#linguaggio poetico sperimentale.
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"Quell’andare avanti" di Silvia De Angelis. Un viaggio tra immagini evanescenti e riflessioni esistenziali. Recensione di Alessandria today
"Quell’andare avanti", di Silvia De Angelis, è una poesia dal forte impatto simbolico e visivo, dove il tempo, la memoria e la precarietà dell’esistenza vengono rievocati attraverso un linguaggio evocativo e frammentato.
“Quell’andare avanti”, di Silvia De Angelis, è una poesia dal forte impatto simbolico e visivo, dove il tempo, la memoria e la precarietà dell’esistenza vengono rievocati attraverso un linguaggio evocativo e frammentato. Il componimento si snoda tra immagini cariche di suggestione, raccontando un viaggio interiore in cui il passato, il presente e il futuro si sovrappongono come istantanee…
#Alessandria today#connessione tra parole e suono#emozioni nella poesia#frammenti di memoria#Google News#immagini astratte#immagini evocative#immagini poetiche#interpretazione poetica#introspezione e poesia#Introspezione poetica#italianewsmedia.com#LETTERATURA CONTEMPORANEA#lettura poetica#linguaggio evocativo#linguaggio poetico sperimentale.#Linguaggio Simbolico#lirismo moderno#metafore ardite#metafore in poesia#nuova poesia italiana#Pier Carlo Lava#poesia contemporanea#poesia e arte#poesia e filosofia#Poesia e fotografia#poesia e memoria#poesia e musica#poesia e riflessione#poesia simbolica
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Di Londra Notizie 24 Si chiama Breaking Lines - Futurism and the Origins of Experimental Poetry la mostra dedicata al lato poetico del Futurismo italiano alla Estorick Collection dal 15 gennaio. Breaking lines alla Estoric, un viaggio alle origini della poesia nel Futurismo italiano Si chiama Breaking Lines Futurism and the Origins of Experimental Poetry / Dom Sylvester Houédard and Concrete Poetry in Post-war Britain, la doppia mostra dedicata alle origini del Futurismo italiano e in particolare del suo lato poetico e letterario e alla Poesia concreta del Dopguerra in Gran Bretagna, che si terrà dal 15 Gennaio all'11 Maggio 2025 alla Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra. Una mostra che permetterà di esplorare quello che gli stessi organizzatori hanno definito "il mondo rivoluzionario della poesia sperimentale". Già, perché il Futurismo italiano, che tanto cambierà nella storia delle arti visive, nasce in realtà in ambito letterario, perchè è stato fondato e guidato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti. e perché sin dal suo nascere ha attirato tanti poeti e scrittori che produssero oere innovative quanto quelle dei pittori. Futurism and the Origins of Experimental Poetry traccia le distinte fasi attraverso cui passò la poesia futurista, con un focus particolare su quelle forme di sperimentazione che riflettono il desiderio del movimento di “raddoppiare la forza espressiva delle parole” enfatizzando e sfruttando le dimensioni visive e/o sonore del linguaggio. La mostra include rare edizioni originali di opere, tra cui il celebre "libro imbullonato" Depero futurista di Fortunato Depero, oltre a giornali e riviste come L’Italia futurista, che hanno contribuito in modo significativo alla diffusione delle nuove ricerche poetiche e hanno aiutato a creare una rete internazionale d'avanguardia. In mostra anche il lavoro del monaco Dom Sylvester Houèdard Questa esposizione è completata da una mostra dedicata al lavoro di Dom Sylvester Houédard (1924–1992), ampiamente riconosciuto come uno dei maestri della poesia concreta. Monaco benedettino e noto teologo, Houédard scrisse ampiamente su nuovi approcci alla creatività, alla spiritualità e alla filosofia, collaborando con figure come Gustav Metzger, Yoko Ono e John Cage. Il suo lavoro, che sfuma i confini tra letteratura e arte visiva, contribuì a definire lo sviluppo della poesia britannica del dopoguerra e influenzò il movimento globale della poesia sperimentale. Saranno inoltre esposte opere di altri esponenti britannici della poesia concreta, tra cui Ian Hamilton Finlay, John Furnival e Bob Cobbing. Per info: - Estorick Collection of Modern Italian Art, 39a Canonbury Square, London, N1 2AN - T: +44 (0)20 7704 9522 | E: [email protected] - www.estorickcollection.com | X @Estorick | Facebook / Instagram estorickcollection. ... Continua a leggere su
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Janis Rafa
https://www.unadonnalgiorno.it/janis-rafa/

Mi piace creare mondi e interpretazioni possibili che mettono al centro spazi e comunità marginalizzati, che riguardano per esempio i rifugiati costretti a condurre una vita nascosta. Sono figure che restituiscono la complessità delle relazioni in una realtà in cui, oltre all’umano e all’animale, vi sono altre forme di vita.
Janis Rafa è un’artista visiva greca che utilizza prevalentemente il linguaggio cinematografico, attraverso lungometraggi e video-istallazioni.
Le sue opere, spesso permeate da elementi di realismo magico, esplorano il potenziale simbolico della relazione tra umani e altre specie, riflettendo su temi come mortalità, coesistenza e coscienza ecologica.
Nonostante gli elementi fantastici, i suoi film sono ben lontani dall’essere opere fantasy di evasione. Con crudo realismo denuncia la violenza contro le donne.
Nata col nome di Janis Rafailidou ad Atene nel 1984, figlia di artisti, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Atene, conseguito un master in arte visiva all’università di Leeds, Gran Bretagna e ottenuto un un dottorato in filosofia sulla teoria e la pratica del video.
Ha tenuto residenze artistiche e raccolto premi in giro per il mondo. Ha esposto in gallerie e musei di tutto il mondo, i suoi lavori sono stati inclusi in importanti festival cinematografici e mostre personali e collettive.
Il suo primo lungometraggio Kala azar, co-produzione greco-olandese, segue il vagabondare, attraverso il desolato paesaggio post-industriale della Grecia, di una giovane coppia votata a dare degna sepoltura agli animali.
