#mia murat
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Camille Claudel
1863 - 1943
Il 19 ottobre 1943, nel manicomio di Montdevergues, si spegneva Camille Claudel, dopo trent'anni di solitudine ed abbandono, aspettando invano la visita della sorella e della madre, alla quale aveva ripetutamente chiesto di essere riaccolta in casa.
" Cara mamma, ho tardato molto a scriverti perché faceva talmente freddo che non riuscivo a reggermi in piedi. Non ho potuto scaldarmi in tutto l’inverno, sono gelata fino alle ossa, spezzata in due dal freddo. (…) Sei ben crudele a rifiutarmi un asilo a Villeneuve. Non farei scandali come tu credi. Sarei troppo felice di riprendere la vita normale per fare qualunque cosa. (…) I manicomi sono fatti apposta per far soffrire, non c’è rimedio, specialmente quando non si vede mai nessuno. È il caso di dire che dovete essere pazzi. Quanto a me, sono così disperata di continuare a vivere qui che non sono più una creatura umana. (…) Non ho fatto quel che ho fatto per finire la mia vita come un numero in una casa di cura, ho meritato qualcosa di diverso."
Camille Claudel, da una lettera dal manicomio di Montdevergues alla madre.
“Tenetevela, ve ne supplico … ha tutti i vizi, non voglio rivederla, ci ha fatto troppo male”, così scrive la madre al direttore del manicomio senza riuscire a perdonarle le sue scelte anticonformiste. In trent'anni di internamento, Camille non ricevette mai una sua visita.
"Mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria, ed inoltre un'energia, un'immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta a un fallimento completo."
Paul Claudel
§
Sono precipitata in un baratro … Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo.
"Sono 17 anni che Rodin e i mercanti di oggetti d’arte mi hanno spedita a far penitenza nei manicomi. Dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita…
Il mio povero atelier, qualche povero mobile, qualche utensile che mi ero forgiata io stessa, la mia povera piccola casa eccitavano ancora la loro cupidigia! – L’immaginazione, il sentimento, il nuovo, l’imprevisto che nasce da uno spirito evoluto, tutto questo era loro precluso, a quelle teste murate, a quei cervelli ottusi, eternamente chiusi alla luce, per cui avevano bisogno che qualcuno gliela donasse. E lo ammettevano: “Ci serviamo di una pazza per trovare i nostri soggetti”.
C’è forse qualcuno che nutre almeno un po’ di riconoscenza per chi lo ha nutrito, che sa dare qualche risarcimento a colei che hanno depredata del suo genio? No! Un manicomio! È lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol fare sudare sangue…Mi si rimprovera (crimine spaventoso) di aver vissuto da sola, di passare la mia vita con dei gatti, di avere manie di persecuzione! È a causa di queste accuse che sono incarcerata come un criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e delle comodità più elementari. "
Camille Claudel in una lettera del 1918 al dottore che ha firmato il suo internamento
"Paul, fratello mio, portami fuori da qui… questo non è il mio posto e tu lo sai… Io so che farai di tutto per allontanarti da me, accetterai incarichi all’estero pur di liberarti di me… è così crudele… crudele...Mio caro Paul, devo nascondermi per scriverti e non so come farò a imbucare questa lettera. Perché, renditi conto, Paul, che tua sorella è in prigione. In prigione con delle pazze che urlano incessantemente, fanno smorfie, sono incapaci di articolare parole sensate. Ecco il trattamento che da quasi vent’anni s’infligge a un’innocente. Quando la mamma era in vita non ho mai smesso di implorarla di togliermi di qui, di mettermi in un posto qualsiasi, un ospedale, un convento, ma non in mezzo ai pazzi. Contavo su di te… mi avete trattata come un’appestata. Tu mi dici, Dio ha pietà degli afflitti, Dio è buono… Parliamone del tuo Dio che lascia marcire un’innocente in fondo a un manicomio."
dalle lettere di Camille Claudel al fratello Paul
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𝗟𝗢 𝗦𝗧𝗔𝗗𝗜𝗢
- 𝙋𝙧𝙤𝙡𝙤𝙜𝙤
"Si certo, prendiamo l'autobus... che palle. Poi il treno, gli orari? Che palle... Si si, allora partiremo molto prima... che palle. Hai visto quale metro prendete? Due?! Che palle... Per il ritorno? Ah non può? Aspetta chiedo al mio...
Papà..."
"Dimmi Gabri"
"Martedì c'è la partita di Champion, vado a vederla con i miei amici. Per te sarebbe un problema venirci a prendere a Milano, quando sarà finita?"
Sono stato tifoso. Quando essere tifosi, della mia squadra, dava tante soddisfazioni. In quello stadio, chiamato anche "La Scala del calcio", ci andavo ogni domenica o mercoledì di coppe. Probabilmente li sfogavo, gioendo delle vittorie, l'amaro di una vita in cui dovevo accontentarmi. Credo.
Comunque, mi ero ripromesso che se Gabriele ci fosse voluto andare, lo avrei accompagnato io la prima volta. Dove io ho passato ore senza pensieri lì ci sarebbe entrato con me. Io, suo padre.
E così me ne esco con: "Vi porto io, così ritorno a San Siro".
Con tanto di dito alzato al cielo
- 𝙇'𝙖𝙧𝙧𝙞𝙫𝙤
Ci siamo, dopo un viaggio dove l'autostrada ha dato il peggio si se con forti rallentamenti, arriviamo in zona quando i cancelli dello stadio sono già aperti da mezz'ora.
Parcheggi completi ovunque. Rassegnato invito i ragazzi a scendere e dirigersi allo stadio a piedi, circa 25 minuti di camminata.
Nel frattempo troverò un posto dove lasciare l'auto. Lo trovo. Stessa posizione del concerto di Weeknd (chi ha letto il mio racconto "Weeknd con il morto"su quella sera sa).
Mi avvio verso lo stadio, che non ho la più pallida idea di dove sia. Seguo ragazzi e adulti che indossano le maglie con i nomi di oggi e di ieri dei giocatori.
Fa caldo, 30° e afa. Ho lasciato casa mia con un 24° gradi e la freschezza dell'autunno.
Cammino e rantolo, passo veloce. Siri l'assistente digitale del mio iPhone si attiva e urla in mezzo a tutti: "Sessione FitHard Core, Ottimo! La salvo nel tuo allenamento settimanale?"
Imbarazzato le dico, sussurrando: "No"
Siri: "Dai, lazzarone, che l'ultimo allenamento ancora avevo l'aggiornamento iOS 15 e siamo al 17!"
