#livello culturale
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Sottolineare che, guardando i dati elettorali degli ultimi anni, si evince che dove il livello culturale è inferiore stravince la destra non è classismo, ma dato di fatto
Dirlo non vuol dire che chiunque voti a destra sia uno stupido ignorante, ma che i dati dimostrano che meno sei scolarizzato, più è alta la possibilità che tu sia vittima di una propaganda fatta di fake news, populismo, negazionismo, complottismo e promesse irrealizzabili
Una volta la massa votava sinistra? Si, perché i circoli politici erano anche e soprattutto circoli culturali, dove si formava una coscienza civile. Oggi sono poco più che centri di propaganda. Negli anni '60 l'operaio aveva la speranza di far studiare i propri figli, di farli laureare. Avere una cultura era un valore, qualcosa a cui ambire
Quello che dobbiamo chiederci è quando è cambiata questa cosa, quando l'operaio ha smesso di ambire al volere il figlio laureato, a vedere nella cultura il mezzo per migliorare la propria condizione (spoiler: inizia con b e finisce con erlusconismo)
Oggi sembra che mostrare cultura sia un problema, sia classista, sia guardare gli altri dall'alto al basso. Ci stiamo facendo un autogol spaventoso
Con la retorica del "radical chic" e del "comunista col rolex" sono riusciti a infilarci nella testa che sentirci culturalmente superiori sia sbagliato, di essere classisti non più interessati al popolo, che mostrare la propria cultura sia un vezzo deprecabile
Ricordiamoci che cultura non è necessariamente avere una laurea o ottenerla con 2 anni di anticipo, ma leggere, informarsi, partecipare alla vita civica, avere una coscienza civile
Chiunque può averne accesso, se lo desidera
Il problema sta proprio lì: il desiderarlo, il volerlo
@lamiki_e su Threads
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Domeniche di giugno di un certo livello culturale.
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Viviamo in un’epoca di grande ipocrisia. La follia umana sta raggiungendo un livello veramente esagerato. Attivisti verdi che sporcano di vernice le opere d’arte e gli edifici di importanza storica e culturale; adolescenti che invece di studiare a scuola, e capire che l’energia elettrica non nasce dal nulla, gridano sputando saliva di rabbia che dobbiamo salvare il nostro pianeta passando all’ energia alternativa. I centri storici sono pieni di spacciatori, che vendono l’erba. Ma non possiamo legalizzarla! No! Viviamo in un paese cattolico, dicono. Abbiamo il Vaticano…Ogni ragazza sogna di vendere il suo corpo o le sue immagini nude, invece di studiare e diventare un’insegnante o un dottore. Ma riaprire le case chiuse!- guai! Cosa dirà la chiesa?! Siamo tutti pieni di rabbia e invece di trovare soluzioni, trasciniamo questo mondo verso una terribile ed inevitabile fine.
Non sono né un profeta né un scienziato, ma anche con la mia scarsa preparazione posso e devo ricordare a tutti che esiste da tanti anni un modo per produrre l’energia, sostituire la plastica e ridurre al minimo l’inquinamento. Tutto quello che dobbiamo fare è togliere l’etichetta del demonio dalla cannabis! Immagino che qui mi accuseranno della propaganda della droga, ma non abbiate fretta con il vostro giudizio. Vi rinfresco la memoria, raccontando un po’ di fatti riguardo al nemico del popolo: la Cannabis.
Da 1 ettaro di canapa si ricava tanta carta quanto da 4 ettari di bosco. 1 ettaro di canapa emette tanto ossigeno quanto 25 ettari di bosco. I tessuti di canapa superano persino il lino nelle loro proprietà. La canapa è una pianta ideale per realizzare corde, funi, tessuti , borse e cappelli. Ciò che è anche molto importante: tutti i prodotti in plastica possono essere realizzati con la canapa, la ‘plastica’ di canapa è ecologica e completamente biodegradabile. Questo è solo un piccolo elenco delle qualità uniche della canapa: un'altra cosa- la canapa cresce in soli quattro mesi e un albero in 20-50 anni. Può essere coltivata in qualsiasi parte del mondo con poca acqua, inoltre è in grado di difendersi dagli insetti parassiti, non ha bisogno di pesticidi. È davvero un paradosso? Perché stiamo ancora abbattendo le foreste? Stiamo usando la plastica dannosa per sconvolgere l'equilibrio del pianeta? Sì, perché la società dei consumi giova solo ai problemi, non alle loro soluzioni.