Lacerate commissionatole nel 2020 durante la pandemia per denunciare il tema della violenza domestica, con cui ha collaborato al film collettivo Mascarilla 19, con uno stile potente e raffinato, mette in scena in un interno fatiscente, una tragedia quotidiana in chiave di metafora in cui il personaggio femminile non è più la vittima che attende di essere salvata. Nel suo immaginario il realistico e il metafisico, il sociologico e l’antropologico, il politico e il poetico, si fondono in modo inevitabile dando vita a una singolare narrazione priva di dialoghi, dove quasi sempre al centro vi è l’incontro tra l’elemento umano e quello animale, accomunati dallo stesso fatale destino.
Con la sua visione creativa e il suo approccio sperimentale, ha aperto nuove strade per esplorare il potere dell’immagine e della narrazione visiva.
Credo che il modo più efficace per parlare della violenza sia riflettere sull’eredità della sua trasmissione tra le generazioni, e dagli umani agli animali. Compresa la nozione di violenza anche storica che riguarda la rappresentazione nell’arte e nella storia occidentale in cui la figura umana domina costantemente la natura e ogni altro luogo.
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Vincitori 2018 - Paola Binante - Marena

Polaroid cm 10 x 12 Stampa da negativo Polaroid Polaroid 10 x 12 cm, print from a Polaroid negative Dittico / Diptych: cm 15,2 x 10,8; cm 80 x 60 2018


Marena è un dittico composto da una Polaroid e da una stampa da negativo Polaroid. L’opera si presta a diverse letture. Innanzitutto è una riflessione sul mezzo fotografico. La Polaroid, un procedimento di fotografia istantanea con pellicole autosviluppanti, la cui distribuzione cessa alle soglie del nuovo millennio, ha una lunga storia. La fotografia istantanea, lanciata sul mercato americano a fine anni Quaranta, è uno strumento popolare, interpretato creativamente da molti artisti. Paola s’inserisce in quest’ultimo ambito, inoltrandosi nel campo della ricerca d’avanguardia, intrapresa da artisti del calibro di Warhol e da uno sperimentatore instancabile come Nino Migliori. L’attività sperimentale di Paola Binante, che inizia nella seconda metà degli anni Novanta, interpreta la fotografia off-camera, usa la fotocamera riallacciandosi alla ricerca concettuale. In Marena trasfigura la pregnante iconicità dell’oggetto attraverso un peculiare lavoro di trascrizione. Il suo ambito poetico è lo spazio che si insinua tra la materia ed il linguaggio, tra l’oggetto e la scrittura. Troviamo una vocazione oggettuale-materica, cifra estetica del suo lavoro, nella sua interpretazione del vaso come scultura, collocandolo su un piedistallo. L’operazione concettuale è complessa: il vaso è un’icona, ma è anche un prodotto del lavoro, che ha una sua materialità, simboleggiato dalla mano femminile. Un dualismo che caratterizza la metodologia di lavoro: le diverse dimensioni e presentazione delle Polaroid; l’immagine istantanea e l’uso del banco ottico, segno della sua meditazione sul tempo fotografico. Sullo sfondo di un muro sbrecciato colloquiano l’iconicità e la materialità dell’Amarena. Nello iato tra le due Polaroid l’autrice riconsegna spessore teorico all’atto fotografico, alla sua storia, alla sua valenza di traccia capace di suscitare emozioni e sapere.
Nasce nel 1965 a Roma. Vive e lavora a Bologna. Mostre personali
2018 “Cuore di pietra”, a cura di / edited by M. Corazzini, CSA Farm Gallery, Torino 2017 “Generazioni. Pluralità del femminile”, a cura di / edited by M. Corazzini, CSA Farm Gallery, Torino 2016 “The Sea Atlas”, Officine 500 Gallery, Torino 2014 “Generazioni. Pluralità del femminile”, a cura di / edited by S. Bonfili e E. Paloscia, Museo di Roma in Trastevere, Roma 2010 “Paralipòmeni”, Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art , Lucca 2008 “ABC - Araki, Binante, Cosulich”, a cura di / edited by E. Paloscia, Galleria Anna D’Ascanio, Roma 2006 “Generazioni”, a cura di / edited by M. Chelucci, Massenzio Arte, Roma “Paralipòmeni”, InCamera Photo Gallery, Pietrasanta 2005 “Islam”, Libreria Odradek, Roma 2003 “Cambiamenti”, Galleria d’Arte 107, Casperia “Paola Binante”, a cura di / edited by M. Bentivoglio, Centro di documentazione della ricerca artistica contemporanea Luigi Di Sarro, Roma Mostre collettive / Group Exhibitions 2017 “Christian Boltanski. Take Me (I’m Yours)”, ex parcheggio Giuriolo, Bologna “Questioni di famiglie”, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, Bibbiena “De rerum natura. Omaggio a Nino Migliori”, Palazzetto Eucherio Sanvitale, Parma 2016 “HERE. Arti visive”, Cavallerizza Reale, Torino 2014 “Slow Photo Project. Della lentezza in fotografia”, Galleria Santevincenzidue, Bologna 2012 “Il respiro della Sila”, Centro Studi Cappella Orsini, Roma 2011 “Dalla cella all’atelier. Per un riallestimento della collezione permanente dell’IGAV”, La Castiglia, Saluzzo “Su Nero nerO / Over Black blacK”, a cura di / edited by F. Paludetto, Castello di Rivara, Rivara “Sila dono sovrano”, a cura di / edited by F. De Chirico, S. Ferrari e A. Manta, Palazzo Arnone, Cosenza 2010 “Art Transport Station”, a cura di / edited by A. Carrer e B. Barsanti, Stazione Leopolda, Firenze “Carte da Gioco d’Artista”, Padiglione Italia Expo Shanghai, Shanghai 2009 “La stanza dei sogni”, Bloomsbury Auctions, Palazzo Colonna, Roma “Arte in forma di libri”, Abbazia Greca di San Nilo, Grottaferrata 2008 “La sindrome di Icaro. Licini e 26 artisti tra terra e cielo”, a cura di / edited by M. Vescovo, Parco Bioenergetico e Antiche Scuderie del Borgo Storico Seghetti Panichi, Castel di Lama “EXPERIMENTA”, a cura di / edited by M. Calvesi, L. Canova, M. Meneguzzo e M. Vescovo, Ministero degli Affari Esteri, Roma 2007 “Profumo di cacao. Cioccolato come arte”, a cura di / edited by M. Vescovo, Casa delle Arti e dell’Architettura, Settimo Torinese “Contemporary nature”, ISA Istituto Superiore Antincendi, Roma 2006 “Natura e Metamorfosi. La creatività italiana racconta la Natura”, a