#mito e natura
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Persefone e i Doni dell'Autunno.
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Recensione di Il mistero delle Amazzoni di Hannah Lynn. A cura di Alessandria today
Un viaggio tra mito e storia alla scoperta di un popolo guerriero, custode di segreti antichi e leggende mai dimenticate.
Un viaggio tra mito e storia alla scoperta di un popolo guerriero, custode di segreti antichi e leggende mai dimenticate. Titolo: Il mistero delle AmazzoniAutrice: Hannah LynnGenere: Romanzo storico/mitologicoCasa editrice: Newton Compton EditoriAnno di pubblicazione: 2023 (prima edizione) Breve riassunto della trama:Il mistero delle Amazzoni ci porta nella dimensione sospesa tra mito e realtà,…
#Amazzoni#Archeologia del mito#avventura#civiltà antiche#Coraggio#Costumi e tradizioni#cultura antica#Dea Madre#Donne e potere#DONNE GUERRIERE#Emozioni profonde#eroi ed eroine#Eroine antiche#Forza Interiore#Hannah Lynn#Il mistero delle Amazzoni#influenza culturale#Magia primordiale#miti e leggende#mitologia greca#narrativa epica#natura selvaggia#Newton Compton Editori#onore#Recensione libro#ricerca dell’identità#Riti segreti#Ritmi narrativi incalzanti#romanzo mitologico#Romanzo storico
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I commenti da sinistra alla serie M che sto leggendo in giro sono francamente desolanti. C'è un punto storico che a quanto sembra non si vuole proprio vedere e che invece sia il libro sia la serie evidenziano in modo importante, ed è che Mussolini non si è fatto da solo, manco per niente. Mussolini è stato scelto, è stato scelto dallo Stato liberale, ed è stato scelto dal padronato dell'epoca, ed è stato scelto perché Mussolini aveva tradito il socialismo, nessuno meglio di un traditore poteva fare il loro gioco. Mussolini non sarebbe mai stato Mussolini se non avesse prima di tutto fatto carriera nel Partito socialista, di cui non era mica un galoppino qualsiasi ma un dirigente in esplosiva carriera, per poi tradirlo e diventare un fervente strumento dell'antisocialismo. Trovo un po' penoso sentir parlare di M soltanto attorno a Marinelli, che non fa altro che un lavoro spettacolare né più né meno, e non rispetto al grande valore di questa serie cioè sottrarre la figura di Mussolini al mito dei busti e delle effigi per rimetterla dove avrebbe sempre dovuto stare, nei processi storici, e farlo in modo popolare, non solo non accademico ma anti-accademico e dio solo sa quanto abbiamo bisogno di cultura anti-accademica in questo Paese. I processi storici son trattati fra l'altro in modo esteticamente interessantissimo dalla serie, perché la grande Storia è una Storia di scenari e in M gli scenari, quasi teatrali, sono di primaria importanza, esprimono le energie, e tutta la Storia umana è una storia innanzitutto di energie. Mussolini coi Fasci di combattimento non sarebbe arrivato da nessuna parte se non ci fosse stata una classe dominante che aveva bisogno della violenza organizzata per sedare le spinte rivoluzionarie fra le masse. E le spinte rivoluzionarie le spegni molto meglio se a trascinarti è l'odio, Mussolini era odiato fra le masse socialiste perché aveva tradito, e dunque le odiava, perché per loro c'erano in quel momento altre teste pelate da seguire, in una Russia vicina più che mai e che faceva tantissima paura, ai reazionari e non di meno ai riformisti di tutta Europa. Mussolini fu un anti Lenin a modo suo, la funzione storica che giocò fu esattamente quella. E fu anche uno come Mussolini ad aiutare un successivo traditore antiLenin di altra natura, come Josep Stalin, a portare avanti la causa dell'antisocialismo a sua volta. Il figlio del secolo è stato il figlio che si è messo al servizio delle esigenze controrivoluzionarie delle classi dominanti, in un'epoca in cui le masse erano in movimento, la borghesia che affollava il Parlamento le temeva, e solo attraverso la violenza si poteva obbligarle a cambiare direzione. Mussolini fu l'organizzatore di violenza più abile della prima metà del secolo in questo Paese. Il fascismo non ottenne consenso fra le masse, il fascismo ottenne consenso fra le classi dominanti, e poi alle masse si impose, non certo si propose. Qui sta il parallelo, l'unico a mio avviso seriamente pregnante, e di radicale attualità, con il presente. Parliamo di questo, per favore. Non lo esige la serie, lo esige il tempo in cui siamo. Esige decisamente qualcosa di più che commentucci sagaci e compiaciuti da posizioni molto più simili a quelle degli imbelli che obbedirono ai voleri di M a suo tempo, che non certo alla battaglia coraggiosa di Matteotti. Federica D’Alessio, Facebook
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Tempestamon
Nível Adulto/ Seijukuki/ Champion
Atributo Livre
Tipo Pássaro Mágico
Campo Guardiões dos Ventos (WG)/ Espíritos da Natureza (NS)/ Império do Metal (ME)
Significado do Nome Tempesta, tempestade.
