#la sfortuna non esiste
Explore tagged Tumblr posts
lamigliorepartedime · 2 months ago
Text
Sempre e mai sono due parole che dovresti sempre ricordare di non usare mai.
Tumblr media
Soprattutto se è venerdì 13, perché sarai sempre una persona fortunata se non penserai mai alla sfortuna
@lamigliorepartedime
54 notes · View notes
generalevannacci · 5 months ago
Text
Natalino Balasso
Bisogna stare attenti a difendere l’illegalità. Occupare le case con la forza non è un bel gesto.
Sembra però che tutto questo polverone, di quelli che i perdenti alzano per nascondere il fatto che perdono terreno, finisca solo per nascondere una realtà drammatica, che la politica non ha risolto, né da destra né da sinistra. Il motivo è davanti agli occhi dei non dormienti: uno stato dove la corruzione è giustificata, dove si chiude un occhio su chi evade le tasse per tenersi buoni la grossa fetta dei disonesti; dove contro ogni logica e in maniera demente, per tutelare da destra e da sinistra il polveroso mondo dell’edilizia, si tollerano centinaia di migliaia, se non milioni di case sfitte; dove nessuno ti dice un cazzo se hai i soldi, ti compri 50 case e le lasci vuote; dove esiste una graduatoria per avere un tetto sulla testa; il crimine più grosso lo compie l’istituzione, con la propria inefficienza, con i propri raccomandati, coi parenti dei parenti e gli amici degli amici a occupare posti che non competono loro e che buttano sabbia sugli ingranaggi già rugginosi della nazione.
E così vediamo gente che da decenni occupa abusivamente il marciapiede dell’onorabilità, che percepisce i suoi dugentomila l’anno senza nemmen presentarsi troppo spesso al lavoro, sparare alzo zero su chi un lavoro non lo trova e non sa dove sbattere la testa, spesso per mera sfortuna.
Occupare le case con la forza non è bello, ma dormire in macchina non è giusto.
Altro che merito.
33 notes · View notes
libero-de-mente · 6 months ago
Text
VENERDÌ 17
La sfortuna non esiste.
Me lo ripeto da anni, nonostante abbia prove concrete e materiale per scriverci un libro. Potrei intitolarlo "Ventimila sfighe sotto i mari", con un seguito "Sette anni di sfiga in Tibet".
Giusto per far capire che la sfiga esiste sopra e sotto il livello del mare. Sopra e sotto il livello della sfortuna, una sfiga a misura d'uomo la mia.
Ma invece no, cerco di rendere un mantra questo pensiero: raccogliamo ciò che seminiamo. La sfortuna non esiste.
Al massimo si può essere diversamente baciato dalla dea bendata, tipo che essendo cieca non mi ha baciato quando ero in fila per la fortuna. Metti che mi sia abbassato per allacciarmi una scarpa e tac... persi la mia opportunità.
Ecco perché spesso mi è capitato in vita di dire "vorrei che tu fossi qui", mentre io ero qua. Allora sono andato lì, ma lei si era spostata di qua. Alla fine finisci anche gli avverbi di luogo, oltre che le imprecazioni.
Anche l'insoddisfazione è una forma di sfortuna, si tratta di sfortuna irrequieta. Alcuni esempi: guardo la luna piena e le stelle, ma ho voglia di pizza; ammiro un tramonto multicolori che stordiscono, ma ho voglia pizza; alla fine mi ritrovo davanti a una magnifica pizza ed è in quel momento che mi accorgo che quel vuoto da colmare non è nello stomaco. Si chiama gnagna, altro che pizza.
A pensarci bene il termine "sfiga" non è altro che la gnagna con la s di... scordatela. Un caso? No. Il caso non esiste.
Siamo a maggio, piove tantissimo e come disse Eric Draven "non può piovere per sempre", perché tutto avrà una fine. Tranne l'ansia, la sfiga e la fame. Finite le piogge torneranno le zanzare.
La sfortuna non esiste, è uno stato mentale. Cambiamolo, insieme si può. Intendo insieme a uno bravo.
4 notes · View notes
tma-traduzioni · 8 months ago
Text
MAGP009 - Seguendo la sorte
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il decrepito computer dell’O.I.A.R. si accende]
[Sam è seduto alla sua scrivania, canticchia a bassa voce]
[Rumore di una penna, sta compilando dei moduli]
[Passi che si avvicinano]
CELIA
Sera.
SAM
(distrattamente) Hey.
[Celia posa la sua borsa, si siede e accende il computer]
[Sam continua a compilare i suoi moduli]
CELIA
…Allora. Come sta procedendo il romanzo?
SAM
Hm, cosa? Oh – già, sì-
[Ridacchia imbarazzato]
[Gira un foglio e continua a scrivere]
SAM
Stavo continuando a compilare i moduli dell’assunzione. Sai com’è.
CELIA
Onestamente? Non mi è stato più dato nulla dal primo giorno.
SAM
È tutta colpa mia. Ho dato il consenso per un uno-a-uno con il dipartimento Risposta.
CELIA
Già… Alice aveva detto qualcosa in merito. E anche che ormai sono anni che non esiste più un dipartimento Risposta?
SAM
(continua a scrivere) Così mi hanno detto.
[Una pausa]
CELIA
Scusa, mi sono persa qualcosa? Perchè sennò tutto questo sembra piuttosto…
SAM
Inutile? Sì. Completamente.
CELIA
Mi hai persa.
SAM
Beh, mi rifiuto di dargli la soddisfazione di arrendermi.
CELIA
Non vuoi dare soddisfazione al sistema automatizzato di burocrazia?
SAM
Precisamente. E onestamente, a questo punto mi ha preso. È come se è fatto apposta per essere strano ed inutile, sai?
CELIA
In che senso?
SAM
Guarda.
[Si avvicina con la sedia]
CELIA
(Leggendo) “Prego elencare i vostri primi quattro ricordi negativi associati alla scuola o a un'istituzione educativa dell’infanzia equivalente, poi dare un punteggio ad ognuna su una scala da zero a sette, con zero come neutrale e sette come traumatico -” (ride) scusa, cosa?
SAM
Poi migliora.
CELIA
(gira la pagina) “Prego elencare ogni creatura morta vista negli ultimi tre mesi”… “Quante trasfusioni di sangue ha ricevuto negli ultimi dieci anni”… “Perché?” Perché cosa?
SAM
(Sorridendo) Solo “Perché”?
[Ridacchia]
CELIA
Beh, è… particolare.
SAM
Vero, no? E ancora meglio, so che nessuno lo leggerà mai.
CELIA
(Sorridendo) Mi fa piacere che ti stai divertendo.
SAM
A volte è bello avere una scusa per starsene seduti in silenzio per un po’ e pensare a delle cose.
CELIA
Cose tipo,“perché”?
SAM
Perchéééé. Vedi? Tu sì che capisci.
[La sedia torna al suo posto]
CELIA
Beh, sono felice che sei di buon umore, perché ho delle brutte notizie. Non riesco a trovare altro sull’Istituto Magnus e onestamente, a questo punto… sono a corto di idee. 
SAM
Non è un problema. Davvero apprezzo che hai appoggiato la mia piccola crociata, ma forse ha ragione Alice. Forse dovrei lasciar stare.
CELIA
Mi dispiace.
SAM
Non ne vale la pena, no?
CELIA
(alzandosi) Davvero. Vuoi del pessimo caffè?
SAM
Nah, sono apposto. Tra l’altro, questi ragazzacci non si riempiranno da soli.
CELIA
(sorride) Non divertirti troppo mentre non ci sono.
[Celia esce e Sam ridacchia]
[Una lunga pausa durante la quale sentiamo solo la penna]
[Il computer fa ‘ping’]
CHESTER
Dichiarazione e Valutazione della Ricerca per il reperto CD137 –
SAM
(a bassa voce) Ma che cavolo?
CHESTER
Istituto Magnus – Manchester. Riservato e confidenziale.
Disponibilità come soggetto - nessuna Disponibilità come agente - bassa Disponibilità come catalista - media.
Si raccomanda il rinvio per una Valutazione dell’Applicabilità per l’Arricchimento come Catalista,
Segue la dichiarazione:
Sì, vedo che non li vuoi toccare. Ottima scelta. Ma i guanti non ti saranno di alcun aiuto se ti scivolano di mano e rotoleranno sul tavolo. Fossi in te li metterei in quella scatola facendo molta attenzione, perché lascia che te lo dica, quei piccolini portano davvero tanta sfortuna.
Quindi sì, vi racconto tutta la loro storia, come li ho ottenuti, tutte quelle stronzate e voi semplicemente… me li prendete, no? Li accettate.
Bene. Credo. Sono abbastanza sicuro che è così che funziona. Almeno, per me è così che è andata.  Metteteli pure in un caveau se volete, seppelliteli, buttateli nell'oceano per quel che me ne importa. L’unica cosa importante è che adesso sono vostri.
È stato Gary a coinvolgermi in questa storia. Era uno di quei nerd sfegatati, e fin da quando andavamo a scuola insieme provava a convincermi a giocare ai suoi stupidi giochi. Voglio dire, Advanced Dungeons and Dragons era l’ultima novità, ma non ne ho mai visto il fascino. L’ho provato una volta per farlo stare zitto, ma praticamente te ne stai lì seduto a dire cose che non sono reali. Dov’è che sarebbe il gioco? E dopo la scuola io e Gary ci siamo allontanati. Non è una sorpresa, queste cose succedono, no? 
Ma poi l’anno scorso, Carl mi lascia. Non è stata una gran cosa. Non è che intendessimo sposarci o altro e ci eravamo visti a malapena da quando lui si è trasferito a Doncaster, ma ha fatto comunque male, sai? Allora quando Gary dal nulla si mette in contatto con me, e mi supplica di unirmi al suo gruppo, penso e che cavolo, perché no? Gary non era così male - o almeno, così pensavo - e dio solo sa se mi serviva una distrazione. Un po’ di sano divertimento.
Quindi mi presento al suo appartamento e mi rendo conto che Gary se la stava passando davvero bene dai tempi della scuola. Ha questa bella casa a West Didsbury. Detto questo, mi invita a entrare, noto che sembra un po’ stanco. Indossa questo maglione a collo alto decisamente costoso ma ha delle borse sotto gli occhi, i suoi pantaloni sono strappati e cammina zoppicando.
Gli chiedo se sta bene e lui mormora qualcosa su uno scippo, quindi lascio perdere, ma mi rendo conto che una parte delle lampadine si sono fulminate, e c’è una perdita enorme sopra il suo immenso impianto stereo. Non dico niente però. Cioè, non è che il mio piccolo monolocale fosse meglio. Detto questo, mi accorgo di una macchia sbiadita su una parete che penso potrebbe essere sangue.
Non è ancora arrivato nessuno, siamo solo io e lui, e sono un po’ in imbarazzo. Poi lui inizia a parlare di questo gioco a cui a quanto pare stiamo per giocare e sento tutt’altro tipo d’imbarazzo, perché non ho idea di che cosa sta parlando. Poi mi dice che presume che non ho dei dadi con me, e gli dico di no - dovrò usare i suoi.
Questo fa comparire un sorriso sul suo volto. Adesso ovviamente so perché.
Mi aspettavo che mi desse una manciata di quei dadi di plastica scadenti con tutti i punteggi diversi, ma invece infila la mano in tasca e tira fuori un paio di dadi normali. Sei lati, bianco sporco, piccoli puntini neri, sai che aspetto hanno i dadi. Voglio dire, li stai guardando proprio adesso. Gli ho chiesto se ci servivano, sai, dei dadi strani, e lui scuote la testa, dicendo che per questo gioco servono solo “due D sei.” Me li porge, così li prendo. Dio, erano pesanti.
Era passato un po’ da quando mi ero seduto al tavolo da gioco, ma avevo usato abbastanza dadi per sapere che erano troppo pesanti… e c’era qualcos’altro. Da quel punto in poi, quei dadi appartengono a me. E ne sono consapevole.
Gary dopo non si scomoda ad aspettare. Sostiene immediatamente di aver ricevuto una chiamata da qualcun altro del gruppo. Non possono venire, la partita è stata cancellata, mi spiace che sei venuto fin qui, blah, blah, blah. E così mi ritrovo di nuovo fuori, ad aspettare un taxi che mi riporti a casa.
Devo proprio fare la cronaca di tutta la parte che viene dopo? Voglio dire, mi avete detto che state proprio cercando, com’è che era, “oggetti attivamente soprannaturali," no? Mi sa che se vi dico che vi sto dando un paio di dadi maledetti potete mettere insieme i pezzi per conto vostro. 
Cioè, in poche parole, ho iniziato a lanciarli, e ho notato che fanno succedere delle cose. Esce un numero alto, succedono delle cose belle: offerte di lavoro, caffè gratis da baristi carini, rimborsi fiscali. Esce un numero basso, succedono cose brutte: si rompono cose tecnologiche, perdo soldi, mi ritrovo circondato da gente con la giornata storta. E quando esce un numero davvero basso… beh, avete visto le cicatrici. 
