#narrazione sincera
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Maria Teresa: un fiore fragile nel gelo dell’infanzia Un racconto di Maura Mantellino. Recensione di Alessandria today
Un racconto toccante e intenso di Maura Mantellino che esplora la resilienza e le ferite di un passato segnato dalla guerra e dalla privazione.
Un racconto toccante e intenso di Maura Mantellino che esplora la resilienza e le ferite di un passato segnato dalla guerra e dalla privazione. Biografia dell’autrice Maura Mantellino, scrittrice torinese e autrice di racconti profondamente emotivi, è una collaboratrice di Alessandria Today. Attraverso le sue storie, Maura esplora i lati più intimi della condizione umana, affrontando temi come…
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fotopadova · 1 year ago
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La fotografia documentaria come forma d’arte (sesta parte)
La fotografia umanista
di Lorenzo Ranzato
Introduzione
Con questo articolo completiamo il nostro racconto sul vasto mondo della fotografia documentaria, affrontando il significativo capitolo della fotografia umanista. Com’è facile intuire, la selezione degli argomenti e degli autori trattati è stata del tutto personale: quindi una scelta selettiva e parziale, che trascura inevitabilmente molti altri fenomeni del documentarismo che si sono manifestati nella seconda metà del ‘900.[1]
Come abbiamo visto, questo importante filone della fotografia del ‘900 si afferma a partire dagli anni ‘30, con un comune filo conduttore che può essere ben riassunto in questa frase: “il desiderio di vedere qualcosa riconosciuto come una realtà”[2]. Come ci segnala David Bate, questa aspirazione o volontà di raccontare in modo diretto (straight photography) il reale in tutte le sue manifestazioni “può includere approcci differenti, dove la verità è valutata in termini di interpretazione e rappresentazione”.
In effetti, seguendo il suo ragionamento, possiamo riconoscere all’interno del genere documentario la presenza di due tendenze diverse che si relazionano con il reale in modo oggettivo oppure soggettivo.[3]
A grandi linee, avremo un tipo di fotografia oggettiva o descrittiva che tende a porre un filtro tra fotografo e soggetto, cercando di mantenersi in una posizione neutrale senza farsi coinvolgere all’interno della scena ripresa. Questo tipo di fotografia è comune ad autori che abbiamo già conosciuto nelle precedenti puntate e che si esprimono con modalità espressive diverse: ci riferiamo a fotografi come Albert Renger-Patzsch o August Sander, oppure ai fotografi del Gruppo f/64.
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1-Cartier-Bresson, foto da Images à la Sauvette 1952, “il libro” per eccellenza secondo Federico Scianna
Diversamente, la fotografia soggettiva o espressiva non pone barriere tra il fotografo e il soggetto, anzi vuole entrare dentro le cose che desidera raccontare, cercando di coinvolgere lo spettatore nella narrazione, pubblica o privata che sia. In questo filone molto variegato possiamo riconoscere le esperienze del documentario sociale (in particolare quella della Farm Security Administration) e più in generale quelle del fotogiornalismo – da Robert Capa, il più famoso fotoreporter di guerra, alla Bourke-Withe -, sino ad abbracciare la stagione d’oro della fotografia umanista che si afferma come “la tendenza dominante del documentario postbellico”[4].
A conclusione di questo breve riepilogo, segnaliamo che sul sito di Fotopadova è presente un contributo in due puntate di Guillaume Blanc, La storia della fotografia documentaria, tradotto e pubblicato da Gustavo Millozzi (a cui dedichiamo questo articolo). Una sua consultazione potrà essere utile per inquadrare l’argomento in una prospettiva temporale più allargata, che non solo riassume la storia del documentarismo sviluppatosi nel corso del ‘900, ma va anche alla ricerca dei precursori e di tutti quei fenomeni ragruppabili sotto l’etichetta di “documento”, che rappresenta fatti o persone reali oppure descrive avvenimenti storici.[5]
La fotografia umanista
“L'oggetto della fotografia è l'uomo, l'uomo e la sua vita breve, fragile, minacciata”.
La frase di Henri Cartier-Bresson, registrata in un’intervista del 1951 viene generalmente considerata da molti studiosi un modo per definire “la fotografia umanista”.[6]
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2-Innamorati per le vie di Parigi, foto di Doisneau, Boubat e Izis.
In realtà, questo filone della fotografia soggettiva/espressiva, nasce all’interno del milieu fotografico francese degli anni ’30, dove un nutrito gruppo di fotografi condivide un comune interesse per l’uomo e le sue vicende di vita quotidiana. Particolarmente attenti alla vita della città, ci restituiscono “le figure di un’umanità autentica e sincera: uomini semplici, lavoratori e le loro famiglie di ceti modesti, bambini ricchi della loro innocenza e spontaneità solitaria, o coppie di innamorati rese migliori dalla forza dei loro sentimenti”.[7]
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3-Brassaï, Paris de nuit, libro sulla vita notturna parigina.
La maggior parte dei fotografi umanisti condivide la professione di “reporter-illustratore”, ma ciò non toglie che molti di loro raggiungano lo status di fotografi-autori, grazie all’editoria che costituisce la parte più gratificante del loro lavoro. Valga per tutti il famoso libro fotografico Paris de nuit (1933) del fotografo ungherese Brassaï, che si stabilisce a Parigi nel 1924 dove frequenta l’ambiente surrealista e conosce Picasso. Dopo la seconda guerra mondiale “le flaneur des nuit de Paris” si trasformerà in un “globe-trotter”, grazie a una lunga e fruttuosa collaborazione con Harper’s Bazaar.[8]
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4-Foto di bambini di Doisneau, Ronis, Izis e Boubat
Assieme a lui, ricordiamo i quattro più importanti rappresentanti della fotografia umanista francese: Robert Doisneau, Willy Ronis, Izis e Édouard Boubat che hanno in comune un grande amore per la città di Parigi e per le sue strade che diventano la principale scenografia dei loro scatti. Soprattutto a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, trasmettono al mondo “une certaine idée de la France”, attratti da quanto c’è di incanto o di mistero nei fatti quotidiani oppure alla ricerca di temi cari ad altre arti quali le canzoni, il cinema, la poesia e la letteratura.[9]
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5-Doisneau  Au Pont des Art 1953, Un regard oblique 1948
Ma per il pubblico restano due gli indiscussi protagonisti di quella stagione d’oro della fotografia: da un lato Robert Doisneau, con la sua visione del mondo romantica e compassionevole e il suo sguardo attento a cogliere lo spettacolo permanente della vita quotidiana, che trasforma le anonime persone della strada in attori naturali della commedia umana, trasfigurandoli spesso in figure fantastiche e oniriche [10]; dall’altro, Henri Cartier-Bresson, che nei diversi periodi della sua vita è sempre riuscito a rinnovare il suo sguardo sul mondo, tanto da essere definito l’occhio del secolo e considerato il massimo interprete del cosiddetto “realismo espressivo”, che si contraddistingue per la capacità di saper individuare e cogliere dentro il flusso ininterrotto del tempo l’istante decisivo.[11]
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6- Cartier-Bresson, Hyères 1932, Ivry sur Seine 1955
Il movimento umanista inizia ad avere un certo seguito anche al di fuori della Francia a partire dagli anni ’50, come reazione al terribile dramma della seconda guerra mondiale, con la volontà di affermarsi nel resto del mondo come linguaggio universale accessibile a tutti.
Il movimento raggiunge il suo apice con la Mostra The Family of Man - organizzata da Edward Steichen al Museum of Modern Art di New York nel 1955 - che assume una risonanza planetaria, grazie ai suoi messaggi di fratellanza universale e di dignità dell’uomo, di speranza e di condivisione di un medesimo destino. È un progetto grandioso, costituito da 503 fotografie provenienti da 68 paesi diversi, che diventa la più grande manifestazione nella storia della fotografia e che verr�� esposta negli anni successivi in molte parti del mondo.
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7- The family of man, 1955
Alle fotografie di grandi autori come Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Édouard Boubat, Robert Capa, David Seymour, Bill Brandt, Elliott Erwitt, Eugene Smith, Robert Frank, August Sander, Sabine Waiss, Margaret Bourke-White, Richard Avedon, Garry Winogrand, si affiancano immagini di fotografi meno noti, mentre altre fotografie di Dorothea Lange e Russel Lee provengono dall’ archivio della Farm Security Administration, realizzato negli anni della Grande Depressione statunitense.
Come abbiamo già detto nell’introduzione, il movimento umanista diventa la principale espressione della fotografia a livello mondiale a cavallo degli anni ’50 e ’60, ma verrà ricordato anche come uno dei periodi più caratterizzanti della fotografia francese, che dagli anni ’30 fino agli anni ’60 ha avuto il suo centro indiscusso nella metropoli parigina.
