#maschere e costumi
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pier-carlo-universe · 20 days ago
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Alessandria si prepara a vivere uno degli eventi più attesi dell’anno: il Carnevale 2025, che torna protagonista in Centro città domenica 9 marzo con una parata spettacolare.
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Carnevale di Ndirucce - Città Sant'Angelo 🎭🎊
Tema: Canta che ti passa! 🎼🎧🎶
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lunamarish · 9 months ago
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C’è stato un momento in cui mi sono persa. Ho perso tutto quello che avevo attaccato alla schiena, i vecchi paradigmi, forme, maschere, vergogna, senso di colpa, costumi e le regole. Ho perso ore e orologio, calendario e aspettative, le speranze e le certezze. Ho perso tutto ciò che era, tutte le inutili attese, tutto quello che avevo cercato e tutto quello per cui avevo camminato e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada. E così, nel perdere tutto, ho anche perso la paura, la paura di infrangere le regole e le autocritiche feroci, la paura della morte e la paura della vita, la paura di perdersi, e la paura di perdere. E completamente nuda, priva della vecchia pelle, ho trovato un cuore che vibra dentro ogni poro del mio essere, un profondo tamburo fatto di argilla, stelle e radici il suo eco dentro di me è la voce della Vecchia Donna, fu allora che ricordai battito dopo battito, che ero viva, eternamente viva, che ero libera, coraggiosamente libera.
Ada Luz Márquez
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empito · 2 months ago
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Non cercate di ingannarmi con parole vuote; io anelo alla sincerità. Nel mare tempestoso delle apparenze, dove le maschere brillano sotto luci ingannevoli, io cerco uno sguardo autentico, una mano tesa senza secondi fini. Troppe volte le note della dissimulazione hanno suonato melodie stonate nel mio cuore, lasciandomi a danzare con ombre che svaniscono all'alba. Voglio sentire il peso delle parole che si fanno pietre, solide e vere, su cui costruire ponti di fiducia. Non temo la durezza della verità; essa non ferisce più dell'illusione che si frantuma. Preferisco il freddo taglio di una confessione sincera al caldo abbraccio di una menzogna confortevole. In questo mondo che corre veloce, inseguito da immagini riflesse in specchi deformanti, mi fermo a cercare i colori genuini, quelli che non sbiadiscono al primo temporale. Dammi occhi che raccontano storie senza veli, labbra che parlano senza filtri. Perché è nella schiettezza che si fonda l'autentica connessione, ed è nel coraggio di mostrarsi nudi che si trova la vera forza. Non chiedetemi di indossare costumi che non mi appartengono, né di recitare copioni scritti da altri. Il mio cammino è tracciato da passi sinceri, segnato dalle orme della mia essenza. Se vorrai camminare al mio fianco, lascia cadere le finzioni e mostrati per ciò che sei, con le tue luci e le tue ombre. Perché alla fine, è solo nella verità che possiamo toccare il cuore degli altri, in un intreccio di anime che risuonano all'unisono. Non c'è bellezza più grande dell'autenticità, né tesoro più prezioso di una parola onesta. Non darmi sipari calati su palcoscenici finti; apri le finestre della tua anima e lascia entrare la luce pura della verità.
Empito
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parolerandagie · 4 months ago
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Neologismi di cui non sapevate di non poter fare a meno #2
Teantro: forma artistica d'espressione e rappresentazione diretta e dinamica di testi ed azioni, davanti ad un pubblico, di diverso genere (vedi dramma, tragedia, commedia, etc.), corredata spesso di scenografie, eventualmente maschere e costumi, che va in scena in piccole grotte, meglio se umide e proliferanti di muffe, ancora meglio se capaci di dare una sensazione di disagio e strisciante paura.
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crazy-so-na-sega · 7 months ago
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mito->poesia->tragedia->metodo scientifico: uno sviluppo straordinario
Il genere tragico in Grecia: riproposizione ed evoluzione del mito arcaico.