La cosa è, però, che ancora non so davvero se mi hanno mai costretto a lanciarli. Voglio dire, l’ho fatto. Molte volte. E sapevo che probabilmente i rischi erano maggiori delle ricompense, ma non credo di averli mai sentiti tipo, “chiamarmi” o altro, sai? Mi è sempre sembrata una mia scelta. Anche se era una scelta di merda. D’altro canto nella mia vita non ho mai ottenuto niente di buono se non per puro caso, quindi perché questa volta sarebbe dovuta essere diversa?
Dopo un po’, però, mi sono accorto che… non era puramente casuale. Se fai diversi tiri alti, i prossimi probabilmente saranno bassi. E se hai fatto uscire tutta la sfortuna, allora dopo succederanno cose belle. Lo so, lo so, sembra superstizione, ma ti dico, ne ho tenuto nota, e so ho imparato abbastanza matematica per essere certo delle probabilità. Non è casuale, alla fine tutto va in pari. Quindi allora in quel momento inizio a pensare. E se la persona che lancia non è importante, fintanto che i tiri alla fine si bilanciano tra di loro?
Beh, hai capito dove voglio arrivare.
La cosa più strana è: nessuno ha mai detto di no. Uno sconosciuto ti si avvicina, ti passa un paio di dadi, e ti dice di lanciarli, tu gli dici di no, giusto? Ma l’hanno sempre fatto tutti. Certo, mi guardavano in modo strano, mi dicevano di togliermi dai piedi, mi trattavano come il tipo inquietante che senza dubbio ero, ma li lanciavano comunque. E certo, lo so che alla maggior parte delle persone piace lanciare i dadi, ma comunque mi fa sorgere il dubbio: quanto avevo controllo effettivamente…
Ho seminato anche della buona sorte oltre che quella cattiva. Dopo tutto, anche dopo aver fatto i conti, molte persone hanno fatto uscire numeri alti e poi arriva subito, così su due piedi, una lettera con delle belle notizie. Per questo li odiavo però. Quelli stupidi maledetti sorrisi mentre mi derubavano della mia buona fortuna.
Ma quando usciva un numero basso, quando potevi vedere la sfortuna abbattersi su di loro come un’ombra, o meglio ancora - quando usciva un numero davvero basso e potevi essere sicuro che il tiro dopo sarebbe stato uno buono. In quello c’era una gioia macabra, lo ammetto. 
E il mio sistema funzionava. Non era perfetto, ogni tanto qua e là mi usciva un tiro brutto: un guasto alla macchina, un mancato pagamento, una volta ho addirittura sfondato una finestra di vetro. Ma per il resto avevo davvero dato una svolta alla mia vita, scaricando tutta la merda su qualcun altro per una buona volta. Chiaramente una cosa che quell’idiota di Gary non aveva mai pensato di provare. 
E poi ha iniziato a cambiare e la sorte era… diversa. Non nel senso in cui era buona o cattiva, ma nel modo in cui era buona o cattiva. All’inizio si trattava di cose abbastanza normali, a volte addirittura prevedibili, ma gradualmente hanno iniziato a diventare più… non so, astratte. Come quando all’inizio stai avendo una giornata no o qualcosa del genere, e poi ti ritrovi di buon umore, e poi alla fine non riesci a capire che cosa è successo, sai solo che è successo qualcosa.
E mentre la mia fortuna continuava a migliorare sempre di più, ho iniziato a sentirmi sempre meno… connesso al mondo. Come se fossi un fantasma fortunato o qualcosa del genere, camminavo tra le persone normali ma non ero più uno di loro. Ero solamente questo personaggio che entrava nelle loro vite solo il tempo necessario per regalargli della fortuna o, più spesso, della sfortuna prima di andarmene.
Quella parte ha iniziato a piacermi più della fortuna. Lanciavo per me stesso sempre meno, concentrandomi più sull’essere uno… sconosciuto misterioso. Ho iniziato addirittura a vestirmi così: ho messo le mani su questo lungo giaccone scuro, un cappello largo, mi sono fatto crescere un pizzetto, e funziona.
Questo fino a circa una settimana fa. È stato allora che ho visto Gary, seduto in un coffee shop proprio nella strada del bell’appartamento dove vivo nella parte nord della città (grazie doppio-sei). E ha un aspetto normale. Non felice, non proprio, ma di sicuro non più il guscio infelice che era l’ultima volta che l’avevo visto.
E mi viene questa idea crudele. Quindi vado da lui, e lo saluto.
Avresti dovuto vedere la sua faccia. All’inizio la colpa, certo, ma poi si trasforma in confusione quando vede come sono vestito. Balbetta una qualche mezza scusa quando alzo una mano per interromperlo. Uso “la voce” e ringrazio così tanto il mio vecchio amico per il dono, e dico che lo voglio ripagare. In quel momento lui capisce cosa sta per accadere, anche prima che li tiro fuori e li poso tra di noi sul tavolo.
Non li vuole lanciare. Vorrebbe essere ovunque meno che seduto di fronte a me in quello squallido, piccolo bar. Ma li prende in mano comunque, e li lancia con tristezza.
Prima di allora non avevo mai visto uscire un due. Nemmeno una volta tra le migliaia di tiri a cui avevo assistito, e la seguente ricaduta sul futuro di qualcuno. Forse stavano aspettando un’occasione speciale, un onore per un custode indegno. O forse Gary è stato solo davvero, davvero sfortunato. In ogni caso, c’è stato questo momento di silenzio in cui entrambi abbiamo fissato il tavolo, e i dadi ci fissavano di rimando.
Quando il camion ha sfondato il muro, non è stata la griglia la prima a colpire Gary. Sono stati i mattoni che ha sbalzato dentro. Mezzo mattone gli ha colpito la mascella, stappandola dalla parte superiore della faccia e facendomi piovere addosso i suoi denti strappati. Un altro ha colpito la parte laterale della sua testa, facendogli collassare l’orbita dell’occhio e aprendogli il cranio, come un chicco d’uva maturo. Forse è stato quello ad ucciderlo. Lo spero. Perché non voglio immaginare come deve essere stato quando le ruote di quel mezzo gigantesco lo hanno travolto e gli hanno spappolato il corpo sul pavimento.
A quanto pare l’autista si è addormentato al volante. Il locale è devastato, ma - in qualche modo nessun altro è stato ferito, tranne Gary. È stato solo sfortunato, possiamo dire. 
Sono uscito barcollando di lì prima che arrivasse la polizia e l’ambulanza, e ho vomito. Non so cosa mi aspettavo che sarebbe successo, quale - soddisfazione ho pensato che avrei potuto ricevere guardando Gary essere fregato dai dadi, ma quello… è stato troppo, non so se posso tenerli.
E questo ci porta qui. Adesso sono vostri, e non voglio vederli mai più. Non fraintendermi, è dura, ma… semplicemente non sono la persona giusta per portarli. Tra l’altro, ho visto come trattano le persone che li hanno dati via.
È un vero peccato, però.
Beh… forse solo un’ultima volta. In nome dei vecchi tempi.
[La trascrizione finisce a causa di un’interruzione. I paramedici hanno dichiarato morto in loco l’autore della dichiarazione.]
[L’audio cambia, passa al telefono]
[Qualcuno bussa alla porta]
LENA
Avanti, Gwen.
[Passi, Gwen entra]
LENA
Siediti.
[Pausa]
[Gwen si siede]
LENA
Ho qui il tuo primo incarico.
Devi fare visita a un uomo di nome “Nigel Dickerson” e consegnarli questa busta - (fruscio di carta) che contiene un nome e un indirizzo. Fai attenzione a ogni cosa che dice o fa in risposta, in particolare ai suoi livelli di stress e il suo stato emotivo, così come quelli di eventuali altri presenti.
[Pausa]
GWEN
Scusa, sono confusa.
LENA
C’era qualcosa di non chiaro nelle mie istruzioni?
GWEN
Nigel Dickerson. Ciò il Nigel Dickerson. Della TV?
LENA
Forse. Non guardo la televisione.
GWEN
Non puoi non conoscerlo! Era popolarissimo negli anni 90. Sabato sul Sei? Mr Bonzo? La Vasca degli Scherzi?
LENA
Sembra credibile, visto quello che so su di lui.
GWEN
E perché non mandargli un’email?
LENA
Perché negli anni ho scoperto che se non si usa un tocco personale in queste situazioni spesso accadono dei… fraintendimenti. Tra l’altro, ho pensato che sarebbe stato istruttivo per la nostra nuova Affari Esterni.
[Gwen espira, quasi ride]
GWEN
Serve davvero tutto questo… melodramma?
LENA
Posso assicurarti di sì. Consideralo un provino, se ti va! E cerca di mantenere la calma una volta lì.
[Gwen sospira]
GWEN
(Sarcastica) Cercherò di non farmi prendere troppo dall’agitazione di fronte alla star.
LENA
(sbrigativa) Molto bene.
[Telefono che si connette]
[Teddy si siede e passa un bicchiere]
ALICE
Salute, mia cara.
TEDDY
Salute.
[Bevono entrambi]
ALICE
Allora, che ci fai da queste parti, Teddybear?
TEDDY
Cioè, se vuoi posso andare.
ALICE
Certo. Solo lascia qui il portafoglio, okay?
TEDDY
Ah, siamo a caccia di uno scoperto non pagato, vedo?
[Alice ridacchia]
ALICE
Seriamente, però, sono sorpresa che sei libero durante una mattina infrasettimanale.
TEDDY
Sì, beh, diciamo solo che al momento dalle nove alle cinque sono libero come un uccello.
ALICE
Ah, merda, Teddy. Cosa è successo?
TEDDY
(sospira) Ero di troppo. Avevano iniziato a pianificare una riduzione dello staff il giorno prima che mi facessero il colloquio, ed è venuto fuori che il loro dipartimento assunzioni non aveva ricevuto la notifica.
[Alice fa un suono sorpreso]
L’ultimo arrivato è il primo a uscire. Sai com’è.
ALICE
Che bastardi! Ti meriti di meglio.
TEDDY
(alzando le spalle) Sì, beh, quando mai qualcuno riceve mai quello che si merita, eh?
ALICE
Durante la Rivoluzione Francese? Ci sono state delle giuste punizioni lì, no?
TEDDY
(Divertito) Sì, sì.
[Beve un sorso]
Allora! Come vanno le cose nella cripta?
ALICE
(Esitante) Voglio dire, uh… Lena ha appena assunto un paio di, um…
TEDDY
(Ridendo) Mi hai sentito chiedere un lavoro? Ne sono appena uscito, ho intenzione di starmene lontano da quel circo degli orrori.
ALICE
(Sollevata) Mi sembra giusto!
[Beve un sorso anche lei]
Va tutto bene. Hai conosciuto Sam, ovviamente, poi in più si è unita Celia, quindi il personale è pronto per un cambiamento! Il che è… buono. 
TEDDY
Buono?
ALICE
…Sì?
TEDDY
Alice, ti conosco da quanto? Quattro anni? Non credo di averti mai sentito descrivere qualcosa come “buono.” “Da paura” forse, “disgustosamente figo” certo! Hai addirittura usato “tubolare” seriamente qualche volta. Ma “buono”? Mai.
ALICE
(per niente convincente) Okay, uno, ero suuuuper ironica -
TEDDY
Sììììì, certo.
ALICE
E due, è davvero “buono”. Siamo più o meno in pari con i casi e Sam e Celia vanno d’accordo alla grande -
TEDDY
Ahhh. Ecco cos’è.
ALICE
Cosa?
TEDDY
Cosa?
[L’indifferenza di Alice si può sentire]
TEDDY
Sto solo dicendo, lo capirei se l’ufficio ti sembrasse - sovraffollato.
ALICE
(Sarcastica) Oh mi conosci, sai quanto amo trasformare il lavoro in un campo minato di tensione interpersonale.
TEDDY
(ridacchia) Voi due siete stati insieme per anni. Sarebbe comprensibile.
ALICE
Sai Teddy, la gente affoga di continuo nel Tamigi. (Teddy ridacchia) Ho visto i dati. Davvero, sembrerebbe un incidente.
[Un bip dal telefono di Teddy]
TEDDY
Oh, trattieni per un attimo quella minaccia. A quanto pare ho un colloquio qui vicino, quindi…
[Passi che si avvicinano da lontano]
ALICE
Non aggiungere altro, tu avviati e io me ne starò seduta qui a lavorare al mio lacrimoso alibi. (con voce tremante) “Mi dispiace agente, è successo tutto così velocemente. Un momento Teddy era in piedi sopra il fiume, a dire cose senza senso su -” 
TEDDY
Sam! Hey!
[Sam arriva proprio quando la voce di Alice si incrina]
SAM
(a Alice) Hey! Tutto okay?
ALICE
(veloce) Bene. Grazie.
