#dato che è ispirato anche da quello
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Mi devo segnare questi libri e dare un'occhiata. Leggo meno di quello che vorrei, ma magari se vedo che potrebbero interessarmi, prima o poi. 😊
"Tu?" 💀 Ricordati sempre che hai tutto il tempo per fare altre cose quando mi fai delle domande, non stare incollata allo schermo aspettando me.
Non credo di avere un libro preferito, mi sento in soggezione 🫣 non voglio che tu legga un libro su mio consiglio. Se proprio devo dire qualcosa ricordo che ai tempi delle superiori apprezzai molto qualche lettura di Italo Calvino, come il Barone Rampante. Ricordo che mi piacque immaginare il Mondo Sommerso di Ballard, anni fa. Sono affezionato alla saga di Fallen, ho visto pure il film al cinema quando uscì.
Direi All Time Low perché li seguo da anni e se passano in Italia quasi sicuramente mi puoi trovare al loro concerto. Per fare altri nomi: molti anni fa avrei indicato i Linkin Park probabilmente, come band preferita (purtroppo non sono mai stato a un loro concerto, ricordo ancora i brividi quando sono venuto a conoscenza del suicidio di Chester); blink-182, Sum 41.
In casa mia non possono mancare: un'impastatrice e un forno; il necessario per giocare, quindi le console che posso permettermi, un computer; un phon con cui asciugare i capelli alla mia ragazza ipotetica.
Fra 10 anni per me saranno 37. Sarò sicuramente, e finalmente, sistemato, un uomo indipendente economicamente parlando. Mi immagino in una casa, a convivere, con una donna che riesca a vedermi e io con gli occhi pronti per lei. Magari con una bambina in arrivo? *vomita arcobaleni*
Meglio tardi che mai si dice no?
Non conosco il tuo genere quindi non so cosa potrebbe piacerti, Amleto è sicuramente un classico, ambientato in Danimarca ed è una tragedia; Storia di una ladra di libri si svolge durante la seconda guerra mondiale anche se tratta anche e soprattutto la tematica dei libri potrebbe dirsi anch'esso una tragedia ed infine le pagine della nostra vita è un romanzo rosa, d'amore insomma ispirato ad una storia vera.
Tranquillo che mentre rispondevi o scrivevi io stavo preparando e consumando la mia cena quindi non devi preoccuparti, mi fa senz'altro piacere leggere quanto hai da dire, ma non vivo attaccata al telefono per fortuna. 😊
I testi di Calvino sono gettonati tra le scuole medie e le superiori, lessi anch'io il Barone rampante, il visconte dimezzato ed anche il cavaliere inesistente oltre che in quinto liceo i sentieri dei nidi di ragno. Trovo Calvino un bravo scrittore, seppure non tra i miei preferiti indubbiamente sapeva scrivere.
Il mondo sommerso di Ballard e Dalle non gli ho mai letti, potrei sicuramente apprezzare e reperire il primo, mentre nono sono certa di poter apprezzare il secondo, dovrei prima informarmi, avevo visto che era stato trasposto cinematograficamente, ma non gli ho mai dato una possibilità, magari dovrei e potrei ricredermi. Ti farò sapere in caso.
Non volevo metterti soggezione, in compenso trovo bello leggere un libro su consiglio di qualcuno o, meglio ancora, per capire meglio qualcuno e conoscerlo meglio.
Dei gruppi citati posso dire di conoscere bene sono i Linkin Park e mi è spiaciuto enormemente per il suicidio di Chester, la musica ha perso una bravo artista. Gli altri gruppi li conosco di nome, ma non ho mai ascoltato molto della loro musica perciò non mi permetto di dare giudizi.
Gli oggetti che non possono mancare in casa tua hanno tutti il loro perché soprattutto essendo che ami i videogiochi, che fai dolci che sembrano davvero invitanti ( mi sono permessa di sbirciare tra i post e mi è venuta fame già solo dalle foto) ed il phon è un pensiero dolce e molto carino, poi comunque serve sempre averne uno ☺️.
Con vomita arcobaleni mi hai fatta ridere, grazie, sembra una bella prospettiva che ti auguro tu possa realizzare. 🌈
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Storia Di Musica #267 - Black Sabbath, Greatest Hits, 1977
Questo è uno degli album con la storia più strana del mondo rock. Con protagonista una delle band che più hanno colpito un certo immaginario collettivo. Ma partiamo dal filo conduttore delle Storie di Musica di Marzo, le copertina con quadri del Rinascimento. In quello di oggi, vi è una sezione del capolavoro del 1562, Il Trionfo Della Morte, di Peter Bruegel, conservato al Museo Del Prado di Madrid. Quadro di una drammatica bellezza, ha in sè una leggenda niente male: innamorato dello stile di Antonello da Messina, Bruegel, che era fiammingo, viaggiò fino in Sicilia per vedere i quadri del Misterioso maestro. E secondo molti critici lo sfondo di questo e di un altro suo leggendario capolavoro, Caduta Di Icaro (1558), sono ispirate a coste siciliane, e il mortifero cavallo della Grande Falciatrice in questo fu ispirato da quello dell’affresco, omonimo, ma di due secoli più antico, conservato adesso a Palazzo Abatellis a Palermo. E qui parte la storia strana del disco: il quadro non è nemmeno accreditato sulla copertina del disco quando uscì nel 1977 (e ancora adesso non compare in molte discografie ufficiali), perchè probabilmente questa raccolta era una carta di riserva della casa discografica NEMS (fondata da Brian Epstein, ma poi acquistata dal management del gruppo di oggi) preoccupata che qualcuno dei Black Sabbath potesse morire da un momento all’altro, vista la quantità e la qualità di cose pericolose che immettevano nel loro corpo in varie modalità. Dico subito che la storia non si può verificare in alcun modo, e rimane leggenda, ma dato che il disco ebbe diffusione bassissima, la alimentò a dismisura, quasi da considerare il disco una sorta di bootleg ufficiale e adesso è un pezzo forte del collezionismo (in qualsiasi pur pessima condizione vale almeno 100 €). I Black Sabbath erano esplosi 7 anni prima, quando per qualche centinaio di sterline e 12 ore in sala prove, Tony Iommi (chitarra), Bill Ward (batteria), Geezer Butler (basso) e John “Ozzy” Osbourne (voce), da Aston, periferia di Birmingham (all’epoca, uno dei posti più deprimenti dell’Occidente) creano, partendo dal blues, un qualcosa che mischiato con campane a morte, tuoni nella notte, urla disumane, chitarre lancinanti come lame infernali, un nuovo stile, l’heavy metal. La via esoterica al rock parte con i primi, clamorosi, cinque dischi: Black Sabbath (1970), Paranoid (stesso anno, il Sgt. Pepper’s del metal), Master Of Reality (1971) e gli appena più “affaticati” Vol. 4 (1972) e Sabbath Bloody Sabbath (1973). Nessuno prima di loro aveva aggredito in modo così “scabroso” gli spettatori, segnando, come raramente è accaduto, un genere. Il disco è semplicissimo: 10 brani, 5 dal fantasmagorico esordio, 3 da Paranoid e Vol. 4., 2 da Black Sabbath e una ciascuna dai restanti due. In scaletta tutti i brani mitici del gruppo, canzoni culto come l’allucinata Paranoid, la brutale e meravigliosa Iron Man, gli 8, incredibili minuti di War Pigs, che stravolgono il blues, la tosse che apre al riff già stoner di Sweet Leaf, ma anche la dolcezza del piano di Changes, il brano più romantico del repertorio, come Tomorrow’s Dream, che apre addirittura al romanticismo: “And let tomorrow's dreams\Become reality to me\So realize I'm much better without you\You're not the one and only thing in my heart\I'll just go back to pretending I'm living\So this time I'm gonna have the star part”. Il terremoto sonoro è completato dalle quasi omonime Black Sabbath e l’altro riff micidiale di Sabbath Bloody Sabbath. Mancano alcuni capolavori, riscoperti anche dopo anni, come Electric Funeral (da Paranoid, apocalittica) o la imprescindibile per i fan Children Of The Grave (da Master Of Reality). Quando uscì nel 1970 Paranoid, la rivista Rolling Stones, dopo averli pesantemente criticati per il primo lavoro, che nonostante tutto arrivò nella Top Ten inglese, scrisse: “Sul loro secondo e pesantissimo disco, Paranoid, troviamo lamenti sulla distruzione della guerra e l'ipocrisia dei politici, i pericoli della tecnologia e dell'abuso di droga”, parole che possono andare benissimo per questo disco antologico, introvabile ma magnifico. Va detto a onor di cronaca che la Nems sbagliò di pochissimo le previsioni di uno scioglimento, ma non per decesso, sebbene Ozzy e Iommi facevano a gare di riabilitazioni e entrate in cliniche: dopo il deludentissimo Never Say Die, uscito nel 1978, dove rispetto alla “brutalità” del punk neonato (che prese moltissimo dal loro essere iconoclasti) sembravano quelli di Top Of The Pops, Ozzy abbandona in un primo momento, poi finisce il disco, e se ne va definitivamente, sostituito nel 1980 da Ronnie James Dio, Ma quella sarà un’altra band, ed è anche un’altra storia.
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Questa sera sono andata di nuovo a fare un'esplorazione in libreria per cercare regali. Mi segno il link all'altro post che avevo fatto tempo fa per averlo comodo per le prossime occasioni. Questa volta stavo cercando qualcosa per un ragazzo di seconda media, un target relativamente inedito per me, anche perché mi ricordo cosa leggevo io, ma non ho abbastanza confidenza con lui da sapere se è roba che potrebbe apprezzare (e non so nemmeno se ci siano ancora in circolazione i miei titoli preferiti... ecco, ora che ci penso devo controllare se le raccolte di racconti della super junior mondadori siano ancora pubblicate e in che veste grafica, c'era serie di "storie di giovani ..." che mi piaceva un sacco e tipo quella degli alieni era a cura di Asimov e un paio di storie mi fanno ancora emozionare se ci penso *_*)
Intanto stasera volevo sfogliare un libro di cui avevo sentito parlare per mio papà e con l'occasione ho fatto una prima raccolta di titoli interessanti, poi vedremo.
Ho trovato questo "Noi inarrestabili" di Yuval Noah Harari che è una strana versione della storia dell'umanità e delle sue interazioni col mondo, con un filo conduttore del tipo qual è il nostro superpotere, ha anche delle belle illustrazioni ed è fitto di testo ma mi pare molto scorrevole e vorrei leggerne qualche altra pagina per capire meglio il taglio. Quello di Michela Murgia l'avevo già visto e mi era piaciuto, mi sa che lo volevo regalare anche a una mia amica e non ricordo se poi l'ho fatto per davvero, ma prima o poi lo prenderò sicuramente. Di libri come Lost in translation invece ne ho già regalati e ne ho pure io e mi piacciono un sacco, e sarebbe forse anche particolarmente adatto, considerato che il destinatario ha già vissuto in tre paesi con tre lingue diverse.