Descrição
Um Digimon mágico conhecido através de inscritos antigos como O Guardião, que tem a forma de um grande pássaro robusto capaz de trazer ventos tempestuosos e anunciar tormentas vindouras.
Dotado de grande força física, especialmente em suas pernas que foram mecanizadas ao converter os dados dos metais que coletava enquanto era um Sparkrowmon em uma poderosa armadura, Tempestamon está sempre pronto para o combate, sobrevoando seu território e observando atentamente qualquer ameaça iminente. Por ser capaz de enxergar grandes distâncias, tal habilidade evoluiu ao ponto de dar a ele uma visão que alcança ainda mais além, mostrando um futuro próximo como um lampejo, sendo muito comum que essas visões mostrem desastres e coisas ruins o que dá a esse Digimon um status mal agouro mesmo sendo extremamente leal e bondoso.
É também um excelente cantor, sua música é capaz de trazer uma sensação de segurança e cooperação à todos que a ouvem, como se a aura de segurança deste pàssaro transitasse por cada palavra entoada em forma de música e pura poesia, vindo diretamente de sua alma.
O bater de suas asas é capaz de fazer raios caírem dos céus (Fulmini Decolare), e, embora seja um Digimon bondoso e com forte senso de justiça, seus adversários podem pagar caro ao fazer com que Tempestamon perca a sua compostura, sendo varridos por fortes ventos provenientes da fúria deste guerreiro (Tempesta di Furia).
Técnicas
Tempesta di Furia (Tempestade de Fúria) Convoca uma poderosa tempestade, gerando um potente furacão;
Fulmini Decolare (Queda de Raios) Com o bater de suas asas, provoca uma tempestade de raios;
Mito Natura (Mito da Natureza) Com seu canto único, cria uma duplicata de si mesmo que avança contra o inimigo, normalmente cravando suas garras num ataque veloz;
Anima Vincolata (União de Almas) Cria uma espécie de void capaz de absorver qualquer criatura, ou golpe que tenha intensões malignas.
Linha Evolutiva
Pré-Evolução
Sparkrowmon
Artista Caio Balbino
DigiDex Aventura Virtual
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Una delle più note leggende greche ci rivela la più oscura natura dell’amore, e lo fa tramite il racconto di una fanciulla di nome Psiche, talmente bella da far ingelosire Venere stessa, che ordinò a suo figlio Cupido, il dio dell’amore, di scoccare una delle sue frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.
Cupido però sbagliò mira e si colpì un piede, avvampando subito d’amore per la bella Psiche. Per non incorrere nelle ire della madre, non gli restò che incontrarla in segreto, al buio, senza che lei potesse riconoscerlo.
La fanciulla però cominciò a essere curiosa e avrebbe voluto vedere in volto il suo amante, quindi, una notte, mentre Cupido le dormiva accanto, accese una lampada, scorgendo i lineamenti perfetti di Amore in persona. Sussultò per l’emozione e una goccia d’olio schizzò via, colpendo il dio e scottandolo. Svegliatosi e compreso che Psiche aveva trasgredito al divieto, Cupido dovette andarsene.
