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Alessandra Celletti reinterpreta David Bowie: il ritorno di "Letter to Hermione"
Una versione intima e minimalista per celebrare il 55° anniversario di una gemma musicale, anticipando il nuovo album "Stop femicides"
Una versione intima e minimalista per celebrare il 55° anniversario di una gemma musicale, anticipando il nuovo album “Stop femicides”. Alessandra Celletti, pianista e artista romana, ci trasporta in un viaggio evocativo attraverso la sua reinterpretazione di “Letter to Hermione” di David Bowie. A cinquantacinque anni dalla sua pubblicazione, Celletti rende omaggio a uno dei suoi artisti…
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Storia Di Musica # 342 - The Beach Boys, Pet Sounds, 1966
Per cause di forza maggiore, loro che sono stati i sovrani delle copertine con le spiagge non sono comparsi tra le scelte del mese scorso. Ma si rifanno con i fiocchi nell'ultimo appuntamento dei dischi di band con più di due fratelli. I congiunti della band di oggi sono tre, Brian, Dennis e Carl Wilson, a cui si aggiunsero un cugino, Mike Love, e il compagno di liceo di Brian, Al Jardine che formano la line up originale di uno dei gruppi più importanti della storia della musica occidentale, The Beach Boys. In seguito, nel 1964, dopo che Brian Wilson si prese una pausa almeno dai concerti per problemi di salute, dopo una serie clamorosa di 12 album usciti nei primi quattro anni (1960-1964) si aggiunse la star della musica country, e già collaboratore musicale dei nostri, Glen Campbell. Questi nel 1965 lasciò in maniera fragorosa il gruppo e fu sostituito da Bruce Johnston, che suonava le tastiera e come gli altri era bravissimo a cantare.
I Beach Boys non solo sono uno dei gruppi più di successo nella storia (si calcola in 400 milioni di copie le vendite totali di tutte le loro pubblicazioni), 36 singoli nella Top 40 statunitense e 56 nella Top 100, 4 numeri uno, ma sono tra i pochi che hanno non solo segnato l'immaginario musicale, ma hanno creato un genere, il surf rock, che ha portato la California ad essere la meta dei sogni degli anni '60 dei giovani di mezzo mondo.
La storia del disco di oggi tuttavia inizia quando, nel dicembre del 1965, dopo il successo di Barbara Ann, uno dei loro brani iconici, Brian Wilson ha tra le mani Rubber Soul dei Beatles, uscito qualche settimana prima. Rimane affascinato dalla coerenza del disco, dal fatto che è composto solo di brani autografi e dal suono fresco e coinvolgente che i quattro di Liverpool furono capaci di fare. Si mette in testa di realizzare "il più grande disco rock mai realizzato". Manda gli altri in tour nelle Hawaii e in altre zone dell'Oriente e inizia a lavorare a questo progetto. Chiama un pubblicitario, Tony Asher (che diventerà un fido collaboratore futuro) a scrivere dei testi, organizzandosi così: lui dava ad Asher delle idee generali, Asher li trasformava in testi. Brian Wilson, a cui non mancavano tempo e risorse, continuò a lavorare su questo progetto per altri 5 mesi, un'enormità rispetto ai ritmi di un disco ogni 2 mesi fino ad allora mantenuto. Spese 75 mila dollari, una cifra spaventosa all'epoca, per le registrazioni, con un'orchestra intera, i migliori musicisti sulla piazza anche di musica classica e di jazz (gruppo che arrivò a contare 75 persone, soprannominato The Wrecking Crew) e un'idea musicale che si ispirava al wall of sound di Phil Spector: Wilson creò prima le basi con l'intera orchestra che suonava dal vivo, per poi aggiungere le parti vocali. Proprio come Spector, Wilson fu un pioniere dell'uso dello studio come strumento: esplorava le nuove combinazioni di suoni che emergevano dall'uso simultaneo di diversi strumenti elettronici e le univa alle voci con eco e riverbero. Spesso raddoppiava le parti di basso, chitarra e tastiere, accorpandole con suoni di strumenti insoliti per inventare nuovi sound, spesso usando novità assolute per la prima volta: nella sua orchestra insieme ai violini, ottoni, pianoforte, clavicembalo, armonica, fisarmonica, sassofono, flauto, clarinetto, vibrafono, triangolo, marimba, tamburello, campanelli, due bassi, chitarre, batteria, percussioni varie c'era, per la prima volta su un disco pop, una variante del theremin. Wilson registrò tutto, e attese gli altri solo per le parti vocali e per qualche aggiunta strumentale. Ma la reazione degli altri fu niente affatto entusiasta: il più arrabbiato fu Mike Love, che impaurito che questo distacco dal suono familiare della band potesse essere un fiasco disse "Chi ascolterà questa merda? Le orecchie di un cane?", da cui Wilson in maniera beffarda scelse il titolo a questa opera, Pet Sounds.
Uno degli album più importanti di tutti i tempi esce nei negozi il 16 maggio del 1966, in copertina delle foto scattate allo Zoo di San Diego dopo che fu scelto il nome, con le caprette che mangiavano bocconcini dalle mani dei nostri. Eppure il primo brano, divenuto celeberrimo, era molto rassicurante: Wouldn't Be Nice non si scosta tanto dal suono "surfin'" del repertorio precedente, ma è quasi un gioiello canoro per sviare dal resto, fatto di brani dove la stratificazione musicale e vocale arriva a vette insuperate, come nei primi singoli Caroline, No (che nasce da un errore, Asher scrisse Caroline, I Know, ma Wilson sbagliò a cantare il testo), dolente e malinconica, e da Sloop John B, in origine un vecchio brano folk tradizionale caraibico delle Indie occidentali, intitolato The John B. Sails, portato al successo dal Kingston Trio: Al Jardine, grande appassionato di musica folk, fece sentire la melodia a Brian, che prima in maniera timida, poi più convinto, ne fece una cover cambiando anche leggermente il testo. Il disco è dominato dalla malinconia, nelle memorabili Don't Talk (Put Your Head On My Shoulder), I Know There's An Answer, I'm Waiting For The Day. Ma c'è un aspetto più sottotraccia, che lo stesso Love anni dopo userà per attaccare Brian, e cioè l'uso dell'LSD come "motore ispiratore", che non fece altro che sprigionare tutto "l'ego" di Wilson: tra l'altro i brani, pur se nei crediti hanno i nomi dei vari componenti, furono tutti opera di Brian, che concesse agli altri solo minime correzioni. Non si può lasciare in questo disco altre due perle, una che c'era, e l'altra che all'ultimo momento fu scartata. God Only Know, quella che c'è, è una delle primissime canzoni a far comparire Dio nel titolo, uno dei pezzi più sofisticati, per melodia e orchestrazione mai registrati su un disco pop; Good Vibrations, che non c'era, fu concepita per essere una sorta di "sinfonia tascabile: registrata secondo la leggenda in 26 take, con le più sofisticate tecniche dell'epoca, sembrava pronta, ma all'ultimo momento Brian decise di scartarla, non ancora contento. Ci lavorò ancora per mesi, finchè non uscì come singolo nell'ottobre del 1966.
Il disco è una pietra miliare: presente in tutte le classifiche dei dischi più importanti di tutti i tempi, fu un pugno nello stomaco. Come preannunciato da Love, il disco fu di minor successo commerciale, ma fu il motore creativo che Wilson si preannunciava. I Beatles, sentito Pet Sounds, si innamorano di questa idea di album totale, e l'anno successivo sfornarono Sgt. Pepper's And Lonely Hearts Club Band. Wilson, così fiero del suo lavoro, ascoltando il capolavoro dei Beatles, e così follemente innamorato di quella musica, decise di raccogliere nuovamente la sfida, spronato a rispondere a quell'opera d'arte. Ma quel progetto, Smile, lo portò ad una sorta di esaurimento nervoso che ne segnerà la carriera. Una sfida alla perfezione che in quel momento lo vide soccombere: riprenderà quel progetto solo quasi 35 anni dopo, pubblicandolo nel 2011.