Questi sulla lotta alla mafia e sulla vita di Gino Strada me li segno qui, ma sono troppo impegnativi per questa occasione, così come altri sulla Resistenza, i migranti e la storia delle battaglie sociali e del femminismo che per fortuna ormai riempiono scaffali interi. Mi piacerebbe un giorno essere nella condizione di regalarli, ma ancora non ci sono le premesse.
Questi due romanzi me li sono salvati a promemoria degli autori: La figlia della luna di Margaret Mahy l'ho letto un sacco di volte (è uno degli ex Gaia Mondadori, una delle mie collane preferite da ragazzina) e vorrei vedere se ci sono altre opere della stessa autrice, invece quello di Gaiman non l'avevo mai sentito e vorrei provare a trovarlo in inglese, magari per l'anno prossimo.
Per il mio giovane destinatario ho pensato anche alla serie di pseudo-diari di Keri Smith, che mi guardano sempre dallo scaffale e che non ho ancora avuto l'occasione di regalare a nessuno >_< anche se ogni Natale mi cade l'occhio perché sono bellissimi secondo me. Forse il più interessante per cominciare è anche il più comodo da portare, la versione pocket del diario da distruggere, però anche quello degli sbagli mi piace molto - così come quello del museo - insomma, ho letteralmente l'imbarazzo della scelta u_u
Per le mie nipotine invece per una delle prossime volte mi sono segnata questi, che sono dei fumetti, dato che un vero e proprio fumetto loro l'hanno sperimentato poche volte e sarebbe anche ora di cominciare seriamente, dico io *_*
A proposito di fumetti, personalmente ho lasciato un pezzo di cuore davanti ai ricettari di ramen e dumpling a fumetti, sono bellissimi *_* il ricettario ispirato a LOTR potrebbe essere interessante pure lui, ma non ho avuto tempo di sfogliarlo (e purtroppo credo non ci sia nessun fumetto >_<)
E per finire, la Storia dell'editoria è il libro che ho preso per mio papà, ne avevo sentito parlare in un podcast e mi pare molto scorrevole e perfetto per lui. "Educare controvento" di Lorenzoni lo vorrei leggere io, così come quello di Munroe, che è una specie di esercizio mentale di quelli che mi tengono sveglia la notte ma nel senso buono, tipo le lunghe discussioni di approfondimento qui sul tumblr su roba assurda. Gli ultimi due li ho salvati proprio pensando chi qui sul tumblr è appassionato di flora e fauna come me (anzi anche di più, direi, a giudicare da alcuni post): il librone sui vermi è tutt'altro che breve, è un bel malloppo rosa fitto di informazioni, mentre il Bestiario selvatico stava nel reparto delle robe dei musicisti e della musica per via dell'autore, Massimo Zamboni, e ha delle belle illustrazioni realizzate da Stefano Schiaparelli raccolte tutte insieme alla fine.
E insomma, più ne vedo e più ne vorrei e la scelta è davvero difficile! Mi sa che dovrò fare almeno un altro giro u_u
(Ma a chi la racconto, starò come minimo qualche altra dozzina di ore a girare tra gli scaffali XD)
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CHEETOR ( Voyager ) Studio Series 98 *RISE OF THE BEASTS*
Tra le tante eventuali sorprese saltate a causa dello slittamento del nuovo film dal vivo dei Transformers, Rise of the Beasts, per via dell'accavallamento fra la normale linea di giocattoli e le uscite previste per quest'anno degli Studio Series dedicati ai personaggi del lungometraggio, una mi sa che era l'aspetto di CHEETOR, ben diverso da come si presenta nel giocattolo Deluxe che è stato comunque rivelato lo stesso prima della sua uscita.
Quest'ultimo infatti si dovrebbe basare su un design preliminare che vedeva il buon Ghepard ispirato pesantemente al suo primissimo look Beast Wars, rivisto recentemente in Kingdom, e la cosa onestamente non sarebbe neanche stata troppo male, ed il giocattolo stesso è bellino, nonostante l'ovvia ridondanza col succitato revival per War for Cybertron.
Ed invece poi spunta questo Voyager con un look ROBOTICO decisamente inedito, ma che richiama un po' a mio avviso quello del Beast Machines, in quanto alto ed imponente e sopratutto senza la testa della bestia sul petto. Ma volendo le tracce di pelo maculato su petto, bicipiti e cosce richiamano il Transmetal, o idem il fatto di non avere avanzi dell'alt mode dietro la schiena magari possono ricordare il TM2...
Insomma, parrebbe una sintesi degli aspetti precedenti del nostro felino robotico preferito, salvo la novità della testa con un accenno di orecchie ed una mascherina sulla bocca che lo fa somigliare al Marvelliano Black Panther! La colorazione inoltre nella sua ricerca di "realismo" non è male, con un marrone chiaro tendente all'ora lontano dal giallo iconico, ma abbastanza lontanto dal solito argento scuro che dei dettagli più meccanici in modo da spezzare l'eventuale monocromia che di solito attanaglia certi "Movieformer".
A rovinare magari un po' cotanta bellezza ci pensano un paio di avanzi della bestia, come il sedere appeso dietro le gambe, con la coda sù lungo la schiena e gli artigli delle zampe anteriori sulle mani, salvo che magari invece sono fedeli all'effettivo design in CGI che vedremo al cinema, anche se un indizio viene dall'artbox della scatola, che rincuora sulla movie accuracy, a parte solo gli artigli che invece sono solo due per mano.
Artigli che come forma ricordano quelli che invece si ritrova come piedi, davvero buffi perchè decisamente corti frontalmente ma per fortuna non minano la stabilità del robot dato che dietro come talloni si ritrova gli effettivi piedi delle zampe posteriori della bestia.
Altra innovazione gradita sono le armi, rappresentate da due lance dal design della punta l'una diversa dall'altra che possono unirsi in una unica lunga, e come scelta è pure interessante dato che richiama le armi primitive di certe tribù indigene che vivono nelle giungle, come il luogo dove si nascondono proprio i Maximal del film. Le due parti di lancia possono poi sistemarsi a riposo appese dietro la schiena.
Infine come posabilità siamo al top, con annessa rotazione di bacino e pugni oltre alle solite pose standard dei Generations degli ultimi anni, mentre come altezza è al livello di un Voyager medio alto: fermo restando che dai trailer visti sinora si è palesato come i Maximal non abbiano stazze realistiche rispetto agli animali che imitano nel loro alt mode, resta da capire come mai Cheetor sia particolarmente alto e non a livellod i "deluxe", nel film, ma tornando al giocattolo, come Voyager però è leggerino a livello di massa, nella sua essenzialità di robot senza particolari avanzi o dalla TRASFORMAZIONE poco arzigogolata, quindi forse bastava renderlo come un Deluxe alto, a sto punto...
Questo Cheetor cinematografico, infatti, si converte nella maniera più intuitiva e semplice per una bestia, ovvero con le gambe che diventano le zampe posteriori e le braccia quelle anteriori, ma almeno con qualche passaggio in più, come i pannelli degli stinchi che slittano dietro le cosce mentre ruotano i piedi di 180°, mentre le spalle si proiettano sopra / avanti, non prima di aver aperto il pannello della schiena per tirar fuori la testa del felino ed aperto quello del petto per poi nascondere quella del robot.
Il GHEPARDO robotico ha appunto un look quasi tecnorganico alla Beast Machine, anche se pare più meccanico avendo solo poche parti con le chiazze maculate nel corpo, ovvero principalmente sulla testa e sula schiena, abbastanza visibili, così come ci sono altre parti che sono scolpite come se fossero di pelo organico. Ci sono anche qui le parti in grigio scuro, ma forse avrebbe giovato alla bestia più dettagli delle macchie del felino, almeno paragonandolo alle immagini dell'artbox o a quella che si vede nel trailer del film.
Le zampe avrebbero ampio raggio di movimento, ma sono un po' bloccate a livello di spalle ed anche, mentre la testa ruota ma non gira lateralmente, però può muovicchiarsi un po' su e già per via di due cerniere apposite che però onestamente non me la sento di forzare troppo! ^^' Ah, le fauci possono aprirsi, inoltre.
La coda infine si alza ed abbassa alla base, e le due lance possono agganciarsi sulla schiena come già era nel robot.
Infine, una buona versione alternativa di Cheetor, valutandolo senza ancora aver visto le sue imprese sul grande schermo, ma che da una parte si eleva sia per il carisma storico del personaggio sia per le novità interessanti che lo fanno discostare dalle versioni precedenti del personaggio. Certo, magari un Voyager è pretestuoso per quel che alla fine deve fare il modellino, me magari potevamo cavarcela con un Deluxe pompato, ma vabbè, gli abbiamo dato il beneficio del dubbio iniziale.
#transformers#cheetor#ghepard#transformers 7#transformers rise of the beasts#transformers il risveglio#generations#studio series#voyager#maximal#hasbro#recensione#review
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AI Groove: Guns N' Roses, leggenda o sopravvalutati?
I Guns N’ Roses hanno marchiato a fuoco gli anni ’80 e ’90 con il loro sound potente e le loro figure iconiche, come il carismatico Axl Rose e il chitarrista Slash, diventando simboli di ribellione e autenticità. Nati a Los Angeles nel 1985, hanno combinato in modo innovativo elementi di hard rock, punk e blues, creando brani come Sweet Child O’ Mine, Welcome to the Jungle e Paradise City che sono diventati inni generazionali.
Ma cosa rende davvero i Guns N’ Roses una grande band? E perché, secondo alcuni, sono sopravvalutati? Vediamo entrambe le facce della medaglia.
Perché i Guns N’ Roses Sono Considerati una Grande Band
1. Un Suono Unico e Originale
I Guns N’ Roses sono riusciti a mescolare un approccio crudo e grezzo con melodie catchy e riff orecchiabili. La combinazione di hard rock e influenze blues ha dato vita a un sound riconoscibile, che rimane uno dei motivi principali della loro grandezza.
Slash, con il suo iconico cilindro e la sua Les Paul, ha contribuito a creare una delle sonorità più potenti della storia del rock, grazie a riff e assoli memorabili.
2. Energia e Carisma dei Componenti
I membri della band, in particolare Axl Rose e Slash, hanno personalità che si sono fuse con il loro stile musicale. La voce eclettica e teatrale di Axl, capace di passare da toni profondi a urla penetranti, ha catturato il pubblico, mentre la presenza scenica e il talento chitarristico di Slash hanno elevato ogni loro esibizione.
Gli spettacoli dal vivo dei Guns N’ Roses, spesso lunghi e imprevedibili, sono diventati leggendari per la loro energia e la loro intensità.