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8- The family of man, 1955
Gli anni del secondo dopoguerra sono caratterizzati da importanti trasformazioni politiche, sociali e culturali, dove il generale benessere dell’occidente, sostenuto dal boom economico, convive con “la guerra fredda” e il rischio nucleare. Ma già negli anni ’60 iniziano a manifestarsi fenomeni di crisi, alimentati anche dalla contestazione dei tradizionali valori borghesi da parte delle giovani generazioni in nome di una nuova ideologia libertaria: contestazione che raggiunge l’apice nel 1968, che verrà ricordato come l’anno delle grandi manifestazioni di piazza e degli scioperi dentro le fabbriche e le università. 
Nello stesso tempo, con l’affermarsi del pensiero liberale e il propagarsi di nuove forme di consumismo, al di là dell’oceano gli Stati Uniti acquisiscono progressivamente un ruolo egemone a livello mondiale, diventando la principale forza trainante dell’economia di mercato, che porterà a radicali cambiamenti anche in ambito culturale.
In particolare nel campo delle arti visive, assisteremo a un grande sviluppo dell’arte e della fotografia americana - inizialmente influenzate da quella europea - che nel corso del tempo si imporranno autonomamente a livello internazionale. Con lo sviluppo dell’Espressionismo astratto (in particolare l’Action painting di Jackson Pollock) e con l’affermarsi di una particolare forma di street photography tipicamente americana, si aprirà una nuova stagione per le arti visive caratterizzata da una radicale trasformazione dei linguaggi, che segnerà una forte discontinuità con il passato.
Anche il mondo della fotografia a cavallo fra gi anni ’50 e ’60 dovrà affrontare una vera e propria “rivoluzione visiva” attuata da Robert Frank con il suo libro The Americans: dalla critica Frank verrà considerato come l’anticipatore di un nuovo linguaggio che sovverte radicalmente i paradigmi che hanno contraddistinto l’estetica e le più tradizionali forme espressive della fotografia umanista, un linguaggio “informale” che ancor oggi possiamo riconoscere in molte manifestazioni della fotografia contemporanea.[12]
---- [1] Ci riferiamo in particolare a quanto già scritto in un mio precedente articolo pubblicato il 18 giugno 2021: I territori del “fotografico”: pittorialismo, documentarismo, concettualismo. Documentarismo va inteso nello specifico significato che gli attribuisce David Bate nel suo libro La fotografia d’arte, (Einaudi, 2018). Bate prova a reinterpretare il mondo della fotografia, della sua storia e dei suoi autori attraverso tre categorie del fotografico - pittorialismo, documentarismo e concettualismo -, entro le quali circoscrivere i diversi comportamenti della fotografia, così come si sono evoluti a partire dalle origini sino ai giorni nostri: comportamenti che di volta in volta hanno assunto proprie specificità linguistiche e poetiche e che, a mio avviso, in alcuni casi hanno avuto modo di contaminarsi o ibridarsi, soprattutto nella più recente fase della contemporaneità.
[2] David Bate, Photography. The Key Concepts, 2016, Trad. it. Il primo libro di fotografia, Einaudi, 2017, p. 89. 
[3] Bate, op. cit. p. 83.
[4] Bate, op. cit. p. 68.
[5] Gli articoli sono stati pubblicati rispettivamente il 10 dicembre 2022 e il 23 gennaio 2023. Il testo originale è consultabile al seguente indirizzo: https://www.blind-magazine.com .
[6]Ricordiamo che sul sito di Fotopadova ci sono diversi articoli che trattano della fotografia umanista, articoli rintracciabili con una ricerca dal menu collocato in alto a sinistra: Edouard Boubat, sguardo di velluto di Marie d'Harcourt, da: https://www.blind-magazine.com/news/edouard-boubat-a-velvet-gaze/ (trad. Gustavo Millozzi); Henri Cartier-Bresson: “Non ci sono forse - vivere e guardare”, da https://lens.blogs.nytimes.com/ (trad. Gustavo Millozzi); Adolfo Kaminsky: la Parigi “umanista” e popolare (seconda parte) di Lorenzo Ranzato; Templi, Santuari, Cappelle e capitelli della Fotografia: 2, Casa dei Tre Oci a Venezia:“Esposizione” di WillY Ronis, di Carlo Maccà; Sabine Weiss, ultima fotografa umanista, di Gustavo Millozzi.
[7] Si veda: La photographie humaniste sul sito del Ministero della Cultura francese-Biblioteca nazionale di Francia: https://histoiredesarts.culture.gouv.fr/Toutes-les-ressources/Bibliotheque-nationale-de-France-BnF/La-photographie-humaniste-1945-1968.
[8] Brassaï, Photo Poche n. 28, 2009, con introduzione di Roger Grenier e un’ampia bibliografia alla fine. La collezione di questi agili ed economici libretti tascabili, pubblicati dal Centre national de la photographie, presenta un vastissimo catalogo di fotografi con più di 150 titoli.
[9] La photographie humaniste, cit. Segnaliamo anche il libro La photographie humaniste, 1945-1968: Autour d'Izis, Boubat, Brassaï, Doisneau, Ronis..., Catalogo della Mostra omonima, a cura di Laure Beaumont-Maillet e Françoise Denoyelle, con la collaborazione di Dominique Versavel, ed. Biblioteque Nationale de France, 2006
[10] Fra i molti libri si veda il recente: Robert Doisneau, Catalogo della Mostra a cura di Gabriel Bauret, Rovigo 23 settembre 2021-30 gennaio 2022, Silvana Editoriale 2021.
[11] Fra l’immensa bibliografia consigliamo la lettura del libro tascabile: Henri Cartier-Bresson, Gallimard 2008, con testi di Clément Chéroux, storico della fotografia e conservatore per la fotografia al Centro Pompidou. Alla fine, oltre ad un’ampia bibliografia, sono riportati alcuni testi e aforismi di HCB. Ricordiamo una delle sue celebri frasi: “Scattare una fotografia significa riconoscere, simultaneamente e in una frazione di secondo‚ sia il fatto stesso sia la rigorosa organizzazione delle forme visivamente percepite che gli conferiscono significato. È mettere testa, occhio e cuore sullo stesso asse”.
[12] Per un approfondimento si rinvia a: Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012. Particolarmente interessanti i capitoli: Sull’onda dell’informale e La grande armata delle avanguardie che racconta il rapporto fra mezzo fotografico e i nuovi fenomeni artistici della Body Art, Narrative Art e Conceptual Art che si affermano nel corso degli anni ’70.
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thebeautycove · 1 year ago
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MEMO PARIS - INVERNESS - Fleurs Bohèmes Collection - Eau de Parfum - Novità 2023 -
I sincerely love this fragrance.  It's not just an olfactory transposition of the scottish Highlands, it's more like to grab the entire mood of this lands. The aromatic notes evoke the suggestive atmosphere of ancient reigns and castles, of myths and legends, an ode praising this wild unspoiled region.
....
Assecondando il mio essere in perpetuo moto, coprendo distanze immaginarie, salutando luoghi dove miti e leggende sono legame indissolubile con passato, tradizioni e identità.
Inverness, capitale delle Highlands scozzesi, situata alla foce del fiume Ness, ispira la nuova fragranza di MEMO Paris.
Essenza meravigliosa che evoca queste terre sempreverdi, incontaminate, attraverso un intenso riverbero di note vegetali, legnose, terrose e lascia che la narrazione scorra su robuste cortecce, penetri atmosfere brumose, sollevi volute da sottobosco, umide torbate, espressione sincera della magnificenza di una natura selvaggia e misteriosa che, nondimeno, sa accogliere e confortare.
Emerge sublime la sensazione di profonda sintonia con gli elementi, di intreccio radicale nell'ampiezza odorosa di legni nobili, guaiaco, amyris, cedro, sandalo, di soave luminosità nella velatura poudré dell'iris e di corroborante benvenuto nell'assoluta di mate.  Un viaggio di armonia e lentezza.
Il flacone riproduce il famoso tartan scozzese, qui con un motivo creato in esclusiva per Memo Paris.
Eau de Parfum 75 ml. Online qui
©thebeautycove   @igbeautycove
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micro961 · 4 days ago
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Dirlinger: “Contastorie”
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L’album d’esordio del cantautore “marchignolo” - a cavallo tra Romagna e Marche - racconta storie del nostro tempo, attraverso tematiche sociali, ma anche più individualiste
Dopo due anni di prove e sperimentazioni in studio; dopo due anni di palchi e locali; dopo due anni di singoli e un EP, arriva la necessità di cambiare modus operandi. Un album volto a definire la vocazione artistica di Dirlinger, ovvero quella di farsi "contastorie" del proprio tempo. Il primo album di inediti del cantautore “marchignolo”, come suole definirsi, si compone di otto storie che trattano tematiche sociali e politiche e non solo, lasciando spazio a tematiche più individualiste come l’inquietudine della vita di provincia e la diffidenza verso il futuro. È tutto ciò che serve per lasciare un dubbio o un’impressione in chi ascolta. Il primo singolo estratto da questo album d’esordio è “Mafalda”, un brano che rappresenta una testimonianza sincera dell'arte cantautorale contemporanea, capace di intrecciare tematiche sociali a un'estetica musicale che guarda alla tradizione.
