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Fuori dall’uovo di Luca Volta: Un viaggio nel labirinto delle emozioni. Recensione di Alessandria tday
Un racconto che intreccia crescita personale, simbolismo e la ricerca della propria identità.
Un racconto che intreccia crescita personale, simbolismo e la ricerca della propria identità. Introduzione:Con Fuori dall’uovo, Luca Volta ci conduce in un’avventura narrativa che esplora il significato della crescita personale e della scoperta di sé stessi. Questo racconto originale, impreziosito da un forte simbolismo, invita i lettori a riflettere sui percorsi tortuosi della vita e sulle…
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The City Loves You 🌹♥️
transcriptions/translations below cut
Florence I
What is the urban prophecy? / Tomorrow could be worse / love is in the air... / Life needs color. / Just kiss him.
Rome I
fear is a liar/ fall in love/ be good in life / remember me / in love with Rome / ... / Wish you were here.
Portland, Maine I
Rules to success: / You can't sleep over / Be kind to someone tonight / Love yourself better than anyone else! / Act as if you are one step ahead of the Devil himself / For all the ones who've left there are a few who stayed / I love you!
Breakup letter from Sevilla
You ruined my life / hoe <3
Prague I
Be brave and go see the world. / See art in all you see / till Shiva stops dancing. / I will be sad to leave, it's been a privilege. / Still go.
Florence II
Love is in the air... no wonder we have / smog / I'm dying
Rome II
Ciao fragolina! / Di chi ti ricordi per sorridere? Di te mi ricordo! /Non esiste al mondo un’altra donna che ti può sostituire. / Ogni giorno di piu ti amo. / Forse sei tu la volta che non sbaglio più. [Hi little strawberry! / Who do you remember to make you smile? I remember you! / There’s no other woman in the world who can replace you. / I love you more every day. / Maybe you’re the one time I’m not wrong.]
Rome III
Pensa poetico / ti amo / ti amo / ti amo [Think poetic / I love you / I love you / I love you]
Rome IV
Voglio torna / Aprite tutte le porte con puro amor / ovunque io sarò raggiungerò i tuoi passi / ancora / sempre. [I want to come back / Open the doors with pure love / wherever I will be I will rejoin your footsteps / again / forever]
Rome V
Non mi salverai / ma io voglio te / Non tornerò / ma io voglio ancora te [You won’t save me / but I want you / I won’t come back / but I still want you]
Florence III
Oh what we could be if we stopped carrying the remains of who we were / Who are you without your accomplishments? / Nothing / Look inside us; we are empty / 9am alone butt [sic] happy / In the dust we trust
Florence V
Ciao!! / Sai cosa voglio? Voglio scappare con te e andare dove vuoi, perche a me basti tu per essere felice / Sei il filo di Arianna nel labirinto della mia vita / la musica in testa / Ti amo [Hi!! / You know what I want? I want to run away with you and go wherever you want, because you are all I need to be happy / You are Ariadne’s thread in the labyrinth of my life / music in the head / I love you]
#sentimental about street art again. and constantly.#some of my favorite tclys#the city loves you#tcly
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La mancanza d'amore genera sempre una mancanza d'essere.
Quando non siamo amati, o non ci sentiamo amati, abbiamo la netta percezione di non valere nulla. Soprattutto se questo accade quando siamo piccoli con i nostri genitori.
Se l'altro ci ama, se soddisfa le nostre aspettative di essere riconosciuti, di ricevere affetto, cure, gratificazioni, noi ci sentiamo visti.
Sentendoci visti, ci riflettiamo nei suoi occhi come in uno specchio, nel quale vediamo, finalmente, noi stessi.
È l'atteggiamento di cura, di amore, di interesse da parte dell'altro importante nei nostri confronti, a creare in noi la convinzione di essere qualcosa.
Qualcosa che è degno di essere amato.
Il valore che ci viene dato dall'altro, ci incoraggia a dare valore a noi stessi, e a considerarci come delle persone che hanno il diritto di esistere.
E proprio grazie a questa convinzione, che viene rinforzata attraverso l'atteggiamento dell'altro e mediante le interazioni tra noi e lui, che noi creiamo in noi stessi una nostra identità.
Il nostro io.
Se tutto questo viene a mancare, oppure risulta zoppicante, intermittente, o ambiguo; se l'amore dell'altro e il valore di cui ci investe risultano a corrente alternata, noi cominciamo a dubitare di noi stessi.
Avviene nel nostro intimo, nella nostra interiorità, quello che Claudio Naranjo chiama obnubilamento dell'essere.
Questa perdita del nostro essere, intesa come vuoto d'essere, non può essere messa da parte.
Da adulti, infatti, proviamo questo vuoto d'essere che ci spinge ad una ricerca spesso drammatica, tormentata e angosciante.
Potremmo dire che tutta la nostra esistenza si avvita di continuo all'interno di un labirinto invisibile rappresentato da questa assenza.
Il nostro stesso carattere non è altro che una formazione reattiva compulsiva, drammatica e spesso inconsapevole, alla mancanza del nostro essere o alle parti mancanti di esso, che sentiamo come tormento diffuso e indefinito nella nostra anima.
Ora, il problema è che noi andiamo a cercare la conferma di queste nostre parti mancanti, o del nostro essere stesso, servendoci di aspetti fallaci, maschere comportamentali e illusioni cognitive, che in qualche modo possono ricostruire in noi, anche attraverso il feedback degli altri, un'immagine compensatoria di quella presenza d'essere che, a qualche livello, sentiamo mancarci.
Alcuni lo fanno attraverso il perfezionismo perché in questo modo ottengono un qualche tipo di riconoscimento, dagli altri e da loro stessi.
Altri lo fanno attraverso il servire indefessamente le altre persone, fino allo sfinimento.
Altri ancora attraverso il dominio, il controllo, la rabbia esplosiva o implosiva.
Altri ancora attraverso il senso di colpa, il giudizio di sé, il vittimismo, il tutto ricoperto dalla patinata vernice rinforzante della virtù morale.
Questi atteggiamenti sono tutte modalità compensative attraverso le quali noi cerchiamo il nostro essere laddove non c'è.
E più lo cerchiamo attraverso queste modalità compensative, più ce ne allontaniamo.
Il trucco è comprendere che dietro alle nostre paure, mancanze e bisogni esistenziali negati, si nasconde quell'essere che tanto cerchiamo all'interno di comportamenti stereotipati, di formalità vuote e di astrazioni.
Se ne sta acquattato nel vuoto, pronto a farsi scoprire e al tempo stesso a lasciarsi costruire da noi, se ci dedichiamo a noi stessi con amore, gratitudine e semplicità.
Il nostro essere, come un seme cui viene data la possibilità di germogliare se piantato nel terreno giusto, emergerà da sé.
Dobbiamo solo avere fiducia nella potenza realizzativa della vita stessa.
©Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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Sei il filo di Arianna nel labirinto della mia vita / You are Ariadne's thread in the labyrinth of my life
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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I ragazzi della via Pál.
Il racconto si svolge a Budapest nella primavera del 1889 e racconta le avventure vissute da un gruppo di ragazzi, schierati in due bande contrapposte. Boka è il protagonista ed è a capo della banda che comprende Csele, Nemecsek, Csonakos, Weisz, Gereb e Kolnay. Questo gruppo di ragazzi, insieme, prendono il nome di I ragazzi della via Pàl.
Nel quartiere in cui i ragazzi vivono, si trova un terreno su cui sorge una segheria a vapore, piena di cataste di legna e sentieri che vi corrono attraverso, dando vita a un vero e proprio labirinto di stradine che rendono difficile l’orientamento al suo interno.
I ragazzi della via Pál, personaggi
Al centro del terreno si trova una casupola, la segheria, diventata nel tempo il quartier generale dei ragazzi. Qui, I ragazzi della via Pal si fingono componenti di un esercito, in cui l’unico soldato semplice, l’ultimo “in grado”, è anche il più piccolo anagraficamente. Nemecsek, questo il suo nome, è un ragazzo piccolo, biondo, esile e ubbidiente, che nutre moltissima ammirazione nei confronti di Boka, considerato nel gruppo al pari di un generale. Nemecsek svolge ogni compito gli venga assegnato dai ragazzi più grandi, nella speranza di poter salire di livello nella gerarchia del gruppo
Ma i ragazzi non sono soli. Tutta la loro vita insieme si basa infatti sul confronto costante con una banda rivale, definita banda dei giardini botanici, al capo della quale si trova Franco Ats, che ne è a capo. È proprio Nemecsek a notare che Ats si sta intrufolando nel loro campo e sta rubando la loro bandiera. Questo è per i ragazzi uno smacco troppo grande da sopportare: così, insieme decidono di andare presso il quartier generale dei nemici e appendere un cartello in segno di visita.
Una sera Boka parte con una barchetta a remi e insieme a Nemecsek e Csonakos raggiunge l’isola su cui sorgono i giardini botanici. Ma non appena arrivato, ha una sorpresa: Gereb, uno dei ragazzi della banda, è un traditore e fa il doppio gioco tra le due bande. Boka resta molto scosso dalla scoperta, ma decide comunque di portare a termine quella che ormai per lui è una vera e propria missione. Purtroppo, si fa scoprire dai ragazzi rivali.
Nella sua incursione presso i giardini botanici, Boka aveva sentito Gereb e Franco Ats parlare fra loro di un piano per entrare nel rifugio della sua banda e conquistarlo. Tuttavia, decide di non parlarne con gli altri membri della banda.
È Nemecsek che nei giorni seguenti decide di tornare da solo al giardino botanico per rubare la bandiera nemica.
Purtroppo viene scoperto e gettato in acqua mentre tutti lo deridono, Gereb compreso.
Nei giorni seguenti Boka decidere di giocare a carte scoperte, e rende noto il tradimento di Gereb, cacciandolo dalla banda mentre si sta discutendo insieme di un piano di difesa del campo.