Io "No, fatti i fatti tuoi"
Seguendo le maglie e passando attraverso un parco alberato sbuco davanti a lui: lo stadio.
Sento l'urlo "The Chaaaaampions" di tutto lo stadio, dovrei essere lì con Gabriele, padre fallito che sono. Ma non ho tempo di questi rimproveri, ho davanti a me proprio il gate d'ingresso che devo prendere.
- 𝙇𝙤 𝙨𝙩𝙖𝙙𝙞𝙤
Arrivo al primo controllo, un tipo sulla sessantina mi fa cenno di andare da lui: "Meh, tien l'accendin tu?"
"No" gli rispondo
"Meh, non fumm"
"No, ho smesso"
"Brav da quant?"
"Aivògghiie"
"Meh, pugiese pur'ttu"
"No, parl a' muzze"
"Meh, Ce sì bevùte, u leàndre?"
Mi fa passare, passo anche i tornelli per la vidimazione del biglietto.
Entro...
Guardo il numero del settore, lo vedo e mi dirigo a passo deciso.
Mentre cammino vengo puntato a distanza da un omone alto, tipica persona anglosassone che mi si avvicina, porta un cartellino appeso al collo che lo rende ufficioso.
"Excuse me, he's a Newcastle fan?"
"No, thanks" - Con tutte le risposte possibili vado a dire no grazie?!
"Excuse me but the English support sector is here"
"Oh no, sorry. I'm not English, mi rend cont che my clothing is from Royal Ascot, ma belive me, sto sudand come a caiman. If io sapevo I was dressing da murator. The soul of my dead ancestors"
Questo steward inglese comprende l'italiano e comincia a ridere, "Ok, man... ok" mi dice lasciandosi andare da quella compostezza seria, di chi è li per evitare contatti tra le tifoserie, a quella più divertita.
Salgo.
Salgo.
Salgo. Le scale sembrano non terminare.
Poi penso ai miei coetanei che ammiro su Facebook che fanno ferrate in montagna a quote elevatissime, chi fa camminate o corse lungo i fiumi partendo dalla foce e arrivando alle sorgenti.
Chi dalla Calabria attraversa a nuoto lo Stretto di Messina, si mangia una granita con brioche con il tuppo, per poi ritornare a nuoto sulla sponda calabrese e far ruttino. Come se nulla fosse.
Resisto, i messaggi di Gabriele arrivano a raffica:
Dove sei
Oh, ti aspetto
Quanto manc
Cominc
Oh pa' ndo stai?
Che palle
Sbuco nello stadio, devo salire le gradinate, vedo mio figlio.
Sembro Gesù Cristo sul Monte Calvario, grondo sudore e non sangue. Per fortuna. Anche se un polmone mi sa che è collassato.
I gradini dello stadio non me li ricordavo così irti, li facevo due alla volta quando stavo in curva. Adesso mi ricordo di quando salii sulla piramide di Chichén Itzá.
Devo guardare davanti a me, mi ripeto, altrimenti perdo l'equilibrio.
Alzo lo sguardo e noto che davanti a me non sta salendo un sedere femminile palestratissimo e perfetto, inguainato in un fusò aderentissimo.
No.
Credo di averlo percepito come un sedere nudo con la pelle colorata da fusò.
Però la motivazione mi ha aiutato. Arrivo in cima all'anello. Sono vicino a mio figlio. Questo conta. Lo guardo, lo ammiro. Sono contento per lui ha gli occhi che brillano di bello, di gioia. Con i suoi amici, nello stadio della sua squadra del cuore. Il resto è calcio, che si vinca o che si perda. Pazienza.
- 𝙇𝙖 𝙁𝙞𝙣𝙚
Finita la partita. Un pareggio Gabriele e i suoi amici mi guardano. Hanno la faccia perplessa del pareggio.
Li guardo e dico loro: "Potrebbe esser peggio"
"E come, una sconfitta?"
"No, potrebbe piovere"
Mi guardano, li guardo, si guardano.
La mia battuta del film Frankenstein Junior evidentemente non la conoscono, nonostante la mia espressione da Igor.
Le basi della filmografia proprio, dovrò spiegargliela in auto.
Che palle!
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Specchiarsi nelle fessure
Ieri pomeriggio, in compagnia di due mie care amiche, mi sentii nuovamente smarrita. Mentre parlavano di un lavoro che fino a non molto tempo fa coinvolgeva anche me, dopo una serie di notizie realizzai di essere stata una sciocca ad aver alimentato in cuor mio la speranza di poter ritornare in quell'ambiente nei prossimi mesi. "Ci sei rimasta male perché quella realtà ti rendeva davvero felice o perché ti avrebbe salvato dall'affrontare l'ignoto, conseguente alla seconda e ultima laurea della tua vita? Come pensi di riorganizzare allora il tuo immediato futuro, dato che tutte le tue certezze, speranze, progetti e sogni sono crollati poco alla volta nel corso di questi anni?" Mentre mi ponevo siffatti interrogativi, pesanti come le pietre di quella rocca lontana, meta della nostra passeggiata, la mia anima giaceva inerme, vuota e silenziosa, come il borgo castrense ivi custodito, assopito nella fredda aria di marzo, in attesa del tepore estivo e della folla di turisti. Perfino la mia interminabile tesi, oramai divenuta più un macigno che un diletto, sembrava scoraggiare ed impietosire il mondo esterno, il quale cominciava a vacillare e ad abbandonarmi nella torre delle mie scelte scellerate. Tuttavia, mi rifiutai di sprofondare nella mestizia e d'improvviso trovai conforto in quell'edificio senza tempo, divenuto oramai l'ipostasi dei miei recenti stati d'animo. Fu così allora che mi destai dall'inganno della disperazione, riconoscendomi nel saluto vispo di un corvo, nel canto degli ultimi pettirossi nascosti tra le fitte fronde, nelle sgargianti vesti dei fiori primaverili, in lotta con il freddo anomalo di questi giorni. Mi ricordai che la natura era da sempre stata la mia vera casa e che non avrei dovuto temere il cammino esistenziale che m'attendeva, sia perché non lo avrei affrontato da sola, sia perché mi avrebbe aiutato a scavare, non per sotterrarmi, bensì per piantare nuovi semi e rinascere. A quel punto, un timido sorriso ritornò sulle mie labbra e prima di raggiungere le altre fanciulle, mi fermai a contemplare la mia anima riflessa allo specchio: una piccola fessura irregolare e nascosta che, squarciando le tenebre murate, incorniciava un delizioso paesaggio lacustre.