"Mafalda" nasce tra le influenze di grandi nomi della musica d’autore come De Gregori e Brunori Sas, trovando però un linguaggio personale e originale, caratterizzato da un arrangiamento “ritmicamente sospeso” per gran parte del brano. Dirlinger, oltre a firmare il brano, ha curato ogni dettaglio della produzione, dal mix al mastering, conferendo alla canzone un'eleganza artigianale, nel senso più alto del termine.
TRACK BY TRACK Vincent - Bonariamente tacciato di eccessivo “vintagismo”, come nella migliore tradizione musicale italiana degli anni Sessanta e Settanta, Dirlinger ci restituisce la traduzione (non senza licenze compositive) di uno dei brani caposaldo del folk americano: “Vincent” di Don McLean. La storia del celebre pittore olandese diventa l’archetipo dell’artista contemporaneo fragile, che vive in bilico tra il desiderio di libertà espressiva e la necessità di trovare un linguaggio che crei un ponte col pubblico. De André diceva che l’artista non deve cercare consensi, ma è anche vero che l’artista sente talvolta il bisogno di comprensione. Preghiera Miscredente - È il canto maledetto di chi cerca un dio o una forza superiore tra le cose considerate dai “religiosi” come impure e basse. Alla fine della propria ricerca, l’uomo (da intendersi anche come rappresentante dell’umanità) trova una propria soluzione. E per scoprire quale sia, basta ascoltare la canzone. Il brano è stato tra i vincitori dell’HoE contest 2024 e di Punta Alle Stelle 2023. È stato inoltre tra i brani presentati a Botteghe D’Autore 2024. Cemento - Il brano sta tra il distopico e un realismo dalle tinte marcate. La narrazione alterna immagini di un mondo vittima di cementificazione, surriscaldamento globale, del petrolio e delle banche, e di un mondo perduto dai tratti bucolici. Il brano è permeato di rabbia e malinconia e sembra lasciare poche speranze per il futuro; eppure è proprio quella rabbia la benzina di un movimento nuovo e alternativo. Ho Paura - È uno dei brani più intimi ed esistenziali dell’album. Temi del brano sono la sfiducia verso il futuro e l’ignoto, verso la presenza sempre più “totalitaria” della tecnologia, e le difficoltà comunicative nel rapporto col pubblico e col palco. Shalom - La storia nasce come “storia di tante storie”: le vicende del protagonista sono tratte e ispirate da varie storie, sentite tra notiziari e racconti in prima persona di chi ha vissuto là dove “cadono solo macerie miste a schegge”. Momo è un bambino palestinese, orfano di padre, che viene spedito dalla madre su una nave per raggiungere l’Italia, con la speranza di un futuro migliore. Queste speranze verranno disattese nel momento in cui si renderà conto di essere finito in una “Terra di pizza / Terra di mafia / Terra di pelli chiare e menti poco fini”, nella quale avverrà un’integrazione a metà. Il brano è stato tra i finalisti di Botteghe D’Autore 2024 e tra i vincitori di HoE Contest 2024. Il Cartomante di Barocchi - Il personaggio più enigmatico tra quelli dell’album è il cartomante di barocchi, personaggio-metafora di quegli incontri strani dove si conoscono sconosciuti che, con poche frasi profonde e precise, danno l’impressione di conoscerti da una vita intera. Mafalda - Un’altra “storia di tante storie”; il racconto si alterna tra l’insicura e fragile figura di Mafalda, vittima di violenze, e “la gente”, gretta e provinciale, che vede in Mafalda una squilibrata che inventa storie. Questa storia ha però un lieto fine. Il brano è stato finalista al Premio Dalla 2024 ed ha vinto il Premio della Critica al Premio Pigro. Oggi come ieri - Insieme a “Ho Paura”, è il brano più personale (non è un caso si trovino rispettivamente a metà e a fine dell’album). Il brano racconta il senso di insoddisfazione e di noia di chi vive nella provincia, tra doveri e ambizioni, col desiderio di cambiare la propria quotidianità.
Andrea Sandroni, in arte Dirlinger, è un cantautore e storyteller, un autentico menestrello “marchignolo" (si muove artisticamente tra Romagna e Marche). Con la sua chitarra, racconta storie d’amore, di religione e di vita quotidiana, toccando temi universali che risuonano con il pubblico. Inizia il suo percorso musicale esibendosi dal vivo nelle serate della riviera adriatica, affermandosi come organizzatore e protagonista de Il Salotto di Dirlinger, un evento dedicato ai cantautori indipendenti. Nel 2022 esordisce con il singolo "Pantera di Mare", un’autoproduzione che cattura l’attenzione di festival e concorsi musicali, segnando il primo passo di un viaggio artistico in continua evoluzione. A seguire pubblica l’EP "Bildungsroman // Romanzo di formazione", consolidando la sua identità musicale. Nel 2024, Dirlinger si afferma non solo come cantautore, ma anche come comunicatore. È coautore e conduttore del programma radiofonico "Nota Bene" su Radio Talpa Cattolica, dove dialoga con artisti di spicco legati alla canzone d’autore, tra cui Claudio Fabi, Stefano Pio e Roberto Costa. Lo stesso anno è scelto come open act in prestigiosi eventi, tra cui:
Gianluca De Rubertis allo Spazio WEBO di Pesaro per la tournée promozionale de L’equazione del destino (primavera 2024); Rumore Adriatico - Musica dal presente, festival estivo dedicato alla musica alternativa (estate 2024); Festival Errare e Umano, al fianco di Alberto Bertoli (ottobre 2024). Nel febbraio 2025, sarà open act al NomadIncontro di Novellara (RE), evento annuale della storica band italiana Nomadi.
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orenzel · 21 days ago
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Narrazione in più parti dello stesso micromondo: Lara.
La vita aveva preso pieghe strane e assurde, mi ero innamorato della mia insegnante delle elementari che ricordava la tabaccaia di Amarcord, seni promiscui, sodi, sferici, giganti. Mi ero innamorato di una donna del circo Orfei, la mangiatrice di spade, nome d’arte Silver Milva. Mi innamorai perfino di quella fioraia nazista davanti al cimitero del piazzale. In età più adulta provai con lei ad essere languido, a filare come una spoletta ma quando le dissi che il mio migliore amico era un albino africano mi regalò dei crisantemi; non mi ci volle molto a capire ch’ero morto per lei. Ho ricercato l’impossibilità, non perché puntassi troppo in alto, ma perché la mia mente funziona a sottili illusioni, mi piaceva credere di ottenere l’impossibile sapendo già di non poterlo ottenere.
Mai avuto fortuna nelle relazioni ma Lara mi sembrava una vincita al lotto, un impero tirato su senza astuzia né compromessi. Naturale come l’acqua della fonte.
Tornando a casa avevo un’energia smisurata, le gambe si slanciavano come passi equini ed una falcata dietro l’altra mi ritrovai al fiume. L’odore stagnante delle fogne fluivano nelle narici a grandi zaffate, le luci dei palazzi sulla riva s’infrangevano scintillanti nei riflessi oscuri e di tanto in tanto qualche pesce gigante saltava in aria per poi schiaffarsi sull’acqua - probabilmente fatto di coca visti gli esiti del recente risultato delle analisi acquifere. Ogni cosa mi sembrava pacifica, armoniosa come l’avevo spiegata a Lara. Decisi di sedermi e stare a pensare qualche minuto. Preso dal buonismo emozionale ripensai alla mia prima ed unica relazione. E non so perché, mi tornò alla mente lo straziante momento della separazione.
Fu verso la fine giugno. Un’anno e tre mesi, considero i tre mesi perché furono una transazione, come quando si compie un viaggio e si torna cambiati.
La nostra relazione mutò drasticamente in una sincera apatia, eravamo liberi da noi stessi, finalmente svincolati dai dettami delle nostre anime.
Per quanto fossi ancora in minima parte perso dalla relazione cominciarono a presentarsi quelli che chiamo: i sintomi.
I sintomi distruggono tutto quello che incontrano sulla la loro strada, sono implacabili poiché colpiscono la mente dove più è vulnerabile. Le idee e le convinzioni.
Nelle relazioni la paura più profonda è la convinzione irremovibile di un idea, un piccolo parassita che intacca il sistema nervoso e infetta qualsiasi cosa. Si impone su tutto e ti consuma in maniera lenta e logorante.
Così d'un tratto la bella e lucente perla piano piano affievoliva la sua lucentezza per diventare un nero opaco. La piccola luce che ci guidava sparì con il tempo.
Cominciammo a vederci sempre meno. Una volta o due a settimana. Cominciammo a scopare sempre meno. Una volta o due al mese.
E mentre a me saliva sempre più viva come edera l'idea di allungarmi e districarmi fra altri universi femminili; lei sentiva sempre più l'esigenza di una fondamentale indipendenza da tutto ciò che era una relazione; covava in segreto un piccolo sogno di libertà.