Nemecsek si ammala, ma decide comunque di partecipare alla battaglia anche se febbricitante; una volta arrivato al luogo del combattimento, viene picchiato dal capo rivale: questo dona ai suoi compagni la forza di sferrare una controoffensiva e mettere i nemici in fuga.
Per l’impresa eroica portata a termine, il piccolo Nemecsek viene nominato capitano. Purtroppo, la storia non avrà un lieto fine: il ragazzo dopo qualche giorno muore per le complicazioni della malattia. Il giorno seguente tutti i ragazzi vestiti a lutto andranno a rendergli omaggio, Franco Ats compreso.
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Il toro di Pasifae e la tecnica
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale. E se la natura umana è così difficile da definire, ciò è appunto perché essa ha la forma di un’articolazione fra due elementi eterogenei e, tuttavia, strettamente intrecciati. La loro assidua implicazione è ciò che chiamiamo storia, nella quale sono coinvolti fin dall’inizio tutti i saperi dell’Occidente, dalla filosofia alla grammatica, dalla logica alla scienza e, oggi, alla cibernetica e all’informatica.
La natura umana – è bene non dimenticarlo – non è un dato che possa mai essere acquisito o fissato normativamente secondo il proprio arbitrio: essa si dà piuttosto in una prassi storica, che –in quanto deve distinguere e articolare insieme, dentro e fuori dell’uomo, il vivente e il parlante, l’umano e l’animale – non può che essere incessantemente attuata e ogni volta differita e aggiornata. Ciò significa che in essa è in gioco un problema essenzialmente politico, in cui ne va della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Il luogo dell’uomo è in questo scarto e in questa tensione tra l’umano e l’animale, il linguaggio e la vita, la natura e la storia. E se, come Pasifae, egli dimentica la propria dimora vitale e cerca di appiattire l’uno sull’altro gli estremi fra i quali deve restare teso, non potrà che generare dei mostri e, con essi, imprigionarsi in un labirinto senza via d’uscita.
8 luglio 2024
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Una delle città sotterranee più grandi del mondo è stata scoperta in Turchina
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Gli archeologi hanno visto che questa rete sotterranea in Cappadocia copre un’area molto più vasta di quella conosciuta finora.
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Città sotterranee, in Turchia è una stata scoperta una delle più grandi e avanzate del mondo.
Sotto la superficie delle strade in alcune zone della Turchia, una rete di tunnel ospitava un tempo migliaia di abitanti in cerca di riparo, in fuga dagli invasori e dalle persecuzioni religiose. Il Paese è noto per le sue città sotterranee, in particolare la grande città di Derinkuyu, che poteva ospitare oltre 20.000 persone. Sebbene non sia stato ancora completamente scavato, i dati attuali indicano che l’insediamento di 11 piani misura circa 185 metri quadrati, con un potenziale di oltre 465 metri quadrati ancora inesplorati. Ma c’è una novità: da quest’estate, gli archeologi che stanno studiando un sito a circa 240 km a ovest dell’antico santuario sotterraneo ritengono di aver portato alla luce una delle città sotterranee più grandi e più avanzate finora realizzate. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa turca Anadolu, la rete di stanze e corridoi sotterranei, nota come Sarayini, si estende su una superficie di quasi 20.000 metri quadrati.
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Al di sotto dell’attuale quartiere di Sarayonu, nell’area metropolitana turca di Konya, un labirinto di 30 camere è dotato di camini, magazzini, cantine e pozzi. Secondo quanto riferito, la rete a più livelli risale all’ottavo secolo. Hasan Uğuz, l’archeologo del Museo di Konya che dirige gli scavi, ha dichiarato che le squadre che lavorano sul posto non si aspettavano che l’insediamento coprisse un territorio così esteso. Oltre alle numerose stanze e sale, un passaggio particolarmente ampio è stato descritto come una sorta di “strada principale”. Le aree all’interno della struttura sono paragonate a palazzi per il grande comfort e per l’alta qualità della vita che la rete era in grado di sostenere, ben lontana quindi dall’idea di caverna primitiva che potremmo immaginare quando parliamo di abitazioni sotterranee. Il carattere raffinato dello spazio gli è valso il nome di Sarayini, che in turco significa, appunto, “palazzo”.
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Non pensavamo che potesse estendersi su un’area così vasta”, ha dichiarato Uğuz all’agenzia Anadolu lo scorso agosto. “Gli anziani che vivono qui hanno detto di aver visitato questo luogo quando erano bambini e che si trattava di una città sotterranea molto estesa”. Uğuz ritiene che i lavori di scavo di quest’anno abbiano fatto la differenza nel determinare quanto fosse grande la città sotterranea.
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Tra gli oggetti recuperati durante gli scavi ci sono ossa di animali e supporti per lampade. In una stanza particolare della rete sono stati trovati un tamburo a colonna e un oggetto posizionato come una pietra tombale.
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I lavori di scavo a Sarayini sono in corso da due anni. Molte delle antiche città sotterranee portate alla luce in Turchia sono state scoperte solo negli ultimi anni e la maggior parte non è stata ancora esplorata a fondo. Studi preliminari hanno indicato che un complesso sotterraneo trovato nella regione turca di Neveshir potrebbe essere addirittura ancor più grande sia di Derinkuyu che di Sarayini, anche se gli archeologi non hanno ancora un quadro completo del sito. Poiché le città sotterranee vicine a Sarayini distano tra i 5 e i 12 km, sono in corso ricerche per stabilire se i complessi possano essere collegati tra loro.
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Elena Rodica Rotaru( blogger) insieme a Resul Aygün imprenditore e guida turistica a Cappadocia Turchia 🇹🇷.
“Un'esperienza molto bella, un posto unico al mondo. Sono rimasto affascinato da queste grotte sotterranee dove l'uomo ha vissuto per migliaia di anni. Posti bellissimi da visitare, invito tutti coloro che amano l'arte sotterranea a visitare questi musei in Cappadocia.”
Voglio ringraziare la mia guida Resul Aygün che mi ha aiutato in ogni momento di questi 3 mesi insieme qui in Cappadocia per realizzare qualche documentari …
Cappadocia è un posto magico!Elena Rodica Rotaru
Articolo di @likarotarublogger @elenarodicarotaru-blog
#blogger#byelenarotaru#articolo#videography#photographer#videomakers#cappadocia#turchia#travel blog#travel#press#style blogger
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Conoscere l'amore
“Che cos'è l'amor
Chiedilo al vento
Che sferza il suo lamento sulla ghiaia
Del viale del tramonto […]”
Mi sono domandato spesso cos’è l’amore, in realtà me lo sto chiedendo ancora e credo che me lo domanderò finché vivrò. Ho avuto molte risposte dalla vita fino a oggi. Alcune evasive, altre discutibili, però molte sono state chiare e ben definite. Ora. Escludendo l’amore nelle sue molteplici forme che variano da quelle per dei figli, a quello per i genitori, alla passione, alla idolatria o alla devozione mi sono sempre chiesto cos’è l’amore tra persone che si seducono. Quello che attrae due persone donandosi reciproca felicità mentale, fisica e appagamento sessuale.
Credo che non ci sia una definizione indiscutibile per definire l’amore, a meno che non ci addentriamo nell’aspetto scientifico.
<In questo caso il nostro cervello produce chimicamente dopamina e noradrenalina. Il cuore batte più forte, il benessere interiore aumenta e la felicità anche>. Se avete letto questa definizione con la voce di Alberto Angela o Barbara Gallavotti, a seconda di chi vi garba, sappiate che siete delle belle persone.
Ma se dovessimo dare una spiegazione non razionale, beh, qui si potrebbe scrivere tantissimo.
E allora proviamo a immaginare dove si trova e com’è fatto l’amore che fa palpitare il cuore, in cosa si cela il sentimento che fa vibrare le anime.
L’amore può ambientarsi in una stazione dei treni, in un incontro rubato ai mille impegni della quotidianità, un incontro veloce dove il tempo è tiranno. Lo vedi negli occhi che si cercano tra la folla, le dita delle mani che finalmente si intrecciano per la prima volta e quell’ansito affannato di chi sospira profondamente per l’emozione.
L’amore può avere i tratti somatici di un viso, ovvio direte, ma potrebbe essere quello di una persona incrociata tanto tempo fa per le strade del proprio quartiere più e più volte. Fino ad ammirare quella persona e immaginare di poterle parlare, sorriderle e finanche baciarla. Pensare di poter far parte della sua vita. Senza averne mai avuto il coraggio. Ancora oggi il ricordo rimane. Perché se l’amore ha un volto, si tratta proprio di quel viso tanto sospirato.
L’amore può trovarsi in viaggio su una strada. Fatta di chilometri, non importa quanti, percorsi per arrivare da quella persona. Poco interessa se non tutte le strade sono percorribili a velocità sostenuta, se siano sconnesse o interrotte. Non si guardano i chilometri percorsi sul contachilometri ma l’orologio, quello sì, per calcolare quanto tempo si stia perdendo. Invece di trascorrerlo tra le braccia desiderate.
L’amore può essere pungente come il freddo di una mattina di gennaio, una di quelle con la brina sui prati. Mentre il vapore che esce dalle bocche sembra prendere forme romantiche, dando vita a fisionomie dolci che accarezzano le anime di chi si sta incontrando. Tutto questo dopo aver preso il coraggio di incontrarsi.
L’amore può avere una voce melodiosa. Quella di un soprano per esempio. Una voce di un’estensione magnifica che viene accompagnata da due occhi profondi, un sorriso da incorniciare, un cuore generoso. Un’anima eccelsa. Tutte coreografie degne della meravigliosa opera, creata da Madre natura, che si para dinnanzi ai nostri occhi. Estasi ed emozioni profonde.
L’amore può risiedere in una mente. Nelle confidenze, nelle parole e nei concetti creati dalla materia cerebrale di una persona. Un labirinto, come i vicoli di un centro storico, dov’è facile perdersi e dove non si proverà mai a cercare una via d’uscita. Perché ci si sta bene tra quei pensieri, dove in quelle riflessioni e nell’immaginazione si trova riparo. Un intelletto nei confronti del quale non si percepisce il tempo, perché esso rimane sospeso.
