#narrativa a Lugano.
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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La ruggine del tempo - Dario Galimberti. Un mistero intricato tra passato e presente, dove la verità sfida il tempo. Recensione di Alessandria today
Nel terzo volume dedicato al delegato di polizia Ezechiele Beretta, Dario Galimberti intreccia passato e presente in un’indagine dal sapore storico.
TramaNel terzo volume dedicato al delegato di polizia Ezechiele Beretta, Dario Galimberti intreccia passato e presente in un’indagine dal sapore storico. Lugano, 1881: il castello di Trevano è teatro di una serie di eventi drammatici. Una banda di ladri svaligia il castello, la giovane Vera von Derwies, figlia del barone proprietario, muore cadendo da cavallo, seguita poco dopo dalle misteriose…
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paoloferrario · 1 year ago
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GIAMPIERO CASAGRANDE editore, Lugano
CFS-Casagrande Fidia editori associati con sede a Lugano e a Milano propongono la produzione di Giampiero Casagrande editore, delle Edizioni Gottardo, di Fidia edizioni d’arte e di Sapiens editrice. Quattro realtà editoriali che offrono un’ampia scelta di temi dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica sociale, economica e storica all’architettura e all’arte, dalla musica a opere che, anche…
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giancarlonicoli · 5 years ago
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Francesco Specchia per Libero Quotidiano
«Trash, un cazzo». L' espressione migliore per strappare Tommaso Labranca, indimenticata firma culturale di Libero, allo stereotipo del rovistatore di spazzatura nazionalpopolare («l' uomo che ha inventato il coattismo!») in cui lo incasellavano è stata questa del critico musicale Michele Monina, presente come molti di noi al funerale di Tommaso l' estate di quattro anni fa.
Il mondo letterario aveva avvolto, anche da morto, Labranca nella bandiera del trash dati i suoi successi sulla cultura di massa - Andy Warhol era un coatto, L' estasi del pecoreccio, Chaltron Hescon su tutti-; ma Monina, nell' epicedio all' amico, s' era soffermato sull' attitudine labranchiana a ritrovarsi irrequieto nomade in tutti i territori delle arti e delle lettere.
Per me, Labranca è sempre stato, per indole e stile, una sorta di mix tra Luciano Bianciardi e Truman Capote. Un talento invincibile. Passava dalle biografie di Warhol - di cui era uno dei massimi esperti mondiali - a quelle sui miti del pop che gli assicuravano la pagnotta; inventava riviste d' arte assieme a Luca Rossi per conto di editori del Canton Ticino; scriveva testi per la tv, Rai e La7. E aveva tradotto i migliori autori americani contemporanei - da Lisa Goldstein a Oliver James a Flocker Michael che introdusse la teoria sociale del Metrosexual-; e prodotto le miglior opere di narrativa mordi e fuggi come Il fagiano Jonathan Livingston. Manifesto contro la New Age, o Kaori non sei unica. La prima antologia di letteratura spot. Una mente errabonda.
archeologo del trash Eppure, all' indomani della dipartita, negli epitaffi sui giornaloni venne descritto come l' archeologo del trash: geniale ma incompreso, onnivoro ma incompleto, facondo ma con una tendenza all' autodistruzione. Forse in questo stesso equivoco è caduto Claudio Giunta che ha ne scritto l' unica biografia, Le alternative non esistono - La vita e le opere di Tommaso Labranca (Il Mulino, pp.256, euro 23), e Dio e noi tutti gliene rendiamo merito.
Epperò, nell' ossessione per un personaggio all' apparenza felliniano e blasé al tempo stesso - girocollo nero, borselli a tracolla molto anni 8o, occhiale pesante in contrasto coi pensieri lievi - il biografo ha sfruculiato dettagli oscuri tralasciando un po' la luce che Tommaso lasciava promanare dai suoi pensieri, opere e soprattutto omissioni. Ma sì, certo è utile conoscere di Labranca le umili origini talora trasformate in frustrazioni: «Il padre, oltre a fare il gommista, si è messo a lavorare a una pompa di benzina; la madre ha trovato lavoro come baby-sitter. Nel corso della sua vita Labranca non ha veramente cambiato classe sociale.
Ha sempre vissuto a Pantigliate, dove i suoi genitori si erano trasferiti negli anni '80», scrive Giunta.
Che poi ritira fuori la vecchia polemica dei suoi finti amici di sinistra che, negli ultimi anni, tendevano ad evitarlo perché scriveva su Libero «ma che ovviamente non basta a liquidarlo come reazionario destrorso.
A dispetto dei toni spesso apocalittici, non pensava affatto - come i néo-réac a cui ogni tanto lo si assimila, a torto - che la civiltà occidentale fosse al tramonto, distrutta dal neoliberismo e/o dalla secolarizzazione. Era del parere che le cose andassero a rotoli, in Italia, soprattutto per colpa degli italiani». E questo è corretto. Epperò questa cosa che Libero lo usasse come «censore delle ipocrisie della sinistra» è un falso storico. Tommaso ha sempre avuto mano libera su tutto.