Litigammo. Una frivolezza che ovviamente tendeva ad ingigantirsi ad ogni virgola. Ad ogni punto infilavamo qualsiasi pretesto fosse buono per avere ragione l'uno su l'altro. Le chiesi scusa, esagerai io, ma da quel momento fu strano, qualcosa si accese dentro me. Una scintilla aveva divampato nella testa una sorta di fuoco "superiore" e pochi giorni dopo ci vedemmo ad un bar per fare il punto della situazione.
“Dobbiamo parlare” dissi mentre giravo il caffè, lei mi interruppe.
“Non mi ami più…” ribatté guardando il vuoto; era vero. Eravamo entrambi fuori dal cerchio.
“Non mi dici mai che mi ami…” si accese una sigaretta.
Mi accesi una sigaretta.
“Non mi cerchi mai, mai…” tutto vero. Avrei dovuto prendere in mano la situazione e fare il bene di entrambi, avrei dovuto dire: " non ti amo più, è finita." .
La guardavo e provavo compassione, mi sentivo ad un livello più alto di lei, nel delirio di onnipotenza sedevo su un trono come un Dio e provavo pietà per la creatura.
La continuai a ferire tutto il pomeriggio. Quel bar divenne una macelleria e ad ogni virgola le tiravo virulenti accuse verbali, fui una merda. Rendendomi conto dell’effettivo potere che avevo su di lei, la osservavo mentre era in lacrime, mentre mi disprezzava quasi da farle esplodere gli occhi e in quel momento, solo in quel momento, mi sentii nuovamente umano. Tirai un sospiro e provai anche io dolore; mi resi conto d’averla ferita nel profondo in maniera irreversibile e solo allora le disse che non l’amavo più, che non provavo nulla se non un grande affetto.
Non la rividi mai, chissà che fine a fatto.
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biancospino · 4 months ago
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ti guardo mentre mi dai le spalle. Ti osservo furtiva facendo finta di studiare, ma nel mentre mi lascio cullare dalla - forse - dolce distrazione che sei. Non ti conosco e ti tengo distante, proiettando su di te l'immagine tetra del silenzio e della mancanza d'emozione. Maltratto il tuo riflesso perché ho il cuore troppo stanco per accettare anche solo una carezza sincera. Ma vivo in questo eterno paradosso: ricerco silenziosamente da te una speranza, l'umana richiesta di conforto. Ti guardo e non ti riconosco, sebbene su di te io faccia gravare infiniti fardelli che non t'appartengono. Ti osservo e mi meraviglio, ma non ti comprendo. Io - a differenza tua - forse - un po' fingo. Da poeta bugiardo quale sono, dovrebbe esser questo un vanto? No, per la prima volta io indosso una maschera e ho tirato su un fantastico melodramma: la mia dita scorrono su questa tastiera, rapide a musicare il ticchettio di questa vana narrazione. Ti guardo mentre mi dai le spalle. Tu, intenta a dipingere il tuo mondo a me oscuro. Dovrei bramare scorgere quella enigmatica tela, ma tremo all'idea di guardarti, la tua arte mi spaventa. Ho paura che possa marchiarmi, perseguitarmi: che sia io, invece, l'untore d'ogni maledizione? Sono così abituata a formulare presagi, a lanciare sentenze, a benedire le labbra, ch'ormai vivo l'arte stessa come una condanna. Sono pronta a purificarmi da questa malvagia visione? Ti guardo mentre mi dai le spalle. E tu non t'accorgi, anima felina, di quanti pensieri affollano la mia mente nebbiosa. Tu forse non pensi a quante domande serpeggiano fra i miei boschi desolati. Tu non chiedi mai e io di questo ti maledico: m'affretto un arrogante 'non ti importa'. Come se io, a differenza tua, avessi l'ardire di chiederti e rubarti la memoria e i pensieri quando mi parli. Che falsa e patetica creatura sono diventata, pur di proteggermi nego la bontà. Ti guardo mentre mi dai le spalle. E penso a quel sorriso sincero che talvolta mi rivolgi e rivolgi a me solo in mia presenza. Mi domando che significato abbia quella dolce visione che mi regali quando sorridi e mi baci dolcemente le labbra. Ma io, troppo spaventata, troppo cerbiatta, poco dopo mi sposto e fuggo via dalle tue labbra morbide e umide, foce fresca per la mia sete selvaggia. Ti guardo mentre mi dai le spalle. Mentre penso al meticoloso creare delle tue mani, che tanto capaci m'accarezzano la notte quando ti sono accanto. In silenzio ti compongo come una poesia a metà, perchè non sono in grado di sostare alla tua finestra: troppo inetta ormai all'amore passeggero, troppo convinta d'ottenere solo l'oblio delle tue iridi verdi.
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antennaweb · 8 months ago
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m2024a · 10 months ago
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Ferragni-Fazio vs Fedez-Fagnani: lo scontro tv (a distanza) spiegato in 10 punti Chiara Ferragni da Fabio Fazio, Fedez da Francesca Fagnani. A distanza di poco più di un mese l'una dall'altro, le due metà dei Ferragnez hanno rilasciato una delle loro rare interviste televisive. Ma già dagli interlocutori è facile capire quali siano stati gli obiettivi a monte dei due nel mostrarsi in tv. Certo, Fagnani non è stata particolarmente incisiva con il rapper, ma in effetti da qualche intervista a questa parte ha perso quel "graffio" che ha fatto la sua fortuna. Tuttavia, rispetto all'intervista "catechizzata" di Fazio all'influencer è stata senz'altro più vivace. Sicuramente anche più sincera e meno romanzata. Tra Fedez e Ferragni è tornata a esserci quella distanza che all'inizio della loro relazione aveva fatto dire a molti che non sarebbero durati perché troppo diversi. Una distanza che negli anni si è ridotta con l'appiattimento del rapper sullo stile della moglie ma che ora si sta nuovamente allargando, con Fedez che si sta riprendendo i suoi spazi. Ma quali sono state le differenze più marcate nelle due interviste? Chiara Ferragni è rimasta da Fabio Fazio venti minuti. Ventuno, per la precisione. Fedez ha sfiorato l'ora e mezzo da Francesca Fagnani. Un tempo decisamente risicato per lei, per non rischiare domande scomode o di prolungare eccessivamente la presenza in video, con il rischio (anche se lontano) che il conduttore potesse dilungarsi in ragionamenti o domande scomode. Un tempo molto ampio per lui, che si è prestato a un ping pong di domande ma anche di scambi piccati con la conduttrice, che anche se in punta di fioretto non ha evitato domande scomode. L'influencer ha scelto di farsi "intervistare" da un conduttore che la coccolasse, che le presentasse in anticipo le domande e che da quelle non si allontanasse più di tanto. Le ha permesso di prepararsi al meglio le risposte che, infatti, lei ha esposto con precisione scolastica. Lui ha preferito un programma più pop e meno ingessato e all'inizio dell'intervista non è sfuggita ai più una frecciatina velenosa, quando ha rivelato di aver chiesto a Fagnani le domande che gli avrebbe fatto, senza però ottenere alcuna indicazione. Il risultato è stata un'intervista scomoda con risposte anche svirgolate da parte di Fedez, che ne ha guadagnato in trasparenza col pubblico. Ferragni è stata piatta nell'esposizione delle sue risposte, non ha volutamente fornito alcun dettaglio della crisi con il marito. Ha cercato di mantenere quell'aura di perfezione scolastica e buonista, la stessa patina ipocrita costruita negli anni sui social. Fedez si è aperto con maggiore generosità, sia all'interlocutore che al pubblico, senza nascondersi dietro inutili frasi precostruite. E così sappiamo che la crisi si è aperta realmente tre anni fa e che il caso del pandoro ha influito sulla fine del matrimonio. Verità di Pulcinella che, però, il rapper furbamente non ha cercato di nascondere sotto la sabbia, a differenza della moglie. L'infuencer è convinta di riuscire a recuperare il rapporto, ormai distrutto, col