SAM
Teddy, giusto? Vi dispiace se mi unisco a voi?
TEDDY
Temo che adesso devo andare, quindi -
SAM
Hey, non voglio impormi -
TEDDY
Dovrò lasciarti nelle tenere mani di Alice.
[si alza]
Finisci pure la mia birra, se vuoi - l’ho a malapena toccata!
SAM
Oh, uh… Alla salute!
[Teddy esce. Sam prende il bicchiere.]
ALICE
Io non lo farei. Teddy trabocca di malattie mentali.
SAM
Mi sa che correrò il rischio.
[Sam beve un sorso felice]
[Pausa]
SAM
Allora. Tu e Teddy.
ALICE
Io e Teddy cosa?
SAM
Da quanto è che voi due…
ALICE
Cosa?
[Pausa]
ALICE
(capisce) Oh mio dio! Ma che avete tutti oggi? Teddy!? No! Nooooo.
SAM
Brutale.
ALICE
Non fraintendermi, Teddy è un bravo ragazzo, ma - non è…
SAM
(scherzando, ovviamente) In agguato in una foresta, sfugge ai cacciatori e compare solo raramente in qualche foto sfocata?
ALICE
Senti, amico, Bigfoot è niente male a letto, ma ha dei seri problemi di abbandono.
[Sam ridacchia]
Ma sì, Teddy era nei paraggi per una cosa di lavoro, tutto qui. In ogni caso, tu che ci fai qui? Di solito passi solo per la fine della settimana.
SAM
Beh, a-a dire il vero volevo parlare con te.
ALICE
Parli con me tutta la notte a lavoro.
SAM
(più vicino) Beh… volevo chiederti una cosa.
ALICE
Oh sì?
SAM
(a bassa voce) Una cosa privata?
ALICE
(avvicinandosi suo malgrado) Sì?
[Pausa]
SAM
Vorrei che venissi a vedere delle rovine con me.
ALICE
…Cosa scusa?
SAM
(si sposta sulla sedia) Senti, lo so che avevi detto che non dovevo prestare troppa attenzione ai casi e tutto il resto, ma penso davvero che stesse succedendo qualcosa - di davvero strano all’Istituto Magnus - (inspira) e poi c’è questo questo nuovo caso che è -
ALICE
Aspetta, aspetta. Sei già riuscito a trascinare Celia in questa roba. Perché non ci vai con lei in questa avventura alla Scooby-Doo?
SAM
Cioè, Celia mi piace…
ALICE
Ma?
SAM
Ma… non sono certo che siamo già alla fase “andiamo-a-Manchester-per-scavare-in-un-edificio-bruciato.”
ALICE
…Okay. E noi invece sì.
SAM
(imbarazzato) Beh, un tempo lo eravamo.
[Una lunga pausa]
[Alice sospira, poi beve un lungo sorso di birra]
ALICE
Quando andiamo?
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio successivo]
3 notes · View notes
ilragazzodellaportaaccanto · 6 months ago
Text
Tumblr media
ll Bordo del Letto
Eccoci sul Bordo del Letto.
Per chi come me è una persona che si ritrova la maggior parte del tempo a vivere seduta sul bordo del letto, siete nel posto giusto. Si, vivo sul bordo del letto. È una vita fatta di metà, un po' come mangiare una fetta di torta al cioccolato ma non volerla finire, perché alla fine, in fondo, non si vuole essere troppo sazi per assaggiare qualcos'altro. Sono spesso in balia di me stesso, delle mie preoccupazioni, dubbi, pensieri e paure, che mi fanno rimanere lì sospeso, tra un letto pieno di pieghe e un pavimento troppo freddo per poggiarci i piedi. Vivere sul bordo del letto è un po' come osservare tutto per la prima volta: si vuole capire con chi o che cosa si ha a che fare. Voglio sempre sapere in anticipo cosa può accadermi. Soltanto dopo piccoli passi riesco ad andare avanti e, se non sono rimasto ucciso, allora cerco di creare dei confini per non riempire troppo, quel piccolo vuoto che ho creato. Mi ritrovo a vivere seduto sul bordo del letto. Per me non è una condanna, è un qualcosa che mi fa andare avanti, molto spesso più lentamente. Non tutti riescono subito a capirlo. Molti cercano di spingerti giù dal letto.. Ti dicono: "Forza è tardi, scendi!" oppure "Devi imparare a buttarti!" o ancora "Non ci sta nulla di pericoloso, lo faccio anch'io non vedi!?". Non capiscono che per quelli come me non esiste il tutto e subito, non esiste lo sbagliare e riprovare, non esiste la fortuna, ma caso mai, esiste soltanto la sfortuna, un qualcosa che non posso prevedere, una scelta sbagliata, e in fondo al calderone, probabilmente del dolore. Quante volte mi sono congelato i piedi scendendo dal letto, quante volte ho inciampato in una ciabatta lasciata per terra la sera prima, oppure sbattuto all'angolo del letto con il mignolo del piede.. e come ci insegna il vecchio signor Pavlov, il ripetersi di tutto questo, e altro ancora, mi ha portato a vivere lì sul bordo del letto. È un regno fatto di indecisioni, di rimunerazione, di domande e di tanti pensieri. Penso a come potrebbe essere in un altro modo, se sono capace di fare quella strada o meglio, se in fondo alla strada troverò quello che mi aspetta invece della solita fregatura. Un pò come quando ordini un panino al McDonald's guardando la foto della pubblicità , e poi ti ritrovi un panino che ha le sembianze di un cheeseburger calpestato, masticato e buttato nel piatto. No grazie, tutto questo non fa per me.
Vivere sul bordo del letto non è così brutto, mi regala tante piccole felicità ogni volta. Prima di dare inizio alla mia giornata, posso semplicemente chiudere gli occhi e immaginarmi la "mia" di giornata. Mi ritrovo in un mondo plasmato secondo i miei desideri: accade tutto quello che vorrei. Sono capace di rispondere in modo intelligente alle provocazione di quei bastardi dei narcisisti, la persona che amo riesce a farmi sentire tale, sono intraprendente, mi diverto. Insomma, è come quando si canta sotto la doccia. In quel momento mi sento sul palco dei Rolling Stones, soltanto che sono io al microfono. Sono come quelle persone che si rifugiano nei fumetti dei supereroi, dove si rispecchiano, o meglio, ritrovano ciò che vorrebbero essere. Soltanto che ad un certo punto la vita chiama, l'orologio va avanti e dal bordo del letto tocca scendere, perché dopo un po', il boiler dell'acqua calda finisce e le pagine del fumetto si esauriscono.
Non credete che sia facile vivere sul bordo del letto. Non chiamatemi pigro, non pensate che sia uno scansafatiche, non crediate che mi piaccia arrivare in ritardo agli appuntamenti. È difficile. Si, è difficile. Ogni volta ci si ritrova pietrificati, con un corpo che sembrare pesare tonnellate. Per muovere i muscoli sembra di dover sollevare Antonino Cannavacciuolo. Il tuo cervello ti "bombarda" di pensieri e naturalmente il tuo corpo risponde di conseguenza: diventa rigido, immobile. È una lotta continua, tra tu che cerchi di convincerti che quella sia la strada giusta, una scelta di cui devi essere felice, mentre tutto il resto cerca di convincerti a ripensarci ancora un pò. Già, per vivere sul bordo del letto non serve mica un letto. È un modo d'essere, è una caratteristica anacronistica, non esiste un momento della giornata in cui tu ti ritrovi sul bordo del letto e non riesci a scendere. Ti ci ritrovi ogni qual volta devi fare un piccolo passo:  la mattina appena sveglio, scegliere quale tipo di caffe vuoi, scegliere se andare a cena fuori con gli amici, quale lavoro tu voglia fare, oppure scegliere davvero chi amare. Scegliere. 
Siamo arrivati probabilmente dove volevo arrivare, ma non riuscivo a scegliere come farlo. Strano?
Vivere sul bordo del letto è il mio piccolo rifugio, quel magico mondo dove le scelte non devono essere fatte. Sono un indeciso. Mi costa fatica e dolore dover prendere una scelta. Fino a quando non posso sapere tutto quello che mi accadrà, non posso sapere se ci siano scelte migliori, io preferisco rimanere sul bordo. Ma alla fine dei conti, come faccio a scegliere qualcosa, se probabilmente, non ho ancora scelto chi voglio essere. Non so se il mio colore preferito sia il verde o il rosso, se mi piaccia di più la carbonara o uno spaghetto alle vongole, se mi piaccia di più il caffe o un bacio al mattino. Non ho scelto chi essere, come potrei scegliere il resto? Vorrei essere tante persone allo stesso tempo, vorrei poter fare cose diverse senza dover etichettarmi come un professionista in qualcosa. Vorrei sentirmi libero. Invece mi sento obbligato a seguire le indicazioni stradali della vita. Girare a destra, proseguire dritto e in fondo alla strada a sinistra. Io vorrei vivere una vita percorrendo il tragitto panoramico. Potermi fermare dove voglio, con chi voglio e non dover tenere conto della prossima scelta che mi si presenterà. Vorrei una strada a senso unico.
Però qualcosa ad un certo punto è cambiato.
Probabilmente perché recentemente ho battuto la testa, o semplicemente il sushi dell'altro giorno mi ha intossicato, ma mi capita sempre meno di vivere su quel fottuitissimo bordo del letto. Ho capito che forse non esiste una scelta giusta ed una sbagliata. Non perché non si possa sbagliare, perché non è sempre vero che sbagliando si impara. Sopratutto, non è neanche vero che dobbiamo con il tempo arrivare a capire quale siano le nostre scelte, capire quale sia la più giusta per noi, o peggio, la più giusta secondo gli altri. Per me, non dobbiamo scegliere chi siamo, perché sceglierlo equivarebbe a dover scartare tanti piccole parti di noi. Ho capito che sempre ci ritroveremo davanti a delle scelte, la magia sta nel "provare." Si sta semplicemente in questo. La strada a senso unico, che tanto desidero, mi porterebbe soltanto in un posto... e questa si che è una scelta da non poco. Il trucco sta di scegliere ogni giorno, se andare a destra o sinistra. Se quella scelta non vi piace, banalmente, il giorno dopo non la sceglierete più. Se vi è piaciuta, cavolo, rifatelo. Se vi interessa anche continuare dritto per la vostra strada, andateci, la possibilità di tornare indietro ci sarà sempre. Non abbiate paura di scegliere chi essere, chi diventare, o cosa volete. Abbiate paura del giorno che non potrete più sceglierlo, di sentirvi "arrivati", di aver finito le vostre scelte. Potete anche scegliere di bere la stessa camomilla ogni giorno per 20 anni, ma ogni giorno sceglietelo, non smettete di farlo. Ragionate sempre di pancia. Non temete le vostre scelte, il giorno dopo se ne possono fare altre. Non ci sta vita più bella di quella che si può riempire di scelte.
Ci ho messo un po a scegliere se pubblicare tutto questo o meno.
Ma se lo state leggendo avete fatto una buona scelta.
Il vostro ragazzo della porta accanto.
2 notes · View notes
Text
Non dimentichiamo, infine, il vedovo inconsolabile: quello che ha conosciuto troppo presto il grande amore letterario, e si convince che nessuno potrà mai essere alla sua altezza.
[...]
esiste anche la depressione post-librum. Gli americani la chiamano post-book blues [...] non c’è lettore che non l’abbia sofferta, nel dire addio a un romanzo molto amato. Si annuncia verso tre quarti del libro, quando lo spessore delle pagine residue si assottiglia: i piú tenaci si impongono di centellinare quel che resta, ma presto o tardi l’appuntamento tanto temuto con la parola fine arriva.
[...]
Solo quando la notizia che il libro è veramente finito viene recapitata dalla testa al cuore, appaiono i primi sintomi.
[altri] non si danno pace, si gettano subito su un altro libro, e poi su un altro ancora, cercando in tutti di riacciuffare l’ombra di quello appena perduto. Invano.
[...]
Fortuna o sfortuna vuole che i romanzi, a differenza degli amori perduti, siano stampati in molte copie e restino sempre a disposizione per riletture da cima a fondo, sbirciate occasionali, furtivi ritorni di fiamma. Certo, non sarà mai la stessa cosa.
Cit. "Il lettore sul lettino. Tic, manie e stravaganze di chi ama i libri"
5 notes · View notes
rideretremando · 1 year ago
Text
"IL CONTRARIO DEL PRESTIGIO. LA FORZA, L'AMORE E SIMONE WEIL (2017)
“Non resta / che far torto, o patirlo”, diceva l’Adelchi morente di Manzoni. Aggiungendo subito, a chiosa, che “Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto”. Il “mondo” rifiutato da Cristo è interamente sottoposto alle leggi della sopraffazione. Niente e nessuno ne è immune, e chi si illude di esserlo sta tirando una coperta ideologica sulla nuda realtà dei fatti. Il massimo che possiamo fare è sospendere a tratti il dominio di questa fisica bruta, trovare un geometrico equilibrio tra le forze e tenere ferme le tensioni contrarie in un’ascesi contemplativa. Non si può cancellare la ferocia che ci governa, solo esercitarsi ad arrestarne provvisoriamente l’azione. Ma la sua natura è così travolgente che anche per fare questo occorre un miracolo. Bisogna venire investiti dalla grazia.
