#metafore di vita
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diversamenteintelligente · 4 days ago
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(via VENTO)
Negli anni ho imparato la geodesia della mia vita, ho compreso la ciclicità con cui arriva quel vento.
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Ho dovuto essere forte quando non ne potevo più – Laura Neri. Recensione di Alessandria today
Autore: Laura NeriAnno di pubblicazione: —Genere: PoesiaValutazione: ★★★★★ La poesia Ho dovuto essere forte quando non ne potevo più di Laura Neri è un’intensa riflessione sulla resilienza femminile, sulla necessità di affrontare le difficoltà con coraggio anche quando la forza sembra esaurirsi. L’autrice esplora il tema della forza interiore che ogni donna deve trovare dentro di sé nei momenti…
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ilghila · 1 year ago
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"Tu come vivrai?": il viaggio dantesco di Hayao Miyazaki
Appena usciti dalla visione di “Kimi-tachi wa Dō Ikiru ka” (in Italia, seguendo il titolo inglese, “Il ragazzo e l’airone”) di Hayao Miyazaki, regna un silenzio contemplativo nella sala. Come un imperativo non detto: rimanere in silenzio alla fine di un’opera creata da un “ragazzino” di ottant’anni, che ancora oggi interpreta la realtà con gli occhi di un sognatore, la rivisita con la creatività…
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ideeperscrittori · 9 months ago
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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angelap3 · 5 months ago
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Che storia meravigliosa. La conoscevo, certo, ma ieri ho avuto il privilegio di ascoltarla direttamente da una persona legata all’ex proprietà. Una di quelle occasioni che ti fanno venire voglia di fermarti, ascoltare e, sì, prendere appunti.
Luisa Spagnoli e Giovanni Buitoni. Un amore che non avrebbe mai dovuto esistere, eppure è esistito. Segreto, proibito, ma inarrestabile, come ogni cosa vera. Lei, sposata, madre di tre figli, con quattordici anni di troppo per un mondo che non perdona. Lui, giovane, brillante, capace di vedere oltre. In lei, non solo una donna, ma un’idea, un atto di sfida. Da quella relazione impossibile nascono i Baci Perugina, che non sono mai stati solo cioccolatini. Sono l’amore che resiste, il manifesto di chi sceglie di vivere, nonostante tutto.
I bigliettini che Luisa infilava nei cioccolatini per Giovanni erano più che parole: erano vita, cuore, rivoluzione. Quei messaggi, diventati i cartigli, sono la prima forma di trigger emotivo nella storia del prodotto. Non è più solo cioccolato: è gesto, è storia, è amore che si racconta. È lì che nasce l’ancoraggio emozionale. Non compri un dolce. Compravi lei. Lui. Loro.
La scelta del nome, da “Cazzotto” a “Bacio”, è un caso lampante di reframing linguistico, dove il focus si sposta dalla rudezza al gesto romantico. Giovanni Buitoni intuì che il linguaggio non era solo descrizione ma percezione, e che un termine sbagliato poteva distruggere la magia. “Bacio” diventò così il frame perfetto: semplice, diretto, evocativo.
L’incarto argentato con stelle blu, disegnato da Federico Seneca, è semiotica visiva al suo massimo. L’argento grida preziosità, le stelle parlano di sogni, e i due amanti, ispirati a “Il Bacio” di Hayez, consolidano il frame emozionale. Non è solo un packaging: è una narrazione visiva che colpisce il cuore prima ancora del palato.
I Baci Perugina non sono mai stati solo cioccolatini. Sono pezzi di storia italiana, un intreccio di coraggio, imprenditorialità e comunicazione al massimo livello. Metafore visive, parole che restano, un equilibrio perfetto dove ogni elemento – nome, cartigli, packaging, campagne – parla la stessa lingua. Una storia d’amore privata che si trasforma in linguaggio universale. Non si vende cioccolato. Si vende un sogno. Un sogno che continua, immutato, a emozionare.
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crazy-so-na-sega · 6 months ago
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Una delle migliori metafore della vita-nel-mondo progressista è “la rotaroria” come espressione di “moto caotico perpetuo”: devi essere il più veloce ed il più arrogante, ogni forma di educazione (precedenza, freccia, rispetto corsia, velocità moderata) comporta soccombenza.