E della Hemp Body Car creata da Henry Ford in 1937 vogliamo parlare?!… Ma finché ci sono l’interessi di compagnie petrolifere non vedremo mai queste macchine sulle nostre strade. Il Dio denaro sta comandando questo mondo e costringe ognuno di noi a fare le scelte che porteranno sempre più verso la distruzione. Dobbiamo pensarci e tutto può cambiare!
Adesso, dopo questa introduzione, che ho cercato di fare più breve possibile, voglio condividere con voi la mia esperienza personale. Perché non c’è niente più convincente e dimostrativo, come la prova tecnica.
Ho una grande passione per i mercatini delle pulci. Una volta, facendo la mia ricerca dei tesori ad un mercatino mi sono imbattuto in rullo del tessuto. Non sapevo cosa era, ma l’aspetto estetico e le caratteristiche tattili di questa stoffa mi hanno fatto battere il cuore! Per fortuna avevo davanti a me un venditore, che sapeva tutto su questo grande rullo tessile. Si trattava di canapa lavorata a mano negli anni ’50. E si è accesa subito la lampadina della mia creatività! Da anni volevo farmi fare un abito chiaro, non solo bello , ma soprattutto comodo e leggero. Un abito che fa fresco d’estate e che mi dà il sollievo in questo clima padano. Inizialmente ero concentrato sul procurarmi un pezzo di lino, il classico intramontabile per ogni gentiluomo. Ma dopo avere visto la Grande Bellezza dell’ antico manufatto in canapa non avevo più i dubbi. Comprato il rullo pesante di canapa dal felice venditore, ad un prezzo veramente simbolico di 20 € mi sono recato direttamente dal mio sarto, il signor Franco Parmelli, un sarto che ha più di 80 anni, la maggior parte di quali trascorsi nell’ accumulare un’impagabile esperienza nel campo di creazione di abiti su misura. La bellezza della stoffa che ho portato ha commosso il vecchio Maestro e abbiamo iniziato subito la realizzazione di questo progetto che io ho chiamato “ Legalize it!” Si tratta di un un completo fatto di pantaloni, pantaloncini corti, gilet e giacca a due bottoni, naturalmente di canapa. É un po’ bizzarro, lo so, ma proprio questi elementi di guardaroba possono essere giocati durante l’estate con il massimo piacere e conforto, senza rinunciare all’eleganza. Un taglio semplice e classico, i bottoni in madre perla e poco altro. Ed ecco a voi il risultato finale. Un abito così comodo e bello non l’ho mai avuto in vita mia! E’ diventata la mia seconda pelle. Sicuramente dà un po’ nell’occhio, in mezzo alla massa di infradito, pinocchietti e t-shirts… Ma preoccuparmi di cosa ne pensano gli altri di me non è stato mai per me un problema. Mi sentirò un combattente della piccola armata di uomini eleganti e a testa alta continuerò di vestirmi e non coprirmi… e a contribuire a salvare il pianeta!
Photos by https://www.instagram.com/giovannigarritano_ph?igsh=MTE2anU5d3BsZ2owdA==
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La più completa ed esaustiva risposta che ho letto in questo valzer di sapienze da tastiera:
Vanni Frajese, medico endocrinologo e professore presso l'Università "Forop Italico" di Roma:
"Intanto, l'"intersessuale" NON esiste:
è un termine giornalistico/culturale, ma a livello biologico è un termine che non viene accettato, perché non rappresenta niente.
Nella scienza c'è bisogno delle definizioni per definire le cose esattamente come sono.
Per poter dire se una persona sia un maschio o una femmina, c'è bisogno di oggettività. In tempo passato, bastava il fenotipo, cioè io ti guardo e so direttamente se sei un maschio o una femmina. Dopodiché, abbiamo scoperto che l'uomo ha i cromosomi XY, mentre la femmina XX, che poi mi dà le caratteristiche sessuali secondarie. Però, il sesso genetico/biologico, in alcuni rari casi non si trasforma nel sesso appropriato.
In particolare, questo riguarda fondamentalmente i maschi. Il testosterone normalmente viene prodotto e agisce quando hai il cariotipo XY, dando un fenotipo maschile (testicoli, peli, massa muscolare...). L'unica condizione, in cui si può avere una persona fenotipicamente femminile ma con i cromosomi XY, è quando si ha la resistenza completa agli androgeni: questo è l'unico caso (rarissimo), in cui c'è qualcuno a cui alla nascita gli viene attribuito il sesso femminile (perché l'aspetto fenotipico è della donna), ma in realtà cromosomicamente è un maschio. Quindi, una persona con questa problematica non andrebbe mai a fare boxe, perché l'androgeno "non gli funziona" e quindi ti stai confrontando con chi ha un vantaggio biologico rispetto a te.
