#meditazione in poesia
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pier-carlo-universe · 15 days ago
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Attimo di Wisława Szymborska: Un’invocazione alla permanenza del momento presente. Recensione di Alessandria today
La poesia di Wisława Szymborska è una celebrazione della quiete del momento presente, immerso nella bellezza naturale e nella riflessione sul tempo
La poesia di Wisława Szymborska è una celebrazione della quiete del momento presente, immerso nella bellezza naturale e nella riflessione sul tempo. In “Attimo,” Wisława Szymborska ci trasporta in un paesaggio naturale immerso nella tranquillità, dove il tempo sembra essersi fermato. La poesia, con il suo tono meditativo, esplora la percezione umana di un momento perfetto e immutabile, quasi…
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ilgiardinodivagante · 3 months ago
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Cos'è davvero l'uguaglianza? È come una chimera, un ideale che sfugge, un concetto che ognuno interpreta a modo suo. Da una parte, c'è chi grida al merito, alla gerarchia, a una sorta di legge della giungla dove vince il più forte. Ma il merito è davvero così oggettivo? Non è che spesso è il frutto di un gioco di carte truccato, dove alcuni nascono già con un asso nella manica? E poi, c'è chi, all'opposto, sostiene che siamo tutti uguali, punto e basta. Ma se siamo tutti uguali, che senso ha valorizzare le differenze? È come dire che un Picasso e un bambino di tre anni che scarabocchia un foglio sono sullo stesso piano.
Io credo che l'uguaglianza sia il fondamento di una società sana, ma non nell'accezione di un livellamento che annulla le individualità. È il diritto di ogni essere umano a partire da una linea di partenza equa, a poter sviluppare i propri talenti, a non essere giudicato per l'origine, il colore della pelle o le preferenze sessuali. Ma questo non significa che tutti debbano fare lo stesso lavoro o raggiungere gli stessi traguardi. Un medico e un poeta hanno ruoli diversi, ma entrambi sono essenziali per la nostra società.
Il problema nasce quando confondiamo l'uguaglianza con l'uniformità. È come se volessimo tutti indossare la stessa taglia di scarpe, senza renderci conto che ognuno ha un piede diverso. Certo, possiamo creare delle scarpe standard, ma poi ci saranno sempre quelli a cui stringono e quelli a cui sono larghe.
La meritocrazia, se intesa nel modo giusto, può essere un motore di crescita. Ma deve essere una meritocrazia inclusiva, che non lasci indietro nessuno. È illogico pensare che un bambino cresciuto in un ambiente privo delle risorse fondamentali possa, senza alcun supporto, raggiungere gli stessi risultati di un suo coetaneo cresciuto in un contesto privilegiato. Dobbiamo creare delle reti di sostegno, delle rampe di lancio per chi parte svantaggiato.
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E poi c'è la questione della libertà di espressione. Certo, ognuno ha diritto a dire la sua, ma non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. Un'idea ben argomentata, frutto di una profonda riflessione, è diversa da un'opinione buttata lì tanto per dire. E non dimentichiamo che la libertà di espressione ha dei limiti. Non possiamo gridare al fuoco in un cinema, né diffondere notizie false che possano danneggiare gli altri.
Per costruire una società più giusta ed equa, dobbiamo prima di tutto affrontare le contraddizioni e le sfide che ci troviamo ad affrontare. Come possiamo conciliare il principio di uguaglianza con quello di meritocrazia? Viviamo in un'epoca contraddittoria, dove si invocano i valori di pace e fratellanza, ma si perpetuano le disuguaglianze. Più parliamo di uguaglianza, più il divario tra ricchi e poveri sembra allargarsi.
Ci chiediamo allora: vogliamo davvero una società più equa? E se sì, perché le nostre azioni non corrispondono a questo desiderio? Siamo disposti a mettere in discussione i nostri privilegi per costruire un futuro più giusto? Le risposte a queste domande sono fondamentali per definire le azioni concrete che dobbiamo intraprendere.