L’amore può trovarsi in svariati posti diversi tra loro. Luoghi che possono spaziare dalle biblioteche a delle colline, da una spiaggia marina a un museo, da un caffè del centro cittadino a uno sperduto castello medievale. Perché in quei luoghi ci arriva grazie a dei cuori generosi e pulsanti che lo ospitano trasportandolo.
Per ultimo, ma non meno importante, per me l’amore più potente risiede negli occhi di chi ha sofferto per amore e ti chiedono di non infierire, li noti nella moltitudine tra tanti occhi. Sono occhi che “gridano” nonostante il silenzio della luce spenta in essi. E se si riuscisse a riaccendere quella luce, chiunque resterebbe abbagliato. Ma l’amore sta anche in quel sorriso appena accennato, perché teme di illudersi di nuovo e che in pochi sanno percepire. Oppure nella voce di chi ti fa capire che vorrebbe volare in alto per non stare più sul fondo, ma con quella tremenda paura di cadere di nuovo.
“Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Vampiro nella vigna
Sottrattor nella cucina […]”
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Immagine: Diana spezza l’arco di Cupido (perché a un certo punto anche basta, con quella mira quel nanerottolo ha rotto gli zebedei) - dipinto di Pompeo Girolamo Batoni (1761)
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È l'amore un impegno eterno o un fuoco che arde finché ha legna da consumare? L'uomo, creatura complessa e contraddittoria, può davvero abbracciare la fedeltà come unica via, o il richiamo di nuovi abbracci è un sussurro costante nel cuore? Camminiamo per le strade della vita incrociando sguardi che accendono scintille sopite, sentendo vibrare corde che pensavamo spente. Forse non è mancanza di amore, ma sete di infinito, desiderio di vivere ogni sfumatura dell'esistenza. Il tradimento, allora, è davvero un inevitabile passo nel cammino dell'anima? O è una scelta, un bivio tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere? Nel silenzio delle notti insonni, ci interroghiamo sui legami che stringiamo, sulle promesse sussurrate all'orecchio di chi amiamo. La monogamia è un porto sicuro, una casa costruita con pazienza e dedizione. Ma il mare aperto chiama, con i suoi misteri e le sue tempeste. È nella natura umana cercare l'ignoto, spingersi oltre l'orizzonte conosciuto. Eppure, ogni avventura ha un prezzo, ogni passo verso l'altrove allontana da ciò che abbiamo costruito. Esiste forse una via di mezzo, un equilibro sottile tra desiderio e responsabilità? Forse la vera sfida è alimentare il fuoco quotidiano, scoprire ogni giorno nuove sfaccettature nell'anima di chi ci sta accanto. Guardare negli stessi occhi e trovarvi sempre un universo inesplorato. Il cuore umano è un labirinto di emozioni, un viaggio senza mappa né destinazione certa. Ma è proprio questa la bellezza dell'amore: la scelta consapevole di percorrere insieme la strada, nonostante le incognite. Il tradimento non è inevitabile se alimentiamo la fiamma con sincerità e passione, se ci apriamo all'altro senza maschere né riserve. In fondo, non è una questione di natura o destino. Siamo artefici delle nostre storie, scrittori dei capitoli che compongono la vita. Possiamo scegliere di essere monogami non perché imposto, ma perché desiderato. Perché in quell'unica persona troviamo mille mondi, mille avventure da vivere insieme. E così, il tradimento diventa solo un'ombra lontana, dissolta dalla luce di un amore autentico.
Empito
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Siamo pezzi di carne,
le carceri della nostra essenza,
dinamismo senza spostamento,
antitesi che respira.
Siamo pezzi di carne
che si consumano:
l'uno usa l'altra
senza dichiararlo
ed è la guerra dei corpi nudi.
Siamo spogli
come l'inverno
e vivi come l'estate,
come l'acqua salata che scivola sulla pelle,
come il sangue che scorre rosso e lucente sulla schiena dorata dal sole.
Siamo
carne della carne
eppure fingiamo di essere qualcos'altro.
Io mi sento altro,
ti stringo e mi sento altro.
Ti penso
e il tuo pensiero è ossigeno
nella combustione,
è il quadro che non vorrei mai dipingere,
la canzone che non ho scritto perché la sola idea mi inquieta.
Sono la pietra che si sgretola
e la sabbia che tutti calpestano
e su cui l'acqua si appoggia senza farci caso,
sono la porta che si chiude in faccia,
le parole che non vorresti mai sentirti dire.
Sono forte
e fragile,
siamo forti
e siamo fragili
come le ali che si spezzano
sotto al temporale della vita eterna.
Eterno come la mente,
fa paura l'infinito
ma lo cerco nei tuoi occhi perché ho bisogno di perdermi.
Perdiamoci,
perditi nel mio corpo che ha passato l'inferno
e fammi vivere il paradiso,
perditi nei miei capelli lucidi e lunghi,
nel mio profumo di fragole e di malinconia,
perditi nel labirinto che ho creato per te.
Siamo pezzi di carne,
siamo carne a pezzi,
pezzi da ricomporre,
pezzi che non vorrei mai ricomporre.
- poesia gentilmente offerta da me
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Era passato un anno. Un anno da quella notte che Alden Parker e Jane Tennant non avrebbero mai potuto dimenticare. Un anno che aveva cambiato tutto, ma che non aveva cancellato il ricordo vivido e travolgente di ciò che avevano condiviso: una passione che era andata oltre il semplice desiderio, trasformandosi in una connessione che nessuno dei due aveva mai sperato di trovare. Eppure, nonostante la forza di quell’incontro, la vita aveva preso un’altra piega, non solo a causa della lontananza, ma complicata da eventi che Alden non avrebbe mai potuto prevedere.
La violenza del passato, che sembrava essersi placata, era tornata a irrompere nella sua vita in una forma che Alden non avrebbe mai immaginato: il Corvo. Un uomo enigmatico, misterioso e crudele, che aveva scelto Viv, l’ex moglie di Alden, come pedina per una vendetta che si estendeva lungo la storia tra lui e Parker. L’odio che il Corvo nutriva per Alden aveva preso una piega ancora più oscura quando Viv era stata rapita, e Alden si era trovato coinvolto in un gioco di ombre, false prove e accuse che avevano minacciato di distruggerlo.
Non solo Viv era stata presa in ostaggio, ma il Corvo aveva anche architettato un piano diabolico per incastrare Alden nell’omicidio del rapitore. Tutto sembrava essere contro di lui, costringendolo a fuggire. La sua squadra – Nick, Tim e Night – era stata fondamentale nel cercare di scagionarlo, lavorando instancabilmente per scoprire la verità. E in questo labirinto di inganni, Jane, dall’altra parte dell’oceano, aveva dato un contributo decisivo, mettendo in gioco le risorse della sua agenzia alle Hawaii.
Ma mentre il caos si dipanava attorno a lui, Alden non riusciva a fare a meno di pensare a quella notte con Jane. La passione, la connessione, il desiderio che li aveva legati sembravano ormai un ricordo lontano, inghiottito dalle ombre di una vita che, forse, non gli avrebbe mai più permesso di essere veramente felice. Eppure, c’era Viv, che, a distanza di tempo, sembrava voler ancora qualcosa che Alden non era sicuro di essere più disposto a dare.
Viv, con il suo sorriso velato e gli occhi pieni di rimorsi, si era fatta strada nuovamente nella sua vita. Era fuggita dal rapimento del Corvo, ma ora sembrava voler riaccendere una fiamma che Alden aveva cercato di spegnere una volta per tutte. Ogni incontro con lei diventava sempre più difficile, una battaglia interiore tra il ricordo di ciò che erano stati e la consapevolezza che quella parte di lui fosse ormai chiusa. Eppure, quando erano fuggiti insieme, il desiderio tra di loro si era acceso come una scintilla che non riuscivano a controllare. Quella notte, più di una semplice fuga, aveva riportato alla luce una passione che Alden pensava ormai sepolta. Per lui, tuttavia, era stato solo un momento, che aveva confermato quanto fosse cambiato. Non c’era più nulla da recuperare tra loro.
Viv, però, non la pensava allo stesso modo. Per lei, quella notte era stata un ritorno a un’intimità che l’aveva sempre coinvolta profondamente. Il sesso con Parker era sempre stato idilliaco, e l’incredibile intensità con cui si erano ritrovati le aveva fatto capire quanto lo volesse ancora, quanto fosse incapace di lasciarlo andare. Ogni incontro successivo con Alden riempiva Viv di speranza, un’illusione che forse lui avrebbe ceduto, che avrebbero potuto ricominciare da dove avevano lasciato.
Nel frattempo, Jane Tennant continuava a farsi strada nei pensieri di Alden, non come una distrazione, ma come una forza che lo ancorava. La sua intelligenza, il suo spirito forte, la sua affascinante indipendenza avevano dato a Alden un’idea di cosa avrebbe potuto essere un futuro diverso. Un futuro senza i legami del passato, senza il peso di un amore che non c’era più. Jane non era solo una collega. Non era solo una donna con cui aveva condiviso una notte memorabile. No. Per Alden, Jane rappresentava l’opportunità di un nuovo inizio. Ma c’era una decisione che non riusciva a prendere. Se Viv, il suo passato, si fosse messa di traverso, sarebbe riuscito a vivere il presente con Jane? O avrebbe ceduto, come sempre, ai fantasmi della sua vecchia vita?
Alden non lo sapeva ancora, ma quella notte, mentre si trovava di fronte a Viv, avrebbe trovato la risposta.
“Devi scegliere, Alden,” disse Viv, con quella determinazione e praticità che l’avevano sempre contraddistinta e che Alden aveva sempre amato. “C’è ancora tempo per sistemare le cose tra di noi. Lo so che non è stato facile, ma possiamo riprendere da dove avevamo lasciato.” Il suo tono, pur velato da una supplica, nascondeva anche la forza di chi sapeva che, se Alden avesse fatto il passo giusto, lei sarebbe stata pronta a riprendere in mano la sua vita.
