#nomi femminili italiani
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mimosaosa-blog · 3 years ago
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La Storia ci cancella
#Storia #Donne #femminismo #filosofia #maschilismo #misoginia #traduzione #editoria
Da qualche tempo mi sto interessando alla storia dimenticata delle donne, di quelle donne che la Storia l’hanno fatta sul serio, da protagoniste, da figure attive nella costruzione della società e del pensiero quanto gli uomini, ma di cui nessuno ha mai parlato. E di cui non c’è traccia nei libri di scuola benché abbiano perfino regnato per decenni con polso di ferro guidando dinastie importanti nel cuore dell’Europa.
Lo sto facendo grazie a un libro agile e spigliato ma solidamente documentato, la cui traduzione tento da mesi, invano, di proporre agli editori italiani. Si tratta di «Les grandes oubliées. Pourquoi l’Histoire a effacé les femmes» di Titiou Lecoq, giornalista, romanziera, saggista francese che usa la sua penna femminista per divulgare, incuriosire, informare. 
Di lei avevo letto un divertente saggio su Balzac in cui ribaltava celebri e celebrate biografie, che pur avevo divorato ma che presentavano i personaggi femminili cruciali nella vita dello scrittore francese solo secondo uno sguardo maschile: quello bugiardo e manipolatore del protagonista e degli uomini dell’epoca. In italiano il titolo potrebbe diventare: «Balzac uno di noi» (no, in Italia non è stato tradotto) perché lei confessa di adorarlo per aver avuto notoriamente le mani bucate, soprattutto per vestiti chiassosi e inutili accessori, per l’inseguimento folle dei suoi sogni di gloria, per i sotterfugi che inventava per sfuggire ai creditori, per il suo amore per le donne più anziane, ricche, ma anche perché faceva sempre finta di essere vittima di sua  madre fin da piccolissimo, madre che invece, poveretta, non solo lo aveva sempre accudito, ma finito per vivere in miseria estrema perché lui era riuscito a sperperare pure i suoi risparmi.
Tornando alle Donne dimenticate, il saggio di Lecoq è pieno di informazioni documentate, è ironico, di lettura scorrevole, piacevole e in Francia è stato un best seller. In Italia però non lo ha preso in considerazione nessuno. Ne ho fatto una traduzione, dicevo, che tento da mesi di proporre. Invano perché non ottengo risposta, neppure un diniego, niente. E pensare che invece quando scrivo una mail agli editori o editor francesi - di cui si trovano nomi e contatti diretti sui siti delle case editrici – tempo ventiquattrore e arriva una garbata risposta. 
L’editoria italiana è un caso a parte in Europa, direi nel mondo cosiddetto sviluppato, lo dicono tutti gli addetti ai lavori e non è questo l’argomento in cui mi voglio immergere, le ragioni per frustrarsi in Italia abbondano, meglio metterle di lato.
Voglio parlare qui di questo libro e del tema che affronta così bene con una carrellata che parte dalla Preistoria -con gli ultimi studi e scoperte- e arriva fino ai nostri giorni, perché ho appena letto un articolo sullo stesso tema, tratto da un altro libro che sembra interessantissimo e che leggerò tutto quanto prima. 
Si tratta di un  saggio, scritto in questo caso da due accademiche, che come altri libri sulla filosofia se lo sono editato, Dalia Nassar e Kristin Gjesdal e si intitola «Women Philosophers in the Long Nineteenth Century», sottotitolo : The German Tradition visto che parla di filosofia e parte proprio dalla considerazione che nel XIX secolo in Germania, al pari di filosofi come Hegel, Marx, Kierkegaard e Nietzsche, c’erano filosofe di grandissima importanza di cui si parla per la loro vita, spesso per la loro morte come nel caso di Rosa Luxemburg, ma mai per il loro pensiero filosofico che era solido, ricco, innovativo e si trova in opere edite che non escono però dai ristretti circoli accademici tedeschi.
L’articolo, pubblicato dal magazine online Aeon, si può leggere qui:
https://aeon.co/essays/a-rescue-mission-on-behalf-of-women-philosophers
 
Il XIX secolo, ci racconta Lecoq, ha segnato l’ennesimo balzo all’indietro nelle conquiste in termini di diritti, di riconoscimento come persone, di protagoniste attive della società, che le donne sono state costrette a subire. Dopo la Rivoluzione francese, che le ha viste in testa ai cortei per reclamare pane e giustizia, che le ha viste sulle barricate, poi combattere al fronte da soldatesse e anche da comandanti di battaglioni, sono state ricacciate in casa. Al massimo gli è stato ridisegnato il ruolo cinico di tricoteuses, sedute in prima fila per lo spettacolo offerto in piazza dalla ghigliottina, sempre marginali e a fare la calzetta. Per non parlare dell’avvento di Napoleone che con il suo Codice Civile le ha di nuovo spogliate di tutti i loro averi: dote, eredità, patrimoni personali venivano assegnati esclusivamente al marito e le donne erano classificate beni di proprietà esattamente come il mobilio di casa. Per far capire la portata del Codice napoleonico Titiou Lecoq racconta un dettaglio famigliare: quando sua madre si sposò in prime nozze nel 1964, la legislazione in tema di Diritto di famiglia in Francia era ancora quella cosa lì, quella scritta da Napoleone Bonaparte nel suo celebre Codice.
In quel XIX secolo perfino la moda era disegnata per impedire alle donne di muoversi agevolmente, tra crinoline e gonne strette e lunghe.
Le due accademiche dell’università di Philadelphia e di Sidney si concentrano sullo stesso secolo che ha visto esplodere il pensiero di uomini che tuttora si studiano in dai banchi di scuola, filosofi che sono riferimento della filosofia politica occidentale, campioni dell’uso della mente e campioni di misoginia e maschilismo come Freud che perde la testa, al pari di Rilke e Nietzsche, per Lou Andreas Salomé ma non prende minimamente in considerazione i suoi scritti che rimangono invece un pilastro del pensiero filosofico e psicoanalitico sulle donne, dai suoi studi sulle eroine di Ibsen a «La materia erotica» del 1892.
Lou Salomé e Rosa Luxembourg sono le più note, la punta dell’iceberg di un continente di filosofe e studiose che arricchivano la scena intellettuale e che ragionavano sulle donne, ponendo le basi del femminismo moderno. Eppure giudicate incapaci da quegli stessi uomini che le desideravano, che frequentavano, che condividevano quella stessa scena. 
Quegli uomini, affermano le autrici del saggio, conoscevano il pensiero, il lavoro e le opere di queste donne, non erano affatto, come troppo spesso si sostiene benevolmente giustificandoli, figli dei loro tempi, quindi resi ciechi dagli usi e costumi dell’epoca: «Non furono la misoginia né l’esclusione a rendere filosofi e storici accecati dai tempi».
Ci vedevano benissimo insomma, ma scelsero consapevolmente di emarginarle e di giudicarle inadatte, incapaci di usare l’intelletto. Per Kant le donne erano più interessate a mostrare i loro gioielli agli uomini che a studiare; Fichte negava che le donne potessero dedicarsi a temi universali come scienza o filosofia sostenendo che i loro scritti dovessero limitarsi ad argomenti prettamente femminili, la solita letteratura rosa insomma. Hegel? Diceva che le donne sono placide come piante. Secondo Schopenhauer bastava dare un’occhiata a una donna per capire che non era certo fatta per sforzare il cervello.
Di queste donne, in Germania, c'è stata una lunga lista che qui accenno solo: Germaine de Staël (che Napoleone-sempre lui- esiliò da Parigi prima dalla Francia poi, dicendo che le donne erano adatte solo a fare la calza), Bettina Brentano von Arnim, Rahel Levin Varnhagen, Henriette Herz, Anna Tumarkin, Liselotte Richter, Katharina Kanthack.
«Le donne che riuscirono a essere filosofe erano come quei fiori che crescono nelle crepe della pavimentazione stradale: emersero soprattutto a dispetto di, non certo grazie alle condizioni in cui erano state educate».
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qualcunosono · 3 years ago
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Il plurale del rumeno - I Nomi
Ancora occupandosi delle basi della grammatica rumena, parlerò del plurale. L'ho appena studiato tutto e già dico che è più complesso del plurale dell'italiano.
Ed hai visto che ho scritto "nomi", questo perché ci sono ancora gli aggettivi. Presto lo parlerò in un'altro post. Rimani sintonizzato!
In italiano, solo è necessario sapere se la parola è maschile o femminile e cambiarla in base a questo, e frequentemente il -o o -a alla fine della parola già ci lo dice. In rumeno, d'altra parte, puoi anche sapere il genere, ma non è abbastanza, perché il plurale cambia ad ogni parola, una regola usata per una parola non è corretta per l'altra. Inoltre, anche il tema della parola può cambiare nel plurale. Capirai meglio durante la spiegazione.
Maschile
Le maschili parole, como in italiano, hanno il plurale -i. Ma non sono certo se è sempre così, perché, da dove l'ho appreso, la parola è stata usata "spesso", non "sempre". E tieni presente che la possibilità che le regole qui viste - sia per parole maschili, femminili e neutre - abbiano delle eccezioni è reale. Non ho mai visto tale eccezione ma non la escludi. È simile a una parola italiana che finisce con -e, teoricamente femminile, ma è davvero maschile.
Andando avanti, il plurale delle parole maschili è -i:
Prieten > prieteni
Profesor > profesori
Ma come ho detto, il rumeno non è come l'italiano, che solo è necessario sapere il genere della parola, quindi non è possibile ottenere buoni resultati solo sapendo le desinenze dei nomi, qualunque lo sia. Però c'è una tendenza, caratteristiche della desinenza o del tema dei generi grammaticali che possono mostrarci come rendere la parola plurale.
Ad esempio, ho detto che a volte anche il temo della parola cambia, in queste parole non è corretto semplicemente aggiungere il -i, ma possiamo riconoscere le caratteristiche.
Se il tema finisce con -t, il plurale è -ț: bărbat > bărbați; student > studenți
Se finisce con -st, si torna -șt: dentist > dentiști; arbust > arbuști
Lo stesso succede alla fine -s: pas > pași; urs > urși
Oltre alla ponttegiatura, le lettere ache cambiano. D diventa Z al plurale.
Brad > brazi; ghid > ghizi; doctorand > doctoranzi
Si noti che queste variazioni non sono solo per le parole maschili, anche le parole femminili e neutre ce l'hanno, se la desinenza plurale è -i. Presto le vedremo con gli altri generi. Però non so se questo accade sempre con questa desinenza in particolare, perché, sappiamo, c'è sempre la possibilità di eccezione.
Ci sono anche le parole che perdono una lettere al plurale, quelle che finiscono con -u e -e:
Leu > lei; membru > membri; frate > frați (anche c'è una combinazione dei cambiamenti)
Anche ci sono quelle che nemmeno cambiano: le finenti con -i
Ochi > ochi; pui > pui
Femminile
Il plurale delle parole femminili sono -e, -i ed anche -le.
Qualcosa che accade spesso, credo io particolarmente nelle parole femminili, sono il cambiamento delle vocale che precedono la consonante del tema: -a > -ă/-e; -ea > e; -oa > -o; -ia > -ie. Non no idea se questo accada ogni volta. Anche non so se c'è una logica per sapere quando -a si tornerò -ă oppure -e. Gli esempi con questo cambio saranno sotto.
Se la parola finisce con -ă, può avere sia -e che -i: limbă > limbi. Ma, come sai, non c'è un schema, quindi dovrai ricordare la forma plurale dei nomi.
Non è solo questo, ovviamente. Ci sono anche quelle parole che possono essere transformate in maschili e femminili, come gli italiani "ragazzo, ragazza". In rumeno queste parole al femminile finiscono con -ă, e tendono ad avere la desinenza -e:
Artistă > Artiste
Italiancă > italience
Parole che finiscono con -c, -g, -d, -ură, -ușă tendono ad usare -i, che sostituisce il -ă:
Prăjitură > Prăjituri
Biserică > Biserici
Nomi disilabici la cui radice termina in una consonante diversa da -c, -g, -d, che è preceduta da una vocale, tendono ad avere il plurale -e:
Mamă > Mame
Casă > Case
Parole che finiscono con -e solo hanno il plurale -i. Però queste parole hanno una grande quantità de variazioni di vocali e consonanti, che di molto accade nel plurale con -i.
Pasăre > Păsări
Scrisoare > Scrisori
Carte > Cărți
Poveste > Povești
Le parole che finiscono con -ie: se -ie è preceduto da una vocale, -e è eliminato al plurale. Se è preceduto da una consonante, sostituisci -e con -i:
Femeie > Femei
Familie > Familii
Tigaie > Tigăi
E le parole che finiscono con -a o -ea: aggiungi -le a -a, sostituisci "a" in -ea con -le:
Pijama > Pijamale
Stea > Stele
Neutro
Se finisce con le vocale -u o -i, il plurale è o -e o -uri:
Caiet > Caiete
Tren > Trenuri
Tramvai > Tramvaie
Ceai > Ceaiuri
Le parole che finiscono con una consonante preceduta da una lettera "o" accentata hanno il plurale -e e la lettera "a" è aggiunta dopo il "o":
Piciora > Picioare
Aviona > Avioane
Le parole che finiscono con -ou o -iu hanno il plurale -uri:
Interviu > Interviuri
Birou > Birouri
Le parole che finiscono con -iu ma con accento su "u" hanno il plurale -ii:
Fotoliu > Fotolii
Exercițiu > Exerciți
Le parole che finiscono con -e rimangono le stesse al plurale:
Nume > Nume
Foarfece > Foarfece
Questo è tutto. Spero che sia stato utile. E ricordi che presto parlerò del plurale degli aggettivi.
