#omaggio a Bowie
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Alessandra Celletti reinterpreta David Bowie: il ritorno di "Letter to Hermione"
Una versione intima e minimalista per celebrare il 55° anniversario di una gemma musicale, anticipando il nuovo album "Stop femicides"
Una versione intima e minimalista per celebrare il 55° anniversario di una gemma musicale, anticipando il nuovo album “Stop femicides”. Alessandra Celletti, pianista e artista romana, ci trasporta in un viaggio evocativo attraverso la sua reinterpretazione di “Letter to Hermione” di David Bowie. A cinquantacinque anni dalla sua pubblicazione, Celletti rende omaggio a uno dei suoi artisti…
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diceriadelluntore · 1 month ago
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Storia Di Musica #356 - Lou Reed, Berlin, 1973
L'ultimo libro del 2024 è stato lo strepitoso Kairos di Jenny Erpebeck, ambientato nella Berlino Est a fine anni '80, tra gli ultimi anni della DDR e la transizione verso la riunificazione. Quel libro mi ha ispirato per la prima serie di dischi della Rubrica del 2025, che sarà dedicata a dischi che hanno a che fare con Berlino. Due tra i più famosi, Heroes di Bowie, fulcro della cosiddetta Trilogia Berlinese (insieme a Low e Lodger, in verità in primo solo in parte registrato lì, il terzo pensato a Berlino ma finito fuori dalla Germania) e Achtung Baby! degli U2 sono stati già protagonisti delle storie di musica. Ma fortunatamente la città tedesca è stata fonte ispirativa per altri grandiosi capolavori musicali.
Il disco di oggi parte da un assunto: dopo che ci aveva quasi rinunciato, e proprio grazie a Bowie era diventato di nuovo leggenda, Lou Reed è ormai un artista di successo oltre la leggenda che lo accompagnava dai tempi dei Velvet Underground. Dopo Trasformer, ha una necessità particolare di fare un disco particolare, personale, ardito. Lo spunto glielo dà il giovane produttore, che diventerà uno dei più grandi di sempre, Bob Ezrin, chiamato dalla RCA a districare le idee di Reed. Ezrin chiede a Reed: tu scrivi grandi canzoni, che però non hanno mai una fine. Che fine hanno fatto per esempio i protagonisti di Berlin (canzone del primo disco solista, Lou Reed, 1972?). Reed fa sua questa osservazione e costruisce un concept album che racconta la storia dei due protagonisti di quella canzone, Jim e Caroline, coppia di americani che vive a Berlino. Una coppia che vive una vita drammatica, oscura, terribile tra droghe, abusi, maltrattamenti, figli non accuditi. Un viaggio nelle tenebre, nella disperazione, nel caos psicologico (con molti accenni autobiografici) di uno dei maestri narratori di questi viaggi, ricordo a tutti che Reed si laureò cum laude alla Syracuse University in Letteratura Americana.
Musicalmente, Reed in Berlin, che esce nel 1973, registrato tra Londra e New York, ripesca nel suo archivio di bozze, scritte anche per i Velvet Underground, e costruisce con Erzin canzoni dai grandi arrangiamenti, con archi, fiati, accompagnato da un gruppo di musicisti eccezionale: l'ex Cream Jack Bruce, Tony Levin mago del basso, Ainsley Dunbar che fu nel gruppo di Frank Zappa, Steve Hunter e Dick Wagner chitarristi di Alice Cooper, e i fratelli Brecker ai fiati. Berlin, che apre il disco, ha perfino un Happy Birthday, sciorina poi nel suo pianoforte quella sensazione di tristezza e angoscia che, volutamente, permea la storia di Jim e Caroline. Lady Day, un omaggio a Billie Holiday, morta prematuramente per abuso di droghe e alcol, è metafora di ciò che caroline va alla ricerca. Men Of Good Fortune (Men of good fortune often wish that they could die. While men of poor beginnings want what they have and to get it they'll die) è l'amara constatazione della loro condizione materiale. How Do You Think If Feels è il brano più autobiografico di tutto l'album: c'è la drammatica paura di Reed di dormire, dovuta alle serie di elettroshock a cui i suoi genitori lo obbligarono a sottoporsi da adolescente, per curarlo da una latente omosessualità. Oh Jim, è la versione di "autoanalisi" che Jim fa a sè stesso, cosa che Reed fa fare a Caroline in due brani, Caroline Says e Caroline Says II, che partono da una canzone pensata per i Velvet, Stephanie Says: soprattutto la seconda è un pugno nello stomaco per ciò che racconta Caroline: Caroline says\as she gets up off the floor\Why is it that you beat me\it isn't any fun (...) But she's not afraid to die\all her friends call her "Alaska"\When she takes speed, they laugh and ask her (...) as she gets up from the floor\You can hit me all you want to\but I don't love you anymore. Da un lato l'umiliazione sociale (La Gelide Alaska, così la chiamiavano gli amici), dall'altro l'abuso fisico. The Kids, così straziante per il pianto dei bambini, ci descrive la squallida situazione familiare in cui vive la coppia, con i bambini che vengono portati via alla coppia. Il finale è potentissimo: The Bed parte dal suicidio di Caroline, Jim prova una struggente nostalgia per lei e la "racconta" elencando tutti i suoi oggetti rimasti: la cronaca ci dice che in quelle stesse settimane la prima moglie di Reed, Bettye Kronstad, tentò un suicidio tagliandosi le vene. Il disco si chiude con Sad Song, che è tra il dolore e l'assoluzione (I'm gonna stop wasting time, somebody else would have broken both of her arms).