cura di / edited by M. Vescovo e A. Carrer, Creative Art Center, Beijing; Urban Planning Exhibition Center, Shanghai 2005 “13X17: 1000 artisti per un’indagine eccentrica sull’arte in Italia”, a cura di / edited by P. Daverio e J. Blanchaert, chiesa di San Gallo, Venezia; Galleria Zaion - Lanificio Pria, Biella; Showroom Gruppo Franco Ziche, Milano “L’età Nomade”, a cura di / edited by G. Dalla Chiesa, ex Mattatoio, Roma 2004 “Cantiere D.F.I.G.”, a cura di / edited by D. Facchinato, Metropolis Photogallery, Bologna “Molto rumore per nulla”, a cura di / edited by A. Impallara e M. Pompeo, Salone degli specchi, Anzio “Anteprima Torino - XIV Esposizione Quadriennale d’Arte di Roma”, Società Promotrice delle Belle Arti, Torino 2003 “Terza Biennale Libro d’Artista”, a cura di / edited by I. D’Agostino, M. de Candia, T. Pollidori e L. Rea, Biblioteca Comunale, Cassino “Segni d’Artista. Opera grafica dell’Accademia di Belle Arti di Roma”, Centro per l’Incisione e la Grafica d’Arte, Formello 2002 “La mia idea della campagna romana e laziale”, Castello Baronale, Fondi 2000 “Fotoalchimie. La fotografia in Italia: sperimentazioni e innesti”, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato
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un concerto, un CD, un libro di poesia …
LA FAVOLA DI LILITH
un’opera in due atti di edo notarloberti e viviana scarinci Libro e CD
La prima edizione comprende il CD e un libro di 24 pagine per una tiratura limitata di 500 copie PREZZO DI COPERTINA: 15,00 euro
ordini: [email protected] e su Amazon
La favola di Lilith libro e CD
La favola di Lilith è un’opera musicale suddivisa in due atti e nata nell’ambito del Fondo Librario di Poesia Contemporanea di Morlupo, dall’incontro di due linguaggi artistici diversi e insieme profondamente affini, quello della musica e quello della poesia. Il compositore edo notarloberti e la poetessa viviana scarinci, hanno accettato di confrontarsi attraverso un vero e proprio work in progress, la cui profonda vocazione interculturale viene pienamente rappresentata dal tema costituito dalla figura di Lilith. Il progetto è diventato un’opera musicale e un libro edito in versione bilingue da ARK Records e presentato in anteprima europea in Germania nell’ambito del Wave Gotik Treffen Lispia 2014.
L’opera Lilith è un personaggio della mitologia ebraica e prima ancora di quella babilonese. È un diavolo femmina ma risulta anche essere la donna esistita prima di Eva, colei che fu creata spaccando in due la prima creatura umana che era duplice, come Ermafrodito. La favola di Lilith tuttavia non nasce dall’intento artistico di mettere in scena la rielaborazione narrativa di una storia nota ma da una riflessione che vuole accomunarsi all’attualità, attraverso gli strumenti della musica e della poesia contemporanea. Il violino di edo notarloberti cavalca l’onda delle parole di viviana scarinci sintetizzando i percorsi pregressi delle esperienze passate (vedi Argine e Ashram) proiettandoli in una direzione ancora più essenziale in quanto affrancata dalla schematica forma canzone che da un lato garantisce integrità formale, dall’altro limita il fluire liquido delle note che come le parole, in quest’opera intensa, sono alla ricerca di una verità essenziale attraverso una dimensione sonora assolutamente acustica, neoclassica.
CRITICA E RECENSIONI
Luglio 2015, su Il Segnale 101 una recensione di M.T.
Con il sottotitolo di “due atti di Viviana Scarinci e Edo Notarloberti” viene distribuita La favola di Lilith, poema sonoro recitato su base di archi e pianoforte e inciso su un cd. Ci si trova dunque di fronte ad una poesia che recupera la dimensione non solo della vocalità, e dell’oralità, ma anche quella della performance, o meglio della irripetibilità performativa, che non consente la tradizionale lettura e rilettura a cui la poesia lineare da sempre ci ha abituati. Tuttavia i significati del testo, pur nella versione con sottofondo musicale, non sfuggono alla decifrazione, magari nella solita sfumatura e incertezza dell’enigma, che la poesia, come arte votata al simbolico, inevitabilmente si trascina dietro. La favola di Lilith si mostra così, ad un ascolto attento, come la vicenda etica e intellettuale di un’anima e dei suoi tentativi di comprensione di tutto un mondo di relazioni. E’ la parola che interroga l’universo, e offre come risposta l’intreccio tra suoni della musica e suoni del linguaggio. Da questo punto di vista le melodie e le armonie musicali divengono speculari e simboliche rispetto alle armonie della voce, ma anche, semanticamente, rispetto alle armonie e alle empatie a cui i rapporti interpersonali cercano disperatamente di dar vita. Nella favola di Lilith, infatti, pianoforte e archi entrano in simbiosi con le parole, una simbiosi evidentemente cercata, e alla fine perfettamente ottenuta. La recitazione, in sé quasi monotona, volutamente neutra nell’intonazione, dà rilievo al ritmo e alla forza semantica dei versi, e consente alle parole quasi di spogliarsi per rivestirsi appunto di musica. In questo modo si crea una unione unica tra i suoni, quelli degli strumenti e quelli della poesia. Certo, si tratta di una poesia dimezzata, una poesia che rinuncia sia alla ripetibilità del foglio bianco sia alle tonalità del parlato, e si ricompone in una lingua univoca, densa di contenuti complessi, ma per assurdo priva di cantabilità a causa della sottrazione di accenti e fenomeni tonici. Tuttavia, come detto, questo spogliarsi di tonalità si traduce in un rivestirsi di altra melodia, di altra armonia, quella appunto suadente della musica, che da sottofondo diviene protagonista, quasi si trasforma a sua volta in parola. In realtà le coloriture romantiche ed emotive non sono solo quelle della composizione sonora, ma anche le parole, proprio nel loro essere controcanto al canto musicale, divengono esteticamente belle e attraenti, nonostante gli sforzi indubitabili della voce recitante di restare in una specie di anonimato interpretativo, quasi