Adriel Diabole
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libero-de-mente · 18 days ago
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Il buio
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Oggi, dopo giorni di maltempo è uscito il sole. Luce, luce ovunque. Per questo motivo ho pensato al buio. Facendo un ragionamento un po' contorto se volete. Del resto da me cos'altro c'era da aspettarsi. Il buio. Quello metaforico, quello che nella nostra vita potrebbe arrivare all'improvviso. Ci si sente morti, come se sotterrati. Però ho pensato a un seme, che spesso anch'esso viene utilizzato nelle metafore della rinascita della vita. In ogni oscurità si nasconde un seme di luce: ciò che sembra una fine può essere l'inizio silenzioso di una rinascita, dove le radici si rafforzano nel silenzio prima di spingerti verso il sole. E oggi c'è il sole, nonostante dovrei vedere il buio sotto alcuni punti di vista. Non è uno sforzo semplice, tutt'altro. Ma del resto se non ci si aiuta anche con queste escamotage tutto sarebbe più difficile. Perché spesso, quando qualcuno è nel buio, in molti gli diranno che è possibile dissotterrarsi riuscendo a vedere la luce; non per il bene di chi è al buio ma per evitare loro il "disturbo" di doverli aiutare. Sono pochi quelli che, la loro mano, la usano per scavare e rimuovere la terra, per poi tenderla e dare una presa forte e sicura con cui tirare su una persona. Ecco perché mi sono reso conto che avevo smesso di credere in me stesso, nel momento in cui ho creduto troppo nel mio prossimo. Se riuscissimo a farci un po' di luce stando solerti e attenti questa sofferenza, inutile, del buio svanirà.
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ma-pi-ma · 3 months ago
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Einstein ha scoperto che il tempo e lo spazio
sono metafore
anche se ancora non so
cosa siamo io e te,
forse metafora di un'antica melodia dell'universo
prima della sua decomposizione.
Cristina Peri Rossi, da Il giro della vita
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ggpost · 1 year ago
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Il buio, il vuoto, il nulla: sono metafore di una dimensione ancestrale in cui la vita si ri-partorisce.. Se si accoglie il vuoto che gli abbandoni ci portano, gli addii sono fonte di progresso, di rinascita, di nuove occasioni di vita.. Se resistiamo, se rimpiangiamo, ci tormenteremo per anni.. Sì, bisogna toccare il fondo per ritornare a vivere..
- Raffaele Morelli
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tiaspettoaltrove · 1 year ago
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“Sei un pervertito come tutti gli altri”. No.
Bisogna chiarire alcune cose: in questo blog scrivo quello che voglio, quando voglio, come voglio, e per i motivi che voglio. Se voglio parlare del mio pene, lo faccio. Se voglio parlare della psiche femminile, lo faccio. Se voglio parlare della mia vena poetica, lo faccio. E così via. Questa mia libertà è sufficiente per associarmi a un pervertito? Lo trovo un ragionamento immaturo, se non addirittura infantile, puerile, fallace. Sono un pervertito? No, per i canoni odierni e per come viene immaginato e descritto un pervertito oggigiorno. Ho una spiccata fantasia, un erotismo innato che spesso mi accompagna, una passionalità intrinseca e introversa come il mio carattere. Pertanto da qualche parte, e nello specifico prevalentemente qui, in qualche modo viene fuori. L’utilizzo di certi vocaboli, di certe metafore/similitudini/allegorie, m’appassiona. Quindi, quando ne ho voglia, mi abbandono a questa pratica. Tutto ciò per dire che non ho bisogno di sotterfugi e mezzucci vari, per parlare del mio pene. Se la ruota gira, la lascio girare a prescindere. E con “ruota” non mi riferisco al mio pisello che fa l’elicottero. È un modo di dire. La libertà espressiva m’eccita mentalmente perché viviamo in una prigione dorata. Io parlo liberamente di tante cose, mica solo della mia sessualità. Siamo solo all’inizio, è un po’ presto per fare