#la depressione non sta più simpatica
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mi manca quando una brutta persona veniva chiamata semplicemente bastard* o pezzo di merda invece di usare malattia mentale x come insulto o giustificazione alla stronzaggine. C'è stato il periodo dello psicopatico/sociopatico(che per molti è la stessa cosa), del bipolare(sinonimo di incoerenti a detta di altri), ora una "nuova" scoperta, il narcisista patologico. Ora che ci penso forse il 90% della gente che ho conosciuto è il riflesso di Narciso, come lo so? beh non ho studiato dieci anni per laurearmi in psichiatria o psicoterapia perciò un po' è per sentito dire e poi ho letto la definizione su google. Un po' come quando cercavo su internet: mi gira la testa e sono spossata che significa? mmh rischio infarto. Se rivedessi la mia ex terapeuta le direi: Sai che c'è Carla? fai più viaggi nei Tropici perché qui il tuo aiuto non ci serve ci diagnostichiamo tutti da soli. Un abbraccio, Elisa. PS: ma perché abbiamo fatto per anni sedute quando bastava che mi leggessi nella mente come Professor X? vabè semplice curiosità lascia stare.
#no sul serio ora tutti sono narcisisti#gli psicopatici si sono dileguati#la depressione non sta più simpatica#prossima la voglio indovinare: vez sei schizofrenico
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IL GRUPPO DI IDOL DI MAHIRU😭❤
Le Nijiko🌈❤
1. Mahiru Koizomi, di cui il vero nome è Chatte Anveres, ma il suo vero nome non piace neanche a lei, quindi chiamatela Mahi😿
Ha quasi 19 anni, è la più famosa del gruppo e quella più seguita, e rappresenta la neko-girl😍😍
Essendo la più famosa è quella con più pressioni addosso, quindi per colpa della sua agenzia ha sviluppato una grave depressione e dipendenza da antidepressivi, ansiolitici ed ecstasy, che fu costretta ad assumere con la forza per mantenere una personalità iperattiva
Da quando ha conosciuto Etienne ha deciso di andare da uno psichiatra per combattere la depressione e la dipendenza e cambiare agenzia, così che avrebbe evitato di utilizzare droghe
Per colpa della sua vecchia agenzia ha preso un tic labiale, infatti il "nyah" che dice alla fine di ogni frase è stata una costrizione dell'agenzia, tanto che il suo cervello è abituato e ora la ripete ossessivamente--
È allegra e iperattiva (anche senza droghe lol) e ha deciso di aprire un locale per stare più a contatto con i suoi fan, che adora più di ogni altra cosa🥰🥰
La sua passione è riempire di bacini Etienne, e ama passare il tempo con lui, a volte lasciando anche il lavoro apposta 😳
I suoi colori preferiti sono il viola e il rosa🥳
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.90 x 87kg
Specie: gatto della sabbia
Genere e pronomi: femmina, femminili
Orientamento: straight😘
Anni: 19
Compleanno: 1/06
Professione: musicista, cameriera
2. Maki Fujisaki, di cui il vero nome è Yikes Ove, è così abituata al suo nome d'arte che si è scordato del suo-
Ha 26 anni ed è più grande del gruppo, seconda per importanza e una delle due ad aver intrapreso una carriera da solista, e rappresenta la "onee-chan"🥰🥰
È la fondatrice del gruppo, ma dato che Mahiru è continuamente al centro dell'attenzione, a lei non viene attribuita alcuna importanza, per via di questo fatto ha una gelosia assurda verso Mahiru- tanto che una volta in una crisi di nervi cercò anche di ucciderla---
Per via di questo è stata allontanata per mesi, chiusa in un ospedale psichiatrico ed è tornata solo ora, anche se sta sotto continui controlli
Per imitare Mahiru ha aperto un locale a sua volta, e Mahiru visto che è così buona non capisce che lo ha fatto per "dispetto" e l'ha anche aiutata😭😭
Anche se, se dobbiamo essere sinceri, lei vuole sinceramente bene a Mahi e a tutti i membri del gruppo, ma per gia di continui traumi subiti tende ad essere gelosa per qualunque cosa
Anche lei è allegra e iperattiva, non ai livelli di Mahi ma quasi, ed è anche quella che si preoccupa di rispondere alle mail di tutti i fan perché li ama troppo🥰🥰
È innamorata di Italia ed è convinta che Omisha glielo voglia rubare quindi la schifa a morte- è l'unica del gruppo che non sopporta😳
I suoi colori preferiti sono il rosso e il blu🥲🥲
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.72 x 65kg
Specie: PoRCO
Genere e pronomi: femmina, femminili
Orientamento: bisex
Anni: 26
Compleanno: 2/01
Professione: musicista, cameriera
3. Tasha Grayson, è l'unica che ha mantenuto il suo vero nome, dato che il suo nome e la sua nazionalità c'entrano perfettamente con il personaggio che deve interpretare
Lei è la "american-girl", ha 18 anni ed è la terza per popolarità 😘
Lei è sfondata di soldi, arriva da una ricchissima famiglia di politici americani (è figlia del corrispondente di Trump) e per questo fin da subito era praticamente ingestibile dato che era una viziata del cazzo-- e tra l'altro è letteralmente la più privilegiata del gruppo da tutte le agenzie in cui hanno fatto contratto, dato che possedeva trattamenti speciali e veniva pagata molto di più
Nonostante il suo carattere "altezzoso", ha cercato in tutti i modi di stare simpatica a tutte, ma ha ottenuto solo la simpatia di Mahi, Maki e Tsubami
Anche lei è iperattiva al massimo, e ciò è influito anche dal fatto che si spacca di caffè ed energia drink- però a volte le capita di comportarsi da "padroncina", dando ordini inconsapevolmente, e nonostante ciò la sua cerchia di fan le chiede esplicitamente di essere comandati, perché bho, gente strana segue le idol😳
Cambia amici e fidanzato ogni settimana, quindi non si hanno informazioni--
Il suo colore preferito è il giallo🥳
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.61 x 50kg
Specie: cincillà
Genere e pronomi: bigender, femminili
Orientamento: etero
Anni: 18
Compleanno: 3/03
Professione: musicista
4. Katami Masamiju, l'unica effettivamente giapponese del gruppo, anche se il suo vero nome è Kurumi Oshina, ed è l'unica che vuole essere chiamata PER FORZA col suo cognome originale
Ha 20 anni, è la quarta per importanza e rappresenta la "sukeban", ovvero la bad girl😘
In realtà, nonostante il suo aspetto e il fatto faccia entri ed esca dalla prigione ogni 3x2, Oshina è una ragazza silenziosa e tranquilla, che però se provocata impazzisce totalmente e niente la può fermare più dopo-
Per questo anche i suoi fan si sono presi le mazzate praticamente, dato che non sopporta gli sconosciuti troppo affettuosi--
Oshina non voleva entrare nel gruppo in realtà, dato che voleva essere una cantante solista di musica hyperpop, ma aveva bisogno di una spinta dato che nessuno se la cagava-
Quindi grazie all'amicizia con i rappresentanti della vecchia agenzia è riuscita ad entrare nel gruppo, poi si è affezionata ed è diventata solista senza lasciare il gruppo😄
E si esibisce con lo pseudo di "OhiTT"
Vorrebbe tanto innamorarsi, dato che vorrebbe dedicare la sua vita a qualcuno, ma non riesce a trovare nessuno quindi è depressa 24/7, ed esterna questi suoi sentimenti solo nelle sue canzoni da solista, che però nessuno la prende sul serio😭😭
È una star di tik top e fa i video edgy strani-
I suoi colori preferiti sono il nero e il bianco🥰
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.84 x 70kg
Specie: PISTRELo
Genere e pronomi: agemder, emtrambi ma preferibilmente femminili
Orientamento: gay🍭🍭
Anni: 20
Compleanno: 4/11
Professione: musicista, tiktoker
5. Mizui Sonosaki, di cui il vero nome è Hiawatha Miiwa, non le da fastidio essere chiamata con nessuno dei due nomi 😘
Ha 14 anni ed è la più piccolina del gruppo, anche per questo letteralmente TUTTI la proteggono e sono tutte delle sorellone per lei🥰🥰
Quinta per importanza, rappresenta la "imouto-chan", ovvero la sorellina minore 🥰
Nonostante la sua giovane età, già soffre di depressione e schizofrenia, perché è stata costretta fin dalla tenera età a stare sotto i riflettori, e non ha retto la pressione, quindi ora è letteralmente un morto che cammina che prova due emozioni in croce-
Tenta spesso di uccidersi, anche d'avanti alle persone, per questo la maggior parte del tempo le viene affiancato u membro del gruppo che deve sorvegliarla
Le piace tantissimo essere coccolata, anche da uno sconosciuto a caso per strada- questa è l'unica parte che ama del suo lavoro, ovvero i fan che la coccolano, per il resto vorrebbe abbandonare tutto e morire--
È entrata nel gruppo perché i genitori l'hanno costretta, e lei deve fingere davanti a tutti che le piace essere un idol😥
È timidina, non ha amici e vuole solo coccole in her life 😞❤
Non ha colori preferiti, vuole solo morire🥳
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.42 x 35kg
Specie: ibrido lemure cervo
Genere e pronomi: niente, vuole solo morire, femminili
Orientamento: niente, vuole solo morire
Anni: 14
Compleanno: 5/12
Professione: musicista, studentessa, suicida
6. Tsubami Moshimo, di cui il vero nome è Morana Liber, odia a morte entrambi i suoi nomi, e vuole essere chiamata "Omisha" da chiunque, infatti i suoi fan più affezionati la chiamano così😘
Sesta per importanza, rappresenta la "moe"😘
Nonostante lo stereotipo che le è toccato, la sua vera personalità è l'esatto opposto.
Omisha è un infame, troia, bastarda, manipolatrice con la doppia faccia, che ama causare scompiglio all'interno del gruppo.
Tutti i componenti sanno della sua personalità, ma nonostante ciò cascano sempre nelle sue manipolazioni, fatte apposta per creare litigi o incomprensioni, unica sua fonte di divertimento
L'unica persona a cui tiene al mondo �� Itaki, a cui sta costantemente attaccata e lo segue giorno e notte, infatti non c'è Itaki senza Omisha
È anche troppo protettiva nei suoi riguardi, e spesso scatena risse e usa violenza per tenerlo lontano dai pericoli
Si contentra più su di lui che sulla sua cartiera praticamente🥰
È entrata nel gruppo perché, essendo stata cacciata di casa e trovata da Mahiru, ha deciso di entrare per stare in un posto fisso, con il tempo però ha sviluppato una personalità contorta senza alcuna ragione apparentemente, e attualmente è così-
ODIA A MORTE IL CONTATTO CON I SUOI FAN
Le piace coccolare Itaki 🥰🥰
Il suo colore preferito è il rosso🥳
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.50 x 41kg
Specie: ibrido coniglio procione (cornuta)
Genere e pronomi: femmina, femminili
Orientamento: bisex🤣🤣
Anni: 17
Compleanno: 6/05
Professione: musicista, studentessa
7. Itaki Kurisu, di cui il vero nome è Kermit Hamilton, gli piace essere chiamato in entrambi i modi, anche se considera Itaki più un alter ego
È l'ultimo arrivato e ultimo per importanza, e per ultimo per importanza intendo che non se lo caga manco sua madre-- e rappresenta la maid 😍
Per via del suo aspetto femminile, è spesso scambiato per una femmina, quando in realtà si sente lui stesso un maschio, ma per via del fatto che è sempre stato educato come er maschione alpha, la repressione lo ha portato a vestirsi e comportarsi come un ragazza
È entrato nel gruppo dato che Maki si era fissato con lui, e ha spinto per farlo entrare (anche perché ha una voce della madonna), e dal primo momento in cui ha visto Omisha si è innamorato follemente di lei, anche se non glielo ha mai dimostrato.