Psiche però non si diede per vinta, e affrontò le dure prove a cui Venere la sottopose, suddividendo una gran quantità di semi in una singola notte, portando alla dea il mitico Vello d'Oro e recuperando persino in uno scrigno un frammento della bellezza della dea infera Proserpina, dopo una lunga e complessa discesa nell'oltretomba.
Infine, stanca e afflitta, decise di aprire lo scrigno per recuperare un poco della bellezza che aveva perduto affrontando tutte quelle ardue imprese, ma nello scrigno non vi era ciò che si aspettava, bensì il terribile sonno dello Stige.
Psiche cadde in un sonno profondo, e non si sarebbe più ridestata, se solo Cupido non avesse avuto pietà di lei. Colpito dalle prove che aveva affrontato pur di ritrovarlo, comprese che il suo amore era sincero e le offrì dell'ambrosia, il nettare degli dèi, rendendola immortale.
I greci sono famosi per la loro capacità di trasporre il pensiero sotto forma di immagini, infatti questo mito ha un significato molto profondo: l’amore è un sentimento ammantato di mistero, e colui che cerca di analizzarlo e imbrigliarlo entro i lacci della razionalità, finirà solo con il farlo volare via.
Alla favola si è ispirato Antonio Canova nella creazione del gruppo scultoreo"Amore e Psiche
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Il toro di Pasifae e la tecnica
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale. E se la natura umana è così difficile da definire, ciò è appunto perché essa ha la forma di un’articolazione fra due elementi eterogenei e, tuttavia, strettamente intrecciati. La loro assidua implicazione è ciò che chiamiamo storia, nella quale sono coinvolti fin dall’inizio tutti i saperi dell’Occidente, dalla filosofia alla grammatica, dalla logica alla scienza e, oggi, alla cibernetica e all’informatica.
La natura umana – è bene non dimenticarlo – non è un dato che possa mai essere acquisito o fissato normativamente secondo il proprio arbitrio: essa si dà piuttosto in una prassi storica, che –in quanto deve distinguere e articolare insieme, dentro e fuori dell’uomo, il vivente e il parlante, l’umano e l’animale – non può che essere incessantemente attuata e ogni volta differita e aggiornata. Ciò significa che in essa è in gioco un problema essenzialmente politico, in cui ne va della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Il luogo dell’uomo è in questo scarto e in questa tensione tra l’umano e l’animale, il linguaggio e la vita, la natura e la storia. E se, come Pasifae, egli dimentica la propria dimora vitale e cerca di appiattire l’uno sull’altro gli estremi fra i quali deve restare teso, non potrà che generare dei mostri e, con essi, imprigionarsi in un labirinto senza via d’uscita.
8 luglio 2024
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Il mito della Medusa è una metafora dell’inquietudine, della paura di sé, dell’orrore per la propria natura. È la paura dell’incerto, dell’indefinito, di ciò che non ha un volto e che può essere immaginato solo con un volto mostruoso. Essa alloggia nel nostro abisso, e per paura di affrontarla, si preferisce guardare fuori anziché dentro se stessi. Si cerca una via di fuga, che purtroppo è solo illusoria e vana.
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In alcune situazioni, il rispondere: "niente" a una domanda circa la natura dei propri pensieri, può essere, nell'uomo, una finta.
Lo sanno bene le persone amate.
(Albert Camus, Il mito di Sisifo)
Cos'hai, ma cos'hai dunque?
Non ho niente, non ho niente, ho solo fatto un salto fuori dal mio destino, e ora non so più verso che cosa voltarmi, verso che cosa correre.
(Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati)
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l'Eterno e il Tempo
Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo. Nella Grecia antica, ad esempio, ci sono tre figure che rappresentano il tempo:
una è Aion, l’eone, il tempo eterno;
l’altra è Chronos, il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza.
e poi c’è il Kairos, l’opportunità.
Aiòn, "tempo" in greco antico connesso etimologicamente con l’avverbio aèi "sempre”. Un tempo inteso come eternità, come "sempre essente", distinto dal tempo "chrònos" e dal tempo "kairòs".
Rappresentato nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. Eraclito scrive: "Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo". Con Aiòn si allude alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare.
Chrònos "tempo" in greco antico inteso come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che rovina e distrugge.