Insomma, la strada verso l'uguaglianza è lunga e tortuosa. È un percorso che richiede impegno, dialogo e soprattutto onestà intellettuale. Dobbiamo essere disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, a uscire dalla nostra comfort zone e ad ascoltare le ragioni degli altri. Solo così potremo costruire una società più giusta e più equa, dove ognuno possa realizzarsi e trovare il proprio posto.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Non sono nata per essere ragionevole. Sono nata per amare, per essere felice, per odiare, per immaginare, per inventare, per capire e anche, di tanto in tanto, per essere ragionevole, ma non devo essere ragionevole. Essere ragionevole vuol dire adattare i propri pensieri a quel che gli è contrario; modificare e distorcere la propria intelligenza per assecondare i desideri altrui. La mia ragionevolezza è diversa da quella di un altro. La ragione pretende la felicità. La ragionevolezza tende al possibile. La felicità non può essere catturata dal possibile. La felicità è l’avvento del miracolo. Il miracolo produce la virtú e la grazia, non viceversa. “
Patrizia Cavalli, Con passi giapponesi, Einaudi, 2019¹; p. 132.
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aryiae · 1 year ago
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Sentirsi forti, con le radici ben piantate al centro della Terra*
Aryiae
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lorenzospurio · 8 months ago
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"Il poeta danzante. Vita, opere e insegnamenti del mistico Rumi", saggio di Giuseppe Guidolin
Recita un antico proverbio turco: “Vedi il mondo, ma vedi soprattutto Konya”. Konya, città di cupole e minareti, è situata al centro della penisola anatolica, nella regione della Galazia, su un altopiano stepposo posto a circa 1000 metri d’altezza. Abitata sin dal III millennio a.C., da sempre ha esercitato un fascino particolare, capace di attirare ed incantare generazioni di viaggiatori.…
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moscanna · 9 months ago
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Poesia + Poem On Paralisys
* io giaccio senza gambe e senza tronco un albero tagliato e gettato al suolo di un letto d’ospedale bianco tra nuvole ============ * I lie without legs or torso a tree severed thrown to the bottom of an hospital bed white among clouds .
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gaiainthejourney · 1 year ago
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A occhi chiusi,
nuotando in un mare
di luce calda e solare,
inspiro aria bianca che lava via
i granelli di polvere nera
che pesano
sul cuore
che soffocano
i polmoni.
Una risata divina
riecheggia nell’anima pulita.
Il mondo è in me e io sono
nel mondo:
gli atomi del mio corpo vibrano
sulle stesse note
del canto degli uccelli.
Le tende di casa garriscono al vento
come un battito d’ali che mi porta fin lì
dove fili invisibili e ombre
di significato
soffiano vita nella materia.
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susieporta · 1 year ago
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DECALOGO DEL 7 SETTEMBRE
1.
Non vivere di lato al tuo destino, ma dentro, sempre più dentro, qualunque sia.
2.
Sentire qualcuno che dice tutto e lo dice subito. Qualcuno che si espone ma poi ti sa parlare di Leopardi, di Spinoza, di Platone.
3.
Gli incontri belli si svolgono nelle zone di confine tra l'intimità e la distanza. Sono i luoghi dove vive la lingua, dove cerca le cose, le nomina, prova a portarle a casa.
4.
Non fidarsi troppo delle proprie incertezze, spesso sono più grandi quelle degli altri. Abbiamo mancato tutti tanti momenti che potevano essere belli per colpa delle nostre incertezze, per la paura di non piacere abbastanza.
5.
Alcuni viaggiano nel mondo sotto il peso delle delusioni che hanno avuto. Le delusioni che abbiamo dato sono puntualmente ignorate.
6.
Gli organi non sono gelosi, un seno non si spiace che stai toccando la schiena.
7.
I paesaggi belli ti danno un piacere di pochi secondi, solo gli esseri umani mettono in movimento il buio che abbiamo dentro, lo spaccano, fanno di nuovo salire una luce da sotto.
8.
Una bella poesia, una grande meditazione filosofica, ma poi serve il corpo, serve il profumo del corpo come fissante, altrimenti si resta nella peste delle parole senza desiderio, nel vuoto esercizio dell'intelligenza.
9.
I dialoghi belli sono pieni di pendenze, si scivola da ogni parte, in un bacio, nella foga della lotta, nel mistero della morte.
10.