La forma della tragedia classica greca è il punto di arrivo di un processo sviluppato a partire da un primitivo nucleo del coro, progressivamente ridimensionato a favore di uno spazio sempre maggiore riservato al dialogo dei personaggi. La tragedia ripropone e riplasma del materiale mitico ereditato dal mondo arcaico. Il suo appellativo si collega etimologicamente alla parola tragos con riferimento al capro, riferimento che è stato interpretato in vari modi quali: a) il sacrificio rituale celebrato alla fine della rappresentazione; b) la maschera indossata dal coreuta, c) il premio dato al vincitore. In ogni caso, si tratta di un riferimento a qualcosa di animalesco, ferino, primitivo, selvaggio (si veda ciò come traccia dell’animalesco selvaggio dionisiaco rispetto all’olimpico armonioso compositore delle passioni rappresentato da Apollo).
La struttura era articolata in un prologo sugli antefatti dell’azione, un parodo, canto di ingresso del coro, gli episodi costituiti da dialoghi con gli stasimi, i canti di stacco tra gli episodi, e l’esodo, canto di uscita. Il coro (12 coreuti ai tempi di Eschilo con uno di loro, il corifeo, dialogante a nome degli altri con gli attori) cantava in armonia con la musica e la danza ( infatti il verbo koreuein significa danzare). Gli attori, tutti di sesso maschile, indossavano maschere, coturni, ovvero alti calzari per essere più visibili agli spettatori e la scena era dotata di macchine teatrali. In genere le rappresentazioni avvenivano in occasioni di feste in onore di Dioniso, dio rurale patrono della fertilità. Erano dei veri e propri festival in cui gareggiavano i poeti tragici con la loro tetralogia (3 tragedie ed un dramma satiresco). C’era una commissione selezionatrice fatta da un arconte ed altri due membri che sceglieva i tre concorrenti per la gara finale, ogni tetralogia veniva rappresentata in una giornata intera e quindi il concorso durava 3 giorni. La giuria per assegnare la vittoria della corona di edera era formata da 1 rappresentante per tribù estratto a sorte da una lista fornita da ognuna delle 10 tribù, che dava una classifica dei concorrenti su una tavoletta, delle 10 poi ne venivano estratte 5 a sorte per avere il vincitore. I contenuti delle opere attingevano ad un patrimonio di racconti mitici tradizionali e la rappresentazione drammatica era fondata sul contrasto, la lacerazione tragica tra protagonista umano e divino e degli uomini tra loro. Tutto il popolo partecipava, lo stato finanziava i poveri con due oboli per indennizzo delle ore di lavoro perdute ed i costi degli spettacolo (scenografia, costumi, attori, coreuti, musicisti) che erano in parte sostenuti anche dalle famiglie ricche, c’era anche un servizio d’ordine dotato di robusti manganelli contro eventuali disturbatori. La partecipazione popolare al "RITO COLLETTIVO" funzionava da presa di coscienza, grazie a questa esteriorizzazione del dramma tragico reso nello spettacolo teatrale, che determinava una presa di distanza, una assunzione di responsabilità collettiva di fronte alle tensioni tremende dell’esistenza umana secondo una visione che affondava le sue radici nei sanguinosi rituali del mondo pre-greco. In questo consiste la CATARSI di cui parla Aristotele: LA RAPPRESENTAZIONE HA UN EFFETTO LIBERATORIO DALLE PASSIONI (i patemata = patemi di animo).
