cuyo verdadero autor se considera que es Gentile) se habla de la necesidad de la abnegación individual: el individuo es valioso en la medida en que es capaz de identificarse con la nación y consumirse por completo en el acto de servirla; “fuera del Estado no hay individuo”; el Estado es la “forma interior y la norma”, el “alma del alma” del individuo. La conclusión central es que “nada humano o espiritual existe, y mucho menos tiene valor, fuera del Estado”. En general, no hay lugar para la creatividad poética y el heroísmo espontáneo de D'Annunzio en el sistema político del fascismo. Sí, los escuadrones de asalto (arditi) creados por D'Annunzio durante la aventura del Fiume se unieron a las filas de los partidarios de Mussolini y participaron en la famosa Marcha sobre Roma de 1922. Por supuesto, D'Annunzio influyó en el cambio de la opinión pública italiana y preparó así el ascenso de los fascistas al poder, pero para entonces él mismo se había quedado fuera del proceso político.
Si Gentile puso las bases teóricas del fascismo, entonces D'Annunzio inventó la práctica social del liderazgo fascista con marchas interminables, antiguos gestos romanos de saludo y poéticas alocuciones del dictador a las masas, influyendo en este sentido directamente en Mussolini. En general, D'Annunzio creó una forma ritual-simbólica y teatral del régimen totalitario, sin tener tiempo de llenarla de contenido existencialmente traumático. La artificialidad y el utopismo de su proyecto de Estado contribuyeron a llevar estas características hasta el límite del absurdo en medio de los postulados políticos y filosóficos de la derecha de la época, lo que llevó a perder la oportunidad de renovar el mundo europeo sobre la base del mito republicano. Después de 1920 los valores republicanos quedaron desacreditados. Hoy, cien años después, la política europea se encuentra de nuevo en el punto de elegir un camino y los republicanos tienen la oportunidad de influir en esta elección de manera decisiva.
El interés actual de los intelectuales occidentales por la figura de D'Annunzio se debe a muchas razones. Lo ven como el mayor poeta decadente italiano de todos los tiempos, un teórico militar que influyó en las tácticas de las guerrillas latinoamericanas, un héroe de la revolución conservadora y el primer “superhombre” de la nueva era posliberal. Existen dos interpretaciones muy interesantes sobre el fenómeno que dio vida a D'Annunzio. La primera, glamurosa (expresada por la historiadora cultural Lucy Hughes-Hallett), simplifica y moderniza el personaje del poeta dotándolo de los rasgos del ya conocido postmodernista-mercader y lo compara con el populista italiano Giuseppe Grillo, el cual convierte su capital simbólico en capital político. El segundo enfoque, más analítico (desarrollado por el teórico político Matteo Giglioli), propone considerar a D'Annunzio como un hombre de una irracionalidad total que sólo puede entenderse hermenéuticamente a través de un estudio de la historia de sus ideas estéticas. Este segundo enfoque parece más profundo. En efecto, es difícil creer en la racionalidad de D'Annunzio y parece más correcto interpretar su vida como un ejemplo de cómo la estética puede terminar influyendo la esfera política.
En la cultura europea de los años 1890-1910 (fin de siècle) se produjo una fuerte reacción contra el liberalismo clásico, la idea de progreso y el culto a la razón. Un logro del siglo XIX como la emancipación de amplias capas de la población y su participación en la vida política creó directamente el problema de la ingobernabilidad de las masas. Mientras que las acciones individuales, insertas en un sistema de relaciones bien regulado, pueden ser influidas racionalmente, el comportamiento colectivo de las personas que no están acostumbradas a una cultura política compleja y no comprenden sus convenciones es difícil de predecir. Muchos intelectuales se enfrentaron a la tarea de desarrollar un lenguaje de comunicación entre las autoridades y las masas. Es en este ambiente en el que D'Annunzio crea su imagen, esforzándose por convertirse en la personificación de la fatalidad y de las fuerzas irracionales de la historia. Este papel le parece estéticamente atractivo. Desarrolló una estrategia para su comportamiento artístico, pero no pudo ni quiso reflexionar sobre sus consecuencias políticas. La República del Fiume es el fantasma materializado de D'Annunzio y también es producto de sus aspiraciones estéticas más que políticas.