bilanci. Onestamente parlando, trovo molta (ma molta) più perversione in quasi tutti i prodotti di Hollywood (film e serie tv), piuttosto che nei miei testi. Comprendo che ognuno abbia un metro di giudizio diverso, ma stride che mi vengano dirette accuse palesemente prive di fondamento. Vuoi che scenda nei dettagli della mia vita privata? Be’, una cosa che non puoi sapere è che sono sessualmente vergine. Una scelta fatta anni addietro e a cui ho sempre mantenuto fede, per il semplice fatto che non ho trovato la ragazza che mi convincesse che il suo corpo valesse più della mia purezza. O meglio: che il nostro amore valesse più di quello per il mio tempio immacolato. Sarò molto esplicito: non me ne faccio nulla di una ragazza che apre le gambe pronta ad accogliermi, se poi non ci vado d’accordo. Se poi non è la persona che vorrei che fosse. Se poi non corrisponde ai miei desideri e alle mie richieste. Preferisco, piuttosto, eclissarmi. Tutelarmi, preservarmi, proteggermi. La vita non è il sesso, ragazze. E so che molte di voi non lo capiscono, ma il sesso molto spesso altro non è se non il mezzo più veloce per dimenticare. Per arrivare al culmine del piacere fisico senza fatica. Per sbrigarsi a godere. Tumblr è principalmente questo proprio per tali motivi. E io ne approfitto, ne cavalco certamente l’onda. Ma a modo mio, sempre, e mettendo i puntini sulle i. Perché si ritiene necessario. Perché è ovvio che amo le ragazze giovani (che belle), ma se m’imbatto in una quarantenne con un cervello sopraffino, mi dimentico di tutto il resto. Sono umano, ma la perversione in senso stretto la lascio agli altri. Io sogno, fantastico.
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diversamenteintelligente · 4 days ago
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VENTO
Lo sto sentendo arrivare, quel rumore tipico, quello del vento che sta per arrivare e muove tutto intorno, quello che mi fa scombinare cose, persone e situazioni, quello che mi fa annoiare delle cose che amavo e mi rende irrequieta, mi trasformo in una avanguardia alla ricerca di non so che. E’ un vento periodico, come i monsoni e le brezze costiere, che cambiano direzione stagionalmente o…
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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🔏 Strappa l’Eterno 🔏 – La poesia di Cinzia Rota tra dolore, libertà e rinascita. Recensione di Alessandria today
Cinzia Rota ci regala una poesia potente e viscerale, in cui il linguaggio diventa un atto di ribellione e di rinascita. Strappa l’Eterno è un viaggio interiore che affronta il tormento dell’essere umano, incatenato ai vincoli del tempo e della memoria, ma assetato di una liberazione che trascende il corpo e la mente. Un grido di emancipazione tra dolore e rinnovamento. La poesia si apre con un…
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t-annhauser · 8 months ago
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falloro/falloforia
fallòforo s. m. [dal gr. ϕαλλοϕόρος, comp. di ϕαλλός «fallo» e -ϕόρος «-foro»]. – Portatore del fallo nelle cerimonie orgiastiche della Grecia antica; anche, attore delle antiche farse popolari, che portava, oltre alla maschera, un fallo. (Treccani)
Quale sorpresa sarebbe per il greco antico venire a scoprire che duemicinquecento anni dopo il falloforo si manifesta all'intelligentissimo uomo del presente sotto le sembianze di un ignaro e frettoloso corriere della SDA.
Plutarco ci descrive le falloforie:
«in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi.»
(De cupiditate divitiarum, VIII, 527 D)
Nelle falloforie propiziatorie del raccolto, molto diffuse nel mondo agricolo dell'antica Grecia e poi in Italia e nei territori dominati dai Romani, le processioni con il fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d'uva, indirizzata verso i campi, che rappresentava l'eiaculazione del seme origine della vita e quindi propiziava l'abbondanza del raccolto.
Così, senza troppi giri di metafore, senza la scimmia della morale illuminista a pesargli sul groppone.
Naturalia non sunt turpia.