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Sempre grazie a @italiasparita per il suo meritorio lavoro su una meno meritoria piattaforma (Tumblr).
Il villino è ancora in piedi, acquisito poi da Unicredit ed attualmente venduto, credo, a una catena albergiera.
Pare sia destinato ad ospitare, assieme ad altri villini storici del rione, l'ennesimo complesso di hotel di lusso (fonte: Roma Today). Uno del tipo deo tanti altri più o meno tutti simili (boutique hotel, ça va sans dire) che, con banche, centri direzionali e parchi giochi per ricchi e instagrammabili, si stanno dividendo il centro sempre più spopolato della nostra città.
Questo bell'edificio fu realizzato nel 1901 su progetto dell'architetto Carlo Pincherle, padre di Alberto Pincherle, meglio noto con lo pseudonimo di Alberto Moravia.
A commissionarlo fu il conte Giulio Rasponi Murat, discendente da una nobile famiglia emiliano-romagnola e di Gioacchino Murat, intrepido quanto temerario (e, a volte, scriteriato) generale di Napoleone che ne aveva sposato l'avida sorella Carolina. Giulio era figlio di Carlo Rasponi, il quale aveva servito come senatore del Regno d'Italia.
Ma è forse l'altro Carlo di questa storia, Pincherle, a poter catturare di più la curiosità del lettore perché insieme alla sua famiglia egli attraversò l'intera parabola della storia italiana tra Otto e Novecento, nonché quella della comunità ebraica nazionale.
Nato nel 1863 a Venezia da una famiglia di imprenditori ebrei laici e non praticanti, ebbe come sorella Amelia Pincherle.
Anche lei mente libera, intellettuale e scrittrice, la mia omonima sposò Giuseppe Emanuele Rosselli e fu madre di Nello e Carlo: proprio quei fratelli Rosselli che animarono la resistenza socialista di Giustizia e Libertà, e furono poi barbaramente uccisi in Francia da sicari del regime.
Carlo Pincherle, che sarebbe stato poi prozio anche della poetessa Amelia Rosselli, pure lei morta a Roma, dove la ricorda una bella lapide vicino a Santa Maria della Pace, si trasferì e lavorò nell'Urbe dal 1885.
Era l'anno in cui iniziavano le demolizioni sabaude per Roma, le prime delle quali furono al Ghetto: via Rua, Arco delle Azimelle, via Fiumara, ritratte e fotografate anche da Ettore Roesler Franz prima che sparissero, furono buttate giù.
Un'altra foto del conte Giuseppe Primoli, postata da Italia Sparita e che ho già condiviso, mostra bene lo sterrato che, nel 1890, si vedeva al posto del tratto oggi occupato dalla Sinagoga.
E Carlo partecipò anche a quel momento della Comunità: sottopose infatti la sua proposta al concorso con cui si voleva individuare il miglior progetto per il nuovo Tempio Maggiore di Roma, la Sinagoga, che data al 1904. A vincere la gara furono poi Costa e Armanni, autori della bizzarra (per il contesto) ma magnificente struttura in stile babilonese.
La vita di Carlo e dei Pincherle procedette poi di pari passo con le drammatiche vicende della comunità ebraica di Roma ed Italiana, fino alla morte, avvenuta nel 1944, durante l'occupazione nazista.
Carlo morì di malattia, una severa forma di aterosclerosi, e in un mondo come quello che gli accadeva attorno in quegli anni un male tanto terribile, ma naturale, fu forse un triste privilegio.
Suo figlio doveva essere poi uno dei più grandi scrittori del nostro Novecento, noto per capolavori come Gli indifferenti e La Ciociara ma, a mio avviso, più grande nei suoi brevi e sincerissimi Racconti Romani che, insieme alle opere di Pasolini, seppero narrare la Roma di quel tempo.
Roma. Villino Rasponi
#carlo pincherle#alberto pincherle#alberto moravia#roma#rome#italia#storia di Roma#edifici di Roma#storia#comunità ebraica#sinagoga di roma
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Manivald, a film by Chintis Lundgren
#film#short film#national film board of canada#chintis lundgren#animation#nfb#codependence#draško ivezić#terence dunn#pierre yves drapeau#trevor boris#tyrone benskin#france castel#drasko ivezic#jelena popovic#lise wedlock#mia murat#sam becker#nina gantz#torill kove
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“ Fu stabilito che andassi alla scuola pubblica; diversi giorni furono occupati con la preparazione di nuovi vestiti e fu acquistata una cartella di lucida pelle. Hacer faceva vassoi e vassoi di lokma, un dolce pesante e sciropposo, perché trentacinque anni fa era usanza che i nuovi alunni della scuola portassero dolci per gli altri scolari. Fui accompagnato a scuola, tronfio di importanza e di orgoglio, da mio padre. Fummo accolti all'ingresso dallo hoca, un maestro che si mostrava molto severo, o almeno così mi sembrò. In ogni caso mi dette una pacca sulla testa con sufficiente gentilezza, e le mie prime impressioni furono in qualche modo mitigate. Portava una grande barba nera accompagnata da un vestito nero e un sarik posato sulla testa. Lo seguimmo all'interno della scuola, che consisteva in un'unica aula. Non c'erano né cattedra, né sedie, né libri, insomma niente che facesse pensare a normali attività scolastiche. Trenta o quaranta ragazzi erano seduti a gambe incrociate su dei cuscini posati sul pavimento. Anche lo hoca si sedette sul pavimento, ma su un cuscino più grande e separato dai ragazzi. Murat, che lanciò uno sguardo acre allo hoca, portò dentro i vassoi di lokma e lo hoca sbirciò il contenuto dei vassoi, poi prese qualche lokma tra le dita e se lo sparò in bocca. Masticò estasiato, gli occhi sollevati al cielo, quindi ordinò a Murat di posare i vassoi sul pavimento mentre vi disponeva attorno i ragazzi. Mi fu detto di salutare mio padre e di baciargli la mano, cosa che feci sentendomi un po’ a disagio perché non mi piaceva lo hoca e non lo pensavo disposto a spingere più innanzi la sua familiarità. Mi fu assegnato un posto sul pavimento con gli altri e assistetti sconsolato alla partenza di mio padre