La forza, la grazia: sono i due poli intorno a cui ruotano alcuni dei saggi più importanti di Simone Weil, come “L’Iliade o il poema della forza”, “Non ricominciamo la guerra di Troia” e “L’ispirazione occitana”. Succede spesso, negli ultimi anni, che editori più o meno piccoli ripropongano queste pagine scarne e perentorie composte subito prima e subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale; e non penso sia un caso. Da quando è sfumata la speranza diffusa in una palingenesi sociale (e non importa qui discutere la sua fondatezza, negata dalla Weil con argomenti decisivi), ci ritroviamo davanti a un puro potere che può mostrarsi senza pudori, ma al tempo stesso fingere che il suo ordine coincida con la giustizia. Siccome tutti, nessuno escluso, siamo condizionati dalle credenze che la vita comune infonde giorno per giorno in ognuno, questa pedagogia priva di alternative ci persuade col suo ghigno che al di là dell’esistente restano appena velleità, fantasmi, chiacchiere. Così, come sappiamo da mezzo secolo, meno sembra possibile una rivoluzione o un mutamento radicale, più la Storia si traveste da immodificabile Natura. E allora, chi alle leve del potere è più vicino si convince che se è in quella posizione non lo deve anche a un intreccio di combinazioni imperscrutabile, ma soltanto ad alcune caratteristiche eccezionali che lo distinguono, appunto per natura, da chi si trova in basso ed è schiacciato dalla sventura; la quale a sua volta, per usare le parole weiliane, apparirà non il frutto di una serie di casi e di fatalità mai del tutto riconducibili a progetti o a doti umane, bensì qualcosa di molto simile a una “vocazione innata”. In una società che, non importa quanto fantasiosamente, ritiene possibile un altro mondo storico, chi in quello presente non riesce a integrarsi può essere considerato come un’avanguardia, una prefigurazione monca del futuro; in una società dove questa fiducia evapora è solo uno sfigato – termine in cui, significativamente, la sfortuna diventa una qualità negativa del soggetto che la subisce.
Vivere sottoposti al regno della forza implica prima di tutto rimuovere verità del genere. Se infatti questo regno è così potente, è anche perché in fasi storiche come la nostra accorrono a fornirgli giustificazioni ideologiche molte delle intelligenze migliori, più attendibili e più scrupolose; mentre a ricordare che esiste uno iato, sebbene quasi invisibile, tra le differenze di natura e le differenze imposte dal potere, rimangono o un pugno di acrobati della dialettica o una vasta platea di retori davvero velleitari, di chiacchieroni e utopisti da bar o da tastiera. Questo però, come sapevano qualche decennio fa a Francoforte, contrariamente a ciò che si crede non dice nulla sulla legittimità dell’esigenza che balena nella loro oratoria degradata, perché la sua apparenza ridicola e deforme è la veste nella quale sempre vengono imprigionate le istanze sconfitte. Quando la pressione della forza è enorme, chi in quel momento è portato in alto dalla sua onda può scegliersi l’avversario a sua immagine, e sconciarlo fino a farne un relitto kitsch o un comiziante da sagra. Ma specularmente, intanto, le intelligenze impegnate a ripeterci i loro inesauribili “se è così c’è una ragione, sveglia!”, non possono non rivelare al fondo l’ingenuità propria di tutti i cinici, che si illudono di poter calcolare e controllare ciò che non si controlla e non si calcola: cioè la realtà, che per definizione coincide con l’imprevedibile, con l’inatteso, e che prima o poi li prende in contropiede (sotto il cuscino dei perdenti si scopre spesso una copia del “Principe”, diceva Brancati).
Capire perché le cose stanno come stanno è bene, e sfuggire a questa comprensione è segno di infantilismo; ma tessere l’apologia di ciò a cui va reso solo l’onore di riconoscergli che “è ciò che è”, trasformandolo in un “è perché deve essere”, asseconda un bisogno di rassicurazione altrettanto infantile. Chi vuole far tornare i conti con uno stridulo Gott mit uns dimentica quello che, secondo la Weil, il poeta dell’“Iliade” ha espresso nel modo più puro descrivendo la guerra, la situazione per eccellenza in cui il potere si mostra nella sua aperta crudeltà: ossia il fatto che nessuna diversità essenziale separa vincitori e vinti. La forza, anche quando li rende simili a tempeste in apparenza inarrestabili, non è mai un possesso dei guerrieri, ma una corrente che passa dal campo troiano a quello acheo, e viceversa, svilendo gli uomini a “cose” – fulmini gli uni, tronchi mozzati gli altri. E quando agli eroi capita la parte del tronco, della preda, “tremano” tutti, persino il grande Ettore. Eppure basta che la forza torni a sollevarli, ed ecco che la sua droga cancella dalla loro mente questo dato elementare. Allora si sentono di nuovo invulnerabili, oltrepassano il limite della tracotanza e sono puniti dalla Nemesi – un concetto che, osserva la Weil, l’Occidente moderno non ha nemmeno più parole per esprimere.
Dunque lo sguardo omerico è supremamente equo perché non veste di ragioni ciò che non lo merita. Nel poema, l’efferatezza di chi sta vincendo una battaglia non è mai soffusa di una luce apologetica, e nel lamento disperato di chi soccombe non si vede mai il tratto distintivo di un “essere spregevole”. Come poi la tragedia attica, e come la cultura occitana (provenzale, romanica, catara) spazzata via nel tredicesimo secolo dalle crociate, l’“Iliade” ci mostra secondo la Weil una civiltà eccezionalmente consapevole del dominio della forza, e insieme indisponibile a identificare questo dominio con la giustizia. “Solo se si conosce l’imperio della forza e se si è capaci di non rispettarlo è possibile amare” ed essere giusti, conclude la pensatrice francese. Il contrario della forza è l’amore, che nei versi omerici avvolge tutto ciò che è vulnerabile e minacciato dall’annientamento. Ma accedere a questa forma di amore, come si è detto, richiede una capacità sovrumana: appunto perché il mondo umano appartiene alla forza, che quando ci innalza ci acceca, additandoci il miraggio di una realtà senza ostacoli e illudendoci di essere onnipotenti, mentre quando ci schiaccia giù a terra, in una servitù da cui sembra impossibile immaginare una liberazione, ci strappa la “vita interiore” e cancella in noi ogni sentimento.
In questi saggi la Weil si sofferma anche su un altro punto cruciale, che riguarda proprio la copertura ideologica dei rapporti di forza. Siccome il potere si posa sull’uno o sull’altro uomo con un’ampia dose di arbitrio, rendendo radicalmente diversi i destini di individui radicalmente simili, chi vuole mantenerlo senza suscitare rivolte deve saper occultare questo arbitrio e razionalizzarlo. È così che intorno alla forza, fingendosi sua causa, si diffonde l’aura illusoria del “prestigio”, che gli uomini scambiano per qualità innata mentre è l’effetto di un contesto determinato, di un provvisorio gioco di luci i cui riflessi tendono però a moltiplicarsi illimitatamente. Qui forse non è inutile ricordare la nazionalità di Simone Weil, dato che la Francia è stata nel mondo moderno il paese più socializzato, quello dove i fantasmi impalpabili ma pervasivi delle identità pubbliche sono penetrati in ogni fessura dell’esistenza. Né è certo un caso che sia stato un altro francese, pochi anni prima di lei, a eternare letterariamente questi fantasmi nella mappa più ramificata e ricca d’implicazioni che ci sia mai stata fornita. “Solo chi è incapace di scomporre, nella percezione, ciò che a prima vista sembra indivisibile, crede che la situazione faccia corpo con la persona”, ha scritto Marcel Proust, che attraverso i molti strati della sua “Recherche” avvicina all’esperienza quotidiana le essenze platoniche weiliane.
L’analisi dello snobismo, cioè, secondo il critico americano Lionel Trilling, dell’“orgoglio a disagio” di chi non è mai sicuro della propria identità, è appunto l’analisi degli equivoci creati dal “prestigio”. In un universo come quello borghese, dove non esistono più ruoli fissi e garantiti da ordini aristocratici o da fedi nel soprannaturale, questa precarietà è fisiologica; e il romanzo, col suo dinamismo, è nato per rappresentarla. Ma di solito i romanzieri, anche i più estremisti, portano gli equivoci a uno scioglimento: o sotto la loro superficie abbagliante si rivela una certezza solida, inconfutabile, oppure questa superficie diventa il segno di una metafisica, arcana indecifrabilità, cioè in fondo di un’altra certezza, seppure di segno negativo. Proust, invece, dimostra che l’equivoco è la sostanza stessa, la stoffa onirica e fantastica di cui è fatta la pretesa identità di ognuno: una sagoma destinata inevitabilmente a variare a seconda delle luci che il luogo, ma soprattutto il tempo, l’immaginazione e i sentimenti personali o collettivi le proiettano sopra. L’ambiguità, in questo senso, è senza fine. La magia dei nomi trasfigura di continuo la materia, e la materia fa cadere a un tratto il sipario di una convenzione, di una magia effimera. La gelosia stabilisce ragnatele finissime, e non si sa mai se abbia occhi straordinariamente acuti o se straveda. Ogni gesto, ogni parola, ogni episodio racchiudono un gomitolo di equivoci che si intrecciano e si divaricano nel tempo. Volgarità e finezza, bontà e perfidia, onorabilità e impresentabilità, prosaicità e fascino esclusivo, provincialismo grottesco e talento supremo, filisteismo e regalità si scambiano ovunque le parti, e toccano tutti i principali caratteri di questo romanzo di romanzi: Saint-Loup, i Verdurin, Morel, Charlus, Swann, i Guermantes, Rachel, Odette, Bergotte, Albertine, Vinteuil, Cottard, Elstir… e ovviamente il narratore.
Col prestigio, col potere e con i ruoli di vittime e carnefici, questi personaggi cambiano la loro stessa pelle. Ma se è così, non hanno ragione i lodatori di ciò che appare, di ciò che ‘è’ in quanto s’impone? Non basta, per approvarli senza riserve, imprimere un po’ di mobilità eraclitea al loro troppo statico sistema panglossiano, al loro hegelismo mummificato e andato a male? Quale identità nuda o profonda ci resterebbe in mano da difendere, al di là delle mutevoli maschere sociali? Esiste forse là dietro un volto, un ‘noumeno’ che non sia un’astratta, umanistica petizione di principio? Difficile crederci: soprattutto oggi che siamo tutti più socializzati dei vecchi francesi, essendo social e tendendo a una assai più totalitaria indistinzione di ‘intimità’ e ‘pubblicità’. In quel vorticoso primo Novecento, tra Proust e Weil, un altro francese ha messo in bocca a un suo personaggio teatrale una risposta disinvoltamente contraddittoria. “Non state confondendo la gloria e l’amore? Amereste Giocasta se non regnasse?”, chiede Tiresia a Edipo nella “Macchina infernale” di Cocteau. “Domanda stupida e ripetuta mille volte”, ribatte il marito e figlio della regina di Tebe. “Giocasta mi amerebbe se fossi vecchio, brutto, se non sbucassi dall’ignoto? Credete che non ci si possa buscare il mal d’amore toccando l’oro e la porpora?”. Ma poi aggiunge che “i privilegi di cui parlate non sono la sostanza stessa di Giocasta e aggrovigliati così strettamente ai suoi organi da non poterli disunire”. La scena è interessante anche perché qui, come altrimenti in Proust, la politica, cioè il campo per eccellenza del potere, fa tutt’uno con l’amore.
Ma non è, s’intende, l’amore soprannaturale che per la Weil sta sull’altro piatto della bilancia rispetto alla forza. Eppure anche di questo amore è fatto l’amore umano. Chi, che cosa amiamo dunque davvero? È il nostro amore separabile dal prestigio? All’alba della modernità, in una Russia infranciosata, il romantico e ironico Aleksandr Puškin ha lasciato nell’“Onegin” una immagine memorabile della divaricazione tra società e verità su cui è fiorita la nostra cultura. “In quel tempo, in quel deserto, / Lontano dal pettegolezzo, / Io non vi piacqui: questo è certo… / E dunque mi inseguite adesso? / Che cosa a voi mi pone in vista? / Non forse il fatto ch’io apparisca / Per il mio rango in società; / L’esser di ricca nobiltà; / O il marito che in guerra è stato / Ferito e alla corte è in favore? / Non forse che il mio disonore / Da tutti sarebbe osservato, / A voi nel bel mondo recando / Un lusinghevole vanto?”, domanda malinconicamente Tatiana a Eugenio verso la fine del poema, dopo che lui l’ha prima tenuta affettuosamente a distanza, moderando il suo dongiovannismo, quando era una semplice ragazza di campagna, e poi l’ha ardentemente corteggiata quando l’ha vista muoversi da dama impeccabile tra i ricevimenti pietroburghesi.