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marinagalatioto · 5 years ago
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Nomi femminili corti Mia: origine, significato e carattere
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fondazioneterradotranto · 6 years ago
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/28/dialetti-salentini-i-nomi-dei-giorni-della-settimana-ed-il-loro-genere/
Dialetti salentini: i nomi dei giorni della settimana ed il loro genere
di Armando Polito
  Del genere “strano” di alcune voci salentine ho avuto occasionee di occuparmi tempo fa in  http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/07/14/brexi-la-brexit-risultati-del-nostro-referendum/. Oggi integro l’argomento aggiungendo che tutti i nomi dei giorni della settimana, escluso il sabato, sono di genere femminile: la lunitia, la martitia, la mirculitia, la sciuitia, la inirdia, la tumenica (assumo queste varianti neretine come punto di riferimento ma quanto dirò vale per tutte le altre salentine).
Parto proprio dall’etimo dell’ultima voce. Come l’omologa italiana domenica. tumenica deriva dalla locuzione latina die(m) dominica(m)1=giorno del signore, con il primo componente, die(m), sottinteso, mentre il secondo, dominica(m) è suo attributo, aggettivo femminile singolare da Dominus che, come nome comune, significa padrone, ma qui s’innalza fino al significare il signore per antonomasia, cioè Dio. Prima di passare agli altri giorni debbo dire qualcosa a proposito di die(m), che è il caso accusativo (dal quale nascono i nomi italiani di derivazione latina) di dies, forma che solo per comodità citerò nel prosieguo.
Dies appartiene alla quinta declinazione e al plurale è sempre di genere maschile; al singolare, invece, è maschile quando indica genericamente il giorno, cioè lo spazio di ventiquattro ore; è femminile quando vale genericamente come tempo o quando indica la data o un giorno stabilito, come nel caso di die(m) dominica(m). Va detto che tutti gli altri nomi di questa declinazione sono femminili e dal loro accusativo deriva la stragrande maggioranza dei nomi italiani uscenti in -e e che ne hanno conservato il genere; per esempio: carie(m)>carie, serie(m)>serie, specie(m)>specie, etc. etc.Non posso, però, tacere di un caso emblematico di maggiore fedeltà alle origini del dialetto rispetto all’italiano. Facie(m) che significa affetto in italiano ha dato faccia (con regolarizzazione della desinenza per analogia con quella tipica dei nomi femminili; in dialetto salentino, invece, faccia è facce.
Die(m) sooravvive in italiano in dì (e, in composizione con a nel burocratico addì), di genere maschile, con apocope, cioè caduta dell’intera sillaba finale e non solo di m. Il dialetto salentino, invece, ha sviluppato tia (con la stessa regolarizzazione della desinenza poco fa vista per l’italiano faccia). Tale voce, ad onor del vero non è di uso abituale come giurnu ma ricorre solo, di genere femminile, nel detto popolare Ti santa Lucia ‘llunghesce la tia quantu lu pete ti la iaddhina mia, per il quale rinvio a http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/01/gli-animali-nei-proverbi-salentini-5x-gli-uccelli/.
Dì per l’italiano e tia per il dialetto entrano in gioco come di seguito.
Lunedi, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì in italiano sono maschili pur derivando rispettivamente da Lunae die(m)=giorno della Luna, Martis die(m)=giorno di Marte; Mercurii dĭe(m) =giorno di Mercurio, Iovis die(m)=giorno di Giove. Veneris die(m)=giorno di Venere. E sono maschili perché è prevalso il genere (maschile, appunto) di dì come secondo componente in contraddizione con il genere femminile di questo, pur sottinteso come s’è detto, in domemica. Insomma: l’italiano si mostra poco coerente con il latino perché conferisce a dì il genere maschile invece del femminile per conservarlo, invece in domenica.Tutto ciò non è avvenuto nelle voci salentine, che hanno conservato il genere femminile del dies delle locuzioni latine da cui derivano.
E il sabato? Il suo genere maschile non è altro che la regolarizzazione dell’originario neutro latino sabbatu(m), a sua volta dal greco σάββατον (leggi sàbbaton), a sua volta dall’ebraico sabbat.2
_________
1 In origine era Solis die(m)=giorno del Sole, sopravvissuto nell’inglese Sunday e nel tedesco Sonntag. Mentre negli altri nomi eccetto il sabato il nome del dio si è conservato, in domenica è stato sostituito dall’aggettivo corrispondente (teoricamente, come da lui derivato, meno importante del nome proprio),. quando ci saremmo aspettato, per analogia di formazione, Domini dies, da cui dominidì, non nato forse per evitare confusione con Domineddio.
2 In origine era Saturni dies=giorno di Saturno, sopravvissuto nell’inglese Saturday.
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In nomi italiani INVARIABILI - Italian Invariable Nouns
I nomi invariabili sono quelli che mantengono la forma del singolare anche al plurale.
Sono di vario genere
.• I nomi che terminano con la vocale accentata.• I nomi monosillabici
.• Alcuni nomi maschili in -a, soprattutto di animali esotici. 
• I nomi abbreviati➔accorciati.
• Alcuni nomi femminili che finiscono in -ie.
• I nomi femminili in -i.
• I nomi composti da due verbi o da un verbo e un nome femminile singolare.
• I forestierismi non adattati ossia i nomi presi in prestito da lingue straniere.In questa video-lezione vedremo insieme molti esempi di nomi invariabili appartenenti alle diverse categorie.
https://youtu.be/expgT6vcXOA
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pleaseanotherbook · 4 years ago
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A passo di saggio: una breve selezione degli ultimi saggi che ho letto
Abbiamo scavallato e siamo approdati al nuovo anno, sono piena di possibilità e spero di non ricadere di nuovo nel blocco del lettore. Sono sul divano di casa dei miei con Cecità di José Saramago al fianco e sono sicura che mi devasterà definitivamente. Ma mentre in sottofondo ho un pessimo film di Natale (quelli che mia madre chiama affettuosamente “panettoncini di Natale”) sto ripensando a tutti gli ultimi libri che ho letto e soprattutto a tutti i saggi che ho accumulato tra i libri finiti. Ho cercato di dar fondo alla pila di cartacei non letti affastellati sul mio tavolo (è una pila altissima, mi è anche caduta in testa recentemente).  Tra questi ce ne sono molti davvero interessanti e che mi hanno dato modo di approfondire diversi argomenti. Tra un bicchiere di prosecco e l’altro vi racconto di quattro saggi tutti diversissimi tra loro:
 Il vampiro nella letteratura italiana – Giuseppe Tardiola
Invisibili – Caroline Criado Perez
L'intelligenza delle api. Cosa possiamo imparare da loro – Randolf Menzel & Matthias Eckoldt
Breve storia della letteratura rosa - Patrizia Violi
Il vampiro nella letteratura italiana di Giuseppe Tardiola
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Praticamente del tutto ignorata dalla critica, la figura del vampiro può, al contrario, vantare una tradizione nazionale, narrativa e poetica, vivace e di primissimo ordine, per gli originali contenuti e le prestigiose ascendenze. Questa ricerca, la prima nel suo genere in Italia, da Emilio Praga a Italo Calvino, da Tarchetti a Furio Jesi, da Luigi Capuana ad Alberto Abruzzese, analizza compiutamente le ormai più che secolari vicende letterarie del vampiro italiano, e ne rivela le sue sorprendenti e sempre inattese metamorfosi.
Questo volumetto rosso l’ho trovato insieme ad Am de La Bella e il Cavaliere in una libreria di Via Saluzzo a Torino mentre aspettavamo le nostre amiche per un aperitivo. Tra altri volumi non proprio recentissimi spiccava anche questo saggio sulla figura del vampiro nella letteratura italiana. Un ritrovamento speciale soprattutto nella misura in cui non avevo proprio idea del fatto che in molti si siano cimentati in vampiri più o meno canonici. L’excursus non è particolarmente lungo ma abbastanza approfondito. Muove i passi dai vampiri romantici per eccellenza, quello di Polidori e quello di Bram Stoker tanto per fare dei nomi e analizza nella sostanza quelli italiani. Citandone anche alcuni passi. Ammetto che avevo comprato il volume perché avevo letto il nome di Italo Calvino nella quarta di copertina e meno male che avevo letto “Il castello dei destini incrociati” qualche settimana prima di incominciarne la lettura. Il vampiro è una di quelle figure fantastiche che fanno tantissima presa sulla mente del lettore ma siamo ormai estremamente deviati dalla rappresentazione della Meyer in Twilight, ma il vampiro ha molto da raccontare, è un intero universo in cui convergono la brama dell’immortalità, la bellezza e la giovinezza che lasciano i visi immutati, e il potere che arriva dal poter manipolare e illudere, la forza e la potenza, un insieme di caratteristiche invidiabili che hanno sempre attirato l’immaginario. Ed è veramente interessante vedere come anche i nostri connazionali si siano lasciati sedurre dal fascino dei vampiri.
Invisibili di Caroline Criado Perez
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In una società costruita a immagine e somiglianza degli uomini, metà della popolazione, quella femminile, viene sistematicamente ignorata. A testimoniarlo, la sconvolgente assenza di dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili. Come nel caso degli smartphone, sviluppati in base alla misura delle mani degli uomini; o della temperatura media degli uffici, tarata sul metabolismo maschile; o della ricerca medica, che esclude le donne dai test «per amor di semplificazione». Partendo da questi casi sorprendenti ed esaminandone moltissimi altri, Caroline Criado Perez dà vita a un’indagine senza precedenti che ci mostra come il vuoto di dati di genere abbia creato un pregiudizio pervasivo e latente che ha un riverbero profondo, a volte perfino fatale, sulla vita delle donne. Perché nei bagni delle donne c'è sempre la coda e in quelli dei maschi no? Perché i medici spesso non sono in grado di diagnosticare in tempo un infarto in una donna? Perché, negli incidenti stradali, le donne rischiano di più degli uomini? Un libro rivoluzionario ed estremamente rivelatorio che vi farà vedere il mondo con altri occhi.
“Invisibili” è uno di quei libri che non puoi leggere senza provare emozioni forti, senza rimanere indifferenti. È uno schiaffo bello forte a tutte le nostre convinzioni, un saggio che dati alla mano, analizza la mancanza di dati di genere in moltissimi ambiti della nostra società, dalla salute all’edilizia, dalla topografia delle nostre città al mondo del lavoro, dal soddisfacimento delle necessità familiari alla gestione di intere comunità. Caroline Criado Perez è attentissima a ricostruire la falla nell’impianto che guida le scelte politiche e sociali di un mondo costruito a misura d’uomo, o per meglio dire a misura di maschio. Fa molta rabbia capire quanto decisioni apparentemente banali, non solo non tengono conto del punto di vista femminile, ma hanno ripercussioni ad amplissimo raggio. È uno di quei saggi che donano moltissima prospettiva su molti temi e può davvero scuotere le coscienze. È vero, sono rimasta sconvolta da quanto poco interessa il contributo delle donne in questioni che le riguardano da vicino, sono temi fondamentali non solo per la parità dei diritti, ma anche e soprattutto per il benessere di metà della popolazione mondiale. Quanto poco si pensa al lavoro di cura di cui le donne si fanno carico ogni giorno? Quanto poco si fa attenzione al fatto che il golden standard sia basato su un uomo di settanta kg sempre, per ogni tipo di equipaggiamento e strumentazione? E poi mi ha sconvolto sapere che anche in ambito medico, nella ricerca scientifica per nuovi farmaci e cure non si tenga conto delle differenze intrinseche e fondamentali dell’anatomia e fisiologia femminile e maschile. Mi ha lasciato esterrefatta rendermi conto ancora di più quanto possa fare la differenza tenere delle statistiche e tirare fuori dati sulla prospettiva femminile, basandosi sul semplice assunto che più dati abbiamo a disposizione, disaggregati per genere, più possiamo estrarre informazioni utili che possono cambiare il mondo, possono migliorare le condizioni di minoranze che quasi nessuno tiene in considerazione. Il nostro mondo deve essere a misura di tutti, non solo dei più forti. Un saggio illuminante e irrinunciabile che dovrebbe essere letto da tutti.
L'intelligenza delle api. Cosa possiamo imparare da loro di Randolf Menzel, Matthias Eckoldt
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Amiamo le api soprattutto perché producono il miele. Ma sono anche fra gli animali più importanti e più intelligenti del pianeta. Senza la loro attività di impollinatrici, in tutto il mondo ci sarebbero problemi per le risorse alimentari. Sono però in grado di fare di più: il loro minuscolo cervello pensa, pianifica, fa di conto e forse sogna. Le api possiedono, sorprendentemente, molte delle nostre capacità mentali. Come percepiscono i profumi e vedono i colori, come si forma la loro memoria, come apprendono regole e modelli, addirittura come riconoscono i volti, da dove derivano le loro conoscenze, che cosa sanno e come vengono prese le decisioni in quel superorganismo che è una popolazione di api: sono i grandi temi di questo particolarissimo libro. Randolf Menzel e Matthias Eckoldt parlano anche della moria delle api e del ruolo che questi insetti possono avere nel creare un sistema di allerta precoce contro gli effetti nocivi delle nostre tecnologie.