La tragedia si differenzia dal mito per un tratto sostanziale: se nel mito lo scontro è nel mondo divino, qui il piano si sposta sulla violenza tra dei e uomini e degli uomini tra di loro. Questo è testimoniato dal lessico tragico. Sono fondamentali alcune parole chiave ricorrenti nei dialoghi, che mostrano la inconciliabilità nella tragedia di polarità opposte di comportamento: parole da un lato come collera (che però è anche invidia!) (ϕθόνος),e accecamento divino (΄Άτη) , tracotanza (ύβρις), e violenza brutale (βία) , dall’altro legge (νόμος), diritto (δίκη), autorità legale (κράτος), timore (ϕóβος), e pietà (ʹΈλεος), parole che segnano nella loro opposizione il contrasto inconciliabile che caratterizza la tragedia. Viene bollata la tracotanza, si esibiscono i valori morali e le norme etico-sociali cui conformare i comportamenti dei cittadini della polis ed il ricorso al mito serve a rinsaldare il tessuto connettivo della convivenza. Nella trilogia più famosa, l’Orestea, formata da Agamennone, Coefore, Eumenidi, la tragedia si risolve con Oreste portato nella sede suprema della istituzione della polis, l’Areopago, dove Oreste è alla fine assolto e le furiose persecutrici Erinni si trasformano nelle benigne Eumenidi. Si impone la Giustizia, la DIKE, che si esplica nel NOMOS, nella Legge della città, a fronteggiare la violenza, ma ciò non sarà sufficiente se nell’Antigone la legge del cuore e degli affetti si scontrerà con la legge ufficiale della città stessa, che tuttavia prevarrà alla fine. Ma a questo punto, gli Dei c’entrano poco, il conflitto è tra gli uomini, gli Dei sono solo spettatori. I drammi umani riportano le scorie dei drammi divini. Più i conflitti "si umanizzano", più si perde la carica istintiva, travolgente dell’eros e della violenza primitiva e questo porta alla famosa tesi di Nietzsche che ne La nascita della tragedia (1871) vede nelle prime tragedie un equilibrio tra le parti del coro che rappresentano la potenza dionisiaca degli istinti e le parti del dialogo degli attori che moderano con la razionalità apollinea lo scatenamento degli istinti, fino ad arrivare ad Euripide che descrivendo con realismo delle vicende umane fa prevalere il distacco dello spirito superiore ed equilibrato apollineo in contemporanea all’avvento del razionalismo di Socrate in filosofia e la definitiva eclissi del dionisiaco, evento che il filosofo tedesco denuncia come la più grande perdita per tutta la cultura occidentale.
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Più i miti perdono valore di Verità, staccati dal culto dionisiaco, più i paragoni e le similitudini linguistiche, da "strati intermedi" tra il mondo degli dei e quello umano subiranno una trasformazione che costituirà i primi gradini delle deduzioni analogiche di cui il metodo empirico si servirà più tardi.
-Franco Sarcinelli (WeSchool)
-Bruno Snell (le origini del pensiero europeo)
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diceriadelluntore · 7 months ago
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Platee Sconfinate
Chi ha frequentato il Liceo Classico, probabilmente, ricorderà una versione tratta da un testo di Plutarco dal titolo Il Teatro di Euripide salva gli Ateniesi prigionieri a Siracusa. Si racconta infatti che dopo la disfatta, inaspettata, dell'esercito ateniese giunto in Sicilia per conquistare le colonie dell'Isola, i prigionieri guerrieri vennero stipati nella latomie: cave di pietra prima, furono poi "convertite" a mega carcere per le centinaia di prigionieri. Fredde d'inverno e torride d'estate, essere imprigionati nelle latomie equivaleva a una condanna a morte: i prigionieri ateniesi furono lasciati morire di fame e di stenti, senza alcuna possibilità di fuga. Plutarco racconta però che i Siracusani, popolo colto e ricco, "amavano Euripide più di tutti gli altri Greci delle colonie" dando ristoro, o addirittura liberando, i guerrieri che ne conoscevano a memoria qualche brano. I sopravvissuti, narra l'aneddoto, quando fecero ritorno a casa, andarono a ringraziare persino il grande drammaturgo.
Questa vicenda ha una parte vera e una falsa: la vera, è che i prigionieri ateniesi davvero morirono di fame nelle latomie di Siracusa. La falsa è che l'aneddoto, divenuto celeberrimo, è appunto falso, e prima di Plutarco ne scrisse uno simile un biografo di Euripide, Satiro di Callatis, autore di molte biografie, quasi tutte perdute, ma di cui è rimasta una parte di quella di Euripide. Tuttavia il nostro Satiro è famoso principe del Metodo Cameleonte, dal nome del peripatetico Cameleonte di Eraclea, che iniziò a scrivere biografie basate a pure combinazioni e deduzioni, ai pettegolezzi e alle cronache scandalose della commedia, e al romanzesco e al leggendario (che non vuol dire che sia sempre fonte inattendibile, ma che va presa con non una ma tre pinze).