Visto che ormai, all'interno dello sport e della medicina, è entrata l'ideologia che dice che non esiste il maschio o la femmina, ma facciamo tutti parte di un ampio spettro, bisognerà che il CIO, piuttosto che prendere quello che c'è scritto sul passaporto, in casi "sospetti" faccia un protocollo che permetta di certificare 3 cose:
1) Il componente cromosomico;
2) Il componente endocrino (quanto testosterone hai);
3) Il componente fisico.
Ad esempio, se una persona ha i livelli di testosterone alti ma non tantissimo (perché si abbassano anche farmacologicamente), ma XY e ha (o ha avuto) gli organi sessuali maschili, comunque BIOLOGICAMENTE è un maschio. Se poi la società (in genere quella occidentale) lo vuole qualificare come qualcosa di differente (perché lui ci si sente), non è un problema (sono liberi di farlo!), ma BIOLOGICAMENTE rimane un maschio: un maschio biologico può fare quello che vuole nella vita, ma NON DEVE COMPETERE con una femmina biologica, perché ha un vantaggio.
Se queste prove che certificano il sesso biologico degli atleti non vengono effettuate, un domani qualunque persona può decidere di registrarsi come donna, fare o non fare l'operazione (perché tanto sono fatti suoi e non lo verremo a sapere) e andare a competere con le donne, ma questo NON deve accadere, perché altrimenti l'idea stessa dello sport verrà distrutta.
Lasciate perdere gli attuali protagonisti, perché è inutile puntare il dito sulla singola persona, é l'idea che è molto più interessante. Nel caso di Imane Khelif, entriamo nel campo delle opinioni (non delle certezze): da quello che ho capito io, la genetica XY, i livelli di testosterone alti e quella struttura fisica, per me è un MASCHIO".
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L'incoerenza di genere sfida la filosofia interpersonale
Post ad alto contenuto di imbarazzanti ovvietà da boomer e strafalcioni dettati da ignoranza becera dell'argomento riguardo i quali sono contento di discutere per saperne di più e per migliorarmi. Ne scrivo proprio per avere una discussione proficua. Abbiate pietà, sono nato e cresciuto negli anni ottanta del secolo scorso.
Seguitemi un attimo. Io sono Firewalker, ho una certa altezza, un certo peso, una certa capigliatura. Se cambio capigliatura, se ingrasso o dimagrisco, sono sempre Firewalker.
Ho avuto un incidente anni fa e ho cambiato il legamento crociato anteriore sinistro. Nonostante quel cambio, sono sempre io. Se perdo l'intera gamba continuo a essere io. Se perdo tutti gli arti sono comunque io. Se mi cambiano il cuore sono sempre io.
La leggenda vuole che ogni sette anni cambiamo tutte le cellule del nostro corpo (che poi dubito sia vera questa cosa, soprattutto per alcuni tipi di cellule, ma facciamo finta che). Comunque a 14 anni siamo sempre la stessa persona di quando avevamo 7 anni, giusto?
C'è una vecchia storiella che racconta che nel corso della manutenzione a una barca, questa piano piano vede sostituito tutto il suo legno con del legno nuovo.
E allora, quanti pezzi di me devo cambiare, quanto legno della barca devo sostituire, per fare sì che quella persona non sia più io, che quella barca non sia più la stessa barca?
Non so per le barche, ma la mia idea è che io risiedo nel mio cervello. Il mio cervello (la mia mente... la separazione tra cervello e mente è un altro paio di maniche. Per me sono la stessa cosa, facciamo finta che sia così per tutti per semplicità di discussione) decide come mi muovo, cosa faccio, come reagisco, decide il mio carattere, decide i miei interessi, decide le mie passioni, i miei amori, le mie antipatie. Io sono il mio cervello.
Probabilmente, se guardiamo la questione in maniera egoriferita, è lapalissiano, ed è per tutti così. Il problema è quando guardiamo gli altri. Se io conosco Marco, lo conosco con la sua altezza, col suo peso, con la sua capigliatura, oltre che con i suoi modi di fare e con i suoi interessi. Lo riconosco per il suo aspetto, e magari ho piacere a stare con lui per il suo cervello, ma non è quello che mi indica la sua identità, non è quello che me lo fa riconoscere. Per me Marco è un corpo esterno da me, per Marco lui è il suo cervello.