Chi mi conosce bene sa quanto sono fissata con le api, sono anni che ne sono affascinata e le voglio conoscere più a fondo. Quest’anno non sono mancati libri che le riguardano e la pietra miliare delle mie letture a tema è rappresentata da questo saggio. Erano mesi che lo puntavo e lo avevo in wishlist e finalmente sono riuscita a leggerlo. Si tratta di un saggio estremamente interessante sulla anatomia e fisiologia del cervello delle api, che analizza in maniera approfondita alcuni aspetti fondamentali dei loro organi di senso: olfatto e vista in maniera principali, ma anche tatto. Inoltre, analizza anche il funzionamento del loro apprendimento e della loro memoria. È un saggio molto tecnico, che da per scontate nozioni di zoologia e di fisiologia spinta (sapere come funziona un potenziale d’azione che permette i passaggi di impulsi elettrici nel cervello potrebbe aiutare nella comprensione) ma fornisce spunti molto interessanti. Che le api siano degli insetti estremamente intelligenti lo sapevo già, che siano capaci di tanto invece mi stupiva. Il loro modo di orientarsi, di apprendere, di crescere, di muoversi sono impressionanti ed estremamente complessi, così come la loro danza. Gli impollinatori tutti, non solo le api, sono fondamentali per il benessere del nostro ecosistema ed è fondamentale proteggerli. Sapere come funzionano può sicuramente aiutare nel proteggerli. E io sono super affascinata dal loro modo di gestire la colonia e loro stesse. Le api non sono mai solo dei singoli, fanno parte di un tutto, di una comunità che funziona con l’apporto informativo e materiale di tutte le api dalle bottinatrici alle esploratrici, dalle spazzine alle guardiane. Da uno scienziato che ha trascorso tutta la sua vita immerso nel mondo delle api, un approfondimento ricco e speciale su degli insetti che sono fondamentali per noi.
Breve storia della letteratura rosa di Patrizia Violi
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Avete mai letto un romanzo rosa? No? Probabilmente, invece, lo avete letto eccome, solo che non vi vien facile associare in un unico genere Pamela di Richardson e Liala, Jane Eyre e Twilight. Questo ci dice che il mondo del «rosa», nella sua storia e nelle sue differenti espressioni, è molto più complesso e profondo di quanto forse siamo abituati a pensare. L’autrice, in questo saggio piacevole e leggero, illustra con precisione elementi ricorrenti, evoluzione, nomi celebri e recenti sviluppi della letteratura di consumo più amata di sempre, e non certo soltanto dalle donne.
Anche in questo caso devo ringraziare Am de La Bella e il Cavaliere che mi ha prestato questo volumetto davvero molto breve ma incredibilmente denso. Se mi seguite da un po’ sapete bene quanto io ami i romance, quanti ne ho letti nel corso degli anni e quanto mi abbiano sempre affascinato. Leggere un romance per me vuol dire staccare il cervello, immergermi nelle vite di altri, e dimenticare per qualche ora le sventure della mia vita. È una catarsi a volte, è soprattutto una distrazione. “Breve storia della letteratura rosa” ovviamente fa qualcosa di diverso, dona una certa prospettiva al genere, districando i principali nodi che hanno portato all’evoluzione del genere. Già il titolo però mette in luce il principale difetto, essendo “breve” immancabilmente manca di approfondimenti, che in alcuni casi sono veramente essenziali. Ma per una panoramica per capire da dove iniziare ad affrontare il genere il saggio della Violi è perfetto, gli accenni che se ne fanno sono fondamentali: dalla casalinga di Borghera ai giorni nostri, i passi fondamentali toccati dalla Violi sono diversi, ma serve soprattutto per dare rispettabilità a questo genere sempre molto bistrattato. Non è solo “roba da donne” ma è un genere che ha moltissimo da offrire ad ogni tipo di lettore, e la Violi fornisce le basi per capire perché.
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janiedean · 8 years ago
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Ciao! Stavo leggendo i tuoi post sulla politica italiana e ho visto che probabilmente sei molto più informata di me in questione... ma tu sai che c'hanno contro la Boldrini? Ogni volta che provo a googlarla vedo gente che la odia, mai nessuno che mi dia ragioni come Scillipoti, Razzi o Salvini. A parte lo scivolone sugli agnelli sardi, tu sai che ha fatto per meritarsi tanto odio (sempre che lo sia)?
Bah. Che è donna, è di sinistra e in confronto ha un cv che la gente becera non può vedere perché fa solo vedere quanto so poracci loro imo. Cioè il punto è che questa ha delle posizioni che uno può condividere o meno ma sono molto femministe/di sinistra e quindi la gente la prende per una buonista a cui frega più degli immigrati che degli italiani perché lavorava per l'unhcr quindi why not essere beceri? Mo, la boldrini ogni tanto ha posizioni con cui non mi ritrovo (per dire tutta sta battaglia dei nomi femminili delle professioni per me è tempo sprecato se prima non risolvi i problemi alla radice) e ogni tanto ha degli scivoloni ma il punto è che sanno benissimo che in confronto a lei sfigurano perché questa è arrivata lì senza vendersi e facendo un lavoro serio e con un cv inappellabile e quindi devono odiarla perché è tutto quello che loro si sognano di essere. Fine XD aggiungici che ovviamente per gente razzista e becera come quelli la presidente della camera che lavorava per l'unhcr è tipo un anatema ma fine cioè non ha fatto proprio niente, se uno vuole la dimostrazione che il sessismo in Italia esiste è lei xD
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tmnotizie · 6 years ago
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MACERATA – Una giornata densa di appuntamenti quella di domani venerdì 3 maggio per Macerata Racconta, la festa del libro dedicata quest’anno al tema Le derive promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Macerata e organizzata dall’associazione ConTESTO, con la collaborazione dell’Università degli Studi di Macerata e il sostegno della Regione Marche.
Appuntamento clou della giornata sarà quello con la grande ospite internazionale, vincitrice del Premio Pulitzer, Jhumpa Lahiri che alle 18.30 al Teatro della Filarmonica, introdotta da Chiara Valerio, parlerà del suo Racconti italiani,  un viaggio alla scoperta delle opere brevi scritte da autori italiani più o meno famosi, prevalentemente del ventesimo secolo, da Elio Vittorini a Natalia Ginzburg, ad Antonio Delfini e Fabrizia Ramondino.
La raccolta è frutto di un’immersione appassionata nella letteratura contemporanea italiana, in particolare in una tradizione radicata, quella del racconto. Spinta dall’amore per la lingua italiana, indissolubilmente legato alla sua identità di scrittrice e di studiosa, Jhumpa Lahiri ha dato vita a un’antologia personale, di forte valore autoriale, che riunisce una grande varietà di temi e di stili. Il suo approccio dinamico e vivo nasce da un atteggiamento di scoperta e riscoperta, da un’attenzione alle voci femminili, agli autori trascurati e a quelli che hanno interpretato con virtuosismo la forma breve.
A nomi indiscutibili e tuttora presenti nel nostro panorama se ne accostano altri rilevanti ma che sembrano quasi usciti dal discorso letterario,fino a vere e proprie riproposte. Poeti,giornalisti, artisti, musicisti, insegnanti,scienziati, traduttori: gli scrittori che abitano queste pagine rappresentano tante sfaccettature della società italiana, raccontando,con le loro voci originali, paesaggi,emozioni, eventi diversi.
Jhumpa Lahiri è nata a Londra da genitori bengalesi. Cresciuta negli Stati Uniti, attualmente vive e insegna a Princeton, dopo aver trascorso lunghi periodi a Roma. È autrice di sette libri, tutti pubblicati in Italia da Guanda: L’interprete dei malanni, L’omonimo, Una nuova terra, La moglie, In altre parole, Il vestito dei libri e Dove mi trovo, il primo romanzo da lei scritto direttamente in italiano. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio Pulitzer, PEN/Hemingway Award, Frank O’Connor International Short Story Award e Guggenheim Fellow – ship. Nel 2012 è stata nominata membro dell’American Academy of Arts and Letters. L’incontro è valido come formazione per insegnanti ed educatori.
Per quanto riguarda gli incontri con gli autori,  alle  21.15 al Teatro della Filarmonica protagonisti, saranno Teresa Ciabatti Finalista Premio Strega del 2017  e Marco Missiroli entrato nella dozzina finale del Premio Strega 2019, che verranno introdotti da Chiara Valerio. Due voci irresistibili che indagano, con stile diverso e originale, i ruoli e le ossessioni  che ruotano attorno alla famiglia, attraverso due storie straordinarie.
Teresa Ciabatti, con Matrigna, ci immerge nel racconto di un mistero, con un romanzo sui ruoli che non si finisce mai di attribuire: padre, madre, fratello, sorella. Dove la famiglia dispiega tutte le sue ossessioni, manifestandosi prima come rifugio, poi come condanna. Con una scrittura ampia, carsica, avvolgente, invece, Marco Missiroli con Fedeltà apre le stanze e le strade, i pensieri e i desideri inconfessabili, fa risuonare dialoghi e silenzi con la naturalezza dei grandi narratori.
Altro appuntamento molto atteso è quello con la Fiera dell’editoria Marche Libri che aprirà negli spazi dell’ex Upim. Giunta alla VIII edizione, è l’unica fiera del settore presente nel territorio regionale alla quale partecipano 47 case editrici indipendenti di cui alcune provenienti da fuori regione e che partecipano per la prima volta. Il brindisi di apertura, con i vini del consorzio Terroir Marche, è previsto per le ore 16,30 e, subito dopo, inizieranno gli incontri letterari di questa sezione che proseguiranno fino al 5 maggio.
Il programma di Macerata Racconta dedicati ai bambini per la giornata del 3 maggio prevede alle 8.30 e alle 10.30 al Museo della Scuola “P. O. Ricca”  due incontri per gli alunni della scuola primaria (I ciclo) e secondaria sulla narrativa avventurosa e il fascino misterioso delle mappe con Christian Antonini & Book on a tree dal titolo “Libri corsari e mappe del tesoro”. La stessa iniziativa si ripeterà alle 17 ma sarà dedicata a bambini dagli 8 ai 12 anni  (prenotazioni tel. 391 714 5274 –  [email protected] ).
Alle 17.30 al Centro Commerciale Val di Chienti La Luna a dondolo & Fabulous Children daranno vita a “Gli stagnetti di Monet – Paesaggi galleggianti tra scienza e arte” per bambini dai 4 anni in su (prenotazioni tel. 344 38 29 107 –  [email protected] ).
Infine alle 19, nella ex Civica Enoteca Maceratese, in programma un  laboratorio proposto dalla casa editrice EUM dell’Università di Macerata con Barbara Malaisi dal titolo “Il Tarot spiegato ai bambini”. Introducono Rosa Marisa Borraccini e Matilde Morroni Mozzi.
Il calendario di Macerata Racconta per domani prevede anche alle 10.30 nell’aula magna dell’ITC Gentili ore 10,30 il laboratorio didattico “Le mafie” durante il quale gli studenti incontreranno Giulio Cavalli.
Per quanto riguarda le presentazioni alle 11.30 nell’aula Shakespeare di Palazzo Ugolini Polo Didattico Tucci, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, incontro con Nicola Attadio dal titolo “Dove nasce il vento. Vita di Nelly Bly” con l’introduzione di Michela Meschini e Carla Carotenuto
Alle 17, invece, nell’aula B del Dipartimento di  Filosofia Unimc, via Garibaldi, 20 – 3° piano, Adriana Maestro e Roberto Mancini saranno i protagonisti dell’incontro, coordinato da Roberto Brioschi, “L’economia è cura” (Altreconomia).
Sempre alle 17 alla Galleria Antichi Forni Gianfranco Baleani presenta “Il quadrato magico” (Simple edizioni), introduce Nazzareno Gaspari, Un racconto matematico è già di per sé una rarità, ma il libro di Baleani, maceratese, va oltre la sua naturale ambivalenza poiché possiede almeno quattro sfaccettature. Per chi ama i racconti è una piacevole lettura.
Per gli appassionati di matematica ricreativa è l’insegnamento di un metodo per costruire quelle particolari matrici numeriche chiamate quadrati magici. Per chi ha poca dimestichezza con la matematica è una specie di “Stele di Rosetta” (grazie all’appendice contenuta nel libro) che, invece di tradurre i geroglifici in greco, traduce il linguaggio matematico in narrativo.
Soprattutto, però, è un esempio di integrazione tra il pensiero analitico e quello laterale: il primo riesce ad andare in profondità e a capitalizzare la conoscenza, il secondo, procedendo a salti (laterali ed in avanti) riesce ad indicare soluzioni che sarebbero impossibili da immaginare se si procedesse un passo alla volta in maniera sequenziale.