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valentina-lauricella · 7 months ago
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Sto leggendo i racconti di Feria d'agosto: per evitare di dimenticarli una volta letti, ne sto facendo degli stringati riassunti man mano che li vado leggendo. Se mi avessero assegnato questo compito quando andavo a scuola, lo avrei svolto con insofferenza. Adesso, invece, lo faccio con l'entusiasmo con cui si notano i segni particolari di una persona interessante, quelli che sembra ce ne facciano innamorare. Eccoli:
LA SERPE
Magia simbolico-ancestrale della parola.
FINE D'AGOSTO
La donna, volenterosa ma insufficiente oggettivazione dell'inesplicabile mondo che l'uomo si porta dentro.
VECCHIO MESTIERE
Nostalgia per la vita semplice, più naturalmente disciplinata e costruttiva, di una volta, desiderio che la vita scorra su binari predestinati di dovere, per aver diritto al piacere dell'entusiasmo per la vita stessa.
L'EREMITA
Un vedovo con un figlio preadolescente: quest'ultimo resta affascinato da un vagabondo e ne fa un momentaneo sostituto della figura paterna.
LA GIACCHETTA DI CUOIO
Un ragazzo vuole imparare il mestiere e la vita da un maturo barcaiolo, il quale però soffre per una donna che lo tradisce e si rovina definitivamente strozzandola e gettandola nel Po. Fine di un modello di vita. Anche i migliori si rovinano per le donne.
PRIMO AMORE
Un ragazzino fa a botte per difendere l'onore della sorella di un suo amico, che però amoreggia con uno molto più adulto di lui. Il primo amore, mai espresso nemmeno a sé stesso, gli fa venire il desiderio di mostrarsi coraggioso e adulto.
IL MARE
Il viaggio di un ragazzo, abitante di collina,  verso il mare che non ha mai visto; ma non lo vedrà, perché dopo due giorni di vita selvaggia sulla strada, incontra un amico più grande con il quale gli sembra naturale riavviarsi verso casa, dove lo aspettano.
IL PRATO DEI MORTI
In uno spiazzo fuori mano, vengono le persone a due a due: un assassino e la vittima. Parlano stancamente, come compiendo un rito; poi, avviene il delitto, come un evento in fondo risaputo. Il cadavere rimane solo sotto la luna. Ma una notte i morti sono due, vittime di due delitti: e allora, finché c'è la luce della luna, parlano tra loro, dicendo ciò che direbbero se fossero vivi. Racconto sospeso, surreale, magico pur nell'efferarezza dei gesti narrati.
SOGNI AL CAMPO
Descrizione dello stato d'animo di detenuti in un campo di lavoro, la cui vita vera si concentra nei sogni della notte, fino a mantenerli anche di giorno in uno stato di irrealtà. Un pezzo di bravura dove si cerca di esprimere sensazioni psico-fisiche familiari, ma intraducibili, come spesso accade in Pavese, con accostamenti e metafore letterariamente eleganti. Nulla dell'orrore è narrato, ma solo suggerito dallo stato di straniamento in cui vivono i prigionieri.
UNA CERTEZZA
Confessione virtuosistica dell'angolo (dell'abisso, dell'infinito) che Pavese ha dentro di sé, sicuro e assoluto, più importante di tutti gli avvenimenti che decide di vivere. Dice che è il sé stesso ragazzo, con cui andava d'accordo: è l'armonia dell'essere, l'integrazione delle sue varie componenti, che risulta invece frantumata nella vita successiva.
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scrivosempreciao · 8 days ago
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Lady Macbeth di Ava Reid
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3.5. Allora, mi sento un po’… delusa? Ma questa è una mia responsabilità: avevo delle aspettative IMMENSE per questo titolo. Troppo alte. Non voglio sminuire il lavoro di Reid e non lo farò mai, perché ho amato Juniper&Thorn, ho trovato molto interessante - anche se forse un po’ immaturo - A study in drowning e, ehi, è giovanissima e sta facendo un lavoro che dire pazzesco è dire poco.
Ma. Questo Lady Macbeth mi ha lasciata un po’… meh? Ma facciamo un passetto indietro e partiamo dagli aspetti positivi, dai.
