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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/07/06/lutrino-lustrino-nardo-chiama-napoli-risponde-si-spera-22/
Lutrino e lustrino: Nardò chiama, Napoli risponde; si spera ... (2/2)
di Armando Polito
La speranza dubitativamente manifestata nel titolo non è andata delusa, come chiunque potrà constatare leggendo il commento del sig. Angelo De Stefano a quella che originariamente (http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/06/25/lutrinu-lustrinu-nardo-chiama-napoli-risponde-si-spera/) era l’unica parte e che ora è diventata la prima, avendo io ritenuto opportuno rispondergli con questa seconda parte che, a tutti gli effetti, è l’integrazione di quella, tant’è che ne conserva integralmente il titolo.
Preliminarmente debbo dire che i nomi dialettali dei pesci (e non solo) rappresentano in alcuni casi un vero rompicapo, anche perché le testimonianze dei locali, magari pure pescatori, non sempre sono concordi.
Detto questo, tenterò di approfondire l’argomento partendo dalle informazioni fornitemi dal mio gentile interlocutore.
Su litrinos non credo ci sia bisogno di dire alcunché, mentre  fagrì è la forma moderna del classico φἀγρος (leggi fagros) da me citato e dovrebbe corrispondere al nostro dentice. La voce moderna con la sua inequivocabile derivazione da quella classica ribadisce, ove ce ne fosse stato bisogno, la totale assenza di qualsiasi rapporto tra fagros e fragolino, al di là della metatesi fagr>frag– che di per sè poteva pure essere un fenomeno normalissimo.
Per quanto riguarda luvero, livrino, liverino, luvrino e luverino, la prima voce sembra la madre delle rimanenti, ma credo di aver trovato il suo antenato nel luuare che si legge nell’ultima ottava del terzo canto del poema eroico L’agnano  zeffonnato1 di Andrea Perruccio, pubblicato la prima volta per i tipi dell’editore Paci a Napoli nel 1678 e a distanza di più di un secolo ristampato per i tipi di Porcelli sempre a Napoli nel 1787.
  Riproduco l’ottava dalla pagina 70 della prima edizione (ma nella più recente non cambia né il numero di pagina né il carattere tipografico), aggiungendo la mia traduzione e qualche nota.
  Sale Girolamo con gli altri sulla galea/e, mentre (con lo sguardo) scorre sott’acqua felice,/vede nuotare pesci di ogni maniera: pagelli fragolini, sparaglioni, occhiate, alici,/cernie, mafroni e un branco di boghe,/spicare, lucci di mare, scorfani e schifezze;/lasciato insomma il regno marino,/guizzarono in alto vicino a Nisida.
Non posso lasciarmi sfuggire l’occasione di dire qualcosa sui nomi dei pesci tradotti in corsivo, che  nell’originale compaiono tutti al plurale ma che qui esaminerò al singolare, lasciando a bella posta per ultimo pagelli fragolini (nell’originale: luuare).
sparaglione: accrescitivo da sparo, per il quale vedi nella prima parte.
occhiata: dal latino oculata(m) presente come sostantivo in Plinio (I secolo d. C.) ma derivato dal femminile dell’aggettivo oculatus/oculata/oculatum col significato di dotata di grandi occhi. Ajata presenta il passaggio o->a– in comune col salentino acchiata e, in particolare, col verbo neretino acchiare che significa trovare (alla lettera cogliere con l’occhio); a differenza del salentino in cui la trafila –cula->cla->-cchia– è normalissima, in ajata –j– è dovuto ad influsso dello spagnolo ojo=occhio.
alice: dal latino hallece(m) che significa salsa di pesce, a conferma della vocazione gastronomica del pesce.
cernia: dal latino tardo acernia(m) attestato in Cassiodoro2 (V-VI secolo), variante del classico  acharna, che è dal greco ἀχάρνας (leggi acharna). Cernia è il frutto di errata deglutinazione di a- inteso come parte dell’articolo: acernia>l’acernia>la cernia>cernia.