Alden si fermò, fissandola negli occhi, sentendo il peso di quelle parole. Il tempo sembrava essersi fermato tra loro due, come se fosse tornato a quel momento, tanto tempo fa, in cui tutto sembrava possibile. Ma la sua mente si spostò immediatamente a Jane, a quelle notti indimenticabili che li avevano legati, e alla paura di fare un passo falso.
“Viv,” rispose con voce ferma, “non posso tornare indietro. Non possiamo tornare indietro.”
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Viv, ma non disse altro. Si alzò e si diresse verso la porta, lasciando Alden immerso in un mare di dubbi. Era davvero finita? Oppure Viv sarebbe continuata a presentarsi come una tentazione, un legame con il passato che non riusciva a spezzare?
In quel momento, il telefono di Alden squillò. Era un messaggio da parte di Nick, che non perdeva occasione di essere pratico, anche nei momenti più difficili:
“Abbiamo un caso. Jane ha bisogno di te. Il Corvo sta facendo di nuovo parlare di sé, e stavolta la cosa si fa davvero pericolosa. È tempo di prendere una decisione.”
Quella notizia fu come un colpo al cuore. Il Corvo era ancora in gioco. Non solo Viv, ma anche l’intera situazione che lo stava travolgendo. Alden si rese conto che il futuro non poteva aspettare. Forse non avrebbe mai avuto una risposta chiara sulla sua vita con Jane, ma non c’era più tempo per rimandare. Doveva proteggere chi amava e, in qualche modo, trovare un modo per affrontare il suo passato.
E, mentre si preparava ad affrontare l’ennesima tempesta, Alden sapeva una cosa con certezza: il destino gli avrebbe riservato una scelta ben più difficile.
Capitolo 3
La squadra di Alden Parker era pronta. La decisione era stata presa: l’avventura alle Hawaii non avrebbe più potuto aspettare. La minaccia del Corvo, e la spirale di inganni che si era scatenata, li aveva costretti a unire le forze con Jane Tennant e la sua squadra alle Hawaii. Si sarebbero messi alla caccia di un uomo oscuro, un nemico enigmatico e imprevedibile, e stavano per affrontare un viaggio che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato.
Nick, Tim e Night si erano preparati con la precisione che li contraddistingueva. Ogni passo, ogni mossa, tutto era stato pianificato. Alden, però, non riusciva a distogliere il pensiero da ciò che stava lasciando alle spalle. Non era solo il caso che lo preoccupava, ma la presenza di Viv nella sua vita. La donna che aveva amato, ma che ormai sembrava appartenere al passato. Eppure, nonostante la sua determinazione a chiudere quella pagina, Viv era lì, in qualche modo, pronta a riscrivere una storia che Alden aveva cercato di archiviare.
Mentre la squadra si preparava a partire, Alden ricevette un messaggio da Jane. “Siamo pronti. Ti aspetto alle Hawaii. Ci serve tutto il supporto che possiamo avere.” Ogni parola che scriveva sembrava radicarlo più saldamente nella realtà di ciò che stavano per affrontare. Ma, mentre il volo si avvicinava, una nuova e devastante notizia li colpì.
Un’informazione arrivata da Nick, che parlava al telefono in modo concitato, fece tremare Alden fino nelle ossa. “Alden, è Viv. È stata ferita gravemente. Un uomo del Corvo l’ha attaccata mentre era nella tua auto.
Un brivido gelido attraversò la schiena di Alden. Si sentì come se la terra sotto i suoi piedi fosse improvvisamente crollata. La voce di Nick continuava a risuonare nell’auricolare. “L’hanno trovata in un vicolo. Stava cercando di fermarli, ma…”
Le parole di Nick divennero un mormorio lontano. Il volto di Viv gli riempì la mente, l’immagine di lei che si faceva avanti con quella sua solita determinazione, l’idea che stesse ancora combattendo per lui. Si sentiva come se tutto fosse improvvisamente diventato più complicato. La sua squadra era pronta a partire, ma lui non riusciva a immaginare di lasciare Viv così, sola e in pericolo.
Mi occuperò di Viv. Tu e il team proseguite. Fate quel che serve per catturarlo. Ho fiducia in voi.” La sua voce era ferma, ma l’ansia, la preoccupazione, erano lì, tangibili, nonostante la sua determinazione.
Tim lo guardò con uno sguardo serio, comprensivo. “Alden, stai facendo la cosa giusta.”
Con un ultimo sguardo alla squadra, Alden si preparò a lasciare l’aeroporto di Washington. Non sarebbe stato facile, ma la sua priorità ora era Viv. Doveva assicurarsi che fosse al sicuro, che avesse la possibilità di riprendersi, e poi, solo allora, avrebbe potuto pensare al Corvo, alla caccia e, forse, al futuro con Jane. Ma quel futuro sembrava ora più incerto che mai. Il viaggio verso l’ospedale non sembrò mai finire.
Alden si sedette accanto a Viv, il suo respiro affannoso ma forte, il corpo immobile sotto le bende. Le sue ferite erano gravi, ma non mortali, per fortuna. Tuttavia, ogni istante che passava, Alden sentiva il peso della sua presenza come un legame con il passato che non riusciva a spezzare.
Viv, svegliandosi tra un colpo di tosse, guardò Alden con quegli occhi che avevano visto tanto dolore, ma che portavano con sé anche una speranza che sembrava non voler morire. “Non dovevi venire, Alden. Non devi mettere in pericolo la tua vita per me,” disse con un filo di voce, ma la determinazione era ancora lì.
“Non ti lascio sola,” rispose Alden con una calma che mascherava la tempesta dentro di sé. “Non ti lascerò mai più sola. Sei stata una parte della mia vita. Non c’è niente che mi impedisca di essere qui.”
Le parole sembrarono raggiungere Viv, ma un sorriso triste si dipinse sul suo volto. “Lo so. Lo so che hai sempre fatto di tutto per proteggermi. Ma ti sto mettendo in una posizione difficile, Alden. E non voglio che tu perda tutto per una vecchia storia. Sei con Jane, ora. Lei è la tua opportunità di…”
Alden la fermò con uno sguardo deciso. “Non voglio parlare di Jane. Voglio che tu stia bene. Non posso concentrarmi su altro.”
Nonostante il dolore, Viv cercò di sollevarsi un po’, prendendo la sua mano. “Lo so… lo so quanto ti stai impegnando per chiudere il passato. Ma non dimenticare mai, Alden, che a volte siamo più forti insieme. Non lasciarmi andare. Non lasciarmi scomparire come se non avessi mai avuto un ruolo nella tua vita.”
Alden non rispose, ma il peso delle sue parole lo colpì profondamente. Come poteva farlo? Come poteva andare avanti senza sentirsi schiacciato dal passato che aveva condiviso con Viv, e allo stesso tempo, da un futuro che sentiva sempre più distante con Jane?
Nel frattempo, il resto della squadra si preparava alle Hawaii, senza fermarsi nemmeno per un istante. Nick e Tim erano in contatto con Jane, che li guidava nelle mosse da fare, mettendo insieme tutte le risorse necessarie per stanare il Corvo. La situazione era tesa, ogni secondo sembrava pesare di più. Ma la missione doveva proseguire. Non c’era più tempo da perdere.
“La priorità ora è prenderlo,” aveva detto Jane con determinazione. “Alden si occuperà di Viv. Noi facciamo il nostro lavoro.”
E mentre la squadra si muoveva con precisione e concentrazione, Alden si trovava nel bel mezzo di un incubo. Lottava tra il suo senso del dovere e il suo cuore, che lo spingeva a stare vicino a Viv. Ma sapeva che la battaglia era solo all’inizio, e che non avrebbe potuto fuggire dalle sue scelte, né dal passato che lo stava inghiottendo.
Alden sapeva che la tempesta che si stava preparando avrebbe determinato tutto.
Capitolo 4
La tensione tra Alden Parker e Jane Tennant era ormai un’ombra che aleggiava su di loro, ma entrambi sapevano che quella notte, nonostante l’intensità e la connessione che avevano condiviso, non significava l’inizio di qualcosa di duraturo. Quella che era stata un’avventura travolgente, piena di passione e di un’intesa che li aveva sorpresi, si era dissolta nei confini della sfera privata, con la consapevolezza che le loro vite professionali troppo lontane e i vincoli delle loro esistenze non avrebbero mai permesso che si sviluppasse qualcosa di più. Alden era il direttore dell’agenzia di Washington, Jane quella alle Hawaii. Le distanze, sia fisiche che professionali, li separavano, ma nonostante tutto, non riuscivano a smettere di pensare l’uno all’altra. Ogni pensiero li portava inevitabilmente a riflettere su quella notte che li aveva uniti in modo travolgente, ma che ora sembrava destinata a rimanere solo un ricordo irraggiungibile.
Nel frattempo, il successo della cattura del “Corvo” era stata possibile grazie a un’intuizione brillante di Alden che durante una riunione strategica, aveva notato un piccolo dettaglio che nessun altro aveva colto: un movimento sospetto nei trasporti che indicava un punto vulnerabile nella rete di sicurezza. Dopo aver condiviso questa intuizione con Jane, la sua squadra alle Hawaii aveva messo in atto un piano impeccabile, riuscendo a fermare il Corvo prima che potesse causare ulteriori danni. La collaborazione tra le agenzie aveva cementato il rispetto che entrambi nutrivano per le capacità professionali dell’altro, ma entrambi sapevano bene che il legame che li univa era quello del lavoro, non di un futuro insieme.
Alden si sforzava di distrarsi dalla crescente infatuazione che provava per Jane, ma una nuova dinamica stava prendendo forma nel suo ambiente di lavoro. Durante una videoconferenza di routine, Parker aveva conosciuto Ethan Drake, un consulente esterno che collaborava con la squadra di Jane. Ethan era un esperto di sicurezza cibernetica, un uomo giovane, affabile, sorridente, con una carica di energia che non poteva passare inosservata. Sebbene il suo atteggiamento fosse altamente professionale, Alden non poté fare a meno di notare la sintonia evidente tra Ethan e Jane, una chimica che sembrava emergere ogni volta che i due interagivano.
