#io sono troppo dispiaciuta ma per lei
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omarfor-orchestra · 8 days ago
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Nooooo
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lamiastoria109 · 2 years ago
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Vi racconto di lui pt.6
Mentre ci incamminiamo mi tiene per mano e mi guarda mi sorride sento che è sereno e pure io, siamo sulla stessa lunghezza d'onda, dopo così tanto tempo single finalmente una gioia. Ci salutiamo io vado in camera mia al piano superiore invece lui scende giù. Il giorno dopo mi sveglio e non vedo l'ora di vederlo, scendo giù a rubare un pò di caffè per fare colazione e poco dopo scende pure lui mi saluta come se non fosse successo niente ma mi sfiora le mani viene vicino a me per aiutarmi ad accendere il fornello senza le fiamme(orribili quei fornelli a conduzione di calore) ma non fa troppo perché c'è lì sua sorella e allora ho pensato che non volesse dirgli nulla e quindi ho fatto la distaccata, ci sediamo tutti fuori ci beviamo il caffè tranquilli e lei mi dice che gli piacciono molto i miei capelli, la ringrazio e le dico che anche a me piacciono i suoi ovviamente, mi sembra davvero sincera e gentile poco dopo mi dice che lei sarebbe tornata a casa nella sua città e che a momenti sarebbe arrivato il suo taxi io dispiaciuta di no poterla conoscere cerco di essere carina con lei oltretutto aveva il ciclo mestruale e stava male e io avevo delle medicine che lei non aveva perciò sono salita in camera e gliene ho portate un paio per il viaggio, mi ha ringraziata ed è entrata a prendere subito la medicina con dell'acqua e in quel momento dopo che lei è entrata, lui mi lancia uno sguardo e mi tocca le mano come per dire "non mi dimentico di ieri sera" e in un certo senso mi ha tranquillizzata anche se alla fine io ancora non avevo dato peso a questa cosa, non avevo dato tanto peso a lui, non mi immaginavo tanto con lui, io avevo da pensare alla mia vita al mio futuro non ero del tutto pronta ad una relazione e lì per lì non avevo capito che per lui era diverso, ma tutto il resto lo racconterò se avrete voglia di leggere altro, aspetto notizie. Spero di avervi un pò intrattenuti e di avervi portata con me nei miei ricordi con lui. Al prossimo post dalla vostra 109.
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issaspace · 3 years ago
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✨ ──  ɴᴇᴡ! ᴇxᴛʀᴀᴄᴛ ʀᴏʟᴇ, JOSEPH TAYLOR  ‹›  oct 22 astro office · „ #ʙᴇᴡɪᴛᴄʜᴇᴅ ✧.
𝓙. l'astronomo era nel suo ufficio, intento a compilare varie pergamene in vista degli esami che, col passare del tempo, si facevano sempre più vicini. Quella sera tuttavia, aspettava una visita; aveva spedito un gufo alla Serpeverde per l'appuntamento che aveva ella richiesto, di conseguenza Taylor, controllava il proprio orologio: fugaci occhiate sia a quello che alla porta, in attesa di Acaste mentre continuava a scrivere con la propria piuma.