Tu pensi: ma questo mi poteva trattare meglio, poteva essere più chiaro, più attento. Prendere piccoli sgarbi e amplificarli, stenderli sulla tavola della giornata fino a occuparla tutta. È facile cadere in questa tentazione. Forse metà della nostra vita si consuma così per colpa della disattenzione. Non esiste l'inferno, esiste la disattenzione.
Franco Arminio
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schizografia · 1 year ago
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L’eredità del nostro tempo
La meditazione sulla storia e la tradizione che Hannah Arendt pubblica nel 1954 porta il titolo, certo non casuale, Tra passato e futuro. Si trattava, per la filosofa ebreo-tedesca da un quindicennio rifugiata a New York, di interrogarsi sul vuoto tra passato e futuro che si era prodotto nella cultura dell’Occidente, cioè sulla rottura ormai irrevocabile della continuità di ogni tradizione. È per questo che la prefazione al libro si apre con l’aforisma di René Char Notre héritage n’est précédé d’aucun testament. In questione era, cioè, il problema storico cruciale della ricezione di un’eredità che non è più in alcun modo possibile trasmettere.
Circa venti anni prima, Ernst Bloch in esilio a Zurigo aveva pubblicato col titolo L’eredità del nostro tempo una riflessione sull’eredità che egli cercava di recuperare frugando nei sotterranei e nei depositi nella cultura borghese ormai in disfacimento («l’epoca è in putrefazione e al tempo stesso ha le doglie» è l’insegna che apre la prefazione al libro). È possibile che il problema di un’eredità inaccessibile o praticabile solo per vie scabrose e spiragli seminascosti che i due autori, ciascuno a suo modo, sollevano non sia per nulla obsoleto e ci riguardi, anzi, da vicino – così intimamente che a volte sembriamo dimenticarcene. Anche noi facciamo esperienza di un vuoto e di una rottura fra passato e futuro, anche noi in una cultura in agonia dobbiamo cercare se non una doglia del parto, almeno qualcosa come una parcella di bene sopravvissuta allo sfacelo.
Un’indagine preliminare su questo concetto squisitamente giuridico – l’eredità – che, come spesso avviene nella nostra cultura, si espande al di là dei suoi limiti disciplinari fino a coinvolgere il destino stesso dell’Occidente, non sarà pertanto inutile. Come gli studi di un grande storico del diritto – Yan Thomas – mostrano con chiarezza, la funzione dell’eredità è quella di assicurare la continuatio dominii, cioè la continuità della proprietà dei beni che passano dal morto al vivo. Tutti i dispositivi che il diritto escogita per sopperire al vuoto che rischia di prodursi alla morte del proprietario non hanno altro scopo che garantire senza interruzioni la successione nella proprietà.
Eredità non è forse allora il termine adatto per pensare il problema che tanto Arendt che Bloch avevano in mente. Dal momento che nella tradizione spirituale di un popolo qualcosa come una proprietà non ha semplicemente senso, in questo ambito un’eredità come continuatio dominii non esiste né può in alcun modo interessarci. Accedere al passato, conversare coi morti è anzi possibile solo spezzando la continuità della proprietà ed è nell’intervallo fra passato e futuro che ogni singolo deve necessariamente situarsi. Non siamo eredi di nulla e da nessuna parte abbiamo eredi ed è solo a questo patto che possiamo riallacciare la conversazione col passato e coi morti. Il bene è, infatti, per definizione adespota e inappropriabile e l’ostinato tentativo di accaparrarsi la proprietà della tradizione definisce il potere che rifiutiamo in ogni ambito, nella politica come nella poesia, nella filosofia come nella religione, nelle scuole come nei templi e nei tribunali.
31 luglio 2023
Giorgio Agamben
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milleeunoframmenti · 1 year ago
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Mille e uno frammenti
Benvenuti in questo spazio di espressione. Questo post vuole essere una breve descrizione introduttiva e, in quanto tale, si evolverà con me. Indi per cui, se mai rileggendo queste righe le troverete cambiate, non dubitate di voi stessi, perché saranno effettivamente diverse. Cresceranno insieme a me.
