#non sto neanche scherzando tanto
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tiro fuori il rosario di mia nonna per lucio corsi
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È già passato un mese. Un mese da quel maledetto giorno che mi ha portato via tutta la felicità. Ci sono giorni in cui credo di farcela, altri come oggi proprio non riesco. Mi manca da morire. Mi manca la nostra quotidianità. Mi manca svegliarsi la mattina presto andare al mercato insieme, fermarsi al bar a fare colazione e poi via dritte in negozio che tanto ha amato e desiderato. Quanto amore metteva nel suo lavoro, quanta passione. Era amata da molti per la sua gentilezza e il suo sorriso che nonostante tutto non ha mai perso. Ma la nostra giornata assieme non finiva, dopo aver lavorato tutta la mattina insieme, dopo pranzo la richiamavo e poi anche il pomeriggio oppure passavo in negozio da lei e poi di nuovo una telefonata la sera per la buonanotte. Il sabato sera o la domenica molto spesso preferivamo passarlo con lei a cena, a guardarsi qualche programma, a giocare a carte o qualche gioco da tavola. Non sopportavo il fatto che fosse sola volevo riempire quel vuoto che si è portata dentro fino al suo ultimo giorno.. L’amore per il mio babbino. L’ha amato così tanto da non riuscire a vedere nessun altro sennon lui. Glielo dicevo sempre “ non gli fai un torto mamma se ti riaccompagni. L’amore per lui non sarà mai paragonabile ma avresti magari una compagnia” ma lei mi rispondeva sempre che non riusciva neanche a guardare un’altra persona perché nella sua testa c’era sempre e solo lui e nessuno era alla sua altezza. Questo mi riempiva il cuore per l’amore che gli ha dato ma dall’altra parte soffrivo nel vederla sola. Il nostro infatti era diventato un rapporto diverso, ero morbosa lo riconosco ma lei era la mia piccola “nanetta”, come la chiamavo io scherzando, da proteggere. Era troppo buona e per questo mi sentivo protettiva nei suoi confronti. Dopo tutto quello che avevamo passato insieme avevamo stretto un legame molto più forte del normale, era qualcosa di unico e solo chi ha avuto un legame così può capire veramente il dolore immenso che sto provando e che proverò tutta la vita. Non è spiegabile a parole quello che avevamo..
“Non tutti hanno la fortuna di avere una mamma come te” questo le dicevo sempre.
Di una cosa sono felice però che prima di andarsene tutto per una volta era al posto giusto.. Per la prima volta dopo tanto tempo eravamo felici. Lei aveva realizzato il suo sogno, aprire il negozio. Io, sempre con qualche acciacco ma ero tornata a camminare e finalmente trovato il modo di dimagrire. A giugno avrei preso il diploma con Tommi e con lui si parlava di matrimonio e scherzavano sulla proposta, dell’avere dei figli e lei mi aveva già avvisato che li avrebbe viziati e che io non potevo farci niente. Luca aveva trovato lavoro. Lei era felice, noi eravamo felici. L’unica cosa che mi rende felice adesso è che prima di lasciarci ha visto che tutto era apposto. Per una volta tutto lo era davvero.
Spero tu abbia ritrovato il tuo grande amore lassù. Spero un giorno di potervi riabbracciare di nuovo, dirvi quanto mi siete mancati e che la vita è stata bella ma con un grande vuoto dentro che nessuno ha mai colmato ♥️
#ti amo#il mio tutto#torna da me#mi manchi#ti voglio con me#ti voglio abbracciare#dolore#mi manchi mamma#mamma e papà#mamma mia#mamma
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Vorrei parlarvi di un’ argomento un po’ “particolare”, se così si può dire
Vorrei parlare di fidanzati/e e dei loro amici/amiche.
Prima vorrei parlarvi della mia esperienza con gli amici e amiche del mio ragazzo, per poi avere un vostro parere a riguardo.
Il mio ragazzo che chiameremo Z, ha un “migliore amico” che chiameremo X.
X ha una ragazza e la chiameremo Y.
Allora, Z,X,Y sono tutti e tre molto amici e si conoscono tutti da molti anni.
Io quando mi sono fidanzata con Z, diciamo che di vista conoscevo già X, mentre Y l’ho conosciuta dopo.
X devo dire che con me è sempre stato un ragazzo molto educato e rispettoso, mentre per Y, la sua ragazza, non posso dire lo stesso.
Perché dico così? Ve lo spiego subito.
Y la prima volta che ci siamo viste, non si è degnata neanche di salutarmi, ma ha salutato solo Z, ovvero il mio ragazzo..e già da qua dimostri di essere una persona maleducata e lei su questo sapete come si è giustificata? Che lei è una ragazza timida e se una persona non la conosce se non gliela presentano, lei non dice nulla…io credetemi sono rimasta scioccata e senza parole.
Cioè io sono la persona più timida a sto mondo ma le persone, le conosco o no le saluto per educazione, cosa che ovviamente da questo si è capito non avere, ma andiamo avanti perché non è finita qua Ahahah
Sempre Y, una volta dopo aver visto uno stato del mio ragazzo, messo dopo che avevamo litigato, e vi giuro che era palese ed evidente che era stato messo per il fatto che avessimo litigato, Y cos’ha pensato di fare? Ovviamente di scrivere al mio ragazzo, e che cose gli avrà scritto? Udite udite Y ha scritto a Z “ DEVI PENSARE UN PO’ DI PIÙ A TE STESSO!”…no comment davvero.
Tu vedi che il tuo amico litiga con la ragazza e anzi che chiedergli come sta, qual’é il problema, o magari di stare tranquillo che le cose si risolvono, gli vai a dire di pensare a se stesso..come dire “ pensa a te e non a lei”…io davvero anche qua senza parole credetemi..
Ma andiamo avanti perché c’è dell’altro ahahah
Una sera eravamo tutti insieme e Y cosa fa? La “scema” con Z..allargandosi un po’ troppo con parole e atteggiamento..e sapete come si è giustificata la ragazza?
“ Eh ma io Z lo conosco da una vita e siamo amici da anni, non è che perché a te danno fastidio delle cose io posso limitarmi nel comportamento e atteggiamento nei suoi confronti”..COSAAAAA?! Ma stiamo scherzando?! Come se io avessi mai fatto la scema con X..
E questa secondo me è tanta, tantissima mancanza di rispetto nei miei confronti, non che fidanzata spadella suo amico.
Ma sapete come racchiudo io tutti questi episodi successi?
Ve lo spiego subito.
Siccome Z,X,Y fin che Z era single era sempre con loro due, e quando dico sempre è davvero sempre ahaha, ma da quando Z si è fidanzato con me, giustamente non sta più sempre con loro, ma è sempre con me, penso che a Y questo dia molto fastidio e sia molto gelosa, anche perché quando le facevo notare le cose si metteva subito sulla difensiva e davanti al mio ragazzo faceva la vittima, cercando di mettere me e lui contro e far sì che il mio ragazzo difendesse lei e non me, e detto sinceramente se sei solo un’amica e per te lui è solo un amico non ti comporti così, ma ti comporti in modo diverso.
Dovrebbe essere contenta che finalmente il suo amico si è fidanzato ed è felice, invece no sembra quasi infastidita e gelosa..ma detto sinceramente Y a poco da dire e fare perché se ancora non lo avesse capito, Z non mi lascerà mai per la sua “amica”, che tanto amica non è..ma ha lasciato non solo l’amica ma anche l’amico, e non perché glielo abbia chiesto io ma perché si è reso conto che io e lei non andiamo d’accordo è mai ci andremo, ma perché non vuole litigate con me o perdermi e non vuole che io mi metta a litigare con certa gente.
Questa è la mia esperienza, ditemi cosa ne pensate voi e cosa avreste fatto al mio posto, sono pronta ad ascoltarvi e accetto ogni consiglio 😄
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Indegno
Mentre scorrevano i titoli del film appena finito, Massimo si accorse che era già mezzanotte. Spense la TV e lanciò il telecomando sul divano. Lei non era ancora tornata.
Il telefono suonò poco dopo. Lui lo fissò irritato: non sapeva se si sentiva di ripetere di nuovo la solita conversazione. Alla fine rispose dopo alcuni squilli.
- Ehi…-
- Max, ciao. Scusami…-
Ed ecco fatto, era perso: succedeva sempre così, ogni volta che sentiva la sua vocetta stanca e afflitta non poteva fare a meno di darle ciò che le serviva.
- Tranquilla, è ok. Cosa succede?-
- Sono in sala operatoria da cinque ore ormai… Un intervento alla colonna vertebrale di una bambina di 8 anni… sono uscita per parlare con i genitori e devo rientrare di nuovo per terminare…-
- Mio Dio… -
- Sono a pezzi… questa settimana devo aver dormito a casa un paio di notti soltanto… non so da quanto non faccio un pasto normale e nonostante tutto il mio impegno oggi sta andando tutto storto… Max… questa bambina… non voglio che muoia. Sto facendo tutto quello che posso, ma questa volta non mi riesce niente…-
- No, no, non ti buttare giù: hai superato di tutto, sei l’unica che può salvarla…-
- E tu che ne sai? -
La sentì tirare su col naso e provò una tenerezza infinita mentre le rispose:
- Perché sei la mia bellissima, intelligente, tenace moglie e anche perché non hai fatto tanta strada per poi arrenderti una sera qualunque: sei l’unica che può salvarla perché hai scelto questo lavoro non per farne la tua carriera ma perché è la tua missione.-
Dopo un attimo di silenzio la sentì rispondere:
- Sei bravissimo con i discorsi motivazionali, sai?
- Lo so, e so che adesso riprenderai il tuo lavoro e avrai quella illuminazione geniale che ti permette di salvare vite giorno dopo giorno…-
- E giorno dopo giorno salto tutti i nostri appuntamenti… Mi dispiace infinitamente…-
- Non dispiacerti, è tutto a posto: tu hai sempre accettato quando ero io ad essere impegnato con il mio lavoro…-
- Ok, ma sono una donna terribile, sono mesi che va avanti così…-
- Ma stai scherzando? Sono un investigatore privato, io devo rinunciare alle nostre serate per fare inutili appostamenti o trasferte improvvise! Tu stai salvando bambini! -
La sentì respirare più tranquillamente, stava riprendendo il controllo dopo quel piccolo sfogo.
- Max…-
- Dai, tranquilla: io sono qui per te. Comprendo cosa stai passando e soprattutto ti amo.-
- Anche io.-
- Coraggio, vai a combattere come tu sola sai fare.-
- Sì. Adesso devo proprio rientrare. Grazie Max. E buonanotte.-
- Buon lavoro.-
Massimo chiuse la telefonata e sbuffò mentre lanciò il telefono sul divano dove prima aveva lanciato il telecomando. Era tutto così frustante! Sì sì, certo, avrebbe solo dovuto essere fiero di lei per quello che faceva, ma non era l’unica a sacrificare tutto per questo lavoro: anche lui non aveva più una vita da quando lei aveva avuto tanto successo come neurochirurga. Ed era consapevole che non avrebbe dovuto fare altro che appoggiarla, e infatti l’aiutava il più possibile, ma questo non lo consolava, era davvero difficile fare il buon marito senza vedere mai la propria moglie.
Non aveva più sonno, e poi gli andava di aspettarla per darle almeno la buonanotte. Accese il PC per lavorare un po'. Aveva ore di filmati di sorveglianza di un laboratorio da controllare. Era un caso di spionaggio industriale: la proprietà sospettava di un dipendente.
Si mise all'opera ma i pensieri continuavano a vagare.
Lei gli mancava troppo. E non gli stava bene che non passasse più del tempo con lui. Non ricordava neanche quando avevano fatto l'amore con calma l'ultima volta. Da troppo ormai si stavano accontentando di sesso famelico e frettoloso, ma non era soddisfacente. L'amava e la desiderava come all'inizio e avrebbe solo dovuto attendere che quel periodaccio finisse. Ma chi avrebbe deciso quando? Gli restava solo di restare lì ad aspettare che lei trovasse qualche oretta libera per lui? Non si era mai considerato un sentimentale, non avevano bisogno di stare insieme di continuo, la verità era che lui non lo avrebbe sopportato. Tuttavia da un po’ si sentiva solo. Quando gli succedeva qualcosa pensava sempre di raccontarlo a lei: ma adesso si erano accumulate così tante cose da dire che era impossibile recuperare. In effetti anche questo tacere stava iniziando a pesare un po': avevano sempre parlato di tutto, era la sua migliore amica. Ma adesso non c'era mai tempo per chiacchierare, figuriamoci per condividere pensieri più profondi. O scherzare e ridere. No, non si riusciva più. Purtroppo avevano perso confidenza.
Ormai erano le due. Lei gli aveva appena scritto: l'intervento era andato per le lunghe, c'erano state troppe complicazioni e preferiva restare in ospedale per seguire per qualche tempo la bambina nel reparto post operatorio.
Massimo imprecò. Provava delusione e amarezza. Possibile che doveva restare lei? Possibile che non riuscisse a staccare nemmeno per una notte per tornare a casa da lui? Glielo scrisse in un messaggio, ma poi non lo inviò. Tanto era inutile, lei non sarebbe tornata. Lui avrebbe dovuto semplicemente comprendere: era un’emergenza. Ma queste emergenze si susseguivano da così tanto ormai. E nonostante tutta la sua buona volontà capiva soltanto che lui non era una delle priorità per sua moglie. In che stato avevano ridotto il loro rapporto! Tutto quello che lui aveva adesso era nostalgia, noia e tristezza. Ed un maledetto senso di inadeguatezza.
Si alzò e andò a versarsi un po' di vodka. Contemplò l'idea di andare a dormire. Ma era troppo nervoso ormai. Vuotò il bicchiere e se ne riempì un altro. Doveva riprendersi per conto suo o sarebbe impazzito. Voleva stare bene, dannazione. Non era sano sentirsi così male per la distanza che si era creata tra loro. Lui non voleva dipendere da quel rapporto. Voleva ritrovare il controllo di se stesso. Tornò al computer e si mise a ripulire le e-mail. Un modo come un altro per non sentirsi del tutto inutile. Dopo aver sistemato quella personale e quella dell'agenzia fece il login in un account che non apriva da quattro anni ormai. Da quando si era sposato.
Più di trecento messaggi non letti. E non erano spam: quella mail era stata creata apposta per un sito di incontri ad alto tasso erotico. Prima di incontrare sua moglie non credeva nelle relazioni stabili. Tramite quel sito aveva quello che gli serviva senza dover dare spiegazioni, era tutto chiaro fin da subito: solo sesso, niente sentimenti.