e di Murat. Fui comunque richiamato presto all'attenzione da un rapido colpetto sulla testa del lungo bastone dello hoca. Quel bastone era lungo circa tre metri, il che permetteva al maestro di castigare qualsiasi ragazzo senza muoversi dal suo cuscino. Di quel giorno non riesco a ricordare neppure una lezione, e sono incline a pensare che non ve ne siano state, salvo occasionali letture dal Corano. Ricordo meglio il mio maligno piacere di quando il bastone dello hoca scendeva sulla testa di un qualche alunno sfortunato. Scendeva di frequente anche sulla mia e, per quanto velocemente cercassi di scansarlo, lo hoca era sempre più svelto di me. Altri ragazzi disobbedienti venivano posti nei vari angoli della stanza e fatti stare in piedi su una gamba sola e con le mani sollevate in aria. Sembravano estremamente buffi, ma cercavo di non dare sfogo alla mia voglia di ridere per paura che lo hoca mi ordinasse di rimanere in piedi nella stessa posizione. Era solito premettere ad ogni suo rimprovero l'invocazione Padişahım Çok Yaşa (lunga vita al mio sultano) e noi dovevamo ripeterla dopo di lui. Quella sera mio padre mi interrogò minuziosamente sulla scuola, dimostrando così di aver sofferto tutto il giorno del dubbio più atroce. Gliela descrissi, e notai l'occhiata che scambiò con la mamma. La nonna era enormemente indignata che quell’hoca ignorante avesse osato picchiare suo nipote. «Ahmet aveva ragione — dichiarò mio padre con fermezza —. Dev'essere mandato alla scuola francese a Gedik Paşa». Così terminò il mio primo e ultimo giorno di scuola pubblica, mentre Inci si lamentava per i vassoi di lokma, che evidentemente considerava fin troppo buoni per essere mangiati dallo hoca e dai suoi alunni. Si presero accordi con il preside della scuola francese, si ordinò per me una elegante uniforme grigia e si inserirono abbecedari e quaderni nella cartella di pelle. Nel settembre del 1914, un mese prima del mio sesto compleanno, cominciai di nuovo la scuola. La scuola francese era totalmente diversa da quella pubblica. Prima di tutto sembrava avere abbondanza di insegnanti e molte aule. Imparai a dire Bonjour, m’sieu’ o Bonjour, mam’selle a seconda del caso e a contare fino a dieci in francese. A scuola feci molti nuovi amici. La maggioranza degli scolari era turca, proveniente dallo stesso strato sociale dal quale provenivo io, ma c'era anche qualche francese e qualche armeno. Presto imparai ad andare a scuola da solo e per strada mi trovavo con gli amici. Ci inchinavamo l'uno all'altro e dicevamo in modo affettato Bonjour, mon ami. Comment allez-vous?, perché questo era il modo di scimmiottare i più grandi e di parlare francese in pubblico, cosa per noi elegantissima e da adulti. “
Irfan Orga, Una famiglia turca, postfazione di Ateş Orga, traduzione di Luca Merlini, Passigli Editori (collana Passigli Narrativa), Firenze, 2007; pp. 58-60.
[ Edizione originale: Portrait of a Turkish Family, Victor Gollancz Ltd., London 1950 ]
#Irfan Orga#Una famiglia turca#infanzia#citazioni letterarie#Letteratura del XX secolo#leggere#letture#libri#scuola#dissoluzione dell'impero ottomano#laicizzazione#laicità#letteratura turca del '900#letteratura d'esilio#società islamiche#secolarizzazione#Storia della Turchia#insegnanti#maestri#ricordi d'infanzia#civiltà ottomana#cultura ottomana#bambini#paternalismo
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* / JUNO SETS SAIL
good afternoon, juno members ! we hope you saw your itinerary posted for our caribbean cruise this weekend. we set sail in two days, so make sure you’re beginning to pack and don’t forget your sunscreen !! if you see below, you will find all cabin assignments for our trip.
CABIN ASSIGNMENTS
* these, much like the cruise itself, are optional and for fun !! while we will not be re-assigning rooms, you can discuss this ic or ooc with other muses and muns to reorganize. just because a muse is “assigned” to sleep in one room doesn’t mean that they will - and other single cabins are available upon request, as juno spared no dime on their HQ’s one month anniversary.
** these were assigned with answers to the google form in mind but randomizers and hand curation were also used; we did our best but these are flexible !!
*** additionally, do not feel obligated to send your muse on this cruise !! there will not be any further plot drops during the cruise but your muse is more than welcome to stay in miami for the duration of the weekend.
cyrus abadi & mia tuah
jared acker, nora alessi, & stephanie lopez
riley amanda & emma barrett
kennedy argete & hera volkov
lucifer barlow & hades volkov
reece bennett, toni daniels, & nicolette weylin
gracie bradford & willie october
summer cavanaugh & ben masters
mika peters & hunter miller
jordan hamada and jaden santos
kyu chwa, april song, & ollie jung
remy corbin, darika soroka, & nala martinez
frankie davenport & rahim santos
lee davies - single cabin
milo de leon & kit jennings
rana din, riott porter, & hasan osmani
hawk fowler, caine reyes, lane martinez, & monty brewer
seth gaspar & luca osuna
lennon grey, julien mackinnon, & nikhil mehta
bee hale & catalina paella
shane hart & ricky taylor
nike hargreeves & delcan michaels
andre harris & gianna rose
alex huntington, sammy kendricks, & marcos navarro
grey klein, jax wright, & ellie song
noah krause & jonas kimmich
kennie lee & tavia romano
theo lovewell & wybie yang
asaf murat & raven simmons
dante miller & angel shio
duke moore & piper sawicki
olivia powell - single cabin
nicki sholt, alycia james, aria locklear, & shay james
odessa tomlin - single cabin