per evitare le intonazioni e le forzature di una resa da attore e da interprete vocale. Si prenda ad esempio la traccia due, dove l’attacco determinato dalla pregnanza semantica del termine “placenta” è sottolineato da un singulto di archi davvero notevole, capace di dare vita ad una espressione raddoppiata, potenziata dall’alleanza fra le due forme d’arte. E’ così anche nella traccia 25, dove la voce recita “Non subito cielo amore” e la malinconia, rimarcata dalla musica, può finalmente liberarsi senza finte retoriche. Musica e voce danno vita così ad una danza che coinvolge l’ascoltatore, gli fa comprendere un super-significato, denso di segnali emotivi. Quello che si riesce a cogliere, anche nella fuggevolezza delle parole recitate, è il tentativo, ma si potrebbe dire destino, di comprendere le cose e gli esseri, di determinarne giudizi; anche se le cose si fanno spesso ombra e frenano, sembrano bloccare le soluzioni, in realtà una verità è possibile rinvenirla, essa è nella “mescita di nascita e morte”. Parole, isole di contenuto che rimangono nella memoria dell’ascoltatore, commentata da una musica bellissima, coinvolgente come forse le parole non sanno essere. Però le parole di questo poema riescono a fare di più della musica, riescono a dire anche il senso della musica. E’ il senso è in un dolore testardo che si percepisce dietro l’alternarsi dei versi detti, un dolore che alla fine la meravigliosa mescolanza di voce e note riesce a dileguare. Insomma un esperimento più che riuscito questo della favola di Llith, che dimostra la necessità per la poesia contemporanea di cercare altre vie oltre quella della parola.
Luglio 2015, su Poesia 2.0 una recensione di Loredana Magazzeni
La favola di Lilith, edita da ARK Records, con testo inglese a fronte, nella traduzione di Natalia Nebel, presentata nel 2014 in anteprima europea occasione del festival internazionale musicale di Lipsia, è un poema musicale in versi, su testi di Viviana Scarinci e musiche del compositore Edo Notarloberti. Il poema, che riprende e dà voce a nuclei tematici forti già presenti nella poesia di Viviana, come il rapporto col femminile, la conoscenza di sé e il tempo, si presenta nutrito di un “sentire tattile”, come scrive Giorgio Bonacini in margine a Piccole estensioni, raccolta vincitrice del premio Montano 2014. Un sentire sinestesico dunque, tattile e visionario, in cui la musica si addensa attorno all’andamento “poematico”, tipico della migliore parte della poesia femminile del Novecento (Rosselli, Vicinelli), che attraversa e rilegge l’esperienza e la coscienza. Il poema è diviso in due atti: il primo in cui Lilith torna da uno stato di lutto ottundente o dalla regione vita/morte del mito. E il secondo atto, al cui inizio, con un monologo, Lilith si rivolge a Dio (di cui secondo una credenza dell’ebraismo è stata amante), e che prosegue con un dialogo tra Lilith ed Er, il personaggio del mito platonico cui è stato dato modo di andare e tornare dalla morte. Così come Lilith è creatura di confine tra visibile e invisibile, porta di ogni ambiguità, Er, che conosce vita e morte diviene il “vedente” per antonomasia, restando pur sempre uomo. Come insegna Ida Travi, in Poetica del basso continuo, poeta che accosto a questo esito poetico di Viviana Scarinci, scrivere poesia oggi è cercare un varco continuo, non una verità ma una delle verità possibili fra noi e “lo spiazzo millenario nel quale irrompono le civiltà che forse dormono”. Dichiaro di voler leggere eventuali successive raccolte pubblicate dall’autore per seguirne la futura scrittura, riferendone in questa rubrica.
Marzo 2015, su Darkroom una recensione di Ferruccio Filippi
Quanto è difficile recensire un’opera come questa… Difficile perché “La Favola di Lilith” è un qualcosa che sta a metà fra una composizione neoclassica e il reading poetico. È conveniente forse partire proprio dalla parte lirica per capire il lavoro. Lilith è considerata la donna che venne prima di Eva, e quindi, per certi versi, lo spirito della donna, al di là del tempo e dello spazio. La poetessa Viviana Scarinci costruisce un possente corpus poetico intorno a questo concetto, a questo voler rappresentare la femminilità stessa nella sua duplice natura, divina e terrena, nella sua potenza e nella sua fragilità. Il linguaggio è complesso e raffinato senza essere didascalico o dottrinale, e possiede un ritmo che lo rende sempre vivo e interessante. La cosa si sarebbe potuta fermare alla realizzazione di un poema sul femminino eterno ma, e qui sta l’originalità, si è deciso di far sposare quelle parole con la musica. Per questo non ci poteva essere autore migliore di Edo Notarloberti (già con Argine, Ashram e Corde Oblique), anima fra le più sensibili dell’odierna scena musicale italiana. Una composizione per archi ora drammatica, ora onirica, ora sperimentale che accompagna e dà il mood giusto a tutta l’opera. Non a caso il testo è recitato dalla Scarinci in maniera quasi atonale, senza espressione, per dare alla musica il compito di trasmettere ed enfatizzare l’emozione di tutto il lavoro. “La Favola Di Lilith” è un opera difficile e coraggiosa che merita ascolti e letture approfondite.
Febbraio 2015, su Rock Impressions
Progetto piuttosto ambizioso e culturalmente pregno quello condiviso dalla poetessa Viviana Scarinci e dal violinista Edo Notarloberti. La Scarinci ha vinto nella sezione Scrivere i Colori del Premio Grinzane Cavour ed ha pubblicato una manciata di testi. Edo è un musicista coinvolto in diversi progetti, come Ashram, Corde Oblique, bellissimo il suo disco solista edito sempre dalla Ark. I due hanno condiviso questa avventura artistica, con l’intento di unire musica e poesia, con uno stile spoken words a tinte neoclassiche, musica da camera se volete. Non è un episodio del tutto isolato, ma desta sempre un certo stupore trovarsi di fronte ad un’opera così complessa, nella sua apparente semplicità. Ai due si aggiunge anche il contributo della pianista Martina Mollo.