Era difficile ignorare l’intesa che traspariva tra loro, non solo nelle parole scambiate, ma anche nei sorrisi rapidi, nei piccoli gesti che suggerivano qualcosa di più. Jane lo rispettava, certamente, ma con Ethan c’era qualcosa di diverso. Le sue risposte erano più morbide, il sorriso più spontaneo. Alden, che solitamente era attento a ogni dettaglio, si trovò a fissare l’interazione tra i due con un’inquietudine che non riusciva a reprimere. Qualcosa gli diceva che tra Jane e Ethan non c’era solo una connessione professionale.
“Parker?” la voce di Tim lo scosse dai suoi pensieri. “Sei ancora con noi?”
Alden, riportato alla realtà, annuì distrattamente. “Sì, scusa. Un momento di distrazione.”
Era evidente che la sua mente fosse altrove, ma Tim non insistette. Alden provò a concentrarsi sul lavoro, ma il suo pensiero tornava sempre a Ethan e Jane, alla chimica che sembrava crescere tra di loro. Quel tipo di complicità che, a lui, sembrava più di un’amicizia.
Il giorno dopo, Alden ricevette un messaggio da Jane. Non erano parole di cortesia formale, ma qualcosa che colpì Alden come un piccolo segno di connessione tra loro: “Non pensavo che sarebbe stato così difficile lasciarsi andare. Spero tu stia bene, Alden.” La frase, pur innocente, fece crescere un nodo nella sua pancia. Quella comunicazione sembrava essere un segno che, anche se i loro mondi erano troppo distanti per permettere una relazione, c’era ancora qualcosa che li legava.
Ma Alden cercò di non darvi troppo peso. Aveva già vissuto troppe situazioni complicate con le donne, e il pensiero che Jane potesse essere ormai fuori dalla sua portata, complicato anche dalla crescente intesa con Ethan, lo spingeva a riflettere. Non poteva permettere che i suoi sentimenti interferissero con il lavoro, specialmente ora che la cattura del Corvo aveva consolidato il loro successo professionale.
Nel frattempo, Jane si trovava a fare i conti con la sua crescente consapevolezza: tra Ethan e lei c’era qualcosa. Un’attrazione che non aveva mai preso forma in modo chiaro, ma che ora sembrava emergere sempre più. Ethan, con il suo modo di guardarla, di parlare con lei, la metteva a suo agio. Ma allo stesso tempo, la faceva riflettere su ciò che voleva veramente.
Forse era troppo presto per dirlo, ma la sintonia che avevano durante le missioni, le lunghe ore passate a discutere di lavoro, quella connessione che sembrava andare oltre il semplice rispetto professionale, non poteva essere ignorata. Jane si trovava a pensare a Ethan nei momenti più inaspettati. Tuttavia, come Alden, sapeva che il lavoro non ammetteva distrazioni.
Un pomeriggio, durante una sessione di analisi a distanza con la squadra di Washington, Jane si trovò di nuovo a confrontarsi con Alden. Lui aveva una domanda urgente riguardo a una nuova minaccia. Jane, sempre pronta a rispondere, si preparò a discutere il caso. Ma quando si scambiarono alcune battute, un silenzio strano si creò tra di loro. Un’energia tesa, come se una conversazione non detta stesse aleggiando nell’aria.
“Mi chiedevo…” iniziò Alden, ma poi esitò. “Cosa pensi di Ethan? Sta facendo un buon lavoro, ma…” si interruppe, incapace di formulare il resto della domanda.
Jane lo guardò, interpretando subito la domanda non detta. “Ethan è molto bravo. Abbiamo lavorato insieme a lungo, e sa quando spingersi oltre il limite. Perché me lo chiedi?” rispose, mantenendo il tono professionale.
Alden sorrise debolmente, cercando di nascondere la sua frustrazione. “Solo per capire. Sembrava… che ci fosse una buona sintonia tra di voi, e volevo sapere cosa ne pensavi.”
Jane si trattenne un attimo, forse cercando la risposta giusta. Poi, decise di rispondere senza mezzi termini, ma con una punta di leggerezza. “Lo rispetto molto. È un professionista. Non c’è nulla tra di noi, se è quello che stai cercando di capire.” Poi, per cambiare argomento, aggiunse: “La tua ex moglie come sta?” La sua voce suonò sincera, ma Alden non poté fare a meno di notare la sottile evasività nel suo tono.
Alden si rilassò, ma il suo cuore non smetteva di battere più forte. “Capisco,” rispose con un sorriso forzato, ma nel suo intimo sentiva che qualcosa non quadrava. La conversazione si concluse, ma entrambi si ritrovarono a riflettere sulle parole non dette e sulla crescente tensione tra di loro. Nonostante la distanza fisica e professionale, la connessione che avevano condiviso, così intensa e sfuggente, sembrava legarli in modi che non riuscivano ancora a definire.
Capitolo 5
Qualche anno prima, durante una riunione delle agenzie a Washington, Alden Parker e Jane Tennant avevano vissuto un’intensa storia di pochi giorni, una relazione che aveva avuto il sapore di un’illusione: un’attrazione travolgente che si era tradotta in sesso senza alcun impegno, ma che aveva lasciato entrambi con una sensazione persistente, come se qualcosa di più fosse nascosto sotto la superficie.
Per Jane, quella relazione aveva avuto un impatto più profondo di quanto avesse voluto ammettere. Il modo in cui Alden la faceva sentire — tanto desiderata quanto unica — le aveva fatto credere che non avrebbe mai trovato un altro uomo in grado di risvegliare in lei quella passione, quella connessione così bruciante. Nonostante le sue relazioni successive, nessuno sembrava all’altezza di Alden. Ogni volta che si trovava tra le braccia di qualcun altro, c’era una parte di lei che rimpiangeva quei giorni con lui, un’assenza che non riusciva a colmare.
Anche Alden, purtroppo, non aveva trovato nulla di simile. Le sue avventure, e persino le relazioni più significative, gli avevano fatto sentire la stessa solitudine. Nonostante fosse circondato da donne che lo ammiravano, nessuna riusciva a scuoterlo come Jane. Nessuna riusciva a fargli provare quella miscela di desiderio e rispetto che lui aveva provato con lei. La sua mente tornava costantemente a quella breve, ma memorabile, avventura. Quando pensava a Jane, pensava alla sua energia, alla sua intelligenza e alla passione che avevano condiviso. Si era convinto che, se solo le circostanze fossero state diverse, le cose sarebbero potute andare diversamente tra di loro.
Ora, un anno dopo, i due si preparavano a rivedersi. Il pensionamento del direttore dell’agenzia di Los Angeles li avrebbe portati nella stessa città per l’evento, e il pensiero di rivedersi suscitava in entrambi un mix di eccitazione e nervosismo. Ogni pensiero che avevano sulla riunione sembrava far riaffiorare le emozioni e i desideri di quella breve storia, ma entrambi si trovarono a riflettere sul tempo che era passato, sulle persone che avevano incontrato nel frattempo e sulle relazioni che avevano avuto.
Ma la domanda che li tormentava non era tanto se avrebbero provato di nuovo la stessa chimica, ma come sarebbe stato farlo dopo aver vissuto altre storie, altre esperienze. Avrebbero potuto rivivere quella connessione pura e intensa? Sarebbe stato solo sesso, oppure sarebbe tornato qualcosa di più profondo?
Nel frattempo, le loro rispettive relazioni non avevano evitato di sollevare gelosia. Alden, che aveva avuto brevi storie con altre donne, non poteva fare a meno di pensare alla possibilità che Jane avesse avuto altre relazioni significative, e questo pensiero lo turbava più di quanto avrebbe voluto ammettere. D’altra parte, Jane non riusciva a liberarsi del pensiero che Alden, con il suo fascino e la sua esperienza, avesse sicuramente avuto altre donne dopo di lei. La sua mente si era spesso concentrata su quel dettaglio, immaginando lui con altre donne, con lui che toccava le altre donne come aveva toccato e baciato lei, se aveva fatto sesso con le altre con la stessa intensità che aveva fatto con lei e quel pensiero provocava una strana miscela di desiderio e gelosia che non riusciva a reprimere.
Arrivati al momento dell’incontro, la tensione tra loro era palpabile. Quando si videro per la prima volta, c’era un istante in cui entrambi si studiarono, cercando di capire se l’attrazione fosse ancora viva o se il tempo avesse spento qualcosa. Ma non appena si avvicinarono, qualcosa scattò. Lo sguardo che si scambiarono era diverso da quello di un anno prima, carico di un’inquietudine mista a curiosità, come se entrambi stessero cercando di misurare cosa fosse rimasto di quella connessione.
Forse era l’alcol, o forse il fatto che nessuno dei due riuscisse a resistere all’attrazione, ma quella sera si trovarono nuovamente a condividere una stanza. Il loro corpo si trovava in sintonia come se non fosse passato un solo giorno da quando si erano visti. Tuttavia, le emozioni che avevano cercato di reprimere riaffiorarono. C’era gelosia, ma anche un senso di liberazione. Entrambi avevano vissuto altre storie, ma nessuna di queste era riuscita a farli sentire come l’uno con l’altra.
Il sesso che seguirà non sarà solo fisico. Quello che scivola tra le lenzuola è una miscela di emozioni che si mescola con il desiderio. Sarà più selvaggio, più urgente, come se ogni bacio, ogni tocco fosse un modo per esplorare non solo i loro corpi, ma anche il terreno sconosciuto che avevano evitato di attraversare. La gelosia che li ha tormentati si trasformerà in qualcosa di più primitivo, una voglia di possesso che li renderà ancora più intensi. Non si trattava solo di rivivere il passato; si trattava di prendere tutto quello che avevano represso e dare spazio a una passione che non avevano mai smesso di desiderare, il sesso quella sera sarà sia egoista che con la voglia di soddisfare l’altro e fare in modo che l’altro non si dimentichi di quei momenti. Entrambi cercheranno di restare imporre nella mente dell’altro quella notte.