Eppure questa leggenda ha ispirato un filologo libano-irlandese, Ferdia Lennon, per scrivere un romanzo, che ho amato tantissimo, che tramite il Mito affronta situazioni davvero profonde, attualissime, usando una scrittura vivace, elettrica e piena di soprese.
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Lennon immagina che due vasai disoccupati, il brillante Gelone e Lampo, zoppo e frugale, presagendo che la sconfitta di Atene possa portare alla perdita del grande patrimonio culturale della stessa, si mettano in testa di fare una rappresentazione teatrale con gli atenesi prigionieri nella latomie. Ma non una cosa qualsiasi, bensì un pastiche tra Medea e Le Troiane, le due tragedie leggendarie di Euripide, opere che furono rappresentate la prima poco prima della Guerra del Peloponneso nel 431 a.C., la seconda ebbe la prima ad Atene nel 415 a.C., proprio pochi mesi prima della disfatta di Siracusa. Il progetto è già arcigno, dato lo stato cadaverico degli Ateniesi prigionieri, delle pressioni dei Siracusani e dalle difficoltà nell'allestimento, ma con una serie di imprese al limite dell'eroico, i nostri riescono a farsi fare i costumi, le maschere, le scene e mettono su lo spettacolo. Non vi dico di più, perchè la storia va avanti e di molto, e spero di incuriosirvi con questi altri aspetti per andare da soli a leggere come va a finire.
Innanzitutto la lingua di Lennon, resa magnifica dalla traduzione di Valentina Daniele: peculiare per ogni protagonista, ricca di immagini potentissime, a volte aulica a volte sporca, le invenzioni di traduzione (gli aristo, per definire le classi ricche, o l'uso del mi' ma', mi' pa' per definire colloquialmente i genitori) rende la lettura piacevolissima. La costruzione dei personaggi, soprattutto i principali, il retto e saggio Gelone contro lo spirito intraprendente, al limite del furbesco, di Lampo. Le metafore che quell'impresa offre: il rapporto con l'altro, il ruolo del ricordo, la guerra e le sue conseguenze, persino il ruolo e la potenza dell'Arte come linguaggio universale. Ne esce fuori un libro gioiello, edito tra l'altro da una casa editrice, NN, che nella quarta di copertina ha questo passo: In questo libro c'è un Uomo Nudo. Ciò vuol dire offrire ai lettori storie di uomini che si concepiscono diversi e lottano per questa diversità, lontano da modelli e maschere di padri e pari. C’è, in sostanza, la volontà di stimolare una riflessione collettiva sul maschile, quindi quando troverete questo segnale in copertina, sapete a cosa state per andare incontro.
Che è un ulteriore buon motivo per leggere un libro che mi ha affascinato come pochi.
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jane-eyre1 · 1 year ago
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C’è stato un momento
in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo
attaccato alla schiena,
i vecchi paradigmi,
forme,
maschere,
vergogna,
senso di colpa,
costumi
e le regole.
Ho perso ore e orologio,
calendario e aspettative,
le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era,
tutte le inutili attese,
tutto quello che avevo cercato
e tutto quello per cui avevo camminato
e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto,
ho anche perso la paura,
la paura di infrangere le regole
e le autocritiche feroci,
la paura della morte
e la paura della vita,
la paura di perdersi,
e la paura di perdere
E completamente nuda,
priva della vecchia pelle,
ho trovato un cuore
che vibra dentro ogni poro del mio essere,
un profondo tamburo
fatto di argilla, stelle e radici
il suo eco dentro di me
è la voce della Vecchia Donna,
fu allora che ricordai
battito dopo battito,
che ero viva,
eternamente viva,
che ero libera,
coraggiosamente libera.