Già nelle fonti letterarie e iconografiche ellenistiche gli attributi mortiferi e distruttivi del tempo-chronos, vengono confusi con gli attributi del dio Kronos, che nel mito divora i suoi figli, ma viene poi ingannato ed evirato dal figlio Zeus. In particolare l’attributo del falcetto, strumento della mietitura e metafora della ciclica rinascita delle messi, passa dalla divinità sincretica Saturno-Kronos al Tempo-Chronos, la cui iconografia andrà sempre più identificandosi con quella della Morte. Kaìros in greco significa "momento opportuno". Questa parola si riferisce al tempo e in special modo intende al "momento fra", cioè quel determinato periodo di tempo in cui interverrà qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose. Si può tradurre come momento propizio, opportunità.
Da notare che su una delle colonne di Delfi, i sette sapienti avevano fatto incidere la massima “kairòn gnôthi" riconosci il momento giusto. Kairos, l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli. Che ora è? Che anno è? L’orologio e il calendario indicano un tempo che ci domina. Egli è Chronos, che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura.
Ma se ci chiediamo: -Che cosa avviene?- ci interroghiamo e scopriamo se è " il tempo opportuno " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, che intercorrono tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos è un tempo rivelatore, ci svela il senso, l’importanza dell’ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l’uomo nel cosmo ed il cosmo nell’uomo, ci rende consapevoli del fatto che tutto è interconnesso. Nel tempo di Kaìros occorre essere aperti per poter cogliere un momento di rottura che precipita la possibilità di mettere in atto ciò che si è preparato. Sta a noi lavorare per cogliere quell'attimo. Carpe diem, direbbe Orazio. Lo stesso fa la cuoca, se sa cogliere l'attimo in cui i suoi piatti, nel forno, son cotti a puntino; lo stesso fa chi governa una barca, se vira al momento opportuno e nel senso giusto e alza o ammaina le vele, lo stesso il pilota che deve sapere quali comandi e in che momento usarli per decollare sollevarsi accelerare, atterrare; l'atleta, se a tempo debito e con la dovuta forza lancia il disco, scocca la freccia, incalza o molla l'avversario, lo stesso il medico, se dosa il farmaco e il punto e la profondità dell'incisione che va praticando.
E il politico che deve conoscere quali provvedimenti faranno il bene del Paese in quel momento storico- economico; l’insegnante che sa quali saperi al momento opportuno e quali competenze sviluppare nel discente con una progettazione adeguata e misurata sull’allievo. Non per caso la più bella immagine di Kairòs, l'istante topico, l'occasione, o l'attimo fortunato, trovata a Traù, nell'attuale Croazia, era forse posta all'ingresso d'uno stadio. Il bassorilievo raffigura un giovane con le ali ai piedi, recante in mano una bilancia posta in equilibrio su un rasoio e, soprattutto, con un gran ciuffo di capelli sulla fronte, ma la nuca rasata. Se sarà passato oltre non sarà più possibile afferrarlo. Sta a noi prevenirne i movimenti e la fuga, sta a noi, in una serie di attimi, scovare, cogliere, afferrare quell'unico frammento di tempo in cui saremo a tempo perfetto con l'armonia cosmica. Comprendere, agire ed operare bene, godere, essere felici: sforzarci e faticare per tutto questo e poi, con semplicità e facilità inattese, riuscire ed uscire dal tempo, dall'indifferenza infinita e divorante di Chrònos, guadagnare, sia pur solo per quell'attimo, il tempo adatto a noi, nella perfezione di ciò che la nostra natura poteva compiere e che di fatto ha saputo compiere.
Così Rainer Maria Rilke dice dell Kairòs greco antico: “E a un tratto, in questo faticoso nessun dove, a un tratto, / l'indicibile punto, dove quel ch'era sempre troppo poco, / inconcepibilmente si trasmuta, salta / in un troppo, vuoto. Dove il conto a tante poste / si chiude senza numeri”.
Dentro un Chrònos infinito e inesorabile, un Kairòs unico, capace dunque, se colto opportunamente, di renderci, per quell'attimo e per sempre, eterni.
