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PRESTAZIONE vs FALLIMENTO
A questa nuova idoltaria della prestazione efficiente corrisponde, solo in modo apparentemente contraddittorio, la retorica del "dialogo" e dell' "empatia". Mai come nel nostro tempo l'uso di queste due parole appare inflazionato. L'atomizzazione imposta dal principio di prestazione ha generato una morale da corcerossina che vorrebbe esorcizzare lo scandalo di una differenza che non può essere appianata. Bisogna dialogare coi propri figli o coi propri amori, bisogna mostrare empatia con lo straniero e il diverso. Lo stile politically correct tente a cancellare il carattere necessariamente fallimentare di ogni integrazione che vorrebbe assimilare il diverso rendendolo uguale a noi.
La psicoanalisi sovverte entrambi questi due nuovi miti dando valore proprio all'esperienza del fallimento. Al mito "iocratico" del principio di prestazione contrappone un vero e proprio elogio della crisi e della sconfitta. Sin dalle sue origini freudiane la psicoanalisi riscatta tutto ciò che accade ai margini della vita forte e sicura di se stessa: sintomi, atti mancati, disorientamenti, sogni, incubi, lapsus, fantasie bizzarre. Tutto ciò che la ragione filosofica tradizionale ha scartato come insignificante diviene, agli occhi dello psicoanalista, prezioso come oro. La psicoanalisi si occupa di vite che sono il rovescio di quelle che sponsorizzano il mito del principio di prestazione: vite lacerate che hanno fatto esperienza dello scacco, dell'impaludamento, dello sbandamento; vite bloccate, smarrite, imprigionate. Insomma cause perse. E' di queste che si occupa la psicoanalisi offrendo loro la possibilità di ripartire, di ricominciare. E sostenendo un presupposto etico antagonista al culto ipermoderno dell'autoaffermazione: solo attraverso la crisi e il fallimento possiamo davvero fare esperienza trasformativa della verità. La caduta da cavallo, l'impatto con un ostacolo che non si lascia superare, l'incontro con il nostro limite che l'esperienza del fallimento rivela è un passaggio fondamentale in ogni processo di formazione. Per questa ragione il sintomo per la psicoanalsi non è solo ciò che deve essere emendato. Non è un semplice disfunzionamento della macchina del corpo o del pensiero che deve essere guarito. Il punto dove la vita cede, soffre, sbanda, cade da cavallo può sempre essere una grande occasione di trasformazione. Non si tratta allora di estirpare il sintomo perseguendo un ideale normativo di guarigione, ma di fare parlare il sintompo per accogliere la sua verità.
I tabù del mondo - Massimo Recalcati
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La nuova melanconia si disgiunge da quella freudiana a partire dal suo contenuto extra-morale. La centralità della colpa viene sostituita dalla centralità del peso della vita. Senza la spinta propulsiva del desiderio la vita tende infatti ad appassire, a ritirarsi da se stessa. Diventa un peso morto da trascinare. Ma non è un peso che lacera il soggetto. Piuttosto lo sprofonda, lo inabissa in un vuoto infinito, in una sensazione diffusa di insensatezza.
Massimo Recalcati, "Le nuove melanconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno", Raffaello Cortina, Milano 2019
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#recalcati #massimorecalcati #narcisismo #narcisismopatologico #legami #legamitossici #relazionitossiche @cortinaeditore #relazioni #ipermoderno #desiderio #lacan #lacaniano #desiderante #psicologia #psi #psicoterapia #psicoanalisi #freud #sigmundfreud #psicologiaclinica #psicologo #curadise @casadinchiostro (presso Radio Kafka) https://www.instagram.com/p/B4uozPLq8E6/?igshid=11m7l587am2xc
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- oppure, orrore, Niccolò che studia economia
- la casa de nonna che è stata trasformata in stile ipermoderno minimalista
- gio che ha litigato con tutti ed è andato a vivere a singapore
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Le forze illuministe/moderniste/progressiste hanno creato inferni in terra: la Francia del Terrore, l'Europa delle guerre napoleoniche, la Rivoluzione comunista del 1917 sino ad arrivare alla spinta progressista del 1968 tesa ad abbattere le società per sostituirle con un governo centralizzato mondiale a conduzione segreta e con finalità dissolutive. Ma qui si pone un problema: Robespierre creò un mondo che lo uccise, l'Urss creò un inferno che nessuna dacia in Crimea poteva addolcire e il mondo ipermoderno offre beni di lusso in cambio di civiltà. Contòrnati di oggetti ma lasciaci distruggere la civiltà. Abbassa la tua cultura fino al livello animale così non ti accorgerai del brutto. Però vivere nella bruttezza - che sia una favela, una banlieu, una piazza in cui buttano giù una statua o una chiesa medievale che diventa una palestra - produce una vita di merda. Per tutti, non solo per i poveri (fascisti). E quindi come fanno Attali e Obama a creare da una parte un mondo di merda e a voler comunque vivere in un mondo fatto di bellezza e civiltà? Come fai a vivere ascoltando Mozart se intanto dici che Mozart non va suonato perché non riconosceva il giusto peso al gender? Come fai a vivere tra le ville del Palladio se dici che bisogna abbattere le vestigia del patriarcato? La modernità è orrenda e la sinistra è triste. Nell'orrore e nella tristezza non ci vogliono vivere neanche i burocrati della sinistra stessa. E allora come uscire da questo paradosso? Prima distruggendo tutto, soprattutto l'impostazione culturale delle persone degradando le università e le scuole a luoghi per far passare gli anni. E poi isolandosi in aree separate nelle quali convivranno il lusso sfrenato, l'assenza assoluta di moralità e il più illimitato collezionismo. Cioè, ancora una volta, l'utopia sadiana illuminista. L'1% progressista vivrà così sulle spalle del 99% dei nuovi schiavi non più in grado di reagire perché saranno troppo impegnati a seguire l'agenda NoGender, l'ambientalismo di Greta e a impedire che un altro più povero di te arrivato da chissà dove (Africa) ti rubi le gomme della macchina (noleggiata). Essere di sinistra significa pensare di far parte dell'1% di illuminati.
(Boni Castellane )
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"Perché quando il denaro si trasforma da mezzo che serve alla vita a fine al quale la vita viene asservita, esso assume fatalmente le forme spettrali di un idolo. La nostra non è solo una società liquida, senza bussola, cinica e narcisistica, ma è anche idolatrica. Ed è idolatrica proprio perché liquida. L'idolo offre, infatti, una solidità di cui il tempo ipermoderno pare mancare; fornisce la salvezza elevando un oggetto al rango del 'tutto'. Il denaro è in questo senso l'idolo per eccellenza, l'idolo degli idoli. Non è una parte, ma un tutto. In questo senso è un oggetto paradossale che tende ad assumere - come molti hanno notato - una connotazione religiosa, sovrasensibile".
Massimo Recalcati, Le nuove melanconie, Milano, Cortina, 2019, pp.97-98.
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Metamoro Futuristic Police! AU (parte 2)
che ricordo essere lo spinoff futurista della Police AU! di @giotanner. Tra l’altro dato che è il tuo compleanno, auguri, questa è per te!