È un bimbo timido, sarcastico e spesso in disaccordo con qualunque decisione del gruppo, quindi si dissocia sempre e fa qualunque cosa di testa sua--
Diciamo che odia anche lui la comunicazione con i fan, più che altro perché è insicuro, quindi è anche per questo che nessuno se lo caga😭😭
È l'unico che inizialmente si era opposto in tutto e per tutto alle regole dell'agenzia, ed è stato lui a scegliere la nuova dopo averla cambiata.
Passa tutto il suo tempo con Omisha, e anche se si finge infastidito da lei in realtà fa di tutto per starle vicino 👉🏻👈🏻
I suoi colori preferiti sono il frocio 🥳
Cose a caso:
Altezza e peso: 1.78 x 83kg
Specie: delfino
Genere e pronomi: maschio, qualunque
Orientamento: straight🌈🌈
Anni: 19
Compleanno: 7/09
Professione: musicista
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Oh! My Emperor Commento
Beh, che dire... Ho voluto vedere questa serie solamente per Xiao Zhan - perché se non si fosse capito è l'amore della mia vita - e sapevo fin dall'inizio che non sarebbe stato un capolavoro, però pensavo di potermelo godere lo stesso e di farmi due risate.
Effettivamente qualche risata qua e là me la sono fatta, e un po' me lo sono goduto, ma non più di tanto. La serie in sé è carina, così come i personaggi, nulla di eccezionale o spettacolare, ma comunque carina.
La protagonista, la nostra Fei Fei, si ritrova teletrasportata nel tempo in un mondo fantastico chiamato Regno dello Zodiaco, in cui ogni persona - quelle importanti della corte, non i poveracci - ha un potere specifico: c'è chi si può sdoppiare, chi può spostare gli oggetti, chi si può muovere a massima velocità, chi può predire il futuro ecc ecc. Questa cosa l'ho trovata da subito molto figa. Dei superpoteri del genere sono sempre belli da vedere, ci sono anche alcune scenette divertenti al riguardo, e non ho potuto fare a meno di chiedermi incuriosita quale potere avrei voluto, o vorrei, io.
Dunque, la serie si divide in due stagioni da 21 episodi ciascuna, per un totale di 42 puntate. Può sembrare lunga, ma ogni episodio dura una ventina di minuti, quindi è abbastanza facile mangiarsela. Personalmente, posso anche dire di essermela "mangiata", ma non tanto perché fossi emotivamente presa e innamorata, ma piuttosto volevo solo arrivare alla fine.
Per quanto riguarda la trama, la prima parte è tenuta in piedi dal Principe Chen/Zio Imperiale, che a quanto pare è l'unico a fare qualcosa per venti puntate mettendo alla prova l'imperatore (Dio benedica Xiao Zhan, se non fosse stato per lui sarebbe stata una noia pazzesca). Mentre la seconda parte riesce a reggere grazie ai complotti del Regno nemico dei Cacciatori, che vogliono metterla in quel posto ai nostri, mentre il povero Xiao è occupato a essere friendzonato dalla protagonista.
Qui lo dico e qui NON lo nego: se fossero riusciti a sconfiggere il nostro imperatore a me non sarebbe importato nulla, non ho mai tifato per lui.
E qui veniamo a una delle più grandi pecche di questa serie: il protagonista, dotato del fascino di un tronco d'albero e dell'espressività di una marionetta. Ero convinta che il premio come Peggior Attore dell'anno sarebbe andato ad Arthur di Ever Night, ma questo qui lo batte. Arthur non riusciva a trasmettere nelle scene emotive, ma quando si trattava di combattere o di fare lo sbruffoncello, gli riusciva anche bene. Questo attore qui invece è carente in TUTTO.
Nel finale, quando Fei Fei si sacrifica per salvare tutti e piano piano gli scompare davanti, questa è la sua faccia:
Ora io voglio sapere... CHE CAZZAROLA DI FACCIA È QUESTA???!!!
E il ragazzo ha esattamente questa faccia SEMPRE, in ogni situazione, in ogni luogo, con ogni personaggio, indipendentemente da cosa sta succedendo.
HA QUESTA FACCIA PURE MENTRE STA ANDANDO ALL'ALTARE PER SPOSARSI CON LA DONNA CHE AMA. CIOÈ.......... Lì mi sono messa a ridere perché la cosa era diventata ridicola.
Più che andare a sposarsi sembrava che stesse andando a un funerale:
Io capisco che il personaggio è un impedito per quanto riguarda l'amore, ma pure il protagonista di Metti la testa sulla mia spalla era un completo caso umano, eppure era riuscito a conquistarmi in pochi episodi.
Questo personaggio è completamente privo di fascino, carisma, e anche sulla caratterizzazione è abbastanza piatto.
Fei Fei invece è stata meglio. Molto più espressiva rispetto al suo collega (in confronto lei è da Oscar), l'ho trovata carina e simpatica. Non è riuscita a conquistarmi perché l'ho trovata un po' troppo buffa a volte, però non è stata male. Ho apprezzato il suo lato pigro, la sua golosità, e il fatto che fosse una piccola arraffa soldi, piccoli dettagli che me l'hanno resa più umana.
Sulla loro storia d'amore, io non so davvero cosa dire. Non mi ha presa per niente. Lui pare innamorato quanto uno struzzo, e non sono mai riuscita a tifare per loro.
Per quanto riguarda il finale, ci hanno dato l'happy ending, cosa che mi aspettavo, ma il modo in cui ci sono arrivati è stato un vero bordello. Visto il genere e lo stile della serie, mi aspettavo un lieto fine molto banale, e quando negli ultimi tre episodi i personaggi hanno cominciato a cadere come mosche, per un momento ci sono rimasta di sasso.
Quando ho visto il corpo di Shang Yu mi è preso un colpo e non ci potevo credere, ma la cosa mi andava anche bene perché mi sono detta "ma non sarà che magari mi danno il lieto fine per la storia d'amore, ma con la perdita di alcuni personaggi per prendere un po' triste la cosa?" Se fosse stato così, avrei adorato.
Tuttavia non ci ho mai creduto fino in fondo, uno o due passi, ma non potevano davvero far fuori tutti quei personaggi. Sarebbe stato un finale davvero troppo tragico. Ed ecco che ho cominciato a pensare:
La fregatura è che arriva la protagonista insieme a quelli del suo Clan, e si mettono a guarire letteralmente decine di persone avvelenate, sacrificandosi. Dopo di che Fei Fei scompare, torna nel presente (nota di merito all'attrice per la scena sulla depressione), dove riesce a rincongiursi con il suo amato NON SI SA BENE COME.
Seriamente, da dove cavolo è spuntato? Ha viaggiato pure lui nel tempo? Ma come ha fatto? E che fine hanno fatto tutti gli altri personaggi?
Domande che mai avranno risposta.
Un altro difetto della serie è a livello tecnico: a quanto pare in Cina fanno fatica a fare degli effetti speciali come si deve, le scene di combattimento sono ridicole, quando vanno a cavallo si vede lontano sei chilometri che fanno finta, e il doppiaggio è fatto male in più punti.
Carini i costumi e le scenografie. Carina anche la colonna sonora, anche se la canzone della protagonista l'hanno messa su tante di quelle volte che alla fine mi è uscita dalle orecchie.
Le cose che mi sono piaciute di più di questa serie sono stati i personaggi (alcuni), e tutti i complotti orditi dal Regno dei Cacciatori che hanno dato un po' di pepe alla serie.
Partendo da questi ultimi, il villain numero uno (non ho idea di come si chiami) non mi è piaciuto perché l'ho trovato molto piatto e banale: un cattivo che vuole conquistare il mondo. Mi sono piaciute molto di più la Grande Imperatrice Vedova o come si chiama, mossa dalla vendetta ma anche arrabbiata con lo stesso villain suo complice per aver ucciso parte della sua famiglia, e la principessa Xia Bing, disposta a seguire i piani del cattivo ma con sensi di colpa, scontata nel suo innamorarsi di Tang Tang ma tuttavia umana e sfaccettata.
(Anche se continuo a pensare che sia stata anche un po' stupida nel chiedere di risparmiare la vita del suo amato: come puoi pensare che possa ancora amarti od essere felice se hai contribuito a fargli ammazzare la famiglia? Ma su questa serie non voglio farmi troppe domande).
Tutti i personaggi di contorno sono carini e simpatici, i miei preferiti sono stati:
- il principe Chen/Zio Imperiale. Vabbe, ovvio, un personaggio interpretato da Xiao Zhan non può non essere bello. Lui che è Mister Espressività, ha facilmente rubato la scena al suo collega il protagonista, e in generale si vede che il suo lavoro è molto più attento e studiato degli altri. Non mi stupisce che abbia fatto strada.
Xiao mi ha conquistata fin dal primo momento in cui ha messo piede in scena: Fei Fei è caduta nella piscina dell'Imperatore e si sta decidendo di condannarla a morte credendola una spia, ma arriva il principe Chen che in tutta la sua magnificenza capovolge la situazione.
XZ riesce a mettere in scena un personaggio che da solo manda avanti la storia, un personaggio che non ha paura a sfidare l'imperatore arrivando addirittura a sedersi sul suo trono, un giovane uomo freddo e determinato su cui sono ricadute tante responsabilità, ma tuttavia leale, fedele e coraggioso.
Wei Wuxian rimane il suo personaggio più caratteristico, ma anche qui Xiao non è stato assolutamente una delusione, e tutte le sue espressioni camaleotiche sono state una gioia per gli occhi.
Essendo il second lead della situazione, sapevo che prima o poi avrebbe avuto il cuore spezzato, così come sapevo che avrebbe poi volto lo sguardo verso la second lead da sempre innamorata di lui. Questa parte era molto scontata, quindi riguardo il personaggio di Xiao è la cosa che mi è piaciuta di meno.
- Shang Yu. Lui è stato il mio personaggio preferito insieme allo Zio Imperiale. Non ho assolutamente notato la sua esistenza fino a poco prima di metà serie, perché Shang Yu è un ragazzo con un viso da bambino che passa inosservato, ma quando gli hanno dato un po' di spazio, mi sono innamorata. È stato la mia gioia.
Ingenuo e inesperto come un bambino, ma allo stesso tempo un fedele amico disposto a rischiare tutto. Ho fatto il tifo per lui quando si è messo in gioco per salvare Xi Feng Lie, mi ha fatto sorridere, mi ha fatto tenerezza, mi ha stupito mostrandosi anche sveglio e intelligente.
Insomma, questo personaggio è stato la luce di questa serie.
- molto carino anche il personaggio di Su Xun Xian e la sua bromance con XZ (in realtà sono convinta che Xun Xian fosse proprio innamorato del principe Chen).
- Tang Tang è stato un personaggio carino e simpatico, ma che alla lunga mi ha un po' stancata, perché è rimasto così dall'inizio alla fine, senza mai avere una vera evoluzione o profondità nella caratterizzazione.
- molto carina la bromance al femminile tra Fei Fei e la fidanzata dell'imperatore Xie Yu Ran. Quest'ultima l'ho trovata un po' "lagnosa" come personaggio, ma mi ha fatto piacere vedere le due ragazze diventare addirittura "sorelle" piuttosto che vederle una contro l'altra.
Vorrei parlare anche della coppietta della guerriera e del tizio col dono della psicocinesi, ma la loro storia non mi ha mai preso, e alla fine sono semplicemente caduti nell'assurdo quando hanno annunciato davanti ai membri della corte che si sarebbero sposati dopo la nascita del bambino, diventando la coppia più emancipata che abbia mai visto in un drama storico, al che io:
(Grazie Bonolis per queste gif trash).
Detto questo, non mi vengono in mente altre cose importanti da dire. È una serie carina, a tratti divertente e interessante, che risulta un po' lunga nonostante la brevità degli episodi perché in alcune parti è davvero poco interessante e risulta noiosa. Per fortuna nell'ultima decina di episodi si riprende un po' e si lascia vedere fino alla fine.