𝓐. il buio va esaurendosi dinanzi il lumos, ormai niente più che un suono emesso a fior di labbra, la piccola Serpeverde con le braccia abbassate perché risultino ben più aderenti ai fianchi, raggiunge l'ufficio di astronomia, luogo del proprio incontro con il professor Taylor, un po' d'ansia a condirle i pensieri. Le massicce ante di faggio ruotano sui cardini, permettendo alla sua esile figura di entrare all'interno della stanza dopo aver bussato diligentemente, andando a prendere posto in modo garbato sullo sgabello difronte la scrivania del docente; occhi un po' bassi, timida al solito « Buonasera, professore. Le chiedo ancora scusa per il disturbo a quest'ora »
𝓙. « Prego Acaste, buonasera. » il bussare della ragazza distolse lo sguardo del rosso dai suoi impegni scolastici; alzò quindi la vista, concentrandola sulla sua figura, facendo così comparire sul volto una sincera mezzaluna. Tenne stretta nella destra la piuma, che fece cadere una goccia di inchiosro sulla pergamena, fin quando ella non si sedette per poi, quindi, riposarla all'interno del calamaio. Portò la dritta sulla mancina, per tornare a proferire parola « Cosa succede? »
𝓐. è perfettamente consapevole che fissare una persona può considerarsi maleducato oltre che ironico, visto quanto lei stessa odi essere oggetto di sguardi troppo prolungati, eppure, dal voler capire se la sua gentilezza fosse vera e ritenendo per questo necessario osservare il volto del docente per un'eventuale reazione rivelatoria, il suo interesse si sposta gradualmente verso quel cappello che ne ricopre parte del capo, ma si tratta solo di un breve ed effimero istante; sospira la piccola Serpeverde, guardando le proprie mani « Ho.. io, ecco, ho deciso di parlarle perché ho un problema ed è, come dire.. imbarazzante, sono un po' agitata. Mio fratello mi ha consigliato di parlarne con lei. Vede, » un altro sospiro, il tono di voce basso « la mia famiglia è molto conservatrice, oserei dire "all'antica", pertanto non mi supportano su ciò che mi piace ne, tantomeno, supportano i miei interessi, motivo per il quale non appoggiano il mio impegno nella sua materia ma di contro apprezzano quello di Maxwell in DCAO, per farle un esempio. » una breve pausa, un altro sospiro.
𝓙. « Mh.. » borbottava, mentre la giovane studentessa parlava, annuendo qualche volta; intanto, si levò il cappello dalla testa con la mano destra, andando ad appoggiarlo sul tavolo in legno d'abete e pressandolo qualche volta, affinché non occupasse troppo spazio. Il sorriso scomparve, non coerente con la situazione, andando così a delineare un'espressione dispiaciuta a causa del racconto di lei. Prima di prendere parola però, fece un respiro profondo « Ti posso capire Acaste; anche la mia famiglia non ha mai preso in considerazione l'importanza dell'astronomia. Io sono vissuto, da purosangue quale sono, in mezzo alle magie e agli incantesimi. Mi piacevano quando ero piccolo e mi sognavo un abile mago in incantesimi. Eppure, con il passare del tempo, le passioni cambiano e si trovano invece quelle che poi costituiranno il nostro futuro. » s'inumidì le fauci con la lingua, ormai seccate per il discorso. Distolse lo sguardo dalla ragazza per qualche istante facendolo girovagare prima sulla scrivania, poi sulle mura, poi infine nuovamente su Acaste « Ed i miei genitori ora, sono felici di questa mia scelta. Ricorda che, anche se in un primo momento non sembra, i genitori sperano nella felicità dei figli, per qualunque scelta loro facciano e per qualunque strana loro intraprendano. » concluse così il suo monologo di risposta, andando a poggiare delicatamente il suo busto sullo schienale del trono.
𝓐. Lo sguardo nuovamente basso sulle sue mani, le dita dell'una che tirano distrattamente quelle dell'altra, ma dinanzi le sue parole la piccola undicenne si rende conto che, almeno per una volta, può davvero sentirsi capita e forse è proprio questa consapevolezza a spingerla ad alzare lo sguardo sul docente « La ringrazio per le sue parole professore, inutile dire che già mi sento un po' meglio, però.. ho costantemente il fiato sul collo da parte loro e questo mi porta solamente distrazioni, anche nello studio. Io amo studiare, mi piace e non lo sento, mai sentito!, un peso eppure.. » già, eppure.. un altro sospiro: l'ennesimo « Professore, lei pensa di potermi aiutare? »
𝓙. « Lo so, non è educato replicare con un'altra domanda ma.. » alzò ora la dritta, abbandonando quella posizione, indicando con l'indice della stessa mano la giovane figlia di Salazar « secondo te, staresti meglio a seguire ciò che vogliono i tuoi genitori piuttosto che le tue inclinazioni e passioni? »
𝓐. Probabilmente si sente un po' messa all'angolo in quel momento, spalle al muro e fiato trattenuto forse un po' troppo in gola ma è in grado di comprendere quanto quella sia, in verità, una domanda necessaria che avrebbe anche e addirittura porsi lei stessa da sola davanti lo specchio « Beh.. » distoglie un po' lo sguardo adesso portandolo altrove, oltre la figura del docente lì dinanzi, sulla finestra alle di lui spalle « no, penso starei peggio.. suppongo » un colpo di tosse atto probabilmente più a schiarirsi la gola che al resto.