Nella puntata precedente:
Roma, un futuro distopico in cui lo stato mentale della popolazione viene costantemente monitorato, e la polizia segue le direttive della divisione di élite chiamata Forze di Pubblica Sicurezza (FPS), che indaga sui casi di livello critico di Coefficiente di Criminalità (CC) e stabilisce se e quando intervenire prima che da stato mentale alterato si traduca in crimine effettivo. Ermal Meta, il cui passato di abusi ad opera del padre violento lo identificava come potenzialmente propenso a compiere gli stessi atti, non solo non ha mai mostrato tendenze criminali, ma ha anche conseguito risultati notevoli, diventando vicedirettore della polizia scientifica di Bari in tempi record. Quando gli viene offerta una posizione di prestigio a Roma si aspetta di lavorare alla scientifica. Non si aspetta che Il Pezzo Grosso™ gli offra un posto come Ispettore, cioè da detective di massimo livello, la cui particolarità è di essere affiancati da un Esecutore, individui dalle grandi potenzialità che però hanno usato per scopi criminali (compiuti o pianificati, o solo immaginati poco importa) e che ora sono di proprietà dello Stato.
(aesthetic)
Il Pezzo Grosso™ fa strada ad Ermal lungo corridoi e sale della sede centrale delle FPS, sulla cui bellezza architettonica Ermal ricorda di aver letto un articolo.
(for reference: questo AU è ambientato a Roma quindi più che futuristico stile ipermoderno e tutto a vetri me lo immagino futurista, che fa tanto AU distopico. La Sede Generale delle FPS è il Palazzo coi buchi dell’EUR attorno al quale ci sono altri edifici sempre delle FPS, immaginateveli così)
La sala operativa degli Ispettori è enorme e ipertecnologica, con schermi olografici su tutte le pareti e tavoli al centro, anch’essi con computer olografici, da cui gli Ispettori operano, vagliando le informazioni che vengono loro inviate (da controllori appositi, che lavorano h24 ai piani più bassi dell’edificio, per controllare i coefficienti di criminalità di tutta la popolazione), inviando alla polizia direttive per le operazioni più o meno di routine, e, quando serve, indagando su criticità più ambigue e pericolose.
La sala ricreativa degli Ispettori è più grande della sala autopsie di Bari. Ed è praticamente vuota; Pezzo Grosso™ (che vi ricordo, ha la faccia di Red Ronnie) spiega che è costruita secondo le più avanzate tecniche di rilassamento, tanto che le pareti non solo cambiano colorazione a seconda dell’ora. Inoltre sono, come tutta la stanza, dotate della possibilità di modifiche olografiche.
In pratica se per rilassarsi si vuole essere a Londra Tokyo oppure Bombay, un castello sulla Loira nel XV secolo, nell’Orient Express, sull’Enterprise in viaggio per la galassia, sulle piramidi Maya durante un sacrificio di massa, o su una spiaggia, basta selezionare il programma.
Gli ologrammi se li possono permettere in pochi, anche se la compagnia che li installa li pubblicizza come un investimento per il futuro; tra chi li possiede c’è chi si trasforma la casa in un capolavoro di Art Nouveau e chi la trasforma in abitazione tradizionale giapponese, e chi ogni giorno la cambia secondo umore e tendenze. Ermal avrebbe tanto voluto averlo, ma soprattutto avrebbe voluto che sua madre lo avesse, così da rivedere il paesaggio di Fier fuori dalla sua finestra.
Pezzo Grosso™ ha studiato il fascicolo di Ermal e sa cosa gli interessa, mentre gli fa la dimostrazione aprendo programmi per nulla casuali.
E infatti Ermal osserva tutto a bocca aperta, la sua innata curiosità stimolata e lasciata a bocca asciutta troppo presto. Al posto degli ambienti esotici che ha sempre voluto visitare rimangono le pareti color tortora, leggermente violacee in alto e verdastre in basso.
Su una di esse c’è un'ampia vetrata oltre la quale si vede la sala degli Esecutori (che di ipertecnologico ha poco e niente, dopotutto siamo a Roma e anche nel futuro a parte qualcosa, il resto è tutto un po’ a cazzo), oltre la quale ci sono i loro spazi, le camere dove vivono, una palestra, un giardinetto interno, che il giardinaggio fa bene alla mente.
(continua dopo il cut)
Ermal fa qualche passo in quella direzione, colpito dalle due donne che vede all’interno, una bionda più giovane e una rossa più grande, che duettano in una canzone piena di sentimento, che gli sembra di conoscere.
E’ strano, sua madre era una musicista e l’ha cresciuto con l’idea che la musica fosse la cura per ogni male dell’anima. Come si fa ad avere un animo malato e pericoloso se si ama la musica, si chiede, mentre chiede come mai quelle musiciste sono Esecutori, avvicinandosi alla vetrata ma non abbastanza da farsi vedere.
“Avvicinati pure, tu puoi vederli ma loro non possono vedere te” gli fa una voce da dietro, che appartiene ad un uomo anziano con dei grossi occhiali dalle lenti leggermente oscurate.
“E anche se lo potessero vedere? Chissenefrega, anzi, bisogna tenerli d’occhio quegli animali” gli fa eco un uomo giovane, dai capelli grigi e spettinati, con una smorfia di disgusto sul volto.
“Ispettore Capo Castoldi,��� Pezzo Grosso™ fa le presentazioni, “e Ispettore Capo Venditti, responsabili delle squadre 1 e 2”
Perchè gli Ispettori sono divisi in squadre di 4-5 elementi, anche se fondamentalmente ognuno lavora col suo Esecutore
Ermal stringe loro la mano senza capire la battuta fatta dal più giovane a proposito del suo predecessore. Se ne vanno con il più anziano che sgrida l’altro per il modo in cui parla degli Esecutori, anzi per i suoi modi in generale.
(E insomma lo stronzo=Morgan perchè è vero e perchè nella tua AU ci stava troppo bene e te lo credito perchè si)
Pezzo Grosso™ (perchè dargli un nome, uscirà di scena prima o poi no? NO?) in mano ha i registri contenenti i loro dati ma sono solo per scena perchè sa tutto a memoria.
“Fiorella ha fatto delle scelte politiche..uh...estreme. Noemi...diciamo che ha avuto la lingua troppo lunga.” gli spiega, senza praticamente dire niente, come gli ologrammi mostrati per 30 secondi, riuscendo a incuriosire Ermal ancora di più.
Vuole proprio assicurarsi che accetti la proposta di lavoro. E non solo.
“E lui?” Ermal indica l’uomo abbronzato e tatuato che le accompagna alla chitarra, accarezzandone le corde (con una delicatezza che non si sarebbe aspettato, guardandogli le mani forti, anch’esse segnate dall’inchiostro), la cui testa, china sullo strumento musicale, è coperta da un cappello.
Ad Ermal viene in mente che non si dovrebbe portare il cappello in casa propria, secondo il galateo. Lui a queste cose tiene, non tanto per l’educazione in sé ma perchè è abituato ad apparire al meglio. Perché se non l’avesse fatto sarebbe stato identificato come quello arrivato da un altro paese, come quello che il padre lo picchiava, e soprattutto come quello che diventerà un criminale perché il padre lo picchiava e si sa che queste cose si ripetono.