Alle 17.30 alla Biblioteca Mozzi Borgetti sarà la volta di Maria Vittoria Pichi con “Come una lama” (Ventura Edizioni) con l’introduzione di Valerio Calzolaio. “Come una lama” racconta la storia dell’autrice, la farmacista Maria vittoria Pichi,militante politica di sinistra arrestata insieme al compagno per un crimine politico mai commesso nel 1981 e rinchiusa in carcere per 100 giorni prima di essere scarcerata e prosciolta.
Infine alle 18 alla Galleria degli Antichi Forni Matteo Macellari,  un ragazzo di dodici anni che cvive a Potenza Picena e frequenta la seconda media,  presenterà  “Platero alla canestra” (Controvento Ed.),  introducono Vincenzo Oliveri e Anna Maria Ragaini. Un angolo della campagna d’Abruzzo e una fattoria con i suoi animali, con i suoi prati, con i suoi scorci sulle colline circostanti. Tanto basta per “scatenare” la fantasia di un bambino in vacanza e spingerlo ad inventarsi un racconto, dove i protagonisti sono loro: gli animali.
La sua immaginazione illumina un mondo diverso da quello che appare agli occhi degli altri, con la battaglia contro la volpe che ogni notte assale il pollaio e fa strage di galline. Proprio la guerra alla volpe trasforma Platero, placido asinello della Canestra, nell’eroe della comunità degli animali. Una storia curiosa, da leggere e rileggere, seguendo le suggestioni che suscita e scoprendo ogni volta che c’è qualcosa di nuovo su cui riflettere, specialmente per gli adulti.
In serata alle 22.30 alla galleria Antichi Forni sarà la volta  de La strana compagnia in Deriva –azioni umane, una  performance scenica con Lucia De Luca, Stefania Colotti Cettina Lovascio, Claudio Porzi Laura Silvetti e Maurizio Vallesi.
Ultimo appuntamento della giornata alle 23 al Terminal con Paolo Tarsi  nel live A perfect cut in the vacuum. Info e programma dettagliato: www.macerataracconta.it www.comune.macerata.it
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calabriawebtvcom · 6 years ago
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Da Gucci a Prada, i brand per cui gli italiani fanno follie
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Da Gucci a Prada, i brand per cui gli italiani fanno follie
L’attitudine al buon gusto degli italiani in fatto di moda è nota, pur con le fisiologiche diversità di ognuno dettate dai gusti personali che indirizzano verso questo o quello stile.
In tal senso le varie posizioni in tema di abbigliamento e accessori sono individuabili dalle preferenze per i tanti brand che ‘Fashion Geography’, lo studio di Lyst – motore di ricerca leader nel mondo della moda – ha indicato analizzando i marchi e i prodotti più amati nel Bel Paese con un’analisi delle ricerche.
Per disegnare le mappe di Fashion Geography, Lyst ha comparato il comportamento e le abitudini di acquisto in rete di oltre 2 milioni di utenti italiani, analizzando le migliaia di ricerche condotte negli ultimi mesi sulla piattaforma, che consente di navigare tra oltre 12.000 boutique virtuali e siti di e-commerce effettuate online in Italia.
Gucci al primo posto
Guardando ai brand più amati in Italia, Lyst registra un generale picco di ricerche per Gucci: gli iconici prodotti della maison toscana sono stati i più desiderati in diverse regioni. Prendendo in considerazione le evidenze femminili, Gucci trionfa in Lombardia (32%), Lazio (21%), Puglia (19%) e Calabria (15%). Per quanto riguarda le preferenze degli uomini, se il marchio italiano conferma il suo successo all’ombra di Colosseo e Madonnina (Lazio 22% e Lombardia 17%), spicca sugli altri brand anche in Veneto (26%) e Abruzzo (20%).
Una generale tendenza allo shopping di lusso accomuna le utenti italiane, dove sono soprattutto le signature bag da copertina ad attirare l’attenzione (e gli acquisti). Accanto a Gucci spiccano nomi del calibro di Celine, particolarmente amato in Piemonte, dove costituisce poco meno della metà delle ricerche effettuate su Lyst (43%).
La preferenza per le griffe di lusso straniere
Il lusso delle maison straniere seduce le shopping addicted da nord alle isole: se, infatti, in Valle d’Aosta e Liguria sono rispettivamente Balenciaga (15%) e Ralph Lauren (30%) i brand più popolari, in Sardegna un terzo delle ricerche riguarda i prodotti di Saint Laurent, mentre in Sicilia è Alexander McQueen a conquistare la vetta (45%). Nel centro-sud via libera alle ricerche di accessori firmati Balmain (25% in Umbria e 18% in Abruzzo), mentre Michael Kors è particolarmente amato in Campania (26%) e Basilicata (18%).
La moda made in Italy raccoglie consensi nelle restanti regioni: il 27% delle utenti sceglie Valentino in Veneto e Pradanelle Marche, mentre un quarto delle ricerche effettuate in Emilia Romagna (25%) ha Dolce&Gabbana come protagonista. Anche in Toscana (17%) e Friuli Venezia Giulia (18%) è lo stile italiano a trionfare, ma qui si vira allo streetwear di lusso proposto da Off-White. In Trentino Alto Adige un terzo (33%) delle ricerche riguarda Moncler: complici del successo del brand famoso per i suoi piumini di qualità eccezionale non possono essere solo la lunga stagione invernale e le celebri montagne della regione, se si considera che anche in Molise (29%) guadagna un’importante fetta di utenza.
Sneakers, le scarpe più gettonate
Quanto ai capi più desiderati, a mettere d’accordo i fashion addict di tutto lo Stivale sono le sneakers, categoria merceologica più cercata online nell’ultimo anno sia da lui che da lei. Sorprendentemente, infatti, le scarpe sportive scalzano l’accessorio femminile per eccellenza – la borsa – dalla vetta della classifica. Le borse, di contro, occupano ben due posizioni nella top 5 dei prodotti più desiderati da lei: medaglia d’argento, infatti, ai modelli a tracolla, di bronzo a quelli a spalla.
Grande l’interesse sia da parte di uomini che di donne anche per le giacche, al secondo posto della top 5 maschile e al quarto di quella femminile, che si chiude con gli abiti. La classifica dei prodotti più desiderati dall’uomo, invece, prosegue con t-shirt e felpe – che, rispettivamente al terzo e quarto posto, ribadiscono la preferenza di lui per l’abbigliamento comodo e sportivo – e con le cinture, accessori funzionali e indispensabili per dare una marcia in più anche agli outfit più semplici.
Abbigliamento, gli uomini spendono più delle donne
Il divario tra lui e lei si amplia, invece, quando si guarda al portafoglio. A sorpresa, i più ‘spendaccioni’ sono gli uomini che, per un ordine su Lyst.it, spendono in media circa 267 euro, a fronte dei 249 euro mediamente spesi dalle donne. Se le ricerche delle italiane si indirizzano sui ‘classici’ brand da copertina, gli uomini preferiscono investire in streetwear, meglio se di lusso.
“La moda è nel Dna degli italiani e mappare le loro preferenze e abitudini di acquisto ci permette di identificare i brand – affermati o emergenti – che dettano il passo delle ultime tendenze e, di conseguenza, di tracciare un interessante quadro locale del mercato, commenta Francesco Girone, responsabile Marketing e Comunicazione Italia di Lyst. Conoscere a fondo ciò che i nostri utenti desiderano e cercano è cruciale per offrire loro un servizio sempre più completo e dinamico, capace di rispondere al meglio alle loro esigenze di shopping”.
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retegenova · 6 years ago
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Lunedì 18 febbraio alle ore 17.30 presso la Libreria San Paolo di Piazza Matteotti si terrà la presentazione di
OLTRE IL SILENZIO Donne all’origine del Cristianesimo Prometheus editrice dialogano l’Autrice, Barbara Pandolfi e Maria Rosa Biggi, Presidente del Centro Italiano Femminile (sezione Liguria)
Il libro: Oltre il silenzio che lungo i secoli ha nascosto la vicenda umana, spirituale e culturale di molte donne, è possibile oggi recuperare nomi e volti di figure femminili significative e importanti senza le quali la nostra storia sarebbe diversa.  La conoscenza delle donne presentate in questo volume ci sollecita a prendere consapevolezza di una visione parziale che lungo i secoli ha rischiato di oscurare la novità che il cristianesimo delle origini ha proposto e realizzato anche attraverso le donne, incarnando l’assoluta originalità del messaggio evangelico per uomini e donne.  Leggere la storia da una prospettiva diversa può contribuire a ri-scrivere con parole nuove la vicenda umana e il messaggio cristiano, spingendoci a trovare strade inedite riguardo alla presenza delle donne e al loro contributo nella riflessione teologica.
L’Autrice: Barbara Pandolfi, laureata in filosofia all’Università di Pisa, ha conseguito la Licenza in Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana e il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Antonianum. Insegna teologia dogmatica (in particolare ecclesiologia e mariologia) presso l’ISSR “Santa Caterina da Siena” della Toscana, a Pisa e a Firenze
-- GRUPPO EDITORIALE SAN PAOLO Libreria San Paolo di Genova Piazza Matteotti 31-33/r 16123 Genova tel 0102469292 fax 0102468800 orario di apertura lun-sab h 9-13/15-19 MERCOLEDI' e GIOVEDI ORARIO CONTINUATO dom riposo
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persinsala · 7 years ago
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L’amore maturo di Donna e quello giovanile della figlia Sofia rivive al Sistina col nuovo allestimento tutto italiano della PeepArrow Entertainment. Nuove tecnologie si uniscono alla magia meccanica del teatro e fanno esclamare Mamma mia! fino al 7 gennaio.
Dopo aver girato l’Italia in lungo e in largo passando per prestigiosi festival estivi come La Versiliana, Catonateatro, Forte Arena, Follonica Summer Festival e la Rassegna delle 11 Lune di Peccioli, il musical Mamma mia! è giunto finalmente al Sistina e allieterà il caloroso pubblico di Roma fino al 7 gennaio. La festa è iniziata già il 6 dicembre scorso con un’ondata di palloncini azzurri che ha invaso via Sistina aspettando il pullman da dove sono scesi entusiasti tutti i protagonisti del musical e continuerà per tutto il periodo natalizio. Massimo Romeo Piparo, con la sua regia attenta, dopo Jesus Christ Superstar, Billy Elliot ed Evita, ha fatto centro un’altra volta portando in Italia, seppur con qualche piccola innovazione che non tradisce l’originale, lo spettacolo più scanzonato, divertente e colorato degli ultimi anni e che ha fatto ballare le platee di tutto il mondo. All’occhio salta subito l’imponente scenografia non più minimal come quella inglese, più reale con tanto di pedane girevoli, che uniscono pontili sotto i quali scorrono oltre novemila litri di acqua in grado di creare effetti incredibili, abbinati alle coreografie di Roberto Croce, altra firma insostituibile della produzione. La locanda si arricchisce di nuovi colori oltre a quelli classici del bianco e del blu, con tanto di bouganville alla finestra, in grado di riportare tutti su quell’isoletta del Mediterraneo illuminata da un faro video proiettato sullo sfondo. All’interno di Notti d’estate, la bellissima locanda creata da Teresa Caruso, ha uno spazio tutto suo l’orchestra diretta dal Maestro Emanuele Friello, che al suo attivo ha già diretto trentasei musical italiani e che, rigorosamente dal vivo, ripropone ventiquattro successi degli ABBA, tradotti fedelmente in italiano, sulle cui note si esibiscono oltre trenta artisti, tra i migliori talenti del musical italiano. Su questi straordinari motivi intramontabili si costruisce tutta la storia di Mamma mia!, una storia leggera ma non per questo banale e ricca di straripante ironia, che anche al cinema nel 2008 ha riscosso un successo senza precedenti.
Siamo nel 2000 e Sofia, prossima alle nozze, sfogliando un diario di sua madre intuisce che uno dei tre uomini elencati tra quelle pagine, in cui sono descritte le avventure amorose di quella particolare estate culminata spesso con tanti “puntini, puntini, puntini”, può essere suo padre. Spedisce dunque tre lettere per invitare i tre uomini al proprio matrimonio all’insaputa di sua madre, presa dai preparativi. Quando sull’isola, Donna si ritroverà di fronte Sam, Romolo ed Enrique, un déjà-vu s’impossesserà di lei e solo l’aiuto e la vicinanza delle amiche Tanya e Rose riuscirà a darle la forza giusta per affrontare quel presente ombreggiato dai ricordi del passato.
Sabrina Marciano è una Donna superlativa, che finalmente dopo tanti bellissimi ruoli da co-protagonista qui è una Dancing Queen al centro del palco, in grado di far scivolare tra le dita palpabili emozioni nella scena in cui prepara la figlia per le nozze, di commuovere con l’SOS all’amato Sam e di divertire con Super Trouper, insieme alle altre due protagoniste femminili, perfette nei panni delle due scatenatissime amiche di sempre, Rosie, l’intellettuale del trio che crede di poter camminare ancora accanto a un uomo, e Tanya, innamorata degli uomini e dei soldi con tre matrimoni alle spalle, interpretate rispettivamente dalle eccezionali Elisabetta Tulli e Laura Di Mauro. Quest’ultima stupisce soprattutto cantando e ballando sulle note di Ma tua mamma sa che sei qui (Does your mother know) accerchiata da un corpo di ballo strepitoso in grado di trascinare il pubblico in un’atmosfera spensierata e vacanziera.