Forse non avrebbero mai trovato una risposta chiara alla domanda di cosa fosse stato quel legame tra di loro, ma quella notte avrebbe dato loro una risposta diversa: che l’intensità di ciò che avevano provato non era finita, e che, per quanto i loro percorsi fossero diversi, quella chimica era ancora lì, viva e indomabile.
Capitolo 6: Il Gala di Natale
Alden Parker e Jane Tennant si conoscevano da anni. Entrambi dirigevano le rispettive agenzie NCIS: lui a Washington, lei alle Hawaii. La loro prima “avventura” era iniziata durante una di quelle riunioni di lavoro, quando le agenzie si incrociano e collaborano su casi comuni. Quella storia, che si era sviluppata in poche notti, aveva avuto il sapore di un’illusione, ma il ricordo era rimasto inciso nei loro corpi e nelle loro menti. La chimica che avevano condiviso in quei giorni li aveva legati in un modo che nessun’altra relazione era riuscita a eguagliare.
Le loro vite personali erano cambiate nel corso degli anni. Entrambi avevano avuto diverse relazioni, ma nessuna era riuscita a suscitare lo stesso desiderio e la stessa passione di quando erano insieme. Ogni nuovo incontro sembrava insipido, come una pallida imitazione di ciò che avevano provato l’uno con l’altra. Nonostante ciò, Alden e Jane avevano imparato a convivere con la distanza, consapevoli che la loro connessione, così unica e intensa, sarebbe rimasta un segreto custodito nei loro cuori.
Ora, un altro incontro era in programma: il tradizionale gala di Natale delle agenzie NCIS, un evento che si svolgeva ogni anno per celebrare i successi e il lavoro svolto. Entrambi erano stati invitati a partecipare, e le loro agenzie si sarebbero incontrate ancora una volta. La serata sarebbe stata elegante, raffinata, e prevedeva che tutti i partecipanti dovessero venire accompagnati da un partner. Questa volta, tuttavia, la partecipazione doveva essere in coppia. Non appena la notizia dell’invito si era diffusa, un’inquietudine si era insinuata nelle loro menti. Sapevano cosa sarebbe successo, cosa avrebbe scatenato il semplice pensiero di rivedersi.
Alden aveva una nuova compagna, ma non riusciva a fare a meno di paragonarla a Jane, in ogni senso. Jane, da parte sua, aveva iniziato una relazione con un collega delle Hawaii, ma niente di serio, o almeno niente che potesse eguagliare il legame che aveva con Alden. Entrambi, però, si sentivano turbatissimi all’idea di dover partecipare al gala, ognuno con la propria compagna o compagno, ma con la mente inevitabilmente rivolta all’altro.
Le ore precedenti all’evento furono un turbine di emozioni. Alden cercava di concentrarsi sul suo lavoro, ma la mente gli tornava continuamente a Jane, a quel sorriso che non riusciva mai a dimenticare, a come il suo corpo si adattasse perfettamente al suo, come se fossero stati progettati l’uno per l’altra. Anche Jane non riusciva a distogliere i pensieri da Alden. Si immaginava già con lui, la sua pelle, il suo respiro vicino al suo. Sapeva che sarebbe stata una lotta contro la passione, ma non voleva ammettere a se stessa quanto fosse intensa quella voglia di rivederlo.
Quando finalmente arrivò la sera del gala, Alden e Jane si trovarono di fronte alla sala decorata con luci scintillanti e un maestoso albero di Natale, circondati da centinaia di colleghi e superiori. Ma per quanto cercassero di concentrarsi su tutto il resto, entrambi si trovarono a cercarsi con lo sguardo, come se quella distanza non fosse mai esistita. Si scambiarono una rapida occhiata, e in quel momento tutto il resto del mondo sembrò sfocare.
Alden era con la sua compagna, ma il suo corpo era teso, come se ogni fibra fosse in attesa di qualcosa. Jane stava ridendo con il suo compagno, ma la sua mente non era lì. Era lontana, a pochi passi da Alden. I loro sguardi si incrociarono ancora una volta e, nonostante la presenza degli altri, si capirono subito. Nessuna parola, solo la consapevolezza che tra di loro qualcosa stava accadendo. Un’attrazione che non si poteva nascondere, che nemmeno le altre persone, i sorrisi forzati e i bicchieri alzati in segno di brindisi, potevano dissimulare.
La serata si sviluppò tra convenevoli e chiacchiere. Alden e Jane si avvicinarono più volte, sempre mantenendo una distanza formale, ma il desiderio era palpabile. Erano entrambi consci delle loro attuali relazioni, ma il corpo e la mente sembravano rispondere a un richiamo più potente, un richiamo che non potevano ignorare. La gelosia dei rispettivi compagni era evidente, ma nessuno dei due era disposto a lasciare che quella notte passasse senza fare qualcosa.
Quando arrivò il momento della danza, Alden si avvicinò a Jane con un sorriso enigmatico. “Vuoi ballare?” chiese, con un tono che nascondeva più di quanto lasciasse intendere. Jane, senza nemmeno pensarci troppo, annuì. Si staccò dal suo compagno e si avvicinò a lui, sentendo il battito del suo cuore accelerare mentre si avvicinava. I loro corpi si toccarono, e in quel momento tutto il resto sparì. Il mondo intorno a loro si dissolveva, lasciando solo l’intensità di quel contatto, quella connessione che non avevano mai smesso di sentire.
La danza fu lenta, ma carica di tensione. Ogni passo, ogni movimento, sembrava segnare un nuovo passo verso qualcosa che non potevano più evitare. La gelosia e il desiderio si mescolavano in un cocktail esplosivo. Ogni volta che Alden la toccava, Jane sentiva una fitta di passione crescere dentro di lei. Ma non poteva dimenticare chi c’era al suo fianco. Così come lui non poteva ignorare la sua compagna, che lo osservava da lontano con occhi pieni di domande.
La serata proseguì, ma il desiderio di Alden e Jane non accennava a diminuire. La tensione tra loro cresceva, alimentata dai sorrisi forzati e dagli sguardi furtivi. Eppure, entrambi sapevano che quella notte non sarebbe finita senza che qualcosa accadesse. Se avessero resistito ancora a lungo, la passione che avevano nascosto sarebbe esplosa in maniera incontrollabile.
La domanda rimase nell’aria: quanto sarebbero riusciti a resistere prima di cedere alla passione che non avevano mai smesso di desiderare?
Capitolo 7: L’Ultima Notte
Il suono della musica dal gala divenne sempre più distante mentre Alden e Jane camminavano silenziosamente lungo il corridoio che li conduceva all’uscita, cercando di non farsi notare. Ma i loro occhi si parlavano più di mille parole. Il desiderio, denso nell’aria, era palpabile, e entrambi sapevano che non potevano lasciarlo lì, sospeso.
Jane strinse le mani nel suo elegante vestito, cercando di mascherare il tremore che sentiva crescere dentro di lei. Non si trattava solo di attrazione fisica; era qualcosa di più profondo, un legame che li aveva sempre uniti, anche quando le loro vite si erano separate. Alden si avvicinò, il suo respiro più affannato del solito, come se anche lui faticasse a tenere a freno i propri sentimenti.
“Vieni con me,” disse Alden, con la voce bassa, quasi impercettibile. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. La risposta nei suoi occhi era chiara, e Jane non si tirò indietro. Camminarono insieme fuori dalla sala, cercando di mantenere la calma, ma le mani che si sfioravano tradivano la tensione che li consumava.
I corridoi dell’albergo dove si teneva il gala sembravano infiniti, ma in realtà entrambi avevano il cuore che batteva forte, come se ogni singolo secondo che passava fosse un passo verso un abisso che non volevano evitare. Quando arrivarono, la porta della camera si chiuse dietro di loro con un peso che sembrava definitivo. Nessuna parola, nessun commento. I corpi parlavano per loro, la tensione era esplosiva. Alden prese il viso di Jane nelle sue mani, e lei, senza pensarci troppo, si sollevò su di lui e lo baciò con urgenza, con quella passione che avevano nascosto per troppo tempo.
Era come tornare indietro nel tempo. Nessuna delle loro attuali relazioni esisteva più in quel momento, solo loro due e quella chimica che non aveva mai smesso di esistere, che li legava da sempre. Alden la sollevò senza fatica, portandola verso il letto, e in un attimo si trovarono abbracciati, nudi, come se non ci fosse mai stato nulla tra di loro, pronti a far esplodere quella passione.
Ogni contatto tra di loro sembrava confermare che quella connessione non fosse solo sessuale, ma anche emotiva. Ogni carezza, ogni bacio, sembrava dire la stessa cosa: “Ti voglio”. Jane non riusciva a pensare ad altro. I suoi pensieri erano completamente dominati dal corpo di Alden, dalla sensazione che si stava riprendendo ciò che era suo e che le mancava da troppo tempo.
Quando finalmente si fermarono, entrambi esausti, ma con una soddisfazione che andava oltre l’orgasmo fisico, si stesero l’uno accanto all’altra. Nessuna parola fu pronunciata, ma entrambi sapevano che quella notte era un’illusione, un’ultima tregua in un gioco che avevano già scelto di non giocare più. Jane appoggiò la testa sul petto di Alden, il cuore che batteva più forte di quanto avrebbe dovuto.
“Non voglio che finisca,” sussurrò Jane, la voce tremante. Non riusciva a nascondere la vulnerabilità che sentiva. Il pensiero di separarsi, di dover tornare alle proprie vite, la consumava.
Alden la strinse più forte. “Lo so,” disse, e il tono della sua voce tradiva un sentimento che non aveva mai espresso a voce alta, ma che entrambi sapevano esserci. Quella connessione, quella passione che avevano condiviso, li legava in un modo che nessun’altra relazione avrebbe mai potuto fare.
Ma la realtà li stava già aspettando. Nessuno dei due voleva dirlo, ma entrambi sapevano che era la verità: dovevano tornare alle rispettive vite, ai rispettivi compagni, alle rispettive distanze.