Per quello mentre gli altri bambini giocavano lui studiava, studiava, studiava, e quando aveva finito suonava pianoforte e chitarra e cantava, perchè la musica eleva lo spirito e lui doveva elevarsi, non doveva finire come suo padre, non doveva diventare un mostro, e doveva anche pensare ai suoi fratelli, doveva dare loro una buona vita così non sarebbero finiti male. E ci era riuscito: suo fratello e sua sorella non avevano raggiunto i suoi livelli ma erano felici e al sicuro, e il loro CC era assolutamente nullo.
In fondo loro avevano visto molto meno di lui. Soprattutto avevano subito molto meno di lui, il fratello grande, che si metteva in mezzo per difendere loro e la madre, e che nonostante tutto ce l’aveva fatta.
Sotto il cappello, il volto dell’Esecutore è mezzo coperto dai capelli neri spettinati. Ermal riesce a vederne gli zigomi alti, il naso all’insù e le labbra carnose, un filo di barba su un profilo regolare. Non può non notare (ancora) le braccia, i muscoli sotto la pelle che si muovono mentre suona.
Non si può dire che quell’uomo tatuato non abbia un aspetto pericoloso, dice a sé stesso.
“Lui è Fabrizio Mo...Moro” . Pezzo Grosso™ esita leggermente nel dire il suo cognome, il che incuriosisce Ermal. “Qui c’è il suo fascicolo. Ma sono informazioni riservate, che posso dare solo ad un Ispettore...”
Per fortuna l'atteggiamento calmo e composto che Ermal si è autoimposto per andare avanti nella vita, serve anche in queste piccole cose, perchè gli verrebbe da strappargli il fascicolo di mano.
“E come mai mi ha dato informazioni sulle altre due?” Dovrebbe lasciar correre ma Ermal non è uno che si fa mettere i piedi in testa da nessuno, neanche da chi potrebbe diventare il suo capo. Inoltre non bisogna avere paura di parlare, se lo si fa con un animo chiaro come una giornata di sole, gli diceva sua madre da bambino.
esprimi un concetto senza timore se riesci a capire che viene dal cuore e senza paura dì sempre la tua si fonda su questo la democrazia (cit)
L’uomo più anziano finge di non sentire e con un movimento della mano attiva un sensore che rende visibile la porta della sala, che è proprio accanto alla vetrata.
Appena entrano gli sguardi degli Esecutori cambiano. L’uomo seduto al tavolo a mangiare ingoia il boccone e li guarda con sospetto, mettendosi un cappello anche più vistoso di quello dell’altro uomo. Ermal ha sentito che mentre parlavano lo chiamavano Sceriffo (come scelgo i personaggi? boh. a saperlo li avrei inseriti secondo qualche criterio unico). Le donne, che prima sorridevano, si rabbuiano e tacciono.
“Moro”
L’uomo tatuato appoggia la chitarra a terra e si alza. Finalmente Ermal lo vede interamente e non di profilo.
Vede che è più o meno alto come lui, anche se di corporatura più robusta.
(Sua madre gli diceva che il nero sfina e che lui che era magrolino non doveva portarlo, lo diceva per scherzare però lui ci era stato attento specialmente quando studiava e quando andava al lavoro, perchè il nero è sempre associato a stereotipi negativi che non poteva permettersi. Tutto questo gli viene in mente perchè i pettorali dell’altro uomo, sotto la maglia nera, sembrano smentire la teoria di sua madre)
Vede le lievi inaspettate lentiggini sul suo viso, e gli occhi color nocciola, che si posano su di lui velocemente ma in modo intenso, come se quello sguardo gli fosse bastato per studiarlo.
(Che è impossibile perchè lui è più bravo di tutti a non far scoprire niente di sé, mostrando solo quello che vuole che si sappia. Non è mentire né fingere, che tanto lo stato sa tutto di tutti. Welcome to the future)
Vede dei segni che non dovrebbero esserci: sullo zigomo sinistro e sul labbro inferiore, nello stesso lato, ci sono dei tagli. E il suo occhio di brillante anatomo-patologo si attiva, e nonostante siano poco visibili per via della barba accennata e della carnagione abbronzata, ai lati della gola ci sono dei segni inconfondibili.
Dita. Forse era un gioco erotico? Chissà perchè il pensiero lo mette a disagio, eppure ha visto tanti cadaveri con segni simili. Comunque i segni sul suo viso fanno pensare ad altro.
Dell’altro che lui conosce bene. Ci ha passato tutta l’infanzia con quelli in faccia, e non solo.
Più che altro si chiede come mai ci stia pensando proprio ora; forse sui cadaveri quei segni gli facevano meno effetto che sul viso di qualcuno che anche se diverso da lui in qualche modo è anche simile a lui. Anche se non sa in cosa.
Forse perchè avrebbe potuto essere lui al suo posto.
“Moro, lui è il nuovo Ispettore di cui ti ho parlato”. Ermal sta per dire che non ha ancora accettato ma l’altro interviene, guardandolo attraverso gli occhi socchiusi, prima di parlare.
“Dalla scientifica di Bari...Meta...Ermal? Giusto?”
E’ strano sentire il suo nome pronunciato con accento romano marcato, ma soprattutto con una voce bassa e roca.
Con interesse puramente professionale, Ermal si chiede se la sua voce sia così bassa e roca normalmente o se sia anch’essa, come i segni sul suo collo, una conseguenza di qualcosa. Scartato il gioco erotico, una rissa tra Esecutori o un’azione di polizia andata storta.
O dell’altro, ma cerca di non pensarci troppo perchè magari si sbaglia, magari i segni sulle nocche dell’Ispettore Capo dall’espressione disgustata non c’entravano niente.
“Giusto. Piacere di conoscerti Fabrizio” Risponde Ermal in quel modo affabile che tanto piace sul lavoro, tendendo la mano per stringergliela.
Fabrizio resta interdetto per un momento: erano anni che non gli stringevano la mano. Per quello il contatto tra le loro mani dura più del normale. Così come il contatto visivo.
E’ bello essere trattati come esseri umani per davvero.
Le loro mani si staccano solo quando le donne commentano a voce alta, riportandoli alla realtà, il fatto di non aver mai visto un Ispettore stringere la mano ad un Esecutore.
Perchè mai un Ispettore dovrebbe toccare della feccia come noi, scherza con evidente sarcasmo lo Sceriffo, alzandosi da tavola. Sempre che non sia nervoso e…Si morde il labbro sotto lo sguardo eloquente del Pezzo Grosso™, e il quasi completamente celato timore di tutti gli altri. Fabrizio incluso.
Anche se ne porta i segni. Ermal non riesce a non pensarci adesso, non dopo quello sguardo, in cui non c’era solo timore ma tanto altro, che però il più giovane non riesce a decifrare nonostante abbia studiato anche psicologia comportamentale.
"Allora, quanto te manca per finire il corso di formazione?" Fabrizio gli chiede, anche per cambiare discorso.
"Ehm, veramente io..."
"Il dottor Meta non è convinto se accettare il posto oppure no" Pezzo Grosso™ stava zitto da un po', giustamente se parla è per dare ad Ermal un ulteriore incentivo. Che magari non sono i motivi random che Fiorella e Noemi si affrettano a dargli, anche se quando se ne escono con un dai Fabbrì dì qualcosa anche tu, dai, dai, diventa alquanto curioso.
"Ce farebbe comodo un punto di vista nuovo..." Fabrizio si accarezza il collo con una mano e lo guarda con un sorriso appena accennato.