Il disco all'epoca fu osteggiato dalla RCA, che si convinse a produrlo solo perchè Reed firmò un contratto per altri due dischi (che furono un live, il fantasmagorico Rock'N'Roll Animal del 1973, e il glam rock sbiadito di Sally Can't Dance nel 1974), e snobbato da pubblico e critica, che lo bollò come un disastro. Con il tempo, le continue trasformazioni di Reed e nella generale riscoperta della sua musica (che ha una data precisa, cioè quando gli U2 lo chiamano a cantare Satellite Of Love durante gli show dello Zoo Tv Tour) il disco viene riconsiderato uno dei suoi grandi capolavori, nonostante la sua dolorosa e tragica natura. Che tra l'altro fece una vittima illustre: Bob Ezrin ebbe un esaurimento nervoso dopo le registrazioni, probabilmente per aver osservato troppo tempo quella oscurità, ma avrà comunque una carriera stellare, a fine decennio produrrà un altro concept leggendario, The Wall dei Pink Floyd. E un verso di The Kids, Oh, I am the water boy, the real game's not over yet\Oh, but my heart is overflowin' each and everyday, arriva fino ad un ragazzo scozzese, Mike Scott, che chiamerà la sua band The Waterboys.
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acquaconlimone · 1 year ago
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Oggi nel 1977 usciva l'lp "Heroes" di Davis Bowie, secondo disco della cosiddetta trilogia berlinese comprendente Low e Lodger ma unico effettivamente registrato in Germania agli Hansa Studio di Berlino Ovest situati a 500 metri dal famoso muro.
Quando uscì si scrisse :
There is the old wave, there is the new wave and there is David Bowie, oltre alla canzone omonima, al suo interno troviamo anche "V2 Schneider" un omaggio di Bowie a Florian Schneider fondatore dei tedeschi Kraftwerk i quali avevano citato Bowie nel loro "TEE" uscito nell'inizio 1977.
Prodotto dallo stesso Bowie e da Tony Visconti ebbe anche un pesante contributo da Brian Eno e da Robert Fripp alle chitarre inventore del famoso suono detto a "sirena" ascoltabile nella title track.
Si dice che nel 1980 quando John Lennon entrò in studio per registrare il "Double Fantasy" ebba a dire di voler fare un disco bello quanto lo era "Heroes".
We can be heroes just for one day...
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stage-bowie · 2 years ago
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MEDLEY STAGE BOWIE TEASER 2022
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pizzettauniversale · 3 years ago
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MINI RECENSIONE DI LICORICE PIZZA
CONTIENE DEGLI SPOILER, QUINDI ANDATE AVANTI SE NON LO AVETE VISTO.
Prima di tutto cosa è "Licorice Pizza"? No, non è una pizza alla liquirizia, va bene che negli Stati Uniti si mangiano la pizza con l'ananas ma la liquirizia sarebbe stata un po' troppo. Licorice pizza è una catena di dischi a Los Angeles e anche un modo per indicare i 33 giri in vinile, e il vinile viene dal petrolio, anche le testate del letto di Fat Bernie's - il negozio messo su dal protagonista Gary Valentine (Cooper Hoffman)- sono in vinile e infatti la sua trovata imprenditoriale non va a buon fine. Nel 1973 infatti scoppia quella che viene chiamata la "Guerra del Kippur", iniziata con Egitto e Siria che attaccarono Israele, la crisi petrolifera del '73-'74 ha portato i prezzi del petrolio alle stelle e al fallimento di Gary Valentine.
Il titolo è interessante perché se lo prendiamo in senso letterale penseremo a una pizza stramba, un po' come la storia di amore che è raccontata. Gary Valentine ha 15 anni ma va verso i 30 e si comporta come un adulto però con la spensieratezza e la libertà di un ragazzino, Alana Kane (Alana Haim) ha 25 anni e va verso i 15 anni, comportandosi come una ragazzina.
Preso così questo film non è niente se non il racconto di una storia di amore totalizzante, con sentimenti autentici, un amore innocuo e ingenuo come tutti gli amori adolescenziali. La storia di amore dei due, questo filo rosso che attraversa tutto il film, serve a raccontare altre storie, come la crisi petrolifera sopracitata, ma anche il sudicio che si nasconde sotto la superficie patinata e luccicante dell'industria teatrale e cinematografica di Hollywood, i patti a cui bisogna scendere per potervi accedere, per poter conquistare la fama. Una storia di amore che allo stesso tempo racconta la decadenza morale, economica e sociale degli Stati Uniti di quegli anni, siamo agli ultimi anni del Vietnam e del governo Nixon.
I due protagonisti sono due sognatori innocenti e quando la realtà si svela per quello che è loro la (ri)fuggono, letteralmente, è un continuo correre. Questa corsa è anche un modo per raccontare la continua attrazione e repulsione dei due protagonisti, attrazione e repulsione raccontate anche attraverso metafore nel film: il camion in retromarcia, la caduta dalla moto, le scene in macchina. Un film in movimento, fisico e meccanico, il secondo grazie a un mix di carrellate laterali, campi medi, primi piani, piani sequenza, scene con camera a mano. Tutto per raccontare questo amore, strambo come è stramba una pizza alla liquirizia. I due hanno 10 anni di differenza, eppure Alana trova la persona che la ama in un ragazzino, l'unico che le offre sincerità e autenticità - forse perché da ragazzini è questo l'amore che possiamo sperimentare e offrire? Forse- mentre tutti gli altri uomini che incontra come il sindaco Wachs (Benny Safdie) o l'attore Jack Holden (Sean Penn) si avvicinano ad Alana solo per alimentare il loro egocentrismo e interessi personali.