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tifatait · 3 months
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Riforme. Una, indivisibile e giusta. Evento a Napoli il 13 luglio - Partito Socialista Italiano | www.partitosocialista.it
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lamilanomagazine · 4 months
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Milano, dedicata una targa ai fondatori della legge sul divorzio: Loris Fortuna e Antonio Baslini
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Milano, dedicata una targa ai fondatori della legge sul divorzio: Loris Fortuna e Antonio Baslini "Parlamentari della Repubblica, promotori di diritti civili e padri della legge sul divorzio, pionieri di iniziative legislative a favore delle umane libertà". È l'iscrizione incisa sulla targa in memoria di Loris Fortuna e Antonio Baslini, voluta dall'Amministrazione comunale e scoperta oggi in corso di Porta Vigentina 15, in occasione del cinquantesimo anniversario del referendum abrogativo della legge sul divorzio. Loris Fortuna, partigiano ed esponente del Partito Socialista Italiano, fu il fondatore e il presidente della Lega Italiana per l'Istituzione del Divorzio insieme con Antonio Baslini, consigliere comunale di Milano per il Partito Liberale. Entrambi deputati, furono i primi firmatari della proposta di legge unificata per la disciplina del divorzio, che prese il loro nome. La targa è stata collocata presso il palazzo storico di Porta Vigentina che, per dieci anni fra il 1960 e il 1970, ospitò la sede della sezione milanese della Lega per l'Istituzione del Divorzio in Italia. Approvata dalla Giunta di Palazzo Marino lo scorso dicembre su proposta del Municipio 1, la posa della targa commemorativa fa parte delle iniziative di "Milano è Memoria". Lo scoprimento, stamani alla presenza delle autorità cittadine, è stato promosso in ricordo dell'esito del voto referendario del 12 e 13 maggio 1974, che respinse la richiesta di abrogazione e confermò la legge sul divorzio approvata dal Parlamento quattro anni prima.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 6 months
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2 apr 2024 09:30
I SERVIZI SEGRETI AMERICANI? SONO UN PARTITO, DIVISO IN CORRENTI - LO SPIEGA CLAUDIO SIGNORILE, EX VICESEGRETARIO DEL PSI, CHE SI ATTIVO’ PER LIBERARE GLI OSTAGGI AMERICANI NELL’AMBASCIATA USA DI TEHERAN NEL 1980: “ERA UN MOMENTO DIFFICILE PER JIMMY CARTER. A NOVEMBRE GLI STATI UNITI SAREBBERO ANDATI AL VOTO E LUI RISCHIAVA DI NON ESSERE RIELETTO. NOI CI ATTIVAMMO MA UNA PARTE DELLA CIA AVEVA COME FINALITÀ LA SCONFITTA ELETTORALE DI CARTER: SE L’OPERAZIONE FOSSE PROSEGUITA SAREBBE STATA DIVULGATA LA NOTIZIA CHE IL PRESIDENTE STAVA TRATTANDO CON I TERRORISTI. MI CONVINSI CHE QUALCOSA DOVESSE ESSERE ACCADUTO NELL’AMBASCIATA A ROMA. CHE QUALCUNO AVESSE PARLATO…”. E INFATTI GLI OSTAGGI VENNERO LIBERATI SOLO DOPO L’ELEZIONE DI REAGAN… -
Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per www.corriere.it
Quindi lei il 12 maggio del 1980 volò a Beirut per salvare il presidente americano?
«Era un momento difficile per Jimmy Carter. A novembre gli Stati Uniti sarebbero andati al voto e lui rischiava di non essere rieletto. Il suo punto debole era la vicenda dei 52 cittadini statunitensi, da sei mesi ostaggi dell’ayatollah Khomeini in Iran».
Sembra un film, invece è una storia mai raccontata da Claudio Signorile, che allora era vicesegretario del Partito socialista italiano e che quel giorno aveva il compito di «avviare una trattativa per la liberazione dei prigionieri americani». Una missione impossibile di cui «la Casa Bianca era a conoscenza e che di fatto aveva autorizzato».
La vicenda degli ostaggi teneva il mondo con il fiato sospeso, perché dopo l’avvento del regime islamico a Teheran gli «studenti della rivoluzione» avevano invaso l’ambasciata statunitense, sequestrando i funzionari. Per ottenerne il rilascio «Carter aveva bisogno di un successo negoziale». […] Il tentativo militare […] era fallito due settimane prima […]
[…] «Noi del Psi, che avevamo un solido legame con Yasser Arafat e sapevamo che il leader dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, aveva un rapporto molto forte con Khomeini. […] Perciò chiamai un omino negli Stati Uniti».
E chi era questo «omino»: una spia?
«Il nome ovviamente non lo rivelo. Posso dire che era un mio amico professore, con cui avevo avuto rapporti accademici e che era diventato membro del National security council americano. E si sa che l’Nsc è il punto di snodo tra il presidente e la “parte ufficiale” della Cia».
Perché «ufficiale»?
«Perché c’è anche l’altra parte della Cia».
Sempre a che fare con le spie, lei...