Quando, usciti dalla sala degli Esecutori, incrociano gli Ispettori Capo di prima, quelli sono troppo presi a consultare i dati del computer olografico portatile tenuto da una donna che da come si muove e parla sembra un altro ispettore Capo. Ermal sente che fanno il nome di Moro.
Sia la donna che il disgustato insistono per usare Moro nel caso su cui stanno lavorando, adducendo ragioni tecniche e, non troppo sottilmente, facendo notare le pecche dell'altro team. Ad Ermal non interesserebbe nulla delle loro questioni, se non fosse che stanno parlando di un essere umano come se fosse un oggetto di poco valore, un attrezzo per svolgere un lavoro, che una volta terminato si può gettare in un angolo finché non serve di nuovo. Anche se il tipo di lavoro che intendono fargli svolgere potrebbe costargli molto, persino la vita.
Lui in quella stanza c'è stato e con quelle persone ci ha parlato e pur senza conoscerle ha sentito che non erano poi tanto diverse da lui e coloro che erano liberi di uscire da lì. Specialmente lui, che le squadre si contendono senza rispetto. Per quanto abbia sbagliato ora sta pagando, e soprattutto è pur sempre umano. Troppo umano. In lui c'è qualcosa che ha incuriosito e attratto Ermal. Forse il modo in cui porta i lividi, senza nasconderli e senza vergognarsene.
A differenza di quanto faceva Ermal.
O forse è il suo bel viso. Forse la sua voce roca. Forse il suo corpo, che sembrava emanare forza nonostante fosse costretto come un lupo in gabbia.
Scambiamoci la pelle in fondo siamo umani, fa una voce dentro di lui. La stessa voce che si chiede come sia possibile che considerare gli Esecutori come bestie di cui è giusto servirsi come meglio si crede non influisca negativamente sul proprio CC, solo perchè quella mentalirà non è frutto dell’odio ma dell'indifferenza. La stessa voce che si chiede come quell'indifferenza possa essere considerata stato d'animo neutrale e non pericoloso, invece che sociopatia, una perversione mentale che impedisce di provare empatia e compassione per gli altri.
"Una volta che si conosce qualcosa o qualcuno è difficile tornare alla nostra vita precedente sapendo che si potrebbe fare qualcosa per loro, no?" Pezzo Grosso™ sembra leggergli nella mente come secondo le teorie del complotto secondo cui al governo e dietro il controllo della popolazione c’erano degli ESP, ma in realtà Ermal sa bene che l'esperienza decennale nell'osservare la gente e la conoscenza dettagliata dei loro file sono molto più potenti.
E nel suo c’era un’unica macchia, una nota disciplinare dei tempi dell’università. Per accedervi, così come nelle scuole migliori, oltre al curriculum scolastico si controlla il background personale e della famiglia, e si effettuano test psicologici ed esami del coefficiente criminale. Ermal partiva svantaggiato, avendo un violento come padre, avendolo visto picchiare sua madre e i suoi fratelli, avendo preso più botte di tutti per essersi messo in mezzo per proteggerli. Tutto questo avrebbe dovuto rendere il suo CC più alto della media, perchè chi subisce abusi diventa violento e cova odio, invece lui era riuscito a smettere di provare sentimenti verso suo padre, e così a farsi largo nella vita, con determinazione incrollabile, calma e disciplina autoimposta.
Il suo avere successo non piaceva a qualcuno però. Una volta aveva discusso con un professore che, durante un orale al quale stava rispondendo in modo brillante, gli aveva detto che nemmeno avrebbe dovuto trovarsi lì. Anche se sentire definire disagiata la sua famiglia, non suo padre che non ne faceva parte ma i suoi fratelli e sua madre che da un libro di odio gli aveva insegnato l’amore, gli faceva ribollire il sangue, Ermal sapeva che il professore lo stava provocando, quindi prese un respiro e con calma e indifferenza -era quella la chiave di tutto, non lasciarsi mai prendere davvero da qualcosa- gli rigirò le sue osservazioni finchè l'altro non perse la pazienza.
Anche se l'episodio gli costò una nota disciplinare, il conseguente esame psicologico non rivelò la minima alterazione nel CC, a differenza di quello del professore.
Quando si verificano alterazioni nel CC, si viene ammoniti ed esortati a ricorrere a trattamenti psicologici, spirituali o quant’altro. 3 ammonizioni portano al licenziamento o alla perdita di privilegi e benefici, 5 portano alla carcerazione, anche senza compiere atti criminali. Così dice la legge.
“Accetto il lavoro” Ermal dice, tutto d’un fiato.
“Molto Bene. Sapevo che non mi avresti deluso. Qui c’è bisogno di te,” gli risponde Pezzo Grosso™ stringendogli la mano a suggellare l’intesa.
Insomma oltre alla trama principale che è Ermal e Fabri e le loro storie in questa AU c’è la sottotrama del Pezzo Grosso™ che conta su Ermal per cambiare il sistema, e per farlo gli ha messo a fianco Fabrizio. Questo se questa AU avesse una trama definita e fosse una fic multichapter fatta bene.
#metamoro#metamoro au#metamoro headcanon#futuristic police au#vomito parole#la parte 3 sarà incentrata su fabri giuro#più che altro ho dimenticato di fare la moodboard aaah#psycho pass au#dato che è ispirato anche da quello#più che altro rubo au belle e ci vomito parole#metamoro futuristic police au#metamoro fanfiction#nell'ipotesi grande
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La Torre di Bae Myung-Hoon
Da che mondo è mondo, in ogni Paese l'utilizzo di denaro in certe relazioni delicate è senza eccezione considerato illecito. Se si viene scoperti, non esiste prova più schiacciante a proprio sfavore. E allora, come fa la gente a risolvere il problema?
Il Professor Jeong vi ha dedicato riflessioni su riflessioni. E a forza di scandagliare, ha individuato varie nuove tipologie di merce-moneta utilizzate con successo in quel genere di situazioni. Tra cui appunto gli alcolici.
Perché un alcolico funzioni come valuta, il suo valore non deve mai scendere al di sotto di una certa soglia, a prescindere dal gusto personale di chi lo riceve e dalla posizione di chi lo regala. Un mezzo di scambio universale che si mantiene sempre al di sopra di un determinato livello, per cui anche chi aveva già una bottiglia identica non ci resta troppo male, salvo motivazioni religiose o etiche di altro tipo non rischia di essere un regalo inopportuno, e fa contento persino chi non ha mai provato un goccio d'alcol in vita sua.
“La Torre” di Bae Myung-Hoon edito in italiano da Add Editore è un libro di fantascienza coreano recentemente riportato in libreria e che mi ha colpito fin da quando l’ho visto allo stand della casa editrice al Salone del Libro di Torino. Una cover pazzesca, una trama super interessante e l’incontro dal vivo con l’autore mi hanno subito irretito e una volta letto non sono riuscita a staccarmene fino a quando non ho raggiunto l’ultima riga.
In un grattacielo di 674 piani chiamato Beanstalk si svolgono le sei storie interconnesse che compongono La torre. Il grattacielo è uno Stato sovrano che si impone sulle esistenze degli abitanti che al suo interno nascono, vivono e muoiono. Per uscire è necessario superare gli stretti controlli alle frontiere, sistemate tra il livello 22 e il 25, e non soffrire di “terrafobia”, l’intensa e divorante paura di mettere piede sul terreno solido sotto il grattacielo. Allo stesso tempo divertente e oscura, ogni linea narrativa contribuisce a creare una visione sfaccettata di come i cittadini del grattacielo ipermoderno affrontano il rapporto con il potere, e quanto questo influenzi le loro vite.