mafrone (o manfrone): da un precedente vafrone, accrescitivo del letterario vafro, che è dal latino vafru(m)=astuto. In manfrone l’epentesi di –n– può essere dovuta ad influsso di manfrina (che, però ha altra etimologia: da monferrina, danza popolare piemontese di ritmo binario e di carattere allegro e vivace). Lascio agli amici pescatori il compito di confermare o meno l’astuzia e/o la vivacità come caratteristiche di questo pesce.
boga: dal latino tardo  boca(m), a sua volta dal greco βόαξ (leggi bòax), che è da βοάω (leggi boào)=gridare. La variante neretina opa è dal greco βόωψ leggi bòops) per il quale il Montanari )la voce nel Rocci è assente) rinvia a βόαξ; io credo invece che per motivi fonetici  [(la radice di βόαξ è βοακ– (leggi boac-), quella di βόωψ è βοοπ- (leggi boop-)] βόωψ sia parola composta dalla radice di βοῡς (leggi bus)=bue+la radice di ὄψ (leggi ops)=sguardo. Insomma in boga il riferimento sarebbe al rumore che il pesce emette appena pescato, in opa alla forma dell’occhio. Per finire: mentre in opa c’è stata l’aferesi di b– in vopa c’è stato il normalissimo passaggio b->v-.
schifezza: pesce minuto e di poco pregio.
spicara: è il nome scientifico di un genere che comprende parecchie specie. La voce è forma aggettivale dal latino spica=spiga e il riferimento è alla pinna dorsale generalmente reca due o tre raggi spinosi.
luccio di mare; l’originale aluzza ha lo stesso etimo della voce italiana con in più la prostesi di a- per agglutinazione della -a dell’articolo dopo il cambio di genere: la luzza>l’aluzza>aluzza. Tutte le voci sono dal latino lucius attestato in Decimo Magno Ausonio3 (IV secolo).
scorfano:  dal latino scorpaena, a sua volta dal gr. σκόρπαινα, derivato di σκορπίος=scorpione.
E siamo a pagello fragolino, traduzione dell’originale luuare. La tentazione è di emendarlo in luvare, considerandolo plurale del luvero, segnalato dal lettore napoletano è grande, ma si scontra con la grafia delle altre v (vede, vope e vecino). Molto difficile, dunque, anche se non impossibile, che un errore di stampa si sia verificato proprio in luuare per luvare. Nel 1678 non esisteva certo la possibilità di registrazione magnetica, mentre oggi non approfittiamo neppure di quella digitale per conservare la pronuncia di una parola dialettale dalla voce e dalla memoria, si spera vive affidabili, degli ultimi testimoni. Voglio dire che, in fondo, non c’è conflitto tra luuare e luvare, se non una piccola differenza nella pronuncia del primo dovuta alla vocalizzazione di v o, forse più correttamente se rispettiamo la cronologia, alla consonantizzazione della seconda u nel secondo. Mi fa preferire quest’opzione quello che è successo dopo il 1670.
Ecco, a raffica, una serie di testimonianze che riporto, come al solito, in formato immagine non solo con il furbesco intento di fare più presto ma anche, direi soprattutto, per evitare qualsiasi rischio di errore nella trascrizione.
A) Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano, Porcelli, Napoli, 1789, lemma Pesci (https://books.google.it/books?id=NxcJAAAAQAAJ&printsec=frontcover&dq=parole+del+dialetto+napoletano&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiiuduCmN7UAhWKIMAKHSfpAdwQ6AEIIjAA#v=onepage&q=parole%20del%20dialetto%20napoletano&f=false)
  Ho evidenziato in rosso i nomi che compaiono nel poema eroico, ma ci interessa soprattutto notare come il luuare del 1670 a distanza di più di un secolo è diventato luvere.
  B) Vocabolario napoletano lessigrafico e storico, Stamperia reale, Napoli, 1845, v. I, a p. 121 (https://books.google.it/books?id=HRK5Tw5COm0C&pg=RA1-PA216&dq=napoletano+luvero&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjiwuPoldvUAhXD0RQKHRg1AF0Q6AEIKDAB#v=onepage&q=napoletano%20luvero&f=false)
    Il luuare del 1670, già luvere nel 1789, è diventato lavare nel 1845.