Al punto che qui era tornato al suo vecchio pallino, la critica d' arte. Lo ribadisco: Labranca era il più veloce tra quelli bravi e il più bravo fra quelli veloci.
Naturalmente, quando lo si inviava a recensire una mostra, curatori e galleristi velavano lo sguardo di fiero terrore; e lui - autore pensoso a ritmo annuale per Einaudi e a scansione settimanale per l' Anima mia di Fabio Fazio - mandava, nei tempi ristrettissimi del quotidiano, il pezzo perfetto.
A questi passaggi, al suo essere un reietto a sinistra, molti degli "amici" intellettuali che dirigevano riviste, creavano programmi tv, o erano responsabili di collane editoriali non hanno mai accennato (né l' hanno mai aiutato).
le umiliazioni Epperò, ha ragione Giunta quando scrive che Tommaso misurava giorno per giorno come un sismografo gli affronti, le umiliazioni ma anche «i piccoli progressi della sua notorietà». La sua vita agra è stata quella, appunto, di un Bianciardi riaggiornato. Anche, sentendo questa definizione, gli verrebbe l' itterizia; e magari, per la paranoia, indosserebbe il vestito da coniglio che sfoderava alle feste. Labranca era fieramente stanziale. Il suo mondo immaginario passava dai grandi autori russi ai concerti di David Bowie, alla factory del Greenwitch Village anni 80; ma lo potevi geolocalizzare, magari accanto all' amica Orietta Berti, in un mondo piccolo esclusivamente compreso nel triangolo Milano-Lugano-Pantigliate paese/sobborgo al cui codice di avviamento postale aveva dedicato il nome della sua piccola casa editrice.
Nonostante qualche dimenticanza e qualche prospettiva inesatta, la biografia di Tommaso Labranca, l' irregolare degli irregolari, è un lascito necessario per la posterità. Vi sono dieci sue righe illuminanti di Tommaso, stimolato in un' intervista intorno ad un capitolo sulle ipocrisie italiane di un libro che non riuscì mai a scrivere: «Un capitolo sulla società civile, sugli indignati, su coloro che insultano la nazione che li mantiene grazie alle pensioni dei genitori presso cui vivono ancora a 40 anni, su quelli che sono andati a fare la fame all' estero convinti di rientrare così nella fuga dei cervelli. Insomma, tutta la fuffa anonima che passa la giornata al computer nella patetica illusione di essere intelligente, progressista, antagonista». Trash, un cazzo.
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pangeanews · 5 years ago
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1950: il fatidico viaggio di Eugenio Montale per ritirare un milione di lire a San Marino
A modo suo, un unicum. In senso letterale e letterario: una sola edizione. Esattamente 70 anni fa, nel 1950. Poi, l’abisso verticale, la terra brulla, qualche ombra surrealista. Come una seppia che riposa sulla spiaggia di Port Lligat.
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Montale, che di nome fa Eugenio, proprio nel 1950 si recò sul Monte Titano in quanto vincitore del Premio Letterario San Marino, il concorso che vide la partecipazione dei più illustri intellettuali, poeti, scrittori e traduttori del tempo. Le proposte furono giudicate da importanti critici della letteratura. Il Premio Nobel per la Letteratura del 1975, nato a “Zena” (Genova) nel 1896, vi partecipò con un dattiloscritto dal titolo 47 Poesie 1940-1950, ovvero con la produzione poetica degli anni in oggetto e che confluì successivamente nella raccolta La bufera e altro, data alle stampe nel 1956. Un premio speciale fu assegnato anche a Leone Traverso per le sue traduzioni da Eschilo, Gongora, Yeats e George. La consegna avvenne il 30 settembre 1950, in pieno blocco militare, presso il Palazzo del Kursaal: il confine tra Italia e San Marino difatti era controllato da postazioni di blocco e polizia in quanto San Marino aveva appena aperto un casinò nonostante la contrarietà dell’Italia. Per ritirare il premio assai corposo di un milione di lire, il grande poeta però fu costretto ad attraversare la frontiera in modo rocambolesco, a piedi, quasi come un clandestino.
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Interessante è il carteggio che porta alla produzione del volume. Recentemente è stato ritrovato presso il Fondo Falqui della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma un documento sulle 47 poesie (1940-1950) con una nota di Montale. “Questo dattiloscritto è provvisorio. Avrà un altro titolo e tutte le parti ne avranno uno; la quinta parte sarà accresciuta ed altre liriche saranno aggiunte alla serie finale che per ora non ha trovato titolo. La prima parte – Finisterre – è già uscita in pochi esemplari nel 1943 e nel 1944, e pertanto non dev’essere considerata ai fini del premio San Marino. Nel manoscritto definitivo figureranno forse alcune note”.