Scorse la lista: alcuni nickname li conosceva, si erano già incontrati. La maggior parte era gente nuova. Un messaggio di una sua vecchia conoscente risaliva solo a un paio di giorni prima.
Provò un assoluto disgusto di se stesso.
Selezionò tutte le mail e le cancelló, senza nemmeno leggerle.
Si alzò e si riempì un altro bicchiere di vodka che bevve in una volta.
In quel momento una notifica sul suo cellulare, collegato ad un sofisticato sistema di allarme, lo avvisó che qualcuno nel laboratorio che stava sorvegliando era entrato senza autorizzazione in un'area top secret. Pensò in fretta: aveva bevuto ma era ancora fin troppo sobrio. E maledettamente insonne. Era inutile aspettare di visionare i filmati, meglio andare subito sul posto.
Prese giacca, chiavi e uscì. Lo aspettavano ore nascosto in macchina ad aspettare, ma non aveva altro da fare, e poi era meglio così.
C'era qualcosa di troppo sbagliato
a restare nella loro casa
a pensare
se tradire sua moglie.
"Would you believe me when I tell you You're the queen of my heart Please don't deceive me when I hurt you Just ain't the way it seems
Can you feel my love buzz?"
G.
SGN, 08/05/2023 12:21
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Briatore, a destra, piace perché è ricco e arrogante. Piace perché a 70 anni sta con una 19enne. Piace perché viene condannato e poi amnistiato, piace perché “voi che lo criticate siete solo invidiosi”. Me l’hanno scritto diverse persone, in questi giorni. E no, guardate, vi rivelo una cosa: la mia massima aspirazione non è quella di tramutarmi in un pluriinquisito settantenne con problemi di obesità e malato di Covid che si circonda di giovanissime concubine (che stanno con lui per amore e perché lo trovano molto sexy, ovviamente) e passa la vita in posti come il Billionaire. Il Billionaire, il Twiga (o come si chiama), per me sono l’inferno in terra, letteralmente. Dovreste pagarmi moltissimo per farmi entrare lì dentro. E non sto scherzando. La mia personalissima idea di “supplizio eterno” è quella di ritrovarmi in uno di quei posti, circondato da abbronzatissimi cafoni arricchiti in camicia bianca (o nera) che sbocciano champagne in mezzo a nuvole di veline, pseudo-vip di cui ignoro l’esistenza e industrialotti della bassa. Mi repellono le wannabe modelle in abito da sera al tavolo del calciatore che spende in una sera quello che un operaio guadagna in un anno. Mi repelle tutto, di quei posti. Esattamente come mi repelle Briatore, che per quanto mi riguarda è la rappresentazione più chiara di tutti quelli che sono i mali della società italiana e del peggiore capitalismo: strafottenza, ignoranza, furbizia, arroganza, volgarità, menefreghismo, classismo, maschilismo. Briatore è quello che si ammala e paga una stanza tutta per sé in un reparto non attrezzato al Covid, mettendo a repentaglio la salute di tutti. Lo può fare, del resto, il sistema sanitario lombardo è quello: se paghi e sei un amico di Zangrillo puoi fare tutto. È quello che non spende una sola parola per i suoi sessanta dipendenti malati, neanche per il barista finito in terapia intensiva. Se vi piace Briatore è perché voi, magari, vorreste essere come lui, io no. Preferirei essere povero in canna che essere quella roba lì. Perché se fossi come lui non farei altro che disprezzarmi. E così, oggi che Briatore dà la colpa del focolaio nel suo locale ai clienti che si assembravano, tirandosi fuori da ogni responsabilità, voi potete pensare che cuochi, barman e camerieri, appena lo sguardo vigile e severo di Briatore si allontanava, lanciassero le mascherine e iniziassero a pomiciare tra loro, oppure potete prendere atto che quel focolaio è responsabilità di chi urlava e insultava mezzo mondo perché gli chiudevano (troppo tardi, purtroppo) il locale. Ma se la vostra idea di successo è quella, fate pure. Ve lo lascio volentieri, il vostro “successo”. Personalmente, posso giurarvi che non cambierei nulla della mia vita con quella di Briatore. E forse è questo che vi dà tanto fastidio. Emiliano Rubbi
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Oggi ho fatto il primo incontro con l'educatrice e credo sia stata la cosa più inutile che abbia mai fatto, mi ha tenuta dieci minuti e mi ha detto cose stra scontate che miodio ma seriamente???? ma mi prendi per il culo o cosa? E poi niente, mi ha dato un altro appuntamento fra un mese, UN CAZZO DI MESE, un mese in cui io sono praticamente da sola a casa senza nessuno, senza nessun supporto. Che faccio? Mi sparo, ovvio, perché non posso fare altrimenti. La psichiatra non mi ha voluto neanche dare un nuovo appuntamento perché "massi tanto siamo ad agosto, ci vediamo a settembre". Ma scusate ma siete deficienti?? Il dolore va in vacanza?? I miei problemi se ne vanno nei mesi estivi e mi dicono " ciao ele buone ferie, ci si vede a settembre"??? Ma stiamo scherzando?? Fa schifo, mi fa seriamente e veramente tutto schifo. Nessuno che vede quanto sto male, cazzo sono andata in stazione per tornare a casa e mi stavo per gettare sui binari senza rendermene conto, io ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto, un aiuto reale da parte di qualcuno, perché io lo dico e lo giuro che non ce la faccio più. Questo è il mio limite di sopportazione e qua o qualcuno si da una mossa o io mi butto giù da un palazzo, perché sono esausta. Sono esausta. Sono dannatamente e completamente esausta. E quel poco di speranza che mi frenava dal conficcarmi un cazzo di coltello in vena sta sparendo. E io lo sto di dicendo, ma nessuno ascolta.
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26.11.2020
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(Crediti all'artista)
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Sapete, negli ultimi tempi sono successe un sacco di cose, un enorme insieme di eventi che mi hanno portato a riflettere su diverse questioni.
Una di queste ultime, è il come una persona affronta i momenti difficili e i periodi in cui la disperazione prende il controllo della sua vita.
Quando parlo con qualcuno dei miei problemi e delle situazioni che sto affrontando, spesso mi capita di sentirmi dire queste frasi:
"Ma come fai a parlarne con leggerezza?"
"Ma come fai a scherzarci sopra?"
"Secondo me non è poi così grave come dici, dato che stai ridendo e scherzando!"
(Da notare i colori delle frasi. BI PRIDE STAND UP!! 🏳️🌈)
Ecco, quando mi sento rivolgere certi commenti mi ribolle il sangue nelle vene in una maniera assurda.
Non ho ancora capito il perché, ma la maggior parte della gente si aspetta che un individuo, durante un periodo difficile della sua vita, si abbandoni al crogiolarsi nel dolore più lacerante 24h su 24, e che perda completamente la capacità di sorridere anche davanti alla cosa più divertente del mondo.
E che se ci scherza sopra, significa che in realtà non sta soffrendo veramente, ma che è in cerca di attenzioni neanche fosse un bambino capriccioso.
E questo mi fa incazzare come una bestia.
Dove c'è scritto che una persona non può soffrire se ride e scherza con gli altri?
Dove c'è scritto che una persona che soffre può essere considerata tale solamente se cade in depressione, se piange dalla mattina alla sera, eccetera?
Ognuno affronta i problemi come preferisce:
C'è chi piange, chi si rinchiude in camera, chi si sfoga prendendo a pugni il sacco da boxe, chi urla in un luogo isolato,...
E c'è anche chi usa l'ironia e le risate, nessun metodo di sfogo è migliore di un altro.
Quindi, per favore, piantatela una volta per tutte di ripetere le frasi che ho citato all'inizio, piuttosto offrite aiuto a chi sta male ascoltandolo e mettendosi nei suoi panni.
Su questa Terra non siamo tutti uguali (e menomale, il mondo è bello perché è vario), e nessuno si deve permettere di sottovalutare il dolore e la sofferenza di chi gli sta intorno.
Sminuirla non farà altro che spingere l'individuo sofferente a sentirsi incompreso, e ciò lo porterà a chiudersi in sé stesso, con tanto di possibili conseguenze negative (autolesionismo, isolamento sociale, eccetera...).
Può sembrare poco, ma fidatevi, far sentire la propria vicinanza ed il proprio sostegno ad una persona può fare miracoli.
Imparate ad essere empatici, davvero, fatelo.
E tenete a freno la lingua quando qualcuno si apre con voi, la sofferenza si può nascondere anche dietro un sorriso a 94 denti.
~ Psycaliya
#tumblr#riflessione#depressione#sensibilizzare#autolesionismo#persone#tristezza#risate#giudizi altrui#giudizio#empatia#la vita è bella#la vita fa schifo#vita#momenti difficili#sostenere#sostegno#pensieri#esperienze di vita#discorso#chiedere aiuto#aiutare#lgbtq#dolore#sofferenza
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Mi chiamo Giada. Ho 19 anni e vivo a Roma, in una città più in periferia, che si chiama Ostia. Rispetto alla grande metropoli quale è Roma, Ostia è piccola ma non troppo. Può contenere più o meno centomila abitanti. Non è contaminata dallo smog e dalla folla della capitale, ed è un posto perfetto per rilassarsi al mare, dato che lo dispone.
Onestamente parlando, non intendo spostarmi, perché c'è tutto quello di cui ho bisogno, anche se in miniatura.
Vivo in una villa la quale via è piuttosto in. La villa dove vivo è composta da due piani: Il primo piano lo possiedono i miei nonni, mentre facendo le scale si può accedere al secondo, il mio. La storia narra che dopo mille e mille vicissitudini i miei genitori siano riusciti a comprare la casa a patto che i miei nonni fossero venuti ad abitare con noi. Così nel 2010 l'abbiamo comprata. Il liceo che frequentavo è piuttosto vicino, sta a due secondi da casa, perciò io e mia sorella Alice potevamo permetterci di svegliarci alle 7.30, per poter stare lì alle 8.10.
Mi reputo una ragazza "carina" perché credo ci siano ragazze più belle di me, ma non mi lamento a dire il vero. Sono giunta a questa conclusione da poco.
Quando ero piccola non piacevo neanche al ragazzo a cui piacevano tutte le femmine. Non che fossi brutta, ma non attiravo i ragazzi. Ero la "carina" ma non ero bella. Ero okay, ero normale.
Col tempo ho imparato ad apprezzarmi. Il fatto che io sia bassa non l'ho mai visto come un limite. Attenzione, ho difficoltà a trovare dei pantaloni che mi stiano come voglio, dato che risultano troppo lunghi, ma non la vedo come una forte insicurezza.
Non sono né magra né grassa. Mi piace mangiare e il fatto che mia madre sia siciliana la dice lunga. Il cibo è sacro, il cibo unisce. Poi se condiviso...
La quarantena mi ha fatto lievitare. Non mi sentivo neanche carina, in più tutta la mia famiglia diceva che era l'ora di mettersi a dieta, perciò ho intrapreso questo percorso che devo dire sta dando frutti.
È mostruoso il mondo di instagram. Ci fa apparire tutti perfetti, e a volte questo mi fa svilire. Vedevo tutti magri, tutti che stavano bene, mentre io mi sentivo di merda. Mi facevo schifo.
In ogni caso, mia zia mi ha ereditato un seno prosperoso, con cui ho dovuto fare i conti dalla quarta elementare. Ricordo un momento della mia vita in cui portare il reggiseno o il top era qualcosa di brutto e avere un seno più grande del normale mi faceva sentire a disagio. Un mio compagno scherzando disse :"ma che hai il reggiseno?" come se al tempo fosse qualcosa di anormale.
Devo dire la verità, a volte non è semplice. Certi tipi di magliette ci stanno oggettivamente male. Ragazzi, ci ho messo una vita per cercare il costume perfetto che non mi strizzasse il petto o che non mi facesse avere il seno di fuori. È stato un trauma.
Comunque, la parte che preferisco del mio aspetto sono i miei occhi. Risposta scontata lo so, ma è la verità. I miei occhi sono marroni e grandi. Nel senso che è grande proprio iride del mio occhio, non so per quale legge della fisica. Quando mi piace qualcuno, lo guardo intensamente. In un modo tutto mio.
Quant è bello avere la fortuna di vedere? Ho il terrore di svegliarmi e non vederci più. Ho la paura che mi venga qualcosa all'occhio e non vederci più. Anche perché per i medici sono stata a lungo tempo miope. Per una ragazzina di 6 anni era un problema. Significava sentirsi diversi. Per anni rientravo nella categoria di quelli con gli occhiali, che al tempo erano pochi. Mentre ora c'è una pandemia.
Ho detto che loro dichiaravano che io ero affetta da una miopia, finché a 12 anni sono andata a fare una visita di controllo e un oculista ha detto:"A che ti servono gli occhiali? Toglili". Ve lo giuro, per una ragazzina abituata ad avere gli occhiali, non averli creava imbarazzo, anche se era inutile averlo, era una cosa bella.
Attualmente, anche se la mia vista sta peggiorando perché sforzo più un occhio, ci vedo bene. Non ho avuto bisogno di lenti o robe simili dal giorno in cui mi sono stati tolti ed è molto comodo.
Ho le ciglia lunghe, perciò è una gioia mettersi il mascara eheeeheheh. Non ho mai utilizzato un piegaciglia e non ho intenzione di farlo. Ho la strana impressione che faccia male.
Il naso non si sa da chi io l'abbia preso. A tratti mi piace, a tratti no. Ma odio la gobbetta degli occhiali che si è creata.
Le mie labbra non sono estremamente carnose. Sono una via di mezzo, ma quanto mi diverterte mordermi le pellicine? Quasi quanto amo mordermi le pellicine delle mie mani fino a che non esce il sangue. ( aaaa che scena macabraaa bleah)
Ho degli zigomi pazzeschi, che giuro non mi sono rifatta. Molte persone me li invidiano, a casissimo. C'è sempre qualcuno a cui voglio bene che adora darmi fastidio e tastarmeli o mordermeli. (more, guarda che mi vendico)
Ai miei capelli ci tengo tanto. Da piccola mia madre mi ha fatto il caschetto e la frangetta, ma crescendo non mi sono più azzardata a fare una pazzia del genere. Il massimo a cui ho aspirato è stato il taglio fino alla spalla, se non toccano la spalla c'è da impanicarsi. In ogni caso, sono mora. Le more rapiscono, insomma si sa, ops. Quando andavo alle elementari erano spaghetti, poi man mano hanno assunto una forma non forma. Non li ho mai tinti, se non lo shatush del 2013. Nei miei sogni, vorrei farli lilla, ma mi frena il fatto che sono belli naturali e se inizio a rovinarli poi è la fine. Hanno subito poche piastre loro. Sono vitali, non si sono mai bruciati. Sono forti, tanti e grassi. Quando li ho lunghi fino alle costole mi diverte fare le trecce per farli venire mossi.