La dolcezza di quel momento non bastava a cancellare la consapevolezza che avrebbero dovuto salutarsi. Entrambi erano cambiati, ma c’era ancora qualcosa di irrisolto tra di loro. Non si dissero nulla per qualche istante, ma entrambi sapevano che quella sarebbe stata un’altra separazione, un altro “arrivederci” che sembrava troppo difficile da dire.
“Devo andare,” disse Jane finalmente, la voce bassa, ma ferma. Non poteva restare. Aveva una vita che la aspettava alle Hawaii, un compagno, ma dentro di sé il pensiero di Alden non la lasciava mai davvero sola.
Alden annuì, ma non parlò. Si alzò, vestendosi con la solita precisione, ma senza fretta. Ogni movimento sembrava carico di un dolore che entrambi cercavano di nascondere. Quando fu pronto, si avvicinò a Jane e le sfiorò la guancia con una mano. “Ti penserò,” disse, più per se stesso che per lei. Non c’era bisogno di aggiungere altro. I loro corpi ricordavano tutto.
Jane si alzò lentamente, indossò il suo abito e si sistemò i capelli. Poi si girò verso Alden e gli regalò un sorriso triste, ma carico di significato. “Anch’io,” rispose, e sapevano entrambi che quelle parole erano più di un semplice addio. Erano un promemoria del legame che avevano, un legame che non avrebbe mai smesso di esistere, nonostante la distanza.
Si scambiarono un ultimo bacio, breve ma intenso, e poi Jane si diresse verso la porta. Quando la chiuse dietro di sé, sentì un peso sollevarsi dal suo cuore, ma allo stesso tempo un vuoto profondo. La vita li avrebbe separati di nuovo, ma quella notte sarebbe rimasta con loro. Un ricordo che nessuna delle loro vite future avrebbe potuto cancellare.
Capitolo 8: ciao
Jane Tennant non riusciva a liberarsi del pensiero di Alden. Era tornata alle Hawaii, ma le immagini di quella notte al gala si ripetevano nella sua mente come un loop che non smetteva mai di girare. Ogni dettaglio, ogni tocco, ogni sguardo. Nonostante fosse con il suo compagno, una relazione che sembrava sempre più un pallido riflesso di quella passione condivisa con Alden, ogni momento passato con lui la faceva sentire vuota. Non c’era nulla che potesse eguagliare la chimica che li aveva uniti, quella connessione che li aveva legati in modo così profondo e irrisolvibile.
Ogni giorno, il ricordo di Alden la tormentava. I suoi capelli argentati, la sua pelle calda, quelle mani che le avevano fatto sentire viva come mai prima. E poi, quella sensazione che solo lui sapeva darle: quando, dopo aver fatto l’amore, la stringeva forte, come se avesse paura di perderla. Come se non fosse mai stato abbastanza. La distanza che li separava sembrava insostenibile, ma, allo stesso tempo, era qualcosa da cui non riuscivano a fuggire.
Dopo il gala, Jane aveva lasciato il suo compagno. Non riusciva più a stare con qualcuno che non le suscitava le stesse emozioni, lo stesso desiderio che aveva provato con Alden. Si sentiva come se avesse tradito se stessa restando in quella relazione, come se il suo cuore fosse altrove. E altrove, nel profondo di sé, c’era solo Alden Parker. Aveva chiuso gli occhi quella notte e aveva immaginato di restare per sempre nelle sue braccia. Ma al risveglio, aveva capito che non era possibile.
Anche Alden, da parte sua, aveva affrontato il suo inferno personale dopo la notte al gala. Era tornato a Washington e la relazione con la sua compagna era giunta al capolinea. Non importava quanto lei avesse cercato di capire dove fosse scomparso, o perché si fosse allontanato improvvisamente. La verità era che Alden non aveva mai smesso di pensare a Jane. La sua mente tornava continuamente a quella notte, a come il corpo di Jane si adattava al suo, come si accoccolava a lui dopo il sesso, come se non ci fosse nulla al mondo che potesse separarlo da lei. Ma c’era. E il dolore di quella separazione lo consumava.
Avevano cercato di ricostruire la loro vita, entrambi, con nuove persone, nuove abitudini. Ma il legame che avevano era qualcosa che nessun’altra relazione avrebbe mai potuto emulare. Era un desiderio senza tempo, una passione che non avrebbe mai smesso di bruciare.
Un giorno, dopo settimane di pensieri turbolenti, Alden si ritrovò davanti alla finestra del suo ufficio, guardando la neve che cadeva fuori. Non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di chiamarla, di cercarla. Non sapeva nemmeno se avesse senso farlo. Ma il suo cuore gli diceva qualcosa di diverso. E Jane, ovunque fosse, doveva saperlo. Doveva sapere che non era mai stato in grado di lasciarla andare.
Anche Jane, alle Hawaii, continuava a combattere con se stessa. Ogni mattina si svegliava con il desiderio di scrivere un messaggio, di chiamarlo, ma poi la realtà la richiamava alla sua vita quotidiana. Non poteva più cedere a quella passione che la consumava. Aveva preso una decisione. Ma ogni volta che pensava a lui, un nodo le si stringeva nel petto. Non c’era pace in lei. Aveva lasciato il compagno, ma non riusciva a lasciare Alden. Non sapeva più dove finisse lui e dove iniziasse la sua solitudine.
Un giorno, mentre camminava lungo la spiaggia al tramonto, il suo telefono vibrò nella tasca del vestito. Era un messaggio da un numero sconosciuto, ma il cuore le saltò nel petto. Lo sapeva. Era lui.
Alden: “Ciao, Sto pensando a te. Non riesco a smettere di farlo. Ti va di parlare?”
Il cuore di Jane accelerò, e in un attimo tutto il resto sembrò svanire. Si fermò, guardando il mare che si infrangeva sulla riva. Il vento le accarezzava i capelli mentre il suo pensiero volava subito a quella notte. La sua risposta non fu una riflessione, ma un impulso del cuore.
Jane: “Anche io. E non posso più ignorarlo.”
Quella notte, quando il sole scomparve all’orizzonte, entrambi si ritrovarono, più consapevoli che mai che non c’era spazio per nessun altro tra di loro. Non c’erano parole per spiegare cosa fosse accaduto, cosa fosse cambiato. Ma la verità era che, nonostante le distanze, le relazioni passate, e il tempo che sembrava essere passato, quella passione, quella chimica, non era mai finita. Non si era mai veramente spenta.
E ora, più che mai, sentivano che dovevano vivere con essa, senza più negarla. Il destino li aveva separati tante volte, ma non per sempre. Perché il legame che avevano era più forte di ogni distanza. Più forte di ogni paura.
Fine.
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Forse, trentaquattro anni sono troppi per iniziare ad aurorare. Ma al buon dio non sono mai parsi troppo pochi gli anni di suo figlio, o quelli dei mie due fratelli nati morti, per concedergli la gioia della notte senza riservargli prima la gentilezza di assaporare lo stagnante mistero del crepuscolo.
È vero: ho perso tardi i miei denti da latte. Ho dovuto prima costruire gengive abbastanza forti per poter reggere il peso delle mie zanne da cane. L’ho fatto in aule di scuola spettrali e nel paludoso labirinto della malattia mentale. Ma non è stato tempo sprecato. Soltanto tempo. Tempo. Un costrutto della mente umana che a volte assume la forma di uno sciame di cavallette. Tu, spiga di frumento solitaria, in un campo brumoso, sterminato, cullata mollemente dal grecale. Lontani, i colli lunghi delle ciminiere. Intorno, il silenzio di dio. Il Silenzio.
Aurorare a trentaquattro anni. Forse, una vergogna. Per molti, uno sperpero. Meglio, però, che vivere nell’infinito meriggiare di una vita che s’illude di non essere fragile; passata a mangiucchiare e a sbevazzare sopra le carcasse dei Maestri, teneri assassini di altri, più antichi, Maestri. Assisi sulla loro montagna di cadaveri freddi e luminosi, come scimmioni con le loro punte di selce, curvi su uno schermo a vedere una ragazzina impiastricciarsi le labbra, o Riga, nello splendore del natale, lasciata che venga assaporata da chi ha scelto, troppo tardi, l’aurora e non il mezzogiorno fasullo di un sole posticcio.
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La Giustizia
"L'Amore che trova il Coraggio di Amare"
Quando la Vita vuole riordinare l'assetto complessivo della struttura interiore, spinge dentro fino a sfinire l'opposizione della Mente.
Attiva il Cuore. Lo rende espanso e imprevedibile.
Porta "giustizia" nei pensieri illusori, nelle azioni incoerenti, nelle manifestazioni dissonanti. Esaspera ogni proiezione, ogni dinamica di disfunzione, ogni forma disarticolata di controllo.
Ci stordisce.
Fino all'ultimo granello di protesta, di resistenza, di contrasto, di ribellione, di negazione della Verità. Fino al definitivo atto di resa.
Chi rifiuta il proprio "sentito", troverà pane per i suoi denti nei prossimi movimenti energetici. Starà male.
Troppe persone sono fermamente convinte di avere incontrato la Verità dentro. Ma si sono perse nell'ennesimo labirinto delle memorie ancestrali.
La "prova del nove" è vicina. Avremo contezza della qualità del nostro viaggio interiore proprio nei prossimi movimenti energetici.
Saranno giorni di profonda Verità di manifestazione.
Resteremo attoniti ad osservare come la Materia si muova fluida e repentina, sostenuta dal nostro atto creativo, che, se Antico, produrrà una espansione delle arcaiche memorie di schema disfunzionale.
Ma se altresì sostenuta dal Nuovo, ci offrirà una straordinaria anteprima dell'innovativo movimento di generazione della "svolta".
Le persone che "tremano" di fronte a questo, sono coloro che in fondo al loro Cuore sanno di non aver portato a termine il loro movimento di guarigione emotiva.
Solo una pulizia profonda e onesta del corpus emozionale e degli automatismi di schema, può oggi generare "futuro", e non più "proiezione di Passato".