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Montale non mancò mai di confrontarsi con amici e colleghi. Il 21 aprile 1943 scrive a Gianfranco Contini: “Caro Trabucco, oggi o domani ti mando a parte il fascicoletto di 15 poesie, col titolo di Finisterre. Ma non tutte le liriche sono di argomento apocalittico e così dovrai dirmi subito (dopo aver letto) se il libruccio può reggere un simile titolo. In caso negativo proporrei Poesie del 1940-42, cioè l’attuale sottotitolo un po’ modificato (poesie anziché versi)”. A distanza di 9 giorni, Contini risponde: “Finisterre mi pare che vada benissimo per l’intera raccolta, à la fois per l’allusione millenaristica e per quella geografica. Voglio dire che a Finisterre comincia l’Oceano, comincia il mare-dei-morti (punta del Mesco) ecc., di lì si dice addio alla proprietaria dei primi e alla Proprietaria degli ultimi versi: l’allusione geografica, insomma, è a sua volta doppia”.
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Non meno preziosa è la nota finale della seconda edizione di Finisterre, ovviamente scritta da Montale: “Non offro questo come un nuovo volume di versi, ma semplicemente come un’appendice alle Occasioni per gli amici che non vorrebbero fermarsi e far punto a quel libro. Se un giorno Finisterre dovesse risultare il primo nucleo di una mia terza raccolta, poco male per me (o male solo per il lettore): oggi non posso far previsioni. Le 15 liriche intitolate propriamente Finisterre (versi del 1940-42) non sono che la ristampa senza varianti del volumetto da me pubblicato, sotto questo titolo, nella Collana di Lugano (n. 6 della collezione diretta da Pino Bernasconi), il giorno di San Giovanni del 1943. Ne furono tirate solo 150 copie. Aggiungo in appendice due prose e quattro poesie che non disdicono molto al carattere del libretto; a eccezione forse della lirica del 1926, anch’essa nata, però, dal paesaggio delle due prose”.
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È invece del 1949 la lettera che scrisse a Giovanni Macchia: “Ti mando l’indice provvisorio del mio terzo e ultimo libro di poesie che vorrei uscisse entro il 1950. Ho segnato con punti sospensivi le serie tuttora aperte (la 4a e la 5a) che dovranno arricchirsi; ma è possibile che anche le altre serie si riaprano per comprendere qualcos’altro. Tu dovresti dirmi quali poesie ti mancano, e te le manderò (tenendo presente che le quattro segnate in fondo, non però l’ultimissima, escono ora su Botteghe Oscure). Sul titolo (Romanzo) ti prego di mantenere la più assoluta discrezione, altrimenti sarà rubato da qualche giovane di belle speranze…”.
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Torniamo alle 47 poesie. Ouverture (o capitolo introduttivo, o prima parte) del de La bufera e altro, Finisterre racchiude 15 liriche: La bufera, Lungomare, Serenata indiana, Il giglio rosso, Nel sonno, Su una lettera non scritta, Gli orecchini, Il ventaglio, La frangia dei capelli…, Finestra fiesolana, Giorno e notte, L’arca, Personae separatae, Il tuo volo, A mia madre.
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La bufera che sgronda sulle foglie / dure della magnolia i lunghi tuoni / marzolini e la grandine, / (i suoni di cristallo nel tuo nido / notturno ti sorprendono, dell’oro /che s’è spento sui mogani, sul taglio / dei libri rilegati, brucia ancora / una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre) /il lampo che candisce / alberi e muro e li sorprende in quella / eternità d’istante – marmo manna / e distruzione – ch’entro te scolpita /porti per tua condanna e che ti lega / più che l’amore a me, strana sorella, / e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere / dei tamburelli sulla fossa fuia, / lo scalpicciare del fandango, e sopra / qualche gesto che annaspa… / Come quando / ti rivolgesti e con la mano, sgombra / la fronte dalla nube dei capelli, / mi salutasti – per entrar nel buio.
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In merito a La bufera, scrive ottimamente Marica Romolini: “La posizione privilegiata d’apertura scelta per questa lirica, a cui viene pertanto implicitamente affidata la funzione proemiale dell’intero libro, sancisce fin dal principio il fulcro attorno al quale si sviluppa l’opera: la bufera della guerra, indagata nella pienezza dei suoi risvolti privati, esistenziali, storici, metafisici e persino poetologici. Nella lettera a Silvio Guarnieri del 29 novembre 1965 Montale puntualizza la complessità della simbologia che regge il componimento, divaricandola tra la precisa referenzialità di ‘quella guerra dopo quella dittatura’ e l’allegoria della ‘guerra cosmica, di sempre e di tutti’, ontologicamente fondata nella disarmonia costitutiva della realtà. La centralità del tema bellico e della costellazione metaforico-lessicale correlata ha dunque indotto l’alterazione dell’ordine compositivo (che a rigore collocherebbe La bufera dopo Gli orecchini a favore di una studiata struttura narrativa che mira a esplicitare immediatamente lo stravolgimento, folle e apocalittico, in procinto di funestare il mondo, nonché l’estrema necessità della trasfigurazione di Clizia in creatura angelicata, anche a costo del sacrificio della donna e della rinuncia a lei da parte del poeta”.