Nel ruolo dei tre padri, tre nomi di spicco, già protagonisti al Sistina di Musical targati Piparo: Luca Ward, che interpreta Romolo Desideri, un Gladiatore di Ostia dallo spiccato accento romano, a cui sono state affidate poche parti cantate a favore di una recitazione che punta a far emergere il suo bel timbro, Paolo Conticini che ricopre il ruolo di Sam, bravissimo nel cantare e nell’interpretare il padre più attinente alla storia, e Sergio Muniz, lo spagnolo Enrique, che ben si difende sul palco con tanto di chitarra e bagno nell’acqua di mare. La giovane figlia Sofia, con la voce da usignolo, è invece interpretata da Eleonora Facchini, classe 1992, che è un vero Tesorino sul palcoscenico del Sistina, mentre Jacopo Sarno, anch’egli molto bravo, seppur un pochino troppo adolescente scenicamente, veste i panni di Sky, fidanzato della bella Sofia.
Un grande allestimento in cui emerge la qualità di tutte le maestranze già citate e a cui si aggiungano i costumi con tanto di paillettes e volant di Cecilia Betona, il suono curato da Alfonso Barbiero e Stefano Gorini, le luci di Daniele Ceprani e ovviamente la produzione esecutiva di Francesca Piparo per PeepArrow Entertainment.
Mamma mia! con i suoi ritornelli che non conoscono tempo è la giusta proposta per Capodanno, che chiude e allo stesso tempo apre una stagione all’insegna della spensieratezza. Due ore e venti di puro intrattenimento confezionato con tanto amore e tanta passione, che trasmette inesauribile energia in grado di scaldare il cuore e impegnare brillantemente la mente. E per citare uno dei testi presenti nel Musical Grazie a tutti voi per questo dono che è la musica… per questa musica!
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Lo spettacolo continua: Teatro Sistina via Sistina 129, Roma fino a domenica 7 gennaio orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 17.00, martedì 26/12 ore 17.00, lunedì 1/01 ore 18.00, sabato 6/01 ore 17.00 e ore 21.00 (durata 2 ore e 20 minuti intervallo escluso)
Peeparrow Entertainment presenta Mamma Mia! musiche e testi Benny Andersson, Björn Ulvaeus libretto Catherine Johnson originariamente ideato da Judy Craymer regia Massimo Romeo Piparo con Sabrina Marciano, Luca Ward, Paolo Conticini, Sergio Muniz, Elisabetta Tulli, Laura Di Mauro, Eleonora Facchini, Jacopo Sarno coreografie Roberto Croce costumi Cecilia Betona direzione musicale Emanuele Friello suono Alfonso Barbiero, Stefano Gorini luci Daniele Ceprani
Mamma Mia! L'amore maturo di Donna e quello giovanile della figlia Sofia rivive al Sistina col nuovo allestimento tutto italiano della PeepArrow Entertainment.
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pangeanews · 6 years ago
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“L’Occidente ha perso l’anima, i servizi segreti russi ci dominano e, certo, in 87 anni di vita sono stato molte persone (e non tutte carine)”: intervista a John Le Carré
Pensate se in Italia venisse raccolto in un libro un programma radiofonico. Immaginate per un istante questo intreccio fecondo di oralità e scrittura, una rivincita della letteratura originaria in forma di parola detta, sussurrata, spezzata dal respiro e dal sibilo. Il confronto onesto di due voci. In Inghilterra questo teatrino (l’origine è Shakespeare non Alighieri) è ancora diffuso. Noi ci dobbiamo rifare a Youtube e le Interviste impossibili del Manga. Ma sono fenomeni sporadici. In Italia tutto si consuma al ninfeo di villa Giulia, dove si mangia malissimo, e a nessuno importa molto di che deve dire il vincitore “stregato”. Saggezza popolare, se ne infischiano del poeta laureato.
In UK le cose non vanno così, c’è un tipo teatrale come Alan Bennett che ha composto dei monologhi, calandosi come autore in parti femminili, li hanno trasmessi nel 1987 alla BBC, stanno anche in un libro, Signore e signori e ne ho fiutato uno, dove parla l’attrice Travis. Trama identica sputata a quella del Night manager, che è un giallo notevole di le Carré, uscito in quel giro d’anni.
Domanda oziosa. John Le Carré sentiva la radio e poi prendeva lo spunto per la scena finale del suo romanzo? Yacht, moglie bonissima del malavitoso, spia infiltrata a bordo, tutto identico all’invenzione di Bennett. Risposta balorda: può essere. Risposta realistica: certo che sì. Un autore deve stare al mondo, vero?
*
Morale della favola, c’è un capello nella vostra minestra perché le lettere non si nutrono d’aria. Se solo fossimo un popolo più letterato, con tutte quelle barriere orrende tra ruling class e resto del mondo, come ve ne sono in UK, avremmo programmi radio per gente colta e… meglio di no, siamo italiani, bucolici e strapaesani, ma guardare ogni tanto al nord giova alla salute mentale. Ad esempio.
Ho ritrovato un ritaglio di giornale, Times, equilibrato tra conservazione e progresso, del mese passato. L’autore ultrasessantenne sfoggia una serie di nomi di scrittori che mi chiedo: se avvenisse in Italia una cosa simile? E il soggetto del suo pezzo è la fuga di capitale umano e inglese che Brexit provocherà, lassù. Sentiamo da dove parte l’autore: dall’impero. Siamo sempre lì.
“Nel 1739 Marshal Keith, scozzese al servizio russo, fu mandato presso il gran visir del sultano ottomano. Keith si meravigliò che l’emissario turco, bardato di turbante, lo accogliesse con parole veramente scozzesi: Dinna be surprised. I’m o’ the same country wi’ yoursell, mon!”. Questo Keith visse al tempo delle lotte tra inglesi e giacobiti, storie di infiltrati che ritrovate nel Master di Ballantrae, piccolo capolavoro di Stevenson.
Il punto è che mentre in Italia la storia è macchiata di sociologia e riflessioni religiose (introflesse), al nord costruiscono scenari, come fa anche Le Carré, dove la storia vera è quella segreta. (Il motto non è mio, ma del marxista Canfora). Per rimanere sul tema, se voi leggete la raccolta di novelle Nuove mille e una notte del suddetto Stevenson scoprirete un mondo realmente romanzesco, dove in una stessa storia leggete di azione e di… Risorgimento italiano, con patrioti esuli e nascosti. Provare per credere, in quelle notti arabe, Il padiglione sulle dune.
*
Conclusione. Trovata in rete un’intervista al giallista le Carré, ve la propongo qui in italiano, non perché sia ostica in inglese ma per renderla più familiare. E mostrare che in fondo un romanziere sta ben collegato alla realtà. Posto che voglia farsi intendere. L’intervista è stata trasmessa in radio e il conduttore del programma, ben noto in UK, era Terry Gross. Il pretesto era il lancio dell0ultimo libro di le Carré, correva l’anno 2017. Buona lettura!
Andrea Bianchi
***
G: John le Carré, benvenuto al programma Fresh air. Partiamo dal tuo ultimo romanzo Un’eredità di spie. Leggeresti per noi la prima pagina?
LC: Certo. (Legge) 
G: John, perché hai scritto di una spia, Peter Guillam, costretta ad affrontare la sua responsabilità per due morti, risalenti a decenni prima?
LC: Penso perché, tornando indietro, avevamo una chiara filosofia che credevamo di star lì a proteggere. Ed era una nozione dell’Occidente: fatta di libertà individuale, di inclusività, di tolleranza. Tutto questo lo chiamavamo anti-comunismo. Tutto questo veniva colpito da un unico colpo di spazzola, perché c’erano molte persone decenti che vivevano in territori comunisti le quali non erano così orribili come si potrebbe immaginare. Ma ora, in questo tempo presente nel quale simili argomenti sono riconsiderati nel mio romanzo, sembra che non abbiamo alcuna direzione. Sembra che l’unica cosa che ci unisce sia la paura e l’inselvatichimento per quel che riserva il futuro. Non abbiamo alcuna ideologia coerente ad Occidente, e abbiamo avuto il vezzo di credere al grande esempio Americano. E credo che questo sia stato minato, nel profondo, in tempi recenti. Siamo soli. Due tra i personaggi più importanti nel mio romanzo, Peter Guillam (voce narrante) e George Smiley (maestro di Guillam), ecco sono entrambi mezzi-europei. Penso che la mia preoccupazione, incominciando il libro in questa atmosfera straordinaria (la nostra) sia stata qualcosa come fare un caso dell’Europa. E ora si tratta di una specie a rischio.
G: Sembra che provi qualcosa di forte per Brexit, che tu lo ritenga un errore.
LC: Penso di sentire le cose più forti riguardo alla tempistica di Brexit, e questo è terribile. Nel momento stesso in cui l’Europa necessita di essere un singolo blocco coerente per proteggersi moralmente e politicamente (e nel caso, militarmente), l’abbiamo lasciata. E siamo inceppati nell’Atlantico. Come nota Smiley, sono cittadini di nessun luogo, al momento.
G: Sai, mentre leggevi, I tuoi personaggi si riferiscono al fatto che si aspetta da loro che sopprimano i sentimenti umani per essere spie. E poi si pensa che Smiley – il tuo vero personaggio, arruolato come narratore – ha soppresso l’umanità dentro di sé. Ritieni di aver fatto come lui lavorando per l’intelligence?
LC: Bene, certo, in ogni situazione corporate o istituzionale, le persone che vi sono impiegate devono reprimere i propri sentimenti in un modo o nell’altro. Durante la Guerra Fredda noi ne eravamo consapevoli, avevamo una direzione e una causa, una grande causa, pensavamo. E sembrava buon espediente che pochi soffrissero a beneficio di molti. Al momento, per come il presente è descritto nel romanzo, siamo misteriosamente senza un obiettivo, ancora lì a cercare una qualche identità, davvero, da quando è finita la Guerra Fredda. Non c’è stato alcun Piano Marshall, allora. Nessun gran visionario, nessun leader che ci dicesse come riformulare il mondo. Tutto alla deriva. E molti venditori di tappeti si gettavano sulla carcassa sovietica. Veramente, una grande sbornia dopo l’orgia del capitalismo. La deriva incomincia qui, senza alcun design per il mondo nuovo.
G: Tornando alla domanda, sentivi di dovere sopprimere la tua “umanità’” per essere una buona spia?
LC: Vero. All’interno di una causa più grande. Dove stavo, chiedevo alle persone di fare questo e quello, tentavo di persuaderle che lo stavano facendo per il bene maggiore. E lo stavo facendo per il bene maggiore. Ma poi – esci dalla linea di confine tra quante di queste cose sono fattibili e rimanere una società che meriti di essere protetta.
G: Guardi indietro alla tua carriera? Rimpiangi qualcosa?
LC: Sì. Nei miei giorni da studente, rimpiango di aver posato da cripto-comunista tentando di avvicinare i selezionatori sovietici. Quasi quasi ebbi successo. Fui preso e ebbi uno scambio con un Russo all’ambasciata sovietica a Londra. Non ne venne nulla. Forse non fui abbastanza intelligente o forse qualcuno mi compromise. Ma mentre posavo, dovetti firmare quasi fossi un comunista in incognito e questo voleva dire imbrogliare colleghi e compagni di studio. Guardando indietro, mi viene la nausea. Poi mi chiedo quanto debba essere terribile per le persone attaccare il bersaglio islamico, quanto truce (al paragone) e severo il risultato possibile che ne vien fuori.
G: Dunque ti faceva venire nausea imbrogliare gente che conoscevi, fingere di aver opinioni e credenze che non erano tue per tendere trappole?
LC: E sì certo. Dico: se la vedi nel senso più ampio, tu lanci una bomba, ammazzi gente, non ne sai nulla. Li uccidi col coltello, certo che li uccidi – li conosci. L’incontro umano rende l’atto insopportabile. Oppure.  Sforza la coscienza. Il senso che uno ha della coscienza. Se te ne separi, allora è statistica. Diventa gesto militare. Ma faccia a faccia, la bugia bella in vista, l’amicizia, la falsa amicizia e simili – questo avvilisce. Diminuiscono il senso che si conserva di se stessi. E davvero, in qualche triste modo, ho fatto quel che probabilmente pensavo la cosa giusta. Credo che l’intelligence debba consegnarci qualcosa. Ma poi quando ci chiedono di sporcarci le mani, diventiamo schizzinosi.
*
G: Bene, per riprendere ti chiederei di leggere un passaggio dal tuo ultimo libro che si trova a pagina 19 e riguarda l’interrogatorio.
LC: (Leggendo)
G: Hai fatto cose simili?
LC: Sì. Molte nel mio primo periodo alla sicurezza e MI5.