3. L’Album “Appetite for Destruction”
Pubblicato nel 1987, Appetite for Destruction è uno degli album più venduti e celebrati della storia del rock, con oltre 30 milioni di copie. Canzoni come Welcome to the Jungle e Sweet Child O’ Mine hanno definito un’epoca, divenendo subito simboli della cultura rock.
La forza di questo album sta nell’essere riuscito a catturare perfettamente l’energia ribelle e l’angoscia dei giovani dell’epoca, senza compromessi.
4. La Loro Influenza Culturale e Musicale
I Guns N’ Roses hanno ispirato una generazione di artisti e di band, contribuendo alla rinascita del rock durante un periodo in cui la musica pop e new wave dominavano le classifiche.
Anche grazie alla loro estetica e al loro stile di vita ribelle, sono diventati simboli della controcultura, influenzando non solo il mondo musicale, ma anche quello della moda e dell’immagine rock.
Perché i Guns N’ Roses Potrebbero Essere Sopravvalutati
1. Incoerenza della Carriera
Dopo l’enorme successo di Appetite for Destruction, la carriera dei Guns N’ Roses è stata segnata da alti e bassi. L’uscita dell’ambizioso doppio album Use Your Illusion I & II nel 1991 è stata accolta con entusiasmo, ma i lunghi periodi di inattività e i continui cambi di formazione hanno portato molti a vedere la band come incostante e poco affidabile.
La difficoltà della band di rilasciare nuova musica, culminata nell’attesa di quasi 15 anni per Chinese Democracy (2008), ha ridotto il loro impatto artistico e li ha resi vulnerabili alle critiche di stasi creativa.
2. La Personalità Controverso di Axl Rose
Axl Rose, frontman e figura centrale della band, è noto per il suo carattere difficile e imprevedibile, sia nei confronti del pubblico che dei compagni di band. Liti interne, concerti iniziati in ritardo o cancellati e scontri con altri artisti hanno contribuito a creare una reputazione di inaffidabilità.
Molti fan hanno iniziato a stancarsi di questi comportamenti, vedendo in lui una figura più egocentrica che autentica, e questo ha minato la loro popolarità.
3. Produzione Limitata di Nuova Musica
Con pochi album pubblicati rispetto ad altre grandi band, i Guns N’ Roses non hanno una discografia ampia o variegata. Dopo Appetite for Destruction e Use Your Illusion I & II, non ci sono stati nuovi successi di grande impatto fino all’uscita di Chinese Democracy, un album accolto tiepidamente e lontano dallo stile rock degli inizi.
Questo rende difficile per la band giustificare il loro status leggendario agli occhi di alcuni critici e fan, poiché il loro impatto si basa principalmente sui successi di un’unica fase della loro carriera.
4. Dipendenza dalla Nostalgia
I recenti tour di reunion hanno avuto un enorme successo, ma molti critici ritengono che sia più per motivi nostalgici che per reale valore musicale. I concerti attirano fan affezionati ai vecchi successi, ma non offrono necessariamente nuove prospettive artistiche.
Questa strategia di capitalizzare il passato senza innovare fa sì che alcuni vedano i Guns N’ Roses come una band che vive della propria eredità senza portare novità nel panorama musicale.
Conclusioni: Leggenda Immortale o Semplicemente Sopravvalutati?
La grandezza dei Guns N’ Roses è innegabile per molti versi: il loro impatto sulla scena rock, l’influenza culturale e il carisma dei membri li rendono una band iconica. Tuttavia, le loro carenze in termini di costanza, originalità continua e produzione musicale negli ultimi decenni possono effettivamente sostenere l’idea che, nel tempo, siano diventati sopravvalutati.
Nonostante le critiche, la capacità dei Guns N’ Roses di attirare e appassionare il pubblico con i loro brani classici rimane una testimonianza del potere della loro musica. Forse non sono stati sempre coerenti o prolifici come altre band, ma il loro contributo al mondo del rock è stato senza dubbio profondo e duraturo.
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Guardiani della Galassia Vol. 3: un meraviglioso capitolo finale
James Gunn termina il suo percorso in casa Marvel Studios con Guardiani della Galassia Vol. 3, un film maturo, ispirato, struggente e dedicato al senso d'appartenenza e alle ferite che ci rendono unici, confezionando un cinecomic indimenticabile.
James Gunn ha sempre avuto le idee chiare sul percorso dei suoi Guardiani della Galassia. Non ci è dato sapere se le cose sarebbero andate diversamente, qualora non fosse accaduta la vicenda del licenziamento e successiva re-integrazione, ma quel che è certo è che l'attuale co-ceo DC Studios non avrebbe desiderato comunque una successione infinita di sequel per il suo amatissimo gruppo di imbecilli. Li ha sempre sentiti suoi, sin da quando mostrò a Kevin Feige di essere la persona giusta per trasporli sul grande schermo con passione ed entusiasmo. In quasi dieci anni è cresciuto e cambiato con loro, restando sempre quell'autore un po' "weirdo" che tanto lo ha aiutato a immedesimarsi e concepire cinematograficamente i suoi Guardiani, re-interpretandoli in chiave personale e raccontandoli come una vera e propria famiglia di disadattati eroi spaziali, stramba e irresistibile eppure forte e umanissima.
Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer
È soprattutto con Rocket (Bradley Cooper) che James Gunn ha empatizzato di più, creando per lui un'evoluzione psicologica e caratteriale profondamente marcata e significativa, tanto da sentirsi in dovere di dargli una giusta conclusione, uno di quei finali che fanno bene anche quando fanno male, senza dimenticarsi ovviamente di mostrare qualcosa di intenso e maturo sul piano narrativo. Guardiani della Galassia Vol. 3 nasce proprio da questa esigenza-impellenza, rivelandosi a conti fatti lo straordinario capitolo finale di una saga pronta ormai a cambiare pelle e soluzioni, non prima di aver salutato il suo pubblico nel modo più emozionante e straripante possibile.
Tutti per uno e uno per tutti
Guardiani della Galassia Vol. 3: Zoe Saldana e Chris Pratt in una scena
Il terzo e ultimo film dei Guardiani è una creatura diversa dalle precedenti. L'autore fa tesoro di una marcata sensibilità drammatica proveniente dalla sua grande affezione per i personaggi, cercando per loro giustizia. Vuole massimizzare il potenziale espressivo del proprio cinema senza cadere vittima di facili virtuosismi o semplificazioni emotive di sorta, confezionando un lungometraggio in grado di esprimersi al meglio della sua concettualità senza risultare narrativamente ridondante o mero esercizio estetico. C'è dentro il Gunn della Marvel ma anche quello della Troma, in un titolo produttivamente altisonante che questa volta vuole però affidarsi totalmente alle sue fragilità e alle sue caratteristiche più uniche che rare. Si avverte così una maturazione narrativa eccezionale che sa dove vuole arrivare e come arrivarci, partendo dall'essenziale, dal sentirsi veramente uno schifo.
Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer
Lo cantano i Radiohead in Creep ed è emblematico della situazione di Peter Quill (Chris Pratt) dopo la perdita di Gamora nella Guerra dell'Infinito (Zoe Saldana) e il mancato match amoroso con la sua variante del passato ora riscopertasi Ravenger. Come suggerisce Mantis (Pom Klementieff), Star-Lord deve "imparare a nuotare nel grande stagno della sua vita", ma nel mentre del down più clamoroso del leader dei Guardiani succede qualcosa di improvviso e preoccupante che destabilizza la situazione su Knowhere, costringendo il team a partire per la missione di salvataggio più delicata e importante di tutte. Per quanto semplice, la misura del concept è in grado di abbracciare con efficacia ogni singola transizione psicologica di tutti i protagonisti, dando ampio spazio al passato di Rocket come vera e propria storia d'origini del personaggio, dato che per comprendere dove si sta andando è essenziale capire da dove si è partiti.
Guardiani della Galassia Vol. 3: Pom Klementieff, Zoe Saldana e Dave Bautista in una scena tratta dal trailer
E il vero cuore di Guardiani della Galassia Vol. 3 è questo: riconoscere la forza delle proprie unicità come grande arma di resilienza e sopravvivenza, scavando in ferite ancora aperte e sanguinanti (e questo è anche il caso di Quill) fino a trovare la forza di guarirle e suturarle. Cosa c'è di più umano di questo? Forsa le tridimensionalità che Gunn è riuscito a conferire al suo procione spaziale, trasformando un piccolo animale ferito e abusato in un protagonista esemplare, amico e compagno d'armi fidato, mente brillante ma sognatore spaventato. Il passo da colmare è quello che lo separa "dal cielo meraviglioso e infinito", un buco colmo di ricordi dolorosi che da soli danno peso e coerenza all'esistenza del film. Ed è proprio questa anima che va salvata, per salvare quella dei Guardiani stessi.
Face the music
Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer
James Gunn imbastisce uno spettacolo fatto ancora una volta di enormi set pieces, scenografie e costumi pratici, effetti speciali usati dove e quando serve senza mai strafare. È cinema palpabile e mainstream nel senso più nobile del termine. Guardiani della Galassia Vol. 3 è infatti un caso a parte, per cui vale lo stesso trasporto e lo stesso peso emotivo vissuto già in Infinity War ed Endgame, seppure con le dovute differenze. "Face the music", recita la tag line del film, e in effetti di conseguenze - a volte anche spiacevoli - si parla nel tessuto narrativo, spinto da una vena drammatica più marcata seppure sempre e comunque mitigato da ottimi dialoghi commediati e botta e risposta esilaranti. Per raccontare il passato di Rocket si utilizza enormemente lo strumento del flashback, inframezzato (a volte con soluzioni di montaggio un po' povere, in realtà) alla linea narrativa principale per quasi due ore.
Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer
Poi cambia la musica - è il caso di dirlo - e Gunn rilassa la vena di commozione personale per questo addio ai suoi personaggi e comincia ad accelerare con lo spettacolo. Nell'ultima ora l'azione torna protagonista e anche l'intuzione formale, estetica e coreografica trova una sua precisa scrittura, specie in un piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklyn dei Beastie Boys che è quanto di meglio la regia action di Gunn potesse offrire in contesto. Nei primi atti c'è un crescendo di situazioni diversificate che vanno dall'heist-movie al dramma famigliare dove il senso d'appartenenza e il sacrificio per il prossimo sono le due chiavi di lettura principali, dopodiché si mischiano le carte e le suggestioni cinematografiche si accavallano senza demolirsi a vicenda, in un lungometraggio dal sapore più "contenuto" rispetto ai due capitoli precedenti ma al contempo più centrato, coinvolgente, spesso davvero toccante.
Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer
La cura è la stessa a cui l'autore ci ha abituati, ma questa volta persino la scelta del villain e del suo interprete, l'Alto Evoluzionario di Chukwudi Iwuji, si rivela straordinaria, vista e considerata la performance dell'attore di Peacemaker che qui regala un nemico freddo, impietoso e a tratti esagerato nella sua volontà di perfezionamento, esaltato e fuori controllo, megalomane e con manie quasi messianiche. Unica nota stonata è forse l'utilizzo di Adam Warlock (Will Poulter), che non raggiunge il massimale espressivo ed è invece sfruttato ad hoc ai soli fini dell'intreccio, dove il focus resta sui Guardiani e la loro ultima avventura su grande schermo. Si arriva agli sgoccioli di questa saga decennale gonfi di soddisfazione e con un nodo in gola, con la mano e la penna di James Gunn che ci ricordano come il sapore amaro della fine non deve scoraggiare nessuno a vivere con pienezza e verità il dolce gusto di un nuovo inizio, a ballare con quelle ferite ormai lenite che prudono ancora, sommersi dalla consapevolezza di non essere soli e che in quel cielo meraviglioso e infinito fluttuano ancora miliardi di possibilità.
Conclusioni
In conclusione toccante e divertente, straripante di commozione e maturità, Guardiani della Galassia Vol. 3 è un ottima conclusione della saga cinematografiche di James Gunn, uno spettacolo dove il dramma famigliare e l'importanza delle proprie unicità abbracciano battute, dialoghi e situazioni spesso esilaranti e altre davvero centrate. Tirando le somme, l'autore ha confezionato il capitolo più intimo e personale del franchise, dove la tematica dei "weirdo" costituisce l'apice della sua narrativa emozionale e Rocket diventa contenitore e sostituto della stessa. Accompagnato da una colonna sonora roboante e da una delle più belle sequenze d'azione mai dirette dal regista, il film è quel cielo meraviglioso e infinito dove Gunn voleva portarci e lasciare i suoi amati personaggi prima di cambiare definitivamente casacca.
👍��
La regia di James Gunn, sempre ispirata e inventiva.
Il dramma di Rocket è trattato con una sensibilità disarmante.
La scrittura è la migliore del franchise.
L'alto evoluzionario di Chukudi Iwuji convince e sorprende.
La sequenza sulle note dei Beastie Boys.
👎🏻
Adam Warlock un po' sottotono.
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Giovanni De Luca, il giovane grande baritono che canta Puccini a Londra
Di Annalisa Valente Parla Giuseppe De Luca, il baritono che sta celebrando a Londra il centenario della morte di Puccini con il Maestro Antonio Morabito. Giovanni De Luca, il giovane grande baritono che canta Puccini a Londra Dal Teatro alla Scala di Milano al Bellini di Catania, dal Teatro Carlo Felice di Genova alle più belle e caratteristiche cattedrali del Regno Unito, partendo proprio da Londra. La carriera del baritono Giuseppe De Luca, da studente del Conservatorio di Reggio Calabria, ha spiccato il volo e nel corso degli anni è diventata sempre più prestigiosa e ricca di collaborazioni illustri. Ultima in ordine di tempo è quella che lo vede protagonista, in questo mese di Aprile, insieme al Maestro Antonio Morabito in una serie di concerti promossi in occasione del centenario della morte del compositore Giacomo Puccini. Le date, patrocinate dal Consolato Generale d'Italia a Londra, si stanno svolgendo a Londra (qui l'articolo). Dopo aver presentato nelle settimane scorse il ciclo di concerti proprio col Maestro Morabito (qui l'articolo), ora ne parliamo anche con il baritono Giuseppe De Luca. Non è la prima volta che nella sua carriera omaggia un mito come Puccini. Cosa l’ha convinta ad accettare la proposta del suo amico Antonio Morabito per esibirsi con lui nelle prossime date a Londra? Sicuramente la stima e l'amicizia che nutriamo l'uno per l'altro da molto tempo. Infatti io e Antonio ci conosciamo da diversi anni, come ex studenti del Conservatorio di Reggio Calabria. Quando mi ha proposto questo progetto ho accettato subito con grande piacere e felicità! E’ la prima volta che lavorate insieme a un tale livello artistico? Si, questo è il nostro primo progetto insieme e non nascondo che abbiamo parlato già di altri progetti futuri molto allettanti. Lei ha un curriculum davvero incredibile nonostante la giovane età. C’è un posto in Italia (o anche al di fuori) dove non si è ancora esibito e dove magari le piacerebbe cantare? In Italia ho coronato il sogno del Teatro alla Scala, ma vorrei esibirmi anche al Teatro San Carlo di Napoli, un vero gioiello italiano. Mentre all'estero mi piacerebbe esibirmi al Metropolitan Opera di New York. Qual è la collaborazione artistica che vorrebbe sperimentare ma non ha ancora avuto occasione? Ci sono molti nomi che mi vengono in mente, di cantanti che stimo tantissimo e con cui vorrei collaborare un giorno, ma ogni esperienza porta con sé nuove conoscenze e amicizie, quindi sono felice di tutte le collaborazioni. Ha mai pensato di insegnare canto alle nuove generazioni? Questo è un argomento per me molto importante. A me piace dare dei consigli, mi piace condividere quello che conosco, ma insegnare al momento credo di no. Spesso la diamo per scontata ma la figura dell'insegnante è davvero importante: è quella persona che ha il compito di, oltre che insegnare la pratica e la teoria, farti appassionare sempre e credere in te stesso. Questo vale ovviamente in ogni campo e materia di studio. Io sotto questo punto di vista sono stato sempre molto fortunato sin da quando ho iniziato. Quindi il ruolo dell'insegnante è davvero pieno di responsabilità e bisogna esserne consapevoli prima di dedicarsi a questo mestiere. C’è un modello artistico a cui si è ispirato nella sua professione? Chi è il suo maestro? Come dicevo prima, ho sempre avuto ottimi Maestri ma voglio citare colui a cui sono stato più legato, Rolando Panerai. Oltre ad un Maestro è stato anche un caro amico e mi ha dato davvero tanto! Tutt'ora, anche se non c'è più, lui continua a darmi, e prendo ispirazione da lui. Quali sono i suoi programmi dopo i concerti pucciniani di questo mese in UK? Subito dopo i concerti sarò impegnato a Reggio Emilia per una produzione de “La Serva Padrona” (Intermezzo di Giovanni Battista Pergolesi, n.d.r.) e subito dopo all'Accademia Rossiniana del Rossini Opera Festival (festival musicale lirico annuale che si svolge a Pesaro, città natale di Gioacchino Rossini, n.d.r.) nella produzione de “Il Viaggio A Reims”. ... Continua a leggere su Read the full article
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"Questa è la mia vocina". Dopo 48 ore Chiara Ferragni rompe il silenzio sui social Dopo alcuni giorni di silenzio, a causa dei i quali i suoi fan più accaniti avevano iniziato a preoccuparsi e a domandarsi che fine avesse fatto, Chiara Ferragni è tornata sui social network per spiegare i motivi per cui è stata costretta a rinunciare a postare con la sua solita frequenza. Di sicuro nell'ultimo periodo l'influencer è stata particolarmente impegnata nell'organizzare la festa di compleanno del suo primogenito Leone, che ha compiuto sei anni festeggiando insieme a compagni di classe e amici. Un "party a tema" ispirato a Sonic, protagonista della fortunata serie di videogiochi prodotta da Sega, documentato dall'imprenditrice cremonese con una serie di scatti sui suoi profili social. "Auguri all’amore della mia vita che oggi compie sei anni", ha scritto sul post la Ferragni."Ricordo ancora la prima volta che ti ho visto e tenuto tra le mie braccia: penso che quello sia stato il momento più magico della mia vita. Grazie di avermi reso una mamma, la tua mamma per sempre", ha concluso. Ma quel messaggio ha lasciato l'amaro in bocca alle ammiratrici dell'influencer, che si sono dette sconfortate per il fatto che per la prima volta nella vita del bambino non ci sia uno scatto di famiglia come accaduto fino allo scorso anno ma due foto distinte pubblicate sui rispettivi social da Fedez e Ferragni. Non è stato, tuttavia, questo il motivo a creare più agitazione tra i fan dell'imprenditrice, quanto il fatto che per qualche giorno non abbia più postato alcuna storia su Instagram. L'attesa è finita nella giornata di oggi, quando l'influencer ha esaudito il desiderio dei suoi followers più sfegatati riapparendo in video. Seduta sui sedili posteriori di un'autovettura e sorridente, la Ferragni ha parlato a tutti i fan proprio con una storia caricata sul celebre social targato Meta."Ciao ragazzi, è da due giorni che non parlo nelle storie perché questa è la mia voce", spiega l'imprenditrice cremonese, raccontando il perché di quel tono. "Mi sono presa un mega raffreddore e basta, questa è la mia vocina soave", aggiunge, postando anche l'emoticon con le risate a lacrime. Pare, quindi di poter cogliere un attimo di distensione nella Ferragni, almeno fino al momento in cui Fedez non vuoterà il sacco, stando a quanto da lui stesso annunciato, nel corso di un'intervista concessa a "Belve" che andrà in onda il prossimo 2 aprile. Un evento che ha agitato la Ferragni e il suo entourage, dato che pare che l'influencer abbia intimato al cantante di non rivelare dettagli sul loro matrimonio e sulla questione relativa alla presunta separazione.