Punteggio: 6.4
#oh! my emperor#c drama#xiao zhan#chinese drama#costume drama#fantasy drama#mo ran#luo fei#fei fei#zhao lusi#bei tang yi#bei tang tang#tang tang#wu jiacheng#su xun xian#bai wu chen#yan xujia#shang yu#chinese actors#asian actress#asian actor#xia bing#zodiac#fantasy#viki
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The1975
(Dedico questa pagina di diario a questa band che mi aiuta nell’introspezione, per rileggerla in futuro e ricordare questi anni di qualità)
Ascoltare i the1975 è un percorso ben scandito da fasi definite e illuminanti: hai 14 anni, hai appena cominciato il liceo e senti i tuoi nuovi compagni misteriosi parlare di questa band sconosciuta e dall’accento divertente. Provi, e parte Somebody else, poi Paris, forse un po’ dopo anche A change of heart; diventano facilmente un tormentone: sono rumorosi, vari, non ripetono mai lo stesso giro di note e la batteria di George ti sveglia per forza. Qualche parola la capisci, in superficie, ma quell’accento super British ti confonde e leggi il primo testo, quello di Somebody Else, e ti senti così adolescente e compresa da quattro quasi-adulti mai sentiti in vita tua. E parlano di amore, di corse e persone che se ne vanno, e si tingono di rosa; ascolti tutto I Like It When You Sleep For You Are So Beautiful Yet So Unaware Of It che è così rosa (il rosa dello zucchero filato) ed è l’album con il titolo più lungo che tu abbia mai sentito e pensi Wow Sono Speciali! Scopri Love Me, The Sound, UGH! che per un po’ non ti piace perché boh te la dimentichi e soprattutto Loving Someone e diventi subito un’ally della comunità LGBTQ+, ti tingi di arcobaleno e non capisci mezza parola di quella canzone ma sai che Matty rappa da Dio, velocissimo e senza fiato e che all’inizio parla di pubblicità. Ci passi mesi e mesi, ascolti sempre lo stesso giro di canzoni e inizi ad affacciarti alla loro storia e a quell’album tutto nero e grigio di qualche anno prima, non ti piace perché non è rosa ed è lunghissimo e le canzoni sono difficili e non hai voglia di leggere i testi che sono la parte fondamentale della musica no? che canzone sarebbe senza testo? ed è primavera e li ascolti ancora più rosa, sempre le stesse canzoni + quell’intro omonima della band che diventa il tuo stato whatsapp perché hai 15 anni e ti senti grande, ma in realtà non hai ancora sentito niente.
***
È estate e hai Troye e Melanie e Halsey e tanta gente e alcuni anche italiani! E non sei più commerciale, perché i the1975 li ascolti ancora, ma super raramente solo quando passano Somebodyelse- e-compagnia-bella. Poi te li ricordi misteriosamente perché non hai niente da fare e la riproduzione casuale si sveglia tardi e ci riprovi. Le stesse canzoni di prima, lo stesso giro, le stesse sensazioni: hai ricominciato da capo, hai 15 anni e mezzo e ti dici Ora Sì Che Li Ho Capiti perché effettivamente un po’ di più sì, li hai capiti. Ma non è ancora finita: scopri le canzoni strumentali, Lostmyhead, Please be naked, If I believe you che non è nemmeno strumentale e ti segni “Please be naked sarà la mia prima volta” e ti senti stupida dopo un anno e mezza a sentirtelo dire (anche se quei 7 minuti che in realtà sono 5 ancora vuoi che siano la tua adolescenziale prima volta). La title (più lunga del mondo) track ti piace tanto, 6 minuti e mezzo, li ascolti tutti una volta sola perché puoi fare la figa quanto vuoi ma sai che palle? Esplori anche i brani più vecchi, la intro sempre uguale anche per il loro primo album, che si chiama come loro e come la intro, che non è poi così grigio, ma il rosa è un’altra cosa. Scopri Sex (EP version yup), Chocolate, The city, Robbers, addirittura Antichrist che oramai sei una fan per forza, quella non la conosce nessuno. Fidati che non la conosci nemmeno tu ancora. E So far (It’s Alright)? Bella bella, nemmeno te la ricordi, però è bella bella. E i remix chissene frega, non valgono la pena. Sei un tantino più esperta no? Conosci i nomi dei membri della band, hai Matty sullo sfondo, conosci il 65-70% delle loro canzoni, la restante parte è meno importante, le capisci benissimo no? cogli subito i concetti e gli stati d’animo di Matty quando le scriveva e ti ci connetti vero? Non ancora, piccola. L’estate è passata comunque, da un pezzo, vai per i 16 anni wow ma sei grande grande, adolescente con la A maiuscola. Hai una band preferita adesso e la ascolti una volta ogni morte di papa ma li senti ogni giorno (non banale eh?) e wow ti piace l’indie allora e l’alternative! “Ascolto di tutto” non vale più, e intanto ti avvicini ad altre note di altre persone di altri posti di altri giorni e sei felice.
***
Non ho idea di quando fosse, ma sei ancora un po’ più grande, i 16 sono passati e forse è estate di nuovo. Non è cambiato moltissimo negli ultimi tempi, ti stai vivendo qualche canzone nuova ultimamente che inconsapevolmente ti sta cambiando molto più di quanto abbia fatto quel 65-70% del loro lavoro che a quanto pare è poco e niente. A Natale papà ti ha preso un po’ di dischi, Halsey, Troye, Melanie, albumrosadaltitololungo e albumgrigioomonimoallaband e sei tanto felicina perché anche la musica di accompagna. Gli ultimi due anni sono stati tosti, papà ha da poco trovato un lavoro e ora sorride, inizi a sentire delle cose perché prima eri un sasso freddo e incosciente, la nonna è andata via il primo maggio 2018 e anche Nana ti aiuta a star meglio. È proprio la canzone per te adesso, ti tiene la mano e non ti fa piangere perché non piangi da un po’ (escluso il funerale) (in realtà lo sai che la notte prima di addormentarti è il momento peggiore della giornata) però ti aiuta e ti conforta ricordarti di non essere nè la prima nè l’ultima. I video li hai visti (non tutti) e ti piacciono tantissimo pur non sapendo di non averli capiti. E i mesi passano e passano e passano e questa band c’è ancora, ti coccola e ti regala un sentore di specialità. Sei in terza liceo, ne hai vissute parecchie in questi mesi e cominci il percorso che intesta il tuo blog su tumblr, hai tante sensazioni che succederanno un sacco di cose (good job girl, l’albicocca del futuro è sorpresa) e speri di avere ragione. Hai tanti problemi, vai da una persona speciale che è l’unica che non ti giudica e di cui speravi nessuno conoscesse l’esistenza, migliori il tuo amore per gli amici mentre tu cadi un po’ più giù. La musica è un po’ lontana da te, ma poi inizia il 2019 e vai al tuo primo concerto, un altro in vista, A Brief Inquiry Into Online Relatioships è fuori da qualche mese e lo stai vivendo meglio rispetto ad albumrosa e albumgrigio perché stai al passo con le news e incroci le dita che dopo Troye ed Ed toccherà a loro. La intro robotica non è poi così male, la copertina è un sacco bella e pulita, Give yourself a try era strana quest’estate, quando Matty aveva i capelli arancioni e hey si parla di quasi un anno fa, festa in piscina di fine scuola, non l’hai voluta ballare alla fine eh? Era poi uscita Love it if we made it che per tanto tempo è stata scura e poi si è colorata nel contesto dell’album, TOOTIMETOOTIMETOOTIME non ti fa impazzire ma poi il video coloratissimo la salva, le altre canzoni le ascolti di fretta e ti piace la voce di Siri maschile inglese in The man who married a robot/ Love Theme e tutti quei brani strani ed elettronici che hanno portato il loro canale YouTube a 2 Mln di iscritti, tu compresa da tempo, e una consapevolezza di quanto tu stia crescendo con loro. Non piacciono quasi a nessuno, a tuo padre tanto meno, i tuoi coetanei sono fuori dal mondo (no, sei tu che sei fuori tempo) e arrivi ad oggi.
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17 marzo 2019, 17 anni anche se ti piace pensare di averne già 18 perché boh ti senti già vecchina, il troca di ieri è stato penoso ma ti ha portato a questo. Stai scrivendo un papiro di fasi dell’unica musica con la quale ti connetti, e ora si diventa seri: i The1975 sono un po’ come fare l’amore (non scopare eh) o come mangiare una crostata da soli, usano metafore, sarcasmo, ironia, dialogo, retorica, introspezione, mistero, divertimento per raccontare un sacco di cose diversissime ma quasi uguali tra loro, parlano di politica, amore, droga, depressione, latte, cioccolato, ladri, sesso, scarpe, teatri, 29 anni, suicidio, ateismo, gay, vino, chitarre, prostitute, nudi, macchine, soldi, tu, io, lui, lei, noi, voi, loro e nessuno. Ora li senti sotto pelle, ora ascolti Matty che parla di come hanno realizzato i video e del loro significato e rimani a bocca aperta per come parla di ciò di cui parla, di come si sente un artista e di quanto cavolo ti siano entrati dentro il sangue in due anni e mezzo. E quindi la intro, The1975, un tantino diversa per ogni album, parla di cose che si fanno con la bocca che non mi piace nominare, Chocolate parla di erba e le sue note tingono questa droga di un sapore diverso, che vorrai sentire quando fumerai la prima, Sex parla puramente di sesso, anche se ci cerchi un significato intrinseco, Antichrist ti spiega l’ateismo di Matty, anche se ancora non ti convince la sua spiegazione e non ti ci colleghi al 101%, in Woman Eileen è una prostitua un po’ più grande e no non è come sembra, Intro/Set3 non fa impazzire ma funziona, Undo l’avevi capita già di più ma capirla ancora è decisamente meglio, You racconta una relazione malata di Matty e il lungo silenzio che la segue ti porta a Milk che racconta la cocaina e anche lei ora ha un suono e un sapore diversi, Anobrain è amore e a-no-brainer, Me è la tua preferita da un sacco ed è Matty al microscopio, anche The Ballad of me and my brain è la tua preferita ed era facilmente comprensibile, ma è bello sentirsela dentro, She lays down ha dei begli accordi, in Give yourself a try Matty aveva i capelli arancioni per un motivo e parlava di presente, TOOTIMETOOTIMETOOTIME ha un sacco di punti di vista, Love if we made it è stata difficile e non dice solo “poison me daddy”, Be my mistake non te la ricordi ma era bella, Sincerity is scary è un capolavoro visivo e uditivo, The man who married a robot/ Love theme è simpatica, Inside your mind è amore, It’s not living (if it’s not with you) è un altro capolavoro in cui Danny è eroina con un altro sapore e suono ancora, anche Mine non scherza, I always wanna die (sometimes) è magica.
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Dopo una mattinata dietro a parole su parole, qualcosa l’avrai dimenticato, ma sentivi il bisogno di ricordarti certe cose. Genius è un’app-salvezza e YouTube è una piattaforma superiore con quei video, Matty does art e Adam, George e Ross sono fondamentali. Il testo, tanto per la cronaca, non è importante, le parole le trovi tu e devi formulare una teoria anche su questo, ma i the1975 sono il testo, e fanno eccezione solo loro sulla terra. Questo post lo rebloggherai, prima o poi, aggiungerai fasi e ricordi e sorriderai di fronte a quanto sei bimba, e li ringrazierai per conservare la tua mente vecchia e il tuo cuore bambino.