Ci sono delle tradizioni, in particolare ebraiche, per cui la prima moglie di Adamo non fu Eva, bensì Lilith, questa, pare, non volle sottomettersi ad Adamo e venne quindi scacciata dall’Eden. Poi in altre tradizioni è stata anche considerata un demone (o tale è divenuta a seguito dell’allontanamento dall’Eden), per diventare più tardi simbolo per la rivoluzione femminista, insomma un personaggio pieno di richiami e riferimenti, tra l’esoterico e la modernità. Onestamente non ho colto in quest’opera dei riferimenti precisi alle tradizioni di cui ho accennato, i versi della Scarinci sono piuttosto ermetici e ricchi di cenni colti, per cui non è facile comprendere appieno il significato:
“Se all’assemblea delle forme i corpi si dimettono io il tuo ordito sboccio fiore di questo dolo”
non manca la suggestione nella forza delle parole, però il senso spesso sfugge. Discorso a parte per le musiche, che sembrano improvvisate sul declamare dei versi, Edo mette in campo esperienza e gusto, dimostrandosi raffinato e passionale al tempo stesso. Viviana declama i suoi versi con trasporto, anche se a volte la sua voce appare distaccata e quasi asettica, con una cadenza poco armonica. Francamente ho faticato ad entrare nel senso del testo, che richiede un’attenzione molto elevata, tale da cannibalizzare le musiche, difficile concentrarsi sulle seconde se si vuole approfondire l’opera poetica.
Per questo il mio giudizio resta sospeso, pur riconoscendo che l’opera possiede un certo fascino.
Settembre 2014, su theregionofunlikeness – UNA RECENSIONE DI PAOLO FICHERA
Lilith è un nome, che scrive nel proprio nome la donna che parla di lei, che è lei.
La voce si impone fin dai primi versi precisa, salmodiante, incalzante come una litania. Comandamenti: bruciare, trovare, resistere e studiare il buio. E il buio è il luogo della propria genesi attesa, il sapere che la convergenza dell’acqua al buio è possibile, ma soltanto per chi, e non per lei, si è perfezionato nella distanza che scinde una persona in due.
È la constatazione che oltre la dualità apparente, esiste un varco aperto come una ferita in cui curare è precipitare per raffinare le mani e la percezione, oltre le mani di un uomo invocato o desiderato, la cui pelle toccata priva il corpo della mano che tocca, come la notte tocca la sua ombra e la ingloba senza possederla. E pare che il desiderio e la mancanza di Diotima qui non abbiamo luogo. Non vi è neanche la finzione della mancanza o del desiderio. La pelle è l’unica forma del giorno che appare nella notte. Nulla manca perché a mancare è la stessa Donna che parla e che scrive la sua mancanza nella voce che si avvera, dando al presente l’instancabilità del senso che non si compie.
L’amore erompe, perché non c’è attrito che possa essere negato. Un amore che non si dà in atti espansi oltre il proprio pensiero. C’è qualcosa, nell’amore, che rende questa donna un’estensione nelle cose, ma non per negare né per affermare perché “non esiste parola/per cui si cerchi più/di un bisogno ammutolito”. La presenza, si afferma, sempre e comunque, perché è, nell’istante di sapersi e di eclissarsi in quell’attimo che ha la coerenza perduta e manifesta che attende chi sa di non poter toccare la mole enorme di un’esistenza che si stende oltre se stessi.
Il nodo disciolto non esprime la vita, resta quel che non deve apparire. L’incessante risvegliarsi che torna non compiuto. La litania non cessa, i Se si susseguono: l’ustione della doglia, l’arsura, la fitta sono chiamate, avocate, elette a ipotesi di una mutazione che appunto perché invocata non può avere altro corso che nell’invocazione e non in qualche atto manifesto di cambiamento. La lotta è nell’immobilità di fronte al proprio Dio a cui si annuncia che l’inevitabilità dell’atto al suo interno manca, come chi chiama pur non volendo risposta.
L’intensità non rinuncia a nulla, resta immobile a fissare quanto le asperità del bianco intorno e il suo corollario di forme rinuncino a Lei. L’anima non ha volto, perché il volto è una maschera, l’ambizione suprema è quella di non esserci, come la constatazione di un’attesa a cui non si può rinunciare. Il luogo che si abita è quello del taglio, dove il mestruo è ostinato come la grazia che nutre certi animali. La minuzia delle ossa ne forma e ne sostiene la loro assenza. E il Dio che ha donato i figli, quegli occhi che raspano e avvinghiano alla vita, nonostante noi, quel Dio ha vietato un pane che è al di là di ogni forma pensata e voluta, in un nucleo compatto che pare non poter essere colmato, come una enorme distesa di sassi bianchi lasciati lì perché le mani possano erigere altari sommessi, o altre mani desiderino scagliarli sulla superficie dell’acqua.
Lo spazio dell’alterità è quello che Lilith nonostante se stessa abita. L’Altro, che ha la voce di un figlio-amante, invoca una salvezza che soltanto la venuta dei passi può dare e chiama sposa l’ombra, come un rabdomante che sa di poter dialogare con la pietra nell’occhio; e Lei lo invoca come si invoca la venuta insieme all’addio, la catastrofe insieme alla notte. Ed entrambi sono grembo d’assenza vissuta una nell’altro, come un principio di menomazione che muove il destino di una perversione per morire insieme, nella macerazione germinale che il veleno della vita suscita a contatto con la bellezza di alcuni incontri. E a dispetto del figlio la luce incarna la liquidità delle forme su cui s’adagiano i segni delle veglie non vissute, della speranza non vissuta perché non invocata, di una visione incarnata. E alla fine del libro la venuta della luce diluisce l’ossessione delle ombre, come a lavare gli umori di un parto sulla pelle di un neonato che vivrà nonostante la luce e l’ombra, perennemente infisso nella mancanza che resta alla sua fonte.