  C) Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, A spese dell’autore, Napoli, 1873, al lemma Ajata (https://archive.org/details/vocabolarionapo01ambrgoog)
  Il luuare del 1670, che nel 1879 era diventato luvere e nel 1845 lavare, nel 1873 è ritornato ad essere  lùvere. Colpisce in questa testimonianza, come pure in quella precedente, non solo la discrepanza in una comune citazione dalla stessa opera, ma anche l’errata indicazione, in un caso e nell’altro, del numero di canto e di ottava.
Ecco, tratto da questo stesso vocabolario, il lemma lùvaro.
Sinceramente qui non si capisce come da un plurale lùvere si abbia un singolare lùvaro e non lùvero e si ha pure l’impressione che il lòvero che accompagna Pesce sia un tentativo d’italianizzazione che non vuol fare torto né a lùvere, né a lùvaro.
Diamo ora un rapido sguardo agli altri dialetti meridionali, cominciando con il siciliano.
D) Vocabolario siciliano etimologico di Michele Pasqualino, Reale stamperia, Palermo, 1789 (https://books.google.it/books?id=8e9OAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:YFksSo-wjwcC&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi79MvX1tvUAhWEVhoKHSDyCQcQ6AEIQTAF#v=onepage&q&f=false)
Dato l’etimologico del titolo, ci saremmo aspettato qualcosa di più che voce dell’uso , troppo generico, a meno che non sia da intendersi come voce gergale.
E) Nuovo dizionario siciliano-italiano di Vincenzo Mortillaro, Palermo, 1853 (https://books.google.it/books?id=u7gWAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false)
  F) Nuovo vocabolario siciliano-italiano di Antonino Traina, Pedone Lauriel, Palermo, 1868 (https://books.google.it/books?id=jtFFAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=vocabolario+siciliano-italiano&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiqx_Kb0tvUAhUJOxQKHdUEBZcQ6AEILDAB#v=onepage&q=vocabolario%20siciliano-italiano&f=false)
Ringraziando per la conferma dell’accento (quando le parole non sono piane, specialmente in lavori di questo tipo, l’accento è un dettaglio fondamentale), notiamo Crythrinus per Erythrinus, sicuramente errore di stampa.
  G) Nuovo vocabolario siciliano-italiano e italiano-siciliano di Sebastiano Macaluso Storaci, Norcia, Siracusa, 1875 (https://books.google.it/books?id=Bnw7AQAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=vocabolario+siciliano-italiano&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiqx_Kb0tvUAhUJOxQKHdUEBZcQ6AEIJjAA#v=onepage&q=vocabolario%20siciliano-italiano&f=false)
  E siamo al Salento.
H) Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Congedo, Galatina, 1976.
L 12 è la sigla con cui il Rohlfs cataloga la fonte (L sta per dialetti della provincia di Lecce).
Lùvaro, dunque, non è stato, per così dire, colto sul campo; perciò appare più interessante la variante lùvere segnalata per il Brindisino a Ceglie messapica (B ce), in cui la particolare grafia delle due e, qui irriproducibile, segnala la loro pronuncia evanescente. Per quanto riguarda l’etimo non mi sembra discutibile il confronto con il sardo lìmaru e l’estensione della sua probabile etimologia a lùvaru, quanto, piuttosto, il fatto che la voce sarda non è registrata in nessun dizionario dei dialetti sardi, compresi, naturalmente, quelli di Vincenzo Porru, Tipografia Arciobispali, Casteddu, 1832 e di Giovanni Spano, Imprenta Nationale, Kalaris, 1851, nonché, per la sua specificità, il repertorio di Elisio Marcialis, Società tipografica sarda, 1913. E se la sostituzione in lìmari della v di lùvaro non è una difficoltà insormontabile (vedi lo stesso passaggio addotto prima nell’etimo di mafrone) bisognerebbe avere la onferma che la voracità è veramente la caratteristica più spiccata di questo pesce.