Il tutto è condito da una scelta musicale ben studiata: "Life on Mars?" di Bowie è una scelta ben precisa, il film può essere considerato un'allegoria della canzone di Bowie. È una storia di amore, ma è anche la storia di un'America colta in tutte le sue sfaccettature, che si scontrano con la realtà: il sogno americano fallimentare, omofobia, misoginia, razzismo, maschilismo, l'idillio (falso) del self-made man.
È un omaggio alla Los Angeles degli anni '70 come in "C'era una volta ad Hollywood" e anche una storia personale del regista stesso che viaggia nel viale dei ricordi con questo film, nonché la storia quasi vera di Alana Haim e le sue sorelle (tutte nel cast). È una critica all'America degli anni '70 (e odierna), una storia di amore totalizzante come in "La la land" però con un finale totalmente diverso. Se per La La Land abbiamo consumato i dotti lacrimali, con Licorice Pizza usciamo sorridenti. Gli amori adolescenziali non possono finire male, un amore estivo può avere solo un finale da fiaba.
Un finale ingenuo? Scontato? Sicuramente, ma è anche un invito a darsi una fuga temporanea, mentre tutto, al di fuori del cinema dove abbiamo visto "Licorice Pizza", sta andando a rotoli.
(è molto meno ignorante di quanto avevo previsto stamattina e molto più lunga)
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if-tomorrow-never-comes · 4 years ago
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Carl, come definiresti questo tuo primo disco da solista? - Intimo. Raccoglie versi e strofe in cui racconto apertamente me stesso. Al suo interno c'è la mia vita... - Per cui l'associazione tra l'album e "Threepenny Memoir" è inevitabile... - Certo. Il disco può fungere da tappeto sonoro alla lettura. Nel libro ho semplicemente descritto meglio i dettagli. Per questo motivo sono stati pubblicati contemporaneamente… - Perché, per il libro, la scelta di questo titolo? - È un omaggio a Bertolt Brecht… "The Threepenny Opera" ("L'opera da tre soldi", 1928) mi ha colpito in modo significativo: tant'è vero che anche il carattere dei personaggi si riflette abbastanza bene nei passaggi del mio libro… - Potremmo dunque definire il disco un concept? - Sì, anche se devo confessarti che si tratta di un aspetto a cui non avevo ancora pensato… - L'album si nutre di sonorità differenti rispetto a quanto fuoriesce dalle tue produzioni con i Libertines e con i Dirty Pretty Things… Che vuoi dirmi al riguardo? - Ho voluto evitare a piedi pari chitarre distorte e arrangiamenti pesanti: in sintesi, questo è un nuovo capitolo della mia discografia… - Raccontami il concepimento... - Ho iniziato a scrivere il disco nel momento in cui, nel 2008, intuii che i Dirty Pretty Things non avrebbero avuto un futuro… È stato un lavoro lungo, non tanto per l’aspetto melodico, ma per l’assestamento degli arrangiamenti… - Potresti fare una riflessione sui testi? - Descrivono vicende e relazioni di un’esistenza spesa nel rock’n’roll. Nel bene e nel male. Prima di dare vita ai Libertines con Pete (Doherty, ndr), credevo - molto ingenuamente, direi - che quanto si diceva al riguardo fosse pura retorica. Invece è la realtà. Una realtà contorta, perfida, dalla quale è difficile uscire indenni. E vivi, soprattutto. Devi resistere e non cedere. - Il titolo del primo singolo è "Run With The Boys"... - È la ricerca di un compromesso tra due vite parallele: la prima, più produttiva e seria, tenta di vincere la seconda, più dispersiva e scanzonata… - Quali le influenze musicali confluite all’interno dell'album? - Tom Waits, Syd Barrett e Bonnie Prince Billy… - Francamente, sono riuscito a individuare anche il primo Bowie… - È possibile, certo… La sua musica è sempre stata parte integrante della mia vita… - Chi potresti citare, invece, come tuo punto di riferimento musicale assoluto? - Mi sono avvicinato alla musica con i Velvet Underground e i Beatles, per poi scoprire, qualche tempo dopo, Jackie Wilson... Ricordi "Higher and Higher"? - Nel 2005, per la compilation "Under The Influence" (DMC Records), hai dovuto stilare una raccolta di brani che hanno influenzato la tua vita e la tua musica... Riesci a individuarne uno capace di riassumere tutto quanto? - Malgrado non figuri al suo interno, direi "Liberty Ship" degli La’s… - Perché? - In un certo senso descrive un viaggio. E potrebbe essere il viaggio della mia vita… - Quando militavi nei Libertines hai collaborato spesso con l’ex Suede Bernard Butler… Influenze da parte sua? - Ho amato e amo tuttora il suo lavoro, ma non credo vi siano da qualche parte... - Pubblicare tramite la tua label, la Arcady Records, è stata indubbiamente una scelta importante... - Certo. Attraverso una major avrei ottenuto un riscontro economico più elevato, non c'è dubbio, ma non m’interessava: volevo un disco privo di interferenze esterne, mio sotto ogni aspetto... - La Arcady pubblicherà anche altri musicisti oppure si focalizzerà soltanto sulla tua produzione? - Non mi pongo limiti… Forse un giorno mi metterò in gioco anche con altre band, con altri compositori... Perché no? - Credi che la recente live reunion dei Libertines possa (ri)portarvi anche in studio di registrazione? - Non escludo la realizzazione di un nuovo album entro fine 2011. Anche se non ti posso nascondere che dobbiamo ancora trovare il tempo per metterci a tavolino e discutere…
Info: Carl Barât
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micro961 · 2 years ago
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Aria - “A Christmas Letter”
Il nuovo progetto del producer e compositore Mariano Schiavolini
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Un brano corale, dedicato al Natale, alla pace e alle donne, ispirato alle sonorità della Motown. “Christmas letter” è una canzone di Natale, un’invocazione alla pace, all’armonia e allo stare insieme, ma è anche soprattutto un brano dedicato alle donne e ai loro figli.