La voce di Lilith è un grumo di sangue che si scrive leggendolo. Che cerca di fissare i propri artigli in pelle e muri che non le rispondono o che forse non esistono. È un’alluvione che si muove secca e fluente, come alcuni occhi lasciati in qualche luogo del mondo e visti di sfuggita, come un monolitico grumo d’amore che ha resistito a ferite, aborti, morti, frustrazione. Più viva delle ombre che la muovono.
Luglio 2014, su SIL – Società Italiana delle Letterate, UNA RECENSIONE DI PAOLA DEL ZOPPO – La favola di Lilith di Viviana Scarinci e Edo Notarloberti è un poema in musica, un’opera composita, che si dipana all’ascolto con il ritmo dissociato e insieme consonante di due espressioni creative diverse. La messa in scena della compatibilità dell’incompatibile illumina la complessità della materia. Lilith è innanzitutto mito. Prende forma nella voce poetica come plasmata dalla sabbia, e si fa così donna prima, creazione originale, creatrice. Un’opera ridotta al necessario nella sua esecuzione, nell’utilizzo di pochi strumenti ad arco, suonati da Edo Notarloberti, e della voce intensa di Viviana Scarinci, ma che non ci lusinga con un’apparente semplicità. Il testo si compone di tre parti: nella prima, Lilith racconta di sé, della sua storia, dal suo preciso e veritiero punto di vista. Veritiero perché suo, senza elaborazioni, senza spazi per il tempo. Nella seconda parte Lilith dialoga con Dio. Nella terza Lilith dialoga con ER. Viviana Scarinci si era accostata alla figura di Lilith già nel suo Nascita della madre, in cui la dimensione del dialogo in absentia era sviluppata proprio nella declinazione dello svelamento delle mitologie. Lilith è creatura notturna che vuole abbattere tutti gli schemi, e così si sporca, si contamina per evidenziare la sua non domesticità. E’ un essere indomito, non per forza ribelle, perché è prima della necessità di ribellione. Personaggio della mitologia babilonese prima che di quella ebraica che la porta fino a noi, Lilith è donna prima di Eva ma anche ermafrodito, creatura senza sesso che è di entrambi i sessi. Ma non per questo in sé distruttiva, solo non sistematica. La connotazione antivitale di Lilith giunge non prima del medioevo: il mito della donna incontrollabile attraente e terrificante, si genera con la società de secoli bui, e nel romanticismo e nei movimenti letterari dell’Ottocento riprende la sua ambivalenza per svelare le perverse attitudini sessuali dovute alla repressione. Basti citare il Faust di Goethe, in cui Lilith è, nell’universo multifocale delle figure femminili, al centro della svolta nella notte di Valpurga. Mefistofele incita Faust a ballare con lei, come se lei potesse, diversamente da altre donne che Faust ha incontrato, fargli intravedere l’attimo e costringerlo a cedergli l’anima. Ma quando Faust torna schifato perché dalla bocca di Lilith è uscito un topolino, Mefistofele lo prende in giro «e che sarà mai, non era mica rosso, il topo». Mefistofele, l’ironico per eccellenza, non sta prendendosi gioco solo di Faust, ma della concezione medievale e maschile di Lilith, ridotta a un essere femminile dagli attributi seducenti in quel determinato sistema, le stesse caratteristiche descritte da Viviana Scarinci nel suo già citato Nascita della madre «caratteristiche non ‘domestiche’, una lunga chioma indocile, il corpo impudicamente cosparso di saliva e di sangue, residui di mestruo, di aborti, di altre promiscuità. Lilith: la creatura notturna, colei che è, senza il pensiero di nascondere, la distruttrice di ogni ordine prestabilito, la madre dell’invisibile fertilità della morte, il motore vitale dell’unicità non dissimulata, la fame e la profonda solitudine che l’imperativo della fame impone». La danza di Faust con Lilith richiama anche il mito di Salomone, l’unico ad aver danzato con lei, donna demone, madre di demoni e regina. Ma soprattutto, come Viviana Scarinci in questo testo, Goethe metteva in scena la debolezza dell’uomo, che non è del diavolo, bensì profondamente umana. Il suo bisogno di controllo, di percezione del potere, di domesticazione dell’innocenza oltre la bontà. Lilith, che è e rimane la parte rimossa di Eva, che accetta la sua cacciata dal Paradiso, fa della sua identità un tesoro. Chiede ad Adamo di essere sua pari, di non dovere giacere sotto di lui durante il coito, ma sopra, in un tempo primigenio, in cui i rapporti di potere non erano ancora stabiliti. Come nota Viviana Scarinci, «non fu lei, con questo gesto, a perdere l’innocenza», bensì Adamo, che risponde alla richiesta con la volontà di dominio, con la violenza. Perché conosce la paura dell’abbandono e insieme la paura della verità: Lilith è più forte di lui, perché non ha paura di se stessa. Lui, primo uomo, si fa schermo della sua posizione oltre qualunque altra considerazione, e scaccia la sua compagna. Secondo il mito, Lilith fugge in una zona del Mar Rosso nota per essere il rifugio dei demoni.
avrei subito l’ansa come un fatto silente avrei appreso la laguna come la convergenza dell’acqua al buio se altri moventi se altri garanti non mi avessero emulsionata in una fisica dirimpetta e io non mi fossi perfezionata nella distanza che mi divide, una dall’altra innervata che sloga volo e caduta.