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Spazio G43: iNGaBBiaTi CoN L'aRTe Mostra collettiva di Arte Contemporanea A cura di Enzo Correnti Inaugurazione 18 Aprile 2020 Spazio G43 - Via Garella,43 Prato Omaggio a Luca De Silva Dalla Collezione CORRENTI – RIPARI Grafica di _guroga ELENCO DEI PARTECIPANTI _guroga, Alessandro Giannetti, Alessandro Pucci, Alessandra Gereschi, Alfonso Caccavale, Antonella Sassanelli, Antonio Conte, Antonio De Rose, Antonio La Gamba, Associazione Culturale Art-Art Impruneta (Firenze), Articolo 31 (Titti Gaeta), Barbara Fluvi, Beatrice Capozza, Brigata Topolino, Barbara Neri, Bruno Cassaglia, Carla Colombo, Claudia Conte, BAU Contenitore di Cultura Contemporanea n° 09 (2012) e n°14 (2017), Claudia Garrocini, Claudio Romeo, Clemente Padin, Collettivo Dada Boom Viareggio (Laura Serafin, Mario Giannelli, Virginia Orrico, Giacome Verde, Alessandro Giannetti e Sara Bellandi), Dala (Dalila Lili Leonetti), Daniela Gentili, Daniela Leonetti, Daniela Mastromauro, Daniela Pisolato, Davide Cruciata, Domenico Severino, Enzo Correnti, Erica Romano, Eva Malacarne, Francesca Confessore, Francesco Alarico, Francesco Cornello, Fulgor C. Silvi, Glauco Di Sacco, Gennaro Ippolito, Horouna Sonare, I Santini Del Prete (Franco Santini e Del Prete Raimondo), Ignazio Fresu, Ilaria Pergolesi, Ina Ripari, Irene Giannetti, Ivette Berti, Ivy Junia Grace Wuethrich & Enzo Correnti, Jakob De Chirico, Laura Coniglione, Laura Balla, Laura Serafin, Lancillotto Bellini, Lars Schumacher, Lia Pecchioli, Luca De Silva, Luca Fani, Luca Serasini, Luce Fabbri, Lucia Longo, Lucia Spagnuolo, Luther Blissett, Leti Vanna, Maria Teresa Cazzaro, Mariano Bellarosa, Marta Brodowska, Mariano Lo Gerfo, Mauro Gazzara, Maurizio Follin, Mattia Crisci, Maya Lopez Muro, Meral Agàr, Mimmo Domenico Di Caterino, Monty Cantsib, Moreno Correnti, Morice Marcuse, Meral Agàr, Murat Onol, NaCosa Napoli (Valentina Guerra & Antonio Conte), Neo Reo, Nicola Bertoglio, Nina Todorovic & Enzo Correnti, Noemi Silvera, Patrizia Cerella, Progetto No Name (Sara KO Fontana & Dario Arrighi), Redazione SKEDA Metropolitana Prato 2014, Renata e Giovanni Strada, Rita Esposito, Risouke Cohen, Roberto Scala, Sabrina Danielli, Selene Correnti, Serse Luigetti, Simona Carletti, Simona Dipasquale, Simona Giglio, Skinaz (Mimicha Finazzi), Tania Passerino, Mail art Collettiva (VeitArt, Ina Ripari, Fabiola Barna, Cecilia Bossi e Mabi Col), Ubaldo Molesti, Vittore Baroni, Walter Correnti, Walter Pennacchi, Luca Granato, Laura Violeta Dima.Nella mia casa vicinissimo al Centro per l’Arte Contemporane L. Pecci a Prato, nella parte centrale dell’appartamento c’è un ingresso, dove ci sono ben 5 porte, è grande 210 cm x 180 cm, l’altezza è 260 cm. Chiuso in casa, per i noti motivi che tutti conosciamo, si può anche sopportare ma come artista sento il bisogno di fare qualcosa. Vi ricordo che da quando è iniziata questa quarantena da solo o con altri amici ho già organizzato tre eventi. Virtual Happening Boom “DADA SIEMPRE” a cura di Enzo Correnti ed Ivette Berti, in collaborazione con Officina Dada Boom e la collaborazione esterna e grafica di _guroga. In occasione dell’equinozio di Primavere ai tempi del Coronavirus Noi artisti REO-DADA abbiamo invitato gli artisti a compiere un’azione artistica, in cui il protagonista non sia il panico, ma al contrario il VIRUS sia l’ARTE. L’evento si è svolto dalle ore 09:00 alle ore 21:00 del 21 marzo 2020. https://www.facebook.com/events/686880731852745/ . Il secondo evento organizzato è stato: ENZO CORRENTI (l'uomo carta) Presenta “Noi DeL PRiMo aPRiLe (VIII edizione)” ZoNa RoSSa CoN-CoRoNa (eSSeRCi SeNZa eSSeRCi) Opere, installazioni, mail art e performance. Grafica della locandina di _guroga - Dalle ore 16:00 alle ore 20:00 - Prato, 01 Aprile 2020 MuSeo aLTeRNaTiVo DeL BiSeNZio (Pista ciclabile Gino Bartali, Riva dx , Mezzana, Prato). Dal 22 marzo 2020 inserendo foto di tutte le precedenti edizioni, le locandine dalla prima edizione risalente al 2008 e le successive edizioni e accompagnati da ironici post che spiegavano come arrivare al Museo Alternativo Bisenzio. Fino all’ANNULLAMENTO dell’evento avvenuto il 1 aprile 2020 https://www.facebook.com/events/209176410494925 e infine dal 6 /12 aprile 2020 Photo Virtual Happening MI MANCA… NON MI MANCA… A cura di Ivette Berti & Enzo Correnti - Grafica e collaborazione di _guroga Dopo giorni e giorni chiusi in casa senza potere uscire ci siamo chiesti: Cosa mi manca? Cosa non mi manca? Pubblicate le vostre foto scrivendo: MI MANCA… NON MI MANCA… https://www.facebook.com/events/585275775417404 …Cosi per continuare in questo mio impegno, per dimostrare che la reclusione non mi ha impedito di dedicare del tempo a quello che l’arte mi ha dato e mi da, ho deciso di fare una mostra di Arte Contemporanea in questo minuscolo spazio. Esponendo 260 opere di grande e piccole dimensioni di ben 111 artisti della Collezione Privata Correnti-Ripari. L’inaugurazione è prevista per giorno 18 aprile alle ore 18:00 con una breve diretta. Nei giorni successivi vi faremo visitare virtualmente l’evento, pubblicando nella pagina foto e brevi video. Enzo Correnti (l’uomo carta) #essercisenzaesserci #iononmiarresto #lartenonvainquarantena #arteresistente #agitazioneculturale #reodada #enzocorrenti #_guroga #veitart #photovirtualhappening #inaripari #spaziog43 #ingabbiaticonlarte