Ecco il punto del discorso.
Ci vuole un salto qualitativo da parte mia per riconoscere che Marco non è il suo braccio o il suo collo messi insieme a tutto il resto. Marco è il suo cervello. Questo salto qualitativo non è fatto da tutti, forse perché non ci pensano, forse perché non sono d'accordo con la mia affermazione "è così per tutti", ci hanno ragionato sopra e per loro ha importanza anche la corporeità. Forse è un problema culturale (inteso proprio come conoscenze delle varie sfaccettature di questo argomento).
Il fatto è che se Marco ha una incoerenza di genere e il suo cervello gli dice di essere Angela, ecco che potrebbe non accettare più le parti del corpo che ha, perché vive la sua realtà, il suo cervello, non è allineato. Qui si sfocia nella disforia di genere, che è un malessere generato da questa incoerenza di genere.
In qualunque modo la viva Angela, il fatto è che non vive da sola. È circondata da persone che gli dicono che si chiama Marco, che ha il corpo di Marco, e che magari non accetta il fatto che sia Angela a "pilotare" il corpo che vedono.
Gli altri devono far caso al fatto che Angela non è il suo corpo, ma il suo cervello. Devono improntare il rapporto con gli altri ad un livello superiore per poter notare questa cosa e, come detto, non tutti lo fanno. Anzi, per molti non è pensabile che Angela esista, esiste solo Marco, che è quello che loro vedono. E se Marco dice di essere Angela, allora ha un problema mentale (per alcuni è il demonio, per altri è una moda...), perché non è possibile che non si accorga di essere Marco, deve fare finta per forza.
Senza contare poi che, magari, la situazione è anche più complicata. Me li immagino pensare "sei Marco, cosa significa che non ti senti ne maschio né femmina?"
Non ho ancora trovato il modo migliore per rapportarmi con queste persone (quelle che non riconoscono Angela), so solo che la divulgazione è spesso osteggiata o marginalizzata in settori di nicchia, perché per capire certe cose (anche solo vagamente, come penso e spero di fare io) bisogna sbatterci la testa contro più e più volte, e non tutti c'hanno voglia di faticare su questo.
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Norvegia elettrica
In Norvegia le auto elettriche hanno superato quelle endotermiche, si legge. Allora leggiamo - o, come dicono oggi, fatt-cecchiamo.
Beh, intanto si parla di VENDITE o nuove immatricolazioni: 754.303 elettriche contro 753.905 a benzina, mentre nel freddo paese il motore più diffuso è ancora il diesel, ne circolano più di un milione.
Rimane comunque l'unico Paese AL MONDO ad aver raggiunto tale risultato: ad esempio in Europa tutta assieme le vendite di auto elettriche diminuiscono dal 2023 e ora rappresentano solo il 12,5 per cento delle nuove auto vendute nel continente. E il norvegese come fa? L'elettrico si adatta al freddo? Direi proprio di no.
Il punto è che la Norvegia può permettersi di offrire ai privati sgravi fiscali molto generosi sui veicoli elettrici, rendendo il loro prezzo pari alle vetture a motore endotermico. E' distorsione di mercato, aggiungi la peer pressure mediatico culturale e ci siamo: là fare i "progressisti" fa fine e non costa nulla. E le infrastrutture sono pronte (con 5,5 milioni di abitanti non ci vuole molto).
Attenzione: la Norvegia si può permettere solo lei quel livello di incentivi sfruttando la RENDITA PETROLIFERA: è uno dei primi Paesi Esportatori di greggio. Il cerchio si chiude: incentivano il green in casa altrimenti fuori mercato, coi soldi ottenuti lasciando che altri "sporchino" altrove, alla faccia dell'abbassamento delle emissioni GHG, che o è globale o non conta. Un super classico dell'ignoranza economica (andar contro mercato prima o poi torna tra le corna) e dell'ipocrisia puritana.
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
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Il lapsus contemporaneo sullo "sbarco in Lombardia" dice molto del livello di formazione del sistema scolastico e del livello culturale dei media.