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Sembra complicato, ma non lo è. La poesia è la poesia. E ogni persona ci legge, ci vede, ci fantastica quello che gli va.
Alessandro Carli
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a01411916-blog · 5 years ago
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Analisis Literario (Juan José)
FORMATO DE ANÁLISIS LITERARIO
NOMBRE DEL CUENTO
Alfonsina
AUTOR Y BIOGRAFÍA
Juan Lorenzo Collado Gomez
Es un escritor Español, finalista del V certamen de poesía en el 2013, publicó su libro de “Alfonsina” en el 2017. En esta obra habla de la vida de la poeta Alfonsina Storni
GÉNERO LITERARIO
Narrativo
SUBGÉNERO LITERARIO:
Poetica
MARCO HISTÓRICO-LITERARIO DE LA OBRA.
Es la historia de la poetisa que se suicidó metiéndose al mar en la época de 1892 a 1938. 
CRONOLOGÍA
Poetisa de origen suizo nació en 1892 y muere en Mar de Plata, Argentina en 1938. Por ahogamiento
SINÓPSIS DE LA OBRA
Narra de manera breve y nostálgica la vida tormentosa de Alfonsina Storni y describe de forma bella la historia de su suicidio al referirse al mar en el que ella se ahogó. 
ARGUMENTO
Es la percepción descrita por el escritor sobre la vida de ella y su forma de escribir y su sentimiento ante la soledad de su amado que la llevó a la muerte. Todo ello con metáforas que expresan el alma sensible de esa famosa poetisa hispanoamericana,. 
PERSONAJES, TIPO Y DESCRIPCIÓN DE CADA UNO
Alfonsina, una mujer que trabajó desde muy joven para evitar problemas economicos, No era una mujer muy agraciada, tuvo una relación informal con el escritor Horacio Quiroga. 
TEMAS Y PROBLEMÁTICA DE LA OBRA
El enfrentamiento ante una sociedad machista al mismo tiempo de su decepción ante el mundo por ello.
TIEMPO
es un tiempo ambiental enfocado en la lluvia y el frío
ESPACIO
Lugano, Suiza y San Juan,  Argentina�� 
RECURSOS LITERARIOS
RECURSOS FORMALES: La forma de cuento que tiene atras una narrativa histórica para lo que usa metáforas 
RECURSOS DEL CONTENIDO: Historia, descripciones y para narrar el contenido usa prosa poética. 
FIGURAS LITERARIAS: 
Ø  FIGURAS LÓGICAS: Su narración sigue un orden desde su inicio hasta su desenlace. 
Ø  TROPOS: En forma de divertimento.
Ø  PINTORESCAS: La referencia del mar ante su muerte
Ø  PATÉTICAS: La descripción de su muerte.
Discurso del Arte 
El cuento narra la vida de la poetisa suiza Alfonsina Storni una escritora que se crió en Argentina, ella tuvo una infancia muy difícil por la ausencia paterna desde temprana edad, y también por que desde sus trece años se dedicó a lo que es el teatro y de ahí surgió su pasión por los poemas, su vida amorosa no fue de las mejores ya que tuvo un hijo de un hombre que no la amaba, después llegó su amante el poeta Horacio Quiroga con quien no compartió nada más que un amor pasajero, que después de un tiempo se suicidó, causándole a ella un dolor tan inmenso que la llevó al suicidio.
•1) ¿Desde qué lugar teórico-conceptual se puede pensar al arte como discurso?
"Las teorías críticas del discurso aspiran a develar los mecanismos mediante los cuales se construye y legitima el poder a través del discurso, apelando a recursos epistémicos y métodos de análisis diversos (semiótica, comunicación,sociolingüística, poética, psicolingüística, entre otros). Pero enfocadas mayormente al discurso oral o escrito, las teorías críticas del discurso se han visto en la necesidad de ampliar su marco de referencia discursiva a la imagen que juega hoy un papel determinante en la reproducción de la dominación; de ahí que el enfoque teórico-metodológico de la semiótica discursiva centre su atención en el discurso como materialidad contextualizada y multimodal." Dra. Vivian Romeu
•2) ¿Qué permitiría especificar conceptualmente al discurso del arte como discurso estético?
En el cuento que habla sobre la vida de la poetisa suiza Alfonsina Storni. El cuento transmite las emociones claramente al crítico durante la narrativa. El lector puede entender perfectamente desde su nacimiento hasta su suicidio de dicha persona. Esta pequeña narrativa crea empatía para el lector. Es ahí donde demuestra el escritor el arte y la estética del cuento. 