Se c'è una cosa che detesto sono le mie sopracciglia. Mi crescono a vista d'occhio e sono una schiappa a rifarmele. Non stanno mai al posto loro e si spettinano tutte le volte che potrei fare una foto decente.
Ho i braccioni come quelli di mia madre, i polsi che se tocchi ti stronco perché mi fa schifo sentire che le mie vene pulsano, e le mie dita delle mani un po' cicciotte, piene di calli nella mano sinistra (si sono mancina, all'epoca di mio padre mi avrebbero legato la mano alla schiena e fatto scrivere con la destra perché i mancini erano indemoniati). Mi fanno schifo le unghie troppo lunghe, con gel, e finte. Mi piace mettere lo smalto purché sia sobrio o scuro.
Con le mie gambe ci ho perso un po' le speranze, sono quelle che sono e non mi importa. Stranamente sono una delle poche persone che non hanno avuto problemi di rotula, o slogature di caviglie, o rotture di piedi.
Non c'è cosa più brutta dei piedi luridi comuni in ognuno di noi. Tempo fa su Instagram girava una pagina che ti diceva che tipo di piedi avevi, non l'ho mai capito. Sta di fatto che odio i piedi nudi.
Caratterialmente non sono una ragazza semplice. Un tempo avrei detto che il mio peggior difetto è il fatto di avere una gelosia morbosa verso le altre persone. Ora la cosa è andata un po' sfumando.
Il mio peggior difetto è la paura dell'abbadono. Per certi versi sono una bambina che ha un continuo bisogno di rassicurazioni, promesse, attenzioni. Mi sono convinta col tempo di non riuscire a star sola, di aver sempre necessità dell'approvazione, del riconoscimento, dell'aiuto delle altre persone. Non sono mai stata sola. Mi è sempre piaciuto qualcuno, e ho sempre cercato di fidanzarmi per il semplice fatto che i ragazzi che mi sceglievo avrebbero potuto essere delle possibili ancore di salvezza, punti fissi.
Ho l'autostima che cade a picco. Superato il problema fisico, c'è quello del sentirmi piccola rispetto a tutto quello che mi circonda. Per anni ho avuto problemi a chiedere nelle gelaterie, nelle cartolerie, tabaccherie. Ho odiato mia madre che puntualmente mi diceva:" che è successo, ti hanno mangiato?". Il mio problema non era la timidezza, ma la paura del giudizio, l'ansia di chiedere.
La paura del giudizio è qualcosa che ho sempre portato con me. In mente ho un episodio fisso di mia madre che mi dice che la mia amica del cuore è una gatta morta. E io mortificata che sto zitta, non dico niente, per il presentimento di far peggio, di peggiorare la situazione.
Era un continuo sentirmi in ansia tutte le volte che dovevo chiedere ai miei di uscire o di portare a casa qualche mia amica. E l'ansia e un sentimento che non mi lascia mai, mi sradica, mi logora fino alle ossa, e mi fa sentire un microbo. E più l'ansia diventata distruttiva più io mi chiudevo a tal punto che nelle interrogazioni non rispondevo alle domande che mi si ponevano e questo veniva interpretato come qualcuno che non assimilava le nozioni, aveva grandissime lacune. Ho ritenuto un successo un 7 in geografia alle medie, ma ricordo le emozioni, lo stato d'animo, il senso di impotenza. Io i professori li vedevo come mostri, come grosse, insormontabili montagne da superare, ho vissuto e vivo la vita come se tutto fosse una catastrofe da dover lasciare alle spalle, da dovermi per forza togliere, altrimenti non sopravvivevo.
Quindi a scuola ho avuto grandi problemi di esposizione. Mia madre andava dicendo che io mi emozionavo alle interrogazioni, il che era vero. Ho sentito ripetermi per anni:" non hai studiato" o "le cose le sai, devi dirle, perché non le dici?", e nel mentre a casa mi facevo un culo quanto una casa. Ma io che ne potevo sapere del perché non dicevo le cose? Che ne sapevo io di quello che mi succedeva? Ora lo so. So che la paura del giudizio era così grande da farmi passare per una persona passiva. In mente io pensavo a tremila cose e perdevo il focus della domanda. Tutt'ora quando devo esprimere una mia opinione è un continuo:" oddio, lo dico o non lo dico?" "e se mi reputa stupida per aver detto questa cosa?"
Le parole erano tutte scritte nei miei diari, quaderni, taccuini riciclati dalla scuola. Non ero in grado neanche di dire a mia madre che da grande io volevo diventare una scrittrice. E allora finivo per scrivere nei quaderni di scuola, di nascosto. Finivo per fare altro ogni volta che sentivo qualcuno salire le scale per avvicinarsi in camera mia. Facevo finta di sfogliare un libro che stava sempre pronto nella mia scrivania.
I libri mi hanno sempre accompagnata. C'è stato un periodo breve della mia vita in cui leggevo a bassa voce, successivamente però mi sono resa conto che leggere ad alta voce era più bello, rendeva quello che leggevo più comprensibile. L'ho sempre pensata così, ma forse non è proprio vero.
Inoltre, mi piaceva dare vita ai personaggi come facevo con le bambole.
Al liceo ho iniziato a fare teatro spagnolo a scuola, e leggere non diventava più leggere ma interpretare. Quando ero bambina divertiva mettere la sedia vicino al termosifone d'inverno e mettermi a leggere un bel libro.
Nonostante questo però leggere ad alta voce ha i suoi contro: non puoi portarti i libro ovunque tu vada; in metro non puoi leggere ad alta voce a meno che come me, non chiudi il cappotto fin sopra alla bocca e leggere; se non hai una camera tutta tua disturbi tutti i componenti della tua famiglia e a chiunque tu possa raccontarlo ti prenderà sempre per un alieno.
La mia vera svolta non l'ho ancora avuta, ma ci sono quasi. Io non sento di avere né 16 né 19 anni. Sento di averne 17, perché mi trovo ancora in un momento di passaggio, dove ancora non mi sento ancora "adulta" o "responsabile. Eppure il fondo credo di averlo veramente toccato. E l'ho toccato quando quasi due anni fa non facevo altro che piangere perché mia madre non accettava mi fossi innamorata di una ragazza. Tutto quello che ora so è perché è frutto di un'attenta e dettagliata autoanalisi fatta con l'aiuto di una psicologa. Ebbene si, mia madre mi ha portata dalla psicologa perché mi reputava una persona che avesse bisogno di chiarezza. Ora la mia psicologa è la seconda persona di cui mi fido di più, a cui posso raccontare veramente tutto, perché c'è il segreto professionale.
La prima persona è la ragazza di cui mi sono innamorata quasi due anni fa. Che odia essere considerata una ragazza. Non che essere definita "ragazzo" sia meglio, ma sicuramente più accettabile. Quindi ne parlerò al maschile, perché non so come si definisce qualcuno che non lo è propriamente. La persona per cui ho perso la testa si chiama Fra. Nel gennaio 2019 non cercavo l'amore perché già ce l'avevo. Eppure Fra mi è piombato come pioggia fitta, e come un tornado ha distrutto tutto quello che avevo creato con il mio ragazzo e stravolto la vita. Come Derek di Grey's Anatomy direbbe, Fra mi ha salvata. È stata una boccata d'aria. Per mesi ho messo in dubbio quello che provavo per lui, per poi considerare il fatto che me lo potevo concedere, potevo mettere per prima l'amore che provavo e poi tutte le etichette del cazzo che questo mondo osa mettere. Perché ragazzi, è osare. Fare supposizioni di ogni genere su una persona, sul suo orientamento sessuale è come calpestare una Margherita nel prato, come svilire, privare di valore una persona. È qualcosa di orribile, ma quante volte viene fatto.
Amo troppo la vita per accettare di essere etichettata.
È stato durissimo avere la maggior parte della mia grande famiglia che appena si parlava di amore non mi calcolava o evitava di parlare con me di lui. Quelli che mi supportavano erano una minima parte, ma quanto valevano di fronte a tutti gli altri?
Mio zio mi ha amato ancora di più, dopo avergli detto che volevo fare la scrittrice mi ha amato e l'ha fatto ancora di più quando gli ho raccontato di questo fatto. Mia zia, sua moglie ha fatto lo stesso. Le mie due cugine del cuore hanno affrontato con me la questione. Invece Alice, mia sorella gemella l'ha sempre saputo. Mi fa ridere il fatto che quando le dicevo che parlavo con Fra mi diceva "ma non è che ti piace?"
Comunque Fra l'ho conosciuto a teatro e metterci insieme è stato un parto, vedersi lo è ancora ma credo di aver capito cosa significa amare veramente qualcuno.
Quando mi fa stare bene sento di volare e quando litighiamo piango come se non ci fosse un domani.
Giuro, non ho solo difetti. Mi piace fare battute per far ridere la gente. Sono ironica la maggior parte delle volte e all'inizio mi state tutti un po' sul cavolo se vi vedo per la prima volta, ma poi mi sciolgo e divento simpatica, giuro. Su di me potete contare il 110%. Potete fidarvi, i vostri segreti non li dico a nessuno (okay forse a Fra si) e se mi chiedete un consiglio o un favore sono pronta.
Mi piace fare le cose in grande, ma ci sono cose, piccole cose che preferisco tenere per me. Prima del sesso c'è la mente. Se mi mandi un audio di oltre un minuto fai prima a chiamarmi e se un gruppo scrive troppo lo silenzio o ciaone, esco.
Sono empatica, mi emozionano tutto ciò che rimane indietro nel tempo.
Alle serie TV preferisco i libri. Ai film preferisco i libri. Anche se ci sono certi capolavori che mi lasciano incollata allo schermo della TV.
Mi piace annotare i miei film preferiti,quelli che Fra deve per forza vedere, le citazioni delle mie migliori amiche, ciò che non piace a Lavinia (una di loro), tenere quanti libri leggo, aggiornare le app in cui c'è da tenere in conto robe.
Mi stanco subito di tutti, tranne che di Fra. No dai, se siete persone con dei buoni contenuti passate. Mi piace così tanto mettere alla prova le persone che amo.
Di un dettaglio va scritto. Odio le cose superficiali, tutti abbiamo una storia da dover raccontare. Odio chi alle cose palesi non agisce, se due persone si amano meritano di stare insieme, per quale ragione dovete complicare tutto? Io ho lasciato il ragazzo con cui stavo per mettermi due giorni dopo con Fra. Si, sono una merda ma meritate di mettervi al primo posto. Di mettere le vostre emozioni prima di quelle degli altri. Almeno una volta fatelo.
Ah, ho la fossetta alla guancia destra. Io e Alice ce l'abbiamo speculare. Lei ce l'ha a sinistra. L'abbiamo prese da mamma e papà che ce l'hanno a entrambe le guance. È una caratteristica bellissima.
-unbagagliodiemozioni
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“[...]Una banalità, pensava Ruth, e però lui non aveva detto «dobbiamo comprare un altro ombrellone», ma «bisogna comprare»[...] Sarà anche stato un caso, ma comunque lui ha detto «bisogna» e non «dobbiamo», pensò Ruth. [...] e allora arrivò la sorprendente risposta di Ruth: «Stai fermo dove sei»[...] Ruth sollevò la racchetta, si alzò e allungò un braccio per tracciare una riga sulla sabbia.[...]