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"Solitudine, l’unico status mentale, spirituale e, talvolta, necessariamente fisico, in cui si riesce ad ottenere un contatto con l’assoluto, dentro di sé o fuori di sé stessi. Intendo la solitudine come scelta, non l’isolamento, che è sinonimo di abbandono e, quindi, di una scelta operata dagli altri.
Personalmente, mi considero una minoranza di uno e, spesso, trovo, nella solitudine, il modo migliore, forse l’unico, per preservarmi da attacchi esterni tesi anche inconsapevolmente ad interrompere il filo dei pensieri o a disturbare le sempre più rare vertigini di qualche sogno. Aggiungo che riuscendo a vivere in solitudine, se ci si esime dall'essere condizionati dal ronzio collettivo, ci si esenta anche dal condizionare gli altri".
Fabrizio De André
Fabrizio De André è stato un noto cantautore e poeta italiano. Nato il 18 febbraio 1940 a Genova. Si è distinto per le sue canzoni che parlano di tematiche sociale, politiche, toccando le corde dell'anima delle persone. Tra i brani iconici: "Bocca di Rosa", " La guerra di Piero" e "Creuza de ma". La sua voce unica è riuscita ad ammaliare e far sognare fiumi di generazioni.
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I Cure possono tranquillamente essere etichettati come il prototipo del gruppo “dark” o “goth”; nel diventare così iconici ci suggeriscono una cosa: che sono diventati icona a livello universale. Si può essere iconici all’interno del proprio mondo ma si può diventare iconici per tutti, anche per chi quel mondo non lo bazzica né lo conosce. Ma significa che da quel mondo è arrivato un segnale di riconoscimento. Probabilmente la maggior parte delle persone che non appartengono al mondo new-wave vi diranno che conoscono in Cure per almeno due brani che appaiono in The Head on the Door; ed è molto curioso il fatto che questo disco, del 1985, sia diventato uno dei paradigmi della band dark per antonomasia pur essendo uno dei dischi meno cupi e dark dei Cure. Molto probabilmente i brani sono "Close to Me" e "In Between Days"; il primo caratterizzato da quel fresco e scherzoso video che ci ha fatto rivedere noi stessi da adolescenti alla ricerca del vestito miglior prima di uscire al sabato pomeriggio dopo la scuola, con tutti i nostri colori e incertezze. "In Between Days" è una canzone d’amore che si canta a squarciagola saltando e pogando (come abbiamo fatto tante volte al Norman di Perugia) ed è diventato uno dei brani della colonna sonora di qualsiasi adolescenza degli anni ’80.
"The Head on the Door" è un disco fresco, colorato e caleidoscopico, influenzato dalla musica rock e new wave di metà anni ’80 (tanto da Kaleidoscope dei Banshees, o da Dare degli Human League) che anche se aveva un cuore dark poteva avere anche un albume new romantic e un guscio soft-rock. A metà anni ’80 si potevano ascoltare sia i Duran Duran che "China Girl" di Bowie. Nel coloratissimo, incoerente, spettinato decennio degli anni ’80 ciò che era visuale era portato all’eccesso: dai capelli al make-up. Si potevano avere i capelli tinti di nero e gli occhi sbavati di matita pur indossando un kimono o una gonna a fiori. Il kitsch, l’esotico e il pittoresco si fondono insieme come in una nuova rinascita di un improbabile rococò musicale. "Kyoto Song" parla proprio di suggestioni orientali mentre "The Blood" sforna addirittura chitarre flamenco e armonica a bocca. Bella in modo stupefacente "Six Different Ways", quasi da suggestioni baleariche e vicinanze verso Kate Bush. "Push" è un brano che richiama musicalmente "In Between Days", potrebbe essere una sorta di suo opener ed ha una dimensione live davvero importante, con quel tipico modo di suonare la chitarra che ha Robert Smith, che ha contribuito a quell’iconicità di cui si diceva prima e sta bellamente in primo piano proprio perché il periodo storico lo richiede. "The Baby Scream" ci ricorda i primi Cure, una loro versione più aggressiva ed abrasiva, quasi in chiave The Chameleons, anche se le schegge e le impurità sono puntualmente levigate da un tocco di pianoforte o dalla produzione. "Screw" è quasi una punk-funk song, a riprova di quanto in quegli anni, dentro ad un album, c’era tutto e il contrario di tutto, pur mantenendo un filo-conduttore. "A Night Like This" e "Sinking" sono fra i picchi più alti per chi ricerca ancora il lato più oscuro ed intimo nei Cure. Pazzesca la traccia conclusiva, col basso in primo piano e le sue orchestrazioni. Questo brano apre letteralmente lo spioncino sugli anni ’90, sugli Everything but the Girl, The Orb e su tutta una serie di musica inglese e di influenze che entreranno nel trip-hop. Mi piace tantissimo pensare che alcune sonorità escano dalla porta laterale di un concerto a Brixton entrando nella porta sul retro di un club hip-hop che sta sulla strada successiva. Queste sono le contaminazioni che hanno fatto parte delle nostre serate dance nei locali rock dei nostri vent’anni; queste sono le contaminazioni che hanno musicato il nostro immaginario personale diventando immaginario collettivo. Questi sono gli anni ’80.
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Recensione : Se Guardassimo nel Cuore di Jimin, Questo È Ciò che Troveremmo | 30.11.23⠸
🌟 Weverse Magazine 🗞
Se Guardassimo nel Cuore di Jimin, Questo È Ciò che Troveremmo
__ Recensione del "Jimin's Production Diary __
__ di RANDY SUH | 30. 11. 2023
Twitter | Orig. KOR
Se dovessi descrivere Jimin in una parola, userei “accattivante”. Ha un aspetto ammaliante ed è un ballerino fantastico, ma ciò che apprezzo di più di lui è il modo in cui canta. La sua voce è diabolicamente seducente. La sua impronta canora è unica, delicata come il tratto raffinato di una penna ad inchiostro, eppure risoluta, e trovo ci sia una tumultuosa bellezza in tutto ciò— il tipo di carisma che non passa inosservato. Qualsiasi sia il brano che sta cantando, la sua voce vi dona quella che potremmo descrivere solamente come luce. Che si tratti di un leggero luccichio come di stella nel firmamento o di un lampo improvviso. Alla canzone “Angel Pt. 1”, colonna sonora dell'ultimo film della saga Fast & Furious, Jimin riesce a portare come una scossa improvvisa, anche se il suo a parte pentatonico non fa che ripetere la stessa melodia più e più volte. Ma quello è il potere della sua voce.
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I 10 anni di carriera di Jimin sono costellati da una serie di momenti mozzafiato ed iconici: la coreografia “333” al minuto 3:33 del video musicale di “FIRE”; i delizioso triplo attacco all'inizio di “Blood Sweat & Tears” rappresentato dai suoi passi di danza, la sua voce e la sua espressione facciale; le sue movenze, pari allo sfarfallio delicato di petali di ciliegio, in “Spring Day”; l'espressività della sua struggente performance in “Black Swan”; le varie esibizioni preparate per cerimonie di premiazione e spettacoli di fine anno come la cover di “Perfect Man” e la sua danza con i ventagli. Nel mondo idol, Jimin è un vero e proprio maestro ed è considerato uno degli artisti pop più grandi di questa generazione. Il modo in cui sa illuminare il palco, come per magia, è talmente impressionante che se effettivamente nel mondo idol esiste un ideale artistico cui aspirare, Jimin sicuramente lo ha già raggiunto.