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Princess di Caterina Bonvicini Oggi siamo entrati nel porto di Taranto. Arrivare fino a qui non è stato semplice con due metri di onda e il ponte allagato. È cominciato lo sbarco, sarà lungo. Quattrocento persone sul ponte sono tante. Se fai cinque rescue in 72 ore non hai il tempo per conoscerle. Anche solo per preparare e distribuire i pasti ci vogliono delle ore. Quando non sei impegnato in cose pratiche, devi fare una scelta. Io l’ho fatta, ho scelto Princess (soprannome scelto da lei). Princess è ivoriana, ha cinque anni e sette mesi (ci tiene molto a specificare i mesi). Parla perfettamente francese. L’avevo già notata sul rhib, durante il primo dei cinque rescue, perché aveva un cappellino con gli strass, molto elegante. E io pensavo che la madre l’aveva vestita a festa per andare a morire in mare. La notte del soccorso la sua mamma era stata male e Princess era sempre rimasta nella clinica a tenerle la mano. Il giorno dopo abbiamo passato tutto il pomeriggio insieme. Invece di fare interviste in giro, sono stata a giocare con lei. Disegnava e io dovevo indovinare il soggetto. Non era per niente immediato, perché se no non c’era gusto. Disegnava cose stranissime apposta. Un arco arancione e dei raggi viola. Il sole al tramonto? No. Un’astronave? No. Era l’entrata di un giardino. Con gli scivoli. Dopo che ho indovinato, ha aggiunto le altalene. Le aveva tenute per ultime per non darmi troppi indizi. Poi mi ha detto che voleva vedere i delfini. Allora abbiamo giocato a chiamarli. “Venite, delfini”, gridavamo al mare, in francese. “Dauphins, venez! Venez ici! Venez, s’ils vous plaît!” Sono venuti sul serio, nel giro di due minuti. Io l’avevo detto per dire, per giocare a qualcosa. Ero stupefatta. Di solito, fra l’altro, i delfini si divertono a prua, non di fianco alle murate della nave. Invece davano spettacolo davanti a lei. Princess era in estasi. Continuava a gridare e a ridere di gioia: “Dauphins venez! Venez ici! Encore! Encore!“. E loro tornavano e saltavano, proprio sotto il suo naso, non in un altro punto. La sera stessa abbiamo fatto il secondo rescue. Quando sono scesa dal rhib, sono andata a salutare i nuovi ospiti, che andavano a unirsi ai precedenti. Ancora con casco, guanti e salvagente ho messo il naso dentro al container. Le donne arrivate nella notte erano ancora scosse dall’adrenalina, mentre quelle soccorse il giorno prima dormivano nascoste dalle coperte. Solo una testa è sbucata. E poi una mano, che mi salutava. Era Princess. Intelligente e curiosa, non si perdeva niente di quello che succedeva sulla nave. Quando è passata la guardia costiera libica, lei è venuta a dirmi in un orecchio: “Hai visto la nave dei libici? Sai che mi hanno messo in prigione?” Poi, sottovoce, a occhi bassi: “Picchiavano me e la mia mamma”. Le ho spiegato che in Libia non sarebbe tornata mai più. “Ti fidi di me, Princess? Mi credi?”. Lei ha fatto cenno di sì e mi ha sorriso. “Mi fido”, ha detto. Claudia Brandao, la giornalista portoghese dell’Expresso, le ha prestato la sua macchina fotografica. Princess ci ha messo un secondo a imparare e ha fatto un reportage dalla nave. Mi veniva ad aiutare quando distribuivo il cibo. Scartava centinaia di pacchi di biscotti, apriva scatole di barrette energetiche, riempiva bicchieri di the. E non faceva mica pasticci, era rapida e efficiente come una dell’equipaggio. Instancabile, anche. “Vuoi mangiare tu, Princess?” “No, prima finisco di lavorare”. Aspettava che anche l’ultima persona ricevesse biscotti, barrette e noccioline e poi si prendeva la sua razione. Le hanno dato un libro in francese, ne ha letto metà in una sera, da sola. Le avevo promesso di leggerglielo io, ma con tutti quei rescue era impossibile. Allora si è arrangiata, tanta era la sua voglia di leggere. Quando hanno dato l’annuncio dello sbarco, Princess era in braccio a me. Dalla nostra parte l’annuncio era in arabo. “Purtroppo non so l’arabo”, mi ha detto. “Neanch’io”, le ho risposto, “ma so cosa sta succedendo”. E le ho spiegato che stavamo andando a Taranto. Guardavamo la costa italiana insieme. Le hanno regalato un peluche, un leone. Lo ha chiamato Caterina. Le ho infilato il mio numero di telefono nei pantaloni del leone. L’ho dato anche alla sua mamma, ma di Princess mi fido, so che mi chiamerà. Spero che non venga ricollocata in un altro paese e che rimanga in Italia, magari vicino a me. Ci siamo incontrate in mezzo al Mediterraneo, nel modo più improbabile in cui due persone possono incontrarsi, non possiamo perderci a terra. Per favore, delfini, dauphins, s’ils vous plaît.
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Quarantine Archives
pensieri senza briglie, senza filtri e merletti.
<<Ti ricordi il sapore delle chewing gum alla cannella? Quelle lunghe! Quelle che ti facevano impazzire, perché erano cosi strane, tutto un tratto ti sentivi come in America, e poi dopo un po’ puzzava tutto di saliva.
Ti ricordi il profumo del disinfettante dei biberon, che faceva sentire come se tutto fosse a posto, come se niente mai ci avrebbe potuto spaventare.
Ed ora che odore senti? Ma li senti ancora gli odori?
Non dico quando mangi, ma dico, respiri ogni tanto?
Ci ingozziamo in apnea.
Fuori c’è un pericolo che non percepisco. Anzi lo sento qui più da vicino, dentro il mio ombelico. E’ lì che mi sento strana. Intorno al cordone ombelicale. E le ginocchia iniziano a farmi male. Cosa vorrà dire? Inutile descrivere la situazione… è una specie di incubo surreale di quelli senza senso che ricordi a tratti e non sai come vanno a finire. Forse siamo tutti caduti in un sonno profondo, in una fossa-sogno comune. In pratica, ti distrai un secondo e la storia del libero arbitrio va a farsi benedire su scala globale.
Da un giorno all’altro, tutto il mondo conosciuto è in quarantena, i social scoppiano di eresie e nel frattempo il signor Z. schiaffeggia il suo commercialista svenuto nel jet cargo appena atterrato all’aeroporto di un’ isola privata. Ho visto gli italiani cantare l’inno di Mameli sul balcone e a battere le mani senza sapere di cosa vivere domani e, sinceramente, mi avete commosso. E quindi è tipo Natale, super spesa apocalittica, tutti sul divano ad abbuffarci, ci si ubriaca in casa, intanto sbarcano gli alieni e si fanno le elezioni.
Esisterà il denaro domani?
Sarà tutto collegato al fatto delle cavallette?
E se domani mattina ci risvegliassimo con le porte murate come qualcuno a Berlino nel ‘61?
Quando rivedrò mia madre?