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The rhythm of my footsteps crossing flatlands to your door have been silenced forevermore. And the distance is quite simply much to far for me to row. It seems farther than ever before. Brooklyn, prime ore del 1993: c'era una volta, una sedicenne di nome Claire Hampton che decise di perdere la verginità a Capodanno col primo venuto e che riuscì peraltro nel suo nobile intento. Se ne tornò a casa, il giorno dopo, molto felice e molto incinta. In realtà ci vuole qualche giorno a concepire, ma il senso è quello. Non essendo particolarmente arguta decise di tenersi la pagnotta, che nove mesi dopo prese il nome di Ariane Rachael Hampton. Almeno non l'ha chiamata Jessica Alyssa, considerando i terribili trend degli anni 90 in fatto di nomi. Adesso, i piani di una qualsiasi persona assennata non includerebbero il lasciare la scuola e farsi cacciare a pedate da casa, ma la fantastica Claire ci è riuscita! Non è meraviglioso? Comunque, per una volta a svolgere un ruolo centrale in questa storia non sarà un'adolescente poco responsabile che si ritrova a diventare genitore senza nemmeno capire come. Quindi, parliamo di Ariane! Ariane è tanto bellina e ha la sfortuna d'avere una madre terribile, per cui più o meno chiunque non ce la fa a rifiutarsi di tenersela per la mattina, per il pomeriggio o per la sera a seconda degli improrogabili impegni della snaturata genitrice. Va bene, essere una madre single che fa i doppi turni come cameriera non è facile, però intrattenere relazioni di un certo tipo con i clienti e uscire con le amichette il venerdì sera sì. Insomma, purtroppo o per fortuna, fino ai sei anni Ariane non ha avuto granchè a che fare con sua madre e magari si sarà beccata come vicina di casa una vecchina simpatica che le raccontava le storie e le faceva i biscotti. Ad un certo punto, però, ha iniziato a trovarsi tizi sconosciuti che si insediavano in casa Hampton per un lasso di tempo che poteva variare tra i tre e sei mesi, visto che Claire s'era messa in testa un po' in ritardo di trovarle un papà. Come se l'esempio della mamma non fosse già abbastanza pessimo, inseriamo in questo bel quadretto tutti i disagiati del circondario, dal momento che dall'alto del suo non essere - di nuovo - particolarmente arguta, Claire rimorchiava i suoi fidanzati direttamente dal cassone dell'indifferenziata. Si può dire che non abbia mai davvero raggiunto quel punto in cui ha capito che le persone sono inaffidabili e che le relazioni alla fine finiscono solo per deludere: ci è direttamente cresciuta dentro senza aver avuto mai davvero la possibilità di vedere un'alternativa. Ha imparato a riconoscere i segni di ogni nuova infatuazione di sua madre, a sperare comunque insieme a lei ogni volta che si illudeva di aver finalmente trovato l'amore della sua vita e a rimanerci male per lei ogni volta che finiva sempre allo stesso modo. In tutto ciò, di positivo c'è che l'esempio di Claire l'ha sempre spinta a non voler finire come lei. Per cui invece di impegnarsi in cazzatine come fare amicizia, è diventata la secchioncina saccente di turno con il naso sempre ficcato in un libro e la testa tra le nuvole. La fregatura è che, a furia di star dietro a drammoni romantici per tutta la vita, una certa repressissima voglia di vivere il grande amore è venuto anche a lei. Il grande amore è arrivato nel lontano 2009. Aveva sedici anni - oh no, cattivo presagio - e la vita sociale di un paguro. Per intenderci, raccontava a Claire di uscire con due presunte amiche di cui in casa non si è mai vista l'ombra e con cui non ha mai nemmeno parlato al cellulare, ma ancora una volta l'arguzia della donna ha stupito tutti: non solo non ha mai sospettato nulla, ma era pure contenta di potersi portare a casa liberamente il cicciombrocchio del momento. Non che si sia mai fatta problemi a riguardo, ma vabbè. Il cicciombrocchio del 2009 era un mezzo tedesco con la doppia famiglia, quindi andiamo sempre di bene in meglio. Comunque, tornando al grande amore, Ariane si dimostra già più assennata della madre: il tizio in questione è bello, è ricco, non è uno stronzo di prima categoria e si chiama Logan. Uno di quei treni che passano una volta sola nella vita. Peccato che lei sia così presa dal non voler diventare come sua madre e da strane ossessioni derivanti dalla totale mancanza di fiducia nel mondo, da distruggere questa bella storiella in partenza. E' tutto un seguitare di pianti, crisi isteriche, vattene, no torna da me, ti amo, ti odio, strane storie sul filo rosso del destino - che deve essere un destino infamissimo. Tanto per peggiorare le cose, Claire fa l'ennesima mossa poco intelligente e si fa mettere un'altra pagnottina in forno dal mezzotedesco con la doppia famiglia. Un geniaccio talmente diabolico che per guadagnarsi altri nove mesi di saliscendi l'ha convinta a tenersi il pagnottino number two e ad aspettare di partorire per diventare ufficialmente una famiglia. Claire era al settimo cielo, convintissima di aver finalmente coronato il suo sogno. Ariane tanto contenta non era e gliel'ha pure fatto capire, sperando di salvare il salvabile, ma che ne parliamo a fare. E quando mr mezzotedesco si è tirato fuori dal quadretto, Claire si è ritrovata una bella depressione post-partum e Ariane un fratellino di cui farsi carico perchè quando mai sua madre ha fatto la madre. Inutile dirvi che quando si diploma - siamo arrivati al 2012, eh - la fantastica storia d'amore non è ancora sbocciata, perchè da brava drama queen è ancora piena di adorabili paturnie. Probabilmente l'avrà almeno baciato 'sto ragazzo? Boh, forse. Altrimenti lo farà un po' più tardi, tanto quando superi i sei mesi rimani una disagiata in ogni caso. Almeno ha vinto una borsa di studio per andarsene all'università. Invece di lanciarsi e vivere la vita da collegiale che tutti sognano, rimane comunque a casa con mammina perchè vuoi che quella cresca un figlio da sola a 35 anni? Sia mai! Nel frattempo ha iniziato a lavoricchiare part-time in una libreria, si è tinta i capelli per la prima volta e le è capitato pure di diventare amiciccia di una certa Eleonor che pare sua madre - bionda, madre single, relazioni instabili, non vi ricorda proprio nessuno? - che poi finirà pure a farsi l'amore della sua vita più in fretta di quanto non abbia fatto lei. Quindi ormai ha una vita semi-indipendente, ha un'amica che non sia immaginaria e sta utilizzando la sua secchionaggine per fare qualcosa di buono della propria vita e non solo per nascondersi dai drammi. Improvements everywhere, se non fosse che invece di darsi finalmente una mossa e smettere di avere paura delle relazioni sentimentali, ha finito per lasciare Logan per paura di essere lasciata. Senza sapere che magari pure 'sto poro Logan aveva i problemi suoi. Dopodichè, in sequenza sicuramente non esatta: ha quasi lasciato l'università, ha fatto amicizia con Van - un'altra bionda quasi madre single, con il senno di poi sembra proprio un tentativo inconscio di superare i conflitti con la figura materna - è andata a vivere con Eleonor, si è messa addirittura a fare la cameriera, si è tinta di nuovo i capelli dando via ad uno strano periodo goth emo in cui aveva un pessimo rapporto con sè stessa, ha fatto baldoria con le sue amichette senza mai smettere di struggersi scrivendo nel suo diarietto segreto, si è tinta per l'ennesima volta e stavolta di rosa e ovviamente non ha mai dimenticato Logan. Per quanto riguarda gli ultimi anni finiti nell'oblio, nel 2017 è diventata con orgoglio la prima laureata della famiglia Hampton. Ha smesso di tingersi i capelli ogni tre per due, è tornata a lavorare in libreria - stavolta a tempo pieno - finchè l'anno scorso non è finalmente riuscita a farsi assumere da una delle millemila biblioteche di NY come archivista. E alla fine ha ripreso il filo della noiosa vita da secchioncella ficcata tra i libri. Ci ha messo più di sei mesi a capire che il receptionist le chiedeva di uscire ogni giorno e solo perchè alla fine tale Derek gliel'ha messa davanti papale papale. E allora decidiamo che siamo ormai abbastanza adulte e vaccinate per finire fregate, tristi e sole come Claire Hampton? No. Ha ripetuto di nuovo la stessa trafila, con meno pathos perchè non ha più sedici anni e perchè alla fin fine 'sto Derek non la faceva palpitare mica poi così tanto. Vi lascio immaginare il disagio nell'aria tutti i giorni al lavoro dopo che si sono lasciati. Stavolta invece di colorarsi i capelli in preda alla disperazione, ha investito i quattro spicci che si è guadagnata nel corso degli ultimi tre anni per aprire una libreria indipendente che ha chiamato Books are Magic e per cui finirà di pagare il mutuo tra cinquant'anni se le va bene.
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pensieri a caso
Ultimamente sta morendo un sacco di gente, nella mia famiglia e nelle famiglie dei miei amici. Di conseguenza, vado a più messe (leggi “funerali”) adesso di quanto non abbia fatto negli ultimi quindici anni. Mi spiace sinceramente per i defunti, in particolare gli ultimi due, e pure un po’ per chi è rimasto. Quello che mi da fastidio è che il prete deve sempre inserire uno spot pubblicitario della Chiesa tra un’omelia e l’altra: “Avete visto? Lui ha avuto fede, e ora è in cielo”. Oook.
Secondo una ragazza con cui ho un implicito accordo di reciproca onestà, la ragione per cui non ho “successo” con le donne è... la marca del mio portafoglio. Aha. Sinceramente, non capisco. Lo uso dalla terza media e mi sono sempre trovato benissimo.
Qualcuno pensa che io non mi sappia vendere come artista. Qualcuno pensa che abbia avuto sfortuna. Qualcuno magari penserà pure che non abbia talento, ma l’unica verità che nessuno conosce è la seguente: nonostante gli eventi che ho allestito, mostre, letture, performance live (oh! oh! oh!), le collaborazioni (più o meno) retribuite, i progetti a dieci mani e quelli solitari, commissioni, contributi, io non ho mai (MAI) proposto i miei fumetti a un editore. Non che io ricordi, perlomeno.
Per quanto riguarda i racconti, ho inviato il primo manoscritto a tre editori diversi: il primo non mi ha risposto, il secondo ha manifestato apprezzamento e mi ha proposto di stamparlo richiedendomi un contributo spese del 50%, il terzo ha manifestato apprezzamento e mi ha proposto di stamparlo richiedendomi un contributo spese del 25%. Ho optato per il terzo.
Riguardo alle ragioni per cui non ho mai proposto i miei fumetti a un editore, non credo che mi ci soffermerò. Oppure sì.
1) La depressione ha distrutto la mia già fragilissima autostima, insieme alla mia (scarsa) voglia di fare qualcosa della mia vita. Sono un insicuro, anzi, ancora peggio: non sono un accidenti di niente, al di fuori delle mie storie.
2) Il modo in cui le scuole di fumetto danno da mangiare a quegli stessi ex-allievi che le avevano frequentate - poi promossi a “insegnanti”, gente che “insegna” cose ad altra gente che non se ne farà mai nulla, o al massimo diventerà “insegnante” - mi ha nauseato oltre ogni definizione. Magari sono un ingenuo, ma vedere il responsabile della scuola (un uomo di cinquant’anni suonati) reclamizzare il libro di un suo amico (pure lui, cinquant’anni suonati) a ragazzini che avevano già mezzo svenato i genitori con la retta della scuola... mi ha fatto schifo, ecco.
3) C’è un meccanismo, nella mia testa, che - una volta archiviata una qualche esperienza in un determinato contesto (in questo caso, artistico più che specificamente fumettistico) - mi spinge a dire: “ok, è sufficiente”. Gli altri tendono ad arrischiare qualche passo in più, accumulano contatti e gettano ponti, valutando quanto potrebbero beneficiare da un avanzamento in questa o quella direzione. Per me è essenziale avere un rapporto estremamente buono con le persone che ho intorno, in caso contrario sparisco il più velocemente possibile. Colpa mia che non sono ancora in condizioni di indigenza (e dunque non temo la povertà); che non ho fiuto per le buone occasioni; e soprattutto, che non ho saputo trasformare la precarietà sociale/economica/spirituale in cultura del profitto, o perlomeno in qualcosa di simile al rispetto per il mio lavoro.
Ah, e guardo con tanto d’occhi la cantante di questa cover band slash “amica” mentre la sua coinquilina cerca di farmi capire a intermittenza che desidererebbe conversare con me (perché... no, non sono stupido a tal punto): una ragazza (volendo semplificare fino all’osso) più attraente che insipida, più simpatica che antipatica, più intelligente che sciocca... Io ci parlo, ci parlo nella maniera più allegra e gentile possibile; ride molto, stiamo bene; ma di sicuro non le chiedo di vederci da qualche altra parte, e di sicuro non le chiedo il numero di telefono. Devo sempre desiderare le persone impossibili e scappare da quelle che mi cercano, perché sono fatto male.