G: E…
LC: Erano interrogatori benigni, davvero, spesso di civil servant i cui dipartimenti, i cui capi del personale erano a conoscenza della cosa e poteva proteggere i loro impiegati e via così. Non erano quel che diremmo interviste seriamente ostili, tranne che in pochi, rari casi. Ma tutto quel che ho imparato dagli interrogatori mi dice che tutte le robacce – waterboarding, tortura e altre cose che Trump incoraggia di nuovo – sono abbastanza inutili. Nella mia esperienza, le persone sotto grande minaccia producono una montagna di informazioni che poi si rivelano false. Metterebbero un cartellino sulla loro madre, se dovessero farlo. Ho scoperto che provare a capire le persone, farsele amiche, indicar loro che sei la loro unica speranza e simili – pazientare e indicare che davvero sei un essere umano aiuta abbastanza e poi quasi tutti se hanno qualcosa sulla coscienza, in un modo o nell’altro, desiderano confessarlo (se il meteo e le circostanze aiutano) – almeno questa era la mia privata convinzione.
G: Vorrei tornare un attimo indietro: hai incontrato due capi del KGB. Sei stato in Russia un paio di volte – prima in era sovietica e poi nel 1993, quando gli oligarchi e i criminali avevano preso tutto, o quasi. Nella Guerra Fredda di cui scrivi nulla, proprio nulla è quel che sembra. Tutti hanno un secondo motivo, se non un terzo. Mi domando. Come applichi quel che sai alla campagna di Trump e all’interferenza russa? Se le tue vecchie idee funzionano ancora… credi sia il caso? Se sì, come tenti di capire quel che sta montando la Russia?
LC: Prima di tutto guardiamo all’operazione influenza, se ti va, a come è stata esercitata, quel che sospettiamo i Russi stiano facendo non solo in USA, quel che hanno fatto in UK per il referendum e forse per l’elezione. Certo hanno interferito per Macron in Francia. Quindi che forze sono? Quel che davvero spaventa, penso, e disturba nel profondo è che viene da Ovest come da Est. Oligarchi a Ovest talmente a destra da stringersi in causa con quelli dall’altra parte del mondo. Avendo in comune un gran disprezzo per l’ordinaria condotta democratica. Vogliono diminuire la democrazia, la vedono come nemica. Hanno fatto del liberalismo un mondo sporco, uno dei più invitanti per la politica. Si sono concentrati sullo stesso bersaglio da diversi punti. Prima cosa. Quindi, che si chiamino Cambridge Analytica, che abbiano il nome spaventoso di *** e stiano nascosti in Ucraina, stanno facendo nel complesso lo stesso lavoro. Stanno minando il processo decente della democrazia e questo fa il suo effetto. Ha avuto i suoi effetti in Europa, in Ungheria e Polonia. E penso che abbia disturbato da qualche parte nel mio paese. Ci arriviamo dopo. Ora, per quanto riguarda altre aree del comportamento russo e l’associazione di Mr Trump – lì follow the money. È perfettamente possibile che Trump sia stato preso in una cosiddetta trappola di miele – gli han fatto trovare delle donne e si è mosso male in Russia. Non penso che se questo film fosse divulgato domani, Trump se la caverebbe. La gente direbbe che è cosa da maschiacci. Oppure direbbero che le varie parti del video non aggiungono molto; tutto un falso. E 35 esperti lo proverebbero – quindi non si va lontano. Per il denaro, si tratta del tema profondo e persistente negli affari commerciali di Trump. È andato avanti a lungo, molto a lungo. Si collega anche alla vasta estensione di proprietà posseduta in USA, e questo porta le cose più vicine a casa. Si collega alla sua bottega familiare.
G: Pensi a seguire il flusso di denaro per il potere degli oligarchi…
LC: Insomma…
G: …in Russia?
LC: Il potere degli oligarchi in Russia, quel che hanno prestato a Trump direttamente o indirettamente per le sue imprese, la protezione che gli hanno dato in luoghi distanti – ma nulla di ciò butterà giù Trump come le cose domestiche, le proprietà sparse in USA – come sono state comprate e da chi, se all’ingrosso, se c’è un prestanome o un corruttore, e il numero tremendo di Russi e gente dell’est con fedine sporche, tutti a frequentare la compagnia di Trump. Alla fine, mi sembra, molte cose sono rientrate. E qui sta il punto – spero che si arrivi a una situazione in cui qualcuno va da Trump e dice “la tua famiglia è profondamente coinvolta e non hai scelta – o ti allontani e sparisci, o ti smontiamo la baracca in modo che ti faccia molto male.
G: C’è anche il dossier russo che dice che i russi hanno il kompromat, materiale compromettente, su Donald Trump. In questo caso, in parte è un video che lo mostra in certi atti sessuali. Sai niente? Mai adocchiato cose simili?
LC: Bene, prima di tutto ricordiamoci che Putin, quando guidava il KGB da Dresda, era un maestro del kompromat. Quindi se voleva un diplomatico, un officiale dell’Ovest, un bersaglio di questo tipo, avrebbe stretto un assedio. Avrebbe lanciato una proposta tentatrice. Avrebbe montato il teatro, costruito il fondale. E nessuno avrebbe potuto negare niente. Una sua vecchia abilità. Risale a secoli fa, non solo in Russia, ma lì si sono specializzati anche in tempi zaristi. Zar in tonalità grigia esistono oggi e sono gli esperti. Amano tutto ciò. La complessità inerente a questa scacchiera. Ma non penso che funzionerebbero, perciò un kompromat, se ha avuto luogo, affonda nei modi di Trump di raccogliere soldi nei posti peggiori. Insieme a tutti gli sforzi compromettenti, nei quali i russi l’hanno sostenuto. Lo tengono dalla radice dei capelli…
*
G: Parliamo di tuo padre. Un farabutto, impostore, inventore di personalità, occasionalmente un fantasista, con le sue crisi e le sue performance, un incantatore deluso che spezzò molte vite. Senza relazioni con la verità, hai detto in un’intervista pochi mesi fa [al NY Times, a breve su questo giornale]. Quindi hai preso da lui certe abilità, raccontami.
LC: Guarda. Incomincia, prima tutto, quando ogni bambino crede che i genitori che gli sono capitati siano tutto il mondo. Io fui lasciato solo a 5 anni. Mia madre se ne andò via e io vissi come un vitellino semilibero, senza marchio, spesso la cosa era divertente. A lungo questo fu il mio mondo. Poi incominciai a capire… che c’erano dei problemini, dovevo sopravvivere da solo. Tutto qui. Diventi attento. Passavo molto tempo, se lui era fuori casa, a frugare le sue tasche e tra le sue robe, cercando di capire dove se ne andava. Eravamo circondati da creditori arrabbiati. Per periodi abbastanza lunghi, lui era in fuga. Negli USA, ricercato dalle forze della legge, e mi riempiva la testa di roba senza senso e falsa che io credevo di dover verificare essendo un bambino con del tempo libero a disposizione. Quindi sì, in questo senso erano gli inizi a produrre uno spione. Ma è tutto perché un bimbo deve sopravvivere. E poi la sua grande passione che completò fu trasformarmi in un gentleman. Eravamo tutti working class. Tutti parlavamo in famiglia con accenti regionali decenti, andavamo a messa in modo regolarissimo e vivevamo come gente semplice nella costa inglese meridionale. E lui spezzò tutto questo. Quindi tra i 5 e i 16 anni andai a scuole provate, alle scuole preparatorie e durante le vacanze in villeggiatura, cose simili. Oltre a ciò, in quel periodo credo che imparai il linguaggio, la gestualità, il mindset dell’upper-middle class. In qualche modo, più o meno, mio padre pagò per questa specie di educazione.
G: Quindi ti sentivi in colpa ad avere mezzi che la tua famiglia in partenza non possedeva?
LC: Noi, voglio dire io sentivo di rientrare in quella fetta di popolazione fraudolenta perché spesso dovevo rabbonire i creditori, dire che il denaro era depositato, eccome, fossero questi uomini di commercio o vicini di casa o amici stretti improvvisamente preoccupati che mio padre li avesse spennati.
G: Tuo padre ti faceva fare queste cose?
LC: Sì, suppongo tu possa dirlo. Io lo obbligavo, lo sai? Hai solo una persona da amare se hai solo un genitore.
G: Quindi lui ti fece diventare suo compagno malvivente?
LC: Quando ero adolescente sì, lo ha fatto. E poi mi rivoltai contro tutto. Così incominciò lo scisma e continuò nel seguito. Da 18 o 19 anni, scappai da lui provando ad allentare i legami e alla fine li tagliali. Questo successe per davvero.
G: Puoi descriverci la forma che prese la tua rivolta contro di lui?
LC: Gli chiedevo conto di certe verità, perché certe cose succedevano nelle nostre vite. Perché dobbiamo trasferirci all’improvviso? Perché abbiamo venduto la casa? Perché i balivi ce l’hanno espropriata? Perché eravamo spaventati? Perché avevamo nascosto la macchina sul retro della casa spegnendo le luci? Perché non dovevamo rispondere al telefono? E la ragione per la quale veniva ricercato dai sindacati criminali nei quali occasionalmente si era intrufolato. E loro gli si erano legati. Aveva più paura di loro che della polizia. Perciò a un certo punto… c’erano diversi elementi. Lo affrontai e gli gridai che volevo sapere la verità sulla sua vita. Si arrabbiò moltissimo. Litigi senza… risultato. Solo piccolo battaglie, ma la guerra continuava. Poi divenne impossibile quando – dopo La spia che veniva dal freddo – feci dei soldi e lui li volle.
G: Oh, davvero.
LC: Non abbiamo mai avuto soldi in famiglia. Fino ad allora, con tutto quel che era successo, ero stato come prima cosa uno impoverito, uno sposato, un insegnante e poi, finendo col Servizio, le cose cominciarono a girare. Eppure, ogni bolletta del gas, ogni conto della luce pesavano. E poi questo fiume di soldi da un best-seller… e lui voleva allacciarsi. Non mi disse “dammelo”. Si presentò solo con dei progetti e io fui un fesso – in primo luogo pagai le tasse perché mi disse che non era necessario – e in secondo luogo non investii nelle sue imprese, tutte folli. Alla fine fu un fiasco.
G: Perciò ti sei protetto contro di lui quando hai avuto successo letterario e lui esigeva soldi? Sei riuscito nello scopo?
LC: Sì, non gli ho dato nulla. In vari momenti gli feci delle offerte per metterlo sotto un tetto e pagarli la spesa. Ma era troppo orgoglioso e sopravviveva coi suoi sistemi. Quando morì aveva una casa a Jermyn Street, una a Tite Street, Chelsea, una in campagna, una terza moglie, ***. E non trovavamo un penny per tenere su tutto il circo… è stato uno dei misteri della vita. E per molti anni era stato in bancarotta mai liquidata. Eppure alla fine, con quella pseudo-ricchezza, aveva rimontato tutto. Sul letto di morte se ne andò che rimase nulla. Credenze vuote.
G: Hai ereditato i suoi debiti?
LC: Non in via legale, no… davvero. In via morale, suppongo.
G: Ancora una breve pausa.
G: So che a un certo punto della tua vita, non so se prima o dopo che tuo padre morisse, hai ingaggiato detective per capire chi lui fosse realmente. Cos’hanno fatto, effettivamente? Tuo padre era ancora vivo?
LC: No, no, no. Questo è stato prima che scrivessi Una spia perfetta. Ne presi due di detective perché non mi fidavo della mia memoria. C’erano questi due ex poliziotti, uno davvero grasso e uno secco secco. Presero la pista. Fecero telefonate dicendomi che avevano roba enorme per le mani. Li pagai ad abbondanza, ma quel che portarono valeva pochissimo. E comunque dopo questi fatti successe qualcosa di molto strano. Per ragioni che non sono centrali nella nostra discussione, feci domanda per la Stasi, l’intelligence della Germania orientale. Chiesi il mio file perché dovevano conservarlo da quando ero di stanza in Germania e servivo per quattro anni a Bahrain e poi ad Amburgo. Vennero col mio file, era completamente anodino. Qualunque cosa doveva esserci, non c’era, Solo ritagli di giornale, nient’altro. Poi portarono il file di mio padre, ed era di gran lunga più interessante.
G: Ah!
LC: Aveva visitato l’est legalmente, gli avevano dato un pass, aveva parlato a molti industriali là dentro, commercianti di qualsiasi risma, e poi tornò a Londra avendoli convinti di essere spaventosamente ricco. Il secondo capitolo del file riporta che un agente Stasi, o quantomeno un collaboratore, fece un viaggio da Vienna per trovare mio padre a Jermyn Street – perciò siamo verso la fine della sua vita – e nel corso della visita, prese una nota precisa di come si presentava l’edificio, fece uno schizzo del suo ufficio e diede una descrizione delle cose indispensabili nell’ufficio di mio padre. Il quale morì poco dopo la visita e non ho idea né mai l’avrò di quale fosse la sua intenzione. Ma il file descriveva mio padre come enormemente ricco: un trafficante d’armi con legami nell’intelligence britannica.
G: Urca. Ed era vero?
LC: Enormemente ricco non lo era, trafficante d’armi lo fu. Lo sapevamo, io lo sapevo, l’avevo scoperto recentemente che aveva commerciato in modo illegale in Indonesia, nel subcontinente indiano, sempre senza successo. Era stato in quell’industria, lo tirai fuori di prigione a Jakarta, era stato imprigionato per aver gonfiato profitti d’affari. In valuta illegale. Ma ora sembra che sia stato imprigionato per commerci d’armi illegali. Poca roba eh? Questa intelligence proviene da varie fonti ma il file Stasi mi ha decisamente messo KO, all’epoca.