Non so chi potrebbe rispondere alla domanda di Tatiana. Quanto è grande, specie in un mondo più che mai socializzato, la dose di desiderio mimetico che ci entra in circolo? Quanto influisce sui nostri atti il prestigio, questo vestito imperiale della forza? Se esistessero confini visibili o palpabili tra un’‘essenza’ e un’‘apparenza’, combattere sotto l’insegna di una delle due riuscirebbe relativamente facile. Sarebbe lecito pensare a una lotta di princìpi, confidare in un mutamento progressivo che a poco a poco conduca a esiliare dal mondo la forza magnetica e menzognera del prestigio contrabbandato per cosa salda. Invece il mondo è strutturalmente suo. Perciò una tale etica è ritenuta insufficiente dalla platonica Simone Weil, e contemporaneamente anche dalla sensuale Etty Hillesum. Solo il riconoscimento di questa realtà, la sua accettazione senza risarcimenti e la contemplazione della forza possono sospenderla, tenere in miracoloso equilibrio la bilancia.
E sì: noi siamo anche i nostri privilegi, gli ori e le porpore di cui non potremmo mai dire, senza apparire tracotanti di fronte al fato, di esserceli guadagnati da soli. Eppure, c’è chi alle origini della nostra civiltà ci ha mostrato uomini spogliati di tutto ciò: uomini ridotti a ‘cose’ passive, resi schiavi o annientati da uomini ridotti a ‘cose’ ciecamente attive come catastrofi naturali. Chi amerà questi nudi? Chi rimarrà vicino a un corpo, a una voce, a un volto totalmente privati di prestigio e di potere? Chi sopporterà di stringere esseri che basta un soffio a cancellare dalla scena, e che non sembrano avere più alcuna dignità umana? Noi tendiamo a immaginare la sventura in chiave eroico-hollywoodiana, a incastonarla in una sequenza in cui lo sconfitto mantiene intatto il suo fascino, la sua forma socializzabile di uomo. Ma proviamo a immaginare invece la vera sventura, cioè una condizione in cui tutte le nostre coordinate vacillano come nel Vangelo vacillarono i discepoli durante la Passione. Immaginiamo una situazione dove ogni circostanza sembra dare ragione al mondo che umilia lo sventurato. Immaginiamo il momento in cui la sventura arriva a toccare l’ultimo strato dell’identità della persona che diciamo di amare – il momento in cui, senza che questa persona si sia inconfutabilmente macchiata di una colpa, le sue attrattive si mutano in un motivo di imbarazzo, di smarrimento o di nausea, in una specie di vergogna senza nome. Immaginiamo tutto questo, e la domanda ci farà tremare.
Forse di una tale figura nuda, senza protezioni sociali e senza neppure il marchio di una minoranza esclusa ma ‘riconosciuta’, non si può predicare nulla. Forse si può dire solo che l’uomo è più di tutto il suo prestigio, di tutte le qualità in cui i “privilegi” si mescolano ambiguamente agli “organi”. Ma questo più non si può descrivere. Come l’anima, si può cogliere solo con un atto di fede. E proprio dalla fessura che lascia tra sé e il resto passa la grazia. È da lì che soffia l’amore trascendente, incondizionato, assoluto: l’amore senza il quale, diceva Denis De Rougemont occupandosi dei provenzali negli anni della Weil e in modi per molti versi opposti, siamo destinati a cadere in un romanticismo calcolatore che non troverà mai un oggetto su cui fermarsi, perché ci sarà sempre qualcosa di più attraente a meritare l’innamoramento.
Solo una decisione mai giustificabile, che è poi il contrario di una facoltà d’opzione, può arrestare questa fuga nell’illimitato. Un decennio prima, montando le tessere del suo discorso sulle “Affinità elettive” e il matrimonio, Walter Benjamin lasciava intravedere una prospettiva molto simile.
Credo che il saggio della Weil sull’“Iliade” sia uno dei due massimi capolavori della saggistica filosofica del Novecento. L’altro, non unilaterale e spoglio ma tormentosamente dialettico, va sotto il titolo di “Minima moralia”. Negli aforismi di Adorno si trova una frase che può stare accanto alla conclusione weiliana: “Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”. Il mondo, però, ci consegna un’ingiustizia ulteriore. Di solito si aderisce alla forza là dove la pressione collettiva è troppo intensa rispetto alle convinzioni che potrebbero farci resistere alla sua piena: cioè quando a propria volta, come carnefici, ci si trova in una condizione di debolezza, quando non si è abbastanza sicuri della propria comprensione delle cose da poter rimanere saldi in mezzo alla tempesta insieme a chi è rimasto nudo (la pressione consiste spesso in un sottile gioco di suggestioni atmosferiche incrociate, ma chi voglia vederne rappresentati i tratti più elementari e irresistibili può pensare al Bube di Cassola spinto a picchiare il prete Ciolfi, o al giovane ufficiale Eric Blair, alias George Orwell, accerchiato dalla folla birmana che esige di vederlo abbattere un elefante). Non è questa l’ultima ragione per cui il mondo ci chiude la bocca impedendoci di dire a ogni passo “non è giusto”, e quasi assimilando il nostro comportamento a un fatto di natura. Ma appunto, quasi. Resta quella fessura. Di cui nessuno si può appropriare senza tradirla, ma che nessuna forza può ridurre a sé."
Matteo Marchesini
4 notes · View notes
diariodiunaemo · 1 year ago
Text
martedì 30/05/23 - ore 06 am
non sono sicuro che mi piacciano gli effetti del medicinale. mi sentivo la testa piena di pensieri dopo il risveglio e solo adesso sono riuscito a smaltire almeno la metà di quei pensieri. in realtà, da un lato mi fa tornare il me stesso che ero durante l'infanzia ma non credo di rivolere con il me attuale il vecchio me, anche se so che mi farebbe bene affrontare il mio passato però un po' temo che potrebbe ripristinarsi quella personalità che avevo, che a me non piace, e per cui per anni ci ho lavorato su ma mi rendo conto che è solo una paranoia inutile perché so che in fondo servirebbe giusto a ripristinare il mio equilibrio e pace interiore. temo solo che possa prendere il sopravvento. mi son reso conto che, sì, vorrei migliorare il mio umore ed essere un po' meno depresso, il giusto per permettermi di riuscire a lavorare e sopravvivere a questa vita rel cavolo, ma che non ho voglia di uscire completamente dalla depressione perché, siamo realisti, è una compagna di vita e non esiste una vita completamente agevolata. non m'interessa uscirne del tutto perché ci sarà sempre qualcosa per deprimersi, per stare male, però non voglio contare tutta la vita sugli psicofarmaci. vorrei poter contare semplicemente sulle persone che mi circondano, alla musica, agli anime, all'alcool. so curiosità l'ultima parte sembra una frase da alcolizzato / alcolista anonimo ma sento, e mi rendo conto, che ho represso una fase non vissuta della mia vita, ovvero quella dove vorrei sbronzarmi ogni giorno e poter andare in coma etilico. sento il bisogno di manifestare questo desiderio, di vivere codesta esperienza almeno una volta. sento come se gli antidepressivi facessero riemergere tutto nello strato superficiale del mio io. ho voglia di vomitare i miei pensieri. sì, vomitare, come se fossero un qualcosa di così tossico nel mio corpo. mi fa schifo ripensare al mio passato. non lo voglio affrontare. voglio andare avanti per la strada che ho scelto. avevo deciso che non mi sarei riguardato indietro, eppure, nelle viscere del mio corpo la sento, le percepisco, la nostalgia verso quei giorni d'infanzia in cui volevo ancora bene alla famiglia di madre, nonostante mi abbiano fatto soffrire. odio ammetterlo perché sono tsundere, ma mi mancano effettivamente mia madre e mia nonna materna. due donne così fastidiose a cui ho privato di manifestare l'amore contorto che provano per me, perché odiavo l'amore, non l'ho mai capito. mi sono comportato più volte da stronzo ingenuo ma non volevo più farmi fregare da due persone che, a parer di mio padre e la compagna, subdole nell'animo. io credo semplicemente che, purtroppo, dal lato di mia madre abbiano avuto la sfortuna di avere dei geni malati che le rendono poco sane di mente. dopotutto, mia madre soffre di bipolarismo e non ha mai voluto farsi curare; mio zio è ancora a casa dei nonni e ha tentato il suicidio in passato, così mi ha raccontato mio padre; mia zia è quella uscita meglio. quella zia simpatica e otaku che tutti vorrebbero. in teoria sarebbe la mia madrina, ma in tutti questi anni non è che abbia mai pensato a me effettivamente
3 notes · View notes
ec-chi-mo-si · 23 days ago
Note
Hai scritto "È vero, non merito niente e nessuno..."
Se può consolarti non credo che il "merito" esista; o quantomeno che esista come entità metafisica che mantiene l'equilibrio spirituale del mondo sulla base di una sistema di valori riconosciuto universalmente.
Esistono le cause e gli effetti, ed esiste la psiche umana, che trova talvolta più utile ed efficace giustificare un determinato evento come merito/demerito oppure come fortuna/sfortuna, e non come il mero risultato di scelte soggettive che hanno causato un determinato effetto che ha appunto portato a quell'evento.
Non ti conosco e non ho alcun titolo per intromettermi nelle tue riflessioni, ma dal mio personalissimo ed irrilevante punto di vista, non è vero che non meriti niente e nessuno. Semplicemente fai o hai fatto delle scelte che ti hanno portato a risultati che evidentemente non ti soddisfano.
Sei sempre in tempo per agire in modo diverso e inseguire quello che desideri raggiungere, ma per farlo devi liberarti dai tuoi sensi di colpa e dal desiderio di autopunizione, che ahimé, conosco fin troppo bene anch'io.
Saluti.
Ti ringrazio per aver speso del tempo e scrivermi questo messaggio, alla fine dai miei modi risulterà come sempre freddezza e mi dispiace... Apprezzo davvero tanto il pensiero e ormai sono in un limbo, spero un giorno di uscirne.
0 notes
pescaezenzero · 4 months ago
Text
Mi spiace per quelli che leggo tristi, delusi, abbattuti dalle vicissitudini della vita, ma è la vita che è così purtroppo.
Mia nonna mi diceva sempre che esiste sempre una soluzione a tutto, che bisogna reagire e non darla vinta alla sfortuna, che arriva sempre il sole dopo la pioggia.
Se ti piangi addosso non solo non risolvi niente, ma fai godere chi ti vuol male, chi ti invidia, chi spera nei tuoi fallimenti.
Sbattitene il cazzo, esci da sta merda di tristezza e fagli vedere chi sei alla vita.
#vaffanculo #fottitene #pensieri
1 note · View note
scienza-magia · 5 months ago
Text
La sfortuna esiste per davvero e arriva sempre
Tumblr media
La legge di Murphy, spiegata bene. È vero il principio secondo cui “se qualcosa può andar male, ci andrà”? La cronaca è piena zeppa di eventi ai quali è spesso difficile dare una spiegazione. Cerchiamo di capire meglio a cosa ci si riferisce quando si parla di “Legge di Murphy” Molti ne avranno sentito parlare nel film “Interstellar” di Christopher Nolan, ma in pochi sanno che la legge di Murphy non è altro che un insieme di paradossi pseudoscientifici nati dalla mente brillante dello scrittore e umorista Arthur Bloch. In pratica sono una serie di frasi umoristiche che hanno l’obiettivo di deridere gli eventi negativi che ci accadono nella nostra quotidianità. C’è da dire che il primo assioma, ovvero la legge di Murphy vera e propria, non è altro che un modo più divertente e alternativo per definire il calcolo della probabilità. Ma andiamo con ordine.