Non ti capisco», disse Jorge. «Immagino», disse Ruth. «Senti, andiamo o no?» «Fa’ come vuoi. Ma non oltrepassare la riga». «Come sarebbe?» «Vedo che hai capito!» [...] «Stai scherzando, vero?» «Sono serissima». «E allora, tesoro», disse lui, arrestandosi davanti alla riga. «Cosa c’è. Cosa stai facendo. La gente se ne va, non vedi? È tardi. È ora di andare. Dai, ragiona». «Non ragiono perché non me ne vado insieme agli altri?» «Non ragiono perché non so cos'hai». «Ah! Interessante!» «Ruth…», sospirò Jorge, facendo per toccarla. «Vuoi che restiamo ancora un po’?» «Voglio solo una cosa», disse lei, «che resti dalla tua parte». «Da quale parte, cazzo?» «Da quella parte della riga». Ruth riconobbe nel sorriso scettico di Jorge una contrazione d’ira. Era solo un tremito fugace sulla guancia, un’ombra d’indignazione che sapeva controllare fingendosi accondiscendente; ma c’era. Eccolo lì. Tutto a un tratto pensò ora o mai più. «Jorge. Questa riga è mia. Capito?» «Assurdo», disse lui. «A maggior ragione». «Su, passami la roba. Facciamo due passi». «Fermo. Indietro». «Lascia perdere questa riga e andiamocene!» «È mia». «È una bambinata, Ruth. Sono stanco…» «Stanco di cosa? Su, dillo: di cosa?» Jorge incrociò le braccia e s’inarcò all'indietro, come se avesse ricevuto uno spintone dal vento. Vide arrivare il doppio senso e preferì essere diretto. «Non lo trovo giusto. Stai prendendo le mie parole alla lettera. Anzi, peggio: le interpreti in modo figurato quando ti fanno male, e le prendi alla lettera quando ti conviene». «Sì? Ne sei convinto, Jorge?» «Ora, ad esempio, ti ho detto che ero stanco e tu fai la vittima. Ti comporti come se avessi detto “sono stanco di te”, e…» «E non era questo che in fondo ti sentivi di dire? Pensaci. Sarebbe addirittura una bella cosa. Dai, dillo. Anche io ho delle cose da dirti. Cos'è che ti stanca tanto?» «Così non ce la faccio, Ruth». «Non ce la fai a parlare? A essere sinceri?» «Non ce la faccio a parlare così», rispose Jorge, riprendendo a raccogliere lentamente le cose. «Ricevuto», disse lei, spostando lo sguardo sulle onde. Jorge mollò tutto di scatto e tentò di afferrare la sdraio di Ruth. Lei reagì alzando un braccio in segno di difesa. Lui ebbe conferma che faceva sul serio e si fermò di colpo, proprio davanti alla linea. [...] «Vuoi smetterla?», disse. Si pentì subito di aver formulato la domanda in quel modo. «Smettere di fare cosa?», chiese Ruth, con un sorriso mesto ma compiaciuto. «Intendo questo interrogatorio! L’interrogatorio e quella riga ridicola». «Se ti disturba tanto questa conversazione, possiamo chiuderla qui. E se vuoi andartene a casa, avanti, va’ e goditi la cena. Quanto alla riga, però, non se ne parla. Non è ridicola e tu non oltrepassarla. Non attraversarla. Ti ho avvertito». «Sei insopportabile, sai?» «Purtroppo, sì», rispose Ruth. Jorge avvertì, sconcertato, la franchezza della sua risposta.[...]«Mi stai mettendo alla prova, Ruth?» Ruth avvertì che l’ingenuità quasi brutale di quella domanda gli restituiva un’eco di nobiltà: come se Jorge potesse sbagliarsi, ma non mentirle; come se da lui ci si potesse aspettare qualsiasi slealtà, tranne la malizia.[...] Ebbe l’impulso di attaccarlo e insieme proteggerlo. «Tu stai sempre a pontificare», disse lei, «e poi hai paura che ti giudichino. Mi sembra un po’ triste». «Ma davvero? Come sei profonda. E tu, invece?» «Io? Se mi contraddico? Se mi rendo conto di fare sempre gli stessi errori? Spesso. Spessissimo. Cosa credi. Tanto per cominciare, sono una stupida. E una fifona. E una rinunciataria. E fingo che potrei vivere una vita che non avrò mai. Pensandoci bene, non so cosa sia più grave: non accorgersi di certe cose o accorgersene e non fare niente. Proprio per questo, capisci, ho tirato quella riga. Sì. È infantile. È brutta e piccolina. Ed è la cosa più importante che io abbia fatto quest’estate». Lo sguardo di Jorge si perse oltre le spalle di Ruth, come se seguisse la scia delle sue parole, scuotendo la testa con un’espressione in cui lottavano fastidio e incredulità. Poi la faccia gli si congelò in una smorfia ironica. Cominciò a ridere. Rideva come se tossisse. «Be’? Non dici niente? Hai esaurito le forze?», disse Ruth. «Stai facendo i capricci». «Ti sembra un capriccio quel che ti sto dicendo?» «Non lo so», disse lui, raddrizzandosi. «Proprio capricciosa forse non sei, ma orgogliosa sì». «Non è solo una questione di orgoglio, Jorge, ma di principio». «La sai una cosa? Starai anche difendendo un sacco di principi, sarai analitica quanto ti pare, ti crederai molto coraggiosa, ma in realtà ti stai solo nascondendo dietro a una riga. Ti nascondi! Quindi fammi il favore di cancellarla, di prendere le tue cose e ne discuteremo tranquillamente a cena. Adesso l’attraverso. Mi dispiace. C’è un limite a tutto. Anche alla mia pazienza». Ruth scattò in piedi come una molla, rovesciando la sdraio. Jorge si fermò ancor prima di aver mosso un passo. «Certo che tutto ha un limite!», gridò lei. «E ci credo che ti piacerebbe che mi nascondessi. Ma stavolta non ti illudere. Tu non vuoi una cena: tu vuoi una tregua. E non l’avrai, mi hai sentita?, non l’avrai finché non accetterai davvero che questa linea si cancella quando lo dico io, e non perché a te scappa la pazienza». «Mi stupisce vederti così autoritaria. E poi ti lamenti di me. Mi stai proibendo di avvicinarmi. Io con te non l’ho mai fatto». «Jorge. Tesoro. Ascolta», [...]«Stammi a sentire, d’accordo? Non è che ci sia una linea. Ce ne sono due, capisci?, ce ne sono sempre due. E io vedo la tua. O mi sforzo di vederla, per lo meno. So che è lì, da qualche parte. Ti propongo una cosa. Se ti sembra ingiusto che cancelliamo questa riga quando lo dico io, tracciane tu un’altra, allora. È facile. Lì c’è la tua racchetta. Tira una riga!» Jorge scoppiò a ridere. «Dico sul serio, Jorge. Spiegami le tue regole. Mostrami il tuo spazio. Dimmi: non oltrepassare questa riga. Vedrai che non proverò mai a cancellarla». «Brava furba! Ovvio che non la cancelleresti, perché io non traccerei mai una riga come questa. Non mi passerebbe neanche per la testa». «Ma se la tracciassi, fin dove arriverebbe? Ho bisogno di saperlo». «Non arriverebbe da nessuna parte. Non mi piacciono le superstizioni. Preferisco essere spontaneo. Voglio poter passare dove mi pare. Litigare solo se c’è una ragione valida». «Voglio solo che tu spinga lo sguardo un po’ oltre il tuo spazio», disse lei. «E io voglio solo che mi ami», disse lui. Ruth sbatté gli occhi, più volte. [...] «È la risposta più terribile che potessi darmi», disse. Jorge pensava di andare a consolarla e si rendeva conto che non doveva.[...] Ruth nascose il viso. Jorge abbassò gli occhi. Guardò la riga ancora una volta: gli sembrò più lunga di un metro.
Una riga sulla sabbia, Le cose che non facciamo, Andrés Neuman
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Sacrifice, Chapter 1
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Camminava spedita nei corridoi della scuola, non badando al dolore lancinante che le affliggeva le gambe. Quasi correva per poter arrivare anche con soli cinque minuti di ritardo. Per la troppa fretta, quasi non si accorse che il suo libro di fisica cadde e per recuperarlo dovette tornare indietro.
"Maledizione! Oggi la giornata è iniziata proprio male"disse lei prendendo il suo libro e correndo verso la sua classe di fisica, dove aprendo la porta fece scattare l'attenzione di tutti, compreso del professor Stark, su di sé.
"Oh, signorina Maximoff che piacere rivederla!"
"Chiedo scusa signor Stark..."
"Anche questa mattina non le è suonata la sveglia?"
"Se sapesse realmente perché non riesco a venire in orario..."sussurrò lei dirigendosi verso il suo banco alla seconda fila.
"Come scusi?"
In quel momento poteva sembrare che Wanda era alle strette, che non sapeva come poter rispondere al signor Stark, il quale non sopportava. Ma se solo avesse avuto un po' di faccia tosta gli avrebbe detto tutta la verità. Ovvero che non lo faceva apposta di arrivare tardi la mattina, che non faceva finta quando non riusciva a concentrarsi. Agli occhi degli altri tutte queste potevano sembrare delle bugie, ma a Wanda piaceva definirle come se fossero delle verità nascoste che da un momento all'altro sarebbero uscite fuori.
Tutto ciò che non riusciva a controllare, il suo corpo completamente addormentato e la sua fatica a concentrarsi non erano cose che lei sperava di avere, erano solo cose che lei non aveva programmato di avere nella sua vita. Forse ciò che aveva era stata solo una punizione, dopotutto chi come lei che aveva una vita piena di problemi e preoccupazioni poteva definire, il suo tumore al midollo osseo, come se fosse una maledizione che le fosse stata afflitta?
Nessuno, no? Ma perché nessuno sapeva la verità e nessuno poteva saperla. Cosa sarebbe successo se qualcuno l'avrebbe saputo?
Qualcuno si sarebbe interessato? Ma chi?
Wanda, ormai aveva imparato a vivere nella sua solitudine nonostante avesse delle persone attorno a sé che le ricordavano sempre che stare da sola, anche così, non era buono per lei. Aveva bisogno di qualcuno che le facesse dimenticare per un secondo la sua condizione, il suo pensiero negativo su se stessa. Ma non credeva che ci fosse stato qualcuno disposto a fare questo, anche perché lei stava bene da sola, non aveva bisogno di nessuno. Neanche per poter sconfiggere quel male che lei non aveva programmato di avere nella sua vita, e che spesso lei vedeva come soluzione a tutti i suoi problemi.
"Nulla, signor Stark...chiedo scusa per aver interrotto la sua lezione" disse lei mentre sistemava il suo libro sul banco.
"Se non le dispiace vorrei porle una domanda"
"Mi dica, signor Stark..."disse lei alzando le dita della mano destra come se fosse un gesto ovvio.
"Con tutte le assenze che sta facendo come crede di poter recuperare la mia materia?"
"Oh, beh...credevo che fosse una questione che avremmo potuto affrontare da soli"
"Beh, se lei non mi dà la possibilità, è ovvio che affronterò il discorso dinanzi alla sua classe intera, anche se a lei può dar fastidio..."
"Come scusi? Spero che si stia ascoltando mentre parla"
"Signorina Maximoff, non so se l'ha presente ma la mia è l'unica materia dove lei ha una F ed io, non posso fare miracoli..."
"Proverò ad essere più attenta, arrivare in orario..."
La scuola, era per Wanda, uno dei tanti obbiettivi che cercava di portare avanti nel modo in cui poteva, ma c'era pur sempre qualcosa che non andava secondo i suoi piani.
"Andiamo, tutti sappiamo quanto sia falso ciò che ha appena promesso"
"Come? Spero che stia scherzando..."
"No, non sto scherzando. Quello che le offro è solo una possibilità, potrà rifarsi e non sarà da sola"
"E chi crede che possa aiutarmi?"chiese lei con un leggero odio, tutto rivolto verso l'uomo che le aveva appena detto quelle parole.
"Lo farà Barnes"disse lui deciso senza sentire ostentazioni da parte della castana che appena sentì quel nome fece una smorfia.
"Chi?"
"James Barnes...lui"disse il signor Stark indicando un ragazzo seduto in un banco, nell'ultima fila.
"Spero che non le dia tanti problemi, signor Barnes visto i suoi allenamenti"disse il signor Stark continuando a parlare con il ragazzo.
"Magnifico"pensò Wanda.
"...ora mi tocca fare ripetizioni con il capitano della squadra di basket, fidanzato con la ragazza più popolare della scuola"continuò lei.
"No, nessun problema signor Stark, mi piace davvero aiutare le ragazze in difficoltà"disse il castano, guadagnandosi delle risatine e delle occhiate indiscrete dal resto della classe e che arrivarono, anche alle orecchie di Wanda.
La lezione proseguì senza ulteriori intoppi, il signor Stark continuò a spiegare il suo nuovo argomento, dove, il quale Wanda non prese neanche appunti, era troppo presa dalle parole che risuonavano ancora nella sua testa. Veramente il signor Stark faceva questo perché voleva aiutarla? Oppure solo per pietà? Ma fu una domanda alla quale non riuscì a rispondersi, troppo presa dal rimettere a posto la sua roba, per poter andare nella classe della signora Potts.
"Non volevo darti fastidio con ciò che ho detto, ti prego di scusarmi" disse una voce alle sue spalle. Sentì una presenza dietro di sé e si girò lentamente trovando il ragazzo di cui il signor Stark tanto parlava, pochi minuti prima del suono della campanella.
"Tranquillo, credo sia stato abbastanza divertente per te e per il resto della classe"disse lei prendendo la manica della sua borsa a tracolla e andandosene.
"No, guarda che mi dispiace sul serio!"disse lui provando a raggiungerla, lei era veloce nonostante le sue gambe non reggevano più tutta quella stanchezza.
"Va bene, facciamo finta che non sia successo nulla, okay? Ti lascio ai tuoi impegni da capitano della squadra di basket..."disse lei con un sorriso sufficiente e provò ad allontanarsi una seconda volta.
Però, la mano del castano attorno al suo polso, la fece ritornare indietro scontrandosi con lui per la seconda volta nell'arco di due minuti. Rimase ferma per alcuni secondi facendo su e giù con lo sguardo dal suo polso al viso del ragazzo.
"Volevo chiederti...quando potremmo vederci? Insomma per..."
"Non so dirtelo bene in questo momento"
"Beh...aggiornami allora, sai che riesco benissimo a conciliare i miei impegni"
"Si, ti ho sentito...ma credo che uno di quelli stia per arrivare proprio in questo momento"disse lei facendo un cenno verso le spalle del castano, dove la sua ragazza stava per arrivare.
"Che intendi dire?"
"Sharon Carter, capo delle cheerleader nonché la tua ragazza sta per avvicinarsi qui e lo sappiamo tutti quanto sia fastidioso per voi popolari farsela con gente come me..."disse lei mimando il gesto delle virgolette alla parola popolari.
"Hai frainteso le cose"
"Assolutamente no"disse lei che si voltò subito, prima che la bionda arrivasse e le facesse domande incomode. Ma non sapeva che James avrebbe voluto spendere, d'ora in poi, anche solo un minuto in più per poterle stare vicino, non sapendo neanche il perché.
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Pensavo di odiarti, finalmente, ne ero proprio convinta e la cosa mi dava una certa soddisfazione. Me lo sono scritta persino nelle note del telefono, per ricordarmelo, perché se ti odio, sto andando avanti, se ti odio allora smetterò di aspettarti, se ti odio allora starò meglio. Ma non è vero che ti odio, o meglio non lo faccio sempre. Forse l'idea di odiarti per davvero, per intero, mi terrorizza perché quando inizio non mi fermo e porto rancore per un bel po' (cosa che ti meriteresti).
Anche se pensandoci bene ho capito una cosa: provo qualcosa per te, è vero, ma non mi piace più quello che sei o che sei diventato, non so. Io me lo ricordo il ragazzo dolce e sensibile che eri con me e non corrisponde per nulla a quello che vedo ora. E ti sembrerà strano ma una notte mi sono ritrovata a ringraziare il cielo di non dover stare dietro ai tuoi sbalzi d'umore perché una persona come quella che sei ora non la vorrei.
Qualcuno un giorno mi ha detto che non ti dimenticherò mai per davvero, che andrò avanti e farò la mia vita ma tu mi mancherai sempre un po'. Credo abbia ragione, perché nonostante tutto e tutti, nonostante la situazione attuale (che è una vera merda), ogni tanto tu ancora mi manchi. Mi torni in mente in momenti strani della giornata. Mentre sto svuotando la lavastoviglie al lavoro, mentre guardo una puntata di una serie tv, mentre sono fuori con amici che di te non conosco neanche l'esistenza.
Sto cercando di allargare le mie conoscenze, esco con altre persone che non sono i nostri amici e mi fa dannatamente bene perché loro non sanno niente e per questo motivo non mi guardano con compassione.