Lo scorso due giugno ho avuto l’incredibile opportunità di ascoltare dal vivo Bae Myung-Hoon parlare del suo libro e della fantascienza in generale, in coreano con una bravissima traduttrice al suo fianco e mi sono lasciata incantare dalle atmosfere che ha evocato con le sue parole. Bae Myung-Hoon è un tipo consapevole che ha dalla sua la consapevolezza di sapere il suo posto nel mondo. “La Torre” è estremamente interessante e si nutre dalle esperienze del suo autore per ritrarre una società inventata che denuncia molte delle difficoltà presenti nella nostra epoca. La struttura narrativa è formata da sei capitoli, apparentemente con vita propria che si intrecciano per formare un quadro più grande che appare evidente quanto più ci si avvicina verso le pagine finali. Al centro della scena, come già si evince dalla trama, c’è la Beanstalk che richiama la pianta dei fagioli magici di Jack del racconto tradizionale inglese. Anche qui la sfida verso l’alto sembra voler raggiungere la ricchezza, ma capirne il funzionamento è davvero complicato. Non solo si estende in altezza ma anche in larghezza, tant’è che tra i suoi piani si sfidano due fazioni i verticalisti e gli orizzontalisti, che reclamano l’importanza della loro direzione di spostamento. Non tanto quindi i normali centri di potere che si diramano dal Sindaco e dall’amministrazione tutta, ma anche da inaspettati punti accentratori da cui sembrano passare le rotte più importanti per gestire l’enorme mole di merce e di persone che risiedono nei confini del grattacielo. Persone talmente ancorate al proprio punto di vista rialzato da temere il suolo. È alla fine sempre una questione di potere, di chi non solo ha le risorse e i fondi, ma anche da chi ha capito come manovrare l’opinione pubblica, da chi ha compreso come infiltrarsi tra la gente. Se da un lato risulta normalissimo portare nella torre un elefante e farlo muovere per i suoi corridoi, dall’altro far evacuare tutti gli abitanti risulta un’invasione. Bae Myung-Hoon si concentra molto nel delineare i contorni dei rapporti umani che del resto fanno la differenza in ogni aspetto della torre. Non solo quindi per la rete del potere ma per tutte le interazioni che rendono tridimensionale ogni aspetto della vita in un grattacielo che sembra un po’ una gabbia dorata. Entrarci è un privilegio enorme, ma di fatti la speranza che ne deriva è l’aiuto reciproco tra sconosciuti che scatta quando tutto sembra perduto e tali da renderne memorabile ogni aspetto.
Il particolare da non dimenticare? Una borsa limited edition…
Bae Myung-Hoon con il suo stile asciutto descrive quindi una società-nazione ancorata in una torre piena di contraddizioni e di spinte, di lotte e compromessi e che fa immergere il lettore in un mondo fuori dal tempo e allo stesso tempo profondamente ancorato nei problemi della nostra società. Un ritratto astratto e spietato che induce a mettersi in discussione.
Buona lettura guys!
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DI ANTICOMUNISMO, SINISTRE DI DESTRA E ALTRO
La ribellione del villaggio Napaken contro i colonialisti francesi (Museo provinciale di Savannakhet)
C`e` un tema importante che ho riscoperto arrivando a Savannakhet, quello delle memorie dei conflitti. Vivo in una cittadina, Luang Prabang, che ha una storia filomonarchica abbastanza delineata. La figura del Re ancora oggi serve ad alcuni per ricordare un passato migliore del presente. E` soprattutto un baluardo anticomunista oltre che un'istituzione potenziata dalla colonia francese per facilitare il controllo locale. Tra i racconti preferiti dai turisti che non vedono l`ora di scoprire qualche segreto laotiano ci sono, ad esempio, le storie degli autisti del re finiti in campi di rieducazione e probabilmente morti li`. L`aristocrazia della citta` si e` invece rifugiata all`estero, negli USA e in Francia, soprattutto. Alcuni di loro sono ritornati nella terra degli ancestri per cercare radici spesso nascoste da un hotel o da un centro massaggi o da un ristorante. Non esiste pero` un racconto scritto o per immagini della guerra civile in città. Si possono ascoltare storie ma il superamento del trauma bellico a Luang Prabang e` stato trainato dall`industra turistica ed ha prodotto un radicale spostamento della critica rivoluzionaria allo sfruttamento coloniale, al suprematismo bianco o all'ingerenza di entità economiche sovranazionali, verso una meticolosa revisione indigenista della storia locale per fini commerciali e recentemente anche anticinesi.
La presa di Atsaphangthong (vicino Savanakhet). Museo Provinciale di Savannakhet
Savannakhet sorge invece in una storia contesa a partire da un tentativo mai completato di cancellazione delle reminiscenze militari della citta`. Come accennavo nel messaggio su telegram di ieri, la citta` tutta fa parte di un grande rimosso, di una guerra segreta combattuta su vasta scala, di cui si sa molto poco ma che fornisce spunti per comprendere altre guerre, combattute su altre geografie forse con strategie militari assimilabili. Da un punto di vista sociologico, l'elemento piu` interessante che ho trovato riguarda gli spazi del divertimento militare, ma sarebbe meglio dire paramilitare, cosi` profondamente legati alla ricerca dell`oblio e del non riconoscimento dell`Altro. Le accoglienti fumerie di oppio e di eroina, i prostiboli appartati, le strade strette e le poche finestre verso `fuori` degli edifici creano dei luoghi perfetti per l`intimo e personale superamento della soggettivita`. Qui l`annullamento avveniva con discrezione e permetteva facilmente di spingersi fino alle estreme conseguenze piu` distruttive, da quelle del sè come il suicidio o la perdita di ragione, a quelle dell'altro da sè, come lo stupro, la pedofilia e altro ancora. Questa possibilita` di perdersi era per così dire facilitata proprio dalla non esistenza di Savannakhet e della base militare americana non lontana. Ogni epistola o racconto ufficiale disponibili negano oppure omettono questo "dettaglio" producendo un senso di impunità storica dell'impero.
Vorrei allora raccontare come questa non esistenza e questo perdersi sono stati reinterpretati attraverso le testimonianze architettoniche di due cinema. Il primo, qui sopra, era il cinema ``americano``. Costruito alla fine degli anni `50 in stile post art-deco`, era utlizzato dai soldati in licenza per diversificare il loro divertimento. Dopo la guerra e` rimasto inutilizzato fino a un anno fa quando e` partito un progetto di restauro che gli ha dato nuova vita attraverso una caffetteria, un ristorante vietnamita e un negozio di fotografia e di abbigliamento fashion.
È servita una lunga opera di convincimento dei quadri locali del Partito per riaprire al pubblico un ex cinema che molti consideravano un`icona da cancellare del passato colonialista. Al suo posto, per eliminare anche la memoria di svago associata alle ore di proiezione di film stranieri, negli anni '80 fu costruito un altro cinema, questa volta con architettura sovietica, voluto dal consulente russo del Partito che si trasferì a Savannakhet alla fine della guerra. Si trova a soli due isolati da quello americano e in qualche modo voleva ribadire la rovina del vecchio e la vittoria del nuovo.