G: Pensi sia possibile che cooperasse con Berlino Est durante la Guerra Fredda?
LC: Penso che se avesse visto un certo vantaggio – finanziario, commerciale – si sarebbe comportato come uno che offra servizi. Se l’abbia fatto o no, se avesse qualcosa da offrire, non ho idea.
G: Dico, è pazzesco che tu abbia lavorato nell’intelligence e tuo padre allo stesso tempo sia stato una specie di criminale, commerciante d’armi, forse, al dettaglio ma nondimeno che abbia cooperato con Berlino Est. Tu sei stato di stanza in Germania nel dopoguerra, accidenti, è come se lui avesse tentato con intenzione di disfare tutto quel che tu cercavi di fare. O no?!
LC: Bene, entrambe le cose sono possibili. Noi, penso, la nostra relazione, divenne, verso la fine della sua vita, una cosa ostile. Aveva tentato di farmi causa per non averlo menzionato in un documentario BBC. Immagina il resto… non gli avevo dato i giusti crediti per avermi cacciato in quelle scuole private, una croce dolorosa che odiai.
G: E il motivo? Non lo avevi citato?
LC: L’implicazione, diceva, lo dico ora, lui non è stato la figura più importante nella mia vita… è… gonfio d’orgoglio se posso usare questa virtù di paragone. Non ci sono altre scuse. Offesi il suo narcisismo.
G: Insomma… Tuo padre non aveva alcuna bussola morale. Tu la tua dove l’hai trovata?
LC: Bene, però lo suggerisci tu ora che io ne abbia una…
G: Ah!
LC: Ha preso del tempo. Suppongo di essere stato molte persone nei miei 85 anni, non tutte carine, poi. Ma penso di esser migliorato, in realtà. Questo è tutto. Intendo. Fai zigzag dappertutto, non solo per… non voglio biasimare tutto dell’infanzia. Ma l’effetto del successo immediate da questo primo… questo mio scoppio con La spia che venne dal freddo… tutto quel che è seguito, la mia partenza, necessaria, dal mondo segreto, lo scorrere improvviso di soldi, la tensione che ne venne sul matrimonio, destinato probabilmente a finire in ogni caso… la sua fine accelerata coi suoi effetti su di noi – ci volle del tempo per rimettersi in carreggiata.
G: Guardi mai indietro alla tua vita e pensi “è stata straordinaria e interessante”?
LC: A volte. Temo di essere uno scocciatore per questo. Ma solo in retrospettiva sembra meravigliosa e varia, e lo credo ora, con quest’ultimo romanzo, ora ne devo parlare. Un viaggio casuale, a tratti sgradevole.
G: Mi piace il tuo modo di dire “in retrospettiva”. E forse all’epoca, vivendo cose abbastanza varie, non sembravano nemmeno interessanti? Dimmi.
LC: No. Intendo. Ho fatto cose interessanti. Ma il fatto strano è che in qualche modo ho avuto una relazione con URSS nella quale varcavo il confine. L’evento indimenticabile fu con Yevgeny Primakov, ex capo del KGB, ex primo ministro della nuova Russia, recentemente se ne è andato, il quale insistette per incontrarmi quando venne a Londra per vedere il Ministro degli Esteri e trascorse la sera parlandomi di libri. I miei libri. Quando gli chiedevano con chi si identificava (la domanda non era prevista), lui rispose George Smiley.
G: Che follia. E tu? Che dicesti?
LC: Domanda difficile. Ma c’erano elementi di KGB, e ce ne sono ancora, suppongo, presso FSB, ma ora un po’ meno perché all’epoca trovavi elementi I quali erano decenti, dei veri amanti del genere umano. Traevano a sé i perseguitati e li proteggevano, ne facevano un culto, se ne facevano un vanto poi se si trattava di pensatori. Questa era la parte decorosa di KGB. Ma era un’istituzione talmente grande e potente, c’erano così tante stanze, gente differente. So che ci sono scuole di addestramento dove davano i miei romanzi come letture essenziali.
G: Oh, il KGB?
LC: Il KGB, sì.
G: Dio, non erano le tue intenzioni!
LC: Per niente. Ma stabilivano una sorta di equivalenza. Sa, alla fine, vale per dottori, scienziati, spioni, gente che usa le stesse tecniche, le sviluppa, la stessa attitudine verso il genere umano e mettono l’espediente e il risultato al di sopra del metodo, sono una confraternita, o una sorellanza, se me lo passi. Il momento che entro in contatto con… qualche generale in pensione del Mossad, trovo che ci capiamo molto velocemente. È un’attitudine condivisa che crea dei liberi muratori. Terrificante, può anche sconcertare ma – siccome fanno retropensieri su di me, in particolare, e questo è fuori luogo. Hanno, penso, più attitudine brutale verso gli altri umani. Più di quanta ne abbia mai avuta io. Nondimeno, siamo colleghi. In qualche modo terrificante.
L'articolo “L’Occidente ha perso l’anima, i servizi segreti russi ci dominano e, certo, in 87 anni di vita sono stato molte persone (e non tutte carine)”: intervista a John Le Carré proviene da Pangea.
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pangeanews · 7 years ago
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Giovanna Rosadini: nonostante tutto, la poesia ‘vende’ (e soprattutto, non possiamo farne a meno)
Ipotesi di censimento. Cioè: mettere cemento nel nido dei giorni, fossilizzarne, per lo meno, il perimetro informe, redigerne l’esattezza, lo scandaloso ideale di luce a pelo d’acqua, un verso sopra l’annientamento. Giovanna Rosadini ha – è certo – l’attenzione dei visionari, ha occhi decuplicati dalla cura. I suoi versi sembrano stringhe. Ogni libro, in effetti, è l’esodo delle stagioni, abbecedario dei mesi a fior di labbra, il tentativo di legare l’armadio del mondo sulla schiena, e lei, Giovanna (nella fotografia di Dino Ignani), è una annalista delle modeste variazioni quotidiane – quelle, in fondo, che spaccano la vita con la paziente voracità di un tuono, di una coltellata. Da Il sistema limbico (2008) a Unità di risveglio (2010), “un libro diaristico che ripercorre un vissuto drammatico trasformandolo in percorso conoscitivo ed espressivo di rara profondità” – così la quarta – al mirabile Il numero completo dei giorni (2014), in cui la lettura della Torah (ergo: la Bibbia cristiana) s’abbraccia alla lettura della propria vita, scandita con l’eccezionale ferocia di un versetto biblico, Rosadini tesse, maniacalità monastica, lo stesso, intenso, intransigente diario. L’occasione del dialogo con la Rosadini ha due pretesti, gemelli e speculari. Il primo, è editoriale. Einaudi sta per pubblicare l’ultima raccolta di Giovanna, s’intitola Fioriture capovolte. L’altro riguarda la mia pruriginosa voglia di capire cosa stia succedendo alla lirica italiana. I giudizi vanno dall’apocalisse imminente – è tutto finito; ma è tutto finito da Dante in qua, allora – all’entusiasmo un po’ beone – non è mai stato così facile pubblicare i propri quattro stracci lirici come oggi. Giovanna è una che la sa lunga – è stata editor Einaudi fino al 2004, per la ‘bianca’ ha curato l’antologia virata al femminile Nuovi poeti italiani 6 – ha la generosità di chi si apre, per natura ustoria, al ‘nuovo’, e ha il dono della saldezza (cioè: non parla a vanvera, come vira il vento della vanità).
Che tipo di poesia è possibile, oggi, nel mondo antipoetico?
“A me pare, mai come oggi, qualsiasi tipo di poesia. Alcuni autorevoli ‘addetti ai lavori’ lamentano la mancanza di una problematizzazione teoretica, così come di un orizzonte ideologico di fondo, ma in questo io non vedo necessariamente un male, anzi: la poesia, liberata dalla gabbia degli “ismi” che si sono succeduti nel corso del Novecento, e aiutata dalle nuove possibilità legate all’utilizzo dei media, non è mai stata così libera. Alla cosiddetta ‘poesia colta’ delle diverse tradizioni letterarie nazionali si stanno affiancando nuove forme di poesia popolare legate all’uso della rete e dei social. Pensiamo per esempio a un fenomeno come quello degli instapoets, autori che hanno migliaia di seguaci su Instagram e Tumblr grazie alle foto dei loro testi, e che solo in un secondo tempo passano all’edizione cartacea delle loro poesie, divenendo a volte casi editoriali, come l’indo-canadese Rupi Kaur o l’australiana Lang Leav. La rete offre, senza dubbio, spazi trasversali di facile accessibilità: chiunque, sul suo profilo Facebook, può postare i suoi versi, così come vanno moltiplicandosi i gruppi amatoriali di chi la poesia la legge e cita, oltre a scriverla. Certo, si tratta di una poesia per lo più semplice e spesso ingenua, che non problematizza ma facilita il rispecchiamento… e il rischio dell’approssimazione e del dilettantismo è sempre in agguato… però è comunque un segno della vitalità del genere. Un po’ quello che, nei decenni passati, era successo con la poesia per musica e l’insorgere della canzone d’autore, altra forma possibile della poesia popolare. Inoltre, sono sempre di più i poeti colti che ricorrono al web, creando una rete di seguaci appassionati e contribuendo a una ridefinizione dell’agonizzante società letteraria di fine Novecento. I poeti fanno rete fra di loro e con i loro lettori, postando e commentando i propri e altrui testi, creando eventi in occasione di presentazioni e reading, promuovendo online i loro libri e arrivando, in certi casi, persino a polemizzare sulle rispettive poetiche o scelte editoriali. Non dimentichiamo di citare, infine, la realtà sempre più diffusa dei poetry slam, un modo anche questo per comunicare direttamente col proprio pubblico, in questo caso dal vivo, saltando l’intermediazione di case editrici e riviste”.
Èconsueto parlare in modo disastroso dei tempi presenti. Tu, con costanza, hai lavorato per la poesia, spesso trovando talenti. Insomma: come è messa la poesia in Italia? Siamo ancora un paese di (bravi) poeti?
“Indubbiamente la poesia è un mercato di nicchia, il cinque per cento dei titoli pubblicati, ma i dati delle vendite sono confortanti: da quattro anni sono in costante aumento. Poi, come ho detto, se da un lato gli spazi per la poesia tendono a contrarsi per quanto riguarda le grandi case editrici (ma questo non ha impedito il rinnovarsi dello Specchio, storica collana della Mondadori dedicata al genere), dall’altro non mancano le case editrici medie e piccole che hanno spazi per la poesia, o vi fanno esclusivo riferimento. Penso per esempio alla collana Le ali inaugurata un paio di anni fa da Marcos y Marcos e diretta da uno dei più importanti poeti italiani, Fabio Pusterla, alle prestigiose e raffinate collane di poesia dell’editore Aragno o a piccole realtà promettenti come Interno Poesia di Andrea Cati e Samuele editore di Alessandro Canzian, che hanno fatto del crowdfounding una modalità di pubblicazione che punta a un contatto diretto col pubblico dei lettori appassionati, coinvolgendoli ad investire sull’autore di riferimento. Entrambi attivissimi in rete coi loro blog e siti, e sui social, senza i quali il loro lavoro non sarebbe possibile, considerate oltretutto le loro realtà geografiche di provenienza, Brindisi per il primo e Pordenone per il secondo. Grazie alla rete è tornata a nuova vita anche l’istituzione delle riviste poetico-letterarie. Se, da un lato, l’antesignana Poesia, rivista cartacea dell’editore Crocetti più volte a rischio chiusura, ha compiuto trent’anni, e un’altra rivista storica come Atelier di Ladolfi editore prosegue il suo lavoro sia in edizione cartacea che in formato digitale, nuove realtà legate alla Rete si sono andate affermando, come L’Ulisse, o, in forma di blog non necessariamente solo poetico, Nazione Indiana, Ilprimoamore, La poesia e lo spirito, AbsoluteVille, Le parole e le cose, Poetarum Silva, La Recherche. Queste sono diventate le nuove sedi del dibattito critico, del confronto, i luoghi dove poter leggere una recensione o una nuova voce poetica, oggi che il ruolo pubblico dei poeti sui grandi quotidiani nazionali è stato soppiantato dalla voce dei romanzieri, e i critici di poesia sopravvivono a stento nelle terze pagine e supplementi culturali dei giornali di carta. La poesia è un piccolo mondo dai piccoli numeri, le tirature sono irrisorie, se confrontate con quelle della narrativa… nessuno può illudersi di campare scrivendo versi, la qual cosa, in una società come la nostra, è oltremodo squalificante, eppure, oserei dire, la poesia è un bene primario, presente e sorgivo nell’infanzia e poi accantonato… come dimostra chi fa laboratori nelle scuole con i bambini, come gli amici Chandra Candiani (ricordo il suo splendido ‘Ma dove sono le parole?’) e Antonio Ferrara. La poesia, come mi capita di dire a chi me ne chiede l’utilità, serve a darci le parole che non è così facile trovare per dire di noi stessi e dei nostri sentimenti, per esprimere le emozioni, la meraviglia o lo sgomento che il mondo ci provoca. I poeti, come dei rabdomanti, le trovano e offrono al lettore. Ed è commovente, cosa che ho sperimentato spesso in prima persona, vedere, quando si instaura questo legame, e l’autore riesce a intercettare gli stati d’animo del lettore, l’affezione che si crea nei confronti della sua persona e scrittura. Quella che si tocca con mano, per esempio, a una presentazione di Milo De Angelis (penso allo straripante salone del Grechetto per il volume che raccoglie tutte le sue poesie), o al seguito che hanno le letture di Mariangela Gualtieri, che hanno un che di rituale, di orfico, grazie alla sua carismatica presenza scenica che le deriva dall’esperienza teatrale… Dato questo quadro, mi pare eccessivo il pessimismo di quanti identificano nel poeta un sopravvissuto che si ostina ad abitare una condizione postuma: il panorama poetico italiano è quanto mai vitale e diversificato. Scomparsi gli ultimi grandi vecchi delle diverse tradizioni novecentesche (Giudici, Raboni, Luzi, Sanguineti, Zanzotto), rimangono maestri del calibro di Franco Loi, Giampiero Neri, Nanni Balestrini, ultraottantenni, e i più giovani Franco Buffoni, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Umberto Fiori, Eugenio De Signoribus, Umberto Piersanti, la cui autorevolezza è universalmente riconosciuta. Venendo alle generazioni successive, i nomi di spicco sono sempre più quelli femminili (Patrizia Cavalli, Antonella Anedda, Patrizia Valduga), e uno dei dati recenti più significativi, per quanto riguarda il fare poesia oggi in Italia, è proprio l’apporto delle autrici, giunte finalmente alla ribalta dopo una lenta e faticosa emersione negli ultimi decenni del Novecento. Altro dato rilevante di questi ultimi anni è il progressivo esaurimento della polarizzazione del dibattito critico intorno alle due categorie di ‘poesia lirica’ (tendenzialmente autobiografica, effusiva ed esperienziale, nel solco della tradizione postromantica) e ‘poesia di ricerca’ (nella quale viene meno la centralità del soggetto, ed è centrale il lavoro sulla lingua, nel solco della lezione delle avanguardie), e di una progressiva sovrapposizione e contaminazione, prevalentemente in funzione di un’istanza comunicativa. Ma anche di una sperimentazione allargata. Penso per esempio alle contaminazioni con la prosa di molti autori emergenti, come Franca Mancinelli o Cristiano Poletti, e al recente esordio nella Collana Bianca Einaudi di un narratore come Andrea Bajani. Ma anche al lavoro in versi di un autore come Bruno Galluccio, fisico di formazione, che, introducendo nel discorso poetico il sapere e la conoscenza scientifici, ha rinnovato profondamente il genere lirico”.