Il sabato, però, è per la compagnia e ci siamo ritrovati al solito pub a bere una birra. Mi prendevano in giro perché quella tua amica, quella che non mi piace, aveva casa libera e voi vi siete ritrovati tutti da lei. I nostri amici, scherzando dicevano che volevano raggiungervi, che tanto tu saresti stato ubriaco e messo male, non avresti neanche fatto caso a me. Allora mi sono arrabbiata, li ho trattati male e li ho insultati e loro ridevano ancora di più e, ovviamente io li seguivo perché alla fine mi divertono sempre. Poi uno di loro si è fatto serio e mi ha guardato negli occhi: "non capisco perché si stia comportando così" mi ha detto "va bene quello che è successo ma perché evitarti? Che senso ha?". Per qualche secondo sono stata zitta. Sono le stesse domande che mi faccio io praticamente tutti i giorni. Non lo so che senso ha, non l'ho ancora capito e forse non avrò neanche mai una risposta, ma poco importa.
Tu ci sei anche se non ti sento, ci sei nella strada che facevamo sempre insieme, ci sei in un bacio sulla fronte che ancora rifiuto da chiunque non sia tu, ci sei nella frase di un libro o di una canzone, ci sei nella playlist che non riesco più ad ascoltare. Ci sei e chissà per quanto ci sarai, perché la notte è ancora difficile sapendo che il giorno dopo non ci sarai.
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7 agosto - capire accettare e andare avanti
Continuo a pensare a quello che è successo ieri ed è stato tutto talmente folle inaspettato e assurdo che ancora non mi rendo conto che l ho vista, abbiamo passato il tempo insieme ridendo e scherzando come se nulla fosse... Io non la cercherò e francamente non credo lo farà neanche lei... Non mi aspetto semplicemente niente, come scrivevo ieri almeno si è chiuso un cerchio, ora continuo con la mia vita e cercherò di essere più costante e seria. Da quando è tornata la macchina ho guidato un bel po' di volte, mi sento molto più sicura di me, ho ricominciato dopo questo caldo marcio con gli esercizi e oggi sopratutto mi hanno aiutato a sfogare, per quanto riguarda il lavoro ci sto lavorando, scusate il gioco di merda di parole, spero giungerà presto, sono stanca di essere rimasta l unica disoccupata tra i miei amici praticamente e poi francamente lo dico anche per me stessa che a 26 anni voglio vedermi professionalmente arrivata da qualche parte. Fatto sta che se avessi iniziato a svegliarmi un po di anni fa senza lasciar scorrere questo tempo ad aver paura, a nascondermi ad aver paura del mondo lì fuori ora sarei realmente realizzata lavorativamente e magari anche in ambito famigliare. La vita è una sola e voglio viverla avendo amore stima rispetto per me stessa e circondarmi di persone profonde e non superficiali, chiedo solo questo, non voglio più avere a che fare con persone altamente dannose per me, ero manovrabile un tempo a piacimento perché non conoscevo il concetto reale di rispetto per sé stessi e per gli altri quindi i rapporti erano tutti praticamente tanto per conoscere una persona in più e salutarla... Se mi guardo indietro riesco solo a pensare di essere migliorata, sia con il legame famigliare sia con il legame con me stessa e gli altri e direi che già questo è molto bello però so anche che la strada, le paure e i limiti da superare sono un sacco e cercherò di avere pazienza e ottimismo con un pizzico di speranza... Ciò che non mi uccide mi fortifica
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What’s wrong with you?
20.06.2071
I: «Non mi aspettavo che lo facessi per forza..insomma ti capisco, ero solo preoccupata e...» sbuffa appena, cercando le parole. «Seb mi ha detto che ti aveva parlato e così ho pensato di scrivere, giusto nel caso avessi avuto bisogno di...chiacchiere in più»
K: «Ho parlato con Seb qualche giorno dopo la.. scomparsa, siamo stati così uniti e così divisi allo stesso tempo..» andrebbe dunque ora a staccare la mano in segno di vergogna quasi «Ho perso troppo tempo a cercare di stare vicino a lui convincendomi che avrei potuto renderlo felice senza rendermi conto dell`unica persona che avevo accanto sempre, ogni volta che cadevo, che finivo rovinata per quanto promettessimo l`un l`altra di esserci.. non riuscivamo a comunicare.. eravamo e siamo tutt`ora un`eclissi.. non riusciamo a essere insieme nello stesso tempo.. ma Adam.» un sorriso acceso dal nome e le iridi che guardano quei fiori «è sempre stata la mia luce e lo davo per scontato..» abbassa nuovamente la testa «so che il passato è passato e voglio che tu sappia che non so come definire Sebastian ma tu sei la sua luce e io non potrei mai essere alla tua altezza neanche da amica.. inoltre Adam è la mia casa ed è tutto ciò di cui ho bisogno». Alza la testa «spero tu mi possa ritenere adatta ad Adam, perchè è tutto ciò che chiedo» abbozzando un sorriso, e nel caso il fiore le venisse porto ugualmente lo andrebbe ad avvicinare al cuore «non sono brava a tenermi le persone, ma...» fa una pausa «mi piacerebbe davvero..»
I: «un`eclissi» ripete quelle parole come una mera constatazione, il tono a farsi appena più duro e l`espressione velata di leggero e involontario scetticismo. Schiude le labbra, prendendo fiato neanche stesse per dire chissà cosa, prima di realizzare che in quel resoconto ci siano decisamente troppi elementi noti a metterla in allarme, non poco. «Beh...» sospiro profondo «A volte certi rapporti possono essere...diciamo dannosi e possono incastrarci senza che ce ne rendiamo conto e senza che rendano felici uno dei due, tipo che diventano abitudine, farsi male un`abitudine, capisci che intendo no? Ma è....bello, se hai trovato la tua luce e il modo di..uscirne» deglutisce, «Adam è davvero speciale» - «e sono sicura che i vecchi trascorsi non abbiano importanza se incontri poi la persona giusta, basta accorgersene in tempo». «E questo cosa dovrebbe significare esattamente?» ora si che il tono si vela di leggera accusa, «Come lo dovresti definire? Un tuo amico, o conoscente se preferisci, perché, esistono altri possibili modi in cui vorresti definirlo?» non alza la voce, ma decisamente non le serve. «Essere alla sua altezza?» gonfia le guance «Beh...pensavo che lo fossi» adatta ad Adam, «Prima che lo facessi sembrare una specie di seconda scelta tanto perché non eri all`altezza della prima, stai scherzando spero, insomma, non stiamo davvero avendo questa conversazione, giusto?» K: Sorride «Sebastian era un conoscente, poi un`amico, poi lo consideravo un fratello.. e poi siamo tornati ad essere niente, adesso è solo Sebastian credo.. tutto ciò che ci poteva essere nonostante conosca la storia di..» indica la cicatrice dietro l`orecchio ben visibile verso la fine «non...» scuote ancora la testa «no no Ilary..» cerca di afferrarle la mano stringendola sul tavolino «Adam non è mai stato la mia seconda scelta, non sarà mai una seconda scelta..» le iridi per un breve istante risulterebbero quasi glaciali al dire «Ho visto Adam al secondo anno per la prima volta..» andrebbe a rallentare la presa «e non so spiegarlo, ma era tutto ciò di cui avessi bisogno, nonostante Jackie ne fosse innamorata, nonostante lui amasse gli insetti dai quali io stessa ero terrorizzata, non so cosa tu sappia..» lascia la presa «ma il periodo in cui pensavo di essermi "innamorata" di Sebastian era solo una reazione al fatto che Ade mi avesse mollata..» si umetta le labbra passando la destrosa sul viso «Seb e io siamo sempre stati uniti dai litigi e io ero troppo... incapace di intrattenermi in qualsiasi relazione per capire cosa volessi davvero» fa una pausa «Sono in cura da un medimago psicologo per un problema, e finché non sapevo di averlo, finché non ho capito quale fosse ho mandato a monte molte cose..» si lascia cadere sulla sedia guardando altrove «Ora ho capito che ho cercato in Sebastian quel sentimento che credevo potesse esistere ma che non c`è.. non ero io la persona adatta a lui come lui non era la persona adatta a me, cercavamo di metterci cerotti su delle ferite che non potevamo guarire, e l`ho capito la sera della cena» fa una pausa, «Adam è la mia cura come io sono la sua, come io voglio essere la sua dal secondo anno, e non mi interessa se debba fartelo capire adesso, domani o tra un milione di anni, io voglio Adam ed è tutto quello che mi serve. Sebastian è forse quel fratello che non ho mai avuto, quella parte di me con la quale mi scontro ogni volta, siamo il sole e la luna non possiamo stare insieme nello stesso posto.. non eravamo, non siamo e non saremo destinati, perché io non lo guardo come guardo Adam e lui non mi guarda come guarda te, come se il resto del mondo non esistesse, come se ogni cosa fosse insignificante dentro gli occhi dell`altro.» fa una pausa
«puoi odiarmi se vuoi, ma non cambia il passato, posso dirti ciò che adesso provo, e puoi accettarlo, oppure no, ho passato anni a prendermi schiantesimi da Jackie perché non ero abbastanza per Adam, ma lui è tutto per me e non cambierà le cose, non cambierà ciò che provo o ciò che ho provato.. facciamo tutti degli sbagli Ilary e in sette anni ne abbiamo fatti tutti fin troppi, si cresce e si va avanti, ma per quanto mi riguarda..Amo Adam e non devo scusarmi con nessuno per questo.» seria.
I: «Un fratello» ma per piacere, ora rischia quasi di ridere e di suonare scettica. «So tutto» circa «se ti riferisci ai vostri trascorsi» le fa presente con tono eloquente. «e per la cronaca non ci si innamora per scordare qualcun altro, lo so perché lo ha avuta anche io la cotta per il mio migliore amico e decisamente non aveva nulla a che vedere con l`amore, quindi forse dovresti fare un po` di chiarezza» giusto un consiglio fin troppo spassionato. «No, Adam non è una cura e io non sono una cura, cos`è, un vizio da affibbiare agli Wilson quello dei guaritori provetti? Siamo persone, Merlino!» e ora ha perso la pazienza, difficile mantenerla. «E non ho bisogno che mi convinci, ho bisogno che mi spieghi come ti è saltato in mente di parlare a ME di tutto questo, in questo momento, sapendo che sono la ragazza di Sebastian E la cugina di Adam» tipo, ti è andato di volta il cervello? Il tono suggerisce questo. «E non sembrava esattamente amore fraterno quando parlavi di non essere alla sua altezza o che non sapevi cosa fosse, è difficile scordarsi di avere un fratello, ti pare?»...«E puoi per favore smetterla di paragonarvi a corpi celesti? E` piuttosto inquietante». «Ok ok, è chiaro» fa per frenarla ora, «Oh si è il suo azzurro è un immenso cielo in cui perdersi, sono d`accordo, è tutto molto emozionante ma ti prego non farla melodrammatica, non ti odio» suona solo molto molto retorica adesso «Reagisco solo a quello che dici, che non mi piace per niente e non sto dicendo che non sei abbastanza per lui, tu mi piaci, ok? Mi piaci un po` meno quando tiri fuori trascorsi con Sebastian appartenenti a una vita fa` e non ti sto chiedendo di cambiare il passato, ok? Sinceramente, non me ne importa niente del passato che potete avere in comune, e credimi quando ti dico che ho ben presente cosa significa convivere con quello di Seb, al momento mi sto preoccupando del presente....di Adam» sottolinea; «Quindi smettila subito di farmi passare per la gelosa della situazione. O meglio si, lo sono» si corregge «di Adam e spero per te che tu sia molto molto convinta di quello che hai appena detto, perché se solo oserai fargli del male ti farò vedere sperimentare davvero cosa significa un`eclissi»... «e per la cronaca io sarei la luna e tu il sole in quel caso e faresti meglio a non esistere in contemporanea con me o finirebbe poco bene, decisamente». K: Annuisce «ho fatto chiarezza già da due anni Ilary» sicura...«PENSI..» sbatte la destrosa sul tavolino e alza la voce, si guarda intorno ricomponendosi «Pensi che non sappia che siete persone? pensi che mi diverta a ferire la gente e a dire " ti amo" a chiunque? non mi conosci.. sai di me solo quello che ti ha detto Adam o Sebastian, non sai niente ne di me ne di quello che ho passato..» digrigna i denti «Te lo dico adesso, perché ti ho conosciuta davvero da poco, e credo che Sebastian ti ami davvero, e scusa» scusa sarcastico «se voglio essere sincera con la cugina del mio fidanzato, o con la ragazza di..» rotea gli occhi «non puoi capire..» scuote la testa «non voglio rivangare il passato per correre tutti in prati felici come se non ci fosse un domani, io non sono alla tua altezza! Merlino menomale che ascolti!..mi riferisco a te!» digrigna i denti «secondo te perché me ne sono andata? perché non mi fregava di Sebastian? o forse perché sapevo di non poter essere la persona, l`amica, che lui avrebbe voluto? sono stata una bambina buttandogli in faccia sentimenti che non stavano ne in cielo ne in terra, e mi sono nascosta per tre mesi..» pausa «non te lo sto dicendo perché voglio ferirti ma perché mi sembra ipocrita farti il bel sorriso quando in realtà le cose non sono come sembrano..» altra pausa «vuoi credere che io e Seb siamo stati solo compagni di scuola da saluto nei corridoi? va bene Ilary,il passato rimane passato.. ma se vuoi davvero conoscermi, se vuoi davvero smetterla di essere gelosa, o fidarti di me.. devi sapere tutto.. o almeno quanto basta per poter capire, che alcune ferite non si rimarginano e non faccio la melodrammatica santo cielo! pensala come vuoi ok? credi a ciò che più ti fa comodo, non.. sono stufa di dover spiegare al mondo intero ciò che provo, non essere capita ed essere sempre accusata di non amare mai abbastanza Adam.. S.T.U.F.A.» sbatte delicatamente le dita sulla tavola a scandire le parole
«Oh credimi»...«nessuno torcerà un ricciolo ad Adam..ne adesso, ne più avanti..» - «se era un modo poco carino per dire di non avvicinarmi a Sebastian, credo sia riuscita piuttosto male.. ma credo che tenerlo come migliore amico mi basta e avanza.. sempre che si riesca a recuperare qualcosa.. ovvio.. non mi interessa l`astronomia era solo un modo di dire.. "non siamo sulla stessa lunghezza d`onda".. "siamo su due pianeti diversi"»
agita le mani e scuote la testa rassegnata «lascia perdere». I: «Beh non sembrava chiarezza, Katrine» asserisce, sarcastica. «Forse dovresti imparare ad esprimerti meglio prima di lamentarti perché le persone male interpretano» - «Che cosa c`entra questo» domanda ora quasi ragionevole. «No che non ti conosco» quasi si tranquillizza, tanto per esplicitarle le sue presunte incoerenze. «Di fatti non ti ho mai detto che ti divertisse ferire la gente, neppure ho idea di chi tu possa aver ferito, che vuoi che ne sappia, non è questo il punto» si sta stufando di ribadirlo. «Sincera? Che cosa...volevi comunicarmi esattamente? Perché non era sembrato niente di accettabile posta in quei termini e ti assicuro» e qui curva un sorriso amaro «Che sono bravissima a gestire conversazioni umanamente inaccettabile, quando si tratta di me»...«Ma non se c`è di mezzo Adam!». «Di...Sebastian? Cos`è che non posso capire? Ho capito parecchie cose, ti suggerisco di provare, perché dubito che tu sia la cosa più incomprensibile della vita di Sebastian, voglio dire neppure avevo idea che ne avessi fatto parte fino a qualche mese fa!» - «Già, è proprio questo il problema!» sbotta esasperata. «La mia altezza, che nel caso non te ne fossi accorta è nanica» tanto per fare dell pessima ironia, insomma. «E non vedo perché dovresti misurarti con me in qualsiasi cosa, detta così sembra....sembra tutt`altro!»...«BOLIDATE!» - «Non esiste non essere abbastanza, se non lo sei ti sforzi per esserlo, per essere la persona che l`altro merita, che sia un amico, un ragazzo o un fratello,dirsi di non essere all`altezza è solo una scusa per non impegnarsi, per non lottare quando le cose non semplici come sempre» ecco cosa crede,«Io non voglio credere niente di niente, la verità mi sta bene, semplicemente non mi interessa perché è passata, ok?» ed è palesemente sincera in questo. «Beh, se proprio volevi aprire il momento confidenza e sincerità adesso»...«Dovevi decisamente usare tutt`altro incipit, essere chiara, visto che l`argomento è...singolare» - «Credimi, conosco bene la sensazione, la smetterò di darti della melodrammatica quando la smetterai di di credere che non stia accettando la verità o che abbia qualche problema di sorta con questa storia, perché non ce l`ho, ok? Mi preoccupo solo per Adam e mi preoccupa che TU, continui a tornare su Sebastian quando non è lui il punto, ok? Potrebbe essere qualsiasi altra persona e io sarei qui ad arrabbiarmi lo stesso, perché è di Adam che sto parlando. Almeno io» frecciatina «Beh, la metafora era tua, se è poco efficace prenditela con te stessa» le sembra ovvio
«E non ti sto dicendo di non essere amica di Seb, può sceglierseli da solo gli amici, ti sto solo comunicando di essere ben sicura di quello che mi hai detto».«Si, lascio perdere, comunicare con te è più complicato che preparare un Veritaserum» - «Ah, e per la cronaca, non è che io e Seb arriviamo esattamente dagli stessi pianeti, stelle, corpi celesti o satelliti e neppure tu ed Adam mi sembra, perciò decisamente non è la differenza a tenere lontane le persone...Perciò trovati una scusa migliore per giustificare il fatto che sia andato tutto a morgane, l`amicizia, la conoscenza o qualsiasi altra cosa fosse, per te»
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il mostro
(sistemando vecchi indrizzi mail -non fatelo, mai- ho trovato un racconto breve di una decina di anni fa che avevo completamente rimosso dalla mia memoria credo dai tempi in cui ancora il non plus ultra della comunicazione sociale era msn messenger, non so neanche se lo avessi mai messo qua o da altre parti in precedenza; comunque sia, lo incollo qua sotto)
Guidare annoiati è come essere all’inferno, con la differenza che se non altro all’inferno non devi stare attento alla strada.