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Avevano iniziato prestissimo a rompergli i coglioni. Praticamente subito dopo la sua nascita, obbligandolo a poppare a orari prestabiliti, a cercare di farlo dormire quando aveva voglia di comunicare e viceversa, a frequentare solo oggetti DOC, a sopportare assurde moine per strappargli un sorriso da esibire allo zoo dall'altra parte dello steccato ed un'infinità di altri ricatti piccoli e grandi. Poi le cose peggiorarono di molto al raggiungimento dell'età scolastica. Appena messo piede nella scuola, intuì subito di trovarsi in una specie di caserma culturale. Più tardi comprese che era molto più caserma che culturale. Poi conobbe le caserme-caserme e sempre più ebbe la sgradevole impressione che stavano cercando di sagomarlo come una serratura nella quale fare entrare le loro chiavi. Giunto nel mondo del lavoro, che da noi nobiliterebbe mentre altrove rendeva liberi, si vide circondato da uomini-serrature e da uomini-chiave ed iniziò a costruire un piano che avrebbe dovuto permettergli d'evadere dall'immensa prigione in cui stavano rinchiudendo le nostre esistenze. Con dolore vide suoi coetanei che per sfuggire all'annullamento sociale si autoannullavano conficcandosi narghilè nel cervello e siringhe nelle vene. Altri accettarono le regole e si misero in fila per avere i bollini dell'arrampicata sociale: si inizia con un frullatore e si termina, dopo mezzo secolo di sfruttamento e cambiali, con la lavatrice ultimo modello nell'appartamento condominiale scontato con venti anni di mutuo-prigione. Altri ancora, tra i quali lui, iniziarono un lungo cammino verso la libertà attraverso i labirintici meandri dell'autorità che tutto copre e avvolge. Ora dovrebbe trovarsi all'incirca ad ovest della statua della libertà, verso il trentesimo sub-livello rispetto al volo degli uccelli. Difficile spiegare esattamente il perché, ma so per certo che si sente libero.
Horst Fantazzini - Autorità
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un piccolo frammento per ricordare due fantastici attori di un cinema che non esiste più.
In questa scena due estranei si ritrovano a fare conoscenza in un momento difficile per entrambi.
Vogel, interpretato da Gian Maria Volonté è un evaso, tutti lo inseguono, poliziotti, cani, posti di blocco, è un animale braccato che ha paura e non sa se potrà ancora fidarsi di qualcuno.
Corey, il personaggio di Alain Delon è invece appena uscito di prigione per buona condotta. Ha scontato la sua pena ma si rende conto di avere ormai perso tutto della sua vita precedente, la sua donna, gli amici, tutti lo hanno abbandonato, è un uomo allo sbando che sembra non provare più nessuna emozione.
Come in molti altri ruoli di Delon c'è anche un secondo livello, Corey è un uomo bellissimo e molto elegante, questo fatto non viene esplicitato in nessun modo durante il film ma è evidente agli occhi di tutti. Corey è bello e impossibile nella cella del carcere, mentre vaga all'alba tra bar e sale da biliardo nei bassifondi di Marsiglia, in questa scena in aperta campagna in cui il fango arriva fino alle caviglie. Tutti gli altri personaggi lo notano e hanno una naturale reazione, lo invidiano, lo disprezzano, non si fidano.
Alcuni dettagli rendono questo incontro per me indimenticabile cinematograficamente. Lo zoom che trasforma il campo larghissimo in un campo americano mentre Volontè si avvicina, come a sottolineare la distanza che si assottiglia tra i due uomini, e poi il momento topico della sigaretta: Vogel stringe la pistola con la destra e il pacchetto nella sinistra, così l'accendino gli cade a terra, se vuole recuperarlo deve distogliere sguardo e arma dall'altro uomo, è un dilemma, lo vediamo esitare e infine cedere, metaforicamente sotterrare l'ascia di guerra e accettare Corey, condividere una sigaretta che sancisce una fratellanza.
Il tutto in un paio di secondi e senza dire una parola, solo con gesti e sguardi. Tornare dopo questo a guardare un film americano in cui i gangster parlano del più e del meno e si urlano insulti e parolacce senza soluzione di continuità è un vero shock culturale.
da Le Cercle rouge di Jean Pierre Melville
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La cultura del nulla.