pubblico raccontandosi come una fatina buona, senza macchia e senza peccato. Il salotto pettinato di Fazio è stato senz'altro perfetto per questo tipo di narrazione, che però al pubblico a casa è arrivata come stucchevole e poco sincera. Fedez ha scelto la strada opposta, usando la sponda spigolosa di Fagnani per tirare fuori anche gli aspetti meno piacevoli della sua vita, dalla droga al tentativo di suicidio a 18 anni, passando per i problemi psicologici e il carattere non facile che l'ha portato ad abbandonare la scuola prima del diploma. Per quanto riguarda la beneficenza, da una parte c'è Ferragni che disperatamente ha cercato di convincere il pubblico che tutto quel che fa e ha fatto è stato solo per slancio filantropico e che rendere pubbliche le opere di bene sia stato funzionale alla ricerca dell'emulazione da parte dei suoi seguaci. Dall'altra parte c'è Fedez, che pur difendendo la scelta di rendere pubbliche le sue iniziative benefiche per far sì che altri lo imitino, non ha negato che da parte sua ci sia anche la voglia di sfamare il proprio ego e sentirsi dire "bravo" per ricevere una botta di compiacimento. Il rapper, tenendo fede alla linea di sincerità, ha messo un punto ben preciso nella sua relazione con Ferragni e, soprattutto, nella crisi matrimoniale che è sfociata nella separazione. All'accusa di essere meno "generoso" di sua moglie, con riferimento alle voci circolate in merito a un suo "abbandono" nel momento più difficile, contrariamente a quanto fatto da lei quando lui è stato operato di tumore, Fedez dice una cosa ben precisa: "Io ho avuto un cancro, lei è indagata per truffa". Una volontà precisa di riportare brutalmente la narrazione su un piano realistico e di scindere le due situazioni, anche in risposta al "vittimismo" di Ferragni da Fazio, che ha alimentato le shitstorm contro il rapper. Ma i due hanno avuto atteggiamenti diversi anche l'uno nei confronti dell'altro. Perché Fedez, pur senza vittimizzarsi e senza cercare di apparire perfetto, con le lacrime agli occhi ha detto che l'influencer "sarà per sempre la donna più importante della mia vita". Parole importanti da dire in un momento di separazione con un clima ancora incandescente. Parole che non sono uscite dalla bocca di Ferragni, che si è limitata dire "ci vogliamo bene". Un sentimento che non si nega nemmeno a un pesce rosso, figuriamoci a un uomo con il quale si sono avuti due figli, che riflettono quel tentativo di totale controllo di Ferragni, incapace di esprimere un proprio sentimento spontaneamente. Ed è forse proprio quel tentativo di non perdere mai il controllo da parte di Ferragni che durante la "catechesi" di Fazio l'ha fatta apparire per l'ennesima volta finta e costruita, come quando ha lasciato intendere che con Fedez vada tutto bene e che non ci siano tensioni. Chi è passato in mezzo a una rottura sa perfettamente che dopo così poco tempo quel che racconta lei non esiste ma è solo l'ennesima narrazione per convincere il pubblico di una verità inesistente. Che trova conferma nell'intervista del rapper da Fagnani, quando lui dice di sperare che "il clima possa distendersi per il bene dei miei figli". Un racconto già più realistico. Anche sul caso Balocco, lei si è mostrata incredibilmente, nel senso di poco credibile, tranquilla e fredda, nonostante ci sia un'indagine della procura di Milano per truffa aggravata. Ancora una volta, da parte sua non c'è stata volontà di "darsi" al pubblico con onestà e sincerità ma solo di mostrarsi come vorrebbe che il pubblico la percepisse. Lui, per incapacità di controllarsi o generosità, forse più la prima che la seconda, non ha nascosto la rabbia per una gestione totalmente sbagliata della situazione e non ha nascosto nemmeno la sua irritazione nel dire di aver scoperto tutto solo il 15 dicembre, quando è scoppiato il caos. Ed è stato lui a puntare il dito contro una terza persona che, a suo avviso, lei starebbe coprendo e che avrebbe gran parte delle responsabilità. Cose che ci si sarebbe aspettati da lei, non da lui. Tirando le somme di quanto visto nelle due interviste, le differenze sono evidenti. Da una parte c'è Ferragni che ha tentato disperatamente di trasmettere una narrazione forzata, preparata e studiata di una realtà edulcorata della quale ha cercato di convincere il pubblico. Dall'altra c'è la narrazione di Fedez, sicuramente non scevra da costruzione ma senz'altro più sincera o, almeno, realistica e convincente, senza forzature. Un'intervista meno "favoleggiata" rispetto a quella della moglie, che senza sforzi particolari l'ha fatto apparire, tra i due, più sincero.
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agrpress-blog · 1 year ago
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Il noto gruppo musicale Les Naifs, composto da Gabriele Lombardi e Massimiliano Magliano, ci presenta il loro lavoro editoriale intitolato Io, mio marito e mia nonna. Dopo il successo ottenuto con le trasmissioni radiofoniche e televisive, hanno deciso di mettersi in gioco con il mondo dell’editoria. Un’autobiografia edita da Jolly Roger che va ad affrontare temi scottanti e attuali mediante l’ironia e il divertimento. I due autori decidono di approcciarsi ai lettori/lettrici in maniera spontanea, coinvolgendoli/coinvolgendole nelle loro vite e avventure. Les Naifs raccontano senza veli e con una pura sincerità gli aneddoti delle loro vite, i momenti up e quelli down che hanno condizionato il loro percorso di crescita e non solo.  Il testo di Gabriele e Max, fin dalle prime pagine, ha come obiettivo quello di presentarsi ai suoi lettori/lettrici con una certa spontaneità. Il risultato immediato, è quello di un libro che non ha peli sulla lingua, in grado di affrontare tematiche importanti senza appesantire il sentire altrui. Il lettore avrà quindi la possibilità di entrare fin da subito in forte contatto con quella che è stata la vita dei due protagonisti narratori. Gli eventi della loro vita, sono scanditi da una sequenza temporale. Gli avvenimenti, infatti, si svolgono secondo un ordine cronologico. I due, quindi, hanno tutto il tempo per raccontare in maniera sensazionale la loro infanzia, passando per un’adolescenza particolare, fino a giungere all’età adulta. L’amore, uno fra gli argomenti cardine del testo, viene raccontato nel pieno del suo vigore: vissuto senza limiti e tabù, mostrato alla luce del sole, raccontato in famiglia, goduto nella sua piena luce. Sono sentimenti, raccontati dai due autori, che non hanno paura di mostrarsi e che, anzi, si svelano nella loro veste sensuale. Sono molti i passaggi di scenario, poiché i trasferimenti vissuti da Gabriele sono svariati. Come molti sono i lavori fatti da quest’ultimo, in una vita in continuo cambiamento. Attraverso gli occhi di Massimiliano, invece, si può affrontare l’argomento dell’identità di genere, toccando con mano lo smarrimento che un giovane può provare, nel pieno dei suoi dubbi. Un testo che, con ironia, è in grado di raccontare la vita di due artisti poliedrici, amanti della musica, impegnati nella costruzione di Musical, e adesso anche autori di libri. Les Naifs, si avvicina al pubblico attraverso una narrazione sincera e schietta. Un libro arricchito nelle ultime pagine da bellissime foto, a testimonianza di personaggi che sono delle vere persone. Un mondo colorato, quello dei due autori, in grado di sedersi con onestà accanto al pubblico e di svelarsi, pagina dopo pagina, come in un incantesimo. Io, mio marito e mia nonna di Gabriele Lombardi e Massimiliano Magliano, pubblicato da Jolly Roger Edizioni - genere: narrativa (autobiografia); pp. 246 -, è disponibile in libreria e online da settembre 2023.