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redazionecultura · 8 years ago
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sede: MASI – Museo d’arte della Svizzera italiana (Lugano).
Il Museo d’arte della Svizzera italiana, in collaborazione con il Centraal Museum di Utrecht, dedica un’ampia esposizione monografica a Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica. Nel suo lavoro ricorrono ritratti, nature morte, nonché momenti di vita quotidiana, riti e tradizioni popolari, temi e generi diversi rappresentati con tecniche innovative che tendono a stemperare i limiti fra le varie discipline artistiche. La fotografia costituisce infatti solo uno dei molteplici tasselli che si sovrappongono nella sua produzione artistica: a partire da un negativo, o da un fotogramma, Horsfield produce opere di grande formato realizzate con tecniche sorprendenti e disparate come arazzi e affreschi. La struttura narrativa della mostra si sviluppa in sezioni tematiche incentrate su opere emblematiche, sovente lavori monumentali come i maestosi arazzi dedicati alla scena apocalittica di Ground Zero o al Golfo di Napoli in un’ambigua visione notturna. Lo straordinario percorso che ne scaturisce porta alla luce le relazioni che intercorrono fra eventi accaduti in luoghi e momenti apparentemente lontani, fra le persone che ne sono state partecipi e gli spettatori che ne fanno scoperta in mostra. Il concetto di relazione – inteso sia come il legame tra individui sia come il narrare, il raccontare – è centrale nell’opera di Horsfield. Nei progetti che ha realizzato appositamente per questa mostra, così come in altre numerose occasioni, ciò è particolarmente evidente. Secondo l’artista un’opera d’arte si realizza pienamente solo grazie al ruolo attivo del pubblico: “Ciò che avviene qui è il riconoscimento di un passaggio di comprensione, di raccoglimento e di identificazione, l’impressione di dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un presente profondo. [… ] A volte questi passaggi sono fluidi nelle loro interrelazioni, altre volte sono spigolosi e discordanti, e all’interno della struttura ci sono strati su strati di associazioni, citazioni e allusioni, dentro le opere, dentro la narrazione e nel corso della storia, la storia immaginata come un presente profondo”.
Installazione sonora Sin dall’inizio della sua carriera Craigie Horsfield coltiva un profondo interesse per il suono e la musica, una passione che si riflette nella struttura della mostra, articolata come i movimenti di una composizione musicale. Accanto agli arazzi, agli affreschi e alle stampe, il percorso espositivo include un’installazione sonora composta e mixata dall’artista in collaborazione con Reinier Rietveld appositamente per lo spazio espositivo del MASI. Questo elemento sonoro, in dialogo con le altre opere e insieme ad esse, contribuisce all’elaborazione di nuovi e specifici significati.
I ritratti La mostra presenta inoltre una serie di ritratti inediti realizzati a Lugano dall’artista appositamente per l’esposizione del MASI. Ciò che prevale in queste immagini è l’esplorazione dei processi attraverso i quali cerchiamo di comprenderci l’un l’altro e di esistere insieme. Al tempo stesso queste opere l’unicità delle persone che collaborano con l’artista e la loro singolare e unica esistenza nel presente, riconosciuta nell’attenzione dello spettatore, attraverso il raccoglimento, la sensibilità e l’empatia.
Il catalogo In occasione della mostra è stata realizzata in stretta collaborazione con l’artista una pubblicazione che riprende ed espande i temi e la struttura dell’esposizione. Il volume comprende testi di Bruno Fornari, Marco Franciolli, Craigie Horsfield e Nancy Princenthal e conta 172 immagini a colori.
La mediazione culturale Oltre alle consuete visite guidate gratuite, sono previste per tutta la durata della mostra numerose attività di mediazione culturale volte a favorire la fruizione da parte del pubblico e a trasformare la visita in un’esperienza arricchente ed emozionante. Il programma è disponibile sul sito.
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Craigie Horsfield. Of the Deep Present sede: MASI - Museo d’arte della Svizzera italiana (Lugano). Il Museo d'arte della Svizzera italiana, in collaborazione con il Centraal Museum di Utrecht, dedica un'ampia esposizione monografica a Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell'immagine fotografica.