«Allora facevo le cose che Bettino Craxi non poteva fare. Ero andato negli Stati Uniti nell’autunno del 1977, un anno dopo l’elezione di Carter. Il mio amico mi portò anche al Pentagono, e al termine della visita il direttore disse sorridendo: “Ora dovremo disinfestare gli uffici perché lei è il primo socialista che mette piede qui”».
A quanto pare ci mise piede stabilmente.
(Pausa) «Il problema era aiutare Carter senza coinvolgerlo, perché gli Stati Uniti non potevano avere alcun rapporto con l’Olp […] incontrai il portavoce dell’Olp in Italia Nemer Hammad e gli spiegai che, mentre l’Europa lavorava a una soluzione del problema palestinese, si poteva affrontare la questione degli ostaggi a Teheran».
Offrì uno scambio politico, quindi: e quale era?
«Dissi ad Hammad: “Khomeini potrebbe affidare anche solo una parte degli ostaggi ad Arafat, poi lui li consegnerebbe all’Italia e noi li daremmo agli Stati Uniti. Ritieni che Yasser possa farsi mediatore? Se così fosse, andrei a Beirut a parlargliene”. Giorni dopo ebbi una risposta positiva e il 12 maggio partii».
Senza avvertire nessuno?
«Ovviamente lo comunicai a Craxi, al presidente del Consiglio Francesco Cossiga e al ministro degli Esteri Giulio Andreotti. Poi informai l’Nsc e per ultimo l’ambasciatore americano in Italia Richard Gardner. Dovetti farlo anche per avere una riserva di ufficialità».
Ma in Libano non andò in visita ufficiale...
«Non ci fu traccia nemmeno del mio arrivo. Una volta atterrato a Beirut, non passai dal controllo passaporti ma da un gate gestito dai palestinesi. […] di Yasser avevo fiducia, ma un’altra parte dell’Olp diffidava dell’Occidente. Mi venne a prendere il capo dei servizi di sicurezza di Arafat, mi trasferì in un hotel e mi avvisò: “Non diamo mai orari per gli appuntamenti. Verremo a prenderla”».
E quando accadde?
«Alle quattro di notte sentii bussare alla porta della camera. Cinque uomini armati mi chiesero di seguirli. Ci muovemmo a piedi, imboccammo un vicolo, entrammo in un edificio e ci indirizzammo verso un sottoscala dal quale si accedeva a una cantina. Iniziammo un percorso da cantina a cantina, collegate tra loro da tunnel. Capii che stavamo attraversando sotterraneamente la città, con un dedalo di incroci. Voleva dire che c’erano percorsi diversi».
[…] Quanto durò il percorso?
«Mezz’ora, forse più. Finché arrivammo in quello che immagino fosse il luogo transitorio di lavoro di Arafat, che mi accolse con affetto. La stanza era priva di finestre e senza aria condizionata. Alle pareti erano appesi dei tappeti. Per sedie i loro sofà».
Un bunker.
«Ma il mondo nel quale si viveva allora era questo. E il loro era un mondo di rivoluzionari: temevano di venire centrati dai missili israeliani. […] dovevo far capire che il progetto era serio perché il governo italiano era impegnato e gli Stati Uniti erano solo informati. Glielo ripetei: “Informati, Yasser. Non coinvolti”. Era quello che lui voleva sentire. Fu attento a ogni parola, d’altronde si era esposto in prima persona. […]».
Sì, ma gli ostaggi li teneva Khomeini.
«Quando Arafat iniziò a parlare dell’ayatollah, lo fece come se si trattasse di un suo interlocutore costante. […] mi disse: “Proviamoci”. Si alzò e si appartò al telefono. A quel punto Hammad, che mi aveva accompagnato da Roma a Beirut, mi sussurrò all’orecchio: “Sta parlando con Khomeini”».
E lei?
«[…] Quando tornò, Arafat si limitò ad accomiatarmi con un sorriso. Ore dopo, ripartendo per l’Italia, Hammad mi informò che il contatto era stato “avviato”. Appena a Roma, avvisai i miei interlocutori. C’era un clima di fiducia. Ma due giorni dopo ricevetti una strana telefonata da Washington».
Era l’«omino»?
«Sì. Mi spiegò che nell’establishment era scoppiato il putiferio. […] una parte della Cia aveva come finalità la sconfitta elettorale di Carter».
Un pezzo della Cia giocava contro il presidente degli Stati Uniti?
«Non so se è chiaro: si stava giocando la sfida su chi avrebbe governato il mondo. Il mio amico mi disse testualmente: “Rallenta perché ci sono forti reazioni”. […] se l’operazione fosse proseguita sarebbe stata divulgata la notizia che Carter stava trattando con i terroristi. Mi salì l’angoscia. Avevo toccato con mano un atteggiamento disponibile da parte araba e il problema nasceva nel mondo americano. L’operazione quindi si fermò. […] mi convinsi che qualcosa dovesse essere accaduto nell’ambasciata a Roma. Che qualcuno avesse parlato…».