-C. D'Eramo
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Storia Di Musica #305 - Robert Johnson, King Of The Delta Blues Singers Vol.1, 1961
Riparto da quel tavolino della copertina di Bringing It All Back Home. Su quel tavolino c'è anche questo disco, che probabilmente non dirà moltissimo ai più, ma è uno dei dischi fondamentali della musica occidentale del '900, e sta lì per svariati motivi. Il re dei cantati del Blues del Delta (è quello del fiume Mississippi) è Robert Leroy Johnson, una delle figura più misteriose, carismatiche e leggendarie di tutte. Intorno alla sua figura, alla sua musica, alla sua vita breve e di cui si sa pochissimo c'è un alone quasi mistico e fu questo disco, una compilation delle sue maggiori registrazioni degli anni '30. Di Johnson si sa pochissimo: non è sicura la data di nascita del maggio 1911, nemmeno i genitori, la tesi più accreditata afferma che nacque una relazione extraconiugale della madre Julia Dodds con Noah Johnson, dopo che il marito di Julia, Charles Dodds Jr., l'aveva abbandonata per un'altra donna e la sua infanzia e adolescenza è avvolta in misteri e leggende, aiutati dal fatto che nel Mississippi di quei tempi i documenti per una famiglia nera non fossero la prima preoccupazione ad Hazlehurst della Contea di Copiah. Sta di fatto che all'inizio, aiutato da uno dei figli di Noah, impara a suonare l'armonica a bocca, e poi la chitarra, ma all'inizio è tutt'altro che appassionato allo strumento. Si sposa due volta, nel 1929 con Virginia Travis, che muore di parto l'anno successivo a 16 anni con la bimba neonata, e nel 1931 con Calletta Craft. Secondo la leggenda, da lui stesso raccontata e accresciuta, lascia la seconda moglie per seguire la sua passione per la musica e, nel vagabondare, all'incrocio più profondo e sperduto nelle terre del Delta, fa un patto con il Diavolo, a cui vende l'anima in cambio dell'arte di saper suonare la chitarra. Secondo molti che ne alimentano il mito, davvero d'un tratto Johnson ebbe un miglioramento colossale nel suonare, e secondo alcuni biografi, fu suo maestro un misterioso bluesman di nome Ike Zimmerman, altra figura avvolga nel mistero: Johnson sfruttò alla grande queste storie, a cui lui aggiunse una particolare vocazione nel suonare nei cimiteri, tra le tombe, nota al punto da venire additato quale emissario del demonio. Se il patto è vero, funzionò: Johnson, dopo aver registrato la sua musica in modi e tempi che vi dirò a breve, morì a 27 anni, nel'Agosto del 1938, primo nome di quel futuro Club dei 27, che comprende i grandi della musica morti a quell'età. Anche sulla morte ci sono numerose leggende, ma la tesi più accreditata è che fu avvelenato dal barman del locale dove lui, Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards erano la resident band, nei pressi di Greenboro, contea di Jackson: Johnson divenne l'amante della moglie del proprietario, che lo avvelenò versando un veleno nella sua bottiglia di whisky. A rendere tutto ancora più iconico, nessuno sa dove sia sepolto, dato che nella contea di Jackson, dove fu scritto il certificato di morte, esistono tre tombe di Robert Johnson, e nessuno sa con certezza quale delle tre sia autentica.
Oltre il mito, Johnson fu rivoluzionario per tre motivi: il suo fingerpicking, divenuto iconico e all'epoca del tutto prorompente, il suo modo di cantare, che abbandonava i toni bassi per una voce squillante e lamentosa, che sprigionava tutta la dolorosa natura del blues, e il fatto che fu il primo che in pratica sviluppò i racconti musicali di quei periodi nelle strutture del blues. È certo che non scrisse mai propriamente una canzone, ma rielaborava al momento motivi conosciuti o inventati su cui improvvisava dei testi, i quali sprigionano una così forte carica evocativa e spirituale che non passarono inosservati. Inoltre molti dei suoi alimentavano le leggende oscure e diaboliche che lo riguardavano.