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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Un'ombra sul lago - Dario Galimberti. Un’indagine oscura sul rapimento di una bambina e il mistero che avvolge il lago. Recensione di Alessandria today
Nel secondo volume dedicato al delegato di polizia Ezechiele Beretta, Dario Galimberti ci conduce in una nuova, intricata indagine ambientata sul suggestivo sfondo delle acque blu del lago di Lugano
TramaNel secondo volume dedicato al delegato di polizia Ezechiele Beretta, Dario Galimberti ci conduce in una nuova, intricata indagine ambientata sul suggestivo sfondo delle acque blu del lago di Lugano. La storia prende avvio in un tranquillo mattino al bar Lugano, interrotto da un trambusto proveniente dalla piazza. Mosè Guerreschi, disperato, arriva con i suoi due figli: la piccola Ombretta e…
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pangeanews · 5 years ago
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“Su Morselli resta ancora tanto da pubblicare: i romanzi inediti, le opere teatrali, il soggetto per un film. Per non parlare della casa-museo…”. Dialogo con Linda Terziroli
Non credo alla leggenda dello scrittore ‘incompreso’. Di Guido Morselli – che si è ucciso il 31 luglio del 1973 – non sorprendono i reiterati rifiuti (esempio ne è il sugoso e arcinoto scambio di lettere con Italo Calvino), ma il suo accanimento nel rifiuto, una ambizione più lauta di ogni riconoscimento. Sembra, intendo – perché una vita può essere letta, geologicamente, dopo la fine e contro le intenzioni dell’autore – che il rifiuto – che non fiacca l’opera, la rinfranca – sia l’acme del carattere di Morselli, su cui regna uno sfolgorante pudore (e dunque una vitale vanità). “Con Dante Isella, il ‘colto amico’ di Varese, Morselli aveva condiviso incontri abituali e amabili conversazioni letterarie, senza mai fare allusione alla propria attività narrativa”, ricorda Valentina Fortichiari introducendo la raccolta dei Romanzi di Morselli (Adelphi, 2002). Con surplus di tragedia, Morselli sa che lo scrittore deve ‘farsi fuori’ – o a lato, a distanza di stella – per dare avvio all’opera. Piuttosto, Linda Terziroli, che a Morselli, anche per carisma esistenziale, ha dedicato anni, ha riportato al centro del palco – e quindi, dell’opera – lo scrittore, Guido. Nella “Biografia di Guido Morselli”, Un pacchetto di Gauloises (Castelvecchi, 2019), non incontriamo uno spettro – ciò che accade, di solito, leggendo la leggenda di un morto – ma una creatura in carne, il personaggio, nonostante lui, di un romanzo, amante strepitoso, elegante, spericolato, d’intelligenza irriverente. Merito dell’autrice, che con scrittura densa, devota alla presenza e non allo sciupio della memoria, recupera una vita da uno sguardo anomalo, da un accenno di pettegolezzo, da una confessione elevata dal ferro. I capitoli che narrano il viaggio in America, dal fratello Mario – L’America, Il comunista, mio fratello e Mario Morselli, il fratello di mio fratello – sono di commossa bellezza. Mi sorprende, di Morselli, soprattutto, l’accanita fame di scoprire ogni angolo della vita, del mondo, dell’uomo. E la rabbia, solare. Così ricorda il fratello: “Nel 1971-1972 Guido si stava interessando, fra l’altro, di Fisica teoretica e in particolare, ricordo, delle teorie dei campi elettrico e magnetico. Voleva proporre, in sostanza, una riformulazione su basi non matematiche, del concetto dell’azione a distanza. Anch’io ne sapevo poco dell’argomento. Tuttavia, avendo letto alcuni articoli in proposito, ero relativamente al corrente dei nuovi sviluppi. In quei mesi mi fece avere copia della lettera che aveva scritto sul tema, sottoponendo le nuove idee a Mary Hess che insegnava Fisica teorica a Cambridge e che era considerata il massimo luminare sull’argomento e l’autrice, fra l’altro, di un volume sulle teorie dei campi che aveva destato molto interesse. Guido mi chiese in quell’occasione: «Credi che risponderà?». Non volli essere schietto con lui. Gli risposi che nel mondo scientifico anglosassone anche i supremi sacerdoti sono così cortesi in genere dal rispondere a chiunque. Purtroppo mi ero sbagliato. Dopo mesi la professoressa Hess non si era ancora fatta viva. Non posso escludere che le idee di Guido le erano forse sembrate così poco ortodosse da non giustificare nemmeno una riga di commento. Comunque, mio fratello ci rimase male e se ne lamentò con me. Cosa che non aveva mai fatto in passato quando i suoi manoscritti non venivano accettati. Mi scrisse più o meno così: «Vedi come si comportano coloro che si considerano gli unici addetti ai lavori… sulla loro porta c’è scritto “qui non si entra ci siamo già noi”». Un giudizio amaro, quindi. Guido aveva ragione. Fu quello uno dei suoi ultimi commenti con me sul cosiddetto establishment culturale”. A Linda porgo due domande banali – le risposte aprono mondi morselliani. (d.b.)
Cosa resta da scoprire?