Partirei col dire che oggi che è il giorno della memoria 'corta' ci si è dimenticati di una lezione dura, come detto altre volte non impariamo dai nostri errori, sapendo che l'olocausto non fu solo per gli ebrei ma anche per tutte quelle minoranze che non andavano bene al regime nazista come i nomadi, gli omosessuali e quelli dalla pelle non bianca, ma di norma questo giorno viene considerato solo per gli ebrei. Quei poveri cristi gassati o uccisi male non hanno niente a che fare con quello che sta succedendo adesso tra israele e la palestina, netanyahu e compagnia bella non sono gli stessi, decisamente, e su questo e quello che c'è attorno ci sarebbe molto da dire, ma mi fermo qua perché il post non è dedicato a loro o al massacro che stanno facendo da mesi sotto gli occhi di tutti senza che nessuno che abbia un minimo di voce in capitolo faccia qualcosa.
Ieri si è aperta la stagione che vede Tartu (la città estone dove vivo) come capitale europea della cultura. Sono andato a prendere un caffè con la piccoletta che a fine mese si trasferisce in Svezia e abbiamo visto nel gelo della giornata parecchie persone vestite con i costumi tradizionali e in piazza c'era un palchetto con musica terribile, facevano le prove. Li per li pensavo che è legato a una delle loro celebrazioni, ho letto qualche post del compleanno del paese o qualcosa del genere, ma mi sbagliavo. Poi la sera arrivava da non molto lontano l'eco di musiche tecno e house a volumi esorbitanti e la mia compagna mi ha detto che è iniziato il periodo della cultura. Quale cultura? Questo paese al confine del mondo conosciuto, di fatto non viene mai calcolato nelle statistiche europee, nato da pochissimo, se si considera che si sono liberati dall'unione sovietica nel 91 e che gli anni 90 li hanno passati ad assestarsi, si può capire che in realtà il paese ha più o meno 25 anni, niente se si paragona a paesi europei come il nostro o altri che hanno contribuito alla storia e alla creazione di questa civiltà in declino. Ma in quegli anni i governi hanno puntato sulla tecnologia, avrete sentito che l'Estonia è una piccola silicon valley e fin qua niente da dire se si pensa che alcuni software di successo sono stati creati qua, skype e nod32 in testa, ma quello che hanno fatto è stato creare una società stile americano, degli stati uniti, ma assorbendo la parte peggiore quella del puritanesimo per avere una facciata bella ma con un interno vuoto e spesso orribile. Questo ha influenzato la cultura, ovviamente, che è stata messa da parte per dare al popolo l'idea che il lavoro sia una priorità assoluta e che tutto il resto è superfluo. C'è anche da non sottovalutare l'enorme gap che hanno questi paesi, quelli del ex blocco sovietico, in termini di tempo (furono inglobati nel 1940) e siccome i russi non volevano che niente di occidentale venisse venduto o riprodotto o consumato dai popoli sottomessi ecco che tutto quello che abbiamo avuto noi, a livello culturale artistico e letterario nel bene e nel male, loro non l'hanno visto. Recuperare 50 anni di storia e di cultura mondiale non è facile, anzi è quasi impossibile perché i periodi storici e i cambiamenti sociali e culturali si devono vivere e capire per poi progredire, loro no, una volta liberi hanno preso quello che pochi e avidi personaggi propinarono loro attraverso i media, quindi parecchio mainstream e qualcosa che recuperavano dagli anni precedenti, per farvi un esempio quelli della mia età e più grandi ricordano con amore i nostri cantanti come Toto Cutugno, Al bano e Romina i ricchi e poveri e tutti quelli di quei San Remo primi anni 80, io dico che i russi li torturavano con il festival come battuta ma in pochi la capiscono perché il nostro festival non lo conosce quasi nessuno, è una cosa prettamente nostra e soprattutto poco esportabile. Si può capire da questa piccola storiella come l'interesse per le arti in generale non sia una priorità per l'estone medio, per carità ho conosciuto persone che hanno una buona cultura musicale, visto che sono del ramo, molti conoscono l'arte e così via, ma perché sono anche loro nel campo ed è logico che prendendo una nicchia cercano di esplorarla il più possibile, anche grazie al mezzo internet. Ma mi è capitato anche di parlare con persone che non conoscono neanche i loro di cantanti, non dico nomi astrusi di nicchia stranieri, ma neanche quelli locali che ve li sbattono ovunque in tutte le salse? Questo la dice lunga quanto sia bassissimo l'interesse.
Quindi la domanda è : Quale cultura andate a celebrare in questo periodo visto che siete la città della cultura europea? Se poi considerate che schifate lo straniero e quindi non tollerate altre forme culturali, cosa andate a mostrare? La cultura dell'alcol? O quanto siete copia e incolla fatto male di un mondo che non ha niente a che vedere con l'Europa?