«Sono moltissime le donne che per motivi differenti si trovano lontane da casa e sono obbligate a rinunciare alla famiglia in un giorno così importante. Penso in particolare a tutte le donne che vivono condizioni di difficoltà, immerse nei conflitti e nel dolore che generano. Questa canzone è dedicata a loro.» Aria
Il testo, nato dalla penna dall’autrice e scrittrice di Cambridge Nicolette Turner, racconta di una mamma militare che è stata inviata in estremo oriente, presso un territorio di guerra, e scrive al proprio figlio promettendogli che farà tutto il possibile per essere presente a Natale e festeggiare insieme. A Christmas Letter, è una fusione tra musica soul e musica classica, con sonorità e arrangiamenti di ARIA che richiamano lo stile di George Gershwin. Lo sottolineano l’uso del clarinetto solista che accompagna la voce della cantante e gli archi armoniosamente dissonanti, tipici della musica atonale e nella musica sperimentale nei primi del 900.  
Il nuovo brano realizzato dal produttore e compositore polistrumentista è stato registrato in South Africa, nel famoso studio di registrazione Downtonw recording studios di Johannesburg, dove è stato girato anche il video. Una seconda parte della produzione è stata invece svolta al recording studios di Los Angeles da Jack Rouben, produttore di Gloria Gaynor, Aretha Franklin, Céline Dion, Earth, Wind & Fire. Alla registrazione del disco hanno preso parte la cantante afroamericana Sherita-o, The City of Prague Philharmonic con il violino solista della violinista Lucie Svehlova, oltre al coro macedone di voci bianche “Heruvimi” e un coro in lingua Zulù. Gli arrangiamenti orchestrali e l’orchestrazione sono stati realizzati da Aria.
Aria è ambientalista e animalista, attivo sostenitore di diverse associazioni, tra le quali Animals Asia Foundation impegnata a porre fine all'allevamento di orsi nelle “fattorie della bile” allevamenti intensivi di orsi tibetani, detti anche orsi della luna, dove tali animali vengono rinchiusi in gabbie strettissime per estrarne la bile, ingrediente utilizzato nella medicina tradizionale cinese. Nel 2013 Aria ha realizzato il sito www.ilvolodellaquila.it, un progetto multimediale che unisce musica e protezione dell'ambiente, in cui propone spezzoni di video sul regno animale accompagnati dalle sue musiche. Usandola come punto di partenza, Aria ha creato una prospettiva toccante e a volte stimolante sugli animali, e il pubblico assiste ai momenti più belli della natura e ai pericoli creati dall'uomo che la minacciano. Con oltre 1,5 milioni di visualizzazioni, il progetto ha riscosso un enorme successo nell'educare sulle questioni ambientali con il potere della musica. Aria è forse meglio conosciuto come membro fondatore della band prog-rock italiana originale Celeste (soprannominata "i King Crimson italiani") ed ha una lunga e ricca storia in varie culture musicali. È un punto fermo del festival musicale di Sanremo, dove vive, ponendosi quale ponte tra il mondo della musica italiana e quella britannica. Il suo personale percorso musicale abbraccia la creazione della principale etichetta discografica rock italiana Dischi Noi (RCA Distribution), arrivando a collaborare con artisti del calibro di Kit Woolven (David Bowie, Thin Lizzy) e Nick Griffits (Pink Floyd, Roger Waters) e Daniel Boone (The Who, Kraftwerk), fino alla produzione di concerti su Rock at Midnight per Italia1 Tv.
Aria è il nome d'arte di Mariano Schiavolini. Il concept e lo pseudonimo del nome sono nati come omaggio agli elementi della natura che ci ispirano a vivere e creare in armonia con ciò che ci circonda. Una volta che si perde il contatto con la natura non si è più sé stessi. Questa connessione, questo legame, è ciò che spinge Aria a dare vita a produzioni che spesso traggono una profonda ispirazione dal mondo naturale. Gli inizi di Aria sono stati molto più con i piedi per terra. Figura chiave della scena rock progressiva italiana e membro fondatore dei celebri Celeste (alias The King Crimson of Italy), Aria ha affinato la sua arte nei generi più sperimentali, collaborando anche con innumerevoli artisti e produttori del suo tempo: Kit Woolven, Nick Griffiths, Pete Hinton, Guy Bidmead, Daniel Boone, Simon Fraser, Dennis Herman e Will Reid Dick, per citarne alcuni. Negli ultimi anni Aria è tornato all'ovile, inserendosi nell'industria musicale con la musica “contaminata”. Con profondi temi lirici come la difficile situazione dei rifugiati in tempo di guerra, la devastazione dell'ambiente e la tragica scomparsa della fauna selvatica del nostro pianeta, fonde argomenti importanti con un melange di elementi musicali, come il rock progressivo, il soul e orchestre dal vivo. Collaborazioni più recenti sono il risultato di un recente viaggio in Sud Africa, dove Aria ha avuto il piacere di registrare con i membri della band della compianta Miriam Makeba, con Thuthukani Cele (di Lucky Dube fama) e il famoso Soweto Gospel Choir.