Ma ancora trattiene il suo passato, fino a quando non disobbedisce all’ordine di Dio che per bocca di tre angeli le ingiunge di tornare al marito, perché la sua identità è ormai altro, ed è più importante di ogni altra cosa, anche del perdono divino. Non può tornare a essere moglie, dopo essere stata se stessa, nonostante il suo amore per Dio. Della complessità di Lilith Viviana Scarinci rende conto in una brevissima introduzione, in cui riprende tutti tratti principali del mito: l’origine Babilonese, demoniaca e regale, e i contorni ebraici, più noti: Lilith, prima moglie di Adamo, si rifiuta di essere sottomessa e si fa demone. Ma, ricorda Scarinci: «era segretamente innamorata di Dio, tentava spesso di volare verso l’amante e Adamo, per trattenerla, si alzò da carponi e prese a camminare diritto su due gambe. Forse l’uomo ha guardato al mondo perché Eva ha procreato ma si rivolto al cielo perché prima di Eva è esistita Lilith». Prima che l’uomo fosse uomo, Lilith era:
Tutti i fatti subiti e orditi dal corpo mi dicono che rimane sul polpastrello l’impronta, più che in questa creta plasmata altrove
L’intento artistico non sembra quindi quello mettere in scena la rielaborazione poetica di una storia nota, bensì di riportare alle origini del senso del mito una figura troppo raccontata: una riflessione che vuole accomunare Lilith all’attualità nella spinta all’indietro nel tempo, alle origini del mito. L’operazione di parallelismo con la parola poetica appare chiara nella scelta dei termini. Lilith, prima donna, è potenzialmente generatrice di ogni creatura. Così è la parola lirica, collocata in uno spazio ibrido in cui le connessioni binarie sono inutili e inesistenti. È una parola che guarda al tempo da cui proviene, universale e nucleare, parola in potenza. Viviana Scarinci sceglie quindi parole fenotipiche per descrivere stati d’animo, gesti, avvenimenti, che nella loro natura di intimità, allargano la percezione su un universo di possibilità, definendo e sfumando la figura di Lilith nella sua appartenenza a una natura primigenia che dà vita prima che vi sia ordine: Osso – Pelle –Concrezione – Crescita – Albero – Bambino – Cammino. La parola poetica è antica, minerale, fossile, frutto della creazione e principio generatore, quindi unione di presente e passato, fusione di padre e figlio:
l’unico modo sfalda le cortecce dei pini fino al cerchio che contiene il bambino nel folle trattenimento del tronco padre di sé piccolo
Ulteriore simbolo della congiunzione tra un remoto passato e un presente che si può conoscere solo in assenza è il fossile, pietra di memoria, che contiene ere e sostiene in futuro. La pietra fossile inerte annuncia una vita impossibile ma reale.
per un lungo attimo la notte ti asciuga, fossile indeducibile dalla sua pietra cosa inerte, mio frantume
É una pietra che deve rivivere, nel richiamo a Paul Celan, («è tempo che la pietra ritorni a fiorire») toccata dalla forza creatrice dell’io lirico, l’unica che può annullare la stasi :
Se entri in un accadere paralizzato di sequele io fruttifico le stasi che mi trasogni
Nel dialogo con Dio, culmine del secondo atto, Lilith esprime dubbi e rabbia, e si dice costretta alla rinuncia:
la mia eternità è una formula un rilevo un’asperità fittizia tre punti di sospensione un braille trafitto senza rumori di bianco, un morse a guerra finita che non serve il segreto ora l’intensità è minore si vede la coazione alla rinuncia
Ma Lilith è anche, qui figura che ricorda Sisifo, determinata a non accettare davvero la sua pena, nella “coazione” abbandona una lotta senza senso nello spegnersi della lotta. E così è anche legittimazione della poesia stessa, della scrittura, che come nel mito di Sisifo di Camus, è antidoto al suicidio, dunque alla morte. Il testo e la musica si appropriano dell’ascoltatore: la percezione della poesia si fa parte della poesia stessa, nella fusione delicata e mai ridondante di metafora e rappresentazione. Un’opera, questa di Scarinci e Notarloberti, che appare necessaria nella sua non semplicità e non semplificazione e nella passione vitale, corposa, forte della voce della lettrice che è voce di Lilith, voce di Dio ma soprattutto, voce limpida della poesia e della musica che plasmano nascite di intensa percezione, fioriture dalla pietra, da ricordi dimenticati e da tempi senza memoria. Lilith, la sua figura, il suo mito, è il fossile e la pietra, identità nuova che si pone in essere con l’accettazione della propria esistenza. Ma soprattutto La favola di Lilith è un’opera di grande coerenza, che sviluppa l’assunto iniziale in ogni risvolto, senza però cedere al concettualismo. Ogni piano di lettura è uno strato della compatta formazione geologico-poetica dell’opera, in sé tagliente e significativo, ma ancor più denso se esaminato nella sua stratificazione.
Luglio 2014, Luigia Sorrentino pubblica un’ampia pagina dedicata sul blog di poesia di RAINEWS – Con una mia nota sulle modalità compositive dell’opere e un estratto dal testo http://poesia.blog.rainews.it/2014/07/13/viviana-scarinci-la-favola-di-lilith/
SU lurker’s realm luglio 2014, una segnalazione – Che cosa possiamo aspettarci quando un musicista virtuoso e un poeta di talento si incontrano per lavorare insieme? La risposta può essere data da Ark Records, con l’uscita di “La Favola di Lilith”, un’opera realizzata da Edo Notarloberti e Viviana Scarinci.
La figura di Lilith è l’elemento comune del confronto tra il violino e la parola nell’ambito di un’opera divisa in due atti. Quest’opera è il frutto di due menti di talento e un pezzo d’arte delicato che rivela tutto il suo splendore a ogni ulteriore ascolto.
Chi ha già familiarità con il violino di Edo (e chi non la ha deve assolutamente colmare questa lacuna!) qui può realizzare il suo ulteriore potenziale espresso quando si combina alla parola poetica di Viviana. Questo potenziale si esprime completamente nell’intensità di questo lavoro. Non è un disco tradizionale, ma è un’esperienza che ci parlerà sicuramente a lungo.