Ma per arrivare a questo livello di perfezionismo, è evidente Jimin abbia dovuto fare i conti sia con le sue insicurezze che con l'impazienza. Se guardiamo ai vecchi filmati di retroscena delle sue esibizioni soliste e dei grandi eventi di fine anno, Jimin appare spesso angosciato - prima, durante e dopo la performance. E questo nonostante quelle fossero proprio le esibizioni che hanno suscitato maggiore entusiasmo. In un recente episodio di SUCHWITA con ospite TAEMIN (in cui Jimin fa un'apparizione a sorpresa), SUGA ha detto che quando Jimin sta per salire sul palco, gli altri membri dei BTS sono soliti “guardare e pregare [per lui]! Del tipo, ‘Ti prego, Jimin, cerca di non agitarti’.” Nonostante le performance di Jimin siano già assolutamente magnifiche, l'artista si pone standard sempre più vicini alla perfezione, caricandosi di tantissima pressione. È per questo che, a suo dire, sulle prove e le esercitazioni pratiche non transige, devono essere più che abbondanti. Ma questo suo perfezionismo sicuramente è un'arma a doppio taglio: è ciò che gli permette di allestire esibizioni mozzafiato, sì, ma è anche causa di una terribile ansia che non fa che consumarlo.
Con l'inizio del Secondo Capitolo dei BTS, Jimin ha rilasciato l'EP FACE, il suo primo album solista. Viste le traccie soliste scritte e pubblicate precedentemente nei progetti di gruppo, ciò che mi aspettavo dal suo EP erano brani similmente belli e coinvolgenti. Ma FACE è stata una vera e propria sorpresa, al di là di ogni aspettativa. Le canzoni non sono state commissionate individualmente a diversi autori, ma composte da un gruppo compatto di tre produttori – nell'arco di 10 mesi – in quello che è stato un processo creativo piuttosto intimo ed affiatato. Il risultato è stato un disco che, come suggerisce il titolo, offre uno sguardo al volto più naturale e vulnerabile di Jimin. Questo suggerisce anche che l'artista ha finalmente trovato le forze per fronteggiare le proprie insicurezze, la trepidazione e le difficoltà che possono sorgere nelle relazioni interpersonali, dalle quali, fino a quel momento, si era lasciato sopraffare.
Il Jimin’s Production Diary è un documentario - rilasciato su Weverse – che parla nel dettaglio del processo creativo seguito dall'artista. Come per l'album, il titolo di questo documentario è più che diretto ed esplicativo. Questo progetto, che rappresenta il presupposto creativo per la carriera solista di Jimin, ci mostra dunque chiaramente che lui non è solo un ideale artistico per giovani aspiranti idol o un interprete dal fascino diabolico, ma anche un essere umano: Jimin si è formato nei BTS, d'altronde, ha studiato musica, sì, ma anche come interagire con le/i fan, proprio alla maniera dei BTS, insomma.
Con il rilascio di FACE, Jimin è diventato il 3° membro dei BTS a contribuire al Secondo Capitolo del gruppo, nonché il 1° della vocal line. La rap line dei BTS è formata da RM, SUGA e j-hope, mentre la vocal line comprende Jin, Jimin, V e JungKook. Nonostante la suddivisione in questi due gruppi non sia poi così categorica, l'idea originaria per il gruppo vedeva i rapper concentrarsi sull'hip-hop ed i vocalist mirare ad un'immagine più simile a quella degli idol dei primi anni 2000. In un esperimento senza precedenti – almeno per il 2013 – unire questi due lati, la musica idol e quella hip hop, ha già portato ad una prima, elettrizzante reazione chimica.
Nei primi anni di gruppo, il compito di scrivere musica era per lo più responsabilità della rap line. Ancor prima del Secondo Capitolo, ognuno dei rapper aveva, dunque, già rilasciato minimo una mixtape e preso parte alla produzione album per i BTS. Dal canto suo, la vocal line ha dato il proprio apporto sia attraverso la stesura di alcuni testi di gruppo che il rilascio di tracce individuali. Ancor prima dell'evolversi del loro Secondo Capitolo, dunque, i membri dei BTS avevano già in programma di produrre e pubblicare delle mixtape soliste. E questa nuova fase delle loro carriere sembra aver presentato loro un bivio: pubblicare un progetto individuale di propria produzione, come una mixtape, o fare altrettanto ma con un po' di aiuto dall'esterno. Nel Commentary filmato per il suo documentario, Jimin ha confidato che l'idea che sta dietro all'album era mostrare tutto il suo potenziale in quanto idol.
Tuttavia, alla fine Jimin ha optato per scrivere musica che lo rappresentasse nel suo insieme [*e non solo come idol]. È sul finire del 2018 che ha pubblicato la sua prima traccia solista in acustico, “Promise”. Durante un V LIVE, successivo al rilascio, Jimin ha confidato che lavorare a quel brano lo ha aiutato a liberarsi di alcune emozioni che si teneva dentro da tanto. E FACE, in un certo senso, segue lo stesso principio, diventandone una sorta di sequel.
Ora che tutti i membri dei BTS hanno rilasciato i propri progetti solisti, possiamo constatare che Jimin è stato il primo e solo dei ragazzi della vocal line a pubblicare un album disvelativo insieme ad un gruppo ristretto di produttori.
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Credevo il processo creativo dietro ad un lavoro simile fosse stato fonte di considerevole stress e che l'avesse messo sotto pressione, ma il Jimin che ho visto nel suo Production Diary non mi sembra poi così turbato. Ovvio, questo tipo di progetto ha le sue difficoltà – e sono evidenti nel documentario – ma è altrettanto ovvio quanto Jimin sia felice e si sia divertito. Nel Jimin's Production Diary, vediamo l'artista impegnarsi seriamente sul lavoro insieme ad un gruppetto selezionato di persone di fiducia, invece che il mordi e fuggi di incontri con tante persone diverse, tipico di questo genere di progetti. Uno dei temi portanti dell'album di Jimin è la delusione che accompagna talvolta le relazioni interpersonali. Al contempo, però, l'artista sembra realizzare che è proprio grazie alle relazioni col prossimo che ha trovato la forza di andare avanti. Lo vediamo, infatti, tutto contento ballare insieme ai produttori sui beat cui stanno lavorando, ed esclamare pieno di entusiasmo quanto si sta divertendo. La parte migliore è proprio seguire man mano il membro dei BTS nella sua scoperta del piacere musicale. Nonostante la maggior parte del tempo lo si vede in luoghi mondani—come il suo salotto, l'appartamento del produttore Pdogg (che praticamente è diventato anche un po' casa di Jimin), lo studio presso la Hybe o la sala registrazioni—emotivamente parlando, Jimin sembra attraversare l'intera gamma emozionale umana, dimostrando d'essere più che un semplice cantante.
Il documentario ci offre anche uno sguardo su chi sono le altre persone che hanno aiutato a fare di FACE una realtà. I produttori della BIGHIT MUSIC, Pdogg e GHSTLOOP, ed EVAN compaiono praticamente in ogni scena, ed il modo in cui i quattro sono sempre seduti insieme a discutere e scambiarsi idee, procedendo poi a trasporle subito in note e testi, ricorda un po' il fare musica di una band. Dopo aver praticamente vissuto insieme per 10 mesi, Jimin ha addirittura rinominato il gruppetto come la Smeraldo Garden Marching Band, durante il gioco a quiz relativo al documentario. La BIGHIT MUSIC non è nuova a questo tipo di produzione completamente in proprio, specialmente in momenti cruciali—come nel caso di “FAKE LOVE”, ad esempio, il singolo principale dell'album dei BTS, LOVE YOURSELF: Tear (2018). È proprio questo il motivo per cui la musica dei BTS solitamente viene percepita come più ermetica ed introspettiva rispetto all'approccio usato tipicamente per il K-pop – i cui riconoscimenti presentano lunghe liste in cui compaiono tuttə coloro che hanno partecipato alla stesura dei brani ed un ampio catalogo di personale reclutato appositamente per il progetto. Il che è ancor più interessante e significativo, se consideriamo che l'album di Jimin è arrivato primo su diverse classifiche, inclusa la Billboard Hot 100.