Johnson registrò solo 29 canzoni: per 13 di esse è stato possibile rinvenire anche le rispettive alternate take – all'epoca scartate in quanto giudicate meno brillanti delle versioni poi pubblicate su 78 giri – per un totale di 42 registrazioni complessivamente note. Tutte registrate tra il 1936 e il 1937, probabilmente a Dallas, ma anche su questo ci sono leggende infinite, e molti sostengono che le registrazioni che abbiamo siano velocizzate, fatto che conferirebbe il particolare tono acuto alla voce di Johnson.
Tutte le sue canzoni sono degli standard, e dopo che la Columbia iniziò, con il disco di oggi, The King Of The Delta Blues Singers Vol. 1 (che esce nel 1961, il Vol.2 uscirà nel 1970, quando era super conosciuto) a riproporle, diventeranno il trampolino di lancio per la rinascita del blues in tutto il mondo. Questo del 1961 fu il primo tentativo di riportare le registrazioni degli originali 78 giri, della etichetta Vocalion, al suono mono di un Lp. Le note di copertina dell'epoca erano del tutto inventate, nell'impossibilità di risalire all'epoca a notizie "certe" su Johnson, e furono del tutto riscritte negli anni '90 con la pubblicazione in CD. In scaletta, classici ripresi da centinaia di artisti: Cross Road Blues, 32-20 Blues (32.20 è il calibro delle munizioni Winchester), Ramblin' On My Mind per citare solo i più conosciuti, sono standard nel repertorio di migliaia di artisti, e sono stati i testi basi su cui gente del calibro di Eric Clapton, Jimmy Page, Jimi Hendrix, i Rolling Stones hanno sviluppato la loro sensazionale musica. E Bob Dylan? il disco è lì per due motivi: uno, piuttosto estetico, è che sebbene non ebbe all'inizio nessun successo commerciale, l'album divenne una sorta di distintivo su che musica si ascoltava, era per usare un termine di quegli anni decisamente hip. E poi c'è un motivo più profondo, e uso le parole dello stesso Dylan: Quando Johnson ha iniziato a cantare, sembrava un ragazzo che sarebbe potuto balzare dalla testa di Zeus in armatura completa. Ho subito differenziato tra lui e chiunque altro avessi mai sentito. Le canzoni non erano solite canzoni blues. Erano così fluide. All'inizio passavano veloci, anche troppo veloci per arrivarci. Sono saltati dappertutto per portata e argomento, brevi versi incisivi che hanno portato ad alcuni fuochi panoramici della storia dell'umanità che esplodevano sulla superficie di questo pezzo di plastica rotante (da Chronicles, Volume 1).
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Chiunque abbia frequentato il liceo si ricorderà del Simposio di Platone. Nel Simposio c’è un mito meraviglioso che vorrei fosse insegnato in tutte le scuole: il mito dell’androgino. Platone racconta che gli umani, una volta, erano divisi in tre sessi: maschi, femmine e androgini. E gli androgini erano sia maschi, sia femmine. Questi esseri avevano quattro gambe, quattro mani e due teste. Erano talmente potenti che gli Dèi si preoccuparono e li tagliarono in due. E allora gli androgini andavano alla ricerca della propria metà, i maschi cercavano la parte femminile e viceversa. I maschi che cercavano la parte maschile e le femmine che cercavano la parte femminile erano gli omosessuali.
Platone cercava di dirci che l’amore è cercare di ricongiungersi con la propria parte perduta e che la natura umana prevede tutte queste tendenze sessuali. E allora mi domando: se un uomo 2500 anni fa è riuscito ad elaborare un pensiero così moderno, così profondo, cos’è successo in 2500 anni che ci ha fatto diventare così cretini?
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Sinfonia di Mirella Ester Pennone Masi. Un poema che celebra la simbiosi tra l’anima e la natura, in un’esplosione di emozioni e immagini poetiche. Recensione di Alessandria today
La poesia Sinfonia, scritta da Mirella Ester Pennone Masi, è una composizione che fonde l’essenza dell’animo umano con l'armonia della natura.