Gli ostaggi vennero liberati solo il 20 gennaio del 1981, esattamente alla fine del discorso di insediamento pronunciato dal nuovo presidente americano: Ronald Reagan.
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100 anni da nascita del leader Psdi Cariglia, libri e convegno
Due pubblicazioni e un convegno per ricordare e approfondire la figura di Antonio Cariglia (1924-2010), politico e segretario del Partito socialista democratico italiano, a 100 anni dalla nascita. E’ quanto propone la Fondazione Filippo Turati onlus di cui Cariglia fu fondatore nel 1965.     Per ricordarne il profilo e l’opera, spiega la Fondazione in una nota, è in programma un appuntamento…
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agrpress-blog · 7 months
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La scena politica italiana piange la scomparsa di Ugo Intini, deceduto ieri sera a Milano all'età di 82 anni dopo una lunga malattia. Il suo lascito comprende una carriera illustre come direttore di importanti giornali socialisti, deputato per quattro legislature e incarichi governativi nei governi Amato e Prodi. Intini, uomo di cultura e politico appassionato, ha profondamente influenzato la storia del Paese, contribuendo significativamente al Partito Socialista Italiano (PSI) e alla politica nazionale. La sua carriera giornalistica si è distinta alla guida di testate di rilievo come Avanti! e Il Lavoro di Genova. Il suo impegno politico è stato evidente nelle quattro legislature in cui ha svolto il ruolo di deputato, ma è nel suo contributo al PSI che ha lasciato un segno indelebile. Collaboratore stretto di Bettino Craxi, Intini ha guidato la segreteria del partito negli anni '80, affrontando sfide politiche e trasformazioni cruciali. La sua militanza nel PSI, anche durante gli anni difficili del dopo tangentopoli, è stata caratterizzata da un costante impegno riformista. Intini ha continuato a offrire il suo prezioso contributo di idee, supportando il partito in un percorso di riaffermazione e adattamento alle nuove sfide politiche. Oltre alla sua attività politica, Ugo Intini è stato un prolifico autore, con numerosi libri che hanno esplorato la storia d'Italia, dando voce a tratti spesso misconosciuti del nostro passato politico. Il suo ultimo lavoro, "Testimoni di un secolo", pubblicato nel 2022, testimonia la sua dedizione a documentare e analizzare il percorso del nostro Paese nel corso degli anni. La sua influenza nel panorama politico è stata riconosciuta anche con incarichi di governo. Ha ricoperto il ruolo di sottosegretario agli Esteri nei governi Amato e Prodi, contribuendo al dibattito sulle relazioni internazionali e sottolineando l'importanza del suo ruolo nella scena politica nazionale. Lascia la moglie Carla e il figlio Carlo. Il PSI, in lutto per la perdita di un leader e pensatore politico, esporrà la bandiera a mezz'asta nella sede del partito a Roma in segno di rispetto per Ugo Intini.
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collasgarba · 8 months
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Il fermento contro il comunismo italiano crebbe in seguito agli esiti delle elezioni politiche del 1968
Nell’agosto 1967 gli Stati Uniti decisero di interrompere le attività di sostegno ai partiti italiani in conseguenza dell’unificazione socialista – sancita dalla nascita del Psu (Partito socialista unificato) – e dell’apparente unità della Dc. In realtà, dal punto di vista delle covert operations contro il comunismo, questo periodo risulta molto prolifico, come dimostrato dall’elaborazione del…
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adrianomaini · 8 months
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Il fermento contro il comunismo italiano crebbe in seguito agli esiti delle elezioni politiche del 1968
Nell’agosto 1967 gli Stati Uniti decisero di interrompere le attività di sostegno ai partiti italiani in conseguenza dell’unificazione socialista – sancita dalla nascita del Psu (Partito socialista unificato) – e dell’apparente unità della Dc. In realtà, dal punto di vista delle covert operations contro il comunismo, questo periodo risulta molto prolifico, come dimostrato dall’elaborazione del…
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bagnabraghe · 8 months
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Il fermento contro il comunismo italiano crebbe in seguito agli esiti delle elezioni politiche del 1968
Nell’agosto 1967 gli Stati Uniti decisero di interrompere le attività di sostegno ai partiti italiani in conseguenza dell’unificazione socialista – sancita dalla nascita del Psu (Partito socialista unificato) – e dell’apparente unità della Dc. In realtà, dal punto di vista delle covert operations contro il comunismo, questo periodo risulta molto prolifico, come dimostrato dall’elaborazione del…
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