Morale: cambiare portafoglio. Non sia mai che qualcuno mi veda per quello che sono, ovvero un disperato che ha perso la voglia di vivere e se ne frega di com’è fatto il suo cazzo di portafoglio.
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“Ora siamo qua, in un’epoca tremenda per i malati dell’anima. E sai perché? Perché son pazzi tutti, tutti!”. Dialogo con Caterina Cavina. Un viaggio delicato e feroce nel disagio psichico
Arianna è albina. Ha “pelle di marmo e occhi rosati”. È bianca di pelle e di capelli, molto magra, piena di cicatrici, è bella e brutta insieme. Vive sola in una vecchia casa piena di gatti. Nel passato Emilia, una madre anaffettiva, paranoica, che vedeva in lei la causa di tutti i suoi fallimenti. Nel presente David, un uomo violento, che non riesce a lasciare perché “in certe vite, per un istante decente si può ammazzare, o farsi ammazzare”. Arianna, la protagonista del romanzo Le radici dei fiori, di Caterina Cavina, edito da Pendragon, ha una dipendenza dall’alcol, una tristezza profonda che non riesce a definire, e il vago ricordo di una vita quasi normale, in cui usciva, mangiava il giusto, dormiva regolarmente e aveva iniziato a studiare medicina. Ora c’è solo l’anziano Wogler, vecchio amico di sua nonna, a occuparsi ogni tanto di lei, a costo di svegliarla con un secchio d’acqua gelata. Ma Arianna non ha rinunciato a vivere, così a un certo punto entra, per sua decisione, in una clinica psichiatrica, Villa Glicine, detta Villa Triste. Qui incontrerà una serie di personaggi, perlopiù “definiti dalla loro diagnosi”, che amano, litigano, competono, combattono, diventano amici, si tradiscono e non sono poi tanto diversi da quelli che stanno fuori. Con loro Arianna inizierà il percorso per uscire dal suo labirinto. Un romanzo duro e delicato, feroce e poetico, ricco di quell’ironia che smaschera e conforta, svela la realtà e al tempo stesso dalla realtà ci salva. Ne parliamo con l’autrice.
La prima domanda è il prezzo da pagare, quello che chiunque, anche chi scrive un libro sui serial killer dal punto di vista del serial killer, si sentirà porre. Quanto c’è di autobiografico nei personaggi di questa storia, e in particolare nella protagonista, Arianna?
È autobiografico, ma non nel senso convenzionale del termine, io non sono Arianna, non le assomiglio per aspetto, carattere e indole, abbiamo solo alcuni tratti in comune. Ma sono stata ricoverata più volte in clinica psichiatrica per problemi simili e quasi tutti i personaggi del libro sono veri, esistono e hanno nome e cognome (che ovviamente ho cambiato) o sono comunque un mix dei vari tipi di persone che ho incontrato durante i ricoveri. Devi sapere che nelle cliniche c’è un po’ di tutto, un miscuglio di personalità, patologie e dipendenze. Dall’ex carcerato che deve togliersi la dipendenza da metadone, passando per il fighetto da discoteca dipendente dalla cocaina, alla signora “bene” che soffre da anni di depressione maggiore. C’era anche una signora anziana dipendente dai lassativi, ricordo, molto simpatica, faceva dei lavori a maglia stupendi, mentre magari nel tavolo accanto uno ti raccontava di quando aveva ucciso su commissione o come si taglia la “roba”.
Il tuo romanzo è ambientato per la maggior parte in una casa di cura per malati psichici e dipendenze patologiche. I tuoi personaggi sembrano vivere le stesse identiche pulsioni dei “normali”, ma in una dimensione altra e alterata, a volte portata all’estremo della drammaticità, altre volte attutita, come anestetizzata. Dove sta secondo te il confine tra i normali scossoni della vita e la patologia vera e propria? E la medicina oggi riesce a identificare questo confine in modo oggettivo?
Basaglia diceva che “nessuno visto da vicino è normale”, postulato in cui credo fermamente. Innanzitutto, la “normalità” non esiste e ognuno di noi ha delle “patologie” in fieri che situazioni sfavorevoli, genetica, destino (usiamo pure questo termine), possono slatentizzare. Pensa solo all’effetto lockdown, i dati statistici parlano di un aumento di depressioni, attacchi di panico e ansia sociale. Molti miei amici farmacisti vendono molti più psicofarmaci di prima (non che prima ne vendessero pochi). Non tutti reagiamo allo stesso modo ai drammi della vita, c’è chi riesce a mantenere comportamenti autoconservativi e chi no. Non è nemmeno una questione di “forza di carattere” o “forza di volontà”, la “forza” è considerata spesso come concetto assoluto, mentre ho notato che è una caratteristica relativa, spesso determinata dalle condizioni ambientali e dalla consapevolezza dei propri limiti. Se uno arriva a conoscere se stesso (lavoro che dura tutta una vita), ad accettare i propri limiti, diventerà all’istante una persona più forte per il semplice fatto che si metterà meno in pericolo, in una situazione “fragile”. Non dico di rimanere stipati nella “comfort zone”, ma di affrontare la vita, “sani” o “malati” che si sia, con consapevolezza. A parte che in psichiatria non c’è una netta demarcazione tra “sano” e “malato”; si dice in genere “funzionale” o “disfunzionale”. Che vuol dire? Vivi abbastanza bene? Sei soddisfatto? Riesci a provvedere a te stesso e magari agli altri? Riesci ad avere relazioni significative con il prossimo? Non dico di tirare fuori la piramide dei bisogni primari di Maslow, un po’ troppo schematica, ma a volte basta dare un’occhiata a quella per capire se siamo in una fase patologica o meno.
Cosa pensi dell’utilizzo di farmaci? Molte persone non affrontano i propri problemi psicologici proprio perché temono di diventarne dipendenti, di vedersi modificata la personalità in modo artificiale.
I farmaci aiutano e molto, e c’è uno stigma sbagliato su di loro. Ho sentito persone inveire contro la “chimica” che cambia il cervello mentre magari fumavano o bevevano vino. Non è chimica anche quella? Non è tossica? Gli psicofarmaci dovrebbero essere considerati come tutte le altre medicine. Hai la febbre alta? Prendi il paracetamolo. Sei depresso? Prendi un antidepressivo. Certo, la diagnosi psichiatrica è più difficile da fare di una febbre alta, ma non impossibile. Gli psicofarmaci non sono più invalidanti come una volta, non trasformano tutti in vegetali, conosco schizofrenici perfettamente lucidi, consapevoli delle loro visioni e persino delle “voci” che sentono, le hanno accettate e ci convivono. Sono casi rari, ma esistono.
Oggi è sempre più difficile parlare di malattia senza venire messi al muro dai nuovi dettami del linguaggio, quelli del politicamente corretto. Da un lato è un bene che aumenti il rispetto verso ogni forma di diversità o disagio, dall’altro diventa sempre più difficile chiamare le cose con il loro nome. Si insiste ad esempio sul fatto che la disforia di genere non è una malattia ma una condizione, e contemporaneamente si insiste nel dire che la depressione è una malattia e non uno stato d’animo. Sembra di stare in bilico tra negazione della malattia e necessità di cura. Andare dall’analista è diventato di moda, da Woody Allen in poi, ma solo se non se ne ha davvero bisogno, mentre il disagio psichico reale è ancora fonte di emarginazione tra le più feroci. Come vedi questo dualismo?
Sulla non conformità di genere il discorso è complesso. L’Oms l’ha tolta dall’elenco delle malattie e l’ha inserita nei “disordini mentali”. Per semplificare la cosa, il ragionamento fatto in anni di studi è questo: mentre la depressione maggiore ha cause spesso endogene, interne (poi esiste anche quella “reattiva” a episodi esterni), si pensa che i disagi procurati dalla non conformità di genere, soprattutto negli adolescenti, avvengano a causa della reazione sociale al loro comportamento, alla non accettazione sociale, insomma siano esogene. Quindi non è una malattia vera e propria dell’individuo. Permettere la transizione di genere evita il suicidio di molti adolescenti transgender durante l’età dello sviluppo (infatti vengono assunti ormoni per bloccare la crescita dei caratteri sessuali secondari) e dà loro il tempo di capire bene cosa vogliono essere. Credo che l’accesso a questo tipo di percorso sia importante, proprio per salvaguardare la loro sanità mentale. Se guardiamo la storia delle culture più antiche, scopriamo che il genere è sì una realtà biologica imprescindibile, ma ha anche una forte componente culturale. Per quanto riguarda il discorso della malattia mentale come “moda”, si nota sempre più sui social usare parole “sono bipolare”, “sono border”, “paranoico”, quasi fosse una cosa figa e glamour, peccato che poi quando la malattia si presenta nella vita reale, di tutti i giorni, lo stigma riappare. La malattia mentale fa paura perché, come dicevo prima, è in fieri in tutti noi.
Il tuo libro non parla solo di anime, ma anche e soprattutto di corpi. Corpi quasi sempre troppo magri o troppo grassi, spesso abusati, feriti, cicatrizzati. Ricorre molto il tema degli odori, della sporcizia e della pulizia, elemento primario di socialità, di incontro con l’altro, primo spartiacque tra inserimento ed esclusione sociale. Alzarsi dal letto e lavarsi, il primo passo per vivere. È una metafora o qualcosa di più?
Non è una metafora, è la realtà. Se sei depresso smetti di lavarti. Ho incontrato molti idrofobici nel corso delle mie esperienze che urlavano come matti al solo contatto con l’acqua. Ma senza arrivare a questi estremi è proprio una rinuncia a tutto, il voler dimenticare tutto, l’acqua sul corpo ti dà coscienza di te, il toccarti per lavarti ti dà coscienza di te, il solo vestirti e stare seduto richiede uno stato di coscienza che spesso si rifiuta. È un effetto della ricerca dell’oblio che molte persone in difficoltà hanno. Lo stesso dicasi per le dipendenze. Arriva un momento in cui si diventa idrofobici e si inizia pure a odiare la luce del sole. Si vuole semplicemente scomparire, ma il corpo c’è, resiste, e puzza.
Un altro tema ricorrente è l’amore per sé stessi, così difficile da provare, specie per chi fin dall’infanzia è stato abusato o comunque non ha vissuto una crescita equilibrata. Specie nei personaggi femminili, ricorre il colpevolizzarsi anche quando si è vittime, il chiedere amore a chi non può darlo. In questo senso, mi ha ricordato alcuni passi del saggio Donne che amano troppo, di Robin Norwood. Mi viene in mente anche Franca Leosini, che di recente è stata accusata di maschilismo per aver detto che una donna, al primo schiaffo del compagno, se ne deve andare. La complicità nelle violenze subite è in realtà un tema importante, da non censurare. Secondo te come possiamo evitare l’auto colpevolizzazione ma anche la negazione di certe forme di complicità con i carnefici? E se questo meccanismo riguarda più le donne che gli uomini, secondo te perché? Sempre e solo l’educazione patriarcale o c’è qualcosa di innato?
Io sono stata vittima di violenza domestica e avevo appena scritto un libro sul femminicidio (La Merla), comico, vero? Anch’io ho preso il primo schiaffo e non me ne sono andata. Perché non te ne vai? Perché ti senti in colpa, perché credi di essertela cercata, perché speri che sia un episodio singolo che non si ripeterà, che potrai contenere magari modificando il tuo comportamento. Fai dei patti con te stessa “dai resisto un altro giorno”, “speriamo che oggi sia una giornata buona per lui”, “se mi comporto così non lo farà più”, spostando l’asticella della violenza tollerata sempre più avanti. Vivi dei ricordi dei primi tempi (in genere queste persone si rivelano dopo un periodo dove sono dei veri “principi azzurri”, il love bombing che crea dipendenza), sperando che sia solo una fase. E sopporti. Poi c’è la vergogna, la paura di dire: “Mi picchiano”. Ricevevo pure io reazioni negative, anche dai parenti: “Ma come tu, proprio tu, colta, femminista, hai potuto portarti un individuo simile in casa?”. Fare sentire in colpa le donne perché non scappano non è la soluzione. Riconoscere che si è vittime, ma anche responsabili di se stesse lo è. Sviluppare abbastanza amor proprio, autostima, minor bisogno di dipendenza affettiva da saper lasciare chi ci fa del male, anche “solo” psicologicamente, è una strada lunga e tortuosa. Quante amiche infelici abbiamo che comunque rimangono in una relazione tossica pur di non stare sole? Che incorrono sempre nello stesso modello di compagno (o compagna) narcisista? Vampiro emotivo? Ce ne sono tante e il meccanismo che sta sotto è il medesimo. Prendersi la responsabilità di se stessi e della propria salute, chiedendo aiuto, denunciando, non è facile, perché lo stigma di vittima non piace a nessuno. Completando la risposta, più che innato c’è qualcosa di antropologico nel masochismo femminile, il sopportare tutto pur di avere un tetto sulla testa, del cibo e una posizione sociale. Ora in Occidente non abbiamo più queste catene “materialistiche” legate alla sopravvivenza, ma esistono ancora quelle psicologiche.