Questo è a grandi linee un paese che sulla carta è moderno e innovatore, ma che se sposti la carta vedi tanto di quel marcio che diresti 'Ok, statevi per fatti vostri per altri 150 anni poi ne riparliamo'. A me non frega molto fra 2 settimane torno in Trinacria per un periodo XY a rigenerarmi da tutto questo e non so neanche se tornerò più a vivere qua, ma questo dipende molto da come si mettono le cose con lei. Da noi si dice "comu finisci si cunta" (quando finisce si racconta). Penso che l'album giusto sia l'immortale capolavoro del Banco
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1) Not all men, non tutti i maschi sono così, non potete generalizzare.
Non generalizzo, ma non vedo per quale ragione dovrei lodare qualcuno per non essere un assassino. Quando un uomo si sente in dovere di precisare di essere diverso da un tizio che controlla, rapisce, aggredisce, uccide una donna che cosa vuole esattamente, un applauso? Una medaglia? Riceviamo forse un premio per non essere criminali?
Non commettere violenza è il livello base di convivenza civile: non si dipinga il minimo della decenza come una prova di virtù.
Se poi la paura è legata alle relazioni (“le donne hanno paura degli uomini, resterò scapolo tutta la vita”), si sappia che per chiunque l’intimità è anche vulnerabilità. Il timore d’essere temuti credo possa almeno pareggiare con il timore di subire violenza, no?
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2) Cherry picking e benaltrismo (Non c’è un aumento di casi! E allora i maschicidi? Gli infanticidi? E allora i paesi islamici?)
Primo. Se si parla di violenza sulle donne il tema è la violenza sulle donne, se ritenete meritevoli di dibattito altri temi fatevi i post vostri.
Secondo. L’allarme sociale si crea di fronte a fenomeni statisticamente rilevanti, non necessariamente in numeri assoluti. Esibire il grafico che mostra che le vittime femminili di omicidio restano costanti negli anni, come se quel dato fosse una vittoria, mostra la mancata comprensione della tendenza, visto che, a fronte della generale diminuzione dei reati (e degli omicidi) la mancata flessione delle vittime femminili non può essere interpretata positivamente.
Terzo. Il fatto che le donne in Iran siano perseguitate e oppresse non rende sopportabile la violenza di genere altrove, né rende capricci o voluttà le rivendicazioni femministe.
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3) Volemosebene, basta guerra tra i sessi!
Denunciare la violenza di genere, riflettere sul patriarcato non significa, né ha mai significato, odiare i maschi, né ingaggiare un derby donne contro uomini, ma casomai criticare un certo tipo di maschi (ma pure di femmine, che ne adottano retorica). In altri termini, significa riconoscere l’egemonia culturale che il privilegio maschile ha imposto e impone. E far emergere questo conflitto, non tra maschi e femmine, ma tra patriarcato e parità, richiede anche argomentazioni forti e toni aspri: nella lotta contro disuguaglianze e discriminazioni, il bon ton non è un requisito essenziale.
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E, quanto a retorica, anche in buonafede, sappiate che non abbiamo bisogno di sentirci dire che doniamo la vita o che siamo esseri angelicati: siamo tutte diverse, con idee, temperamenti, caratteristiche differenti, così come i maschi, così come chiunque. Abbiamo bisogno, e abbiamo diritto, tuttə, di avere potere sul nostro corpo, sul nostro spazio, fisico, psicologico e sociale. Abbiamo bisogno di elaborare e rivendicare, di vivere e di convivere, di legarci restando persone, individualità che esistono non solo in funzione di qualcuno o di qualcosa.
E tra i maschi non cerchiamo, né dovremmo cercare, eroi, salvatori, giustizieri o principi azzurri. Se davvero, sinceramente, autenticamente, non per provocazione o polemica, temete il femminismo e non cogliete problemi nel modello patriarcale, ma vorreste non essere parte del problema, siateci alleati. Riconoscete il privilegio di cui godete (che non è una colpa, è un vantaggio), iniziando da quello della parola: per una volta, lasciate il palco, il microfono, il megafono, l'editoriale, l’ospitata in tv. E chiedete, leggete, ascoltate, cercate di capire e non convincetevi subito di esserci riusciti. Imparate a condividere e rilanciare le parole altrui: ci sono persone che parlano veloci per l’abitudine di essere interrotte, ci sono discorsi che meriterebbero ascolto invece che lezioni, ci sono voci che andrebbero amplificate.
E quando si ha un privilegio il miglior servizio è farsi cassa di risonanza.