Non sono mai riuscito ad ascoltare dischi interi in auto, già dopo tre o quattro canzoni di fila perdo la pazienza e comincio a rovistare nel cruscotto per scegliere il prossimo cd masterizzato da maledire venti minuti dopo. Ho bisogno di parole, discorsi, chiacchiere per non impazzire, specie quando mancano ancora centosettanta chilometri ed entrambe le corsie sono bloccate dalla geniale idea del camionista che fa gli ottantasette all’ora di superare quello che si tiene, più prudentemente, sugli ottantasei. Il problema è che sembra che questo venerdì pomeriggio tutto l’etere si sia messo d’accordo per trasmettere soltanto irritazione, e quando la punta del tuo indice diventa un calco del pulsante per mandare avanti la frequenza capisci che forse è ora di spegnere tutto e lasciare che a non farti pensare sia il fischio di sottofondo del motore lasciato andare a troppi giri.
L’asfalto scivola sotto la carrozzeria a centoventi all’ora, per poi esser sputato fuori dallo specchietto retrovisore. Ancora un’ora e un quarto buona di strada. Quella storia che a volte ti penti di non aver mai iniziato a fumare giusto perché almeno avresti qualcosa da fare in momenti come questo.
“Tutto bene, no?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla A4, tentando la conversazione come misura estrema prima di arrendermi al tramonto sulla Pianura Padana. A passare troppo tempo in mezzo a un paesaggio del genere cominci a credere che al centro del Sistema Solare non ci sia una stella, ma che tutto giri intorno ad una complicata costellazione di capannoni. E troppo tempo è stato più o meno tre uscite fa.
Il mostro mi guarda con la sua solita faccia beata dal sedile del passeggero, senza confermare né smentire. Sta lì, come al solito. Lascia penzolare le gambette sopra il tappetino e si gode il viaggio con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate nella sua posa pigramente soddisfatta.
Sospiro, dichiarando ufficialmente la mia resa alla noia grigioverde che assedia i finestrini. “Metti almeno la cintura.”
Non si muove di un millimetro, nemmeno per annuire. Non avendo il collo, è qualcosa che gli si può perdonare, suppongo. Rimane lì a fissarmi nel suo colore radioattivo da fumetto, le mani appoggiate sull’addome, le dita incrociate.
Non che mi aspettassi davvero una risposta, sia chiaro. Non sono pazzo. Beh, non attualmente. Magari il giorno in cui inizierà a rispondere sarà il caso di farsi qualche domanda, ma al momento posso dirmi sufficientemente sicuro che non sia nulla più di un semplice gioco tra me e me o, se preferite il finto gergo da psicanalista dei telefilm, un costrutto della mia mente. Un costrutto neanche troppo originale, a dire il vero, dato che è praticamente Slimer, quello dei vecchi cartoni dei Ghostbusters, con in più un paio di gambette rachitiche. Quella storia che la televisione ha distrutto la fantasia alla mia generazione.
Non ha nemmeno un nome (o, meglio, non ha un nome pronunciabile nella nostra lingua, dato che arriva da un’altra dimensione)(sì, sto scherzando). Semplicemente, c’è sempre stato, sin da quando ero bambino. A nove anni non riuscivo a dormire per paura di un compito in classe, lui rimaneva imbambolato a fissarmi dalla sedia dove mia madre mi preparava i vestiti per il giorno dopo. A diciotto, con l’orale della maturità a tre giorni di distanza, continuavo a rileggere la stessa frase un migliaio di volte dimenticandola ancora prima di arrivare al punto, e lui era appollaiato sulla scrivania che ondeggiava leggermente al ritmo dei miei vaffanculo. Durante la tesi ha praticamente vissuto sulla tastiera del mio computer, e non era facile spiegare ai miei che, se non ero riuscito a scrivere nemmeno una riga in sei ore, era perché c’era una creatura inesistente che si rifiutava di togliersi dai tasti.
(Scrivevo un messaggio per dirle buonanotte, ti amo, lei rispondeva soltanto notte e lui era dietro la mia spalla destra per avere una visuale ottimale del display del cellulare. Che già era un casino giocare decentemente a Snake 2 con qualcuno che mi guardava, figuriamoci accettare che stava andando tutto a puttane.)
È tutta una questione di che parte del tuo corpo è stata scelta dal destino per somatizzare e tormentarti, almeno fino al momento in cui gli acciacchi si distribuiranno uniformemente in tutto il tuo organismo e sarai pronto per essere uno di quegli anziani che rendono le giornate in sala d’attesa dal dottore la cosa più prossima all’infinito che un essere umano possa sperimentare in questa vita. C’è chi l’ansia, la preoccupazione, quel senso di totale e completo oh, cazzo li sente nello stomaco, chi nelle meningi, chi nell’intestino, chi nei nervi.
Io me li sento nell’immaginazione. Un metro e qualcosa di bozzi, sorriso e rotoli di ciccia alieni. A volte mi chiedo perché qualcosa del genere mi succeda solo con le cose brutte, perché non possa avere una presenza costante che mi segnali che stanno per arrivare momenti migliori. Quella storia che uno è destinato a venir su pessimista.
Ancora adesso, quando ho una presentazione importante il giorno dopo è a lato dello schermo del portatile che si gode le mie bestemmie a Power Point. Se esco di casa in ritardo lo trovo già steso sul corrimano delle scale per non perdersi il probabile spettacolo di me che inciampo e finisco a rotolare per due o tre rampe.
E ora è qui, accanto a me, perché sa benissimo che domani
Eh.
Poi c’è il casello, poi ci sono solo provinciali, comunali, vialetto, saluti.
A cena mio padre risolve l’indovinello finale del programma di rai uno, e quello più o meno è il momento più eccitante di tutta la faccenda. Mi fanno le solite domande su come sta andando, stando bene attenti a non scendere troppo nei dettagli. Confeziono le risposte con cura per non creare nessun tipo di preoccupazione, e li osservo mentre le assorbono con un certo sollievo e un cucchiaio di piselli in più, lieti di poter passare ad altro. Essere cresciuto in una famiglia in cui la comunicazione interpersonale è considerata un disagevole equivoco rappresenta un vantaggio non indifferente, a volte.
Dico ai miei che no, non credo di uscire. Sono stanco per il viaggio, vado a letto presto che tanto vedo tutti domani. Uno, due, tre sms per ripeterlo agli altri, rimbalzare le insistenze. Sì, sono sicuro. Grazie lo stesso, davvero. Ciao.
Il mostro si guarda intorno sul letto, seduto sopra il pigiama ben piegato che mi aspetta sul cuscino. Erano mesi che non vedeva camera mia, e ora rotea gli occhietti su ogni angolo, superficie e poster di questi dieci metri quadri scarsi, come quando vai a votare alle tue vecchie scuole elementari e cerchi di raccattare i ricordi di quei tempi da ogni piastrella.
“Bravo. Se te gà da ‘fondar, se no altro che sia dentro l’oceano.” Era successo che ci eravamo lasciati. Non l’avevo presa bene. Non l’avevo presa in nessuna maniera, in realtà. Avevo smesso di voler pensare e la soluzione più immediata era stata concentrarmi sugli ultimi esami che mi mancavano prima della laurea. Credo che per qualche mese studiare sia l’unica cosa che abbia fatto con regolarità maniacale, al contrario di altre attività secondarie come l’uscire con gli amici, il radermi, il lavarmi o, non so, il parlare. Avevo scoperto che, da un certo numero di pagine al giorno in poi, le formule diventano una specie di mantra che ti occupa la testa durante il giorno e ti stanca quel che ti basta per affrontare la notte. Arriva un certo punto in cui addirittura credi di averla superata.
La prima volta che l’avevo rivista avevo finto di dover telefonare ed ero tornato a casa a vomitare anche l’anima, col mostro che lasciava penzolare le gambe a cavallo del bidet. Quella storia che a pensare positivo sei sempre due passi indietro rispetto a dove credevi di essere.
Dopo un paio di colloqui in cui avevo simulato con successo una certa voglia di responsabilità, mi avevano offerto un lavoro a Milano. Sette provincie e tre ore e mezza di auto più in là. Sembrava una buona idea. Quando l’avevo detto a mia nonna lei mi aveva abbracciato e risposto così, nel nostro dialetto fatto apposta per odorare di terra e parlare di sbagli.
Bravo. Se devi affondare, se non altro che sia dentro l’oceano.
Convinta di aver un nipote ambizioso, deciso a farsi un nome in una città grande duecento volte la nostra. O, forse, abbastanza esperta di mostri per avere il buon cuore di fingere che fosse così.
(Il sonno che non arriva fino alle quattro. Alzarsi con il mal di testa, mia madre che mi porta un succo alla pesca per colazione, con la cannuccia infilata già dentro, come non fossero passati più di vent’anni. Vestirsi e sentire la giacca tirare sotto le braccia, a livello dell’anima.)
“Mi spiace che tu non sia riuscito a venire all’addio al celibato”, mi dice Marco stringendo leggermente la mano sulla mia spalla sinistra. “Anche a me, gli altri mi hanno raccontato come è andata e mi sono mangiato le mani. È che al lavoro in questo periodo è un casino, è già tanto se son riuscito a prendermi questi due giorni”, mento. Prova a chiedermi qualcos’altro, ma viene afferrato per il gomito dal testimone e portato in chiesa perché, senza nemmeno qualche tradizionale minuto di ritardo, sta arrivando la sposa. Resto fermo sul sagrato, superato da amici e conoscenti che mi lanciano domande e bonari rimproveri in serie, come una catena di montaggio di convenzioni sociali che è inevitabile attraversare quando è un sacco che non ti fai sentire, è un sacco che non ti fai vedere, è un sacco che non ti trovo su Facebook. Lavoro. Impegni. Scuse improvvisate che migliorano e si arricchiscono di dettagli ad ogni nuovo giro. Ancora, e ancora. Finché, finalmente, arriva l’auto della sposa, che lascia scendere con una certa fatica un abito ingombrante dentro al quale si muove solenne un fascio di sorrisi tirati, lacca e trucco attraverso il quale riconosco Anna. La portiera si richiude svariati secondi dopo, lasciando srotolare con calma i commenti delle invitate e lo strascico bianco. Applausi mentre attraversa il sagrato, i tacchi che sopravvivono con qualche difficoltà ai cubetti di porfido. Qualcuno con l’occhio già lucido. Luca che progetta una maniera per saltare la celebrazione, cercando in giro un bar adatto e gli invitati giusti a cui scroccare minuti e sigarette. Sto per seguire la massa attraverso il portone quando vedo il mostro alla fine dello strascico, che si lascia trascinare come fosse Trinità. Non ho bisogno di chiedermi perché sia lì. Alzo lo sguardo sopra la sua espressione ridicolmente beota e la vedo in coda tra gli invitati, parlare con un’amica mentre scende gli scalini del duomo, ridere. Sembra felice. Sembra lei. Nonostante la capigliatura troppo elaborata, tutto quel trucco di cui non avrebbe bisogno, un vestito che è un incarto di caramella che le lascia libere le spalle. Quelle spalle. Quel neo. Non sono pronto. Cazzo, non sono pronto.