Scrivere è da sempre la mia naturale forma di comunicazione, con me stessa e con gli altri. A volte le parole mi giungono in rima, sin da piccola sperimento la poesia. Nell'infanzia scrivevo per tutti, poi impaginavo quei piccoli versi, li ornavo di una cornice colorata e la consegnavo alla persona di interesse. A pensarci oggi, provo molto tenerezza per questa dolce parte di me, verso cui a volte sono stata negligente.
Negli anni dell'adolescenza purtroppo persi la mia capacità di mostrarmi vulnerabile agli altri, a volte persi persino le parole. Proprio in quel periodo iniziai a nominare le poche rime che riuscivo a comporre come frammenti, pezzi che si strappavano da me e cadevano lungo la via. Forse affinché un domani potessi guardare indietro e ritrovare la strada, come Gretel.
Negli ultimi tempi ho iniziato a collezionare tutti i miei scritti ed ho cercato di riconnettermi con la piccola Gaia cominciando a scrivere un diario o Journal. Trovo l'inglese molto più efficace per quanto riguarda gli studi di genetica e psicologia, per volta anche per esprimere meglio termini legati alla crescita personale, alla meditazione e alla spiritualità.
Come la collezione di caramelle mille gusti più uno, assemblo i miei preziosi milleeunoframmenti. Sì, sono anche io una inguaribile potterhead.
Da sempre dicono che le mie riflessioni possano smuovere forti sgomenti interiori. Io credo che se anche una sola delle mie parole può aiutare qualcuno a processare e unire i propri di frammenti, allora il mio dharma è compiuto. Credo profondamente che ognuno di noi possa dare forma al mondo e che quindi bisogna assumersi responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni. Sfortunatamente non sono dotata dell'autostima necessaria per espormi pubblicamente sui temi che mi stanno a cuore. Però, in questa pagina, io proverò a dare il mio contributo. Condividerò non solo le mie riflessioni, ma anche i libri e gli eventi quotidiani e/o di cronaca che mi portano ad un profondo dialogo interiore.
Se anche solo uno di voi lettori troverà conforto nelle miei parole o uno stimolo per soffermarsi a migliorare sé stessi, semplicemente ne sarò felice.
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ilcercatoredicolori · 1 year ago
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DECALOGO DEL 7 SETTEMBRE
1. Non vivere di lato al tuo destino, ma dentro, sempre più dentro, qualunque sia.
2. Sentire qualcuno che dice tutto e lo dice subito. Qualcuno che si espone ma poi ti sa parlare di Leopardi, di Spinoza, di Platone.
3. Gli incontri belli si svolgono nelle zone di confine tra l'intimità e la distanza. Sono i luoghi dove vive la lingua, dove cerca le cose, le nomina, prova a portarle a casa.
4. Non fidarsi troppo delle proprie incertezze, spesso sono più grandi quelle degli altri. Abbiamo mancato tutti tanti momenti che potevano essere belli per colpa delle nostre incertezze, per la paura di non piacere abbastanza.
5. Alcuni viaggiano nel mondo sotto il peso delle delusioni che hanno avuto. Le delusioni che abbiamo dato sono puntualmente ignorate.
6. Gli organi non sono gelosi, un seno non si spiace che stai toccando la schiena.
7. I paesaggi belli ti danno un piacere di pochi secondi, solo gli esseri umani mettono in movimento il buio che abbiamo dentro, lo spaccano, fanno di nuovo salire una luce da sotto.
8. Una bella poesia, una grande meditazione filosofica, ma poi serve il corpo, serve il profumo del corpo come fissante, altrimenti si resta nella peste delle parole senza desiderio, nel vuoto esercizio dell'intelligenza.
9. I dialoghi belli sono pieni di pendenze, si scivola da ogni parte, in un bacio, nella foga della lotta, nel mistero della morte.
10. Tu pensi: ma questo mi poteva trattare meglio, poteva essere più chiaro, più attento. Prendere piccoli sgarbi e amplificarli, stenderli sulla tavola della giornata fino a occuparla tutta. È facile cadere in questa tentazione. Forse metà della nostra vita si consuma così per colpa della disattenzione. Non esiste l'inferno, esiste la disattenzione.