Nel documentario, appaiono anche gli altri membri dei BTS. RM, ad esempio, entra in gioco quando il gruppo si trova in difficoltà con la prima parte del testo della title track, dà loro qualche saggio consiglio e poi esce di scena. RM aiuta Jimin a mettere ordine nelle sue emozioni, una volta trasposte su carta: “La cosa più importante è l'intenzione che sta dietro la canzone” dice, spiegando poi che un artista, innanzi tutto, deve essere ben consapevole e sicuro di ciò che vuole trasmettere; “Credo ci sia bisogno di una traccia, una storia” aggiunge, reiterando l'importanza fondamentale della narrazione; “Prova a buttare giù una bozza”, consiglia. JungKook, poi, compare in “Letter” - traccia dedicata alle/i fan – prestando, come sempre, un'incredibile performance nel ritornello. Un altro dei membri a comparire nel documentario è j-hope, il primo ad aver pubblicato musica individuale nel Secondo Capitolo dei BTS, con il suo album Jack In The Box. J-hope mostra il suo supporto, dando dei buoni consigli a Jimin nel momento in cui quest'ultimo sembra più incerto rispetto all'imbarcarsi per la prima volta in questa monumentale avventura solista: “Provaci. Fai questo tentativo, così poi vedrai” come si fa e su cosa concentrarsi per la prossima volta. Inoltre, nel video Commentary scopriamo anche che “Set Me Free Pt.2” si intitola così perché inizialmente SUGA avrebbe dovuto partecipare come rapper, e quindi il nome era un riferimento a “Interlude: Set me free”, una delle tracce della sua mixtape, D2.
Ciò che traspare chiaramente – e a più riprese – dal documentario è la tenacia di Jimin. Anche quando lo vediamo passare tutta la notte a contorcersi disperato nel tentativo di buttar giù dei buoni testi per il suo primo album, Jimin rifiuta di darsi per vinto. Proprio come prova e riprova le coreografie fino allo sfinimento, quando si tratta di scrivere canzoni, tiene duro fino alla fine. Ma la differenza principale rispetto al ballo, è che con i suoi testi non c'è dubbio Jimin si sia trovato faccia a faccia con le proprie emozioni e che abbia dovuto affrontarle. Nel Commentary, Jimin dice di essersi sentito un po' come un ragazzino “che tiene con costanza un diario personale” e tramite questo progetto ha potuto “mostrarne qualche pagina, una parte di me”. È un commento fatto con leggerezza, ma la sfida che ha dovuto affrontare con se stesso è evidente nel modo in cui dice “con costanza.”
È cosa risaputa che ognuno dei membri dei BTS adora esibirsi. Ed il motivo principale per il brivido e l'entusiasmo che provano sul palco è la presenza delle/gli ARMY. Quando scrivono musica, è in previsione del momento in cui potranno ritrovare il loro pubblico o arrivare ai cuori degli/lle ascoltatori—in altre parole, potremmo dire che si tratta di un esercizio di resistenza in previsione della futura gratificazione. A quanto sappiamo, quando il mondo ha dovuto chiudere i battenti a causa della soffocante pandemia da COVID-19, Jimin ha attraversato il periodo più difficile di tutta la sua carriera. Ma, ancora una volta, se l'è tenuto per sé – di propria volontà ed iniziativa – e questo, in un modo o nell'altro, gli ha poi permesso di creare FACE. Non è facile guardarsi dentro ed affrontare chi si è veramente. Non c'è dubbio, quindi, che dover andare a ripescare momenti emotivamente difficili per riviverne le sensazioni e poterne cantare sia doloroso. E sebbene non sia obbligatorio riversare tutta la propria anima nella musica, è proprio ciò che Jimin ha scelto di fare, e di farlo con estrema onestà—proprio come ha fatto RM con la sua mixtape omonima e SUGA con Agust D, quando i BTS erano relativamente ancora alle prime armi. Era qualcosa di cui sentivano il bisogno.
Ora che ho visto il Jimin’s Production Diary, trovo che il Jimin che ha rilasciato FACE sia molto diverso dall'uomo che era prima. Le insicurezze e la trepidazione non sono svanite, ma ora che ha avuto modo di sperimentare il senso di libertà che deriva dall'affrontare il proprio bagaglio emozionale, sono piuttosto sicurə che, quando sarà il momento di fare i conti con nuove sfide, non crollerà più come in passato. Non vedo l'ora di scoprire quale sarà la sua prossima mossa, adesso che è più orientato alla crescita personale che mai e si è creato delle basi solide da cui ripartire. Da grande fan della sua voce quale sono, la prospettiva [dei suoi futuri lavori] mi entusiasma molto, perché so che farà grandi cose con la sua voce magica. È con estrema sicurezza che mi sento di dire che l'unica persona al mondo che sa cantare come Jimin è Jimin stesso. Ho come l'impressione questo sia stato solo un assaggio dell'uomo che vedremo in futuro, del Jimin che sicuramente lavorerà con costanza incrollabile al suo prossimo progetto, forte di ciò che ha imparato nell'aprirsi e svelarsi al mondo grazie all'instancabile processo di analisi introspettiva che ha dovuto affrontare nello scrivere e promuovere quest'album.
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La scena del documentario che più mi è rimasta impressa è quella in cui, una volta finito di lavorare all'album, commenta: “Grazie a quest'opportunità, ho capito più chiaramente cosa dovrei e posso fare. E ora posso dire con sicurezza che ci sono tante più cose che vorrei provare.” Sebbene Jimin abbia già fatto tanto e sopportato ancor più, ha ancora sempre gli stessi occhi luccicanti da sognatore.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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Riot dei Three Days Grace in una cover alternativa. Conosci l'energia esplosiva di Riot, il brano degli Three Days Grace che ha conquistato il cuore degli amanti del rock. Scopri le potenti liriche e l'emozionante melodia di questa canzone iconica. Pertanto, leggi di più sul significato di Riot e sull'influenza degli Three Days Grace nel panorama musicale. Un viaggio emozionante nel cuore del rock ti aspetta, approfondisci con noi l'universo di Riot e della band che ha scritto la storia del genere.
Lasciati avvolgere dall'energia cruda e la potenza sonora di Riot Three Days Grace attraverso la nostra esclusiva recensione. Inoltre, scopri il significato dietro le testi intensi e immergiti nella fusione unica di alternative rock e post-grunge che definisce il distintivo stile della band. Leggi di più per vivere l'esperienza di Riot e comprendere perché Three Days Grace è una presenza iconica nel panorama musicale moderno.
Dunque, l'energia travolgente di Riot, la potente canzone dei Three Days Grace. Scopri il significato dietro le intense liriche e immergiti nell'universo sonoro di questa band iconica. Leggi di più su come Riot ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama musicale e sull'influenza duratura dei Three Days Grace. Un viaggio emozionante attraverso la potenza musicale che definisce Riot e il suo impatto duraturo.
Riot, il brano iconico dei Three Days Grace. Scopri le emozioni intense e la potenza musicale di questa band attraverso la nostra analisi approfondita. Leggi di più per comprendere il significato dietro le parole e immergiti nell'universo sonoro unico dei Three Days Grace con la loro traccia epica, Riot. In conclusione, l’album dei Three Days Grace concerne dei brani iconici e immortali.
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I ROOMMATES PRESENTANO “OUTSIDE” – RELEASE PARTY IL 16 NOVEMBRE AL MUSIC BOX DI VALLECROSIA
La rock band italiana Roommates è pronta a presentare al pubblico il suo terzo album in studio, Outside, con un evento speciale al Music Box di Vallecrosia (IM) il prossimo 16 novembre 2024 in concomitanza con l’uscita effettiva del disco in formato fisico. Un’occasione imperdibile per scoprire dal vivo le nuove tracce della band, frutto di un percorso musicale che ha portato a una
profonda evoluzione nel suono, ora caratterizzato da un alternative rock più maturo e internazionale.