A Luang Prabang non ci sono cinema (c`e` un teatro che non ha mai avuto funzione di cinema). Nella capitale del Laos, Vientiane, e` stato aperto un multisala ipermoderno dentro un centro commerciale pochi anni fa in cui si proiettano film borghesi tailandesi e alcuni blockbuster holliwoodiani. In una cittadina nel Laos centrale, di non piu` di 100.000 abitanti ci sono invece ben due cinema d'essai, di cui uno, quello russo, prima che si fondesse il proiettore, anche funzionante. Il ritrovare questi cimeli di una guerra non raccontata, insieme ad un piccolo museo che si azzarda a mostrare le immagini di una guerriglia contadina armata di braccia e baionette contro gli aerei americani, mostrano un Laos completamente assente in una citta` monarchica come Luang Prabang, o rivolta al capitale come Vientiane. Fuori dai mondi del turismo educati se non dall`anticomunismo, certamente dalla sua sconfitta storica avvenuta nel 1989, si riscoprono genti nei margini, orgogliose di un cinema sovietico e di un ex cinema americano ora adibito alla cucina vietnamita e alla degustazione di caffè locali.
E` proprio a partire da questa consapevolezza che in citta` si articola, a mio parere, un movimento urbano che sta ricostruendo il passato oltre "l'invenzione delle tradizioni" ma in bilico tra un discorso "comunista inattuale" e il bisogno di connettività col resto del mondo "social". Per due generazioni i temi che riguardavano la guerra civile sono stati trattati con estrema difficolta`, sia per i traumi personali che si erano vissuti, sia perche` si temeva di raccontare visto che non tutta la guerra era terminata. Lo scontro sucessivo all`uscita degli americani riguardo` infatti regolamenti di conti molto locali, tra fascismo ed antifascismo e molteplici gradazioni riscontrabili in aree piu` remote dove la partecipazione alla guerra segui` soprattutto reti familistiche e appartenenze di clan piuttosto che vere e proprie ideologie e visioni del mondo. Tutto cio` ha prodotto una relazione profondamente paronoide con la vita pubblica che le nuove generazioni stanno provando a mettere in discussione. Per farlo, riutilizzano e contaminano di idee globali spazi chiusi da tempo in modo da trattenerli prima che li scopra il capitale. Simultaneamente la città si sposta e mentre il cinema russo col suo proiettore fuso e le sue scomode sedie di legno attende una modernizzazione da multisala, il vecchio cinema americano si rifà il trucco e diventa incubatore di imprenditoria giovanile e delle leggi del mercato. Qui spiccano nuove eroine del femminismo neoliberale o capitalista come quelle rappresentate nella foto in basso, esposta nel ristorante "non vegetarian friendly" dell'ex-cinema.
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Prima di concludere le considerazioni relative al Premio Strega 2020, prendiamoci qualche momento per parlare di letteratura. Parliamo di "Reality" di Giuseppe Genna.
Ai più attenti non sarà sfuggito che la prima metà del 2020 è stata segnata da una pandemia. Questa segnatura è avvenuta secondo le modalità proprie del nostro millennio: non l'impatto inequivocabile di una catastrofe, non l'eco di una notizia che si diparte da un epicentro e si trasmette uniformemente - come avvertimento, sentenza, anticipazione - fino ai confini della civiltà. Le dinamiche dell'Evento ipermoderno sono confuse, un intreccio inspiegabile di assolute evidenze e beffardo scetticismo, di spiegazioni contraddittorie, certezze prive di soggetto, dubbi privi di metodo e di scopo. Eppure, resta innegabile che un Evento c'è stato, che il tempo si è contratto in degli spazi precisi e da lì ha vibrato ovunque, rompendo l'illusione della continuità.
L'Evento resta innegabile perché non ha bisogno di essere affermato. È fatto di prove tangibili, non si presta alla testimonianza del singolo come un oggetto ben individuato - la Storia a cavallo che attraversa le strade di Jena. L'Evento è un'atmosfera, una vibrazione che costituisce il basso continuo di ogni tonalità emotiva, ogni gesto, ogni discorso - anche il discorso che lo nega.
L'Evento, dunque, è al centro del libro di Genna. Il sottotitolo - "Cosa è successo" - dice subito della collocazione dell'autore e di noi tutti, che pur siamo ancora coinvolti in tutto questo, eppure non possiamo che considerare la pandemia come qualcosa che "è successo". L'Evento è sempre passato, presentissimo perché passato, un rivolgimento del reale di fronte al quale non possiamo che essere presi alla sprovvista, immaginando che tutto possa continuare a succedere come prima. E invece no, perché qualcosa è successo.
In un bellissimo articolo Walter Siti scrive che la letteratura ha senso solo come una specifica forma di conoscenza. Ho sempre considerato Genna come un esempio di questa posizione, ma con una clausola: se così dev'essere, non basta rifiutare il modello dell'intrattenimento e consegnarsi a un ideale preconfezionato di "conoscenza". "Non abdicare alla letteratura", con le parole di Siti, significa pensare la conoscenza a partire dalla letteratura, e non viceversa. Al modello tradizionale della conoscenza "esatta", della giusta misura che non coglie "né troppo, né troppo poco", la scrittura di Genna risponde dicendo sempre - programmaticamente - troppo e troppo poco. È il doppio vizio bruniano fatto inchiostro, lontano da qualsiasi intento semplicemente cronachistico.
Una pagina di Reality lo esprime, secondo me, con chiarezza estrema: «Devo vedere tutto, riportare tutto, ogni parola, ogni gesto compiuto, ogni tattica e ogni azione, comporre il tuo ritratto, descrivere le condizioni interne al carcere, interne ai reparti di terapia intensiva, interne a ogni appartamento di questa città infame, ogni appartamento ricco, ogni appartamento povero, stilare il bilancio, pensare all'oltre, immettermi ovunque, provocare qualsiasi reazione, amare intensamente e più profondamente odiare, confondere le acque e inventarmi una realtà che non c'è, restituire il senso della morte, infittire di parole tutto, tutto ciò che esiste, ogni respiro in affanno, i bronchi saturi di siero, i funerali interdetti, la molecola lunare del virus, le abiezioni prima e durante e dopo il contagio, dissuadere chiunque che esista un dopo il contagio, sollecitare le rivolte e vivere il male fino in fondo, stringere un mercuriale in mano, impersonare il monatto e il delatore e prendere le parti dell'abominio e sacralizzare la vita, le puttane, i preti, i più umili, i più disdicevoli tra noi, tutta l'ostetricia che fa venire alla luce il nuovo mondo, poi cancellarmi da qui, privo di nome e di risguardo, ignoto o ignorato, una sola voce lontana, solo offuscato, e piano piano andarmene...».
Ho letto "Reality" settimane fa, e da allora non ho smesso di pensarci. Non è un libro da leggere nel "tempo libero", la sua costituzione non obbedisce alla scansione dei ritmi del lavoro e dell'intrattenimento, né del sonno e della veglia. L'ho letto di notte e di giorno, seduto, camminando. L'ho letto e riletto, mi sono fermato, ho ricominciato, perché in questo caso l'esperienza letteraria non può essere ridotta all'esigenza volgare di macinare un certo numero di pagine al giorno o di "integrare le proprie conoscenze", qualsiasi cosa ciò possa significare. Non è nemmeno questione di gusti, di carattere o di inclinazione: se questo è ciò che vogliamo chiamare "soggettivo", siamo ben oltre.