🍎🔥
Hermana Águila
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lunamagicablu · 2 years ago
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C’è stato un momento in cui mi sono persa. Ho perso tutto quello che avevo attaccato alla schiena, i vecchi paradigmi, forme, maschere, vergogna, senso di colpa, costumi e le regole. Ho perso ore e orologio, calendario e aspettative, le speranze e le certezze. Ho perso tutto ciò che era, tutte le inutili attese, tutto quello che avevo cercato e tutto quello per cui avevo camminato e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada. E così, nel perdere tutto, ho anche perso la paura, la paura di infrangere le regole e le autocritiche feroci, la paura della morte e la paura della vita, la paura di perdersi, e la paura di perdere E completamente nuda, priva della vecchia pelle, ho trovato un cuore che vibra dentro ogni poro del mio essere, un profondo tamburo fatto di argilla, stelle e radici il suo eco dentro di me è la voce della Vecchia Donna, fu allora che ricordai battito dopo battito, che ero viva, eternamente viva, che ero libera, coraggiosamente libera. di Ada Luz Márquez – Hermana Águila ******************** There was a moment in which I got lost. I lost everything I had attached to the back, the old paradigms, shapes, masks, shame, guilt, costumes and the rules. I lost hours and clock, schedule and expectations, hopes and certainties. I lost all that was, all the useless waiting, everything I've been looking for and all that I had walked for and all that is I had left by the roadside. And so, in losing everything, I also lost the fear, the fear of breaking the rules and fierce self-criticism, the fear of death and the fear of life, the fear of getting lost, and the fear of losing And completely naked, deprived of the old skin, I found a heart that vibrates within every pore of my being, a deep drum made of clay, stars and roots its echo within me it is the voice of the Old Woman, it was then that I remembered beat after beat, that I was alive, eternally alive, that I was free, boldly free. by Ada Luz Márquez – Hermana Águila
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pier-carlo-universe · 2 days ago
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Teatro Vascello. Roma: La Pulce nell'Orecchio
LA PULCE NELL’ORECCHIO dal 28 marzo al 6 aprileDownload
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inconsutile · 2 years ago
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Note sparse sulla Medea che ho visto ieri:
Le maschere nel teatro greco avevano il ruolo di identificare i personaggi, in questo spettacolo l'identificazione è sul livello simbolico: Medea è rappresentata da un uccello nero, un corvo presumo, e indica la sventura, i figli hanno le maschere dei conigli, Creonte (e i suoi seguaci) è un coccodrillo. Quest'ultimo è particolarmente interessante perché mentre aggredisce Medea mantiene la maschera ma la toglie sempre quando esprime il suo timore nei confronti della donna. Medea e i figli tolgono la maschera e non la rimettono, Creonte invece alterna per tutto il tempo in cui è in scena.
Dai costumi si denota la volontà di attualizzare il messaggio operando una critica alla famiglia e alla società borghese (e piccolo-borghese nello specifico). Il testo euripideo ripete più volte che tutto è stato messo in moto dal dissolvimento dei valori, e in effetti le nostre vite quotidiane sono ammantate di valori e ideali che puntualmente vengono calpestati in favore dell'interesse personale. Sui costumi, tuttavia, devo fare una nota di disappunto: i costumi riprendevano il vestiario borghese del 900 (eccetto Creonte, vestito da in giacca e cravatta) quando sarebbe stato più opportuno e puntuale utilizzare un vestiario contemporaneo. Non va a detrimento della rappresentazione e della sua ricezione ma sarebbe stato, ripeto, puntuale.
L'inesorabilità degli eventi ha generato in me angoscia ma anche una forte frustrazione, forse perché io e il pubblico abbiamo assorbito volente o nolente la mentalità del “se vuoi, puoi”, in cui gli esiti previsti sono: il successo o il contentino, in ogni caso risvolti positivi. Medea mette in atto tutto quello che ha progettato, ma si è ottenuto solo il sangue versato pulito dal coro.
In realtà parole come angoscia, frustrazione, sgomento, rabbia, dolore, raccapriccio, orrore e altre non riescono a racchiudere la sensazione che ho sentito durante tutto lo spettacolo e che ha raggiunto il suo apice durante l'infanticidio (che non è stato rappresentato, come vuole la prassi della Grecia antica). Tutte quelle emozioni erano una e mi pervadeva tutta, mente e corpo: avevo le mani nei capelli, la pelle d'oca, volevo raggomitolarmi, respiravo affannosamente. Le persone intorno a me posso descriverle solo come molto scosse.