All’interno della clinica nascono relazioni, sentimentali e sessuali, e a un certo punto anche l’amore, tra un infermiere e una paziente. I tuoi personaggi sembrano chiedere di essere accettati come sono, con amore incondizionato, ma l’amore incondizionato è spesso a sua volta parente stretto dell’abuso, del poco rispetto per sé. È possibile amare in modo sano qualcuno che vive un disagio psichico, e a che prezzo? Potrà mai essere un rapporto paritario?
Certo che ci si può innamorare di un malato psichiatrico. Un bipolare compensato farmacologicamente, per esempio, può avere delle relazioni anche equilibrate (ma esistono relazioni equilibrate?). Certo, ci sono delle attitudini, persone più empatiche che trovano soddisfazione nel prendersi cura del prossimo e persone più bisognose di attenzioni, sono gli incastri di un rapporto, codipendenze le chiamano e io credo che il 90% dei rapporti anche cosiddetti “normali” sia una codipendenza. Vedo poche persone libere che stanno con un’altra persona non per bisogno ma per reale e consapevole scelta. Se un uomo s’innamora di una malata psichiatrica che non si cura (ma anche viceversa), evidentemente anche lui ha delle carenze, dei bisogni di riconoscimento, che non ha avuto. Un desiderio di sentirsi utile, un bisogno d’identità che riconosce solo nel prestare cure, bassa autostima, ed è spesso lui vittima di violenze psicologiche. Anche una comodità: “Ho la moglie matta quindi posso fare quello che mi pare (tradotto: tradirla)”. Sono rapporti complessi dove il ruolo di vittima e carnefice, di malato e infermiere, spesso si rovesciano. “Se non mi ami io non ti curo, se non mi ami io mi ammalo”. Sono ricatti affettivi che possono avvenire all’interno della stessa coppia a fasi alterne. In genere il malato di mente è solo un sintomo della famiglia disfunzionale, tutta la famiglia è malata. Lo stesso vale per le coppie.
I tuoi personaggi sono malati psichici, ma a tratti parlano con grande equilibrio e saggezza. È un espediente letterario o l’hai riscontrato dal vero? Da dove proviene secondo te questa curiosa forma di sapienza folle? È un luogo comune o c’è del vero, nel detto che solo da pazzi si è davvero liberi?
Molti insegnamenti li ho avuti dai “matti”. Nei loro momenti di lucidità possono esprimere concetti profondi o dare importanti lezioni di vita. E poi non sono tutti “non presenti a se stessi”, molti sono coscienti della loro malattia e ne parlano con padronanza e profonda umanità e persino compassione. Altri invece continuano a lamentarsi delle violenze subite da bambini, dei torti, delle sfortune, delle disgrazie, in un loop che racconta sempre la stessa tragica storia e non riescono a uscirne. Nemmeno quella è una colpa. C’è una cosa che dicono spesso gli psicologi: “Chi riconosce di avere un problema e chiede aiuto è già molto più sano di tanta gente che non lo fa, che si ritiene “normale””. Non posso che confermare. Ho conosciuto più “matti” fuori dalle cliniche che dentro.
Un altro elemento ricorrente nel tuo romanzo è l’umorismo. Penso ad esempio a “Orlando, l’uomo che non picchiava le donne con cattiveria”, e a numerosi dialoghi tra le pazienti, di comicità stralunata e tagliente. Al di là del fatto che è a mio parere uno degli aspetti più riusciti del romanzo, quanto l’umorismo può aiutare a sopravvivere, anche in situazioni difficili come queste? E può diventare anche qualcosa dietro cui nascondersi?
No, l’umorismo è fondamentale, sempre. Salva la vita.
Il tuo romanzo d’esordio, Le ciccione lo fanno meglio, è un best seller. In un certo senso ha precorso i tempi, poiché parlava di fat shaming e di body positive quando non erano ancora termini di moda. Viviamo in un mondo che pretende il bell’aspetto anche per mestieri non d’immagine, e che continua perlopiù a far coincidere la bellezza con la magrezza. Oggi un po’ si eccede pure dall’altra parte, passando dalla schiavitù della taglia 42 (se non di meno) a improbabili elogi dell’obesità, nonostante i problemi oggettivi di salute che porta con sé. In quest’ennesima dualità dei nostri tempi, dov’è a tuo parere il punto di equilibrio in cui collocarsi?
La cura è una scelta (la salute meno perché se ti ammali di tumore al cervello di certo non lo hai scelto). Auguro sempre a me stessa di essere la versione più sana possibile, ma anche che se non ci riesco ciò non deve intaccare la mia capacità di essere felice e di godere della vita. In generale non apprezzo tutta l’attenzione dei media al corpo della donna, sia che sia magro, sia che sia grasso. Hanno un po’ tutti rotto le palle. Lavorerei più sulla formazione dell’identità, sul chi sono io, cosa voglio e come ottenerlo, che sulla taglia che porto. L’obesità è una malattia anche mortale, ci si può convivere ma anche no. Sono, ripeto, scelte. Il movimento delle modelle XXL gnocche, penso alla bellissima Tess Munster, è un po’ ipocrita secondo me. Non tanto per quello che rappresentano queste ragazze, ma per il semplice fatto che non è libertà nemmeno quella, è sempre soggetta a un mercato, a un apprezzamento o non apprezzamento del corpo femminile, insomma siamo sempre lì.
Una curiosità letteraria: da dove viene il mantra che Arianna ripete a sé stessa nei momenti più difficili, “io sono io sono io sono”? Ho letto nei ringraziamenti finali Sylvia Plath, ho pensato alla sua poesia Io sono verticale, che rimanda anche in qualche modo ai fiori del titolo. Ho visto giusto?
Quasi, la citazione viene dal suo romanzo autobiografico La campana di vetro ambientato in parte in clinica psichiatrica.
È passato molto tempo tra il tuo penultimo romanzo, La merla, un noir gotico rurale molto interessante, poi vi è stato il seguito di “Ciccione”, e questo nuovo libro. È stata lunga la gestazione artistica o la storia editoriale, o entrambe? Oggi si parla molto delle difficoltà dell’ambiente letterario, della difficoltà di emergere a prescindere dal merito. La tua penna è, almeno a mio parere, una delle migliori in Italia, e questo ultimo è forse il tuo romanzo più bello. Eppure esordisti con un grande editore, Baldini&Castoldi, e oggi esci con uno piccolo, Pendragon. È stata una scelta o un obbligo? Che cosa è cambiato da allora?
Sono cambiate molte cose. Il pubblico è calato, i lettori sono sempre meno e l’editoria è sempre più in crisi. Le cifre di vendita che ho realizzato con i miei primi romanzi oggi sono considerate esorbitanti. Spesso gli editori stessi le gonfiano per non ammettere che si vende pochissimo. Per quanto riguarda Le radici dei fiori, la gestazione è stata lunga di per sé, perché non è stato un romanzo semplice da scrivere. Poi ho ricevuto il rifiuto di alcuni agenti ed editori. Mi dicevano: “È molto bello, ma la malattia mentale non vende”. Ora si cercano soluzioni facili. Vedo fin troppi scrittori seguire delle “ricette preconfezionate”, quasi dei vademecum per il “romanzo che vende”, e fare prodotti seriali senza alcun coraggio, invenzione e spesso non lasciano niente al lettore che li dimentica dopo poco. Se non scrivi letteratura di genere poi non sanno come definirti. Le case editrici piccole possono anche garantire una buona distribuzione, ma purtroppo è la visibilità sui mezzi di comunicazione che viene spesso a mancare e deve fare tutto o quasi lo scrittore. Organizzarsi presentazioni, trasferte, ecc. Ai tempi della Baldini (oltre dieci anni fa) mi venivano pagati viaggi (anche in aereo), pernottamenti, cene, tutto. Le televisioni e i giornali si occupavano di più di libri. Ora per noi scrittori poco conosciuti è tutto più duro e dispendioso.
Come ultima domanda, ti faccio la stessa che i medici della clinica “Villa Triste” fanno ai loro pazienti: quando è stata l’ultima vota che sei stata assertiva, secondo la splendida definizione di assertività espressa nel libro da uno dei pazienti, e che subito ho fatto mia: “è quando se mi rompono le palle non mi incazzo, faccio valere con calma le mie ragioni”?
Diciamo che tento sempre di essere assertiva, perché l’assertività va allenata giorno dopo giorno. Vediamo… oggi un uomo mi importunava mentre stavo parlando con un mio amico, chiedendomi: “Ma è tuo fratello?”. E io: “No, è mio marito”. Forse più che assertiva sono stata manipolatrice, non so, ma fa lo stesso, è il risultato che conta!
Viviana Viviani
Editing di Luisa Baron
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Un estratto da Le radici dei fiori (Pendragon, 2020)
“Se fossimo nate ricche e nell’Ottocento saremmo state sempre distese su materassi di crine e lenzuola di seta, agitando il fazzoletto con una mano, aspettando la cameriera con i sali… di litio ovviamente. Purtroppo è passata la moda delle languide sfaccendate. Ora siamo qua, in un’epoca tremenda per i malati dell’anima. E sai perché? Perché son pazzi tutti, tutti! Anche quelli che ci curano, quindi come facciamo noi a guarire?”
L'articolo “Ora siamo qua, in un’epoca tremenda per i malati dell’anima. E sai perché? Perché son pazzi tutti, tutti!”. Dialogo con Caterina Cavina. Un viaggio delicato e feroce nel disagio psichico proviene da Pangea.