Lo scorso 22 aprile è uscito sul mercato internazionale, a supporto dell’evento della Giornata della Terra, il brano The next life, facente parte del doppio singolo contenente Lady in white. The next life è una canzone dedicata all’ambiente e agli animali in estinzione, il cui testo è stato scritto dall’autrice e cantautrice di Los Angeles Britt Warner ed ospita l’interpretazione del giovane rapper e ambientalista americano Ray Reed, di Huston.
 Etichetta: Assieme
 Instagram
www.instagram.com/ariathecomposer/
Sito web
www.ariamusicworld.com
 l’altoparlante – comunicazione musicale
www.laltoparlante.it
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bogyfactory · 4 years ago
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Omaggio al Duca Bianco Il 10 gennaio di cinque anni fa moriva David Bowie. L'8 aveva compiuto 69 anni, lo stesso giorno era uscito "Black Star", il suo testamento artistico. Per i fan quella successione è stata uno shock: pochi sapevano che uno dei geni più rivoluzionari della storia del rock era da qualche tempo un malato senza speranze, ma in quel triste giorno del 2016 tutti capirono che quell'addio era stato preparato come l'ultimo atto di un'avventura artistica che ha cambiato il mondo. E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande, quando, ascoltando le note di "Black Star", un album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando nel modo più definitivo il confine tra arte e vita. #davidbowie #ducabianco #bogys50s #bogysrecordstore #aladdinsane # #records #vinyl #vinylcollection #vinile #lp #bogysmodernariart #artrock #glamrock #newwave #soulbianco #luomochecaddesullaterra #lifeonmars #spaceoddity #heroes #caserta #mappamondo #blackstar (presso Bogys Modernariart) https://www.instagram.com/p/CJ3uvYcAiPe/?igshid=7mnlqzvfm95z
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diceriadelluntore · 9 months ago
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Storia Di Musica #326 - Tame Impala, Lonerism, 2012
L’edificio in copertina del disco di oggi (che ricordo è il fil rouge dei dischi di Maggio per questa rubrica) è un particolare di uno degli edifici dei Giardini di Lussemburgo di Parigi. È mostrato sovraesposto alla luce, un po' sfocato in una giornata soleggiata estiva, come potevano farlo le decine di migliaia di turisti in quel luogo quel giorno, ed è opera di Leif Podhajsky, grafico e artista visuale australiano, che decise di editarla proprio come se fosse una foto fatta quasi per caso, mancando il fuoco del soggetto. Con questa copertina, l’artista di oggi voleva esprimere la sottigliezza e spesso l’indifferenza dell’isolarsi contemporaneo, come simboleggia il cancello più a fuoco dell’edificio e del giardino di sfondo. Kevin Parker è stato sin da subito un tipo dalla fervente immaginazione e creatività. Australiano di Perth, sin da giovanissimo inizia a suonare in gruppi rock amatoriali, fin quando non ha un piccolo successo con i Dee Dee Dums, un rock duo dove lui canta e suona la chitarra e Luke Epstein la batteria. È quasi per scherzo che registra in maniera casalinga delle canzoni che pubblica su una pagina di MySpace (ode al leggendario social network), dando a questa idea il nome Tame Impala, in omaggio alla grande antilope africana. Sorprendentemente ottengono un successo per passaparola sulla piattaforma, tanto che una piccola casa editrice australiana, la Modular Recordings, lo scrittura. Parker è “costretto” a ingaggiare altri due musicisti per suonare dal vivo i brani, Dominic Simper (basso) e Jay Watson (batteria). Il 2008 è l’anno del loro lancio: firmano un Ep a nome Tame Impala (sebben la copertina con la scritta la scritta di tre stelle lo fa diventare famoso come Antares, Mira And The Sun) una loro canzone, Half Full Glass Of Wine diviene una piccola hit, suonano come supporter band ai The Black Keys e in numerosi festival, dove il loro suono proto-psichedelico ha un grande successo. Che perdura nel 2009: nuova canzone di successo, Sundown Syndrome, che addirittura è inserita nella colonna sonora del film pluricandidato agli Oscar I ragazzi stanno bene, ancora festival, concerti, critica innamorata di questo suono vintage-moderno peculiare. Nel frattempo Epstein se ne va, e Parker da solo scrive testi e musica del primo (tranne una canzone con Jay Watson), attesissimo, disco dei Tame Impala: nel 2010 viene alla luce Innespeaker, apoteosi di questo gusto del nostro per il rock psichedelico degli anni d’oro (metà anni 60) ma con tocchi pop spiazzanti, ma che funzionano a meraviglia. Disco acclamato dalla critica e dal pubblico, Parker è con il nome di una band una delle nuove sensazioni della musica.