Tumblr media
Uno degli esperimenti che dovrebbero dare forza alla legge di Murphy: il più delle volte il toast cade dal lato imburrato. Questo però accade perché l’altezza media da cui cade gli consente di ruotare solo parzialmente. Se lo facessimo cadere da più in alto probabilmente il numero di volte in cui cade dall’altra parte (quella non imburrata) pareggerebbe i conti con l’altra faccia. Credit: Wikipedia. Da dove viene la legge di Murphy Il concetto secondo cui “se qualcosa può andare male, ci andrà” è considerato da molti una delle poche certezze matematiche della vita. Ma fu lo scienziato Edward Murphy, militare degli Stati Uniti, a pronunciare la storica frase “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo”. La frase fu poi riportata durante una conferenza stampa dal medico John Paul Stapp, soggetto di un test che riguardava esperimenti su razzi a rotaia. All’assioma della legge di Murphy hanno poi fatto seguito una serie di altre considerazioni sarcastiche, come “niente è facile come sembra” o “ogni soluzione genera nuovi problemi”, tutte raccolte (o quasi) da Arthur Bloch nella fortunata serie “La legge di Murphy” del 1988, a cui sono seguite numerose altre pubblicazioni. L’assioma di Murphy riassume un fatto statistico-matematico che ci riporta al calcolo delle probabilità. Per quanto improbabile, un certo evento finirà probabilmente per verificarsi dopo un numero elevato di occasioni. Lo stesso concetto si può esprimere con: il fatto che un evento sia improbabile, non vuol dire che non possa verificarsi già ai primi tentativi. Le leggi di Murphy, però, assumono un significato più ironico. Affermano, infatti, che l’evento considerato inizialmente improbabile, si verifichi spesso o addirittura sempre, al primo tentativo. Che è un’esasperazione, se vogliamo. È vero che quando andiamo di corsa, troviamo sempre il semaforo rosso, ma è anche vero che quando guidiamo spensierati a una velocità più moderata è più facile imbattersi nel verde, o non farci proprio caso. Quindi, per riassumere, si tratta di una legge che fa leva sul nostro cervello, in particolare su ciò che temiamo possa accadere. Read the full article
0 notes
libero-de-mente · 2 years ago
Text
IL GATTO CHE PERSE LA PUNTA DELLA CODA
Tumblr media
Un giorno un gatto perse la punta della sua coda, la cosa che lo rendeva pensieroso era che non sapeva come e quando la punta si era staccata.
Era così bella la punta della sua coda, bianca e morbida con un pelo ben lunghetto. Essa, la punta, spuntava fiera alla fine di una lunga e morbida coda rossa e arancione, con anche sfumature mattone, striata.
Il gatto pensò al fatto che proprio ieri aveva incrociato la sua strada con il gatto nero che abita nella casa vicino alla sua, il pensiero corre alle dicerie che ha sentito dagli umani "se un gatto nero ti attraversa la strada vuol dire che una sventura ti colpirà.
Vuoi vedere che Nerino, così si chiama il gatto nero, gli ha portato sfortuna? Eppure anche tra i gatti esiste un detto: "Se un gatto nero ti attraversa la strada vuol dire che il gatto nero è un gatto veloce. Altrimenti gli avresti tu tagliato la strada". Niente sventure quindi.
Ma si, pensò il gatto, mica sono un umano tra felini non ci portiamo sventure. Il gatto pensò al fatto che aveva sette vite, si chiese se anche la coda di un gatto potesse avere sette punte.
Certo è che, essendo giovane il gatto, se la prima vita gli ha riservato questa brutta sorpresa chissà che altre sei vite di merda potrebbe avere.
Il gatto pensava, pensava e ancora pensava. Poi scelse di utilizzare il metodo felino universale per risolvere un problema: mangiò dalla ciotola qualche croccantino, fece un giro nella lettiera e poi si fece un riposino sul divano.
Il gatto sognò, sognò di avere ancora la sua bella punta bianca. Sognò che il mondo era un posto migliore dove gatti e umani vivevano in simbiosi e nel rispetto di tutti. Infatti in quel mondo fantastico governavano due figure su tutti: Re Gattone IV e Alberto Angela.
Al risveglio il gatto notò che la punta bianca della sua coda ancora mancava, il gatto assunse un'espressione strana, come se avesse letto tutti gli scritti di Nietzsche e li avesse davvero compresi fino in fondo.
  Il gatto pensò e ripensò, e se qualcuno lo avesse messo nel sacco facendogli perdere la punta bianca della coda? Ma scartò questa ipotesi, infatti non aveva sentito nessuno pronunciare "gatto" per averlo messo nel sacco. Poi sorrise sotto i baffi, pensò a questo detto degli umani trovando una diversa rima con "mulo".
Il gatto ebbe un sussulto, pensò se per caso è stato oggetto di un esperimento per dimostrare il paradosso di Schrödinger, vuoi vedere che non scoprirà se davvero ha perso la punta bianca della sua coda finché non la ritroverà?
A questo punto il gatto si diede una grattatina dietro l'orecchio e decise di dormici su ancora per un po'.
Perché i gatti in fondo sono ottimisti, a loro non frega niente se la scatola è mezza piena o mezza vuota ci si ficcano comunque dentro al volo.
Oggi è la giornata del gatto, "Se un gatto viene morso da un serpente, poi diffiderà anche di una corda". (Proverbio cinese).
ps si porterò il mio Alvin dal veterinario, ha perso la punta bianca della sua coda rossa e arancione, con anche sfumature mattone, striata.
6 notes · View notes
lollyhabits · 6 months ago
Text
ᗩᗪᗪIO ᑕᖇISTIᗩᑎᕮSIᗰO: TᗩᑎTI SᗩᒪᑌTI, ᗩᑎᑕᕼᕮ Sᕮ ᑎOᑎ ᑕI SIᗩᗰO ᗩᗰᗩTI ᗩᖴᖴᗩTTO.
Chi crede in qualcosa (ha fede), crede perché è stato educato male dalla famiglia, dalla scuola e dallo Stato, ovvero non è stato messo nelle condizioni di comprendere l'alternativa sana alla fede, scientifica: prendere in considerazione solo ciò di cui esistono prove.
𝗟𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗮𝗹𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗶𝘂𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝗳𝗲𝗱𝗲, 𝘁𝗲𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼, 𝗱𝗮 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗲, 𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿 𝗼𝘀𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗿𝗲𝗮𝗹𝘁𝗮̀: distorgono, non per loro colpa, le percezioni del quotidiano; non riescono a catturare la realtà in modo macroscopico, così quanto sono impotenti nel prevedere le conseguenze delle loro azioni negative. Vivono nella completa casualità, nel pregiudizio, perché non sono stati aiutati, dagli adulti che li hanno circondati da piccoli, a fare ordine fra i propri pensieri e quelli indotti, dall'esterno, fuorvianti, intrisi di moralità. E, altra questione da non sottovalutare, non sono in grado di imparare dagli errori, perché pensano di avere sempre ragione in virtù del fatto che i loro errori sono approvati dalla religione che professano.
Saper prevedere le conseguenze delle proprie azioni, saper assegnargli un valore positivo o negativo prima di agire, si chiama 𝗮𝗴𝗶𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 - ed è fondamentale anche per creare una vita privata priva di tensioni e amarezze, dove gli altri, intorno, vicini familiari o amici, o animali da compagnia, non vengono percepiti come schiavi, come subalterni, né come oggetti di conforto.
E' più individualista una persona indottrinata dalla fede rispetto a quanto lo sia chi viva svincolato dalla moralità religiosa, perché la quotidiana illusione che esistano esseri immaginari, onnipresenti, onnipotenti, capaci di intendere, volere e pure aggiustare il tiro delle proprie azioni, o punire terzi che ledono, si scontra costantemente con una realtà sconfortante: non accade mai. L'unica maniera per fare si che un soggetto, adulto, moralizzato, si renda consapevole delle lesioni causate o che causa agli altri o a noi, è l'azione umana (l'unica possibile): carcerazione a scopo rieducativo o il far pesare errori gravi, togliendogli ogni forma di perdono - cioè fare in modo che esistano una o più persone in grado di ricordargli, per tutta la vita, che quel comportamento è inaccettabile, affinché non lo attui ancora. 𝐍𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐞̀ 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨, 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐮𝐫𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐭𝐢𝐥𝐞, 𝐢𝐥 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐬𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐮𝐧 𝐯𝐢𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐩𝐢𝐧𝐠𝐞 𝐚 𝐭𝐞𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐜𝐨𝐧 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞.
Un soggetto fortemente indottrinato da una qualsiasi religione, davanti ad un problema complesso, o fugge o lo affronta con disonestà intellettuale (compie reati, come mentire o rubare o corrompere); un soggetto razionale, tende ad evitare i problemi complessi, a prevenire momenti di pressione, e davanti ad un problema complesso, non evitabile, si ferma e inizia a ragionare sul modo di affrontarlo, attuando una strategia positiva che causi meno male possibile a se stesso o agli altri - o, al massimo, facendo ricadere su se stesso il male peggiore, affinché altri, soprattutto più fragili di lui, non subiscano torti, ma ne traggano benefici, nel lungo periodo. 𝐄' 𝐥𝐚 𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢: 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐝𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐠𝐮𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐫𝐢𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐢.
Meno disponiamo della tendenza ad illuderci (di avere fede in ciò che non esiste, come la fede nelle divinità, la fede negli spiriti, la fede in miti come il destino, il karma, la fortuna o la sfortuna... (che nella loro palese inesistenza, non posso minimamente condizionarci la vita), meno dolore proveremo, e meno dolore distribuiremo agli altri, nella forma dell'invidia e delle rivendicazioni reazionarie. 𝐋𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐫 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞, 𝐧𝐞𝐥 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨, 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐨𝐫𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐨𝐫𝐭𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐬𝐢, 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐢𝐧𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐨 𝐧𝐢𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨, 𝐦𝐚 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀.
E' così, attraverso illusioni religiose e ridicole feste della mamma e del papà (ridicole per la visione, da non senzienti, pari a quella di un battere) e campagne denigratorie contro le donne che abortiscono, che siamo arrivati ad un Paese sano, che ha rigurgitato i ruoli, li ha sputati, con sempre più scarsa adesione alla moralità religiosa, e sempre più anziani intolleranti lasciati soli a covare rancore, presi in giro pure dalla politica, giustamente denigrati o rinchiusi in residence-ghetto, affinché tacciano per sempre e smettano di vomitare frasi prive di senso contro figli e nipoti; 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚 𝐬𝐢 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐯𝐞, 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐞𝐫𝐫𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢, 𝐩𝐫𝐞𝐧��𝐞𝐧𝐝𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐮𝐭𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐚𝐧𝐳𝐞 - 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐝𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐬𝐞, 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐥𝐭𝐨, 𝐥'𝐞𝐦𝐚𝐫𝐠𝐢𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐥𝐨 𝐩𝐚𝐠𝐡𝐢𝐧𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐨𝐥𝐥𝐞𝐫𝐚𝐧𝐭𝐢.
Lo paga chi, da intollerante, da massimo conservatore degli usi e costumi del passato, si ritrova nella condizione di essere lui quello che subisce intolleranza, perché ha continuato a insistere con le sue molestie, senza accorgersi di quanto questo allungasse la distanza fra lui e l'affetto meritato.
𝐄𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐢𝐫𝐜𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐢𝐧𝐧𝐞𝐬𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐟𝐫𝐚 𝐢 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢 𝐚𝐫𝐜𝐚𝐢𝐜𝐢 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐟𝐞𝐥𝐢𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐩𝐨𝐢𝐜𝐡𝐞́ 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐭𝐢𝐦𝐨𝐥𝐚𝐭𝐞 𝐝𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐂𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐚𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐮𝐧 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐢𝐧𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭. 𝐄𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐫𝐬𝐢, 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐢𝐞𝐧𝐚 𝐥𝐮𝐜𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐨𝐥𝐞, 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐚𝐝𝐮𝐥𝐭𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐦𝐢𝐬𝐨𝐠𝐢𝐧𝐢, 𝐱𝐞𝐧𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢 𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐮𝐥𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐟𝐫𝐮𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐚𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐪𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞, 𝐧𝐞𝐥 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨 𝐬𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢.
Nessuno più vede come buono l'aderire ad un patto generazionale, dopo aver assistito, impotente, negli ultimi decenni, ad una generazione più adulta del tutto insensibile alla natura, che fa sempre più animali prigionieri fra le mura domestiche; che sradica la natura, che cementifica irrazionalmente, che stravolge i delicati equilibri ambientali; che tratta i capi di allevamento, considerati come scarti, con una crudeltà indicibile; che sfrutta i poveri, che odia i diversi, che ha tentato di cacciarli il più lontano da se, descrivendoli come mostri, senza riuscirci.
𝐍𝐨: 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐟𝐨𝐫𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚 𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐞 𝐚𝐝 𝐨𝐝𝐢𝐚𝐫𝐥𝐢 𝐞 𝐦𝐨𝐥𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐥𝐢 𝐞 𝐩𝐮𝐫𝐞 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐝𝐞𝐫𝐥𝐢 𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐮𝐫𝐥𝐢 𝐚𝐥 𝐬𝐮𝐢𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞. 𝐍𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐚𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐚𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢.
Perseverare nel sostenere, dalla campagna alla città, dal condominio ai social, dalle imprese, alle chiese e associazioni classiste, che i giovani di oggi siano il male assoluto (non è assolutamente vero!) non farà altro che aumentare la già ampia consapevolezza che la 𝑓𝑎𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑡𝑟𝑎𝑑𝑖𝑧𝑖��𝑛𝑎𝑙𝑒, 𝑎𝑙𝑙'𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑎, sia solo un enorme fallimento educativo; contribuirà a dimostrare quanto la famiglia tradizionale - cioè quella famiglia che alcuni definiscono cristiana, nata e cresciuta e percepita secondo la distorta moralità religiosa (detta anche patriarcale, poiché fonda i suoi principi sulla falsa percezione che i maschi siano migliori delle donne, e di cui molte donne - pure! - si convincono) è ciò che di peggio possa capitarti come adolescente; e che la famiglia tradizionale sia una scelta errata pure negli adulti, visto che buona parte di coloro che, negli ultimi tempi, si sono sposati (sposati nell'assurda convinzione di una superiorità morale o politica da sposati - gli stessi che trattavano gli altri, con scelte diverse, come esseri inferiori, bullizzandoli, ridendone...), si sono ben presto separati, hanno divorziato, hanno costruito un'ottima base di infelicità e insicurezza emotiva per i propri figli, nel momento più sbagliato, in fase di crescita. Perché accade questo? 𝐀𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐬𝐟𝐮𝐠𝐠𝐞.