Un viaggio poetico tra luce, natura e anima La poesia Sinfonia, scritta da Mirella Ester Pennone Masi, è una composizione che fonde l’essenza dell’animo umano con l’armonia della natura. Ogni verso si presenta come una pennellata su una tela vibrante di emozioni, descrivendo il risveglio mattutino e la comunione con il mondo naturale in un linguaggio intenso e ricco di immagini…
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Taste the Fashion
Paola Buratto Caovilla
Skira, Milano 2001, 176 pagine, 180 ill.a colori, 24,5x29cm, ISBN 9788884911049
euro 50,00
email if you want to buy [email protected]
Vino e Moda. Due fra i più grandi testimoni del Made in Italy più autentico, entrambi frutto di tradizione artigianale, estro e creatività, simboli di seduzione, lusso, qualità ed eleganza. Vino e Moda accostati in un percorso intrigante e suggestivo, fatto di immagini e racconti, che si snoda fra i colori della natura e quelli dei maestri dell’Haute Couture, fra Bacco e Venere, fra bottiglie pregiate e disegni preziosi, fra le parole dei grandi della letteratura e le rappresentazioni immortali dei grandi dell’arte: un percorso scandito dalla creatività e dalla genialità. E nei pensieri tra moda e vino – mito, costume, cultura e seduzione – si ravvisa un comune denominatore che unisce il Bello. C’è un’unica filosofia che coniuga armonicamente due mondi diversi ma analoghi. Ci sono duemila anni di storia che si fondono in una modernità elegante e innovativa. Che si trovi nella platea di un défilé a New York o a Parigi o tra un filare e l’altro di uno dei vigneti in Toscana o che ti accolga al tavolo di lavoro o davanti a schizzi di accessori per le collezioni René Caovilla, realizzati raccogliendo suggestioni nei viaggi che punteggiano la sua vita, Paola Buratto Caovilla, veneziana di adozione, imprenditrice, cultrice d’arte e personaggio nel mondo della moda e della cultura internazionali, ha trasferito dalla categoria degli hobby a quella dell’impegno le passioni più grandi: quella per la natura, l’attività di scrittrice e l’amore per la moda, la cucina e l’“alta cultura” del vino. Un eclettismo che, abbracciando anche la sua passione per i giardini e l’arredamento, non deborda mai da binari di assoluta semplicità: è la caratteristica che ha consentito a Paola Buratto Caovilla di portare la bellezza e l’eleganza come qualità da tenere in sordina, privilegiando il sorriso per chiunque le consenta di scambiare trasparenza, cordialità e impegno.
11/04/24
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Sono qui (o credo d'esserlo?) seduta alla scrivania con davanti il mio computer, intenta a scrivere su di me, o su ciò che credo che io sia, o stia tentando di essere. Facile, poter vedere me mangiarmi le unghie, alla ricerca di creatività dispersa chissà dove, chissà quanto a fondo nella pelle, sotto, sotto, giù, in basso o in alto, questo non lo so, ma in profondità sì, là, laddove cercherò, potrò vedere quel che cerco e ciò che serve, lascerò prenderlo agli altri. Il mio volto è l'essenza dell'anima persa, dell'esistenza critica, del bilico sbilenco che il giorno sbilancia e il silenzio equilibra, tra una bradipnea basale e una tachicardia sessuale, l'estasi neutrale che asseconda il mio pensiero, e il corpo, con esso, segue la via del giusto riposo, eterno, nell'attimo che non segue il passato e non precede il domani, futuro generatore di ansie, malesseri, crisi, in perenne impatto con l'angustia debordante da un calice che ruota su di un polveroso pendolo. Sedendovi, potreste ascoltare i miei occhi sbattere frenetici e percepire vibrazioni oniriche, convulsi movimenti di ricerca di un corpo nuovo, esterno, non il nostro: essenza di kundalini che s'arrampica dai sessi sulla schiena, serpente arrotolato su se stesso, stringe il petto, la pancia e la gola e i seni, e quel corpo, tanto richiesto, desiderato, inizia a irrigidirsi, si contorce sotto l'energia vitale, energia mantra, espressione della forza del momento, della agilità della simbiosi, del rovente flusso che attanaglia me e la mia esistenza. Le mie gambe hanno fretta di percorrere il reale, impazienti di giungere a un domani che un domani sarà morte, sarà fine, sarà traguardo, arrivo e arrivederci e grazie, sarà storia in breve tempo. Breve, come la vita di ogni uomo in paragone alla Terra che ci ha attesi. Ma, incurante dell'eterna sua natura, dona al sole una speranza e il nuovo giorno al caldo crogiola le sue virtù, ovvero noi, peccatori. La mia mente ruota attorno a un punto fisso, che sei te. Ventiquattr'ore smemorate, s'accende in me la pazza voglia di perdermi, con te, con lei, con loro. Chi crediamo d'essere, se è il male a farci gioia e il bene a darci la routine noiosa? Siamo o no incostanti nelle scelte, nelle azioni e nelle vie che portano alla fede per qualcuno? Siamo o no i nemici dello spazio, colmato in frazioni di secondo da un capo all'altro dell'universo? Siamo o no i fanatici del mito, della storia lunga, degli amori brevi, del fidanzamento certo e della cotta prematura, del "ti voglio ma non posso" e del "ti amo ma ho già un altro"? No, no, non lo siamo, e non vogliamo neanche esserlo. È la pace la via giusta e la rincorsa a giorni felici, e crediamo che sia lunga, e pensiamo sia difficile, ma per strada conosciamo luoghi puri, dove trova cibo per sfamarsi chi ha un cuore. O crede d'averlo.