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L' Automobile è femmina
Ancora prima che in Italia Gabriele D’Annunzio decidesse di declinare l’automobile come sostantivo femminile, un signore francese, pensò di mettere in cantiere una vettura rivolta anche a un pubblico femminile. Stiamo parlando di André Citroën, geniale imprenditore da sempre precursore dei tempi, e della sua piccola e compatta Citroën 5CV Type C. Una vetturetta che non solo presentava notevole manovrabilità e facilità di manutenzione ma con la sua potenza fiscale di 5CV, da cui prendeva il nome, era anche economica. E, in più, usciva dalla produzione in tinte vivaci che conquistavano le signore. Tanto da essere soprannominata “Petit Citron” (“Piccolo Limone”) per il colore giallo della carrozzeria che appariva sulla réclame. Pochi anni dopo, in Italia, fu la Fiat 509 a ispirare al vate che l’automobile doveva essere femmina. “Ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice”, scriveva nel 1926 al Senatore Giovanni Agnelli, che proprio una magnifica Fiat 509 gli aveva regalato. Il modello ha segnato, con il suo motore da un litro e un prezzo compreso tra le 16 e le 25mila lire, la prima ampia diffusione di automobili nel Paese. Era infatti pensato per far accedere al mercato le classi meno abbienti. Ed era pensato bene, dato che un anno dopo la presentazione alla Fiera di Milano del 1925, la 509 era l’auto più popolare nel Paese e, fino alla fine della sua produzione, nel 1929, ben 90mila esemplari hanno viaggiato nella Penisola. La Fiat 509 non era un’auto destinata alle donne ma aveva una compattezza e una leggerezza (795 Kg a vuoto) tali da far pensare che potesse essere facile anche per il “gentil sesso”. Un po’ come la Lancia Ardea, capolavoro di fine anni Trenta, simile nell’estetica e nella meccanica alla precedente e ultra innovativa Aprilia ma di dimensioni e cilindrata ridotte. Con 30 CV, tuttavia, che le consentivano di raggiungere 110 Km/h e facevano di lei una utilitaria di lusso. Anche perché non le mancavano gli elementi di eleganza e raffinatezza che avevano già contraddistinto i modelli più importanti del marchio quali il morbido panno grigio o nocciola della tappezzeria, la strumentazione che includeva tachimetro con contachilometri totale e parziale e diversi altri accessori di standing elevato. Costruita in quattro serie, fino al 1953, l’Ardea monta un quattro cilindri a V stretto con valvole e albero di distribuzione in testa di soli 903cc di cilindrata, il più piccolo mai costruito dalla Lancia. La sua storia “in rosa” è rappresentata in particolare dal fatto che essendo stata l’ultima idea di Vincenzo Lancia, ne ha sviluppato il progetto la vedova Adele Miglietti, che aveva preso le redini dell’azienda, portandolo a termine due anni dopo la morte del fondatore della Casa nel 1937. La sua linea di carrozzeria ha ispirato quella che è stata poi, oltre quarant’anni dopo, un’icona della Casa dedicata alla figura femminile: la Y10. Dal 1985, quando è nata la prima serie, l’iconica city-car della Lancia ha conquistato fino al 2015 2,7 milioni di clienti in tutta Europa e per tre anni consecutivi, a partire dal 2013, è stata definita la vettura preferita dalle donne italiane. Un rapporto stretto, quello tra le automobili e “l’altra metà del cielo” che nel nostro Paese ha iniziato ad essere rimarcato nelle immagini dei modelli già nel 1932 con la nascita della Balilla, al secolo Fiat 508. La “vetturetta per tutti” – dati il costo accessibile e le dimensioni contenute – era raffigurata nei celebri manifesti del pittore Ducovic che associavano l’armonia formale dell’auto alla “eleganza della signora”, sempre con la presenza di una o due donne alte e magnificamente vestite. Ma non solo, la Balilla veniva anche pubblicizzata con una fotografia che ha fatto epoca in cui una giovane signora era alla guida (disponibile tra le foto da scaricare). L’obiettivo era sottolineare, ancora una volta, la maneggevolezza e la facilità di guida del modello. Per un vero exploit di autovetture destinate alle donne bisogna aspettare tuttavia gli anni Cinquanta, è questa l’epoca in cui le case cominciano a progettare pensando alle esigenze della clientela femminile. Per lo meno all’estero: nel 1952 la Austin inizia ad assemblare con un proprio motore da 1,2 litri quella che sarà la prima auto americana per il mercato a stelle e strisce prodotta in Europa: la Nash Metropolitan, che in seguito, dal 1956, verrà distribuita anche dalla marca britannica su questa sponda dell’Atlantico. Con le sue cromature lucenti e la livrea bicolore, era una versione in formato ridotto delle grandi streamline d’Oltreoceano ed è stata concepita come auto perfetta per lo shopping e per brevi spostamenti quotidiani. Vale a dire, per le signore: non a caso, all’epoca era ampiamente reclamizzata sui magazine femminili. Mentre nell’elenco delle sue acquirenti più famose figura anche la principessa Margaret d’Inghilterra, sorella minore della regina Elisabetta II. In Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino alla decade successiva, più che l’era delle auto destinate alla clientela femminile, ha preso il via l’ondata delle familiari che, sulla spinta del boom economico hanno motorizzato il Paese: dalla seconda e terza serie della Fiat 500 “Topolino” – ovvero la B uscita nel 1948 e la C del 1949 – alla Fiat 600 del 1955 e alla Nuova 500, nata nel 1957. È il periodo degli sportelli controvento e dei consigli per le signore su come entrare in auto con eleganza, come si vede ancora in alcuni filmati dell’Istituto Luce realizzati in collaborazione con la rivista Quattroruote. Tuttavia forme tondeggianti, passo corto, potenza e consumi contenuti fanno spesso accomunare questa categoria di vetture alle donne, e fra loro possiamo considerare anche la Renault Dauphine, che in Italia veniva prodotta dall’Alfa Romeo. Stessa cosa per le micro car, dalla la Iso Isetta del 1953, tre ruote con un solo portellone d’accesso sul frontale ed economicità estrema, al minuscolo Messerchmitt, che veniva reclamizzato stracarico di pacchi e pacchetti, al servizio di una bionda signora in perfetto stile Sixties. L’Autobianchi Bianchina, con la sua versione trasformabile che è stata anche la prima a essere costruita, nel 1957, segna la svolta che vede le donne protagoniste al volante, ammiccando alle automobiliste come fa del resto tutto l’universo cabrio degli anni successivi: ne sono esempi la Fiat 850 Spider che riempiva d’orgoglio Anna Magnani sulle strade della capitale in L’Automobile (1971) o il Maggiolino scoperto (Volkswagen Typ 1) del 1949, fino alla Ford Escort Cabriolet e alla Talbot Samba Cabriolet degli anni Ottanta, solo per citarne alcune. Tra gli emblemi più amati della categoria, l’Audi TT Quattro roadster, commercializzato a partire dal 1998 e ancora molto ricercato dai collezionisti di vetture Youngtimer per via del suo comfort moderno unito al fascino del passato. Car & Classic ne offre un esemplare all’asta a partire dal 13 marzo, visibile in questa pagina, dove è già anche possibile fare offerte pre asta. Con il suo design audace, le luci avvolgenti, gli interni ultra moderni e la grande qualità meccanica, l’Audi TT è un’auto che offre un rapporto qualità/prezzo formidabile. A proposito di capelli al vento, negli Sessanta arriva ad evocare bellezza e libertà la Renault Floride e con lei niente meno che Brigitte Bardot a farle da testimonial. Presentata al Salone di Parigi nel 1959 e conosciuta nel mercato americano con il nome di Caravelle, si tratta di una Cabriolet piena di fascino, dalle linee raffinate, con motore a 4 cilindri in linea derivato dal motore Ventoux della Dauphine (845 cc, 40CV, velocità massima di 125 km/h). Nello stesso anno prende vita grazie alla British Motor Corporation e alla matita di Sir Alec Issigonis anche la Mini, l’intramontabile caposaldo delle compattine ancora oggi di successo. Mentre nel 1965 un mito come la Lancia Fulvia Coupé, vanto assoluto dell’industria automobilistica italiana, viene accostato espressamente nelle pubblicità all’immagine della donna. Trasmette voglia di emancipazione e indipendenza, sempre con la caratteristica eleganza sobria della Lancia. Con un design azzeccatissimo, frutto della matita del brillante stilista Piero Castagnero, la Fulvia Coupé è stata allestita nella versione con motore di 1216cc e, con una serie di potenziamenti meccanici come la cilindrata portata a 1600cc e l’adozione del cambio a cinque marce, è rimasta in produzione fino al 1976. A partire dagli anni Settanta la galassia delle utilitarie ha fatto gola alla quasi totalità dei costruttori: si sono avvicendate negli anni la LNA e la Visa in casa Citroën, la Peugeot 104, la Fiat 126 e le successive Fiat Panda e Fiat Seicento, la Nissan Micra e poi la Figaro, le Renault 5 e Clio, la Ford Ka. Ancora, cambiando versante geografico, la Toyota Yaris, la Sirion della Daihatsu – un brand che in Italia è poi scomparso dal 2013 – la Daewoo Matiz… molte di queste hanno visto la luce al termine degli anni Novanta, lasciando poi il posto alle piccole grandi glorie nate dopo il 2000 e in molti casi ancora in voga. Parlando della fine del secolo scorso, poi, non si può poi non menzionare il New Beetle, il restyling del Maggiolino avvenuto nel 1998 con novità che strizzavano l’occhio al mondo femminile come il vaso portafiori sul cruscotto. Oltre che un’auto, un omaggio alle donne. Con oltre 42mila mezzi in vendita e 4 milioni di utenti al mese, Car & Classic (www.carandclassic.it) è la più grande piattaforma digitale europea specializzata in acquisti e vendite di auto e moto, oltre che di veicoli commerciali storici (www.carandclassic.it). Un marketplace enorme con un’ampia scelta non solo di veicoli in vendita ma anche di ricambi e accessori. Per trovare rapidamente la lista completa di tutto quanto è disponibile su Car & Classic in merito a un determinato modello, è sufficiente digitarne il nome nell’apposito campo di ricerca nella home page. E non è tutto: su Car & Classic è anche possibile fare ricerche in base alle marche produttrici cliccando direttamente sui loro loghi. Per iniziare a vendere su Car & Classic è sufficiente attivare un account gratuito, dopodiché la preparazione per l’asta è assistita da un esperto dell’azienda e offre sempre la possibilità di stabilire un prezzo di riserva. Per gli acquirenti non esistono commissioni: il totale da versare in caso di aggiudicazione di un veicolo è dato esclusivamente dall’ammontare dell’ultimo rilancio vincente, mentre al venditore spetta il 6 per cento, una percentuale comunque molto competitiva. La sicurezza nei pagamenti, poi, è garantita dal sistema Escrow, che tiene bloccati gli importi finché gli acquirenti non si dichiarano soddisfatti. Per ulteriori informazioni è a disposizione il Numero Verde 800 089 894. Fondata nel Regno Unito nel 2005, Car & Classic può contare su un organico aziendale di cento persone dislocate nel Continente, oltre a Sudafrica e Giappone. Nello Stivale è sbarcata circa un anno e mezzo fa ed è disponibile completamente in italiano. “L’Italia è un mercato di assoluto rilievo nel panorama europeo delle auto d’epoca vista la sua forte tradizione motoristica”, ha dichiarato Tom Wood, il fondatore di Car & Classic. “Il nostro sistema di aste online sta crescendo rapidamente e sta diventando anche qui leader di settore”. Read the full article