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personal-reporter · 1 year ago
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Birrificio Messina: racconto di straordinario valore italiano
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La storia che si cela dietro al Birrificio Messina è un racconto di straordinario valore italiano, una narrazione di resilienza e dedizione portata avanti da 15 Maestri Birrai che hanno trasformato un sogno di rinascita apparentemente irraggiungibile in una realtà concreta. È il racconto di coloro che non hanno mai smesso di credere in sé stessi, nei loro compagni e nella terra che li ha visti nascere, dando vita a una birra autentica e sincera che riflette l'anima di coloro che l'hanno ideata. Una tradizione autentica, riscattata da coloro che l'hanno fondata, portata avanti con orgoglio per un'intera vita e che hanno raggiunto risultati straordinari, superando sfide e sacrifici, dimostrando il coraggio di proteggere il proprio passato mentre guardano avanti verso il futuro. 09.08.2013 LA CHIUSURA DEL BIRRIFICIO STORICO Nel cuore della città di Messina, uno storico birrificio chiude i battenti dopo un maldestro tentativo di sfruttamento edilizio. In questo contesto, 15 ex dipendenti si uniscono in un'audace iniziativa: la creazione della cooperativa "Birrificio Messina". Nasce così il desiderio di rilanciare la produzione birraria con nuovo slancio. 02.09.2014 L'EMERGENZA DELLA COOPERATIVA Il Birrificio Messina suggella una proficua alleanza con la "Fondazione di Comunità di Messina onlus", entrando a far parte della "compagine sociale". Grazie alla generosità di questa fondazione, che mette a disposizione risorse, struttura e competenze, la cooperativa avvia una raccolta fondi iniziale. Questo sostegno si traduce in una campagna di comunicazione territoriale, nella stesura del piano industriale e nell'instaurazione di una rete di partner finanziari, sia a scopo di lucro che non profit. 20.10.2015 IL CAMMINO VERSO IL FINANZIAMENTO Si dà inizio a un intricato processo di finanziamento che coinvolge l'entusiasmo della comunità e di movimenti civici, portando alla costituzione di un eterogeneo team di finanziatori e sostenitori. Questi fondi provengono sia dal settore non profit che dal tradizionale mercato creditizio. Grazie a questo sforzo congiunto, vengono raccolti circa 5,5 milioni di euro, fondamentali per avviare l'attività produttiva. 20.06.2016 IL MONTAGGIO DELL'IMPIANTO INDUSTRIALE Dopo circa un anno dalla firma dei contratti di fornitura, i primi camion consegnano le attrezzature per l'impianto industriale. In questo momento emozionante, diviene evidente il progresso compiuto e le possibilità future, senza mai dimenticare gli enormi sacrifici degli anni precedenti. 29.07.2016 L'INAUGURAZIONE DELL'ATTIVITÀ Mentre i macchinari sono ancora in fase di installazione, l'attività del Birrificio Messina viene inaugurata. In una calda giornata di luglio, una folla entusiasta partecipa ai festeggiamenti, con la consapevolezza che questo evento segnerà la storia: la rivincita dei 15 soci della cooperativa e il loro trionfale ritorno nel mondo del lavoro, questa volta non solo come operai ma come imprenditori. 04.06.2019 L'ESPANSIONE DELL'IMPIANTO PRODUTTIVO La cooperativa, in piena espansione, avvia un progetto di ampliamento dell'impianto produttivo, quasi raddoppiando la capacità iniziale da circa 50.000 ettolitri all'anno a circa 95.000 ettolitri all'anno. 24.06.2019 SOSTEGNO AI PROCESSI PRODUTTIVI La cooperativa attira l'attenzione di Sefea Impact SGR s.p.a., un'azienda specializzata nella gestione di Fondi di Investimento Alternativi (FIA) chiusi, grazie al suo impatto sociale positivo sul territorio. Condividendo obiettivi come la promozione di una finanza d'impatto capace di generare cambiamenti positivi nelle comunità e la sostenibilità ambientale, Sefea Impact decide di investire nella cooperativa per supportarne la crescita. 25.06.2020 UNA SCELTA ECOLOGICA Il Birrificio Messina prende una svolta "green" installando un impianto fotovoltaico con una capacità di produzione di circa 99,99 kW/h sui tetti dei suoi capannoni. Questo non solo aiuta a ridurre il consumo di energia elettrica, ma contribuisce anche alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, dimostrando un impegno verso l'ambiente e il territorio. 24.07.2020 IL RAGGIUNGIMENTO DELLA PROPRIETÀ DEI CAPANNONI Con un anno di anticipo rispetto ai tempi previsti, il Birrificio Messina, grazie all'impegno e all'orgoglio dei suoi soci, diviene pieno proprietario dei due capannoni industriali. Ciò è stato possibile grazie a un'operazione finanziaria strutturata con il supporto degli esperti della Fondazione di Comunità di Messina onlus. 25.06.2020 IL RINNOVAMENTO GENERAZIONALE La compagine lavorativa del Birrificio Messina si espande ulteriormente, includendo 11 giovani lavoratori, tutti figli dei soci fondatori. Questo innesto di nuova energia ha permesso un aumento della produttività aziendale e ha garantito il raggiungimento dell'obiettivo di ricambio generazionale fissato fin dalla creazione della cooperativa. Il Birrificio Messina è l'incarnazione della tradizione. Questa tradizione ha radici profonde nei 15 soci fondatori, che rispettano antichi sapori ma guardano al futuro. L'azienda, fondata nel 2016 e attualmente in fase di espansione, è dotata di impianti all'avanguardia che consentono la produzione di diverse varietà di birra, mantenendo elevata efficienza ed energia ridotta. Il Birrificio Messina ha reso "green" le sue birre grazie a un impianto fotovoltaico da circa 100 kW installato sui tetti dei capannoni industriali. Questo investimento nella sostenibilità ha migliorato significativamente l'equilibrio energetico dell'azienda, consentendo di autoconsumare circa l'80% dell'energia prodotta e riducendo i consumi elettrici, oltre a abbattere le emissioni di anidride carbonica di circa 75,7 tonnellate all'anno. La cooperativa dimostra una profonda attenzione agli impatti sociali della sua attività sul territorio, seguendo il protocollo T.S.R. (Territori Socialmente Responsabili), ideato a livello europeo dalla Fondazione di Comunità di Messina in collaborazione con Reves (Rete Europea delle Città e delle Regioni per l'Economia Sociale). Questa è un'ulteriore ragione per scegliere le birre prodotte dalla cooperativa messinese, che con umiltà e orgoglio riesce a coniugare tradizione, passione e innovazione. CONTATTI SOCIETÁ COOPERATIVA via Comunale Larderia Inferiore Zona ex ASI Capannone n.4 98129 Messina partita iva 03272470836 +39 090 730072  [email protected] https://www.facebook.com/BirrificioMessina https://www.birrificiomessina.it/ Read the full article
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Ciao Joe di Maura Mantellino: un addio che racchiude amore eterno e ricordi indelebili. Recensione di Alessandria today
Il legame unico tra un gatto e la sua umana: una storia di affetto, complicità e nostalgia.
Il legame unico tra un gatto e la sua umana: una storia di affetto, complicità e nostalgia. Biografia dell’autrice Maura Mantellino, scrittrice e valida autrice di Alessandria Today, è originaria di Torino e si distingue per la sua capacità di raccontare emozioni autentiche attraverso storie intime e toccanti. Il suo stile, caratterizzato da una profonda sensibilità, riesce a catturare…
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passaggioalboscoedizioni · 3 years ago
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🎄NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Roberto Giacomelli
PSICOPATOLOGIA DEL RADICAL CHIC
Narcisismo, livore e superiorità morale nella sinistra progressista
Prefazione di Francesco Borgonovo
Nel 1970, per la prima volta, il giornalista Tom Wolfe definì i “radical-chic”: erano la casta dei ricchi borghesi che - per moda o per noia - sostenevano apertamente le posizioni del marxismo-leninismo. Questi “rivoluzionari da salotto”, animatori della “sinistra al caviale” che va a braccetto con il capitalismo, sono oggi la più influente lobby ideologica dell’Occidente: dominano i grandi media internazionali, presidiano le Università, la Magistratura e i gangli vitali dello Stato, orientano il linguaggio, emettono sentenze e stilano i pressanti speech codes del “politicamente corretto”. Chi non si allinea ai loro dogmi, come dimostra il grottesco teatrino mediatico che invade i nostri schermi, è tacciato di razzismo, fascismo, sessismo e xenofobia.
Il loro credo, divenuto il verbo laico del globalismo, è fondato sulla narrazione sradicante e liberal della “società aperta”, tesa a distruggere ogni residua forma di identità in nome di una fantomatica uguaglianza che trova riscontro nelle esigenze predatorie del mercato: dal cosmopolitismo “no border” all’immigrazionismo multiculturale, dal progressismo individualista alle rivendicazioni omosessualiste, dalle teorie “gender fluid” alla destrutturazione della famiglia, passando per il superamento dei popoli, delle tradizioni, delle spiritualità e delle Civiltà. Una marcia inarrestabile, oggi identificabile nella furia iconoclasta della “cancel culture” e nella riconfigurazione green e digitale del “grande reset”: un processo di sovversione che coinvolge - con curiose convergenze - le frange militanti della sinistra radicale e le grandi holding multinazionali, le presunte “minoranze” e i colossi della Silicon Valley.
Ma chi sono, realmente, i radical chic? Quali sono i loro valori, i loro fini e le loro strategie? Cosa si cela dietro le scomuniche del loro “pensiero unico”? Roberto Giacomelli - psichiatra e scrittore - ne traccia un profilo inedito, dai primi “figli dei fiori” alle attuali élite mondialiste. Attingendo alla storia, all’analisi politica e alla psicologia, l’autore giunge ad una conclusione impietosa: arroganza, isteria, dissimulazione, inganno e manipolazione - senza dubbio - sono i loro tratti distintivi.  Si tratta di masochisti che amano  sottomettersi a carnefici immaginari, nevrotici in preda ai sensi di colpa per i loro immeritati privilegi, odiatori seriali che invidiano e denigrano le vite altrui, menti deboli che proiettano sul prossimo le proprie paranoie, i propri disagi e le proprie paure.