da http://lurkersrealm.blogspot.ae/2014/07/noticiaa-fusao-de-dois-mundos.html
IL NUOVO luglio 2014, una recensione di Maurizio Lancellotti – La tradizione religiosa ha contribuito non poco a corroborare per secoli la subalternità della donna nel tessuto sociale, considerandola asservita all’uomo da cui ella deriverebbe e a cui dovrebbe sottomettersi. Ebbene, vi sono miti arcaici secondo cui prima di Adamo, Dio avrebbe creato una donna, Lilith, formandola a partire dalla TERRA e non dall’uomo. Lilith, quindi, sarebbe stata scacciata da Dio per via del suo rifiuto a sottomettersi all’uomo (ne L’alfabeto di Ben-Sira viene raccontato che Lilith abbandonò il Giardin dell’Eden a fronte del rifiuto di Adamo di riconoscerla come sua pari “Ella disse – non starò sotto di te – e egli disse – e io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra ”. In questo modo Lilith figura di origine mesopotamica, divenne nell’immaginari ebraico un demone, emblema di adulterio e lussuria per poi subire nel cristianesimo una damnatio memoriae. Nella sua Favola di Lilith, Viviana Scarinci, poeta e critico del nostro territorio, condensa degli studi condotti per anni in genere sulla questione femminile in filosofia e nella letteratura e in particolare sulla figura di Lilith. Si tratta di un’opera musicale in due atti che mostra un connubio, tra poesia e musica, due generi così diversi ma la contempo così affini, di Viviana Scarinci (poeta) ed Edo Notarloberti (musicista). Nell’intenzione degli autori “La favola di Lilith non nasce dall’intento artistico di mettere in scena la rielaborazione narrativa di una storia nota ma da una riflessione che vuole accomunarsi all’attualità, attraverso gli strumenti della musica e della poesia contemporanea. Il violino di Edo Notarloberti cavalca l’onda delle parole di Viviana Scarinci sintetizzando i percorsi pregressi delle esperienze passate (vedi Argine e Ashram) proiettandoli in una direzione ancora più essenziale in quanto affrancata dalla schematica forma canzone che da un lato garantisce integrità formale, dall’altro limita il fluire liquido delle note che come le parole, in quest’opera intensa, sono alla ricerca di una verità essenziale attraverso una dimensione sonora assolutamente acustica, neoclassica.” Il testo presenta pertanto elementi di complessità che lo rendono di non immediata comprensione per chi non abbia una certa dimestichezza con la filosofia e la poesia, tuttavia nel suo connubio con la musica risulta molto suggestivo e godibile anche a un pubblico più ampio.
SUONO 487 maggio 2014, nella sezione “SELECTOR tutto il meglio in arrivo sul mercato” una recensione di Guido Bellachioma –�� Un disco complicato e semplice al tempo stesso. Persino spoglio nell’utilizzo dei pochi strumenti ad arco (suonati da Edo, violinista anche di Ashram, Argine, Corde Oblique e di notevoli progetti solisti) e dell’espressiva voce di Viviana (poetessa alla prima performance artistica di questo tipo). Apparentemente una situazione già vissuta, non solo in ambito neoclassico, neofolk e dark, dove i momenti rarefatti e lirici vedono musiche avvolgenti fungere da tappeto per voci recitanti, più o meno sognanti. In questo caso, 32 tracce legate senza soluzione di continuità, il percorso è piuttosto diverso perché si tratta di una reale connessione tra i due universi; dove il fatto che non ci sia la classica forma canzone, sia pure “diversa”, finisce per dar risalto al ritmo che connette profondamente musica e parole, in grado di esplorare Lilith non come donna del mito (quella prima di Eva) ma come aggancio alla contemporaneità. Il disco richiede inizialmente grande concentrazione; una volta perforato il mare di emozioni, però, non si può che andare fino in fondo e, spesso, ricominciare da capo. Inutile fare confronti con momenti acusticamente simili di gruppi come i Current 93, anche se punti di contatto ci sono… Lilith è una moderna opera “antica”, dove al posto delle voci del melodramma c’è lo scavare nell’anima, modulando le parole negli spazi lasciati liberi dalle note e spesso avvinghiandovicisi mortalmente. L’operà sarà rappresentata in anteprima europea al The Wave-Gotik-Treffen 2014 di Leipzig Germania), il più importante festival per questi territori di confine, dove Edo non suonerà ma dirigerà un quartetto d’archi (due violini, viola, e violoncello). Per capire l’anima del suono dell’affascinante favola di Lilith abbiamo preso in prestito le parole di Antonio Esposito, tecnico del suono del Tp Studio di Napoli, dove è stato registrato:”Edo è uno di quei musicisti che più che per la tecnica ti affascina per la capacità evocativa del suono. Suonando assieme a lui e registrando la sua musica in contesti molto diversi, ho imparato a conoscere la particolarità di questo suono; dovendo scegliere come riprenderlo in un contesto “atipico” (3 violini e un violoncello, suonati tutti da lui), ho scelto di provare a renderlo il più naturale possibile, utilizzando un AKG 414 TLII come microfono principale, in coppia con un pre Universal Audio 710 e un AKG C4000 alle sue spalle per recuperare alcune frequenze basse. Altra scelta di base è stata quella di dare grande spazio ai suoni d’ambiente, posizionando due Rode Nt2-A, preamplificati da due API 512c, a grande distanza tra loro. Queste due room si sono rivelate poi centrali nell’equilibrio del mix finale di Giuseppe Spinelli, mix fatto ITB utilizzando un Reverbero Lexicon PCM 70 e un compressore DBX. Il piano, un Kawai verticale, è stato ripreso con tecnica A-B. Per la voce di Viviana, dopo aver provato varie soluzioni, l’AKG 414, accoppiato a un pre Universal Audio 610, si è rivelato la scelta migliore, soprattutto nel gestire le dinamiche molto differenti all’interno dei vari brani. Il mix ha provato a lasciare inalterata questa realtà sonora, senza puntare ad elevare il volume”. Le prime 500 copie hanno il libro dell’opera.
sito http://lafavoladililith.wordpress.com/ pagina facebook https://www.facebook.com/lafavoladililith
contattati rossana rossi: [email protected] edo notarloberti: [email protected] viviana scarinci: [email protected] Fondo Librario di Poesia di Morlupo: [email protected]
La favola di Lilith, libro e CD un concerto, un CD, un libro di poesia ... LA FAVOLA DI LILITH
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COMPLESSA REALTÀ – Silvia De Angelis. Recensione di Alessandria today
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Recensione.“Sera imprecisa” è un’opera che cattura il lettore con il suo linguaggio denso e visionario, offrendo una riflessione complessa e sfaccettata sul mondo e sull’esperienza umana. Il titolo stesso anticipa un senso di indefinito e di possibilità, aprendo la porta a una narrazione poetica che si muove tra il reale e il surreale. I versi di Marcantoni trascinano il lettore in una…
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"Silenzi di Lettere Perdute". Un lipogramma, omaggio all'arte di scrivere rinunciando, ma esaltando la creatività. Recensione di Alessandria today
Esplorare il linguaggio oltre i limiti: il potere della sottrazione.
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