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mucillo · 2 years ago
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Ada Luz Márquez "C’è Stato Un Momento"
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C'è stato un momento
in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo
attaccato alla schiena,
i vecchi paradigmi,
forme,
maschere,
vergogna,
senso di colpa,
costumi
e le regole.
Ho perso ore e orologio,
calendario e aspettative,
le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era,
tutte le inutili attese,
tutto quello che avevo cercato e tutto quello per cui avevo camminato
e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto,
ho anche perso la paura,
la paura di infrangere le regole
e le autocritiche feroci,
la paura della morte
e la paura della vita,
la paura di perdersi,
e la paura di perdere.
E completamente nuda,
priva della vecchia pelle,
ho trovato un cuore
che vibra dentro ogni poro del mio essere,
un profondo tamburo
fatto di argilla, stelle e radici
il suo eco dentro di me
è la voce della Vecchia Donna,
fu allora che ricordai
battito dopo battito,
che ero viva,
eternamente viva,
che ero libera,
coraggiosamente libera.
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parolerandagie · 4 months ago
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Neologismi di cui non sapevate di non poter fare a meno #3
Tealtro: forma artistica dinamica, d'espressione, azione e rappresentazione di testi di genere vario, spesso corroborata da costumi, scenografie, maschere, etc., talmente noiosa, ma talmente noiosa da fare pensare a tutto il pubblico che sarebbe stato proprio meglio avere deciso di fare qualunque cosa d'altro, piuttosto che essere lì ad assistere.
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amamiofacciouncasinoo · 1 year ago
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C'è stato un momento in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo attaccato alla schiena.
I vecchi paradigmi.
Forme.
Maschere.
Vergogna.
Senso di colpa.
Costumi.
E le regole.
Ho perso ore e orologio, calendario e aspettative.
Le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era.
Tutte le inutili attese.
Tutto quello che avevo cercato.
Tutto quello per cui avevo camminato.
Tutto ciò che avevo lasciato sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto,
ho perso anche la paura, la paura di infrangere le regole e le autocritiche feroci.
La paura della morte e la paura della vita.
La paura di perdermi e la paura di perdere.
E completamente nuda,
priva della vecchia pelle,
ho trovato un cuore.
Un cuore che vibra dentro ogni poro del mio essere.
Un profondo tamburo
fatto di argilla, stelle e radici.
Il suo eco dentro di me
è la voce della vecchia donna.
Fu allora che ricordai,
battito dopo battito, che ero viva, eternamente viva.
Che ero libera, coraggiosamente libera.
Hermana Águila
“Perdersi per ritrovarsi”
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lemandro-vive-qui · 2 years ago
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Il Barong rimane ancora oggi tra le più popolari forme di spettacolo a Bali: questo dramma rituale rappresenta tradizionalmente la lotta tra la figura bestiale benigna del Barong contro Rangda, una strega dall’aspetto terrifico, temuta per i suoi poteri di distruzione. Il Barong è una delle forme di teatro/danza balinese più rinomate e apprezzate e la sua importanza si è costituita nel tempo grazie alla sua valenza esoterica e per l’efficacia scenografica. Sebbene la danza del Barong sia descritta come uno scontro tra le forze del bene e del male, identificate rispettivamente nei due personaggi principali, Barong e Rangda, sarebbe superficiale descrivere questa rappresentazione identificando le due figure come un eroe e una antagonista. L’intera vicenda è la celebrazione attraverso la danza, la musica e il teatro dell’intero universo mitologico e religioso di Bali.