In un libro recente ho letto questa tua affermazione: “La poesia (ben più della prosa, destinata alla comunicazione quotidiana e standardizzata, banalizzata dall’uso, e analogamente ad altre forme d’arte, come la pittura o la musica) è, in buona sostanza, il frutto di un’epifania, dell’irruzione nel tessuto della vita di qualcosa che ci fa sussultare, che ci risveglia e riconnette alla nostra verità più autentica e profonda”. Ce la puoi spiegare?
“Il processo creativo è qualcosa di misterioso, irriducibile a una spiegazione razionale. Gli antichi lo attribuivano all’influenza delle Muse, le persone religiose identificano nell’Anima la sede dei processi spirituali e quindi creativi, oggi si parla di predisposizione genetica e di talento… Freud, ne Il poeta e la fantasia, scrive: ‘Su noi profani ha sempre esercitato una straordinaria attrazione il problema di sapere donde quella personalità ben strana che è il poeta tragga la propria materia […] e egli riesca con essa ad avvincerci, suscitando in noi commozioni di cui forse non ci saremmo mai creduti capaci. Il fatto che il poeta stesso, se lo interroghiamo in proposito, non sappia risponderci o ci risponda in modo inadeguato, non fa che aumentare il nostro interesse al problema’. All’inizio del Novecento, il padre della psicoanalisi riconduce il processo produttivo della creazione artistica al concetto di inconscio. Ma nella definizione freudiana di inconscio, troppo limitata dalla preponderanza dell’Io, molti poeti fanno fatica a riconoscersi, e parlano piuttosto, riguardo alla misteriosa energia creativa che li trascende, di qualcosa che somiglia più all’Es groddeckiano o all’Anima Mundi di J. Hillman. A questo proposito è uscito da pochi mesi un bel libro curato da Giancarlo Stoccoro, psichiatra e poeta, che indaga la creatività poetica in relazione al concetto di Es formulato da Groddeck, un inconscio “selvaggio, ubiquitario e totipotente”. Si intitola Poeti e prosatori alla corte dell’Es, e si avvale della testimonianza di tredici autori italiani, fra i quali sono inclusa. Riprendo dal mio contributo: ‘Questa forza che ci agisce, non governiamo (se non in modo marginale e irrilevante) e si manifesta come forma di spersonalizzazione, spossessamento di sé, ha a che fare col divino (non per nulla, la mitologia greca e latina la identificava con l’ispirazione di particolari divinità, le Muse). Questa forza, affine a quella che sperimentiamo quando ci innamoriamo (nostro malgrado), quando siamo impegnati in un’attività creativa, cioè quando lasciamo emergere le nostre qualità istintive e ci affidiamo al nostro talento, qualunque esso sia (manuale, artistico, musicale, corporeo-cinestetico matematico…), e, per noi donne, al periodo della gestazione, ha qualcosa di potente e miracoloso che ci sorprende e lascia attoniti. Motore di questa forza è il desiderio, sorgente in sé di ogni istinto vitale, ciò che Massimo Recalcati definisce così:‘L’avvertimento positivo della mancanza di ciò che è necessario alla vita, l’attesa e la ricerca della propria stella’. […] Ancora oggi le cose migliori che scrivo mi ‘arrivano’ da qualche regione misteriosa del mio essere, quasi magicamente, e in questo ho riscontrato, nella mia lunga frequentazione di poeti e narratori, sia come editor a suo tempo per Einaudi sia in seguito come autrice io stessa, un’affinità con quanto da loro detto a proposito della genesi della loro scrittura. Raffaello Baldini, un autore con cui ho lavorato a lungo, soleva dire che il poeta si trova nel punto d’incrocio di forze che lo trascendono. Alda Merini, di cui ho curato gli ultimi scritti, scriveva come in trance, completamente assorbita in un flusso misterioso […] Per Giovanni Raboni, ‘La poesia è un linguaggio: diverso da quello che usiamo nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario, capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo’. La poesia, il poeta stesso come tramite e collettore di forze, dunque, che non necessariamente controlliamo, e di cui siamo relativamente consapevoli”.
Quali sono le tue ispirazioni quando scrivi, o meglio, ‘senti’ la poesia?
“Come ho scritto sopra, la mia poesia, e credo non solo la mia, nasce dal desiderio inteso come avvertimento di una parte mancante, e dunque come anelito a un completamento, alla chiarificazione di un’opacità di fondo. Qualcosa di misterioso chiede di essere ascoltato e messo a fuoco: una sensazione, un sentimento, un’emozione… che possono avere a che fare col mondo, con l’Altro o gli altri, con noi stessi. A volte lo stimolo arriva da un altro testo, che mi mette in risonanza come un diapason, o da un rispecchiamento/riconoscimento con un altro tipo di linguaggio artistico: l’innesco è sempre emotivo-sensoriale, che poi si traduce e sviluppa in un processo mentale e intellettuale. La poesia, anche quella che nasce in modo repentino e inaspettato, è sempre una lenta emersione di contenuti profondi e sedimentati, che vengono ‘risvegliati’ grazie a particolari incontri o circostanze. La mia prima raccolta, Il sistema limbico, è nata grazie a un percorso analitico (junghiano) che mi ha riconnessa, dopo decenni di rimozione, con l’istanza ormai insopprimibile della scrittura: un vero e proprio risveglio creativo, grazie al quale tutto mi si è, improvvisamente, vivificato. Il secondo libro che ho scritto (il terzo, in realtà, ad essere pubblicato) è nato invece come progetto da realizzare nel corso di un anno, e a questo deve il titolo, Il numero completo dei giorni: si tratta di una rilettura in versi, personale e non esegetica, della Torà, il Pentateuco, principale testo di riferimento per l’ebraismo e repertorio, straordinario e stratificato, di figure, oggetti e concetti della cultura occidentale. In questo caso sono partita dalle suggestioni intertestuali, soffermandomi nei punti dove il testo parlava di più alla mia sensibilità di contemporanea. Per esempio sulla parashà (porzione di testo) dove si parla del sacrificio di Isacco (in ebraico, “la legatura” di Isacco), per le sue implicazioni antropologico-psicanalitiche sulla natura dei legami profondi (laddove assumersene la responsabilità significa prendere atto della propria vulnerabilità, ovvero accettare il rischio e la sofferenza a cui ci espongono). Unità di risveglio nasce invece da circostanze biografiche, ed è la cronaca in versi del mio ritorno alla vita dopo il coma seguito a un gravissimo incidente. Avevo molta paura che la poesia non ritornasse, ma, piano piano e miracolosamente, la scrittura è riaffiorata, aiutandomi a ritrovare me stessa”.
So che è in uscita una raccolta ultima per Einaudi. Ce ne parli? Come è nata, assecondando quale urgenza?
“Ogni stagione ha la propria scrittura, e in questa fase della mia vita, coincidente con la maturità, si cominciano a fare bilanci e a misurare il peso e la consistenza dei ricordi… si tratta ancora di fioriture, ma tendono a reclinare… (Il titolo, infatti, è Fioriture capovolte). È uno sguardo sulla vita da quest’altezza: gli imprevisti sentimentali che capitano a qualsiasi età, col loro carico di confusione e aspettative; il lato rovescio dell’esistenza, quando il dolore e le difficoltà per le ferite ricevute sembrano prevalere, ma anche i luminosi e perduranti frammenti di felicità terrena che riempiono di senso la vita, e l’inaspettata irruzione di piccole epifanie nel tessuto dell’ordinaria quotidianità. Ancora, la memoria viva di stagioni della vita (l’infanzia, l’adolescenza) apparentemente concluse, ma ancora ben presenti negli anni di una genitorialità adulta, in cui i figli ormai cresciuti cercano la loro strada nel mondo. C’è anche una sezione sull’esperienza giovanile degli anni universitari in una Venezia anni Ottanta, coincidenti con l’ottimismo e la spensieratezza che hanno caratterizzato quel decennio, tra la fine della Guerra fredda e la caduta del muro di Berlino. Spero, in questa mia quarta raccolta, di aver dato un quadro della mia esperienza del mondo, a partire dalla messa a fuoco sia delle parti più in ombra sia di quelle più in chiaro del mio vissuto, nella consapevolezza che ogni età offra sorprese, così come la possibilità di apprezzare e mettere a frutto quello che abbiamo fatto o ci è capitato, e chi siamo diventati… e di godere degli affetti e relazioni che hanno dato valore e consistenza a ciò che siamo”.
E ora? Cosa stai leggendo, cosa vale la pena leggere?
“Leggo di tutto, contemporaneamente e disordinatamente. Sono un’appassionata di narrativa anglosassone e angloamericana. Su tutti l’amatissimo, immenso Philip Roth, di cui, da quando ha smesso di scrivere, sto leggendo i romanzi giovanili, in questo momento Lasciar andare, dove sono già presenti tutti i temi della sua poetica, in particolare l’attenzione al mondo relazionale. Ho sul comodino anche Tutto è possibile di Elizabeth Strout, autrice che racconta in modo magistrale le ferite esistenziali di un gruppo di personaggi della provincia americana, e la grazia e leggerezza con cui ne vengono fuori. Recentemente ho anche molto apprezzato Stoner di John Williams, autore americano riscoperto negli anni Zero e diventato grazie al passaparola un caso editoriale, e un autore scozzese, John Burnside, che ha scritto un memoir fra prosa e poesia intitolato La natura dell’amore. Seguo molto anche la vitalissima letteratura israeliana, non solo i conosciutissimi a livello internazionale Oz, Yehoshua e Grossman, ma anche autori notevolissimi che si stanno affermando ora, come Zeruya Shalev (splendido il suo Dolore), Eshkol Nevo e Ayelet Gundar-Goshen. Per la poesia, uno dei miei autori di riferimento, che non mi stanco mai di rileggere, è Yehuda Amichai, il più grande poeta israeliano moderno. L’inverno scorso ho incontrato e letto la poetessa Agi Mishol, la cui poesia ricorda alla lontana quella della Szymborska, e si caratterizza per l’uso dell’ironia e gli espliciti riferimenti sessuali. Leggo buona parte di quello che viene pubblicato di poesia italiana, spesso in anteprima… Fra le ultime letture, mi sono molto piaciuti due libri di poesia assai diversi fra loro, Omaggi di Alida Airaghi, autrice che sono fiera di aver “riscoperto” inserendola nei miei Nuovi poeti italiani 6, e una splendida raccolta di Cristiano Poletti, Temporali, che uscirà nel 2019 per Marcos y Marcos. Aspetto con trepidazione anche l’uscita, col nuovo anno, del prossimo romanzo di Tiziano Scarpa, per Einaudi”.
L'articolo Giovanna Rosadini: nonostante tutto, la poesia ‘vende’ (e soprattutto, non possiamo farne a meno) proviene da Pangea.
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