Non basta la "Connessione spirituale", se il contenitore "Corpo" è ancora legato a "disoneste" strutture di funzionamento.
Non si tratta di "terrorismo". Non si tratta di "pressione psicologica". Si tratta di "onestà".
C'è stato un tempo in cui era "normale" delegare all'Altro la responsabilità del nostro dolore, del nostro immobilismo, della nostra tristezza interiore.
Oggi questo non è più possibile.
La Vita chiede un atto di "adultità".
Chiede di essere "giusti" e "integri " con il nostro stato di salute psichica e fisica.
Cosa è davvero importante? Cos'è prioritario per noi?
Nella "zona di patologia e impotenza" le persone non scelgono perché hanno dei benefit nel "restare" e molte incognite nell'"andare.
Tergiversano. Lasciano scorrere il tempo. Vorrebbero che l'Altro decidesse per loro, si allontanasse, si comportasse male per offrirci il pretesto di "andarcene puliti".
No.
Non funziona così.
"Io governo il mio Cuore".
Io ne avrò cura. Io sono responsabile per la sua protezione, per il suo pieno diritto di libertà, di espansione e di fiducia.
Nessun Altro.
La violenza si sviluppa nello schema "disonesto".
Non nella Verità di chi siamo.
Che prezzo ha la Libertà dal dolore?
Inestimabile.
Come un quadro di un grande Artista.
Nessuno ha la benché minima idea di quanta felicità si nasconda dietro alle pieghe del "movimento libero del Cuore Cristallino".
Nessuno.
O pochi.
Quei pochi che hanno "affrontato". E hanno concesso a se stessi un'opportunità di rompersi più e più volte. Per poi andare.
Non ci si rompe e basta.
Poi si va.
Non si resta per paura, scomodità, "vincolo materiale".
Si va. O si muore. Giorno dopo giorno, nella menzogna di chi non siamo.
Siate onesti. Basta con le giustificazioni, le moralizzazioni, le gabbie del "non posso, soffrirebbero troppe persone".
A chi serve davvero il tuo "sacrificio". A tenere in piedi la disfunzione? Davvero è amore per gli Altri questo? Davvero è amore e gratitudine per la Vita?
Amare significa anche "rompere tutto" quando è frutto di antiche patologie ereditarie.
L'Amore è "liberare". Non imprigionare tutti nella complicità della vittima e nell'efferatezza del carnefice.
Liberate!
Non condannate voi stessi alla Morte in Vita.
La Vita ha tanto da offrire. Tanto Amore vero. Tanta Bellezza. Tante opportunità di abbondanza.
Non guardate sempre nello stesso punto. Distogliete per un attimo lo sguardo e concedetevi di "vedere" e "sentire" la Verità.
Si profilano "tempi forti", tempi d'Oro per i guerrieri liberati dal "bisogno della guerra".
Spada pronta nel fodero. E cuore in Mano nei prossimi giorni.
Si "ama". Si "ama tanto" a Dicembre.
Mirtilla Esmeralda
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Craco, Matera
Craco è una meta imperdibile per chi vuole scoprire un angolo di Italia ancora poco conosciuto e ricco di fascino. Un luogo dove storia, natura e mistero si fondono in un'esperienza unica.
Craco, un gioiello nascosto della Basilicata, è una città che incanta e affascina per la sua storia e per il suo fascino un po' spettrale. Conosciuta in tutto il mondo come una delle più suggestive città fantasma d'Italia, offre uno spettacolo unico: case abbandonate, stradine deserte e un'atmosfera che sembra uscita da un film.
Perché Craco è diventata una città fantasma?
Le cause principali dell'abbandono di Craco sono state i frequenti smottamenti e le frane che hanno reso il centro storico pericolante. A partire dagli anni '60, gli abitanti furono costretti a trasferirsi in un nuovo centro abitato, più a valle. Questo esodo ha lasciato un vuoto enorme, trasformando Craco in una sorta di città museo, sospesa nel tempo.
Cosa rende Craco così speciale?
La posizione: Arroccata su una collina, offre un panorama mozzafiato sui calanchi circostanti. L'architettura: Le case, i palazzi, le chiese e la torre normanna raccontano una storia millenaria e testimoniano l'ingegno degli antichi costruttori. L'atmosfera: L'atmosfera che si respira a Craco è unica: un mix di malinconia, mistero e bellezza che lascia un segno indelebile nel cuore di chi la visita. Il cinema: Craco è stata spesso scelta come set cinematografico, contribuendo a farla conoscere in tutto il mondo.
Cosa vedere a Craco?
Il centro storico: Un labirinto di vicoli, piazze e case abbandonate, dove il tempo sembra essersi fermato. La torre normanna: Un'imponente costruzione che domina il paesaggio circostante. Il Museo Emozionale di Craco: Ospitato nel Convento di San Pietro, offre un'esperienza immersiva nella storia della città. I calanchi: Le caratteristiche formazioni geologiche che circondano Craco offrono un paesaggio unico e suggestivo.
Perché visitare Craco?
Per un viaggio nel tempo: Craco è un luogo fuori dal tempo, dove è possibile rivivere atmosfere e sensazioni del passato. Per gli amanti della fotografia: Le rovine di Craco offrono innumerevoli spunti per scatti indimenticabili. Per chi cerca un'esperienza autentica: Lontana dai circuiti turistici più battuti, Craco offre un'esperienza di viaggio più autentica e coinvolgente.
Curiosità:
Craco è stata inserita nella lista dei monumenti da salvaguardare della World Monuments Fund. La città è stata utilizzata come set per numerosi film, tra cui "Cristo si è fermato ad Eboli". Ogni anno, a Craco si tiene una manifestazione dedicata alla rievocazione della vita contadina.
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Vexed - Analisi videoludica #1
The Beginner's Guide di Davey Wreden [Spoiler]
Il gioco che voglio portare oggi è, come facilmente intuibile dal titolo, The Beginner's Guide. Questa è la descrizione su Steam per il gioco:
"The Beginner's Guide è un videogioco narrativo di Davey Wreden, il creatore di The Stanley Parable. Dura circa un'ora e mezza e non ha meccaniche tradizionali, né obiettivi o scopi. Invece, racconta la storia di una persona che fatica a confrontarsi con qualcosa che non riesce a capire."
Questa descrizione ci fa quindi da valutazione, ma anche da avvertenza. Un segnale di ciò che verrà.
Il gioco si apre con lo stesso Davey Wreden che narra. Ciò che stiamo andando ad esplorare, dice, è una raccolta di livelli creati dal suo amico Coda tra il 2008 e il 2011. L'obiettivo di Wreden è dimostrare che un qualsiasi giocatore (consumatore) può conoscere uno sviluppatore (autore) attraverso le sue opere; che, dato un numero sufficiente di esempi, saremo in grado di comprendere a fondo chi sia Coda.
Questa è senza dubbio una ricerca interessante, anche se la maggior parte dei videogiochi non è frutto del lavoro di un singolo individuo. Non a caso, sono pochissimi i nomi che spiccano in questo ambito (es. Toby Fox). La teoria della morte dell'autore, dunque, tende a sgretolarsi nei videogiochi più che in altri media.
Ma le opere di Coda sono diverse. Sono piccole, quasi esperimenti. Giochi incompleti che troviamo quasi esclusivamente nella scena indie.
Per fare qualche esempio:
C'è il livello in cui puoi solo camminare all'indietro.
C'è il livello che parla di fare le faccende domestiche.
C'è il livello in cui ti trovi a metà di una rampa di scale e Coda rallenta la tua velocità di movimento fino a farti avanzare a malapena.
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Attraverso The Beginner's Guide, otteniamo una dozzina di scorci della mente di Coda. E Wreden è lì per spiegarceli tutti. Qui ci spiega una decisione presa da Coda, lì razionalizza perché Coda ha creato un certo livello. A un certo punto inizia anche ad aiutarci a superare sezioni particolarmente ostiche, iniziando a dubitare lui stesso di alcune delle scelte di Coda. Eppure, ciò che emerge è che, agli occhi di Wreden, Coda è un genio.
La particolarità di The Beginner’s Guide, ciò che lo rende interessante, è il numero di interpretazioni diverse che supporta. Se The Stanley Parable era una decostruzione dei videogiochi, The Beginner’s Guide fa un passo ulteriore: una decostruzione della discussione intorno ai videogiochi.
Come precedentemente detto, esiste una teoria nella critica letteraria nota come la morte dell'autore. In parole semplici, afferma che dovremmo giudicare ogni opera per ciò che è, indipendentemente dalle esperienze di vita, politica, religione dell'autore. Non dovremmo cercare di capire cosa intendesse l'autore, ma piuttosto interpretare un'opera di finzione basandoci sulle nostre esperienze personali.
Diventa quindi centrale questa teoria in The Beginner's Guide. Durante il gioco, noi stessi iniziamo a farci queste domande:
Qual è il ruolo dell'autore?
L'autore ha dei doveri nei confronti del pubblico?
E viceversa?
Io penso di sì.
Arriviamo alla parte conclusiva del gioco, gli ultimi livelli che, Wreden ci avverte, non sono stati ancora giocati da lui. Ritorna anche il titolo: Wreden ci ha fatto da guida, ma ora tocca a noi, novizi, essere in controllo del nostro giudizio e della nostra opinione. Wreden ci aiuta a superare l'ultimo impossibile labirinto, e il sipario che divide opera e autore svanisce.
Scopriamo che Coda in realtà detestava Wreden. Che i simbolismi erano frutto delle interpretazioni di Wreden, e che non si limitava a forzare alcuni livelli per concluderli, ma li modificava e li stravolgeva a suo piacimento.
Qui Coda lascia un messaggio che mi permetto di citare e parafrasare, perché riassume perfettamente la teoria sopracitata:
"Il fatto che tu dica che io sia depresso giocando ai miei videogiochi dice molto più su di te che di me."
Davey ci abbandona. Continuiamo ad esplorare e raggiungiamo la superficie. Come nel mito della caverna di Platone, abbiamo raggiunto l'illuminazione.
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