Chi non conosce a fondo l’opera morselliana probabilmente non immagina il ricco ventaglio di materiale che non è stato ancora pubblicato. Non faccio riferimento solo agli abbozzi dei due romanzi Mia celeste patria e Uonna, l’ultima creatura narrativa in cui Morselli voleva esplorare i confini tra uomo e donna (uonna appunto è un neologismo morselliano nato da una crasi uomo-donna) e ai saggi Filosofia sotto la tenda (riflessioni nate durante la Seconda Guerra Mondiale, a cui Morselli ha preso parte in Calabria), Due vie alla mistica, Vangelo e peccato e Teologia in crisi, testimoni della profonda riflessione religiosa di Guido Morselli. Lo sperimentalismo dello scrittore gaviratese l’aveva portato a scrivere persino il soggetto per un film, È successo a Linzago Brianza, e a scrivere tre opere teatrali che rimangono purtroppo ancora oggi inedite: Il redentore, Cesare e i pirati e Marx: rottura verso l’uomo (opera che il Premio Morselli con la compagnia teatrale STCV ‘Anna Bonomi’ ha messo in scena lo scorso anno, proprio in occasione dei duecento anni dalla nascita del filosofo di Treviri) e il soggetto teatrale di una divertente opera Cose d’Italia centrata sui vizi degli italiani. Un altro testo teatrale inedito, L’amante di Ilaria, permetterebbe di comprendere meglio il legame tra i due romanzi pubblicati da Adelphi Incontro col comunista (una delle prime opere narrative dell’autore) e Il comunista (il romanzo appena pubblicato negli USA da New York Review of Books, traduzione curata da Frederika Randall). Tutte queste opere teatrali inedite sono state a lungo studiate dal professor Fabio Pierangeli dell’Università di Tor Vergata che ha dedicato molte e accurate pubblicazioni specialistiche in attesa di una pubblicazione completa in grado di dare il giusto rilievo nazionale alle opere morselliane. Grazie alla notevole opera di studio di Pierangeli ho avuto la possibilità di leggere, in particolare, la drammaturgia solo manoscritta, Il redentore, restituitoci dattiloscritto dalla studiosa Cristina Faraglia. Il protagonista di quest’opera è ‘il santo’ e medico Nipic, un personaggio affine a Karpinski di Dissipatio H.G., boemo nella Germania nazista, nel settembre 1938, alla vigilia della guerra, all’interno di un manicomio (luogo protagonista di un altro racconto morselliano Irrenanstalt, pubblicato da Morselli su Il Mondo nel marzo 1950). Rivela infatti Pierangeli: “Morselli, in linea con i suoi laceranti dubbi di quel periodo, fa del suo eroe un perseguitato anche dalla religione ufficiale. Il vescovo e il pastore protestante (distanti su tutto e qui solidali) sottopongono Nipic ad un processo-interrogatorio, in cui il santo risponde punto per punto, illustrando la sua contrarietà al dogma del peccato originale”. Il santo diventa un martire perché viene ucciso, guadagnandosi un colpo mortale di pistola per aver tentato di dividere due donne innamorate di lui che si accapigliavano. Il finale resta sospeso: “Non è purtroppo chiara la volontà di Morselli per il finale: probabilmente si interrompe indeciso se far accadere qualcosa di soprannaturale sul corpo di Nipic, un segno miracoloso, oppure lasciare semplicemente al medico il compito di dichiararne la vittoria, se non del tutto eroica, umanamente limpida, rispetto ai boia nazisti. La sua docilità è ormai definitiva, dichiara il direttore della clinica ai tedeschi venuti ad arrestare il redentore, con quella sottile ironia segno di superiorità rispetto agli ottusi strumenti esecutori di una perversa strategia del Male”. Il fascino di queste opere teatrali non risiede quindi soltanto nella loro oscurità editoriale, nel loro essere come in questo caso ‘incompiuti’ ma nella loro ricchezza di significati e di fertili collegamenti con le opere narrative edite e conosciute dal pubblico di lettori. Mi auguro, quindi, anzitutto come lettrice appassionata di Morselli e poi come studiosa di quest’autore, di poter avere tra le mani, presto o tardi, il libro che veda finalmente pubblicate le sue opere teatrali magari a cura di Pierangeli e Valentina Fortichiari che resta tutt’oggi la massima esperta dell’opera di Guido Morselli.
Cosa resta da fare?
Sogno da anni di vedere la Casina Rosa trasformata in un piccolo museo (il mio modello esemplare è la casa-museo Hermann Hesse di Montagnola, sopra Lugano, nella radiosa e vicina Svizzera amata dal Morselli) o in una raccolta museale o casa d’artista. La casina appartiene come da lascito testamentario al Comune di Gavirate (la casa, intonacata di Rosa, disegnata e costruita dallo scrittore negli anni ’50 è ai margini di un bosco prealpino, alle pendici del Campo dei fiori, sul podere Santa Trinita, circondata dal verde che guarda ai laghi e alla catena del Monte Rosa) ed è oggi sede di una mostra permanente allestita dal Comitato ‘Guido Morselli Il Genio Segreto’ (il cui presidente in carica è il poeta Silvio Raffo), tuttavia i visitatori possono accedervi soltanto in occasioni particolari di apertura o durante particolari escursioni appositamente organizzate. La Casina Rosa, dove Guido Morselli ha ideato e scritto le sue opere narrative per vent’anni, sarebbe l’unica casa-museo di scrittore visitabile e aperta al pubblico nella provincia di Varese. Potrebbe quindi costituire una tappa ideale del percorso di visita ai luoghi morselliani d’ispirazione letteraria. Il luogo peraltro è estremamente suggestivo e in tutte le stagioni si possono ammirare paesaggi di una bellezza naturalistica a dir poco straordinaria.