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Esse contengono un fallimento che può adattarsi al nuovo modo di sculacciare che la maggior parte degli acquirenti sta probabilmente intraprendendo attività di business su Internet. Veloce mettere tutti quei piccoli imprenditori del mondo in genere non Golden Goose Superstar Uomo Saldi tanno inserendo la loro miscela nella parte anteriore di Golden Goose Superstar Uomo Saldi uesto particolare client corretto. Rimangono non il web marketing. Oltre ad essere anche relativamente veritieri, virtualmente non puoi permettertelo sul mercato di dedicare un centesimo agli sforzi di vendita. Saranno molto caotici, perché è così. Ma le probabilità sono, senza dubbio il proprietario per quanto riguarda l'articolo che stai promuovendo ha ora un modulo di opt-in esclusivamente in attesa di afferrare il nome della persona del visitatore e l'indirizzo di posta elettronica, ma lui (o lei) sarà in grado di seguire le barriere e formare la conversione. Qui è anche dove il capitalismo era destinato a fallire. Da Reagan, i salari sono stati in effetti influenzati all'indietro. Di che potrebbe efficacemente avanzare la proposta che le banche cominciarono per soldi di prestito di ragazzi che sembrano dovevano essere effettivamente nelle loro buste paga personalizzate riguardo al 1o posto. La mia unica acquisizione di denaro per il finanziamento è stata la classe fondamentale delle case del paese. Così ora è la convergenza del settore immobiliare e di ogni sezione finanziaria che ha portato i Totally Markets direttamente verso il basso. Nella maggior parte dei casi è difficile all'inizio. Potrebbe anche essere difficile per la verità e trarrà vantaggio da più difficile. Questo articolo può contenere diversi mesi di calendario o diversi. Nessun successo superbo nella vita è sempre facile. Spinge il duro lavoro, la perseveranza e, di conseguenza, la maggior parte associata a tutta la nostra volontà che può sopportare tutto l'espresso federale e il basso che fa ogni ultima sfida. Siate partecipi del lungo raggio. Condominio d'oltremare L'investimento è senza dubbio un'opzione simpatica che si ottiene un grande orientamento di esplorare all'estero anche in particolare per quanto riguarda le aree balneari. Così come la Costa Rica è un posto assolutamente in stile per quanto riguarda i viaggiatori perché creato da paesaggi confidenziali oltre a scenari. Eppure il regime sostiene anche questi buoni investimenti, le buone offerte di investimento da parte dei cittadini esattamente come supportano le loro attuali condizioni economiche e possono rendere questo punto un viaggio di vacanza superiore per le famiglie, le coppie in aggiunta alle festività natalizie. L'Unione europea occidentale è una tragedia e la governance mondiale potrebbe essere ben radicata. Allo stesso modo, gli Stati Uniti continuano a essere più che fascisti con la 'democrazia regolatrice', anche il corporativismo una volta che i burocrati dello zar non eletti finanziano ambedue i venditori di intelligenza nazista e un particolare complesso di magazzini militari si nutre per sempre nella più ampia depressione pubblica. Cessate dagli istituti di Golden Goose Sneakers Superstar Saldi redito centrali curvi facendo pressioni per sostenere un adeguato denaro privato meraviglioso. Solo le collane non dovrebbero essere il debito di qualcun altro. Tutti gli influssi di credito finiscono quando la depressione deflazionistica del credito verso il basso, a causa del modo. La deflazione del credito è solo la purga per l'inflazione delle carte di credito. Depressione deflattiva profondamente pericolosa senza valore. Se praticamente tutto ciò che si trova sulla tv per pc fosse vero, allora semplicemente avrei ora piantato quei fagioli magici e comunque strofinare la tua Golden Goose invece di avere i miei concetti con le persone. La televisione lo dimostra come 'The Biggest Loser' della NBC e 'Celebrity Live to to Club' di VH1 non sarà autentico senza riguardo al fatto terribilmente chiamato di quegli spettacoli. Su questi programmi, non si vede mai la cosa è davvero sulla fotocamera di sconto, e quindi questi educati sono modificati per la televisione e il marketing, quindi chi sembra che i consumatori possono acquistare le forniture associate con la funzione tv. Non necessariamente una sola proporzione si adatta all'unica cosa. Proprio perché la persona appare un centinaio di peso in eccesso su un singolo peso specifico per perdere peso e un piano di esercizio del fatto che significa sempre quali soluzioni finiranno per essere le stesse per le altre persone. Fermati indiscutibilmente la tirannia del grande governo. correzioni, false guerre e quindi falsità. Questo non è mai stato quello che la nostra libertà favoriva per i single padri fondatori aveva in mente. Fai attenzione a uomini politici globalizzati che includono Rick Perry di New jersey che ha promosso l'internazionalismo e quindi una 'Unione nordamericana' in ognuno dei nostri passati e quindi che potrebbe probabilmente essere gestito di solito dall'elite finanziaria elettrica.
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Le sbarre della mia cella sono fatte della mia stessa carne. Io ho le labbra incollate e il corpo pesante.
“Ho paura. Ho bisogno di aiuto”.
Le persone mi esortano a parlare, come se fosse facile, e si mostrano deluse, o irritate, o confuse quando si trovano davanti a un muro, al silenzio.
“Immagino di non essere una persona con cui è piacevole avere a che fare. Sto soltanto guastando l’umore di chi mi sta intorno”.
Non che prima avessi aspettative, ma avevo la speranza, mentre, a questo punto, più provo a chiedere aiuto, più inizio a disperare.
“È difficile, è impossibile”.
Il terrore di esporre una parte così debole ed oscura di me mi fa soffocare. Non riesco nemmeno a confessare i pensieri più frivoli, come potrò mai parlare di suicidio e depressione?
Non potrò.
Le persone, quando si accorgono di non riuscire a gestirmi, decidono di affidarmi ad uno psicologo; ma anche gli psicologi sono persone e, per questo, ogni seduta è un inferno.
L’unica cosa che ho ottenuto sono degli antidepressivi, che non renderanno i comportamenti di mia madre meno abusivi e non mi faranno magicamente crescere una simpatica protuberanza fra le gambe.
No, non riesco ad essere fiducioso.
Non riesco ad odiarmi di meno.
A volte mi pento di non essermi tagliato i polsi in modo netto, una volta per tutte, in quei momenti in cui sono stato sul punto di farlo.
Nessuno vuole sentire parole del genere, nella vita vera. Nessuno vuole davvero avere a che fare con qualcuno che queste parole le proferisce; oppure sono io a non volere avere a che fare con nessuno che sappia questo, su di me. La verità è che a chi non ha mai sperimentato la depressione viene la splendida idea di tentare di tirarti su il morale, il che mi fa soltanto venire voglia di buttarmi dal palazzo più vicino. La verità è che nessuno può fare nulla, contro la depressione, e a nessuno piace sentirsi impotenti; quindi le persone tenteranno di aiutarti, quando in realtà stanno aiutando se stesse, per eludere un’ammissione, una presa di coscienza pericolosa.
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Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano
(o di come, seppur preparata al peggio, sono riuscita a farmi salire la pressione in maniera del tutto irragionevole)
Sono al telefono con X. Parente, conosce i miei alti e bassi emotivi, anche se non ha mai capito. Va bene così, non ho pretese di sorta: viviamo distanti e le voglio bene, è grande e al di là delle differenze caratteriali c'è una profonda differenza generazionale, lei era una figlia dei fiori persa dietro alle sue chimere new age, io una mormonica tradizionalista senza un briciolo di amor proprio. Tra le due sicuramente lei è la più simpatica.
Ogni volta che ci sentiamo mi propone le sue cure alternative: fiori di bach, meditazione, prodotti erboristici vari. Anche ora che sono in gravidanza, che tanto se è erboristico non può far male, no?
Non discuto mai. Annuisco, ringrazio e la ignoro. Se mi chiede come sto rispondo sempre bene, o le dico che non sono stata tanto bene dopo, quando sto meglio.
Tutto fino ad oggi. Siccome sto valutando il mio stato di salute mentale oltre che fisico in vista del parto, ho fatto l'errore di condividere con lei alcune personalissime riflessioni: fra tutte quella di riprendere la terapia antidepressiva in caso di depressione post parto (seguita da psicologa, medico di base e nel caso specialista dell'ospedale dove partorirò).
Niente da fare. Oggi mi chiama e come al solito, comincia con la solita solfa: ha trovato un miracoloso prodotto erboristico che le ha fatto passare la colite! E ha letto su INTERNET che curare lo stomaco fa passare l'ansia! E lo hanno scritto anche dei suoi amici affidabilissimi su fb! Come al solito, ammicco, ringrazio e faccio per passare oltre. Se non fosse che poi arriva la bastonata: "eh vedi di provare invece di ricominciare con le SCHIFEZZE che prendi tu".
Allora.
Io, le schifezze che prendo, le prendo perché un dottore, laureato e specializzato, mi ha suggerito di farlo, e ho passato nove mesi non sempre facili senza.
Mi ci sono voluti anni, attacchi di panico, mesi di febbre e insonnia, tic nervosi, ma soprattutto tanta vergogna prima di arrivarci dal medico, consigliata da qualcuno che mi voleva bene e si era reso conto che ero al limite. E, ad oggi, avrei voluto farlo prima.
Hai un figlio che sta male. Ogni volta che lo vedo, gli consiglio di parlare con un dottore. Sono seriamente preoccupata per lui. Solo che ogni volta che torna a casa, tu e suo fratello gli dite che: i medici sono tutti imbroglioni e le medicine fanno male.
Di tutta questa storia, la cosa che mi fa più incazzare, è sicuramente l'ultima. E lui sarà anche un adulto, ma a me il cazzo gira lo stesso.
Perché essere ingenui e boccaloni, a quanto pare, è pericoloso anche per quelli che ti vogliono bene.
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Scipione, il pittore che con 10 poesie cambiò la letteratura italiana
C’è un dipinto del 1929, Il risveglio della bionda sirena, l’autore è Scipione, al secolo Gino Bonichi, che ha consumato la sua esistenza in ventinove anni (nato il 25 febbraio del 1904 a Macerata – il padre, Serafino, era capitano d’amministrazione presso il Distretto Militare e sua madre, Emma Wlderk, era di origini polacche –, e morto nel sanatorio di Arco, in Trentino, il 9 novembre 1933). Il soggetto è un sogno, e come tutti i sogni cosparso di simboli. Lì aveva dipinto il legame di un’amicizia nata sotto la stella dell’arte. La sirena giunonica, distesa su una pelle di leopardo, era Antoniette Raphaël, e il sogno da cui nasceva il quadro era il suo, che lo aveva raccontato in una lettera al marito, l’altro genio della «Scuola di via Cavour», così coniata da Roberto Longhi: Mario Mafai. Antoniette scriveva – da Montepulciano, nell’agosto del 1925 –, con quel suo italiano sbilenco, lei che era nata in Lituania da una famiglia ebrea e si era trasferita a Roma dopo molti pellegrinaggi in giro per l’Europa (Londra, Parigi…): «La luna guardava ancora nel lago e sembrava più pallida di prima, meditativa ed addolorata. Evidentemente il suo cuore era pieno di tristezza, piangeva con le lagrime amare che andavano nel lago e facevano l’acqua spumeggiante rimbalzare subitamente io udii una voce femminile cantare. Era una voce bella e chiara e l’eco la portava per tutto. Ma ella cantava senza sentimento, cantava con cuore allegra e era contenta di se stessa. Io cercai per parecchi minuti di dove venisse quella voce, non molto profondo, ma simpatica. E dopo trascorso poco tempo vidi che era una sirena emergente dalle acque del lago con una specchia in una mano e pettine nell’altra e mentre si specchiava ravviandosi i bei riccioli d’oro, ammirava se stessa…».
Scipione aveva compiuto il miracolo di rappresentare il patto artistico con Mafai, col quale passeggiava per le vie di Roma discutendo d’arte, educandosi alla vita, per mezzo di Raphaël, colei che aveva portato in Italia l’estro onirico di Chagall.
Per capire quale fosse l’eterogeneità dell’ambiente artistico romano tra le due guerre, che guardava con uguale interesse alla pittura di Tiziano e Raffaello, El Greco e Soutine bisogna almeno ricordare qualcuno. Fausto Pirandello, che era stato mandato da suo padre Luigi a bottega da uno sculture – e fu un’intuizione felice, perché pure se abbandonò presto quell’arte, le figure dal pittore sembrano scolpite, nate dalla stessa terra.