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L'amore nella storia: il sottile legame tra cuore e potere
Nella storia non solo le guerre hanno mosso gli eventi ma in diverse occasioni anche l'amore. Non parliamo di matrimoni tra dinastie di Paesi attigui per assicurare la pace ma dell'amore acceso dalla passione. L'amore ha sempre ispirato poesia, musica, e arte, e alcune storie d'amore sono entrate nella storia. Da Romeo e Giulietta a Cleopatra e Marco Antonio, le relazioni celebri hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia umana, incantando e affascinando con la loro passione e tragedia. L'amore nella storia: Cleopatra e Marco Antonio Quando Giulio Cesare giunse in Egitto, per raggiungere il fuggitivo Pompeo, non immaginava che quella terra avrebbe significato l'inizio della fine per lui. Le manovre di Tolomeo per attirarsi il suo favore e scalzare la sorella non servirono a nulla, anzi peggiorarono la situazione. Cesare destituì Tolomeo e al suo posto mise proprio la sorella di lui: Cleopatra. E' giunta fino a noi la fama di Cleopatra abile seduttrice. Con il suo fascino riuscì a far capitolare Cesare dal quale ebbe anche un figlio. Eppure la storia d'amore che tutti noi ricordiamo ancora è quella tra la bellissima regina egiziana e Marco Antonio. Il triumviro, al quale era stato dato il controllo delle regioni d'Oriente, accusò Cleopatra di aver avuto un ruolo nell'assassinio di Cesare. La convocò a Tarso a rendere conto delle accuse ma al suo cospetto dovette capitolare. Marco Antonio ripudiò la moglie Ottavia, sposò Cleopatra e con lei ebbe tre figli. Ottaviano, da sempre rivale di Antonio, colse un pretesto per muovere guerra all'Egitto e la battaglia di Azio segnò la fine del regno di Cleopatra e del suo amore per Marco Antonio. Entrambi morirono suicidi. Napoleone e Giuseppina Se mai ci fu una donna capace di rubare il cuore di Napoleone, quella fu senza dubbio Marie Josèphe Rose Tascher de la Pagerie. Giuseppina, così la conosciamo, era di sei anni più grande del condottiero corso e quando lo conobbe era da poco rimasta vedova. Quello tra Napoleone e Giuseppina fu un amore tormentato. Nonostante la passione, non mancarono tradimenti da parte di entrambi, e l'impossibilità di Giuseppina di dare un erede all'imperatore costrinse quest'ultimo ad allontanarla. Le cronache ci raccontano che dopo il divorzio Giuseppina condusse una vita agiata al di sopra delle proprie possibilità sempre sostenuta da Napoleone. Quando morì per le conseguenze di una polmonite, l'imperatore in esilio a Sant'Elena si rinchiuse per alcuni giorni della sua cella senza parlare con nessuno. Quando egli stesso morì, tra le sue ultime parole ci fu il nome dell'amata. Frida Kahlo e Diego Rivera Parlando di amori forti e tormentati non si può non ricordare quello tra la pittrice surrealista Frida Kahlo e il celebre muralista Diego Rivera due personaggi che hanno fatto la storia della pittura in tutto il mondo. Quando i due si conobbero, Frida aveva 15 anni e Diego 36. Si sposarono sette anni dopo. Il loro fu un legame profondo alimentato non soltanto dal sentimento ma anche dalle comuni passioni per l'arte e la politica. Questo non bastò, però, a tenere la coppia al riparo da tradimenti consumati più volte da entrambi. La loro amicizia durò fino alla morte dell'artista che più volte il marito celebrò. In copertina foto di user1469083764 da Pixabay Read the full article
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[✎ TESTO ♫ ITA] Dark & Wild - BTS⠸ ❛ Hip Hop-phile ❜⠸ 20.08.14
[✎ TESTO ♫ ITA] BTS
❛ Hip Hop-phile ❜
(힙합성애자)
🎧🫂 Appassionato di Hi-Hop 🎤🩶
__💿Dark & Wild , 20. 08. 2014
Spotify | Apple | Twitter
Prodotta da: Pdogg
Scritta da: Pdogg, RM, SUGA, j-hope
youtube
Mi si è aperto un mondo nuovo
Io che ero solito scrivere solo prosa o poesie
Come in Sim Cheong¹, all'improvviso,
Ho aperto gli occhi, fino ad allora sigillati
Ma la gente continua a chiedere, "Tesoro,
Perché ti piace quella merda² HIP HOP?"
E allora rispondo "Non c'è un motivo, è semplicemente HIP HOP"
Niente di speciale- gli Epik High, e tipo altri come Jay-Z e Nas
E poi ovviamente i classici- Illmatic, Doggystyle, In My Mind e KRS-ONE³
E ancora Ready to die, Eminem, The Chronic ed il capolavoro successivo 2001⁴
Gang Starr, Black Star, Eric B, Rakim, Pete Rock e CL smooth⁵
Non facevano che spuntarne di nuovi
Li ascoltavo un sacco
Ero tipo un'ahjumma⁶
Avevo talmente tanto da dire, che le storie raccontate da altri
non mi sembravano mai abbastanza
Inizialmente, non facevo che combinare bugie e robe insensate
a strati e li chiamavo testi
E fine! Uh, tutto lì, è così che sono diventato quello di adesso
Ad un foglio bianco tra le pagine dei libri di scuola ho affidato tutto me stesso
E poi ho cancellato, fino a lasciare più niente
Ma almeno sul beat sono libero
Ora come 7 anni fa, sono sempre lo stesso, il vero me stesso, quello di adesso
Sì, continua a piacermi quel rap Continua a piacermi quel ritmo Mi emoziona ancora È ciò che mi rende me stesso Già, è ciò che amo (Hip! Hop!) Quello più umano (Hip! Hop!) In cui parlo della mia vita (Hip! Hop!) Ormai è parte della mia esistenza (Hip! Hop!) Già, questo è il mio (Hip! Hop!)
Yo, il mio hip hop, come l'ho conosciuto? Mi ci sono appassionato col corpo
Boogaloo, King Tut, Old School, cavalcavo il ritmo⁷
Grazie alla fiducia dimostrata dall BigHit, mi son dato alle rime,
Mi sono distinto, e ora sono alla confluenza tra rap e ballo
Già, i miei modelli, i Dynamic Duo, Verbal Jint e gli Epik High
Mi sono creato un primo maldestro curriculum⁸,
sono uscito dall'anonimato⁹ e sul palco ho volato¹⁰
Gli artisti che, ring, hanno fatto risuonare il mio cuore,
con cui sono cresciuto, io che non sapevo nulla:
Biggie, 2pac e Nas, che potevo esprimere solo con il ballo
È così che ho scoperto molto più su me stesso, uh
Hope, hope world, ma prima di costruirmi il mio mondo, c'era il Cole world¹¹
Quando ha illuminato il venerdì sera¹²
Mi ha ispirato a sperimentare di più con la mia musica
Mac miller, Kanye [West], Kendrick [Lamar], la loro musica nelle orecchie
Davvero i migliori musicisti nella mia vita, mi hanno plasmato
così che ogni giorno potessi sbizzarrirmi sempre più
Lezioni di dizione senza fine, va bene, ma poi lascio parlare l'istinto
Qualsiasi cosa sia il rap o il ballo, sono la mia sensuale forma di comunicazione
Ora ogni aspetto della mia vita è fuso con l'hip hop
Anche oggi, il mio corpo Wild for the night
Mi sento come A$AP A$AP¹³
Sì, continua a piacermi quel rap Continua a piacermi quel ritmo Mi emoziona ancora È ciò che mi rende me stesso Già, è ciò che amo (Hip! Hop!) Quello più umano (Hip! Hop!) In cui parlo della mia vita (Hip! Hop!) Ormai è parte della mia esistenza (Hip! Hop!) Già, questo è il mio (Hip! Hop!)
L'hip hop si è affacciato nella mia vita con delicatezza
Come un bimbo quando cerca la sua mamma
Ha permeato la mia esistenza con naturalezza
Io che, al tempo, non ero che uno studente delle elementari
È allora che ho iniziato a dar forma al mio sogno
Voglio essere una star del rap
Io, quel ragazzino già maturo
che detestava avere una vita simile agli altri
Anche se tuttə han sempre cercato di fermarmi, dissuadermi
L'hip hop ha trovato dimora dentro me
Mi ha scosso completamente, io che ero ancora così giovane
Quelle 16 battute scarabocchiate tra le pagine dei libri di scuola
Grazie ad esse ho rinunciato ad una vita sicura e mi sono lanciato [nel lavoro]
dallo studio di Namsandong, a Daegu
Tutte le notti spese ad affilare la mia penna con schiettezza
E poi, finalmente, i miei sforzi hanno dato frutto
E grazie alle mie rime, di cui ho riempito gli appunti scolastici
invece che, come gli altri, ricevere voti in coreano, matematica ed inglese
Il mio sogno si è avverato
Tuttə mi chiedono, "Cos'è l'hip hop?"
E io rispondo con orgoglio, "È tutto, per me"
Ecco perché ho dedicato la mia vita alla musica
Se amare questa cultura fosse reato,
sarei disposto a sacrificarmi centinaia di volte
Sì, continua a piacermi quel rap
Continua a piacermi quel ritmo
Mi emoziona ancora
È ciò che mi rende me stesso
Già, è ciò che amo
(Hip! Hop!) Quello più umano
(Hip! Hop!) In cui parlo della mia vita
(Hip! Hop!) Ormai è parte della mia esistenza
(Hip! Hop!) Già, questo è il mio (Hip! Hop!)
Note:
¹ Rif. ad una storia del folklore coreano, "La leggenda di Sim Cheong (심청전). È il racconto di Sim Cheong, figlia devota che si sacrifica alle divinità dell'oceano pur di restituire la vista al padre cieco. Il suo gesto di amore filiale viene ripagato con la resurrezione e la ragazza diventa anche imperatrice,
² in orig., "why you love that HIPHOP 쉿?", in cui ' 쉿' può essere un'abbrev. sia di 'shit (merda)' che di 'ssh',
³ riferimenti: (1) Illmatic : album di debutto di Nas (1994),
Doggystyle : album di debutto di Snoop Dogg (1993),
In my mind : album di debutto di Pharrell Williams (2006),
KRS-ONE : secondo album solista del rapper americano omonimo, KRS-One (Lawrence "Kris" Parker), rilasciato nel 1995,
⁴ riferimenti: (1) Ready to die : album di debutto di The Notorious B.I.G. (1994),
The Chronic : album di debutto di Dr. Dre (1992),
2001 : secondo album di Dr. Dre (1999),
⁵ riferimenti: (1) Gang Starr : duo hip hop americano, composto dal produttore DJ Premier ed il rapper Guru, attivi tra il 1986 ed il 2003
Black Star : duo hip hop americano formatosi nel 1996, composto da Mos Def (Yasiin Bey) e Talib Kweli,
Eric B : Louis Eric Barrier, rapper, produttore, DJ ed attore americano, attivo fin dal 1986,
Rakim : William Michael Griffin Jr., rapper americano che insieme al sopramenzionato Eric B ha formato il duo Eric B & Rakim (1987), con cui ha rilasciato 4 album,
Pete Rock : Peter O. Phillips, produttore, DJ e rapper americano. È in attività fin dal 1987 ed è considerato uno dei migliori produttori musicali di tutti i tempi,
CL smooth : Corey Brent Penn Sr., rapper americano parte del duo hip hop Pete Rock & CL smooth, con il suddetto produttore. Attivo fin dal 1989,
⁶ ahjumma : signora/donna di mezz'età,
⁷ Boogaloo, King Tut, Old School : sono tutti stili di ballo hip hop,
⁸ curriculum : in inglese, 'resume', rif. al brano '이력서 (Resume)' dei Dynamic Duo,
⁹ anonimato : rif. all'album di debutto del rapper Verbal Jint. Il titolo "Mumeong (무명)" significa lett. 'senza nome, anonimo',
¹⁰ ho volato : in orig. inglese, 'fly' – rif. al brano omonimo degli Epik High,
¹¹ Cole world : album di debutto del rapper J. Cole,
¹² rif. a Friday Night Lights, terza mixtape di J. Cole (2010),
¹³ riferimenti: (1) Wild for the night : traccia dell'artista e produttore hip hop americano A$AP Rocky, rilasciata nel 2013. Il verso "Anche oggi, il mio corpo Wild for the night" può quindi essere interpretato come "Anche oggi, il mio corpo va pazzo per la notte/dà il massimo di notte", come probabile rif. alle lunghe ore di ballo e prove dei BTS, anche in piena notte, e/o le loro esibizioni | (2) A$AP A$AP : nome d'arte del sopramenzionato Rakim Athelaston Mayers, in arte A$AP Rocky, n.d.t.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS | eng: © doolsetbangtan ; © BTS_Trans⠸
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I LUOGHI DELL'ANIMA
Davvero il paese che conosceremo è stato definito come "luogo dell'anima" anche per via di un film dal titolo quasi omonimo, oltre che aver dato i natali allo scrittore Tonino Guerra.