𝓙. Abbassò così la mano, quasi sbattendola sul tavolo. Fece spallucce: quel gesto stava a sottolineare quanto egli già sapeva la risposta; tale gesto fu accompagnato da un nuovo sorrisino che si dipinse sul suo volto « Vedi.. nella vita ci troveremo sempre di fronte a persone che ci appoggiano e altre che cercano di farci cadere, di farci cambiare strada ed alcune di queste ultime potrebbero essere proprio le persone più vicine che abbiamo. La domanda che ci dobbiamo sempre porre è: vogliamo far felici noi stessi o gli altri? »
𝓐. il colpo sulla scrivania in legno d'abete la fa sussultare, drizza le spalle e serra il respiro in gola ingoiando a vuoto un groppo d'aria fin troppo amaro. Aca, ti hanno sempre detto di essere troppo piccola per poter prendere decisioni da sola, forse è il caso di crescere! « Ha ragione, » sentenzia la piccola Serpeverde, annuendo poiché infondata di una nuova e maggiore, seppur poca, consapevolezza e audacia « ha ragione. I-io, le prometto che ci penserò su. Mi ha fatto bene parlare con lei questa sera. »
𝓙. « Figurati, mi fa sempre piacere sentire cosa avete da dire e come vi sentiate. » inclinò di poco il capo verso la destra; il suo tono era quasi gioioso, felice: quella chiacchierata avrebbe potuto fare bene anche a se stesso. Diede un rapido sguardo all'orologio, inalando poi dalla bocca un grosso quantitativo d'aria ascoltabile dalla ragazza a causa di una sorta di fischio « Bene.. penso sia quasi ora del coprifuoco e che sia giunta l'ora di tornare in sala comune! » [...]
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megmacgillivray · 4 years ago
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club dei cuori disperati pt 2
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«Allora» ed è evidente che non sa che pesci pigliare. «Facciamo un recap» e cerchiamo di capirci qualcosa, insieme. «Questa ragazzA» e ragazza è anche calcato, vista la nuova scoperta della sessualità dell’amico « dormiva con te» e cerca lo sguardo per una conferma «ma poi non più perché… Beh perché è arrivato un altro» e la fa breve «Ma ora sta male per cose… cioè sai perché?» sta male, ovviamente. Comunque continua, che non è finita la storia «e avete dormito insieme. Di nuovo» e ora si azzitta. Fa una pausa, aggrotta le sopracciglia e si mordicchia un po’ il labbro inferiore.
Annuisce al piccolo recap di MEG. «Non lo so perché sta male. So che è per colpa di qualcuno.» Magari proprio del ragazzo in questione, lui che ne sa.
«Dormire insieme è una cosa da fidanzati» e lo dice serissima. «Però baciarsi lo è ancora di più» nella scala di cose da fidanzati, seh. «Voi vi siete…?» baciati?
Annuisce ancora prima di ritrovarsi a strabuzzare gli occhi alla rivelazione che “dormire insieme è una cosa da fidanzati”… cos. «Cos-» … «No!» Non si sono baciati. E arrossisce un pochino al solo pensiero visto che è ancora un nano. «No no! Lo ho regalato un anello però.» Pure questo è da fidanzati? Ci sono altre cose che deve sapere? «Però non siamo fidanzati! È per questo che non capisco! Cioè: che siamo!?» Ora che sa che “dormire insieme è una cosa da fidanzati” sembra essere sull’orlo di un mental breakdown; inconsapevole di tutta la sua vita in pratica.