Scipione, “Cardinale decano”, 1930, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea (Roma)
Il colore dei suoi quadri, pure (quanta pastosità di ocra!), fa emergere soggetti a uno stato quasi primordiale ma forti proprio della loro presenza fisica, tellurica. Poi il realismo magico nei volti porcellanati di un rinascimentale novecentesco, Antonio Donghi, che sembrava venuto fuori dalla scuola di Raffaello. O ancora il dandysmo di Mazzacurati e la pittura sorniona e metafisica dello stesso Mafai, il quale aveva rassicurato Gino sul suo innato talento e lo aveva convinto a frequentare con lui l’Accademia di nudo. E poi appunto Scipione che, vitale come un inguaribile adolescente, sembra ustionare la vita in un rosso che sta per incenerire ogni cosa. In lui c’è la consapevolezza di una malattia (la tubercolosi) che è il nemico da combattere quotidianamente. «La malattia», fa notare Giuseppe Appella, il critico e storico dell’arte che più ha studiato l’opera di Bonichi, pubblicando, tra le altre cose, un’importante e accuratissimo volume che raccoglie tutti i disegni – Scipione. 306 disegni, Edizioni della Cometa, 1984 – «sovverte il ritmo di vita di Scipione, ne deforma le abitudini, producendo un ribaltamento psicologico testimoniato dalle lettere e dalle poesie; tenerezza, angoscia, tolleranza, richiesta d’amore, solitudine, abbandoni sentimentali e impennate d’ironia, e quel vecchio demone dell’occidente che è la malinconia: l’estro legato all’imprevedibilità, l’intelligenza alla instabilità, l’esitazione alla depressione, il tormento alla dolcezza. Creativo e fantasioso, Scipione si porta dentro la malattia come una stimmate, come privilegio e sfida, come apertura ad una nuova esistenza, una realtà trasformata per incanto, come stimolo a vivere più intensamente». In una lettera dal sanatorio di Arco in cui è ricoverato, il 12 dicembre 1932 scrive al suo amico Enrico Falqui, che dopo la sua morte curerà le sue carte e che molto lo aiutò negli ultimi anni di vita: «Il male è il solo assoluto padrone e fa quello che vuole. È una bestiaccia che si sveglia affamata, poi si satolla della nostra carne, si riaddormenta, a volte cade in letargo, oppure in silenzio, senza che nulla venga turbato in apparenza, continua a distruggere e sempre e ancora c’è da distruggere». Ecco che la materia, allora, sembrava liquefarsi sulla tela come il suo stesso corpo. Era una rincorsa cieca e consapevole, una spiritualità incendiaria, una calamità, quella di Scipione, in cui il desiderio (espresso in una sessualità corrosiva) andava a scontrarsi con lo spavento di un distacco ultimo, proprio a lui che era tanto acceso di vita, dal proprio corpo.
«Iddio salvami, caccia i miei nemici, aiutami, perdona al tuo figliolo. Io non sono degno di te, ma voglio salvarmi da questo abisso da cui non si può risalire. Castigami, che io senta le mie colpe in vita, ma voglio la salvezza, voglio dormire puro come il pane, voglio gettarmi sulla terra senza contaminarla. Fa’ che io possa avvicinarmi a te, dammi la forza per vincere». Sono le ultime pagine di Diario di Gino Bonichi. Quest’ansia di salvezza, questa febbrile necessità di essere accolti da Dio, questo bisogno di svestizione, di denudamento, lo ritroviamo, prima ancora che nei quadri, in alcuni disegni. Del resto un significato deve pur esserci nei tre soggetti che segnano l’entrata al sanatorio di Arco (il 13 novembre del 1931), fino alla sua morte (1933) nello stesso sanatorio (vi era uscito alla fine di maggio del ’32, tornando a Roma, felice di poter proseguire il suo lavoro, ma una nuova crisi lo aveva riportato a quel ricovero sulle montagne, il 26 ottobre dello stesso anno). Quei tre soggetti sono i due disegni (sul verso e recto dello stesso foglio) de La spoliazione (1931), dell’inchiostro acquerellato dell’Uomo che si lava (1932) e infine dei due disegni dello Studio per «La fustigazione» (1933). Le analogie sono impressionanti. In tutti e tre i soggetti, nonostante esprimano, almeno in apparenza, “scene” diverse, la figura protagonista ha le mani dietro la schiena – appena sotto al collo –, coi gomiti alzati verso il cielo, nella posizione di chi si sta sfilando una maglia di dosso. Ma quel vestito di cui ci si vuole liberare è la propria pelle, la propria carne (che una volta viene pulita, un’altra fustigata – come se la fustigazione della carne e la sua pulizia fossero in stretto collegamento; quasi che la punizione che si vuole dare alla carne abbia un significato sinonimico con la sua pulizia), non per restare esseri di puro spirito, ma uomini fatti di altra carne; una carne, si direbbe, finalmente riconciliata con lo spirito.
Scipione, “Ritratto di Ungaretti”, 1931 ca.
Se la vicenda artistica di Scipione era stata fulminea e abbagliante, non lo era stata di meno quella poetica. Bonichi scrisse solo dieci componimenti, che gli valsero però un posto nell’antologia dei Lirici nuovi curata da Anceschi nel 1943 (fu affiancato ai maggiori poeti italiani del Novecento: Montale, Ungaretti, Saba, Betocchi, Luzi ecc.). Ma già nel ’38 il corpo poetico era stato raccolto da Enrico Falqui. Poesie che Scipione scrisse febbrilmente, in stato allucinato, visionario, tra il ‘28 e il ’30: «La terra è secca, ha sete/ e la notte è nera e perversa./ Cristo, dalle da bere,/ ché vuol peccare/ e farsi perdonare». Ha ragione Davide Brullo, che ha curato l’ultima edizione delle poesie di Scipione – Le stelle cadono accese, Raffaelli, 2017 – a scrivere che «l’opera scritta di Scipione è abbacinante, bacia chi è disposto a perdere ogni cognizione di sé. Va soppesata come un breviario, come si legge il libro della Sapienza, o Epitteto, o Pascal». Lettore fanatico del libro dell’Apocalisse, Scipione aveva visto nell’arte (quella pittorica ma anche quella poetica) la verità di una rivelazione. E quello che gli si era rivelato aveva a che fare col segreto della creazione – artistica e sacra insieme: il giorno della fine non è che la ripetizione di una nascita eterna, per questo in quei disegni va riconosciuto il corpo di un uomo che nasce una seconda volta; un corpo risorto già qui, su questa terra, e non ancora altrove.
In tutte le edizioni a stampa delle poesie, da quella curata da Enrico Falqui (che possedeva i manoscritti), fino a quella introdotta da Amelia Rosselli e annotata da Paolo Fossati e infine quella curata da Davide Brullo, leggiamo il componimento «Sento gli strilli degli angioli» in questa versione:
Sento gli strilli degli angioli
che vogliono la mia salvezza,
ma la saliva è dolce
e il sangue corre a peccare.
L’aria è ferma, tutto è rosa come la carne; se pervade beatitudine bisogna rompere e cadere.
Il sole entra nel mio petto come in una canestra e io mi sento voto,
la mano si stacca da terra, tocca l’aria, la luce, la carne.
Nel manoscritto del componimento (riportato da Giuseppe Appella nel volume da lui curato: Scipione, Lettere a Falqui) leggiamo, nel terzo verso della seconda strofa: «se pervade è beatitudine»; nei testi a stampa, invece, «se pervade beatitudine». Se lasciassimo il verbo essere prima di «beatitudine» (e del resto non c’è ragione di toglierlo, perché fu una scelta arbitraria di Enrico Falqui, che curò la prima edizione delle carte di Scipione), la stessa beatitudine assumerebbe un ruolo assai diverso nel verso. Nei testi a stampa, «beatitudine» funziona da soggetto e il verso successivo, «bisogna rompere e cadere», è la conseguenza di quel pervadere della beatitudine. Se invece mantenessimo il verbo essere, il pervadere è già beatitudine (che in questo caso sarebbe un complemento predicativo del soggetto) e l’enjambement funzionerebbe come una congiunzione sintattica, come una «e», un «quindi»: «Se pervade è beatitudine» e/quindi «bisogna rompere e cadere». Falqui avrà forse ipotizzato che quel verbo essere fosse una svista di Scipione, magari dovuta a una meccanica reiterazione del ritmo del verso precedente, «tutto è rosa come la carne». O, meglio ancora, avrà visto in quel verso una stonatura di senso, come se quel verbo essere non spiegasse cosa pervadesse per far sì che fosse beatitudine. Infatti, per creare una cesura sintattica che separa i significati e quindi sdoppiando il soggetto (per i primi due versi della strofa «L’aria», per i secondi due «beatitudine»), alla fine del verso «tutto è rosa come la carne» aggiunge un segno di interpunzione, un punto e virgola che nel manoscritto non c’è. Eppure, a mio avviso, ha sottovalutato che quel verbo, in successione di un altro verbo – pervadere – voleva creare un’immagine che si collegasse a «L’aria». Del resto, se fosse, come credo, l’aria il soggetto della strofa, come ci indicherebbe il verbo essere prima di beatitudine, si confermerebbe un contrasto ottenuto per immagine. L’aria infatti «è ferma» all’inizio della strofa e l’ipotetico «se» del terzo verso della strofa, farebbe cambiare condizione attraverso quella pervasione. Ovvero, se l’aria pervade è beatitudine. Quello di Scipione è un rimando al proprio respiro, che è stanco, affaticato, morente per via di quella tubercolosi, di quel buco al polmone che lo sta uccidendo. Agogna «l’aria», ma un’aria che non ha già più a che fare con la vita. È un soffio, un alito divino. Forse, addirittura, vuole fare sua l’aria che appartiene a (o che proviene da) quegli «angioli» che strillano volendo la sua salvezza. «Io voglio fermare i miei occhi, le mie mani e non vagare» scrive all’amico Libero De Libero «Voglio far uscire dalle mie mani le cose di cui il mio cuore è stato pieno. Voglio stringere, non carezzare. Voglio, forse avrei dovuto scrivere: vorrei, perché infine non faccio che rivoltarmi in questo spazio e l’infinito è grande come un lenzuolo. In esso ci si riposa; è un morire…».
Andrea Caterini
*
Di Gino Bonichi, ovvero Scipione, scrittore per rari, da leggere facendo fiamme delle proprie dita – tra i silenti esegeti, ricordiamo Gian Ruggero Manzoni, recentemente intervistato su questo foglio telematico – sono facilmente disponibili due testi: le “Carte segrete” – le poesie più brandelli del diario – pubblicate da Einaudi nel 1982 con una entusiasta introduzione di Amelia Rosselli (“la sua poesia è calma, candida, sensoria sì, quasi più dei quadri, ma in essa v’è una tranquillità non espressionistica che la rende del tutto individuale e difficilmente classificabile anche in questi moderni tempi”) e, da pochi mesi, la piccola edizione d’arte di Raffaelli, “Le stelle cadono accese”, che recepisce le dieci poesie scritte da Scipione. Al grande artista arride anche un sorprendente successo ‘internazionale’: la poetessa americana Susan Stewart, come ricordato nella recente intervista andata in onda su Pangea (qui), ha tradotto nel 2001 “Poems and prose” di Scipione. Al contempo, questa estate, l’editore Raffaelli ha promosso in Colombia l’opera letteraria dell’artista, trovando ampi riscontri, e forse la possibilità di una traduzione nel mondo spagnolo. Di seguito, alcune formidabili poesie di Scipione. (f.s.)
Solstizio
Mise le mani per terra ed era simile
ad una bestia.
La terra ha tutti i nascondigli,
gli scarabei ronzano nell’aria.
La testa alla radice dei capelli brucia,
le spalle si aprono, le viscere si commuovono.
Non ci sono voci:
la terra s’alza, il ventre suona vuoto,
i seni s’allungano, precipitano verso terra,
le dita ritorte dei piedi,
i ginocchi, le dita delle mani toccano la terra.
Il sole si è fermato
lungo le reni. Corre un vento pieno di polline.
*
Tutto ci abbandona a nostra insaputa.
Il sangue corre nel cerchio chiuso.
Le membra del giovane sono belle,
la sua mente è chiara e serena,
ma i vizi degli altri scrivono in nero
e nei laghi degli occhi
nuotano le anguille cattive.
La canna leggera, verde e bianca,
non sa dove appoggiarsi
ma non può cadere.
Le giunture si piegano con mollezza:
tutto si realizza e tutto si perde.
*
Nessuno t’aspetta
e tu meravigli i boschi illuminandoli,
e l’acqua ritorna bella
in tua presenza. Sotto di te i semi divengono lucidi,
gli alberi divorano la loro ombra.
Tutte le cose hanno fiducia nel tuo ritorno,
e rimangono ferme ad ignorarsi.
Il canto scava la sua forma nell’aria
ma il cielo è in attesa
dei gridi che lo squarciano.
Anche il ventre si è riasciugato per concepire
e l’uomo vi poserà la sua mano.
La carne cerca nelle carni le sorgenti:
per tutto il tempo la calma lievita e invade.
Ma se le braccia si alzano,
il gesto si perpetua
nella pietra del bene perduto.
L'articolo Scipione, il pittore che con 10 poesie cambiò la letteratura italiana proviene da Pangea.
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