Il disco Outside rappresenta un viaggio all’esterno, un percorso di scoperta e di connessione con il mondo che ci circonda. Prodotto dal celebre Pietro Foresti, già collaboratore di artisti internazionali (multiplatino già a fianco di membri di Guns ‘n’ Roses, Korn, Asian Dub Foundation,
Unwritten Law), e arricchito dal tocco di Vincenzo “Jack” Giacalone e dal mastering di Rich Veltrop (P!nk, Macy Gray, System of a Down, Rage Against The Machine), il nuovo lavoro dei Roommates propone un mix di pezzi inediti e sperimentazioni sonore. La versione CD include dodici brani, mentre l’LP ne contiene dieci, tra cui i singoli “Same” e “Friend or Foe” (che vede la partecipazione di Nick Oliveri, ex Queens of the Stone Age/Kyuss, e Diego Cavallotti, Lacuna Coil). Non mancheranno pezzi iconici come “The Sheep and the Dog” e una cover rock di “Hung Up” di Madonna.
Durante il Release Party, i Roommates saranno affiancati da una lineup di talenti straordinari. Il pubblico potrà assistere alle esibizioni dal vivo dei Nomoremario, band indie-rock di Ventimiglia, e degli Artichokes, un trio che unisce immediatezza e sperimentazione con un sound originale e
ipnotico.
Non mancherà il contributo di Simone “Radiomandrake” Parisi, la voce di “Rock in the Casbah” e noto dj, che darà un tocco unico alla serata. La conclusione della festa sarà affidata a Panicosparso, una crew di DJ che promette un set ricco di sorprese per chi vuole lasciarsi andare fino a notte fonda.
Ma una festa non è completa senza buon cibo! Gli ospiti potranno gustare una selezione di panini e altre proposte gastronomiche curate dai rinomati Bla Bla Bar e Pucci’s BBQ, insieme a bevande che accompagneranno le esibizioni live e il DJ set in un’atmosfera di festa e convivialità.
Dettagli evento:
• Data: Sabato 16 novembre 2024
• Luogo: Music Box, Vallecrosia (IM)
• Apertura porte: h 18:30
Outside sarà disponibile in formato CD+LP, per chi desidera scoprire il nuovo sound dei
Roommates, una band che dal 2012 ha consolidato il proprio stile e seguito, diventando una delle realtà più interessanti del panorama alternative rock italiano.
Link all’evento:
https://www.facebook.com/events/575478151489362
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Beatles Fever a MagicLand: concerto tributo e Oktober Festival
Beatles Fever a MagicLand: concerto tributo e Oktober Festival
MagicLand, il parco divertimenti più grande del Centro-Sud Italia, sabato 28 settembre ospiterà un concerto tributo ai Beatles che trasporterà tutti i partecipanti direttamente a Liverpool. La cover band The Fab Four riprodurrà fedelmente i brani più iconici della band, in un’atmosfera unica e coinvolgente. Questo evento si inserisce nell’ambito dell’Oktober Festival di MagicLand, una festa…
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Freddie Mercury: Leader dei Queen e Icona del Rock
Freddie Mercury è una delle figure più emblematiche della musica rock. Nato Farrokh Bulsara a Zanzibar, ha seguito la sua passione per la musica. È diventato il leader dei Queen. Con il suo stile unico e una voce inconfondibile, ha creato brani iconici come “Bohemian Rhapsody”. La sua biografia di Freddie Mercury mostra una vita piena di successi e sfide personali. Il carisma e la presenza…
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VARESE SUMMER FESTIVAL 2024: dal 14 al 27 luglio ai Giardini Estensi
VARESE SUMMER FESTIVAL 2024: dal 14 al 27 luglio ai Giardini Estensi. Dopo il grande successo della prima edizione, torna a luglio ai Giardini Estensi di Varese, il VARESE SUMMER FESTIVAL un evento nato dalla collaborazione tra la AD Management, già presente sul territorio come proprietà del Teatro di Varese, e il Comune di Varese. Dal 14 al 27 luglio, nella splendida cornice dei Giardini di Palazzo Estense, cuore pulsante della città, con inizio alle 21.30, si susseguiranno alcuni tra i più importanti ed attesi spettacoli di tour nazionali ed internazionali. Si parte con Russel Crowe & The Gentleman and the Barbes, il 14 luglio l'istrionico artista, attore premio Oscar che ha vinto circa 40 premi internazionali, salirà sul palco del Varese Summer Festival con la sua band per un concerto che lui stesso definisce un evento, un happening : "È fluido - commenta Crowe - è come un festival in cui raduno artisti che stimo, musicisti e cantastorie, e mettiamo su uno spettacolo. Rivisitiamo numerosi successi della storia della musica ridando vita a brani iconici, attraverso nuovi arrangiamenti, per regalare al pubblico un'esperienza davvero straordinaria". Il 15 luglio sarà protagonista Fiorella Mannoia con "Fiorella Sinfonica-Live con orchestra", il suo nuovo tour che per la prima volta la vedrà affiancata da un'orchestra sinfonica in un importante anno di festa, un anno speciale in cui l'amata artista spegne 70 candeline, anno di partecipazione e grande successo al Festival di Sanremo con il brano Mariposa, un vero e proprio manifesto di donne. Il 16 luglio risate e divertimento assicurati con il nuovo spettacolo di Andrea Pucci "C'è sempre qualcosa che non va": cabarettista, monologhista, artista tra i più amati in Italia, Pucci torna ancora una volta a Varese dopo numerosi sold out. Attento osservatore della quotidianità, ama dialogare e scontrarsi con il pubblico improvvisando situazioni grottesche, il suo show è un momento di spensieratezza e nello stesso riflessione con storie che si basano sull'interpretazione in chiave comica di verità attuali. Il 17 luglio il Varese Summer Festival si trasformerà in una grande aula scolastica in cui gli spettatori diventano allievi e saranno immersi in una lezione affascinante che diventerà uno show travolgente: "La Fisica che ci piace", questo il titolo dello spettacolo di Vincenzo Schettini che con la sua la sua simpatia travolgente e la sua competenza scientifica, sarà sul palco ai Giardini Estensi per uno spettacolo unico, esperienza teatrale immersiva. Il 19 luglio tappa a Varese del tour "Highlights" de Le Vibrazioni. La band, formata da Francesco Sarcina, Stefano Verderi, Marco Castellani Garrincha e Alessandro Deidda, e' una delle più longeve in Italia, con oltre 20 anni di carriera. Sarà sul palco del Varese Summer Festival per suonare con grinta ed energia alcuni dei loro brani di grande successo tra i tanti dei 6 album che contano complessivamente più di un milione di copie vendute. Il 23 luglio "Plays QUEEN", il Maestro Diego Basso, insieme all' Orchestra Ritmico Sinfonica Italiana, Le Voci di Art Voice Academy, porta in palcoscenico le iconiche composizioni dei Queen, arrangiate per orchestra ritmico-sinfonica. Ad arricchire questa straordinaria performance la soprano Claudia Sasso.Tra i brani appositamente scelti per il concerto non mancano gli inni rock Bohemian Rhapsody, We Will Rock You, We Are the Champions, Somebody to love, These are the day of our lives, The Show Must Go On, oltre ai duetti con la voce lirica del soprano Claudia Sasso e il solista Manolo Soldera. Il 24 luglio salira' sul palco del Varese Summer Festival lo scrittore e giornalista Roberto Saviano che torna in teatro con un recital che accompagna lo spettatore attraverso un viaggio inedito nella vita intima del potere criminale. Laureato in filosofia all'università di Napoli, nel 2006 ha pubblicato il romanzo-inchiesta Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra, nel quale, scrivendo in prima persona, ha raccontato la realtà del mondo che gravita intorno alle attività della camorra. Al successo di pubblico in Italia e all'estero e alla vincita di numerosi premi ha fatto seguito la resa cinematografica in Gomorra