Questa scrittura arriva dal profondo, dallo spazio mitico in cui solo è possibile porsi un compito impossibile, fare di questa impossibilità un compito. Qui non ha senso porsi il problema del rapporto del linguaggio e realtà, chiedersi se il linguaggio riesca a "toccare" il mondo - il dire come prova, come descrizione più o meno veritiera. Prima di descrivere oggetti e ambienti, il punto è intercettare i moti tellurici che costituiscono la nostra attuale esperienza del reale, amplificarli, distorcerli fino a renderli evidenti. Nello spazio della scrittura di Genna il linguaggio avvolge il reale, lo gratta, lo impasta e lo dilata, sottraendosi al chiacchiericcio delle opinioni e delle tesi, rimanendo al di qua e al di là dell'inaccettabile esigenza di convincere qualcuno. La testimonianza è altro, la scrittura è altro, la scrittura è questo.
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alla trasmissione QUANTE STORIE, Rai3 (a cura di Giorgio Zanchini), MASSIMO RECALCATI parla del suo libro: Le nuove malinconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno, Raffaello Cortina, 2019
alla trasmissione QUANTE STORIE, Rai3 (a cura di Giorgio Zanchini), MASSIMO RECALCATI parla del suo libro: Le nuove malinconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno, Raffaello Cortina, 2019
vai a QUANTE STORIE
https://www.raiplay.it/video/2019/12/quante-storie-del-02122019-Massimo-Recalcati-be87aed4-d700-41ba-be29-53322e0cdb8e.html
vai all’indice del libro:
https://mappeser.com/2019/11/11/recalcati-massimo-le-nuove-malinconie-destini-del-desiderio-nel-tempo-ipermoderno-raffaello-cortina-2019-indice-del-libro/
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12 anni. nuova stagione. Primo episodio
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/12-anni-nuova-stagione-primo-episodio/
12 anni. nuova stagione. Primo episodio
12 anni. nuova stagione. Primo episodio
IL diventa il. Mai pensato a un giornale come a una serie di culto?
Il 27 marzo è la data per scoprire la ‘nuova stagione’ di Il, il magazine del Sole 24 Ore: nuovo logo, nuovo formato, nuova art direction internazionale, nuova scansione editoriale.
Dalla rivista alla piattaforma integrata digital, social ed eventi. Ogni numero un episodio, con una copertina-evento.
Ciak, si stampa! 10 nuovi episodi, 10 guest star, 10 cambi set. Nato 12 anni fa, “Il” esce in una versione completamente rinnovata. E ogni numero sarà una sorpresa, ogni volta diversa ma con un minimo comun denominatore: l’integrazione nel Sistema Sole 24 ORE.
Cambia a partire dal protagonista: un professionista attento alla moda e allo stile, un uomo contemporaneo e all’avanguardia, non influenzato da, ma appassionato di, non seguace ma leader. Un consumatore di prodotti top di gamma, ma anche innovativi che possano essere espressione di sé.
Nuova l’immagine, con art direction & photography internazionale, un network di talenti e professionisti guest star tra fotografi e fashion editor internazionali per interpretare in chiave originale e unica la product culture in ambito moda, design, auto, food e tutti i settori chiave del magazine.
Nuovi gli episodi: 10 numeri sviluppati con il nuovo concetto di cover drop: un piano editoriale in cui ogni copertina è un evento, una special release, attraverso la forza di un’idea che è in grado di far parlare di sé, trasformando ogni numero in un oggetto del desiderio per il lettore, una serie limitata.
Nuova la sceneggiatura ovvero la scansione editoriale aperta ed inclusiva dove alla gerarchia degli argomenti si sostituisce la gerarchia dei trattamenti.
Un’evoluzione a tutto tondo: non solo un giornale rinnovato nei contenuti e nell’immagine, ma un giornale che sarà nuovo ogni mese, grazie a speciali iniziative, a partire dalla copertina-evento, per una nuova avventura, per un nuovo episodio.
Tutto questo è possibile grazie alla rivoluzione del nuovo formato che valorizza la verticalità, come nella lettura sui device e sugli smartphone.
Rivoluzionario ed essenziale il nuovo logo: radicalmente essenziale, al contempo ipermoderno e primitivo.
La struttura editoriale passa da una gerarchia degli argomenti ad una gerarchia dei trattamenti: avrà una struttura a pettine, con elementi grafici di ‘navigazione’ verticale.
Il nuovo progetto grafico è frutto della collaborazione con MA+Creative, parte di M+AGroup, player internazionale presente a New York, Londra, Parigi e Milano con all’attivo partnership innovative dalla moda al lusso, dall’editoria alla tecnologia.
Che cosa c’è nel nuovo “Il”? Più moda, ma non solo. Nuove rubriche e nuovi servizi rivolti a tutte le passioni maschile: in ogni numero anche più tecnologia, più automobili, più moto, più vino.
“Il” è un giornale di protagonisti della contemporaneità che saranno scoperti, indagati, raccontati, intervistati con format narrativi ogni volta diversi e su misura.
“Il” ha un Il-factor: pretende di essere utile sempre, anche nell’intrattenimento. La sua mission è quella di creare piacere in tutto ciò che crea cultura del prodotto, potere personale, benessere e successo economico.
Per questo “Il” è il coach per il successo, con nuovi spazi di coaching e formazione al successo per essere eleganti, sicuri, informati, connessi e connoisseur, sportivi, innovativi, globetrotter e globalizzati.
Non solo. Il nuovo “Il” diventa una piattaforma integrata arricchita da una nuova sezione verticale all’interno del Sole24ore.com, da una presenza social sempre più rilevante, da un’inedita produzione editoriale in libreria e da un sistema di eventi esclusivi. Il magazine sarà poi sostenuto da un sistema di comunicazione sia advertising sia social e da extra tirature funzionali ad un’attività di distribuzioni mirate per ogni numero con l’obiettivo di ampliare la visibilità e il target.
Un assaggio del nuovo “Il”, che debutterà in edicola con Il Sole 24 Ore il 27 marzo, è stato svelato oggi in anteprima esclusiva nella suggestiva cornice del Piccolo Teatro di Via Rovello a Milano, dove clienti e investitori pubblicitari sono stati invitati ad una speciale “Colazione a Teatro” introdotta da un monologo di Massimo Popolizio sull’identità maschile.
Dal palco del Piccolo Teatro il Direttore Generale della concessionaria 24 ORE System Federico Silvestri ha spiegato: “Con il nuovo originale concept di “Il”, i nostri partner avranno la possibilità di essere gli ‘attori protagonisti’ di quella che diventerà la ‘serie’ dell’anno, caratterizzata ogni mese da una ‘puntata-evento’ con guest star e firme internazionali del mondo della fotografia e seguita da un’audience di fascia altissima, attenta a tutto ciò che è nuovo ed esclusivo. L’innovazione sarà rappresentata soprattutto da una nuova piattaforma integrata nel Sistema Sole che garantisce una visibilità editoriale amplificata.”