Franco Arminio
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pier-carlo-universe · 8 days ago
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Restiamo presso il lago di Antonia Pozzi: Una poesia di amore e quiete interiore. Recensione di Pier Carlo Lava
Un’immersione nei sentimenti pacifici e nelle immagini naturali che ispirano pace e amore.
Un’immersione nei sentimenti pacifici e nelle immagini naturali che ispirano pace e amore. Recensione: La poesia Restiamo presso il lago di Antonia Pozzi è un’ode alla quiete, alla connessione profonda tra due anime e alla bellezza della natura. Scritta nell’agosto del 1930 a Silvaplana, un luogo amato dalla poetessa per la sua serenità e bellezza naturale, questa poesia si distingue per…
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ilgiardinodivagante · 2 months ago
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Il silenzio è un abisso, un oceano profondo dove affondano le parole, eppure è in questo abisso che a volte si trovano le verità più limpide.
C'è un silenzio che è come un giardino segreto, dove due cuori si incontrano e fioriscono. È un'armonia che nutre l'anima, un'intesa profonda che non ha bisogno di parole. Un sapere profondo, un'empatia che ti fa sentire come se stessi leggendo nel pensiero dell'altro. È il silenzio di due anime che si riconoscono, che condividono un linguaggio segreto fatto di sguardi, di sorrisi, di gesti impercettibili. In questo silenzio, tutto è già detto e compreso. Non ci sono dubbi, non ci sono paure, solo un'immensa fiducia. È come navigare su una stessa barca, verso la stessa stella.
E poi c'è un altro silenzio, un silenzio che gela l'anima. Si insinua lentamente o arriva improvviso e violento. È il silenzio di due mondi che si scontrano, di due navi che navigano in direzioni opposte. In questo silenzio, ogni domanda è inutile e ogni risposta è già scritta. È il silenzio che ci suggerisce che è tempo di andare via senza voltarci indietro.
Come distinguere questi due silenzi? È semplice: dal desiderio che lasciano dentro. Il primo ti attira a sé, ti fa sentire completo. Il secondo ti respinge, ti fa sentire inadeguato. È come l'acqua: una ci disseta, l'altra ci annega.
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Quando il silenzio è del primo tipo, nasce un legame indissolubile, un amore che trascende il tempo. È un tesoro nascosto, da custodire con cura. Quando il silenzio è del secondo tipo, è meglio voltare pagina. Non ha senso insistere, è come cercare di incollare i cocci di uno specchio: si può fare, ma 'immagine sarà sempre distorta.
In entrambi i casi, il silenzio è un maestro. Ci insegna a conoscerci, a capire gli altri, a vivere il presente. È nel silenzio che troviamo le risposte alle nostre domande, che scopriamo chi siamo veramente. Possiamo ascoltare la nostra anima, la nostra voce più profonda.
Quando incontriamo un silenzio che ci fa sentire vivi, che ci unisce a un'altra anima, difendiamolo con tutte le nostre forze. Quando invece incontriamo un silenzio che ci fa sentire soli, è arrivato il momento di lasciar andare. Non dobbiamo aver paura di dire addio, perché solo così potremo fare spazio a nuove connessioni.
Ma il silenzio può essere un potente alleato anche nel nostro dialogo interiore. Se ci mette a disagio, è un segnale che stiamo evitando parti di noi. Potremmo cercare di riempirlo con un flusso incessante di pensieri per non affrontare le nostre paure o insicurezze. In questo caso, il silenzio diventa un luogo di menzogna, un palcoscenico dove recitiamo una parte che non ci appartiene.
Al contrario, quando il silenzio interiore è sereno e accogliente, significa che abbiamo fatto pace con le nostre parti più profonde. Abbiamo accettato i nostri limiti e le nostre fragilità, senza giudicarci. In questo silenzio, troviamo una verità autentica, una connessione profonda con il nostro sé più autentico.
Così come nel silenzio con gli altri possiamo distinguere l'amore dalla paura, anche nel silenzio interiore possiamo distinguere l'accettazione dalla negazione. Quando il silenzio ci unisce a noi stessi, è un dono prezioso da custodire. Quando ci allontana, è un invito a fare i conti con noi stessi e a intraprendere un percorso di crescita personale.