Corro dietro a Luca, che mi circonda le spalle con il suo braccio destro mentre acceleriamo il passo verso il bar. Magari entro a cerimonia già iniziata, ecco.
(Essere seduti a tavoli diversi, finire occhi negli occhi per qualche secondo di imbarazzo infinito. Alzare una mano, provare un’espressione gentile ma riuscire solo in una smorfia poco convinta, per nulla efficace. Non aver pensato a cosa dirle, non aver pensato a cosa potrebbe volermi dire lei. Non volerci pensare tutt’ora. Qualcuno che si azzarda a chiedermi se l’ho più sentita, se sto bene, se mi vedo con qualcuna e un altro miliardo di se che dribblo come posso. Mai stato un gran calciatore. Andare a salutare qualcuno al suo tavolo e far finta di niente. Girare lo sguardo un attimo troppo tardi quando si alza e attraversa il mio campo visivo. Capire che se n’è accorta. Guardare l’orologio. Controllare il cellulare ogni sei minuti netti, pregando in una telefonata di lavoro il sabato pomeriggio.)
Il mostro si gode beato antipasti, primi e secondi gentilmente offerti dal mio sistema nervoso.
Nel giardino sul retro del ristorante ci sono due altalene e più suv di quanto la media nazionale potrebbe far pensare. Mi siedo sulla tavoletta di plastica nera e ondeggio leggermente, la fronte imperlata di sudore appoggiata a una delle due catenelle di sostegno, a elemosinare quel po’ di frescura che pochi centimetri di metallo possono regalare. Dentro c’è troppo movimento, troppo alcol, troppo casino, e i principi della termodinamica non perdonano. Sotto i portici, lontano da me, invitati che chiacchierano, fumano, si scattano fotografie. Il musicista ben pagato per intrattenere gli invitati si prende una pausa davanti alla fontana all’ingresso. Tra poco qualcuno comincerà a ringraziare gli sposi, rassicurandoli sul fatto che è stato tutto perfetto, e si avvierà verso casa a smaltire la giornata. Sull’altalena accanto il mostro si gode la brezza e le poche stelle che le luci dei lampioni ci concedono. Chissà da quanto era qui fuori ad aspettarmi. Alzo la mano verso di lui, reggendo un bicchiere immaginario, e propongo un brindisi. “A noi due, vecchio. Ce l’abbiamo quasi fatta anche stasera.”
“Parli da solo, ora?”
La voce le esce meno sicura e sarcastica di quanto vorrebbe, la conosco ancora troppo bene per non accorgermene, ma il cuore salta un battito lo stesso. Il fatto che io non riesca a pensare a una risposta più intelligente di “ciao” conferma, come se ce ne fosse bisogno, chi sarà sempre nella posizione di vantaggio tra noi due.
Si avvicina senza fretta. Una ciocca di capelli fuori posto che le balla davanti a ogni piccolo movimento del capo, accarezzandole le labbra. Quelle labbra. Neanche tutto il rossetto del mondo potrebbe renderle diverse da quelle che ho imparato a memoria. Un altro passo ed è a cinque metri. I nostri sedici anni. Ancora un passo e siamo ai diciassette, al nostro primo bacio. Avanti veloce, correre attraverso i ricordi dei diciotto, diciannove, venti fino a rallentare all’altezza dei ventitré, ventiquattro, venticinque. La scarpa destra che affonda leggermente nell’erba ben tosata. Fermarsi con una pugnalata in mezzo al petto ai ventisei. Le nostre domeniche pomeriggio. Le nostre voci sotto le coperte. I nostri progetti, Cristo santo. I sabati sera promessi agli altri e poi tenuti solo per noi. Scegliere i nomi da dare ai figli che avremmo avuto, un giorno. Il suo basta. Fingere che fosse anche il mio basta. L’ultimo passo. Non riuscire ancora a far passare dell’aria sensata tra le corde vocali.
Ora è a portata di far male, e ancora non so dove vuole arrivare. Ci sono i suoi occhi e c’è tutto il resto che un po’ alla volta diventa soltanto una macchia sfocata. Giardino. Auto. Invitati. Voci. Il mostro le cede l’altalena al mio fianco -vai a fidarti degli amici- e si allontana tranquillo verso la confusione. Alla fine allora riesce a camminarci, su quelle gambe. Lei si sistema per quella che sembra una vita intera. Inspira profondamente e chiude gli occhi, poi lascia andare in un colpo solo l’aria e mi guarda in un modo che ho paura di riconoscere. Non sorride, ma la conosco troppo bene per non sapere che sta morendo dalla voglia di farlo.
Perfino i grilli adesso rimangono in silenzio. Siamo solo io, lei e tutto l’oceano di ricordi, scazzi, convinzioni fatte a pezzi e foto scattate mille volte per esser sicuri che vengano bene che c’è stato tra di noi.
Se dobbiamo affondare, se non altro.
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SKAMIT:
3.3. VENERDÌ 29 MARZO 2019, 22:08
(For English translations 👉 @skamitaliasubs)
F: Amo’? Come mi sta? È nuova.
Ele: Bene.
F: Dai, manco mi hai guardato! Levi ‘sto cellulare? Stai sempre con questo.
Ele: Ma stai uscendo tu?
F: Sì, perché?
Ele: Allora, se ti chiamano le mie amiche, mi raccomando, digli che noi stiamo a casa con mamma, ok?
F: Sì, sì, sì.
Ele: No, Filo, è importante.
F: Ho capito, ho capito.
Ele: Ci stai bene. Fica la giacca.
F: Ok. Senti, ma perché non esci con me anche tu?
Ele: Non mi va.
F: E dai, e dai.
Mi vogliono tutti più bene quando esci con noi.
Ele: Addirittura?
F: Sì.
Ele: Non mi va. Sono stanca.
F: Uffa. Ma passi la serata a guardarti i tutorial di giardinaggio pure oggi?
Ele: Stronzo. Vai.
F: Ok. Ciao.
Ele: Stai benissimo. Sei bellissimo.
F: Sì, ciao.
Ele: Ciao.
[Nota vocale di Ev: Ele, non puoi capire, cioè ti prego, qua è successo un casino. Silvia ha parlato con Edo, adesso si è chiusa in bagno. Non fa entrare nessuno, sta piangendo da un’ora. Richiamami quando ascolti, Ele!]
[Risponde la segreteria telefonica]
Ragazzo: Tiralo fuori tutto, tiralo fuori tutto!
Ele: Cosa?
Elia, Elia! Dov’è Silvia? Silvia, Silvia! Silvia.
El: Su una bici in fondo alle scale mobili.
Ele: Eva!
Ev: Oi, Ele!
Ele: Che sta succedendo?
Ev: Questi due stronzi non mi vogliono far andare a salutare Gio.
M: No, no. Io ho detto, non lo salutare mentre si pacca la ragazza.
Ev: Ma se io lo voglio salutare, ma che ti frega a te! Scusami, eh. No?
Ele: Perché non mi hai risposto alle chiamate?
Ev: Perché c’ho il telefono in silenzioso, Ele.
Ele: Ho capito, ma non importa. Silvia? Silvia?
Ev: Silvia se n’è andata. Ma da mo che se n’è andata Silvia, eh. Con le altre.
Ele: Cos’è successo?
Ev: Allora praticamente è andata là a parlare con Giovan- con Edoardo, scusa. Gio! Oi. Ciao!
G: Oh.
Eva, ti ricordi Sofia?
Ev: Certo che me lo ricordo. Indimenticabile.
G: Sì.
Ev: Senti se te lo perdi, comunque, non ti preoccupare, perché lui sta in bagno con qualche amico suo a fumare l’erba.
G: No, no, non fumo più.
Ev: Sì che fumi.
G: No, non fumo più.
Ele: Eva, non fa niente. Mi tieni la giacca, per favore?
Ev: Certo. Abituati perché lui...
Ed: Ei. Sei venuta alla fine.
Ele: Si può sapere che le hai detto?
Ed: A chi?
Ele: A Silvia! Se ne è andata in lacrime.
Ed: Che le ho detto, che ne so.
Ele: Eh.
Ed: È venuta da me, mi ha chiesto se ero tornato con la mia ex di Milano.
Ele: E?
Ed: E niente le ho detto di no, che ci eravamo solo visti. Poi ha provato a baciarmi e le ho detto che non ci stavo.
Ele: E di me?
Ed: Di te?
Ele: Di me che le hai detto?
Ed: E te chi sei, scusa?
Chicco: Oh, c’abbiamo le guardie alla porta.
Ed: Cazzo dici?
Ch: Due guardioni.
Ed: Ma che cazzo dici?
Ch: Non sto scherzando, zi’.
Ed: Vai a dire di spegnere la musica.
Ch: Ok.
Poliziotto: Buonasera.
Ed: Buonasera.
Pol.: Lei è il padrone di casa?
Ed: Sì.
Pol.: Abbiamo ricevuto delle telefonate dai suoi vicini.
Ed: Sì. Sì, scusate. Abbiamo già spento la musica. Quindi...
Pol: Allora non ci siamo spiegati.
Ed: Va bene, ok. Ho capito. Adesso mando via tutti.
Pol: Bene. Noi aspettiamo là.
Ed: Ok. Grazie, scusate.
Rega’. Festa finita, tutti fuori, su!
Tutti: No!
Ed: Eh, lo so. Mi dispiace, dai.
Dai, veloci!
Ele: Eva dove sei?
Ch: Stiamo andando all’EUR, stai a veni’?
Ed: Sì mo vedo.
Ele: Eva? Eva? Eva?
Eva? Eva dove sei?
Ed: Oh, zi’.
F.o: Se beccamo all’EUR, ok?
Ed: Sì, sì. Ciao.
Ele: Oddio, Eva.
Ed: Ei. Sei ancora qua?
Ele: Sì, Eva se ne è andata con la mia giacca, col cellulare, le chiavi, tutto.
Ed: Aia. Vabbè, come ti posso aiutare?
Non risponde?
[Ele scrive: Filo, sono Ele. Mi chiami a questo numero appena leggi?]
Ele: No, gli sto scrivendo un messaggio.
Ed: Quindi?
Ele: Senti, posso chiederti se puoi prestarmi venti euro così prendo un taxi e me ne vado?
Ed: Se non te li do?
Dai, sto scherzando. Certo.
Ele: Grazie.
Ed: Però scusa come fai a entrare a casa se non hai le chiavi?
Ele: Aspetto mio fratello che torna.
Ed: Dove?
Ele: Sotto casa?
Ed: Sì e secondo te ti lascio andare alle due di notte così da sola?
Ele: Non ho bisogno del tuo permesso.
Ed: Però hai bisogno dei miei soldi.
Dai, scherzo.
Senti, facciamo così.
Cosa fai lì in piedi? Siediti.
Facciamo così: aspettiamo che risponda tuo fratello e poi ti accompagno io a casa.
Mh?
Ele: Ok.
Ed: Intanto ti va un po’ di vino?
Ele: No.
Ed: Non ti fidi?
Ele: No.
Ed: Ok.
Ele: Beh, posso aiutarti a sistemare un po’ di cose.
Ed: No, vai tranquilla, sistemo io domani.
Ele: Ma non tornano i tuoi?
Ed: No.
Ele: Abiti da solo?
Ed: Sì, più o meno.
Ele: Cioè?
Ed: Cioè che mio padre lavora fuori, mio fratello vive fuori e tornano ogni tanto.
Ele: Grazie.
Ed: Prego.
Ele: E... Senti, io devo chiederti scusa per una cosa.
Ed: Addirittura?
Ele: Sono seria.
Ed: Ok, dimmi.
Ele: Io non sapevo che... Che tua madre...
Altrimenti non avrei mai detto quelle cose, veramente, scusa.
Ed: Tranquilla.
Però grazie.
Dai, fatti offrire qualcosa. Anche di non alcolico.
Ele: No.
Ed: Dai! Che cosa ti va?
Ele: Grazie.
Ed: Tisanina?
Scusa.
Ele: Ha risposto Filippo?
Ed: No. Non ti fidi? Guarda.
[Video di F.o che dici: Oh, ma ‘ndo cazzo sei? ‘Ndo sei? Chicco Rodi! Chicco Rodi!]
Ele: No, ma se vuoi vai cono loro, veramente. Io mi prendo un taxi.
Ed: Limone o zenzero?
Ele: Non lo so.
Ed: Vai, limone.
Ele: No!
Ed: Ti sta bene.
Ele [imitandolo]: Ciao, sono Edoardo Incanti e mi fate tutti un po’ schifo!
Ed: Sei uguale.
Ele: Lo so. Però mi manca qualcosa.
Ed: Cioè?
Ele: I tuoi meravigliosi riccioli.
Ed: Ti piacciono proprio i miei capelli, eh?
Ele: Di’ la verità. Tu alle medie eri pazzo di “Tre metri sopra il cielo” e hai copiato il look a Scamarcio.
C’ho preso?
Ed: Beccato, sì.
Ele: Questa?
Ed: Sembrerebbe una chitarra.
Ele: No. Questa è l’arma finale.
Ed: Per che cosa, scusa?
Ele: Certo. Tu prima fai lo stronzo con le ragazze, poi te le porti a casa, gli canti una bella canzoncina dolce così loro poi dicono: “Oddio! Edoardo Incanti - che lato sensibile! Ha anche un cuore!”
Sì, sì.
Ed: E tu per chi suoni invece?
Ele: Non so suonare.
Ed: Neanche cantare da quello che mi ricordo.
Ele: E vabbè.
Ed: Posso suonare io per te.
Ele: Sì, ma non sono una ragazza da portarti a letto.
Ed: Tranquilla, ho dei brani per ogni tipo di ragazza.
Ele: Vediamo, vai.
Ed: Ok.
Ele: Così le ragazze le fai addormentare però.
Ed: Vabbè, un attimo.
Ele: Ah. Aspetto.