L'esperienza ci insegna, se abbiamo tenuto bene le orecchie aperte quando noi eravamo dei ragazzini, che 𝐢𝐧 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐞𝐩𝐨𝐜𝐚 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐧𝐢 𝐚𝐬𝐬𝐮𝐫𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐧𝐯𝐢𝐝𝐢𝐚, 𝐬𝐩𝐮𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐯𝐞𝐥𝐞𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐢 (dimenticando di essere stati anche loro giovani controversi, a loro modo progressisti, sui cui i più vecchi, un tempo, sputavano); la storia, la letteratura ci dimostrano che in ogni epoca ci sono stati capi religiosi e anziani stupidi che profetizzavano la fine del mondo imminente, qualora i più razionali e i più giovani non avessero smesso di allontanarsi dai principi morali religiosi.
Cosa è accaduto, davvero? Come possiamo ben vedere, oggi, da vivi, nel tempo tutti quanti coloro che prevedevano sciagure apocalittiche per il genere umano non credente, sono morti - mortissimi! - e i non credenti, non solo sono vivi, alcuna divinità li ha puniti, ma si sono pure moltiplicati! e stanno benissimo. 𝐍𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧 𝐚𝐛𝐢𝐬𝐬𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐞𝐫𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐩𝐚𝐜𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐚, 𝐟𝐚𝐜𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐮𝐬𝐜𝐢𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐦𝐨𝐧𝐢: 𝐞𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐦𝐞𝐧𝐳𝐞; 𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐫𝐢𝐦𝐚𝐬𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐦𝐞𝐧𝐳𝐞.
Era prevedibile che, in mezzo a tanta melma religiosa, condita da politica di destra e sinistra clericale, sempre più imprudente con la lingua e i gesti, l'anticlericalismo e l'ateismo avrebbero avuto la meglio, senza alcuno sforzo; era prevedibile che nel ciclo continuo di femminicidi avvenuti in precise circostanze (uomini moralisti, moralizzati, che non tollerano la libertà femminile, poiché cresciuti in famiglie tradizionaliste dove le donne hanno meno coscienza dei propri diritti di una scopa), molti avrebbero imparato ad evitarla la melma religiosa, soprattutto in virtù di essere nati donne: ad evitarla anche ai loro figli. Ad evitare anche di far nascere figli (più ricorso a contraccezione, più attenzione verso un sesso non procreativo, più donne che non fanno figli in modo assoluto), in una realtà dove un cretino qualsiasi, se il figlio fosse nato gay o, semplicemente più sveglio di altri, si sarebbe sentito in diritto di molestarlo, di aggredirlo (in virtù di essere nonno, zio, prete, papa, vescovo, cardinale... o di essere un politico conservatore o di essere un assessore all'istruzione conservatore, totalmente fuori luogo in una scuola) fino al punto, come è accaduto nel caso di Cloe Bianco, di causarne la morte.
𝐀 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚, 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐩𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐧𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐚𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐩𝐞𝐫 𝐥'𝐢𝐧𝐞𝐬𝐨𝐫𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐬𝐯𝐮𝐨𝐭𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞𝐭𝐫𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐞𝐦𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐫𝐨𝐧𝐚𝐜𝐚, 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢.
Ci sono molti modi per condurre una sana iconoclastia, che porti al progresso sociale, ad un futuro migliore dove la felicità venga percepita come un diritto di tutti, e dove il dolore non sia più considerato, in modo distorto, come capace di renderti persona virtuosa (come sostengono i preti, che di fatto si votano ad una vita da monarchi, del tutto privata anche dal sacrifico di lavorare per mantenersi): o crei un movimento culturale visibile, che stacchi il crocifisso, e imbratti i simboli religiosi , come è accaduto in altri contesti vincenti, o, semplicemente, 𝐟𝐚𝐢 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐨𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐚𝐟𝐟𝐢𝐨𝐫𝐢𝐧𝐨, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐮𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐨, 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨, 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐚𝐧𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐫𝐧𝐞 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢.
Lo spettacolo indecente, quotidiano, incessante dei conservatori delle tradizioni, propagatosi tramite i media e i social, o nelle nostre vite, ha allontanato sempre più persone dalla fede e pure dalla voglia di procreare, dando un notevole vantaggio al femminismo, visto che meno figli battezzati, meno figli indottrinati alla fede, significa meno intolleranza in circolazione, destinata a morire con gli ultimi credenti intolleranti.
C'è un momento preciso in cui i fantomatici, teorici buoni valori cristiani hanno iniziato a inabissarsi in questo Paese: sono colati a picco con la pratica: con quelle scialuppe di immigrati affogati nel mare; 𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐟𝐞𝐝𝐞𝐥𝐢 𝐞 𝐜𝐥𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐬𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐢𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐚𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞, 𝐬𝐮𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨, 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐟𝐫𝐚𝐠𝐢𝐥𝐢: 𝐥𝐢̀, 𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐛𝐞𝐧 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥'𝐢𝐧𝐜𝐚𝐧𝐭𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐞𝐫𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐨 - e non per mano di una spinta anticlericale, atea, ma per i denti affilati e la sete di sangue che, anche le nonnine che sembravano tanto buone e care, con le loro casette di marzapane piene di santini e madonnine, hanno mostrato davanti ai nipoti, davanti al telegiornale, contente nel vedere i poveri soffrire e morire.
𝐂'𝐞̀ 𝐜𝐡𝐢, 𝐬𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐝𝐞𝐯𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐧𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐚𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐮𝐭𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐠𝐠𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐨 - 𝐞 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐜𝐞, 𝐚 𝐟𝐚𝐫 𝐢𝐦𝐩𝐥𝐨𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐮 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 ��𝐞𝐝𝐞 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐭𝐚, 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐞��𝐬𝐢 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐢. Da soli. Tutto da soli.
Non hanno avuto nemmeno bisogno che noi atei spingessimo con le nostre parole o ci presentassimo nei media pretendendo un contraddittorio nei programmi a contenuto religioso: hanno fatto tutto da soli. Non possono incolpare nessuno, se non loro stessi: di essersi dimostrati, dal passato fino ad oggi, profondamente mostruosi.
0 notes
primusliber-traduzioni · 1 year ago
Text
Jimmy Eat World - Surviving, traduzione testi
Tumblr media
È così che cresce un diamante: col tempo Non crederci se cercano di dirti qualcosa di diverso
(da: Diamond)
1. Jimmy Eat World – Surviving, traduzione
Sopravvivere Non nascondere la faccia
Quello che eri prima non deve per forza rappresentarti ancora
Magari hai avuto paura, ed è quello che hai presente
E tutta la vergogna ti farà tornare in casa, ti farà tornare in casa Non è mai stata colpa tua, ma comunque un ruolo da giocare
Tu te lo trascini talmente vicino che si legge il nome
Per molti versi sei ancora quel ragazzino smarrito
Già, sai ancora sopravvivere, ma non esattamente vivere
No, non esattamente vivere Questa cosa non si discute
Lo dico forte e chiaro
Non farti mai definire dalle scelte fatte da altri
Se non lo dicesse ancora nessuno, sarebbe un peccato
Questa cosa adesso finisce
Non sei da solo col tuo dolore
Mai da solo col tuo dolore
Mai da solo col tuo dolore
Mai da solo col tuo dolore
Mai da solo col tuo dolore 2. Jimmy Eat World – Criminal Energy, traduzione
Energia criminale Il fantasma della sofferenza recente ha ancora una canzone da cantare
Il tuo cuore ammaliato che attende una scintilla
Nessuno che ti importerebbe di riconoscere
Improvvisamente in pieno controllo
Che sfortuna scoprire com’è dentro Energia criminale
Se hai del sangue da versare
La tua febbre per il combattimento
Ogni tua singola notte
Ma sì, alla fine ti accorgerai che siamo uguali, siamo uguali, già, si capisce
Ce lo prendiamo, ce lo prendiamo finché si fa una buona pesca
Venite che è tutto quanto gratis
Energia criminale, energia criminale Rispondi a qualsiasi complotto
Irresistibile, certo, ma non c’è nessun “loro” da vedere, solo io e te
Nessuna faccia, nessun incentivo all’empatia
Ti dicono continuamente “la minaccia è ancora a galla”
Eppure è ancora una balla Energia criminale
Se hai del sangue da versare
La tua febbre per il combattimento
Ogni tua singola notte
Ma sì, alla fine ti accorgerai che siamo uguali, siamo uguali, già, si capisce
Ce lo prendiamo, ce lo prendiamo finché si fa una buona pesca
Venite che è tutto quanto gratis
Energia criminale, energia criminale Energia criminale
Se hai del sangue da versare
La tua febbre per il combattimento
Ogni tua singola notte
Ma sì, alla fine ti accorgerai che siamo uguali, siamo uguali, già, si capisce
Ce lo prendiamo, ce lo prendiamo finché si fa una buona pesca
Venite che è tutto quanto gratis
Energia criminale, energia criminale
Energia criminale, energia criminale
Energia criminale 3. Jimmy Eat World – Delivery, traduzione
Liberazione Lo so che sto sognando, ma è troppo bello per fermarsi
L’immagine che ho in testa è sempre in movimento
Siamo da soli al tramonto con una nevicata nell’aria
È speciale solo una volta perché c’è un finale
E capiamo di trovarci in un ricordo futuro Posso utilizzare solo quello che imparo da te
E il resto lo accetto sommessamente e lo sperpero
Posso diventare solo un certo numero di cose potenzialmente
Dal resto richiedo pazientemente la liberazione Non preoccuparti di dove andiamo a finire
Perché andare a finire non esiste davvero
La vita che ci costruiamo non smettiamo mai di crearla
Per cui ci trasferiamo accanto a una scogliera, una battigia nel nulla
Ci si prospetta un viaggio al gelo con dei traghetti da prendere
E le cose in cui speri un giorno arriveranno, resta in attesa Posso utilizzare solo quello che imparo da te
E il resto lo accetto sommessamente e lo sperpero
Posso diventare solo un certo numero di cose potenzialmente
Dal resto richiedo pazientemente la liberazione Convinto di una bugia, una bugia vecchia come il tempo
Fino alla morte continui a cercare
Solo parzialmente la verità
C’è qualcuno che ti aspetta da qualche parte
Ma non tutti sono pronti a farsi trovare
No, magari non sei pronto a farti trovare Posso utilizzare solo quello che imparo da te
E il resto lo accetto sommessamente e lo sperpero
Posso diventare solo un certo numero di cose potenzialmente
Dal resto richiedo pazientemente la liberazione
Posso utilizzare solo quello che imparo da te
E il resto lo accetto sommessamente e lo sperpero
Posso diventare solo un certo numero di cose potenzialmente
Dal resto richiedo pazientemente la liberazione 4. Jimmy Eat World – 555, traduzione
555 Resto focalizzato sulle cose semplici
Cercando di trovare un po’ di pace strada facendo
Mi piacerebbe sapere quanto tempo dovrei aspettare
Tengo duro, ma a fatica Ho la sensazione che sto parlando ma è caduta, caduta la linea
C’è sempre un motivo per far cambiare le cose
C’è nessuno in ascolto mentre piangi, piangi, piangi?
C’è sempre un motivo dietro al dolore Faccio le cose che mi dicono di fare tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni
Allora perché mi sembra di camminare restando sempre fermo, sempre fermo, sempre fermo? Non ho mai dovuto dimostrare nulla
Ma non sono mai stato uno come te
Tutto quello contro cui hai dovuto lottare, tutto quello che hai dovuto affrontare ti ha reso più forte, senza paura Ho la sensazione che sto parlando ma è caduta, caduta la linea
C’è sempre un motivo per far cambiare le cose
C’è nessuno in ascolto mentre piangi, piangi, piangi?
Sempre un motivo dietro al dolore Faccio le cose che mi dicono di fare tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni
Allora perché mi sembra di camminare restando sempre fermo, sempre fermo, sempre fermo?
Devo credere che tu ci sei quando canto, quando canto, quando canto
Perché se non esisti io impazzisco, impazzisco, impazzisco Ho la sensazione che sto parlando ma è caduta, caduta la linea
C’è sempre un motivo per far cambiare le cose
C’è nessuno in ascolto mentre piangi, piangi, piangi?
Sempre un motivo dietro al dolore Faccio le cose che mi dicono di fare tutti i giorni, tutti i giorni, tutti i giorni
Allora perché mi sembra di camminare restando sempre fermo, sempre fermo, sempre fermo?