di M. Garrone (2008), per la quale S. e Garrone sono stati premiati a Francoforte con il Hessischer Filmpreis (2008). Il 26 luglio toccherà al "Crooning – the italian tour", il tour di Mario Biondi che sta portando nelle più prestigiose location italiane e non solo. Uno show unico nel suo genere in cui 18 musicisti d'orchestra si esibiranno sul palco senza amplificazione per regalare al pubblico un'esperienza senza tempo, dall'esaltazione dell'acustica delle sale alla purezza del suono che arriverà direttamente dagli strumenti, archi, fiati e sezione ritmica per un mix di suoni e atmosfere per la prima volta in questa dimensione in un live. Il repertorio spazierà dai brani del nuovo album "Crooning Undercover" ai più grandi successi della sua carriera, arrangiati ad hoc per questo progetto live dalle caratteristiche di unicità ed eccezionalità dal crooner siciliano al suo amato pubblico che non manca mai di contraccambiare l'affetto. La serata finale, il 27 luglio, sarà all'insegna delle risate con lo spettacolo "Anche meno" di Max Angioni, il nuovo spettacolo teatrale di questo giovane comico, brillante e spettinato, che anche questa volta non risparmierà la proverbiale autoironia. Angioni si considera davvero un miracolato, e stenta a credere a questo inatteso successo ed è proprio questo che ritroviamo in "Anche Meno", un poco più che trentenne, figlio unico, che ha costruito un mondo immaginifico attraverso cui filtra i piccoli avvenimenti quotidiani e le grandi domande esistenziali, e reinterpreta in modo surreale tutto quello che gli passa per la testa: dai ricordi delle prime volte, all'incredulità per le grandi conquiste, alle domande più curiose e originali sulla storia e il senso della vita... ma anche meno! A quanto sopra si aggiungeranno, con annuncio nei prossimi giorni, altri due appuntamenti live che saranno inseriti in calendario tra il 14 e il 27 luglio. Tutto questo al Varese Summer Festival, manifestazione ideata per offrire alla città momenti di svago, di spensieratezza e allo stesso tempo momenti culturali e di grande richiamo turistico. In totale 11 serate (di cui 9 annunciate oggi ) in un contesto prezioso per Varese, un appuntamento, alla sua seconda edizione, dal target trasversale, elegante, coinvolgente, di grande valore artistico. "Il Varese Summer Festival torna ai Giardini Estensi per una seconda edizione e con nomi di rilievo nazionale e internazionale" dichiara l'assessore alla Cultura Enzo Laforgia e prosegue "L'evento va ad arricchire il tradizionale programma estivo, richiamando un pubblico sempre più numeroso con proposte di qualità. Mostre, spettacoli, concerti, incontri, caratterizzano ormai tutti i mesi dell'anno, con una programmazione che punta a valorizzare il nostro territorio e le sue numerose professionalità". "Dopo il successo della prima edizione del festival, che lo scorso anno ha coinvolto più di 10 mila persone" spiega il sindaco Davide Galimberti e prosegue "torna un appuntamento che arricchisce ancora di più l'offerta culturale in città, mettendo in connessione artisti della scena nazionale con il contesto dei Giardini Estensi, che costituisce un palcoscenico naturale unico che proprio grazie a eventi come questo può essere valorizzato". "Con la prima edizione, quella del 2023, abbiamo raggiunto più di un traguardo ambito" dichiara Alessandro De Luigi di AD Management e prosegue "dal richiamo turistico al posizionamento del Festival tra le più importanti kermesse estive, dalla valorizzazione del territorio all'offerta culturale. Un lavoro di squadra che abbiamo condiviso con il Comune di Varese in una collaborazione ottima e tangibile. Tutto questo ed il desiderio di proseguire con una proposta artistica di grande prestigio e allo stesso tempo trasversale per la città di Varese, di cui ci sentiamo parte, ha portato noi AD Management a ricercare gli spettacoli più adatti allo scopo. Nel calendario del festival ci sono nomi di artisti di grande spessore, alcuni reduci da tanti sold out proprio in città, altri in scena con spettacoli particolari ed unici ma soprattutto c'è una offerta che va dalla musica rock all'orchestra, dalla comicità alla attualtà in teatro. Ci saranno due novità sotto il punto di vista strutturale, ideate per rendere al pubblico l'esperienza di partecipazione ancora più piacevole : il palco sarà posizionato con il fronte al Palazzo Comunale, all'altezza della fontana, proprio per evidenziare la bellezza dello stesso e per valorizzare ancora di più i Giardini ed abbiamo rimodellato il posizionamento delle sedute integrando 2 tribune da 500 posti, con un totale di 1700 posti seduti, così da avvicinare il palco al pubblico e migliorare, rispetto allo scorso anno, la visibilità agli spettatori'. Filippo De Sanctis, direttore organizzativo del Teatro di Varese, dichiara "Varese è viva e capace di esprimere e sostenere, ma soprattutto consolidare, grandi manifestazioni culturali e di spettacolo. Lo dimostra perfettamente questa seconda edizione del Varese Summer Festival che accoglierà importanti ospiti, anche di levatura internazionale, rilanciata grazie ad un sistema vincente che unisce le forze di soggetti diversi, Comune di Varese e AD Management, con l'obiettivo di dar valore al nostro territorio. Un modello che va coltivato con cura, insieme a realtà come il Teatro di Varese, che riesce a legare la nostra Città, giorno per giorno, alla passione per le arti e lo spettacolo dal vivo". Saranno 1700 circa i posti a sedere posizionati, insieme al grande palco, nella cornice di alto pregio dei Giardini Estensi. Il palco in questa edizione sarà posto all'altezza della grande fontana centrale e, per migliorare la visibilità al pubblico, i posti a sedere saranno sistemati rispetto allo scorso anno anche con l'integrazione di due tribune laterali da 500 posti. I biglietti per tutti gli spettacoli annunciati sono in vendita su Ticketone, a Varese presso la biglietteria del Teatro di Varese in Piazza della Repubblica e a Legnano presso la biglietteria del Teatro Talisio Tirinnanzi in Piazza IV Novembre 4/A. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Springsteen celebra 50 anni di carriera con un "Best of"
AGI – Sony Music celebra i 50 anni di carriera discografica di Bruce Springsteen con una raccolta dei suoi storici brani, da “Greeting from Asbury Park, NJ” del 1973 a “Letter To You” del 2020. “Best Of Bruce Springsteen” sarà disponibile dal 19 aprile in formato fisico con 18 tracce su doppio LP o su CD e in formato digitale con 31 brani. La raccolta spazierà dai brani iconici degli inizi della…
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Storia Di Musica #270 - Prince And The Revolution, Purple Rain, 1984