Questo testo - libero e controcorrente - rappresenta allo stesso un’invettiva sincera, uno studio attualissimo ed una voce fuori dal coro.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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thebeautycove · 2 years ago
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THoO • BONBON POP - GAMBLING - WABISABI • CRAZY Collection - Eau de Parfum - Novità 2023 - Fantasyland is real. Never settle for less than excellence. How formidable this new olfactory concept is! Absolute admiration for a new outstanding chapter THoO brought to life. Will blow your mind. Drove me mad t(h)oo! ••••• Dentro la fragranza. Ho cercato la profondità, il ricordo, la concentrazione, l'armonia, il benessere ma sopra ogni percepibile sensazione ho scoperto il senso del divertimento, della passione, dell'esplorazione dei sensi che questa benedetta curiosità mi obbliga a mantenere vivi, galoppanti oltre ogni possibile fantasioso limite. E, di più, quanto sia importante coltivare i sogni a dispetto dell'età. Davanti a certe creazioni c'è molto più da sondare oltre al mero aspetto olfattivo, entra in gioco la metamorfosi pura, infantile dello stupore, come quando si schiudono le belle rivelazioni dentro il gran finale di un'avventura, o il plot twist inaspettato della più entusiasmante delle favole. Ebbene sì di fiabe e poesie ci si nutre costantemente, spesso inavvertitamente, sono via di fuga, rifugio, oasi di pensieri sereni che ricerchiamo e facciamo nostre, a modo nostro. Sono il libero accesso ad altri mondi per indagare nuove avvincenti possibilità. Gioco, viaggio, scoperta, ricerca interiore un viaggio dentro Fantasylandia, un po' Alice in Wonderland instancabile sognatrice, sfacciatamente curiosa, catapultata in paradossali avventure, nella dolce follia di osare l'impossibile ritrova la sua dimensione più sincera, autenticamente creativa. Oppure un filo Dorothy Gale, eroina del Mago di Oz, con le sue magiche scarpette d'argento in cammino verso la città di Smeraldo alla ricerca di un posto sereno oltre l'arcobaleno (eh sì, somewhere over the rainbow!). Fantasia, immaginazione sono linfa per i sentimenti di cui la vita è stracolma, così come inevitabili e incredibilmente tempranti sono i colpi di scena, le improvvise svolte, ogni sorpresa o delusione insegna, fortifica. Accettare con saggia leggerezza il fatto che l’esistenza sia un'infinita sequela di avventure renderà più lieve il cammino e sarà più semplice affrontarla in qualunque circostanza.
Quello dei profumi d'arte è un universo in costante evoluzione, e non lesina inaspettati colpi di scena. Una folle meraviglia, mi ha afferrato alla vista di questa nuova collezione: Crazy di THoO nata dalla fulgida immaginazione del nuovo direttore creativo della Maison, Cristina Mercaldo, geniale davvero nel saper coniugare, in abbondanza di dettagli identitari, un nuovo concetto di narrazione visiva-olfattiva. La nuova collezione rivela elementi di sperimentazione inediti, ingredienti originali che osano armonizzazioni aromatiche inusuali, l'iconico flacone ovale capovolto che accoglie un decor di brillante extravaganza, una concessione senza limiti all'istinto, alla libertà di esprimersi e osare, alla freschezza dell'autenticità e della spontaneità. "Attraverso una nuova visione creativa, ho voluto valorizzare le molteplici espressioni della personalità proponendo immagini poetiche e inclusive che evolvono l'identità di THoO in un nuovo concept creativo riconoscibile, coordinato e coerente" Cristina Mercaldo Le tre fragranze della Crazy Collection di THoO: BonBon Pop, Wabisabi, Gambling BONBON POP  creata da Douglas Morel - La dolcezza come esaltante divertissement. Un gourmand vibrante e vitalissimo, onirico e nostalgico, con un ritmo aromatico di amorevole golosità, zuccherino e mai lezioso, segnato da un entusiasmo monello palpabile. È da acquolina l'apertura solare, fresca e fruttata con bergamotto, pesca bianca e cocco, un toffee da masticare con la gaiezza nel cuore, mentre l'impeto di gelsomino e patchouli connette tutti i pensieri più belli di un tempo strepitoso. Tanta nostalgica dolcezza lascia il segno nel lungo protettivo abbraccio di commiato, ancora più soave ed estatico, un calore olfattivo che diventa ricordo, impresso nei riflessi dorati di legni ed ambra, nella spensierata levità dei muschi. "Creare Bonbon Pop è stato come fare un viaggio nel tempo. Un ritorno all'infanzia. Ricordo quando da bambino, andavo con mia madre e mia sorella in un posto non lontano da casa nostra, una sorta di villaggio con tanti negozi, il più bello era quello dei dolci, il profumo lo percepivi già in lontananza, un mix di caramello, marshmallow e mele candite. Bonbon Pop ritrae questa atmosfera, di dolciumi, tenerezza e nostalgia. Spero che questa creazione possa essere per tutti un delizioso salto agli anni della fanciullezza e ai suoi indimenticabili ricordi olfattivi" Douglas Morel "I dettagli del flacone per Bonbon Pop raccontano di surreali atmosfere fiabesche e magici periodi dell'infanzia, così suggestivi, colorati e divertenti. Bonbon Pop, cela la dolcezza nel nome, il decor evoca i teneri ricordi dell'infanzia, scacchiera optical, fiori e farfalle, come in un grande luna park della memoria" Cristina Mercaldo WABISABI  creata da Cristian Calabrò - La fragranza come approccio zen. La perfetta imperfezione. Wabisabi è un concetto complesso nella sua semplicità. Termine descrittivo della filosofia giapponese che ognuno dovrebbe fare propria, in sintesi indica il saper accogliere la mutevolezza dell'esistenza, esercitare un approccio zen alla vita, accettarne l'imperfezione, comprenderne la transitorietà. È il sano percepire quel velo di malinconia senza rassegnazione,  che muta in energia e capacità di superare ogni ostacolo nella consapevolezza dei propri limiti. Una chiamata a rallentare i ritmi, a godere pienamente di ogni istante della propria vita. Davvero stimolante questo approccio filosofico alla creazione, senza ansia da prestazione e perfezione ma con il desiderio di sperimentare un ingrediente insolito nel corpo della fragranza, una bella sfida lanciata e vinta al wasabi e alla sua inusitata piccantezza. Questa coté, potentemente accesa dagli agrumi e audacemente speziata, incontra e si scontra con le sfaccettature odorose dei fiori bianchi, gelsomino e ylangylang si illuminano da dentro offrendo senza remore tutta la loro abbondanza aromatica. Non sfuggono al sentire più profondo i dettagli di un accenno più amabile a cannella e vaniglia, l'effimero sussurro dei muschi e l'emozione di qualcosa che è stato e resta intatto nel sua essenza, nel tratteggio resinoso dell'elemi.   "Ammiro da sempre la cultura orientale e la cucina giapponese. Wabisabi è stata una sfida creativa su più livelli, entusiasmante e molto gratificante. L'idea di comporre un profumo con una nota centrale come il Wasabi, mi ha notevolmente attratto per la complessità dell'ingrediente e stimolato la mia ricerca nella selezione di note che dessero un effetto speziato piccante di forte impatto. Così l'ispirazione: un gelsomino acceso inizialmente da agrumi, pepe rosa, con l'ingresso di foglie di tiglio per una vibrazione verde e penetrante. La fragranza evolve su sfumature più morbide e luminose del gelsomino e un sillage speziato agrumato resinoso persistente grazie all'elemi" Cristian Calabrò "Ho creato l'illustrazione di Wabisabi considerando la piramide olfattiva, un'armonia di contrasti, l'incontro di wasabi e fiori bianchi. Ho immaginato il mio viaggio in Giappone terra di contrasti e profonda cultura. Le immagini restituiscono queste due identità così diverse, il wasabi speziato piccante che ho reso nella geometria delle linee verdi e la purezza dei fiori bianchi espressi attraverso un paesaggio d'incanto, tra esuberanza floreale e creature in volo, incorniciati da volute barocche" Cristina Mercaldo GAMBLING  creata da Maurizio Cerizza - Un poker proibito on the rocks. Scommessa adrenalinica. Forte intenso misterioso, qui trovi il rischio, l'imprevisto, il colpo di fortuna, la mano buona, l'underdog, la scommessa vinta. Il tutto condito da un'overdose di adrenalina e alcolici. Impattante, di audace personalità l'apertura con sentori densi di whisky torbato e caffè nero bollente, roba forte che ti tiene sveglio e ti incoraggia a scommettere, a puntare sulla scala reale. Pregiato, suadente il rilancio del pepe di Sichuan e la brillante associazione di note balsamiche, lentisco, galbano, elemi, a infondere una consistenza verde, fresca, affilata di rara eleganza. E ancora, magistrale la stesa dei legni nobili, guaiaco e cedro, l'asso nella manica di vetiver, semi di ambretta e benzoino, così speciali nel placare ogni attrito e generare distensione, eccolo il piacere del relax per assaporare il corposo aroma della vittoria. "Il tema centrale sul quale si sviluppa la fragranza è la traduzione in termini olfattivi di una partita a poker, l'odore del caffè unito alla nota torbata del whisky. Ho dato enfasi alla nota del Pepe di Sichuan attraverso l'accordo verde e vibrante con galbano e lentisco, evocando un'atmosfera carica di adrenalina. Nel fondo intenso e avvolgente coi legni di cedro e guaiaco, arrotondato da benzoino e muschio, ho inteso riprodurre un momento di pausa in cui rilassarsi e allentare la tensione" Maurizio Cerizza "Nome, fragranza e decor si ispirano all'epoca del proibizionismo, alle atmosfere misteriose di locali segreti dove alcolici, fumo e gioco d'azzardo erano protagonisti assoluti. Le carte da gioco riprodotte sul flacone rendono esplicito il concetto di gioco, rischio e quella sensazione di adrenalina in circolo che permea questi luoghi" Cristina Mercaldo Eau de  Parfum 75 ml. Online qui ©thebeautycove    @igbeautycove
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micro961 · 2 months ago
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Luca & The Tautologists presentano “At The Movies”: un'esplorazione cinematografica dell'amore e della perdita
L’eclettico trio offre un singolo evocativo pieno di immagini vivide e paesaggi sonori ispirati al deserto ora disponibile su tutte le principali piattaforme
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Luca & The Tautologists, l'innovativo trio italiano guidato dal poliedrico Luca Andrea Crippa, presenta il loro accattivante singolo "At The Movies", pubblicato il 6 dicembre 2024 su tutte le principali piattaforme digitali e ora nelle radio in promozione nazionale a partire dal 13 dicembre. “At The Movies” è una narrazione sincera di una rottura inaspettata e del conseguente bivio emotivo. Con l'opzione dell'amicizia, o qualcosa di più profondo, in bilico, la canzone approfondisce i temi della solitudine e dell'introspezione. Il testo dipinge paesaggi evocativi, da notti inquietanti e tranquille a un’ambientazione metaforica nel deserto occidentale, dove “me alone at the moon” riecheggia come un ululato solitario in una landa desolata cinematografica. La vivida rappresentazione di uno sfondo stereotipato di un film western aggiunge uno strato nostalgico e surreale a questa storia personale di desiderio e resilienza.