È con curiosità che quando esce nel 2012 Lonerism ci si approccia a questo nuovo lavoro: c’è già chi lo aspetta alla prova del secondo disco modesto dopo un grande inizio. Ma quasi tutti vengono smentiti da un lavoro che prosegue in questo binomio creativo quanto meno singolare tra psichedelia e pop music, ma stavolta lo fa abbandonando le chitarre e il rock per spingersi molto di più sull’elettronica, echi di new wave, accentuando la spinta psichedelica con cascate di tastiere e effetti di sampling. Parker non si nasconde e vuole creare una musica che “sia psichedelica ma che abbia la grazia pop di Britney Spears”. Registrato tra Perth e Parigi, spesso in totale solitudine, solo con il fido ingegnere del suono Dave Fridmann al mixing, il disco si apre con il gioco di campionamenti di Be Above It (quasi un mantra pop), che si ripetono in Endors Toi, in una atmosfera solare, quasi da serie Tv californiana. La stupenda Apocalypse Dreams, primo singolo estratto e una delle canzoni più belle dell’intero repertorio Tame Impala, ha echi lennoniani e un finale che in più punti sembra un omaggio a David Bowie e alle sue esplorazioni spazial-musicali di qualche decennio precedente. La parte centrale del disco è invece quella più marcatamente psichedelica. Nel trittico Mind Mischief, Music To Walk Home By e Why Won't They Talk to Me? si sente il lavoro dietro il mixer di Dave Fridmann, già produttore dell'esordio, ma soprattutto collaboratore fisso di quei pazzerelli dei Flaming Lips. Elephant sfoggia un riff sporco e quasi funk e un determinato assolo di tastiere acide, bellissime sono l'onirica ballata Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control e la quasi marcetta pianistica di marcetta Sun's Coming Up. Discorso a parte merita l’ultimo singolo, Feels Like We Only Go Backwards, che lo stesso Parker ammetterà di aver scritto pensando a Walk In The Park dei Beach House: una sognante ballata power dream pop, che diventerà una delle canzoni dell’anno, usata in film (Divergent del 2011), serie Tv (The Imperfects su Netflix), e spingerà il disco ai posti più alti delle classifiche redatte dalle riviste specializzate come miglior lavoro dell’anno. Anche le vendite sono sbalorditive: solo Feels Like We Only Go Backwards vende un milione di copie tra fisiche e digitali. Nonostante per alcuni sia un divertissement, il secondo lavoro è portentoso per l’accuratezza di certi particolari, per il lavoro di produzione certosino e per la freschezza generale delle musiche, caratterizzate dall'uso spectoresco degli arrangiamenti, dalla stratificazione degli effetti e da una pomposità e magniloquenza che faranno scuola.
Ancora meglio farà Currents nel 2015: scritto, suonato e registrato tutto da solo, molto più dance, virando ancora di più sul pop psichedelico e sul synth-pop, venderà milioni di copie e vincerà il Grammy come Miglior Disco Rock e miglior Disco dell’anno nel 2016, decine di altri premi e scaraventa canzoni come Let It Happen, ‘Cause I'm A Man, Eventually e The Less I Know The Better a miliardi di visualizzazioni sui siti di streaming facendo di un ragazzo di Perth il nuovo Re Mida del pop internazionale.
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queenforeverblog · 4 years ago
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BUON COMPLEANNO DAVID BOWIE! È impresa ardua spiegare tutta l'importanza che questo artista immenso ha avuto (e avrà ancora) sulla musica e sulle arti visive. Per noi fan dei #Queen il suo nome significa Under Pressure, ma anche una delle performance più belle del #FreddieMercuryTribute. E poi ci sono gli inediti, cover e canzoni originali, che David ha registrato con i #Queen a Montreux e che prima o poi speriamo vedano la luce. Oggi ci sarà un grande evento in streaming per rendergli omaggio. Ci sarà anche #AdamLambert. Speriamo anche altre sorprese #queenforeverblog #happybirthdaydavidbowie https://www.instagram.com/p/CJxxrLDMGxS/?igshid=43txjr2waipn
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lbidler · 4 years ago
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GRAZIE @morenodelsignore con @luca.sassi.it e @mei_meeting adoro il nuovo CD “Chamber of Rock”!! Se non lo conoscete è un album “omaggio al rock” in versione acustica riarrangiando in maniera originale grandi classici del rock contemporaneo. Nel disco “Chamber Rock” (in versione CD su Vrec Music Label/Audioglobe) rientrano classici come “High Hopes” (Pink Floyd), “Save a Prayer” (Duran Duran), “Black Hole Sun” (Soundgarden), “Life on Mars” (David Bowie). Completano il disco brani di Depeche Mode, The Doors, Led Zeppelin, Radiohead, Temple of Dog, U2 #chamberrock #rockfautore #vocefuoridalcoro #rock #greatmusic #morenodelsignore #vrecmusiclabel https://www.instagram.com/p/CFR4xlpl0z4/?igshid=cmkhe8yf1dep
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lxqsite · 5 years ago
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http://lxqsite-mag.com/tributo-a-david-bowie/
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redazionecultura · 5 years ago
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moonlightloren · 6 years ago
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Musica sotto le stelle
Morgan and the White Duke
Nuova serata con i piedi nella sabbia di Lignano Sabbiadoro, del bellissimo concerto di Fiorella Mannoia vi ho gia parlato, questa è la volta del folletto della musica leggera italiana Morgan e il suo personalissimo omaggio al Duca Bianco, il compianto David Bowie e le sue canzoni senza tempo.