“Siamo molto felici di presentare al mercato il nuovo “Il” a cui abbiamo voluto aggiungere una ‘dimensione internazionale’ nel concept e nelle collaborazioni, come punto di osservazione aumentato, che si svilupperà attraverso una piattaforma innovativa su carta, digital, eventi e libri” ha dichiarato durante l’incontro Karen Nahum, Vicedirettore Generale Publishing & Digital del Gruppo 24 ORE.
Il Direttore del mensile “Il” Nicoletta Polla Mattiot ha raccontato la nuova filosofia del magazine sottolineando come “in un mondo globale, fermarsi equivale a fare un passo indietro, cambiare significa stare al passo, innovare è spingersi un passo avanti. La spinta al futuro nutre la nuova stagione di IL.
Non è ossessione del nuovo, ma propulsione al meglio, e non c’è limite alla possibilità di migliorare. Di qui la volontà di offrire ai nostri lettori un giornale-destinazione, multipiattaforma, che supera la classica visione “frontale”. Il – conclude Nicoletta Polla Mattiot – è un punto di partenza, invita il lettore a continuare. Fa leva sul potere dell’immaginazione per passare dall’emozione all’azione. Prima leggi e poi fai (esci, inventi, costruisci, esplori, provi nuove esperienze, entri in un network).”
E come nelle migliori serie, TO BE CONTINUED! Quello di oggi al Piccolo Teatro è stato infatti solo il primo teaser. Anche la presentazione di “Il” è strutturata a “episodi”. Edizioni speciali, ospiti speciali, eventi speciali: il prossimo appuntamento sarà fra 10 giorni per un’altra rivelazione.
IL diventa il. Mai pensato a un giornale come a una serie di culto? Il 27 marzo è la data […]
Elena Luviè
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IL TABÙ DELLA FEDELTÀ
" Il tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà inneggiando una libertà fatta di vuoto. Tutto ciò che ostacola il dispiegarsi della volontà di un soggetto appare come un residuo moralistico destinato ad essere spazzato via da un libertinismo vacuo sempre più incapace di attribuire senso alla rinuncia. "
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In primo piano è l'esperienza dell'ingovernabile che si rivela innanzitutto nella non coincidenza tra la vita del soggetto e quella della sua coscienza. È la lezione che Freud eredita da Schopenhauer e da Nietzsche: la forza pulsionale della vita trascende la coscienza, la quale non è altro che una formazione reattiva e difensiva nei confronti del carattere debordante di quella forza. Siamo agiti da una spinta che non possiamo domare né con la nostra ragione, né con la nostra volontà. Ogni sogno di padronanza dell'Io deve essere abbandonato. Tutte le forme delle cosiddette dipendenze patologiche — dal sesso, dal gioco, dalle sostanze, dagli oggetti tecnologici — offrono un ritratto estremo ed inquietante dell'ingovernabile: il giocatore d'azzardo, come il tossicomane o l'alcolista, non possono resistere alla spinta maledetta che li incatena perversamente alla loro passione. Questa dimensione dell'ingovernabile contraddice un certo ideale superomistico di cui il nostro tempo sembra vantarsi. Contraddice l'ideale ipermoderno di una vita compiuta, sufficiente a se stessa, computerizzata, autonoma, capace di governare con sicurezza il proprio destino. Ma la vita non è mai riducibile a un algoritmo. Il caos non è l'opposto gnostico del cosmos, ma la sua matrice, la sua ombra, il suo sangue. Sempre la vita contiene un eccesso che ci sgomenta. Niente, scriveva Lacan, fa più paura della «sensazione della vita».
Vivere facendo amicizia con l'ingovernabile è una promessa impossibile? Un giusto governo della città — come quello di un corpo — non può non implicare il vortice del cambiamento, la pluralità irriducibile degli interessi particolari, la polifonia delle culture e delle etnie differenti. Non si tratta di eliminare il disordine ma di dare al disordine una giusta forma.
L'impatto con l'ingovernabile ci costringe a convivere, a fare amicizia con lo straniero. Questo comporterebbe un cambiamento radicale di mentalità. Non si tratta affatto di rassegnarsi alla potenza del Male o del Caos, ma di fare spazio a una vulnerabilità condivisa. Le arti della poesia e della scrittura offrono già un esempio illuminante di quanto sia necessario accogliere l'esposizione all'ingovernabile per rendere possibile la creazione. Anche dalla psicoanalisi può venire un'indicazione preziosa: l'accanimento nella volontà di governo che pretende di sopprimere il disordine tende sempre a rovesciarsi nel suo contrario; un ordine ottenuto con l'applicazione crudele del potere è peggio del male che vorrebbe curare; ogni volta che l'ambizione umana cerca di realizzare un ordine senza disordine si scontra fatalmente con delle manifestazioni straripanti e anarchiche del disordine. Il governo giusto non è quello che persegue lo scopo di annullare l'ingovernabile, ma quello che lo sa ospitare.
m.r.
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Tommaso Paradiso infinito
Dall'indie alle spiagge con i Thegiornalisti: fenomenologia di quello che è forse il primo artista ipermoderno della musica italiana.
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IPERMODERNITA’
Autori: Arianna Lenzi, Federico Bertesi e Giulia Guido
Con il nostro progetto di ricerca fotografica ci siamo voluti concentrare su diversi aspetti legati al macro concetto di “ipermodernità”.
Partendo dalla modernità che oggi permea il contesto sociale, abbiamo riflettuto su come siano cambiati i modi di interagire fra di noi e di relazionarci con il mondo che ci circonda: l immagini trovate sono rappresentative di un’umanità che ha cambiato modo di comunicare e tende a vetrinizzare, a voler condividere anche se, in tante situazioni, dimostra di non essere in grado di condividere davvero.
Per quanto riguarda i mercati ci siamo concentrati sull’odierna immaterialità dei pagamenti, di quanto la velocità e l’immediatezza degli stessi troppo spesso crei straniamenti, incapacità di gestire il denaro, scarsa considerazione dello stesso e attaccamento verso gli oggetti.
Parlando di tempo e spazio ipermoderni ci siamo voluti soffermare sulla velocità con la quale oggi è possibile spostarsi da un punto all’altro del pianeta: una tendenza che rende le dimensioni più ragionevoli, ma che crea un senso di straniamento. Ora tutto è così vicino, e facilmente raggiungibile, che i chilometri e le diversità hanno perso il proprio valore e la propria importanza. Stessa tendenza seguita dalla comunicazione istantanea, ora sempre più alla portata di tutti, in ogni secondo. Il problema creato da questa situazione di “perenne connessione” è di un progressivo allontanamento dalla veridicità dell’informazione, e dal controllo della stessa. Ora tutti sono in grado di diffondere notizie e conoscenze, senza che queste abbiano modo di raggiungere il pubblico tramite il filtro dell’integrità, della deontologia e della veridicità.
Anche l’ambiente, oggigiorno, risente dell’influenza del continuo cambiamento e dell’intervento umano, sempre più decisivo.
La natura è sempre più spesso manomessa per venire incontro a necessità di spazi e infrastrutture modernissime, che sappiano offrire un’esperienza unica e fuori dalle righe, oppure viene ricreata in maniera esasperata, risultando in un panorama spesso artificioso.
Anche il design ipermoderno segue questa tendenza, volendo affermare la supremazia di oggetti di lusso e pezzi unici.
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