La località dell'alta Val Marecchia è posta sulle pendici occidentali del Monte Carpegna degradanti verso il fiume Marecchia, facilmente raggiungibile dalla Riviera di Rimini.
PERCHÉ VISITARLA
Il rinomato centro di turismo ambientale e culturale, cantato da Tonino Guerra, ospita numerosi “luoghi dell’anima”, gran parte del suo territorio è posto all’interno del Parco Naturale del Sasso Simone e Simoncello
che invita a rilassanti passeggiate nel lussureggiante Appennino.
QUANDO ANDARCI E COSA VEDERE
Pennabilli deve il suo assetto urbano all`unione di due antichi castelli, quello dei Billi sopra la Rupe e quello di Penna sopra il Roccione. Di origini antichissime ha visto succedersi gli Umbri, gli Etruschi e i Romani e intorno al Mille, l’abitato si è sviluppato con fortificazioni, difese ed edifici sacri fino a strutturare il bel centro storico. Nel 1004 un discendente della famiglia Carpegna, soprannominato "Malatesta", iniziò la costruzione della Rocca sul Roccione segnando la nascita del celebre casato che, sceso da Penna prima a Verucchio e poi a Rimini, avrebbe assoggettato tutta la Romagna. È sede vescovile della Diocesi di San Marino-Montefeltro la cui presenza, fin dal 1572 a opera di Gregorio XIII, ha fortemente caratterizzato l’assetto urbano mediante imponenti opere di edilizia religiosa che possiamo tutt'ora ammirare. Le testimonianze del passato, il patrimonio monumentale e artistico presenti nel centro storico e nelle frazioni, creano un percorso culturale di prestigio, godibile nella bella stagione, dalla primavera all'autunno, avvalorato anche dai numerosi i musei: Museo Diocesano del Montefeltro “A. Bergamaschi”, Mateureka Museo del Calcolo, Museo del Parco Sasso Simone e Simoncello, Il Mondo di Tonino Guerra
e I Luoghi dell’anima,
le cui singolari realizzazioni si incontrano a Pennabilli e dintorni, caratterizzando un bizzarro e accattivante percorso poetico.
APPUNTAMENTI DI RILIEVO
Ogni anno, nel mese di luglio, presso palazzo Olivieri si tiene la Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato, una delle prime e più qualificate rassegne italiane. Folcloristica e di respiro internazionale è anche la manifestazione Artisti in piazza - Festival internazionale d’arte in strada, che si svolge nella seconda decade di giugno.
Per questo "viaggio" vi segnaliamo due link, uno che ha "ispirato" l'articolo che state leggendo:
e l'altro che è legato a Pennabilli e che anticipa il prossimo articolo di "Bergamo risvegliata", non agganciato a un luogo ma ai luoghi dell'anima inteso come iniziativa culturale.
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Rob Zombie (monografia) speciale cinema Pt. 2
Sempre nel 2009, si mette alla prova con l’animazione di The Haunted World of El Superbeasto, mentre nel 2012 realizza Le streghe di Salem, il primo film con una trama originale non facente parte della saga dei reietti. È questo un film abbastanza complesso, sicuramente ispirato dall’horror psicologico nello stile di Rosemary’s Baby, e che infatti tratta la storia di una donna e del suo compagno, scelta dalle streghe per dare alla luce l’anticristo. 31, del 2016, altrettanto inquietante ma più divertente e violento, esplora invece le possibilità di un gioco mortale a eliminazione, tra la follia e la volgarità di fondo che da sempre fanno parte del suo cinema (un atteggiamento molto coraggioso, e che gli conferisce personalità all’interno di una scena mainstream spesso monotona e senza grandi guizzi, soprattutto nei film dell’orrore). 3 from Hell, come accennato prima è il terzo e conclusivo capitolo della saga iniziata con La casa dei 1000 corpi, e portata avanti con La casa del diavolo, che vede i reietti del diavolo essere in realtà sopravvissuti alla sparatoria che avveniva alla fine del secondo film, per costruire una nuova ascesa al potere criminale. Vengono osteggiati da delle forze dell’ordine corrotte, e riescono a fare breccia nella mente debole della massa (due esempi del modo di Rob Zombie di raccontare la società criminologica). The Munsters, infine è una commedia horror del 2022, che riprende i personaggi della serie televisiva omonima degli anni 60. In definitiva questo curioso e affascinante regista non nuovo al mondo artistico per via della sua precedente militanza in ambito discografico, tra alti e bassi ha saputo imporsi anche in ambito cinematografico riuscendo soprattutto nel reboot di Halloween a non rendere vana questa sua seconda carriera. Il suo citazionismo (non dissimile da quello già messo in atto in musica grazie all’uso dei campionamenti), ha dato vita a una sorta di meta-cinematografia che piuttosto che nutrirsi di qualcosa di naturale e arioso, rappresenta l’equivalente di un collage filmico di incubi tagliati e appiccicati qua e là e corroborati da nuove storie. Il risultato talvolta è poderoso, altre volte poco originale, ma in tutti i casi sorprendente e innovativo. La filmografia di Rob Zombie è insomma un complemento non trascurabile della sua arte musicale e creativa tutta.
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SANDSTORM ( Leader ) Generations LEGACY UNITED *G1*
Un altro Triple Changer, un altro Voyager pompato a Leader: si potrebbe riassumere semplicemente così il nostro SANDSTORM Legacy United, nuova versione Generations del G1 Ghibli, qui finalmente più fedele all'originale dell'85 che non alla seppur interessante disgressione estetica del Generations Thrillin'30 di un decennio fa.
Questo infatti era ispirato al redesign dei fumetti IDW dell'epoca, e sopratutto in quanto remold del collega Springer si permetteva di avere anche una modalità velivolare di hovercraft spaziale, ma originariamente Ghibli era un ELICOTTERO TERRESTRE da soccorso del tipo Sikorsky CH-53 Sea Stallion, o per meglio dire, "quello di Blackout del film del 2007", per citare il più famoso rappresentante di questo tipo di velivolo…
E quindi pure questo Legacy ha questa modalità, e… beh, è davvero ben fatta! Lo dico con un po' di stupore dato che i precedenti due Leader / Triple Changer Generations. Astrotrain e Blitzwing, per forza di cosa non erano COSI' riuscitissimi, complice anche la fedeltà alle trasformazioni originali, per carità, ma alla fine lo space shuttle di Triplex 1 era gonfio davanti e scarno dietro, mentre il caccia aereo di Triplex 2 era appesantito dai mezzi cingoli sotto le ali.
L'elicottero di Sandstorm, invece, è fedele all'originale e, fermo restando che è pur sempre un tripla azione con le ruote del veicolo spalmate sotto, praticamente impeccabile, con solo la mancanza dei moduli laterali ( nel G1 appena accennati ) subito sotto l'elica grande e con quelli bassi che sì, sono praticamente le braccia del robot accorciate: diciamo che avrebbe giovato affusolarle un po' verso la punta / spalla, ma sono abbastanza in disguise lo stesso e a mio avviso danno meno fastidio degli inestetismi sopra elencati dei colleghi Decepticon.
Da notare che l'elicottero tradotto poi dei cartoni è una versione più piccola stile quello del Protectobot Blades, quindi è un'evoluzione realistica del giocattolo originale, con tanto dei particolari dipinti sulla parte superiore della coda, ma con i dettagli dei finestrini neri sul muso, e pure una citazione al settei con il modulo del rotore color senape rispetto all'imperante arancione.
Oltre al fucile storico del G1 ed ad un'armina grigia aggiuntiva di cui parlerò poi e che possono attaccarsi ai lati dei moduli / braccia, come accessorio in più per renderlo un po' più … massiccio a livello di plastica abbiamo una sorta di gabbia da recupero con tanto di argano con cordicella, questa che finisce in una spina da attaccare sotto l'elicottero appunto di soccorso. Un accessorio che non appare nel cartone, ma che fa il paio con il tipo di velivolo e che servirà poi per l'altra modalità alternativa.
La TRASFORMAZIONE da velivolo a veicolo su ruote è presa di peso dall'originale, ma ovviamente migliorata, con la parte posteriore superiore che si ribalta in avanti, inglobando le eliche del rotore principale raggruppate, il muso che si apre e rivela le ruotone posteriori mentre si nasconde ulteriormente la testa del robot col modulo del motore. Infine si abbassano le pareti di quella che era la coda ed ora è il muso del mezzo, risistemando le ruote anteriori ben spalmate lì sotto, si abbassano i moduli che saranno le braccia e si fissa la cabina di pilotaggio.
Se l'elicottero era parecchio soddisfacente, la DUNE BUGGY risultante, invece, beh… non ha magari un unico difettone che rovina il resto del mezzo, ma è TUTTA fatta parecchio strana! ^^'
Già l'auto G1 diciamo era pretestuosa per via della parte posteriore, ma ora abbiamo il muso che pare un becco un po' troppo rialzato, la cabina di pilotaggio schiacciata, i moduli / braccia anche qui ingombranti… ma almeno ora l'alettone posteriore è doppio, anche se piccolo! ^^'
Insomma, ha senso solo se la si classifica come dune buggy CYBERTRONIANA, che per essere terrestre bisogna usare parecchia fantasia! Ma almeno è interessante notare come la precedente gabbia dell'elicottero si smonti con il pavimento che finisce sotto il veicolo, l'argano si fonde al motore e la parte a gabbia diventi il telaio posteriore scheletrico, assente nel G1 ma aggiunto nel settei del cartone!
Manco questo è fedelissimo come design, però il fatto che l'abbiano messo per citare quel particolare non è male, anche per l'idea stessa per come l'hanno riciclato nell'elicottero.