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Per gentile concessione si pubblica un brandello dal libro di Linda Terziroli, “Un pacchetto di Gauloises. Una biografia di Guido Morselli” (Castelvecchi, 2019), dal capitolo “I sentieri editoriali e Italo Calvino”.
Guido contro i “fabbricanti di libri”
È cosa nota che, un giorno, Guido si è nascosto dietro a una colonna all’interno della casa editrice Mondadori per non incontrare Giorgio Mondadori, il suo ex compagno di scuola al liceo, figlio di Arnoldo e fratello di Alberto Mondadori. In quel gesto ho sempre visto una timidezza commovente, la ferma volontà di non ricevere favori. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche gli editori erano in grandi difficoltà, come riferisce Arnoldo Mondadori a Guido in una lettera che giustifica il rifiuto di pubblicazione: «Le difficoltà di rifornimento dell’energia elettrica che hanno ridotto l’attività di Verona a due soli giorni per settimana». Arnoldo Mondadori aveva stima di Guido, gli «dava confidenzialmente del tu», rivela Valentina Fortichiari, ma di fatto lo escludeva dai propri progetti editoriali: «Tra le nostre collezioni non ce n’è una nella quale la tua opera possa degnamente figurare, e tu sai che le richieste dei lettori italiani si orientano esclusivamente verso i libri che sono raccolti in collane». Ma il rifiuto editoriale è qualcosa contro cui Morselli ha combattuto anche prima della pubblicazione di Realismo e fantasia. Nel 1947, «la casa editrice Ceschina di Milano rifiuta i Dialoghi con Sereno (pubblicato poi nello stesso anno, a spese dell’autore, dai Fratelli Bocca con il titolo Realismo e fantasia) perché “fuori dall’attuale nostro programma”, per “l’incertezza dei tempi” e in definitiva perché “siamo molto perplessi”». «Le anticamere degli editori mi fanno paura, ho l’impressione che gli uscieri, le seggiole persino, mi urtino: è proprio vero che non c’è un italiano che non abbia un copione, un romanzo o un quaderno di liriche nel cassetto!» scriveva Guido il 20 agosto 1964. Un desiderio – quello di vedere pubblicato il frutto della sua opera letteraria paziente e profonda – che piano piano si trasformava nella disperata constatazione di un fallimento, come è stato definito, venato di rabbia e desolazione. Queste righe Guido scriveva all’Edizioni di Comunità, il 18 novembre 1955: «È questo un modo di procedere che certo non vi qualifica all’altissimo ufficio di giudici di opere dell’intelletto. Ricordatevi che per arrogarsi una qualsiasi funzione nell’ambito della cultura, conviene anzitutto mostrarsi edotti del civile riguardo che si deve alla personalità degli altri». Aveva spedito a Einaudi, tra il 1955 e il 1957, il dattiloscritto dell’opera Fede e critica, spedita ad altri sei editori (Vallecchi, Garzanti, Sansoni, Casini, Nistri-Lischi e Guanda), ma alla casa editrice torinese l’opera andò perduta e Guido diede avvio a un contenzioso, contro Einaudi, da lui definito «stampatore, fabbricante di libri», definendo, in generale, gli editori come «arbitri della altrui produzione intellettuale». La protesta di Guido contro l’Einaudi, che ebbe un certo effetto, suonava così: «Vi significo la mia protesta pel modo onde vien trattato chi vi offre il prodotto della propria intelligenza, contro quelle norme d’urbanità che vigono nei più comuni rapporti commerciali, per cui si risponde alle lettere che si ricevono. Una Casa che si arroga una funzione direttiva nella cultura italiana, dovrebbe mostrare una ben diversa considerazione dell’opera intellettuale, quand’anche non rechi una delle “grandi firme” di cui è facile e comodo l’incensamento». Il danno fu quantificato in 25.000 lire di risarcimento di carta e trascrizione – qui gli tornarono d’aiuto gli studi in Legge – «danno materiale per un’opera intellettuale senza le patenti della notorietà né il merito altrettanto discutibile d’essere appoggiata da qualcuno dell’ambiente». All’Einaudi il manoscritto fu ritrovato l’anno successivo.
Linda Terziroli
L'articolo “Su Morselli resta ancora tanto da pubblicare: i romanzi inediti, le opere teatrali, il soggetto per un film. Per non parlare della casa-museo…”. Dialogo con Linda Terziroli proviene da Pangea.
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