I fiori sulla copertina, che sono la caratteristica comune ai dischi di Aprile, in questo caso cadono a cascata a lato della sua foto, in sella alla motocicletta. Viola. Il disco di oggi, uno dei più celebri della storia del rock, è un mix inarrivato di creatività, megalomania, successo. Arriva nel momento in cui Roger Nelson, in arte Prince, si sente stretto solo per il mondo della musica. Mondo il quale padroneggia come nessuno all’epoca: a 13 anni il primo gruppo (Gran Central poi Champagne) nella sua Minneapolis, a 19 è già capace di scrivere e autoprodursi un intero disco, caratteristica che la Warner Bros. nota subito: For You (1978), Prince (1979), Dirty Mind (1980) sono tutti scritti, suonati, arrangiati da lui, una sorta di One Man Band che mischia funk e rock, Little Richard con Sly & The Family Stones, che ammicca seducente, tanto che i Rolling Stones lo chiamano ad aprire il loro Tour del 1981. Scrive con un ritmo esagerato, un disco all’anno, nel 1982 arriva addirittura un doppio, 1999, capeggia in tutte le classifiche, la rivista Rolling Stone gli dedica una copertina fotografato da Richard Avedon. Al massimo della fama, l’idea del cinema. La trama è semplice: The Kid, interpretato dal nostro, è un giovane cantante che si esibisce in un night club in competizione con altre due band a Minneapolis. Ha un gruppo di spalla, The Revolution. Vive però una situazione familiare deprimente, a causa dei suoi genitori litigiosi e violenti. Incontrata la cantante Apollonia, si sente attratto da lei e ne è ricambiato, ma la donna gli confessa di volersi esibire con un gruppo funk rivale, capeggiato da Morris, il quale ostenta in maniera sprezzante e provocatoria la propria volontà di distruggere Kid nel successo e nell'amore. La carriera di Kid appare a questo punto in declino, ma un ennesimo litigio dei genitori, finito con il ricovero in ospedale del padre a causa di un tentato suicidio, determina una riflessione da parte di Kid e la conseguente decisione di prendere in considerazione un pezzo scritto dalle ragazze della sua band, che porterà alla composizione del brano Purple Rain, restituendogli successo, stima e amore. Purple Rain, prodotto dalla Warner Bros, non sarà ricordato negli annali dei Film più belli, discorso a parte merita la colonna sonora. 9 brani tutti iconici, e tutti potenzialmente singoli di successo, costruiti con una facilità di creare “ganci musicali” che diventerà il marchio di fabbrica del piccolo genio di Minneapolis (piccolo perchè è alto 1,59m). Registrato in parte live nello studio di registrazioni di Prince a Minneapolis, con certosino lavoro di sovraincisioni post produzioni, si parte con il Rock di Let’s Go Crazy, poi Take Me With U, scritta per le Apollonia 6, il gruppo di Apollonia Kotero, sua spalla nel film (il suo contributo al successo di altri artisti con le sue canzoni è notorio e fenomenale). Prince ha la capacità di riscrivere canzoni in pochi minuti, come The Beautiful Ones: scritta per una delle musiciste della sua band Revolution, che era in dubbio se lasciare o meno il fidanzato, viene usata nel film come momento musicale nel momento in cui la protagonista Apollonia è in contrasto tra lo scegliere Kid oppure Morris. Computer Blue è un brano quasi sperimentale, che nei crediti vede comparire John F. Nelson, padre di Prince anch’egli musicista, come regalo alla linea melodica che gli donò durante una chiacchierata con la chitarra in mano. Darling Nikki è il primo brano cult, famoso per i supposti richiami alla masturbazione, che spinsero una avvocata, Mary Elizabeth Tipper Gore, a chiedere all’associazione Parents Music Resource Center di segnalare con apposito adesivo, il Parental Advisory Sticker, testi con allusioni sessuali. Altra canzone torrida e spettacolare è When Doves Cry, famosa anche perchè non ha la linea di basso, che diventerà altro brano culto. Ma l’apoteosi, dopo le belle I Would Die For U, con il suo meraviglioso Mid-Tempo e Baby I’m A Star, già autocelebrativa, c’è la canzone clou, Purple Rain: un misto tra il rock dei Rolling Stones, una ballata malinconica e le invenzioni di Jimi Hendrix, 8 minuti di classe, dimostrazioni di capacità musicali, del suo talento cristallino di chitarrista, apoteosi di un cantante che all’epoca si sentiva una divinità. Il film decuplica in incassi i costi di produzione, il disco vince un Oscar, con Purple Rain migliore canzone Originale nel 1985, due Grammy, diventerà solo negli Stati Uniti 9 volte disco di platino, nel mondo venderà 30 milioni di copie, e il successo porterà in classifica tutti gli album precedenti di Prince (Dirty Mind disco di Platino nel 1984, anno di Purple Rain). Il percorso incessante di un disco all’anno continuerà per dieci anni, fino al 1993, periodo nel quale riprova il colpo di Purple Rain con un film e colonna sonora nel 1986, Under The Cherry Moon (film in bianco e nero, francamente orrendo) e la colonna sonora, Parade, uno dei suoi capolavori, uno dei dischi del decennio che precede il suo capolavoro assoluto, Sign O’ The Times (1987) che è il suo testamento musicale incredibile. Vivrà con tormento l’oblio e la caduta di fama dopo questi anni memorabili, fino alla sua morte, avvenuta per overdose di medicinali, nel 2016: nella sua casa studio di registrazione sono sbucate decine di migliaia di idee, canzoni registrate, linee musicali, a dimostrazione di un talento sconfinato, per quanto fragile e iconoclasta.
Buona Pasqua!
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Parla Agnese Sikora: il successo di "Maniac" e tanta house
Abbiamo incontrato Agnese Sikora, dj molto attiva nella scena dei club di riferimento in Italia e non solo. Ha da poco pubblicato un brano dance di grande successo, ovvero "Maniac", prodotto con Saintpaul, che soltanto su Spotify ha superato i 650.000 ascolti. "'Maniac' è nata proprio dalla passione, passione che condivido con Saintpaul, per le melodie iconiche degli anni 80. In questo caso stiamo parlando di un brano vincitore di prestigiosi riconoscimenti quali un Oscar ed un Grammy nel 1984. Tutto questo, unito alla nostra voglia di presentare un prodotto con sonorità moderne e accattivanti, ha avuto risultati davvero importanti", racconta Agnese Sikora.
Come racconteresti la tua musica? Quali riferimenti musicali hai?
Sono nata artisticamente con la musica degli anni 70, 80 e 90. Ho avuto una importante esperienza professionale in tal senso. Poi, per ovvi motivi anagrafici e per la volontà di proporre qualcosa di nuovo, mi sono dedicata a sonorità più moderne ed alle nuove tendenze musicali.
Ti aspettavi questi risultati, decisamente importanti per "Maniac"?
Se devo essere sincera, sì, ero molto ottimista. Avevo già prodotto brani di successo e 'Maniac', in particolare, il risultato è stato amplificato grazie al prezioso contributo di Saintpaul, un artista di riferimento che ha dato anche il suo contributo in fase di produzione. Sono tuttavia piacevolmente sorpresa dal successo che sta riscuotendo all'estero, soprattutto in Spagna.
In che direzione sta andando la tua scena musicale di riferimento? Sentiremo ancora produzioni che mescolano elementi nuovi a classici anni '80 '90 o ci saranno sorprese?
Tendenzialmente mi piace proporre sonorità house, in particolare prediligo i brani che abbiano contaminazioni di tribale, soul, funk e gospel. E' un genere che pone una forte enfasi sul groove e sui ritmi sincopati, caratterizzato da bassi molto marcati e un sound energico.
E come stanno cambiando le tue produzioni?
A livello di produzione, sicuramente non mancheranno altre occasioni di dare nuova vita musicale a pezzi iconici che hanno fatto la storia della musica, ma allo stesso tempo mi sto già dedicando ad altri progetti, sempre insieme a Saintpaul. Secondo alcune ricerche esistono circa 700 generi musicali diversi, stiamo cercando il lato migliore di ciascuno di questi e di fonderlo con la nostra creatività.
Com'è la scena house / dance. A che punto è nel mondo?
Si sentono spesso stereotipi e idee contrastanti sulle ragazze in console… come se fare il dj fosse ancora uno dei pochi lavori "da uomini". Credo che il lavoro del dj derivi da una vera e propria vocazione, almeno per me è stato così. Il dj deve essere un professionista in possesso di competenze musicali, tecnica e talento, indipendentemente dal sesso. Nel mio caso, essere donna non mi ha finora creato problemi. Per me è sempre contato ciò che so fare in console, non certo l'aspetto fisico.