Insomma, è talmente strambo che non posso definirlo come terrestre, e nell'ottica di essere alieno invece ha un suo perchè e quindi non dico che sia perfetto, ma manco ha la pretesa di esserlo! XD
La TRASFORMAZIONE da auto in robot è come nel G1 quella più immediata, anche qui con le gambe che si allungano ( alla vecchia maniera, poi, non le cosce che scorrono fuori e non si ripiegano aprendo pannelli o che! ), la testa che spunta dal motore e la cabina che arretra portandosi dietro le braccia, da cui spuntano gomiti e pugni.
Il ROBOT infine non è affatto male, anche zavvorrato sulle spalle da gran parte dell'elicottero ripiegato, ma è normale amministrazione visto che era così sia nel giocattolo che nel cartone, e sopratutto è un furbo ibrido fra queste due versioni del personaggio, prendendo dettagli e particolari un po' dal modellino e un po' dal settei.
Principalmente la faccia è quella con la mascherina come nel giocattolo, così come ci sono i dettagli sul tettuccio / torso ed i vetri neri ( e per fortuna, direi, sennò a guardare il settei l'auto avrebbe avuto un blocco unico arancione come cabina!! ^^'' ), e le parti in argento sulle gambe, e viceversa poi abbiamo le braccia il più lisce possibile, con i pugni grigi ed il dettaglio delle spalle "incorniciate" di arancio scuro, e la forma della testa stessa, che è quella del cartone con tanto di coppola arancio!
Inediti i dettagli sul petto / tettucio delle griglie arancio ai lati del simbolo Autobot, che forse li ha ereditati alla buona dal GenT30 o forse li hanno messi giusto per mera decorazione aggiuntiva.
Per fortuna il nostro ha le articolazioni base con tanto di polsi che ruotano, ma un difetto tecnico diciamo è il fatto che il torso non sia così saldamente attaccato alla schiena.
Abbonata la parte superiore del corpo, a livello estetico come "difetti" abbiamo le gambe essenzialmente smilze ma ingrossate malamente dai supporti delle ruote anteriori verso le caviglie, così come pure i lunghi talloni, utilissimi per non far cadere all'indietro la figura, ma che accentuano il dislivello fra smilzitudine e non. Sicuramente avrebbe giovato anche all'auto avere i talloni grossi per ridurre l'effetto becco del muso del veicolo e quello di ciabatte nel robot! ^^'
Infine, ricordiamo il fucile nero iconico, la pistolina grigia che richiama il laser da polso che compariva nel cartone quando Sandstorm lo usa per liberarsi dalla cella in cui era imprigionato in "Fight or Flee", e… beh, la gabbia nel robot non è che si ricicla o trasforma in altri accessori, quindi o la tiene in mano o la si appende dietro la schiena tramite i due fori in alto della zavorrata, così come gli unici altri fori per armi sono su avambracci e spalle.
Insomma, complessivamente l'ho trovato un po' migliore degli altri degli altri due colleghi Leader Decepticon Triple Changer, che tutti e tre sono accettabili come robot, ma l'elicottero di Ghibli qui alza di molto la media generale mentre l'auto mi ha lasciato meno deluso degli approsimativi veicoli degli altri due.
Forse era troppo chiedere un'altra faccia alternativa a scomparsa che citasse quella del cartone ( anche se si era vista nel precedente GenT30 ), giusto per non aspettarsi un'eventuale futura versione "Cartoon accurate", ma tutto sommato Sandstorm Legacy non delude, anche se è scarno per essere un Leader, ma forse anche grazie a questo è meno appesantito da ammenicoli vari sgraditi, prezzo permettendo.
-Videorecensione
#transformers#hasbro#generations#autobot#autorobot#recensione#review#sandstorm#ghibli#leader#triplechanger#triple changers#legacy#united
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Ross Roys: si balla con "After Time"
Abbiamo incontrato la dj producer toscana Ross Roys, che da tempo propone sonorità elettroniche che fanno ballare il mondo. Il suo nuovo singolo è "After time". "Esce il 25 marzo sulla mia label Ross Roys Records. Si chiama 'After Time', ovvero in italiano 'Tempo dopo'. Il titolo sta ad indicare un tempo che mi sono ritagliata per affinare un sound più in sintonia con la mia evoluzione artistica", racconta Ross Roys. "Ho sempre cercato di comunicare attraverso le mie produzioni frammenti del mio mondo interiore e penso anche questa volta di esserci riuscita".
Cosa stai facendo adesso, a livello musicale e personale?
A livello internazionale sto riallacciando i miei contatti: dopo un periodo di ricerca interiore, sento il bisogno del confronto e dello scambio diretto ed anche di collaborazioni con realtà diverse dalla mia perché così nascono grandi idee e grandi progetti. È vero che le nuove tecnologie hanno spesso sostituito il rapporto umano diretto ma gli stimoli che scaturiscono dal collaborare gomito a gomito sono insostituibili.
Le nuove tecnologie come hanno cambiato l'approccio alla musica? E l'uso di Spotify e Youtube, che sono gratuiti, come ha cambiato l'ascolto?
Il livello di complessità musicale dei brani di successo è sempre più elementare. L'andamento dei miei brani su Spotify mi dà il polso della situazione. Brani più complessi come "Flying Higher " e "Flowers will Save Us ", nati da sensazioni scaturite dal profondo di me stessa, sono più complessi di altri, proprio per riuscire a trasmettere tutte le sfumature di uno stato d'animo., non hanno avuto poi un grande riscontro. Per contro, brani come "Sunrise", ispirato dall'alba di una giornata che si prometteva tranquilla e piuttosto semplice nella struttura musicale come brano, sono andati molto meglio.
Come vedi oggi il mercato musicale?
E' pur sempre un mercato ed alla fine comanda la domanda. Certo, si tende sempre ad omologare ed appiattire tutto... per questo cerco di mantenere pur sempre la mia identità musicale, che evolve seguendo la mia evoluzione personale piuttosto che l'evoluzione del mercato. C'è omologazione e c'è appiattimento, collegati a quello che dicevamo prima: sono più apprezzati brani corti e semplici, spesso piacciono gli artisti "stravaganti", che poi alla fine però producono brani tutti uguali.
Ci sono dischi che hanno segnato il tuo percorso artistico?
Mi viene subito in mente "Rave" di Sam Paganini che mi ha fatto scattare la voglia di cercare altre sonorità. Fatima Hajji con "Mother Earth" mi ha dato lo stimolo ad aumentare i "giri" ma la mia più recente scoperta è stata Indira Paganotto con la sua solarità nella dark night (sicuramente le sue origini canarie contribuiscono notevolmente a questa sua solarità). Il suo EP "Lions of God" è un mix perfetto, a mio parere, tra ritmo incalzante e melodia.
Che consigli daresti a chi sta intraprendendo una professione artistica?
Ritengo di aver più bisogno di riceverne che di darne, di consiglio. Dovendo trasmettere un mio messaggio personale a chi sta intraprendendo ora una professione artistica, direi di non dimenticare mai che un artista non deve mai dimenticarsi di essere tale.
Quando ti accorgi che un brano è pronto per essere pubblicato?
Quando durante la lavorazione di un brano non riesco più a star seduta ma mi devo alzare dalla sedia e cominciare a ballare per lo studio vuol dire che ci siamo!
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Ross Roys: si balla con "After Time"
Abbiamo incontrato la dj producer toscana Ross Roys, che da tempo propone sonorità elettroniche che fanno ballare il mondo. Il suo nuovo singolo è "After time". "Esce il 25 marzo sulla mia label Ross Roys Records. Si chiama 'After Time', ovvero in italiano 'Tempo dopo'. Il titolo sta ad indicare un tempo che mi sono ritagliata per affinare un sound più in sintonia con la mia evoluzione artistica", racconta Ross Roys. "Ho sempre cercato di comunicare attraverso le mie produzioni frammenti del mio mondo interiore e penso anche questa volta di esserci riuscita".
Cosa stai facendo adesso, a livello musicale e personale?
A livello internazionale sto riallacciando i miei contatti: dopo un periodo di ricerca interiore, sento il bisogno del confronto e dello scambio diretto ed anche di collaborazioni con realtà diverse dalla mia perché così nascono grandi idee e grandi progetti. È vero che le nuove tecnologie hanno spesso sostituito il rapporto umano diretto ma gli stimoli che scaturiscono dal collaborare gomito a gomito sono insostituibili.
Le nuove tecnologie come hanno cambiato l'approccio alla musica? E l'uso di Spotify e Youtube, che sono gratuiti, come ha cambiato l'ascolto?
Il livello di complessità musicale dei brani di successo è sempre più elementare. L'andamento dei miei brani su Spotify mi dà il polso della situazione. Brani più complessi come "Flying Higher " e "Flowers will Save Us ", nati da sensazioni scaturite dal profondo di me stessa, sono più complessi di altri, proprio per riuscire a trasmettere tutte le sfumature di uno stato d'animo., non hanno avuto poi un grande riscontro. Per contro, brani come "Sunrise", ispirato dall'alba di una giornata che si prometteva tranquilla e piuttosto semplice nella struttura musicale come brano, sono andati molto meglio.
Come vedi oggi il mercato musicale?
E' pur sempre un mercato ed alla fine comanda la domanda. Certo, si tende sempre ad omologare ed appiattire tutto... per questo cerco di mantenere pur sempre la mia identità musicale, che evolve seguendo la mia evoluzione personale piuttosto che l'evoluzione del mercato. C'è omologazione e c'è appiattimento, collegati a quello che dicevamo prima: sono più apprezzati brani corti e semplici, spesso piacciono gli artisti "stravaganti", che poi alla fine però producono brani tutti uguali.
Ci sono dischi che hanno segnato il tuo percorso artistico?
Mi viene subito in mente "Rave" di Sam Paganini che mi ha fatto scattare la voglia di cercare altre sonorità. Fatima Hajji con "Mother Earth" mi ha dato lo stimolo ad aumentare i "giri" ma la mia più recente scoperta è stata Indira Paganotto con la sua solarità nella dark night (sicuramente le sue origini canarie contribuiscono notevolmente a questa sua solarità). Il suo EP "Lions of God" è un mix perfetto, a mio parere, tra ritmo incalzante e melodia.
Che consigli daresti a chi sta intraprendendo una professione artistica?
Ritengo di aver più bisogno di riceverne che di darne, di consiglio. Dovendo trasmettere un mio messaggio personale a chi sta intraprendendo ora una professione artistica, direi di non dimenticare mai che un artista non deve mai dimenticarsi di essere tale.
Quando ti accorgi che un brano è pronto per essere pubblicato?
Quando durante la lavorazione di un brano non riesco più a star seduta ma mi devo alzare dalla sedia e cominciare a ballare per lo studio vuol dire che ci siamo!
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