Quindi, abbracciamo il silenzio, coltiviamolo. Non lasciamo che le parole lo soffochino, non lasciamo che i rumori lo disturbino.
Le parole sono solo un sentiero, è il silenzio la nostra casa. Sia che la abiteremo insieme ad altri o che, una volta entrati, ricominceremo da soli, il silenzio è la meta finale di ogni comunicazione autentica. È nel silenzio che troviamo la verità, la comprensione e, talvolta, l'accettazione della nostra solitudine.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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chez-mimich · 1 year ago
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NOVARA JAZZ 2023 DIARY: VEYRAN WESTON, PULTZ-MELBY, JOE MCPHEE, MILITELLU AVERY FLATEN TRIO, CHICAGO SAO PAULO UNDERGROUND E BUCUC
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La Chiesa di San Giovanni Decollato ad Fontes ha ospitato il primo concerto nell’ultima giornata di Novara Jazz. Si tratta del concerto di Veryan Weston sull’organo Biroldi, recentemente restaurato, con una composizione appositamente creata per il Festival: si tratta di “Tessellation V for Tracker Action Organ - The Sacred Geometry of Sound.” Ed è subito incanto quando le canne dell’organo cominciano a veicolare l’aria. Una composizione assai articolata, basata sulle scale pentatoniche e molto variegata, che restituisce sonorità non proprio consuete per un organo chiesastico. Il secondo concerto della giornata è il “solo” di Adam Pultz-Melby all’interno della Galleria Giannoni e, “comme d’habitude” dinnanzi al quadro di Filiberto Minozzi, “Sinfonia del mare” del 1909. Un assolo che definire molto particolare sarebbe dire l’ovvio. Adam Pultz-Melby, danese che vive e lavora a Berlino, dall’aspetto ascetico stupisce subito il foltissimo pubblico con una meditazione yoga pre-concerto. Ma quando le corde del contrabbasso cominciano a vibrare lo stupore è ancora maggiore: poche note dalla durata infinita, ripetute è leggermente variate. Si potrebbe definire una struggente ripetizione che sembra non avere fine. Corde fatte vibrare fino ad esaurirne ogni possibilità. Poi si passa al primo concerto del pomeriggio che è un altro “solo” quello di Joe McPhee, nella Chiesa del Carmine nel cuore di Novara. Prima però la consegna della “Chiave d’oro” di Novara Jazz al grande sassofonista applauditissimo dal pubblico. C’è poco da dire, quando Joe prende tra le mani il sax la magia prende corpo. Per dire la verità prima di suonare Joe McPhee fa il predicatore (nel miglior senso della parola) toccando temi che vanno dalla libertà al “climate change”, ma poi quando è il sax a “parlare” la poesia diventa palpabile. Si dirà che l’unica musica adatta ad una chiesa sia la musica sacra, ma in realtà qualsiasi musica, ad alto tasso di spiritualità, potrebbe essere accolta in un luogo di preghiera e il free jazz ha in sé un alto tasso di spiritualità con Joe McPhee che ne è stato e ne è ancora uno dei massimi interpreti. Ritmo infernale quello di Novara Jazz, dopo neanche un’ora da Joe McPhee, ecco “Mitelli Avery Flaten Trio” nel giardino della soprintendenza di Novara. Qui siamo nel campo della sperimentazione stretta con un rumorismo elettronico diffuso e che dialoga magnificamente con gli strumenti: il contrabbasso di Ingebrigt Håker Flaten, la batteria di Mikel Patrick Avery e la tromba e la cornetta di Gabriele Mitelli ( oltre l’elettronica appunto). Da come è stipato il pubblico si comprende che il Festival ormai ha una platea che travalica l’ambito locale. É lo stesso pubblico, ma ancora più numeroso che si ritrova nel magnifico Chiostro della Canonica del Duomo per i “Chicago/Sao Paulo Underground” con ancora una volta Rob Mazurek alla tromba elettronica e sonagli vari, Chad Taylor, alla batteria e Mauricio Takara alle percussioni. Roboante e intenso, come sempre, il loro sound dove la batteria propone ritmi massicci e la incomparabile voce di Rob lancia nello spazio del chiostro urla liberatorie e/o propiziatorie di religioni sconosciute. Tutto prelude ad un finale fatto di ritmi indemoniati e nello stesso modo possono essere definiti quelli di BCUC ovvero “Bantu Continua Uhuru Consciousness” da