[Ed canta “Creep” - Radiohead]
[Squilla il telefono]
Ed: Credo che sia per te.
Ele [al telefono]: Filo? Filo?
F: Ei, io sto tornando a casa, tu?
Ele: È successo un casino, poi ti spiego.
F: Ma sei alla festa? Se vuoi ti passo a prendere.
Ele: Tranquillo, ci sentiamo dopo. Ciao.
Ed: Qualche problema?
Ele: Niente, sta a una festa a Viterbo. Non ho capito.
Ed: Ok. Vuoi dormire qua?
Ele: Sì. Ma non con te.
Ed: Ok, forse è meglio che tu non dorma qua.
Ele: Mh. Mi sa.
Camera di tuo padre?
Ed: È chiusa a chiave. Dall’ultima festa.
Però, dai, dormi da me io vado sul divano.
Ok?
Ele: Ok.
Ed: Le lenzuola sono pulite. Io non c’ho dormito, quindi... Non lo so, se vuoi una maglietta, pantaloncini...?
Ele: No, no. Tanto dormo sopra.
Ed: Ok. Allora... Buonanotte.
Ele: Buonanotte.
No, dai.
Ed: Che c’è?
Ele: Niente, mi dispiace che dormi giù.
Ed: Non è che adesso ci stai provando tu con me?
Ele: No, assolutamente. Però non mi va di cacciarti dalla tua camera.
Ma mi fai istituire delle regole.
Ed: Ok. Di che tipo?
Ele: Tipo... Tipo che questa è la tua parte, questa è la mia. Ecco. Suggerisco anche di fare una piccola barriera di cuscini. Giusto per stare più sicuri, ecco. Vedi.
Ed: Ok.
Domani che cosa vuoi per colazione?
Ele: Non faccio colazione qui domani.
Ed: Ok. Cappuccino e cornetto, mi sembra un’ottima idea.
Ele: Quanto sei banale.
Ed: Lo sai, sono molto prevedibile.
Ele: No, sei solo un meraviglioso cliché.
Ed: Che ci vuoi fare, la mia infanzia è stata difficile... Mio papà non veniva mai alle partite di calcio... Lo scotch da pacchi.
[Arriva messaggio]
Ele: Chi è, qualcun altro che devi picchiare?
Ed: No. Veramente è tuo fratello che chiede quando torni perché si è stancato di aspettarti.
Ok, rispondo io.
“Sono talmente innamorata di Edoardo che non riesco a uscire dal suo letto...”
Ele: No. No!
Dammi il telefono.
Ed: No.
Ele: Sì. Rispondo io.
Ed: Cosa stai facendo? Sei nella mia metà del letto. Vai nella tua. Così violi le regole. Vai. Vai.
Ele: Fammi rispondere.
Ed: No.
Ele: È mio fratello.
Ed: No.
Ele: Voglio rispondere io.
Ed: No, torna nella tua metà. Vai.
Ele: No.
Ed: Vai.
Ele: Digli che torno domani.
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Clip 3.3 - Digli che torno domani
F: Amo'. Come mi sta? È nuova.
E: Bene.
F: Dai, neanche mi hai guardato. Levi sto cellulare? Stai sempre con questo.
E: Ma stai uscendo tu?
F: Sì, perché?
E: Allora, se ti chiamano le mie amiche, mi raccomando, digli che noi stiamo a casa con mamma, ok?
F: Sì, sì, sì.
E: No, Filo, è importante.
F: Ho capito, ho capito.
E: Stai bene. Figa la giacca.
F: Ok. Senti, ma perché non esci con me anche tu?
E: Non mi va.
F: E dai, e dai. Mi vogliono tutti più bene quando esci con noi.
E: Addirittura?
F: Sì.
E: Non mi va. Sono stanca.
F: Uffa. Ma passi la serata a guardarti i tutorial di giardinaggio pure oggi?
E: Che stronzo. Vai.
F: Ok. Ciao.
E: Stai benissimo. Sei bellissimo.
F: Sì, ciao.
E: Ciao.
EVA: Ele, non puoi capire, cioè ti prego, qua è successo un casino. Silvia ha parlato con Edo, adesso si è chiusa in bagno. Non fa entrare nessuno, sta piangendo da un'ora. Richiamami quando ascolti, Ele.
[ Segreteria telefonica... ]
[ Informazione gratuita: la chiamata è stata trasferita... ]
RAGAZZO: Tiralo fuori tutto, tiralo fuori tutto!
E: Cosa?
Elia, Elia! Dov'è Silvia? Silvia? Silvia? Silvia?
ELIA: Sulla bici in fondo alle scale mobili.
E: Eva! Eva!
EVA: Oi, Ele?
E: Che sta succedendo?
EVA: Questi due stronzi non mi vogliono fare andare a salutare Gio.
M: No, no. Io ho detto, non lo salutare mentre si pacca la ragazza.
EVA: Ma se io lo voglio salutare, ma che ti frega a te? Scusami, eh. No?
E: Perché non mi hai risposto alle chiamate?
EVA: Eh, perché c'ho il telefono in silenzioso, Ele.
E: Ok, non importa. Silvia? Silvia?
EVA: Silvia se n'è andata. Ma da mo che se n'è andata Silvia, eh. Con le altre.
E: Che è successo?
EVA: Allora praticamente è andata là a parlare con Giovanni...con Edoardo, scusa. Gio! Oi.
G: Ciao.
EVA: Ciao.
G: Eva, ti ricordi Sofia?
EVA: Certo che me la ricordo. Indimenticabile Sofia.
G: Sì.
EVA: Senti, se te lo perdi, comunque, non ti preoccupare, perché lui sta in bagno con qualche amico suo a fumare l'erba.
E: Eva.
G: No, no, non fumo più.
EVA: Sì che fuma.
G: No, non fumo più.
E: Non fa niente. Mi tieni la giacca, per favore?
EVA: Certo. Abituati perché lui...
EDO: Ehi. Sei venuta alla fine.
E: Si può sapere che le hai detto?
EDO: A chi?
E: A Silvia! Se n'è andata in lacrime.
EDO: Che le ho detto? Che ne so.
E: Eh.
EDO: È venuta da me, mi ha chiesto se ero tornato con la mia ex di Milano.
E: E?
EDO: E niente, le ho detto di no, che ci eravo solo visti. Poi ha provato a baciarmi e le ho detto che non ci stavo.
E: E di me.
EDO: Di te?
E: Di me che le hai detto?
EDO: E tu chi sei, scusa?
C: Edo. Zì, c'abbiamo le guardie alla porta.
EDO: Che cazzo dici?
C: Due guardioni.
EDO: Ma che cazzo dici?
C: Non sto scherzando, zí.
EDO: Oh, vai a dire a Fede di spegnere la musica.
C: Ok.
Ci stanno le guardie. Togli la musica.
POLIZIOTTO: Buonasera.
EDO: Buonasera.
P: Lei è il padrone di casa?
EDO: Sì.
P: Abbiamo ricevuto delle telefonate dai suoi vicini.
EDO: Sì, scusate. Abbiamo già spento la musica, quindi...
P: Allora non ci siamo spiegati.
EDO: Va bene, ok. Ho capito. Adesso mando via tutti.
P: Bene. Noi aspettiamo là.
EDO: Ok. Grazie. Scusate, eh.
Regà. Festa finita, tutti fuori, su!
[ No! ]
EDO: Eh, lo so. Mi dispiace, dai. Dai, veloci!
E: Eva! Eva! Eva!
C: A zì, stiamo andando all'EUR, stai a venì?
EDO: Sì, mo vedo.
C: E dai. Daje, daje.
E: Eva! Eva! Eva! Eva! Eva, dove sei?
EDO: Oh, zì. Veloce, dai.
FE: Dai sì, frà. Vado. Se beccamo all'EUR, ok?
EDO: Sì, sì. Ciao.
E: Oddio, Eva
EDO: Ehi. Sei ancora qua?
E: Sì, Eva se n'è andata con la mia giacca, col cellulare, le chiavi, tutto.
EDO: Ahia. Vabbè, come ti posso aiutare?
Non risponde?
E: Filo, sono Ele. Mi chiami a questo numero appena leggi?
E: No, gli sto scrivendo un messaggio.
EDO: Quindi?
E: Senti, posso chiederti se puoi prestarmi venti euro così prendo un taxi e me ne vado?
EDO: E se non te li do?
Dai, sto scherzando. Certo.
E: Ok.
EDO Però scusa come fai a entrare a casa se non hai le chiavi?
E: Aspetto mio fratello che torna.
EDO: Dove?
E: Sotto casa.
EDO: Sì e secondo te ti lascio andare alle due di notte così da sola?
E: Non ho bisogno del tuo permesso.
EDO: Però hai bisogno dei miei soldi.
Dai, scherzo. Senti, facciamo così. Cosa fai lì in piedi? Siediti. Facciamo così: aspettiamo che risponda tuo fratello e poi ti accompagno io a casa. Mh?
E: Ok.
EDO: Intanto ti va un po’ di vino?
E: No.
EDO: Non ti fidi?
E: No.
EDO: Ok.
E: Be', posso aiutarti a sistemare un po’ di cose.
EDO No, ma tranquilla, sistemo io domani.
E: Ma non tornano i tuoi?
EDO: No.
E: Abiti da solo?
EDO: Sì, più o meno.
E: Cioè?
EDO: Cioè che mio padre lavora fuori, mio fratello vive fuori e tornano ogni tanto.
E: Grazie.
EDO: Prego.
E: Ehm… Senti, io devo chiederti scusa per una cosa.
EDO: Addirittura?
E: Sono seria.
EDO: Ok, dimmi.
E: Io non sapevo che…che tua madre…altrimenti non avrei mai detto quelle cose, veramente, scusa.
EDO: Tranquilla. Però grazie. Dai, fatti offrire qualcosa. Anche di non alcolico.
E: No.
EDO: Dai! Che cosa ti va?
E: Grazie.
EDO: Tisanina? Scusa.
E: Ha risposto Filippo?
EDO: No. Non ti fidi? Guarda.
[FE: Edo, ma ‘ndo cazzo sei? ‘Ndo sei? Chicco Rodi!]
E: No, ma se vuoi vai cono loro, veramente. Io mi prendo un taxi.
EDO: Limone o zenzero?
E: Non lo so.
EDO: Vai, limone.
E: No!
EDO: Ti sta bene.
E: Ciao, sono Edoardo Incanti e mi fate tutti un po’ schifo!
EDO: Sei uguale.
E: Lo so. Però mi manca qualcosa.
EDO: Cioè?
E: I tuoi meravigliosi riccioli.
EDO: Ti piacciono proprio i miei capelli, eh?
E: Di’ la verità. Tu alle medie eri pazzo di “Tre metri sopra il cielo” e hai copiato il look a Scamarcio. C’ho preso, eh?
EDO: Beccato, sì.
E: Questa?
EDO: Sembrerebbe una chitarra.
E: No. Questa è l’arma finale.
EDO: Per che cosa, scusa?
E: Certo. Tu prima fai lo stronzo con le ragazze, poi te le porti a casa, gli canti una bella canzoncina dolce così loro dicono: “Oddio, Edoardo Incanti! Che lato sensibile, ha anche un cuore!”
EDO: Dai.
E: Sì, sì.
EDO: E tu per chi suoni invece?
E: Non so suonare.
EDO: Neanche cantare da quello che mi ricordo.
E: E vabbè.
EDO: Posso suonare io per te.
E: Sì, ma non sono una ragazza da portarti a letto.
EDO: Tranquilla, ho dei brani per ogni tipo di ragazza.
E: Vediamo. Vai.
EDO: Ok.
E: Così le ragazze le fai addormentare però.
EDO: Eh, un attimo.
E: Ah. Aspetto.
-
EDO: Credo che sia per te.
E: Filo. Filo.
F: Ehi, io sto tornando a casa, tu?
E: È successo un casino, poi ti spiego.
F: Ma sei alla festa? Se vuoi ti passo a prendere.
E: Tranquillo, ci sentiamo dopo. Ciao.
EDO: Qualche problema?
E: Niente, sta a una festa a Viterbo. Non ho capito.
EDO: Ok. Vuoi dormire qua?
E: Sì. Ma non con te.
EDO: Ok, forse è meglio che tu non dorma qua.
E: Mh. Mi sa. Camera di tuo padre?
EDO: È chiusa a chiave. Dall’ultima festa.
Però, dai, dormi da me io vado sul divano.
Ok?
E: Ok.
EDO: Le lenzuola sono pulite. Io non c’ho dormito, quindi… Non lo so, se vuoi una maglietta, un pantaloncino?
E: No, no. Tanto dormo sopra.
EDO: Ok. Allora… Buonanotte.
E: Buonanotte. No, dai.
EDO: Che c’è?
E: Niente, mi dispiace che dormi giù.
EDO: Non è che adesso ci stai provando tu con me?
E: No, assolutamente. Però non mi va di cacciarti dalla tua camera. Ma mi fai istituire delle regole.
EDO Ok. Di che tipo?
E: Tipo… Tipo che questa è la tua parte, questa è la mia. Ecco. Suggerisco anche di fare una piccola barriera di cuscini. Giusto per stare un po' più sicuri, ecco. Vedi.
EDO: Ok.
Domani che cosa vuoi per colazione?
E: Non faccio colazione qui domani.
EDO: Ok. Cappuccino e cornetto, mi sembra un’ottima idea.
E: Quanto sei banale.
EDO: Lo sai, sono molto prevedibile.
E: No, sei solo un meraviglioso cliché.
EDO: Che ci vuoi fare? La mia infanzia è stata difficile, mio papà non veniva mai alle partite di calcio…lo scotch da pacchi.
E: Chi è? Qualcun altro che devi picchiare?
EDO: No. Veramente è tuo fratello che chiede quando torni perché si è stancato di aspettarti. Ok, rispondo io. “Sono talmente innamorata di Edoardo che non riesco a uscire dal suo letto.”
E: No. No! No, fermo, scusami.
EDO: Aspetta.
E: No, no. Dammi il telefono.
EDO: No.
E: Sì. Rispondo io.
EDO: Cosa stai facendo? Sei nella mia metà del letto. Torna nella tua. Così violi le regole. Vai. Vai.
E: Fammi rispondere.
EDO: No.
E: È mio fratello.
EDO: No.
E: Voglio rispondere io.
EDO: No, torna nella tua metà. Vai.
E: No.
EDO: Vai.
E: Digli che torno domani.
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