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Giovedì giornata di ritardi e di stravolgimenti. Prima l’incontro con…
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yesiamdrowning · 8 years ago
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appetite for self-destruction (due pensieri sui Guns ‘n’ Roses).
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Piacciono per come sono stati, ma a me hanno frantumato i cabasisi; a qualcuno entusiasma il fatto che nel corso degli anni non abbiano sprecato un istante a rinnovarsi; altri amano la loro discografia esaustiva, cementificata a una manciata di dischi, confrontandola poi con la dispersività di chi si è messo in gioco o la malinconia di  chi è passato oltre rinunciando a un marchio che fosse un certificato di garanzia; del resto sono pochi i gruppi di rock stradaiolo passati indenni ai cicloni grunge e post-grunge: i Motley Crue hanno fatto qualcosa di buono, Blackie Lawless è riuscito a mantenere un certo appeal per un paio di dischi dopo i fasti dei W.A.S.P., gli Aerosmith, pochi altri, se ne sono fregati perché potevano permetterselo. Molti sono scomparsi o sono stirati nell'oblio. Certo non i Guns'n'Roses. Loro se l'erano già data a gambe quando la barca scricchiolava. Nessuna morte prematura, nessun disco transitorio (a parte quel Chinese Democracy uscito ad acque calme, quando di come suonasse non fregava più di tanto ad anima viva), nessuno sputtanamento. Di più, i Guns sono stati gli unici rockettari a convertire un grunger e non viceversa: il compianto e confuso Scott Weiland. Tutti felici - ma anche no. C'è stato detto che avessero litigato. C'è bastato perché eravamo tutti impegnati a sentire molto altro per stare là a preoccuparci di come avrebbero suonato dopo i due Use Your Illusion. Sticazzi. Per decenni non si è riusciti a concepirli diversi da quello che sono stati, ma forse chi sa, a loro sarebbe anche piaciuto. Immagino che a un Duff McKagan, dopo anni passati a indossare t-shirt di gruppi punk, un inasprimento del suono non avrebbe fatto schifo. Se a Slash avessero detto che per cinquant'anni avrebbe indossato lo stesso cilindro forse avrebbe cercato un altro rimedio per la timidezza (“Non riesco a guardare in faccia la gente. Per questo metto il cilindro fino a nascondere gli occhi”, altro che rock and roll). Né forse la critica ha dato peso alla richiesta d'aiuto che era The Spaghetti Incident?. Perché in quelle cover almeno in parte c'avevano visto lungo, ma si sa che i critici la metà delle volte non ci capiscono niente e l'altra hanno gusti di merda. Del resto che ne potevano sapere, che nelle versioni di Look at Your Game, Girl di Charles Manson e di Buick Makane dei T-Rex c'erano i prodromi di quella che sarebbe stata certa “new-psichedelia” e “weird-folk” vent'anni dopo, che ne potevano sapere che rifare un pezzo doo-wop dei Skyliners, Since I Don't Have You, e piazzarlo come singolo anticipava con coraggio il guizzo retrò di vari Amy Winehouse o Bruno Mars. Altro che immobilismo e ottusità. Ma si parlò di “omaggio ipocrita” di un gruppo che “ormai ha più chance con le cover che con gli originali” e il pubblico, come sempre, gli andò appresso. D'altronde in tanti i G'n'R li danno vincitori solo quando si riempiono di cliché ed è perciò buona parte dei piani alti gli farà pressione da sempre per restare fermi come statuine: come si potrebbero permettere, loro che hanno portato oltre 20 milioni di copie nelle casse della Universal, con un produttore come Mike Clint, che lavora con loro e con Britney Spears, o un regista come Andy Morhan, dietro la cinepresa per Michael Jackson, sempre capaci di travestire la loro reputazione di razzisti, sessisti, vandali, drogati e disperati in qualcosa di appetibile e languido; loro che sanno sempre sbeffeggiare i nemici, colleghi e avversari senza andare per il sottile come d'uopo per il canovaccio del genere; che piacciono a un numero così vasto di persone da incarnare in sé il concept stesso di un certo tipo di rock orfano tanto dei casini del primo Morrison (all'epoca girò pure una leggenda secondo cui Axl fosse Jim) quanto dei deliri dei Sex Pistols; come potrebbero permettersi di voler fare altro, quomodo? Si capisce lontano un miglio che queste colonne del passato discografico mondiale rifiutino l'idea che vadano oltre: sarebbe come darsi una zappata sui piedi, andando contro quell'idea scolpita nella mente milioni di aficionados. Meno si capisce perché mai ci si ostini a non accorgersi, o a fare bene finta, che il tempo passa e pure le idee, i principi, il linguaggio e anche le estetiche cambiano e con quest'andazzo pigro e immutabile non sarebbero andati da nessuna parte nemmeno i Led Zeppelin. E' cambiato pure il rock, passando dal rap all'elettronica all'avanguardia e attualmente attestato sul concetto (seppure vago) di “indipendenza”, e ha ripudiato gli assolutismi, ha tagliato molti cordoni ombelicali, poi persino i capelli, si è riempito di esterni e purtroppo talvolta si è fatto sorprendere a sguazzare nella merda, azione considerata erroneamente patrimonio esclusivo di certo pop briccone troppo spesso in classifica e non abbastanza in sala prove.   