Soweto, South Africa. Basta vedere le gigantesche congas e le due grancasse posizionate sul palco del Broletto per immaginare di che morte dobbiamo morire, anzi forse di che esplosioni di vita ci tocca vivere. Il pubblico resiste al primo pezzo, ma al secondo è già scatenato in danze (pseudo tribali), mentre Zithulele ‘Jovi’ Zabani Nikosi urla la sua vitalità dal palco nei più disparati dialetti parlati in Sudafrica. Energia, tutta e pura energia. Si chiude così in maniera, per così dire dionisiaca, l’edizione del ventennale del Novara Jazz Festival che ha messo in campo tutta la potenza di fuoco di cui era capace. Ma siamo pronti l’anno prossimo a stupirci ancora…
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oltreladistanzaa · 2 years ago
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Guardavo questo foglio bianco e non trovavo davvero nulla da scrivere questa sera, ho lasciato tutto: “al dopo”. Importante il dopo – il- dopo ci sentiamo, dopo ci vediamo, dopo andiamo al mare. Ho saltato già la mia seconda giornata di meditazione, direi che inizio proprio bene, ma questo foglio bianco era troppo sporco di pensieri. Insistono che io debba aprirmi con la gente, ma parliamoci chiaro, perché? Quando mai qualcuno ha avuto bisogno di me? No certo, voglio dire che priorità mi vuoi dare se proprio devo starti accanto?. Ecco queste sono le domande che ogni tanto bisogna porsi. Sotto il ritmo di nuove canzoni dedico qualche poesia, la pioggia culla il rumore sulle finestre. Domani incontro con la nutrizionista, paura, tanta paura ma al tempo stesso mi trovo davvero bene, ti mette a suo agio in ogni situazione anche la più critica, anche se arrivi li piangendo. Ho imparato che nella vita, servono persone positive, che ti stimolano, che ti fanno credere che ci sia un domani  più tranquillo. Questo tipo di tranquillità la riesco a trovare in palestra, anche se la maggior parte delle volte vengo preso in giro, per le tante ore di palestra che faccio, ma in quel momento sei tu e tu, il tuo specchio, manubri e attrezzi. È vero ci sono tantissime persone, molte davvero imbarazzanti, ma nel tempo stesso ognuno che fa qualcosa per sé, la vedo più come una sfida personale per ognuno. Non importa se poi il giorno dopo il pacco dei biscotti è sempre li, una lunga sfida personale, un passo per volta, una caduta che sa di vittoria.
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la-lettrice-testarda · 2 years ago
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La spiaggia, Cesare Pavese
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"La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro".
Pavese , come per i grandi autori e le grandi autrici, è senza mezze misure: una volta letto, o lo si ama alla follia, o lo si evita. Nel mio caso, posso dire che sia stato un amore a prima vista della mia prima gioventù, nato attraverso la lettura, tra le lacrime, prima delle sue poesie, poi, in età adulta, della prosa — di molte penne mi sono innamorata così, passando prima per la poesia che per la prosa. Non mi sono mai trovata d'accordo, infatti, con il buon Pasolini, che in una famosa intervista afferma come Pavese, per lui, non sia altro che uno scrittore mediocre. Mediocre ovviamente se si concepisce la scrittura come finalizzata all'impegno. Non che Pavese non lo faccia, al contrario: fine conoscitore dell'animo umano e delle sue passioni, tra le righe della sua scrittura, anche nei punti apparentemente più leggeri o frivoli, aleggia un costante senso di inadeguatezza; ai tempi, ma anche e soprattutto nei confronti delle persone. “L'esule in patria”, qualcuno l'ha definito: mai completamente parte di un tutto, troppo costretto nel tutto di quei rapporti umani deturpati da ipocrisia e perbenismo. Per questo è scappato, soprattutto dalla vita — e non solo dal Belpaese per inseguire, prima dei tempi, un istrionico sogno americano. Anche se, onestamente, nessuno possa dire cosa spinge una mente a lasciare la vita. Ce lo avrebbe dovuto dire lui. Quello che possiamo fare è provare a cercare risposte tra le pagine dei suoi libri, delle sue memorie, dei suoi schizzi poetici.