�� giunto il momento di trarre le conclusioni, ma prima ho ritenuto opportuno riprodurre la tabella relativa al nostro pesce presente a p. 107 di A. Palombi e M. Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d’Italia. Hoepli, Milano, 1986 (https://books.google.it/books?id=-r6rEuosIssC&pg=PA108&dq=pesci+Vedi+la+spiegazione+a+pag.+103&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjlsO66n-DUAhXqKsAKHSTyAd0Q6AEIIjAA#v=onepage&q=pesci%20Vedi%20la%20spiegazione%20a%20pag.%20103&f=false).
La tabella riserva non poche sorprese, tra cui il lèmaru/lèmuru sardo certamente sovrapponibile al lìmaru citato dal Rohlfs; più notevole i tutti, però, mi pare il luuru siciliano sovrapponibile al luuare del poema eroico da ui siamo partiti ed al quale son ritornato per evitare che questo post diventi una sorta di poema (!) tragicomico …
In conclusione: secondo me possono essere individuati due filoni etimologici entrambi legati al colore del pesce.
Il primo, indiscutibile, mette in campo la voce greca ἐρυθρός (leggi eriuthròs), che significa rosso, e coinvolge, con i passaggi individuati nella prima parte, lutrìno.
Il secondo, con qualche dubbio per i contorsionismi cui costringe, come subito vedremo, la probabile ricostruzione della filiera, mette in campo, confermando l’etimo della Treccani citato dal mio interlocutore, e cioè  l’aggettivo latino ruber/rubra/rubrum, che significa anch’esso rosso, e coinvolge lùvaro e i suoi compagni siciliani in tabella (primo tra tutti lùvaru e poi luuru, ùvaru e alùvaru). Quanto alle altre varianti: liverino e luverino sono diminutivi di lùvaro, mentre livrino e livrino sono le rispettive forme sincopate. Ogni riferimento alla livrea appare da escludere definitivamente.
La filiera sarebbe questa: rubru(m)>*rùberu(m)4>*rùbaru(m)5>*lùvaru(m)>lùvaro.
Mia moglia mi avverte che l’arrosto di pesce in programma per il pranzo di oggi è pronto. Trattandosi di lutrini pensate che oggi mangerò con entusiasmo dopo che di questo pesce, non certo per colpa sua, ne ho piene le palle … degli occhi (la visione prolungata a monitor affatica la vista)?
  Per la prima parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/06/25/lutrinu-lustrinu-nardo-chiama-napoli-risponde-si-spera/
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1 Agnano affondata. Agnano è il nome di un vulcano inattivo dei Campi flegrei. Nel poema l’autore l’immagina come una città andata in rovina.
2 Variae, XIV, 4, 1: … Bruttiorum mare dulces mittat acernias ... (… il mare dei Calabresi mandi le dolci cernie …).
3 Mosella, 122-123: Lucius, obscuras ulva caenoque lacunas/obsidet … (Il luccio abita gli antri oscuri per l’alga e per il fango …).
4 Con epentesi di –e– per motivi eufonici; tuttavia si potrebbe anche ipotizzare una forma di partenza *rùberum, della lingua volgare, tenendo presente il caso del sostantivo sòcer/sòceri dal cui accusativo suocerum è derivato l’italiano suocero; ma il salentino suècru mostra un’origine da un accusativo *socru(m).Il caso di socer/sòceri e non socer/socri contro, per esempio, ager/agri e l’esito della voce salentina dimostrano, a mio avviso, l’andamento ballerino della e presente al nominativo ma assente nel tema (come, appunto in ager/agri). Nulla vieta di pensare che lo stesso accadesse, a livello di lingua parlata, con gli aggettivi in –er, come, sempre a mio avviso, dimostra il superlativo, per esempio, di sacer/sacra/sacrum che è acerrimus contro l’acrissimus che ci saremmo aspettato.
5 Ma il lùvere di Ceglie messapica (vedi H) suppone un più regolare *rùberu(m).
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editionsoceaane · 8 years ago
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viaggioemangio-blog · 8 years ago
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