Quanto contano, per chi è in console, la capacità di fare show e la qualità musicale? Sono due facce della stessa medaglia oppure no?
Per me contano molto, sono due elementi imprescindibili. Non basta essere tecnicamente impeccabili e proporre i brani più ballabili, se non si è in grado di trasmettere emozioni alle persone che abbiamo di fronte. I miei dj set infatti sono un concentrato di tecnica e qualità, ma anche di spettacolo, energia, fascino ed emozioni positive.
Instagram.com/djagnesesikora
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È inutile dire che i fan della prima ora dei Marduk dividano la band di Morgan in tre periodi. Quello pre-Legion, quello con Legion e quello post-Legion. E per la stragrande maggioranza di chi ama questa band, il periodo di Legion è il migliore per tanti fattori: perché ci si ricorda degli anni ’90, del periodo in cui questa band si è fatta conoscere in tutta Europa; perché il periodo fra Heaven Shall Burn e World Funeral è stato un grande periodo di cambiamento per tutta la musica e perché in questo periodo i Marduk si sono imposti con una formazione solidissima, potente, incredibile: quattro cavalieri dell’Apocalisse che erano riusciti in pochissimi anni a creare uno dei lavori più atmosferici (Nightwing) e uno dei lavori più aggressivi di sempre (Panzer Division Marduk).
Nightwing quando uscì fu già interessante, chiacchierato, guardato con curioso sospetto perché nessuno si aspettava che una delle band più veloci del pianeta potesse piegarsi alla volontà di creare atmosfera. E quindi anche se i grandi classici "Of Hell’s Fire" o "Slay the Nazarene" (che ricordo di aver trascritto sulla mia cartella di architettura) sparano a mille e hanno sempre presenziato nelle esibizioni live, il meglio – l’inedito dire – arriva già un po’ avanti nella tracklist con l’omonimo brano caratterizzato sì dai veloci riff di chiara matrice Marduk, ma l’intro cadenzato e funereo ci immerge già nel mini-concept dedicato al Conte Dracula, il quale la band vuole sanguinosamente omaggiare. Con "Dreams of Blood and Iron" si raggiungono momenti ancora più toccanti; mai i Marduk avevano omaggiato i Bathory così tanto. Le chitarre si possono cantare come un coro, il brano in mid-tempo è uno dei più grandi capolavori scritti dalla band. Poco importa se in realtà Vlad III di Valacchia era un fortissimo sostenitore del cristianesimo contro i turchi; evidentemente la sua leggenda di Impalatore sanguinario è più forte ed affascinante ed è abbastanza affinché i Marduk possano creare una leggenda sincretista dove la fede in Dio diventa dannazione eterna. Anche la successiva Dracole Wayda è iun brano cadenzato che continua in modo natuare il precedente declamando versi iconici “A Servant of God, in league with Satan; a christian crusader who made the angels cry” mettendo nel calderone poetico anche Venom e Dissection. Anche Kazıklı Bay probabilmente non è mai stato un luogo che abbia coinvolto le guerre di Dracula ma i Marduk vogliono creare uno dei brani più violenti di sempre. Il maestoso Nightwing si conclude con un altro pezzo forte dell’atmosfera mardukiana: "Deme Quaden Thyrane" è addirittura una composizione col basso di B-War in prima linea (cosa alquanto anomala) mentre Morgan è impegnato in altrettanti anomali arpeggi delineando un brano riflessivo dove le rullate di Fredrik arrivano inaspettate come un plotone. Altro piccolo capolavoro è l’outro: una marcia cavalleresca trionfale, funerea e cinematografica che va a coronare quello che è ancora oggi come l’album più “sperimentale” dei Marduk (un po’ come "La Grande Danse Macabre") che allo stesso tempo ha fatto breccia nei cuori insanguinati di tutti gli ascoltatori di black metal.
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IMO: quello che i boomers non dicono
Quello che boomers e generazione X non dicono.
Le accuse verso le nuove generazioni di copiare, prendere dal passato spolverare e riproporre come qualcosa di genuino, si sprecano. Soprattutto da parte degli ‘adulti’ o così detti boomers. Ma sono accuse ‘giustificate’? Oppure anche ‘ai nostri tempi’ era così ma non lo vogliamo ammettere?
È innegabile il fatto che il medesimo atteggiamento di scopiazzatura le band lo hanno sempre avuto. Anzi, potremmo dire che alcuni gruppi, anche storici, sono stati senza vergogna. Diversi sono quelli che devono il proprio successo a cover particolarmente ben riuscite. Potremmo citare i Lez Zeppelin, i Van Halen, la più grande cover band di sempre, o Jimy Hendrix per chiudere con i più recenti Disturbed.
Ma allarghiamo il discorso. Un conto sono le cover, si potrebbe obiettare, e un altro il copiare qualcosa e farlo passare per originale. Eppure, anche questo, le band lo hanno sempre fatto. Quanti video ci sono in rete che mettono in evidenza strane somiglianze tra riff divenuti iconici e brani sconosciuti ai più? Eppure nessuno pare scandalizzarsi.
‘Ma si, alla fine le note quelle sono. Che possano capitare somiglianze non è strano’. Tuttavia, più che somiglianze, troppo spesso, si tratta proprio di analogie vere e proprie. Nessuno pare accorgersi. Anzi. Guai a dire che tizio ha copiato da caio (o: ha preso spunto). Soprattutto quando si parla di nomi altisonanti. Purtuttavia si tratta di analogie insindacabili. Quindi qual è la discriminante? Che ai gruppi storici tutto è permesso mentre a chi inizia ora, no?
Quanti sono i passaggi, per non dire le strutture o le sequenze di accordi, identiche tra di loro nella discografia dei grandi gruppi? Molte. Eppure va bene così. Diventa inaccettabile nel momento in cui è un gruppo di giovani o giovanissimi a fare la stessa cosa. Perché? Che cosa fa la differenza? Che il gruppo x su quella canzone era al primo disco e quindi ci sta che le influenze si sentano? Oppure che oggi, grazie ad internet, tutta la musica è fruibile e quindi non si possono non conoscere certi riff e se li si utilizza è in maniera consapevole?
Ergo si sa di star copiando, ma facciamo finta di nulla? Personalmente, mi fare un esame di coscienza, di quelli veri, e cercherei di osservare il fenomeno nel modo più oggettivo possibile. Diverso è per i dischi successivi al primo. Se ancora si sentono le influenze e cosa ci piace ascoltare, significa che vogliamo mettere su una band tributo più che di musica originale. La domanda tuttavia resta. Alla luce di tutto ciò, perché i boomers si ostinano? Perché c’è qualcuno che continua a saettare accuse? Il discorso, poi si può allargare anche ai testi e ai comportamenti sia nei live sia fuori dal palco.
Qualcuno dice che la violenza nei testi di non è cosa nuova. Vero, verissimo. Ma non lo era neppure quando il rock è stato al suo apice. Sono pochissimi gli artisti che possono vantare un primato in tal senso. E si, perché prima della loro nascita, altri, hanno scritto testi più crudi, violenti, negativi che possiamo immaginare. Quindi, neppure il rock dovrebbe aver inventato nulla. E così via per tutti i generi. Quindi la dimanda torna e si rinforza: perché accusiamo le nuove generazioni di non riuscire a creare nulla, quando siamo stati noi i primi ad utilizzare questo sistema?
Che cosa abbiamo di così speciale da poter perdonare a noi stessi certi scempi, ma non essere disposti a tollerarli dagli altri? E perché, poi , ce la prendiamo con le nuove generazioni? Perché non sanno ancora dove muovere i propri passi in un mondo fatto di gusci d’uovo. Come sempre accade, facciamo un po’ di autocritica prima di parlare ‘degli altri’, come noi non fossimo gli altri per chi non ci conosce.
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