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Ogni volta che mi prende lo sconforto ripenso a tutte le cose della mia vita . Per natura sono una persona accomodante. Troppo. Non sto dicendo che mollo , di mollare non mollo mai ma cerco il compromesso .sto imparando a essere prepotente quando serve. Conquistare prevede la lotta , non la negoziazione quando è impossibile.Quando una persona scavalca un mio confine, e vorrei stare li a risolvere con il dialogo ,penso a persone che hanno fatto della propria vita un' eccellenza tipo Mennea , mio grande mito , o alla mia amica Giorgia che vince concorsi su concorsi e viene chiamata per lavorare in posti politici esclusivi. Fotte sega il dialogo , quello è mio e me lo prendo.
Vitali . Vitali e nessuno può fermarli . Gialli, solari ed esplosivi e il talento non esiste, non nasciamo imparati. Impariamo a difenderci , a perdere , a tirare dritto per ottenere i nostri obiettivi ed io ho corso 7 km oggi.
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Nella mia vita ho incontrato molti uomini col desiderio più o meno inconscio di volere essere degli eroi. In larga misura non è tutta colpa loro, visto che sono cresciuti col mito di dover salvare qualche cristiana in pericolo.
Tuttavia dopo i 20 anni dovresti perlomeno entrare nella strada del "chi sei tu per te stesso" prima di occuparti di altre persone, ma di solito non accade.
Così "gli eroi" sono diventati incoscienti di sé, ma bisognosi privi di responsabilità, e la loro esigenza di salvare qualcuno è in realtà innescata da una forma di controllo e presunzione fuori dal normale.
Un ego sano ovviamente cerca autostima, riconoscimento e valore, ma lo fa secondo prospettive del tutto diverse.
Questo anche per richiamare l'imminente festa del papà, che come altre ricorrenze è una semina di ipocrisia.
Tantissimi padri sono indegni e convinti anche di essere un esempio. Sono cresciuti sentendosi importanti mentre lo sono soltanto nella loro testa.
Le maschere stanno crollando, diverse condizioni stanno portando le persone a rivelare la loro vera natura. Compresi tutti gli uomini che faranno i conti con la solitudine e diversi calci nel sedere da parte di chi fino a poco prima li ha tollerati.
Ogni singola cellula ovviamente si riversa nella società e dunque ci sarà un crollo generico anche del concetto stesso di famiglia. Per chi ha visto in questo nucleo la massima espressione di un legame affettivo, dovrà considerarlo per ciò che davvero ha causato (almeno nella maggioranza dei casi). *Aumenteranno i divorzi, molti figli si allontaneranno da usi e culture di nascita e tutti faranno i conti con quello che hanno causato agli altri.
Ciò comporta la "costrizione" alla responsabilità e il dovere di essere autentici.
* intendo dinamiche consapevoli, non il lasciare una situazione perché è arrivato altro, ma perché ci si rende conto che la condivisione di tossicità è da terminare.
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T.me
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