Non pensavo di poter riuscire a mangiare tanti biscotti. Mi verrà l’insonnia. >>
fonte foto: il Dubbio, Pinterest
rielaborazione: fattidifavole
#quarantena#liberoarbitrio#insonnia#covid#pandemia#berlino#paranoie#lungomare paranoia#misterZ#balconi#mameli#alieni#lockdown#cavallette#brooklyn#cinnamon#cannella
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Laureata giovanissima in flauto presso il Conservatorio Statale di Musica ‘Luisa d’Annunzio’ di Pescara, ha seguito corsi di perfezionamento in Italia, in Francia e in Germania con flautisti tra i quali Alain Marion e Conrad Klemm. Dalle prime partecipazioni ai festival musicali estivi (Spoleto, Roma, Bayreuth) si e’ velocemente unita ad alcune orchestre italiane e straniere (Orchestra Sinfonica Schleswig Holstein, Orchestra del Teatro all’Opera di Roma etc.). Ha fatto parte di numerosi Collettivi jazz (o di musica creativa ) tra i quali Da-i-Da Orchestra, Polaroid Orchestra, Associazione Musicisti Riuniti e Modigliani Suite Free Jazz Trio. Attiva nell’ambito dell’interdisciplinarieta’ artistica ha realizzato numerosi lavori di creazione e sonorizzazioni per eventi teatrali (Theatre de Nanterre e Friche de La Belle de Mai a Marseille )spettacoli di danza (Florence Dance Festival al Teatro Romano di Fiesole, Gaia Scuderi alla Limonaia di Villa Strozzi e Teatro Instabile di Firenze) spettacoli di mimo (con Bianca Francioni ) reading musicali (sonorizzazioni live al Caffè Letterario Le Murate di firenze in occasione di presentazione di libri ), perfomance di improvvisazione con visual performers (vernissage d’arte come ‘’studi aperti in via degli artisti’’ e mostre in italia e all’estero) Da febbraio 2014 entra a far parte del collettivo Improvvisatore Involontario.Dal 2015 è membro del Duo Hayet col virtuoso di oud algerino Hafid Moussaoui con cui si esibita in importanti festival rassegne ed è stata ospite di trasmissioni radio ( Terra Mia, Piazza Verdi su Rai Radio 3 , Orchestra Mediterranea ).Nel 2019 ,col Duo Hayet ha composto la colonna sonora della mostra Sguardi globali. Mappe olandesi, spagnole e portoghesi nelle collezioni del granduca Cosimo III de’ Medici”organizzata da Angelo Cattaneo e Sabrina Corbellini e , come solista ha partecipato al Convegno organizzato in occasione della Mostra , interpretando musiche di Bitti , Rousseau e Vivaldi.
Recentemente ha fondato l' Ensemble '' Shababik '' con l'Associazione Good World Citizen con cui è risultata vincitrice di un grant dalla Fondazione Anna Lindh Foundation per il Mediterranean Day che si è tenuto il 28 novembre 2022 a Firenze
Alcuni suoi brani , col Duo Hayet fanno parte della colonna sonora di '' La cinquieme saison'' del grande regista algerino Ahmed Benkalma per il Centro di Cinematografia dell ' Algeria.
L'artista sta proseguendo la sua attività con progetti interculturali, collaborando sia con l' Associazione Good World Citizen che con l'Università degli Studi di Firenze.Ultimamente ha partecipato insieme all' Associazione Good World Citizen ied il prof. Angelo Cattaneo ( Isem Cnr - Unifi ) ad un importante evento su Muhammad Al Idrisdi e il Mediterraneo organizzato dal Dipartimento Sagas - Unifi .Nel mese di maggio ha vinto un bando di concorso per un programma di mobilità della Anna Lindh Foundation con il progetto '' Voix Invisibles ''con una Residenza Artistica in Marocco insieme a Giulia Gallina , sound artist di Lisbona ,.
#cristinaitalianimusic#Lisboa#lisbona#duo#cinema#colonna sonora#voix#Flute#fluteplayer#marocco#annalindhfoundation#algeria#Italia
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Il fiore d’oriente
Il film muto Enis Aldjelis, die Blume des Ostens (Enis Aldjelis, il Fiore d’Oriente) venne girato ad Istanbul nel 1917 dall’austriaco Ernst Marischka, il regista diventato famoso per i tre film dedicati a Sissi, l’Imperatrice d’Austria, interpretata da Romy Schneider negli anni ‘50.
E’ incredibile che una troupe austriaca sia venuta, mentre era in corso la Prima Guerra Mondiale, nell’allora capitale dell’Impero Ottomano per realizzare un opera cinematografica di natura romantica.
Una valida testimonianza di come l’Arte riesca in qualche modo a superare il dramma dei conflitti bellici.
Durante la 47esima edizione dell’Altın Portakal Film Festivali di Antalya svoltasi nel 2010, parte del film venne musicato dagli artisti turchi Baba Zula e Murat Meric
Nella Istanbul dei primi del novecento che fa da sfondo alle vicende del film, sono riconoscibili moltissimi luoghi come Sultanahmet, Eminönü, la Torre di Galata, il Ponte di Galata e i moli dove le barche attendono i passeggeri per il trasporto lungo lo stretto del Bosforo.
Naturalmente, a causa degli impegni militari dell’allora Impero Ottomano, gran parte della popolazione di Istanbul non é presente ed é forte la sensazione che in ogni fotogramma sembra aleggiare lo spettro della guerra.