Per quanto sia a tutti gli effetti un bozzetto che sembra ricalcare le atmosfere de La bella estate , La spiaggia contiene, in piccolo, tutto questo. In piccolo perché si tratta di un racconto lungo che avrebbe potuto arricchire la raccolta, appunto, de La bella estate o di Feria d'agosto . Proprio per questo, la storia è semplice e assente di uno sviluppo o di qualche colpo di scena: un quadretto estivo che ritrae la villeggiatura del protagonista, professore di italiano in un liceo torinese, del quale non sappiamo il nome; Doro , suo amico d'infanzia, e Clelia, la moglie di quest'ultimo. Sullo sfondo, si alternano bagni al tramonto, quando la spiaggia è ormai quasi vuota e gli ombrelloni ormai quasi tutti chiusi, e cene con gli amici di una vita tra risate, ricordi delle stupidaggini commesse in giovinezza e pettegolezzi. Una fiera delle vanità versione riviera ligure. Lo sciabordio della risacca sembra nascondere le confidenze oggetto delle conversazioni tra i bagnanti che individuano il protagonista, un uomo pragmatico che sembra nascondere, dietro un certo distacco, un bisogno profondo di caloreumano. Per quanto sempre parte delle conversazioni o partecipe di ogni situazione mondana, se ne taglia sempre fuori con quell'occhio vigile “alla Pavese”, ovvero lo sguardo di chi coglie più i non detti e le parole sparse, che le parole retoriche e vuote. È quello che fa osservando Clelia e Doro. Coppia di novelli sposi, per lui non sembrano amarsi. Non ricorda, infatti, che tra loro ci sia mai stato l'amore vero. I due sembrano animati da una profonda individualità , dalla quale però sembrano non poter scappare. O non voler scappare. Con la schiettezza più semplice, il protagonista lo chiede, a Clelia, se siano innamorati, se abbiano litigato. Clelia lo guarda e sembra non capire. È la sorte degli animi sensibili, non essere compresi.
Quello tra i due, il protagonista e Clelia, è un rapporto che, nella sua semplicità , sembra essere autentico e non intaccato dall'ipocrisia sociale che tiene in piedi tutti gli altri rapporti di contorno di questa vacanza. A dirla tutta, il tempo sembra quasi cristallizzarsi , nei loro discorsi. È ciò che Pavese fa in ogni sua scrittura: cristallizza l'affetto per preservarlo ed evitare che si assottigli a mera cordialità. Sotto ogni loro dialogo si nasconde — e nenche troppo — un'arguta, e al contempo aspra, critica sociale: il matrimonio visto come la tomba di ogni passione, le donne come frivole e prive di spirito critico, i corteggiamenti come ragazzate.
Lo sa Berti , uno studente del protagonista, anche lui in villeggiatura in riviera ligure e invaghito di Clelia. Questo interesse rimarrà tale, non avrà un seguito, anche se sembra non spengersi, neanche a seguito di un evento che cambierà per sempre la vita dei due coniugi. È un romanzo piano , e ciò che colpisce non sono i dialoghi o la storia, ma ciò che rende, a mio modesto parere, Pavese un grande, ovvero la sua capacità di ritirare in ballo una sorta di romanticismo decadente , vale a dire una natura , quella del mare, in grado di farsi espressione del pensiero intimo dei suoi attori. Qui il mare è cosa ben diversa dalla spiaggia, perché la spiaggia non è altro che il palcoscenico della mondanità, dove si mettono in scena i giochi della socialità dei prossimi anni '50, il mare è, come si suol dire, la cosa giusta al momento giusto, l'unica entità , quasi dotata di pensiero anch'esso, dove i protagonisti si spogliano delle loro maschere e riescono ad essere liberi dalle convenzioni.
Lo dice anche Clelia: il mare è l'unico posto suo, dove si sente libera, dove vuole essere libera.
Dove può esserlo.
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