Le premesse Un “retelling” della villain shakespeariana per eccellenza in chiave femminista, mistica e stregonesca? Per favore, è chiaro che mi ci sono tuffata non appena ho saputo la data d’uscita. L’idea di per sé è meravigliosa, si percepisce che Reid ha fatto le sue ricerche storiche e letterarie per produrre uno scritto che non fosse campato per aria ma che avesse delle basi ben solide nella tradizione di questa personaggia e del contesto in cui si muove.
Le streghe (aka questa vita è troppo breve per non parlare di streghe e di magia femminina) L’abbiamo capito, a Reid piace la componente magica e parlare di streghe. Possiamo fargliene una colpa? Io non gliela faccio di certo, perché ADORO leggere storie gotiche e dark con una forte componente magica associata al femminile e, in particolare, al percorso femminile di autodeterminazione, liberazione e riconquista del sé in un mondo che teme le donne inconsuete e potenti. E, a mio avviso, Reid sa trattare molto bene la componente magica: non è mai romanticizzata né resa troppo astratta o alta, è sempre qualcosa di estremamente vivo, vero, concreto, rintracciabile, effettivo. È la “spada” che le donne-streghe di Reid hanno per squarciare il velo di diffidenza, paternalismo e controllo che gli uomini gettano su di loro, dalla notte dei tempi.
Le streghe di Reid sono l’incarnazione del leitmotiv “Se incateni una donna, la accusi di essere una strega e la torturi per il suo desiderio di vivere, non ti lamentare se poi si rivela DAVVERO una strega pronta a giocare al tuo stesso gioco meschino e morderti le chiappe.”
Lo stile La scrittura di Reid è sempre potente, immaginifica, oscura, intima e intrecciata di metafore intense. A volte, anche troppo. In Juniper&Thorn, in cui il POV era in prima persona, poteva essere anche eccessiva, in alcuni punti. Qui abbiamo una terza persona limitata - molto introspettiva e che a volte diventa “onniscente” su alcune riflessioni - ed è più gestibile e contestualizzata. Bisogna saperla digerire, o piace o non piace. Io la apprezzo molto, forse addirittura di più nella sua descrizione di azioni o dialoghi che nei momenti introspettivi, ma è un grande sì per me.
Ok! Passiamo a ciò che mi ha fatto storcere di più il naso.
Lady Roscille Torniamo alla terza persona limitata molto introspettiva, che qui è usata per ricalcare in modo un po' più fedele lo stile di un copione teatrale - sempre di un retelling shakespeariano stiamo parlando. Sarò sincerissima: mi è parsa un po’ una paraculata, per dirla con un francesismo, per mescolare i pensieri interni di una diciassettenne nobile francese del XI secolo, che non potevano essere intrisi di chissà che spinta femminista, con la visione esterna molto girl power della narratrice. Uhm, questo mescolotto si percepisce e non è sempre azzeccatissimo, a mio avviso, per quanto ovviamente il tema mi sia molto caro. O meglio, non è che non sia azzeccato: è eccessivamente didascalico. In alcune pagine sembra di leggere manifesti-slogan che potrebbero saltare fuori senza problemi da una qualsiasi Instagram Stories di una attivista intersezionale del 2025.
Poi, passiamo alla caratterizzazione. Non l’ho adorata, ho trovato Roscille, a più riprese, molto incoerente e ondeggiante, continuamente a zig-zag tra l’essere una ragazzina spaesata e spaventata e l’essere Lady Macbeth. Reid vuole farci percepire, in qualche modo, che da quando Roscille mette piede a Glammis la componente stregonesca e brutale che è in lei trova sempre di più il suo spazio, ma è, appunto, una percezione. Un ‘tell’ con poco ‘show’, per dirla con termini forse un po’ inflazionati, un “ti dico che è così, tu fidati” anche se l’andamento di Roscille cambia di pagina in pagina, senza mostrarsi mai con chiarezza se non al 90% circa del libro, quindi verso la fine. E dire che in questo libro c’è tanta introspezione, ma… nulla, non sono riuscita a percepire davvero la profondità della protagonista. Mi è rimasta lì, in superficie, a oscillare di qua e di là, tra concetti di empowerment un po’ banalotti - non per importanza, ma perché è roba già vista e stravista - e momenti di grande incoerenza strategica e caratteriale.