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Il teatro/danza balinese non rappresenta solo un puro intrattenimento, è un mezzo per mantenere viva la narrazione del patrimonio mitologico del passato, un momento di aggregazione sociale e di condivisione che avvicina le generazioni e i diversi strati sociali all’interno della comunità. L’attore/danzatore esprime la volontà degli dei e controlla la potenza dei demoni, indirizza attraverso l’estrema consapevolezza data dal training la volontà di una narrazione, che si attua nella gestualità codificata. Le maschere di Rangda e Barong sono il simbolo della trasformazione totale dell’individualità, che si fa tramite delle forze animalesche, naturali e persino divine. Il soprannaturale si manifesta sempre nel mondo della natura, permea ogni aspetto della vita quotidiana, e nella celebrazione diviene visibile: le componenti materiali della performance, gli strumenti musicali, i costumi, le maschere e le armi vengono consacrati dal sacerdote hindu, il pemangku, come simbolo e manifestazione del potere divino.
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Rangda incarna nella sua funzione mitologica la potenza distruttiva delle forze demoniache, è collegata alla dimensione ctonia, e tutti i suoi attributi aggressivi e terrifici richiamano le sue grandi capacità magiche e la sua volontà divoratrice, che può essere canalizzata e controllata attraverso lo scontro rituale. Il suo legame con Durga, la dea hindu, è una chiave di lettura fondamentale per comprendere quanto l’aspetto del divino sia inevitabilmente soggetto ad esercitare in maniera ciclica il proprio influsso distruttivo sul mondo, oscillando alternativamente tra creazione e caos.
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Le maschere e i costumi del Barong possono essere molteplici nella scelta della forma animale. Può somigliare al leone (barong ket), ad una tigre (barong macan), ad un cinghiale, ad un cervo o assumere una forma antropomorfa. Il termine barong sembra derivare dalla terminologia barwang, di provenienza sanscrita che letteralmente significa «orso», secondo l’origine in un antico poema giavanese. La sacralità della maschera del Barong non deriva dalla scena, è venerata come portatrice di una spiritualità propria. Il Barong è la forza divina che può contrastare con il suo potere la terrificante presenza di Rangda dagli occhi fiammeggianti, divoratrice di uomini e sacerdotessa di magia nera.
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Secondo la visione balinese, non è possibile eliminare definitivamente il male dall’esistenza, confinandolo nella sua originaria sede lontano dagli uomini: le forze demoniache, portatrici di calamità, malattie e distruzione necessitano di essere debitamente considerate, riconoscendo la loro esistenza e potenza, in casi più estremi controllando attivamente il loro influsso. È fondamentale provvedere costantemente ad un bilanciamento tra le forze divine e quelle demoniache: esse esistono entrambe all’interno della dimensione umana ed esercitano il proprio potere sull’interiorità di ciascun individuo. Anche gli dei stessi, secondo la mitologia del retaggio induista, sono costantemente in bilico tra impulsi creativi e distruttivi, mostrano un volto benigno e uno terrifico e sono soggetti ad un equilibrio dinamico. Grazie alla danza, al teatro e alla musica è possibile esercitare un influsso per bilanciare il divino e il demoniaco.
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"Le maschere di Barong e Rangda nel teatro balinese"
Articolo scritto da Giulia Sala e pubblicato sulla rivista online di antropologia culturale, etnografia e sociologia La Rivista Culturale, il 21 novembre 2021
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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C’è stato un momento in cui mi sono persa.
Ho perso tutto quello che avevo attaccato alla schiena, i vecchi paradigmi, forme, maschere,
vergogna, senso di colpa, costumi e le regole.
Ho perso ore e orologio,
calendario e aspettative,
le speranze e le certezze.
Ho perso tutto ciò che era,
tutte le inutili attese,
tutto quello che avevo cercato e tutto quello per cui avevo camminato e tutto ciò che è avevo lasciato sul ciglio della strada.
E così, nel perdere tutto,
ho anche perso la paura,
la paura di infrangere le regole
e le autocritiche feroci,
la paura della morte
e la paura della vita,
la paura di perdersi,
e la paura di perdere
E completamente nuda,
priva della vecchia pelle, ho trovato un cuore
che vibra dentro ogni poro del mio essere, un profondo tamburo fatto di argilla, stelle e radici
il suo eco dentro di me è la voce della vecchia donna.
Fu allora che ricordai battito dopo battito,
che ero viva,
eternamente viva,
che ero libera.
Coraggiosamente libera.
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Hermana Águila
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