Ascolta il brano
https://open.spotify.com/intl-it/track/2M1hmhQV7dQlv1sNUYTqAj?si=f7accafdb0684976
Musicalmente, il suono caratteristico del trio è messo in mostra magnificamente in “At The Movies”. Il brano è stato prodotto nei Laboratori di Sperimentazione Sonora dei NITON LAB, fondendo elementi post-rock con toni sognanti ispirati al deserto. La profondità ritmica portata da Paolo Roscio al basso e Deneb Bucella alla batteria crea una base ben strutturata sostenendo in maniera impeccabile l’emotiva voce di Luca Andrea Crippa. Luca & The Tautologists hanno rapidamente attirato l'attenzione per le loro composizioni sensibilmente ricche. Con una prolifica vena creativa, 60 branidi cui una trentina registrati negli ultimi due anni e altrettanti destinati a ulteriori 3 album, il gruppo continua a rimodellare i propri confini sonori, attingendo dai quattro decenni di esperienza musicale e collaborazioni di Luca. "At The Movies" non è solo una canzone; È un'esperienza, un'odissea cinematografica ed emotiva che invita gli ascoltatori a confrontarsi con le verità agrodolci dell'amore e della perdita.
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corallorosso · 3 years ago
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Pierluigi Bersani, un uomo perbene di Luca Bottura Gentiluomo Solo in un Paese come il nostro l’uomo che ci ha liberati dalla schiavitù degli operatori telefonici e dei contratti capestro può passare per un pericoloso comunista. Ma va così perché lo storytelling mitomane ha la curiosa caratteristica di ripetersi finché non viene creduto, dacché i bolscevichi stanno su tutto e non impegnano. Un po’ come i presidenti della Repubblica fino a Mattarella che, per una certa narrazione, anche nel presunto centrosinistra, vengono tutti dalla scuola quadri dell’Urss. Poi per fortuna ci sono le foto. E le foto di Bersani, che le sue belle topiche politiche le ha prese anche lui, ma resta di un’altra grana, magari grossa come quella del salame di Felino, ma sincera… Le foto mentre si china su Umberto Bossi in carrozzella e ne accarezza il viso piegato dalla malattia, raccontano di un uomo perbene. Di uno che sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica, garante di tutti, stimabile da tutti, persino da Bossi, ma non da quelli del fuoco amico che hanno cercato di relegarlo all’irrilevanza politica. Poi per fortuna c’è la rilevanza umana. E a uno così, fatichi a non volergli bene. *********************
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kon-igi · 3 years ago
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GINO STRADA E AFGHANISTAN. Due patate bollenti al prezzo di una.
Non che la mia opinione sposti di uno yottametro l’ago della percezione di chi ha speso parole in merito (e ne sta ancora spendendo) ma come al solito mi sento in pace con me stesso solo quando riesco a mettere per iscritto emozioni e sensazioni provate, ovviamente dopo averle vagliate per giorni e a fondo.
Una premessa: apprezzo oltre ogni dubbio l’operato di Gino Strada e di tutto il personale di Emergency, di Medici Senza Frontiere e di qualsiasi altra organizzazione si spenda per i più fragili e i più deboli. Questo spero non sia motivo di discussione.
Quello che non riesco a capire siete voi.
Mi spiego. Senza che abbiate a sentirvi pungolati nell’orgoglio, io davvero non riesco a conciliare l’incensamento collettivo della figura di un medico come Gino Strada, che per decenni si è consumato a portare salvezza per gli ultimi, e quel sottile senso di cinismo disfattista da odio-tutti! che sembra animare la maggior parte delle discussioni che portate avanti con convinzione.
Amate Gino Strada con un mignolo e il resto delle dita (piedi compresi) le usate per additare con disprezzo chiunque sembra non essere alla vostra altezza come intelligenza, cultura, credo, posizione politica o semplice punto di vista.
La mia è una domanda sincera: perché apprezzate Gino Strada?
Perché era una persona generosa? Perché ci vorrebbero più persone così? Perché ha fatto quel bene che voi non riuscite a fare? Perché era migliore di voi? Perché vorreste che vi fosse d’esempio? 
Non vorrei dire ma per l’ennesima volta forte in me è l’impressione che Gino Strada stia venendo usato non come memento di ciò che ognuno di noi potrebbe essere e fare (anche senza mollare tutto e andare in scenari di guerra) ma per contrapposizione a chi non vi è gradito... gli Stati Uniti, le destre della chiave Hazet 36, Salvini e chiunque non si affanni nella celebrazione fine a sé dell’eroe.
Ricordate, però, che gli eroi stanno bene solo negli esametri del tizio con problemi di vista e se nell’epica di solito fanno una brutta fine (seppur eroica), nella realtà tanto vengono sollevati al cielo tanto fanno presto a cadere dimenticati o ignominati.
Ma voi li conoscete davvero i motivi che hanno spinto Gino Strada a fare quello che ha fatto?
E amplio la domanda, alla quale mi piacerebbe rispondeste: celebrando Gino Strada e la sua cura dei fragili, vi rendete conto che vi state focalizzando solo sull’aspetto aulico della sua opera e state ignorando il fatto che lui si prendeva cura di tutte le persone, al di là di qualsiasi giudizio su di esse?
Senza scomodare lauree in medicina e trasferimenti in paesi disastrati, come potete apprezzarlo se poi vomitate odio su chiunque osi deviare dal vostro pensiero regio?
Per favore, non offendete la mia intelligenza e la mia sensibilità uscendovene con un ‘Chi io?’ perché se dovessi descrivere la dash degli ultimi mesi con un'immagine evocativa vi direi che mi sembra di rivedere mia nonna che usciva in cortile con la sedia per incontrare le comari e parlare male di qualcuno a turno.
E l’Afghanistan? Sarò diretto. Trovo tra il vergognoso e lo stucchevole la narrazione (LA NARRAZIONE!) con cui si sta titolando in ogni dove, come se una mattina ci fossimo svegliati (ciao, belli) e avessimo avuto bisogno di scoprire pieni di stupor il Vietnam 2.0 degli americani.
Se agli italiani fosse davvero interessata la sofferenza di popoli martoriati, avrebbe fatto qualcosa di più che dire ‘bene, bravo, bis!’ a Gino Strada (da morto) e si sarebbe soffermati un filo di più sui 300.000 morti in Darfur, sul milione di sfollati in Congo o sui 3 milioni di individui bisognosi di assistenza umanitaria nella Repubblica Centroafricana.
Ma è l’Afghanistan a essere la vera emergenza perché ORA L’ISLAM VIENE A BUTTARCI GIÙ LE CROCI e allora foto di bambini lanciati sopra il filo spinato e video di gente (rigorosamente cerchiata in rosso) che cade dagli aerei. Maledetti americani. Maledetta sinistra italiana che non ha fatto nulla per fermare la guerra. Maledetti antivaccinisti e obiettori di coscienza antiabortisti, ché tanto dar loro contro ci fa sentire superiori. Ma che ci avete messo l’Attack sulla vostra sedia dalla parte del giusto?
Nessun problema... tanto fra poco le terapie intensive risaliranno e allora i negri si aiuteranno da soli a casa loro.
Ok... fine della pelatura. Le patate si sono raffreddate e pure io. Però che bruciore alle dita.
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