La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] Seguici anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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Hai mai fatto l’amore Con la tv accesa, Per risparmiare ai vicini Padroni di casa – L’imbarazzo; La gioia non celata Di due persone; Soprattutto donne (immagina il clamore!) Che vengono insieme? Vieni piano O i vicini sentiranno. Quell’anno fu il peggiore Un inverno doloroso – Menti e città piccole Stanze in affitto e letti stretti, Murate dentro dall’altrui Decoro E ogni volta sedendosi A tavola Trasmissioni a colazione Pranzo e cena La razione giornaliera Di oscenità. Hai mai Fatto l’amore con la tv accesa? Vieni piano O i vicini sentiranno. In una serata buia, Tovaglie autunnali stese per cena, Fuochi accesi. Nei giradini umidi Le foglie cadono In una serata buia Finalmente sole Un posto, affamate di desiderio In attesa, un fuoco arde Cademmo – La pelle in fiamme brucia – Cademmo fino in fondo Fino alla grazia, fino al pavimento. In una serata buia La notte viene dolcemente nei giardini umidi. Vieni piano O i vicini sentiranno. La bocca sul mio seno Le mani risuonano nella mia carne Al suono dell’angelus Dallo schermo della tv. L’angelo del signore Si annunciò a maria Ed ella concepì lo spirito santo La terra, il sole, e i mari. Ave maria santa maria. Sia fatto di me secondo La tua volontà Ave maria, e oh – La dolcezza del tuo respiro – Il respiro della tua dolcezza. Vieni piano O i vicini sentiranno. E il verbo si fece carne E rimase fra noi. Mani pelle bocca cosce Nel profondo della carne Risuonano, I campi sono inondati, Il sangue non scorre. Benedetta sia tu E benedetto sia il frutto Del ventre tuo. Dolce e amara La terra si apre, le stelle si scontrano. Dolce e benedetta, Il frutto Fra le donne Ave maria santa maria. Vieni piano O i vicini sentiranno. Quando il tg delle sei Rintoccò. Nelle fessure Della mente e delle ossa La marea mortale Si infiltra. La necessaria, Giornaliera litania. Vieni piano o i vicini Sentiranno. Fu trovata Su una panchina del parco vicolo capannone Sala da ballo cortile di scuola stanza da letto bar – Trovata con ferite da taglio multiple a Cosce seno e addome. Vieni piano vieni piano O i vicini… Mani legate dietro la schiena, Nessun segno di (bocche cucite) Nessun segno di Aggressione sessuale. Vieni dolcemente O i vicini ti sentiranno. I tuoi seni e il tuo ventre, Le tue cosce, Le tue mani dietro la mia schiena Il mio respiro nel tuo. Nessuno la sentì gridare. I tuoi occhi spalancati. Vieni piano o i vicini… Fu trovata Vicino al molo rive del fiume. Nell’appartamento di sopra, L’appartamento di lui Indossava un succinto… La tua bocca al mio orecchio. Vieni piano O i vicini ti sentiranno. Sangue sui muri E sulle lenzuola, Un succinto negligè, Nell’appartamento di lei. Spogliata fino ai fianchi. Vieni piano, vieni piano. Nessuno la sentì gridare – Vieni dolcemente o i vicini… Avevi mai fatto l’amore Con la tv accesa? – i vicini non sentirono niente – Era sempre stata – Nessuno avrebbe pensato – Sempre una ragazza tranquilla. Spogliate fino all’osso Sangue sulle nostre cosce Le mie mani dietro la tua schiena Vieni piano, vieni, Gambe intrecciate alle lenzuola Bocca a bocca Voci stravolte. Vieni dolcemente O i vicini sentiranno. Avevi mai fatto l’amore Con la tv accesa? Per risparmiare ai vicini Padroni di casa Le sue urla nelle nostre orecchie Venimmo… Nessuno la sentì gridare Il suo sangue sulle nostre mani Sì – Venendo, Non piano – Oltre il sopportabile; In faccia ai vivi A dispetto dei morti Dimenticando il clamore L’odio (immagina – La gioia Non celata Di due donne, Soprattutto Donne) Due donne Insieme – Finalmente sole Al calare della notte nei giardini umidi In una serata buia Con la tv spenta. Muori piano – Muori piani – O i vicini sentiranno.
Mary Dorcey, Vieni piano o i vicini sentiranno
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Questi sono gli ultimi giorni di convivenza con le mie coinquiline e io ne approfitto per spendere soldi su soldi, siamo andate a mangiare il sushi e mi sono comprata Piccole donne in una bancarella di libri usati dove avevo già comprato Il Maestro e Margherita cinque anni fa. Ieri intorno alle sei sono uscita per mancanza di aria insieme ad Adelina e siamo andate alle Murate dove c’erano dei tipi che cantavano De André. Ho bevuto del vino e il barista mi ha chiesto per cosa stava la scritta sulla mia maglia, gli ho risposto che era una canzone dei Baustelle e dopo cinque minuti di spelling se li è cercati e mi ha detto che se li ascolterà con calma a casa. Oggi ho lezione ma al momento mi leggo Q a letto e bevo caffè.
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Una gabbia stretta come il mondo la mia anima non l’aveva mai vista ricordo che vagavo tra i sistemi solari ricordo che mi mancava mio padre sto riflettendo pensavo alla libertà, bella invenzione non esistono uomini liberi non esistono donne libere esistono solo le volontà e le volontà si vestono elegantemente di vittoria o di sconfitta questo corpo mi sta stretto questo mondo è soffocante cambierò sistema solare una di queste notti tornerò dove viaggiare non è una questione di mete sono cresciuto tra verità murate e ho imparato a guardare tra le crepe ho visto tra le maschere impassibili del mondo il sorriso felice della realtà e la lacrima celata del sogno mi troverai nei fili di luce nel cigolio delle tue tapparelle nel girare il caffè al mattino apparirò nel vortice nero del tuo mischiare l’amaro con lo zucchero come quando dal primo bacio ogni bacio diventa ossigeno
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In un viaggio un turista domanda a un altro turista : -Ciao di dove sei?
L’altro risponde -Della Calabria.
E il signore gli dice -la regione del crimine, della 'ndragheta, di chi non lavora, dei ladri, ecc ecc
Il calabrese risponde sereno -Scusi, lei è 'ndraghetista?
E il turista risponde -No, io no, perché?
Perché se fosse sportivo mi avrebbe identificato con Gennaro Gattuso, Vincenzo Iaquinta, Francesco Cozza, Francesco Panetta, Simone Perrotta Se lei fosse musicista mi avrebbe identificato Con Rino Gaetano Mia Martini Loredana Berte' Sergio Cammariere. Se lei avesse viaggiato mi starebbe domandando del più bel Km d'Italia così definito da D'Annunzio, dei Bronzi di Riace, del Parco nazionale della Sila, delle spiagge più belle d'Italia, del Castello di Pizzo dove è stato prigioniero Murat, della bellezza di Tropea, delle Castella,di Capocolonna, del bergamotto,della 'nduia del vino e della cucina calabrese.
Se fosse più informato adesso staremmo parlando di Pitagora, Corrado Alvaro, Tommaso Campanella, Mattia Preti, ecc... La CALABRIA E' Dove i vicini sono parenti e ti offrono il caffé Dove andare a mangiare è sempre una festa Dove la domenica vai a casa di ospiti e devi portare Il vassoio di pasticcini Dove ti incontro per strada e ti abbraccio come se fossi tuo fratello Dove vedi giocare ancora i bambini per strada ecc Comunque vedo solo che conosce quello che le piace... Io voglio solo dirle che la Calabria è più di quello per cui certi ignoranti come lei che ci puntano il dito dicono. Noi calabresi siamo persone oneste, intelligenti, lavoratori, socievoli , allegri, orgogliosi,solari,fieri di essere calabresi e tante altre cose che non le vado a spiegare.
L'ho copiata ed incollata.
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