Devo credere che tu ci sei quando canto, quando canto, quando canto
Perché se non esisti io impazzisco, impazzisco, impazzisco Resto focalizzato sulle cose semplici
Cercando di trovare un po’ di pace strada facendo 5. Jimmy Eat World – One Mil, traduzione
Un milione Ragazza in video, ci sei ancora?
Se guardo mi scompari
O peggio, magari ti viene voglia di parlare
Sono davvero poco preparato
Non saprei, è tutto vero?
Non posso ignorare cosa sembra, da buon pugno nello stomaco quale è Io ci provo, ma sono capace di sprecare un milione di possibilità prima che tu non ci sia più, prima di scoprire come ti chiami
Continua a sognare che tanto io sono l’unico sveglio qui
Tu ogni volta non ci sei più, ogni volta ti dilegui Non saprei spiegare com’è che rimane questa cosa, com’è che a quanto pare rimango intrappolato in una quantità insostenibile di volte a rivivere questa situazione
Vorrei avere la padronanza dell’umorismo, la fortuna e una fiducia spavalda
Poi suonare magnificamente fino a toccarti il cuore Io ci provo, ma sono capace di sprecare un milione di possibilità prima che tu non ci sia più, prima di scoprire come ti chiami
Continua a sognare che tanto io sono l’unico sveglio qui
Tu ogni volta non ci sei più, ogni volta ti dilegui Io ci provo, ma sono capace di sprecare un milione di possibilità prima che tu non ci sia più, prima di scoprire come ti chiami
Continua a sognare che tanto io sono l’unico sveglio qui
Tu ogni volta non ci sei più, ogni volta ti dilegui
Io ci provo, ma sono capace di sprecare un milione di possibilità prima che tu non ci sia più, prima di scoprire come ti chiami
Continua a sognare che tanto io sono l’unico sveglio qui
Tu ogni volta non ci sei più, ogni volta ti dilegui 6. Jimmy Eat World – All the Way (Stay), traduzione
Fino in fondo (Rimani) Quando usciamo speriamo di perderci e che poi ci ritrovino in posti improbabili
Un po’ di presunzione è quel che basta per restare a mani vuote
Ma chi è che dice davvero che spera di incontrare “quella giusta”?
Per la prima volta al bar a bere già di primo pomeriggio
Facile dire “no, guarda, io ho chiuso”, e non li senti mai dire… Oh, tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
Ma come faccio a sapere, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti?
Oh, tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
E in realtà non lo sa nessuno, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti Ci scoraggiamo per l’inutilità
E facciamo in fretta a giudicare inutili le cose
C’è quello che voglio e quello di cui ho bisogno
E quest’ultimo ci vuole un po’ a vederlo
Non importa quante volte o quanti anni
Comincia con un inizio un po’ imbarazzato
Io credo che quello che ho imparato valga qualcosa
E quello che scelgo di fare ha una certa importanza Per cui tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
E come faccio a sapere, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti?
Oh, tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
Perché in realtà non lo sa nessuno, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti Il pubblico e il rumore si fanno indietro
Restiamo solo io e te
Potremmo fare tutto quello che vuoi Per cui tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
E come faccio a sapere, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti?
Tesoro, se rimani, andiamo fino in fondo
Chi è che lo sa in realtà, oh, no, quando dare a vedere i sentimenti?
Quando dare a vedere i sentimenti
Quando dare a vedere i sentimenti
Quando dare a vedere i sentimenti
Quando dare a vedere i sentimenti
Quando dare a vedere i sentimenti
Quando dare a vedere i sentimenti 7. Jimmy Eat World – Diamond, traduzione
Diamante Quando mi sveglio di notte, butto giù i pensieri su un foglio
Mezzo addormentato faccio una lista
Poi rileggo tutte le mie più grandi hit:
Dovrei meditare
Dovrei fare più esercizio
Dovrei farmi venire male al cervello a forza di leggere
Vedermi con qualcuno
Andarmene lontano
Provare a essere un po’ meno strano a livello sociale È così che cresce un diamante
Ti dai la giusta possibilità col tempo
Non crederci se cercano di venderti qualcosa di più rapido Ho tagliato almeno metà dei miei amici
Ma nessuno se n’è accorto o ne ha accennato
Pensavo di tirare finalmente un sospiro di sollievo
Ma poi mi sono messo a pensare a un sacco di cose
Anno nuovo, vita nuova
Non hai colto un sacco di opportunità ghiotte
Sul ring a lottare per il titolo e ti sei allenato solo nei ritagli di tempo È così che cresce un diamante
Ti dai la giusta possibilità col tempo
Non crederci se cercano di venderti qualcosa di più rapido
È così che cresce un diamante
Ti allunghi finché puoi e poi tieni duro
Non crederci se cercano di dirti qualcosa di diverso Si dice che un diamante cresce nel tempo
Io ci credo, perché l’ho visto coi miei occhi
Ti garantisci una bella serie di promesse non mantenute se ti aspetti un qualche miracolo
Si fa quel che si può, e questo è quanto È così che cresce un diamante
Ti dai la giusta possibilità col tempo
Non crederci se cercano di venderti qualcosa di più rapido
È così che cresce un diamante: col tempo
Non crederci se cercano di dirti qualcosa di diverso 8. Jimmy Eat World – Love Never, traduzione
L’amore mai L’amore non ti è mai stato amico
L’amore non sentirà mai le tue richieste
L’amore non è un qualche cosa di magico
L’amore non sarà mai come lo sogni Apparirà lontanissimo
Sembrerà durissimo
Finché non ti interesserà più l’impegno che la ricompensa
Ti interessa più l’impegno che la ricompensa? L’amore non è un qualche cosa di magico
L’amore non sarà mai come lo sogni Apparirà lontanissimo
Sembrerà durissimo
Finché non ti interesserà più l’impegno che la ricompensa
Finché non smetti di chiederti “eh, ma a che scopo?”
Ti interessa più l’impegno che la ricompensa? Apparirà lontanissimo
Sembrerà durissimo
Finché non ti interesserà più l’impegno che la ricompensa
Finché non smetti di chiederti “eh, ma a che scopo?”
Ti interessa più l’impegno che la ricompensa? 9. Jimmy Eat World – Recommit, traduzione
Impegnati di nuovo Ti dicono cosa ti sei perso
Tutto quello che avevi dato in cambio
E il colpo lo senti
Non sei poi così diverso
La verità è che nessuno ha fatto neanche mezza cosa Pensa per tutto questo tempo a cosa stai dando
Restami nel cuore
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita Dalla febbre a un bacio
Che frivolezza
Insistono
È tutto quanto significativo
Non c’è nessuna linea diritta da vivere
Impegnati di nuovo Pensa per tutto questo tempo a cosa stai dando
Restami nel cuore
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita
Pensa per tutto questo tempo a cosa stai dando
Restami nel cuore
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita Sveglio, imponente
Ci hanno rubato la via d’uscita Pensa per tutto questo tempo a cosa stai dando
Restami nel cuore
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita
Pensa per tutto questo tempo a cosa stai dando
Restami nel cuore
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita
Butta via un’altra vita
Comincia un’altra vita 10. Jimmy Eat World – Congratulations, traduzione
Congratulazioni Non c’è chiarezza davanti a me
Solo diversi gradi di venire odiato
Oscenità
Non c’è benevolenza
Alcuni non si meritano di farcela
Vi incolpate e vi scannate a vicenda per una fetta del malloppo
Troppo abbattuti e stanchi per chiedervi di chi è il piede sotto cui state andando a finire Sei da solo
Sei da solo Leggi attentamente
Proprio impossibile
Una minaccia per i guadagni futuri
In modo sospetto con l’editing i fatti stanno scomparendo
Con disciplina e messaggio prenderai possesso un po’ in imbarazzo di cose che non volevi nemmeno Benvenuto!
Congratulazioni, sei da solo!
Sei da solo Non c’è chiarezza davanti a me
Solo diversi gradi di venire odiato
Oscenità
Non c’è benevolenza
Alcuni non si meritano di farcela
Vi incolpate e vi scannate a vicenda per una fetta del malloppo
Troppo abbattuti e stanchi per chiedervi di chi è il piede sotto cui state andando a finire
0 notes
poesiaincompresa · 2 years ago
Text
Tu non mi odierai mai più di quanto già lo faccio, solo un'occasione ed io l'ho persa per coraggio quindi so che me lo merito di stare sola o che comunque non mi merito di starti accanto.😔
~Io c'ho due voci🗣 in testa🧠 non so neanche mentre canto quale sto ascoltando, so solo che i pensieri💬 non vanno per la testa, ma dal petto alla mia gola passano soltanto.🗡
E Tu lo sai da quando, mi conosci, che sono poche le volte che vinco coi mostri👺👻tanti vogliono convincermi che anch'io lo sono ma è guardando nei tuoi occhi👀che me lo dimostri. Non esiste una scusa, ammetto che la tua forza è stata solo sfortuna perchè hai scelto me?🤷🏻‍♀ perché hai scelto me? 😭
(Perché non ti facevi i cazzi tuoi e ti stavi con quella fottuta NICOLE al posto di rivolgermi la parola?) tanto non sei così diversa da tutte loro...anzi sei anche peggio😭 le hai sempre preferite tutte ste puttane dalla prima all'ultima e io l'unica sfigata a credere che per te potessi essere qualcosa di importante diversa dalle altre. Invece sono sempre stata na specie di sfogo personale per quando le troie non la calcolavano.😭 BASTARDA.
~E ora questa come me la perdono? Ora come lo ritrovo chi sono?
Non meritavo tanto, e non è che recitavo se ti davo tanto❤ è quella parte di me che ti sta supplicando ti prego rivienimi a prendere.🧸🙏🏼😭 (Ti prego Ro...io non ce la faccio più senza di te.) Siamo in due👭 però a pagare, pago il vuoto dentro 😭
Che cosa potevo pretendere? 🤷🏻‍♀
Ti avrei dovuto guardare lontano come un orizzonte🌌 a fuoco dal mare🌊 come fossi un paesaggio tu da fotografare📸 non mettermi di mezzo e poi sporcarti di nero⚫ e poi farti del male.❌
CHE GIÀ LO SAPEVO.😭
LE PAROLE DI MIA NONNA IN TESTA COME POLVERE DA SPARO.
"Non fidarti di questa ragazza Antonella".
"Ho visto nei suoi occhi qualcosa di cattivo, da come ti guardava stai attenta non ti ci affezionare"
"Avrai una bruttissima delusione da lei"
"Non ti vuole bene sul serio, tu per lei ti faresti ammazzare ma lei per te non farebbe lo stesso"
E io cosa ho fatto? LE HO AUGURATO PERSINO LA MORTE PER DIFENDERE L'INDIFENDIBILE. E la cosa peggiore è che anche se vorrei odiarti non c'è nessun odio che tenga davanti tanto "amore"
Sto cuore mi ha fottuta ancora. 😭 MA VAFFANCULO. PERCHÉ NON RIESCO AD ODIARTI PERCHÉ? 😭 Vorrei solo riaverti al mio fianco nient'altro...me l'avevi promesso...😭 invece adesso mi ritrovo qui da sola a parlare come un'imbecille.
@occhicastanitristi-blog @cuoregelidoo-blog @delusa-da-tutti
1 note · View note
elosdiary · 2 years ago
Text
La ruota panoramica
‘ “Odio anche me stessa. Perché sono gelosa di Kizawa, che lavora sodo da ‘Mila’, e perché ho finito addirittura per pensare  che la mia vita è allo sfacelo per via del fatto che ho avuto una bambina.” 
La professoressa Mizue ha riposto il cucchiaio e ha detto serenamente: “Ah, ora sei salita anche tu a bordo della ruota panoramica, vero Sakitani?”
“La ruota panoramica?”
La professoressa ha schiuso le labbra facendo un risolino.  “E’ una cosa che capita spesso. Le persone single, guardando quelle sposate, pensano “beate loro!”, e lo stesso pensano quelle sposate, guardando quelle che hanno dei bambini. E poi, quelle che hanno figli pensano “beate loro” guardando quelle single. E’ una ruota panoramica che gira e rigira. E’ davvero interessante non trovi? Ciascuno rincorre solo il posteriore di chi gli sta davanti e non c’è né un capofila né un chiudi fila. In altre parole, in fatto di felicità nessuno primeggia e non esiste una forma perfetta.” [...]
“In fondo la vita stessa è sempre un grande scompiglio. Qualunque siano le circostanze in cui ti trovi, non va mica come pensi, poi. Però, per contro, capita anche che ti aspettino delle felici sorprese che non avresti nemmeno mai immaginato, no? Per cui alla fine ci sono un sacco di volte in cui pensi: “Menomale che non è andata come volevo! Sono salva!”. Quando un progetto o un programma vanno male non si deve per forza pensare che sia una sfortuna o un fallimento. E’ così che si cambia, sia noi stessi sia le nostre vite.” ‘
-Michiko Aoyama, Finché non aprirai quel libro
1 note · View note