Roberta Covelli
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I sentimenti si apprendono. Gli antichi imparavano i sentimenti attraverso le storie mitologiche. Se guardiamo alla storia greca ci ritroviamo tutta la gamma dei sentimenti possibili, Zeus il potere, Afrodite l’amore, Atena l’intelligenza, Apollo la bellezza, etc. C’era tutta la fenomenologia dei sentimenti umani. Noi invece li impariamo attraverso la letteratura, che è il luogo dove si apprende che cosa sono il dolore, la noia, l’amore, la disperazione, il suicidio, la passione, il romanticismo. Ma se la letteratura non viene “frequentata” e i libri non vengono letti, se la scuola disamora allora il sentimento non si forma. E se la cultura non interviene, i ragazzi rimangono a livello d’impulso o al massimo di emozione. Da qui la necessità di educare al sentimento, a partire dalle favole per bambini dove si impara cosa è bene e cosa è male, e poi, crescendo, con la scuola dove si apprende dalla letteratura tutta la gamma dei sentimenti, i loro nomi e i loro possibili percorsi. E solo grazie a questo corredo culturale si acquisisce quella sensibilità psichica capace di distinguere il bene dal male, l'amore dall'odio, la partecipazione dal l'indifferenza. Ma la famiglia e la scuola oggi educano al sentimento? Questa è la domanda da rivolgere non a Dio, ma alle nostre istituzioni educative. Umberto Galimberti, Intervista
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quando avevo 20 anni ero molto modesta e mi reputavo molto intelligente e segretamente superiore agli altri. Non lo dicevo ad alta voce, ma lo pensavo. Ora mi reputo un'ignorante atomica che di intelligente ha poco e mi capita che se conosco qualcuno che reputo intelligente mi sento in soggezione ed esce fuori che sono davvero stupida! Chiaramente non parlo di intelligenza a livello culturale/educativo perché ahimè tutto lo scibile umano non lo sa nessuno, però insomma di intelligenza in generale. Eppure eppure, strano ma vero, mi dicono "ma tu sei una ragazza intelligente brava e simpatica" e gne gne gne cose così. Che storia.
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La risposta alla domanda "le fonti?" (fuor d'Accademia, lì non metterle è inconcepibile) è MUOVI IL CHIULO E FATTI LE TUE RICERCHE.
La richiesta "le fonti?" é un classico refugium di chi sia abituato ad abbeverarsi acriticamente alle "certezze" della egemonia culturale sinistra che fu. I cui detriti da conflagrazione formano gli odierni "lo dice lascenza".
E' il livello successivo, apparentemente più sofisticato e razionale del mero insulto "fassista rassista populishta". O il desueto "libermerda". Tipicamente questo seguirà la risposta, magari in forma sardonica.
Chiederlo a coloro i cui contenuti si desideri denegare è tipo un renziano "first reaction, choc": è ammissione di straniamento, di assenza di strumenti critici autonomi quindi immediati; per cui sperano emerga trattarsi di invenzione totale, copincolla da notorio demente o -bot russo.
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I sentimenti si apprendono. Gli antichi imparavano i sentimenti attraverso le storie mitologiche. Se guardiamo alla storia greca ci ritroviamo tutta la gamma dei sentimenti possibili, Zeus il potere, Afrodite l’amore, Atena l’intelligenza, Apollo la bellezza, etc. C’era tutta la fenomenologia dei sentimenti umani. Noi invece li impariamo attraverso la letteratura, che è il luogo dove si apprende che cosa sono il dolore, la noia, l’amore, la disperazione, il suicidio, la passione, il romanticismo. Ma se la letteratura non viene “frequentata” e i libri non vengono letti, se la scuola disamora allora il sentimento non si forma. E se la cultura non interviene, i ragazzi rimangono a livello d’impulso o al massimo di emozione.
Da qui la necessità di educare al sentimento, a partire dalle favole per bambini dove si impara cosa è bene e cosa è male, e poi, crescendo, con la scuola dove si apprende dalla letteratura tutta la gamma dei sentimenti, i loro nomi e i loro possibili percorsi. E solo grazie a questo corredo culturale si acquisisce quella sensibilità psichica capace di distinguere il bene dal male, l'amore dall'odio, la partecipazione dal l'indifferenza. Ma la famiglia e la scuola oggi educano al sentimento? Questa è la domanda da rivolgere non a Dio, ma alle nostre istituzioni educative.
Umberto Galimberti
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