Ecco quindi che ai Guns, così come a gran parte del loro pubblico, composto in gran parte da luoghi comuni viventi, non resta che il ruolo dei rimastini. Bravi mestieranti imbolsiti dagli anni e costretti dai tempi di intontimento musicale a (re)inventarsi una versione musicale per questa era, scissa tra retromania e apatia, oramai vistosamente incapace di guardarsi allo specchio e tanto meno dentro. E' la crudeltà di questi tempi che faticano ancora a essere realmente moderni, e riciclano tutto il riciclabile coperti da una critica massimamente tarocca, senza che nulla cambi e pazienza per il precipizio. Lo showbiz ama i Guns e i miei amici anche, pure quelli a cui basterebbe vedere al passato che hanno vissuto ed esperito, che potrebbero sfrondare il reale dal magnetismo mitologico ma al contempo ne subiscono il fascino dell'impalpabilità storica (“Leggende viventi”, si dice di loro). Si dibattono tutti assieme appassionatamente dentro uno stravolgimento della realtà, andando oltre il senso stesso di vintage, dando idea di esser intrappolati nel loro mondo, nelle loro fantasie fatte di ancheggiamenti, groupies con i fuseaux leopardati, vecchi locali e canzoni che (soprattutto dal vivo) non suonano come una volta. Come quelli che si cotonano i capelli per andare a vedere i Cure, con l'aggravante che i Cure almeno continuano a sfornare dischi, riusciti o meno, che danno un senso di continuità a una storia nata altrove che cerca di rimanere (a galla) nella memoria comune come significativa senza mandare a monte tutto con operazioni Amarcord che oggi hanno più del freudiano (il riconoscimento di sé, la fissazione, la rimozione, etc.) che del musicale e men che mai dell'artistico. Quando ero piccolo ho vissuto il boom dei Guns 'n' Roses; quello dal 1987 al 1991. Ero alle medie e mia sorella decise che il volto di Axl potesse essere il giusto contraltare ai brutti ceffi attaccati dal mio lato di cameretta. Ricordo che una delle sue prime cotte fu per un tipo strabico che però sapeva suonare  Patience; diceva avesse lo “strabismo di Venere” e la cosa faceva sorridere pure mia madre. Ricordo scuse per andarli a sentire dal vivo a Torino e la diretta radio da Parigi dove Slash suonò il tema de Il Padrino con la chitarra, ricordo come il Freddie Mercury Tribute si trasformò in un loro concerto dopo quella Knockin On Heaven Door di Dylan che divenne più celebre dell'originale - con buona pace di ospiti come David Bowie e degli stessi Queen. La prima volta che vidi un loro video avevo dodici anni, andai a nuoto con uno strano senso addosso, ero attratto da un suono così rovente e ammiccante, da un cantato miagolante che sembrava ancora più vizioso di quello di Robert Plant; ciondolai fino alla piscina con una salopette di jeans indegna, come un idiota che si crede, chi sa perché, un piccolo delinquente. Quando uscì Garden Of Eden, uno degli ultime estratti da Use, tra i video in rotazione su Mtv c'erano Freedom dei Rage Against the Machine, Prison Sex dei Tool e Insane In The Brain dei Cypress Hill. Era il 1993 e i Guns 'n' Roses già apparivano vecchi, fuori luogo e fuori fuoco. La macchietta di uno stile di vita e di musica, il rock and roll, ancora troppo veloce e furioso per essere ingabbiato senza apparire ridicolo. Se ne stavano lì, con il solito cucuzzaro fatto di bandane e pantaloni di pelle, con una presunzione degna degli Stones ma senza essere gli Stones e soprattutto senza aver prodotto il decalogo prodotto dagli Stones dal 1964 al 1972. Che William avesse deciso di chiamarsi con l'acronimo di “Oral Sex” e Saul fosse sferzante come una “Frusta”, a quel punto, non faceva nemmeno più scalpore. Nel 1993, figuratevi nel 2O17.
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lanimadellamosca · 6 years ago
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Torino non è Warszawa
Riascolto Stage e scopro che è cantato in italiano e che parla di Torino: perché Bowie, come Nietzsche, vi ha soggiornato per un breve periodo. Il fatto che non me ne sia accorto prima mi fa pensare a quanto si è superficiali da giovani, mentre sorveglio qualcosa che cuoce in pentola.
Bowie canta di una ragazza che esce di casa al mattino per andare a scuola, in una Piazza Arbarello inondata dal sole; in un coro finale che mi richiama le inuit di Björk, fa un omaggio a Domenico Modugno citando Nel Blu Dipinto di Blu.
Piazza Arbarello è diventato un ricordo: son tornato a casa, il piano della cucina è stranamente alto o io sono più piccolo. Di là in camera da letto c’è qualcuno, forse malato: mia madre? Mia sorella? La cucina è inondata di luce, l’aria è luminosa, di quella luminosità che solo il riverbero del mare può dare.
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(Sopra, Warszawa, intro dello Stage Tour da cui fu tratto il doppio LP Stage. Torino, Piazza Arbarello, la ragazza che va a scuola in una atmosfera solare, la citazione di Volare, vi fanno da contraltare. Come la luce che inonda la cucina lo fa a chi sta di là in camera, mentre sorveglio quel che cuoce in pentola ed ascolto musica.)
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