Con, un enorme punto di svolta per il personaggio che avviene, appunto, verso il finale e in un modo un po’ repentino, tanto forzato a mio avviso, molto calato dall’alto perché a un certo punto bisognava correre verso una fine che fosse edificante e disruptive. Questo un po’ accade anche in Juniper&Thorn, il classico capitolo “spiegone” in cui la personaggia assume una consapevolezza nuova e poi spacca tutto, ma Marlinchen mostrava almeno una maggiore coerenza con se stessa anche nel resto del romanzo.
Scelte narrative in favore di trama Pensieri sparsi. Con spoiler, ovvio. SPOILER DA QUI IN AVANTI! Ho fatto una fatica micidiale a trovare un senso a tutto l’arco narrativo con Fleance. Non dico tanto sul finale, ma all’inizio, in quel tentativo di stringere un’alleanza. Il funzionamento dei poteri di Roscille è assai fumoso, tanto che io sono rimasta con in bocca la domanda “Ma perché tutto ‘sto casino quando avrebbe potuto usarli su Macbeth, su Tizio, su Caio e Sempronio fin da subito?” per tutto il libro. Tutta la scena go girl power go con le Tre Streghe, verso il finale? Moooolto tirata, soprattutto nei dialoghi e nei concetti. Il costante, per Roscille, essere impossibilitata quasi a muoversi e parlare liberamente quando è comodo alla trama per poi lasciarla libera anche di andare a zonzo nei boschi in altri momenti? La storia dei tre desideri? Interessante e senza dubbio importante all’inizio, ma poi lasciata un po’ lì?
Non so, non sono cose gravisssssime, per carità, ed è anche vero che con i retelling, soprattutto di favole o pezzi teatrali, ci si può prendere delle libertà maggiori, ma comunque mi hanno lasciata perplessa. FINE SPOILER!
Il finale Non mi dilungo perché qui davvero non voglio mettere spoiler neanche nascosti, ma dico solo questo: è affrettato, frettoloso, non del tutto soddisfacente. Stessa cosa accaduta con Juniper&Thorn, ma lì almeno ci venivano date parecchie pagine conclusive per contestualizzare meglio il “dopo”. Qui no.
L’elemento romance Eeeeee via con gli spoiler in questo caso, di nuovo. SPOILER DA QUI IN AVANTI! Ma perché 🥲 C’era bisogno? Ha aggiunto davvero qualcosa? Soprattutto se questa vuole porsi come una storia femminista di autodeterminazione, serve davvero l’altone occhi verdi e passato oscuro che sembra quasi a un certo punto fare da motore per la narrazione e quindi, le motivazioni, della protagonista? Ehi, sono la prima che si lascia incantare da qualche bacio e scopatina tra le pagine, ma in questo caso mi è parsa una stonatura. Un voler dare a tutti i costi alla personaggia una “stampella” narrativa per farla sentire accettabile, accettata, amabile e desiderata. Non entriamo nei dettagli di quella questione del drago e delle origini di Lisander perché, davvero, non mi sono chiare. Non perché non le abbia capite, ma perché mi è sembrato tutto un po’ buttato lì, per gettare carne sulla griglia e aggiungere spiegoni agli spiegoni. FINE SPOILER!
CIÒ DETTO! A me è piaciuto. L’ho letto volentieri, era da tanto che lo aspettavo e sono contenta di averlo nella mia libreria. Ma, mi aspettavo di più, molto di più, e una certa delusione, anche se minima, c’è stata. Continuerò comunque a stimare immensamente Ava Reid e ad aspettare con grande interesse altri suoi lavori.
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crazy-so-na-sega · 9 months ago
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Oggi il mondo è assai povero di simboli: i dati e le informazioni non possiedono alcuna forza simbolica. Nel vuoto simbolico si perdono quelle immagini e quelle metafore capaci di dare fondamento al senso e alla comunità, stabilizzando la vita.
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Byung-Chul Han
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