Se nella scala dei fidanzati dormire insieme è proprio nei primi posti, e viene superato dal baciarsi e poche altre cose, dare un anello è «COOOOOSA?». insomma, è proprio matrimonio. Sgrana gli occhi e apre la boccuccia per poi dire «Lei ha accettato?» con voce acuta sì, e… shock. «Ma sei matto? Un anello? Ma siamo piccoli!!! Guarda che poi la devi sposare» e non è proprio così, ma lei è proprio allucinata
La CORVA strilla, e lui si tira un po’ indietro strabuzzando gli occhi confuso e pure alquanto spaventato, la bocca tirata in una specie di smorfia manifestazione del disagio; che ha fatto mo? «Eh sì…» che ha accettato. Perché non avrebbe dovuto? Strabuzza gli occhi ancora di più se è possibile. «Ah.» La deve sposare. «VA BENE!» Lo inviti a nozze… letteralmente. «Però no! Non era l’anello che si mette all’anulare!» dai più conosciuta come “fede”. «È solo un anello che le ho fatto io, prima che lei dicesse che… non potevamo più dormire insieme.» Mette le mani avanti, e lui si tira di nuovo indietro nemmeno avesse paura di un’esplosione imminente.
La situazione peggiora quando le annuncia il matrimonio imminente, e già la canzoncina nuziale le risuona in testa. La melodia viene interrotta quando sottolinea che non è “un anello da anulare” e quindi tira un sospiro di sollievo «Menomale! No, perché quelli» gli anelli da anulare, sì «sono roba troppo seria» e quel troppa lo sottolinea per bene. e un brividino di terrore le prende anche la schiena al pensiero di queste cose da grandi.
«Allora.» Le fa pure il verso. Però annuisce e inclina di nuovo la testa confuso. «Perché ufficialmente? SI MA CHE SIGNIFICA TUTTO QUESTO?» Che deve pensare? Non ha capito!
Cosa significa tutto questo? «CHE QUESTE COSE SONO COMPLICATE» e lo dice proprio con tono capriccioso, andando a incrociare le braccia al petto «Ma cosa le chiedi a meeee, ti sembro una esperta??»
La guarda di nuovo, mettendo le mani avanti e indietreggiando con il busto per poterla indicare meglio. «PERCHE’ SEI UNA RAGAZZA!» O sbaglia? «Vi capite fra di voi!»
Il fatto che stia chiedendo a Maegan, come volevasi dimostrare, è probabilmente un grande errore, dato che lei non capisce niente e nessuno. Non capisce i maschi e nemmeno le femmine, anche se «LO SO CHE SONO UNA RAGAZZA» miss ovvietà 2077 a rapporto «ma non posso capire una ragazza grande.» e ora è anche seria nel dirlo «Se ti piaceva Blythe» Wharton, obv «potevo aiutarti, perché lei la capisco. Ma questa manco la conosco bene.» ed è anche dispiaciuta nel dirlo.
«Ah.» Cos «Non ti devo dire di stare zitta su tutto. Vero?» Alza lo sguardo verso di lei, serissimo proprio. «Sei l’unica che sa queste cose.» Prova pure a montarle un po’ la testa: è l’unica, è importante!
«Come se mi avessero fatto un Silencio!» e lo dice anche con aria solennissima.
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nonchiamarmimacnamara · 4 years ago
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« ti credevo migliore di così. »
H: « oculus patefàcis »
M: « Ma porco Merlino impastoiato mangiato dai Vermicoli » ... « Cosa Gramo sta succedendo? » ... « Chi l`ha affatturato? » indica Nico, perchè questo, almeno l`ha capito. Una sottile rabbia comincia a ribollire urlando per salire in superficie.
D: È ovvio chi l’abbia affatturato, perché c’è solo una persona con la bacchetta sguainata « Nessuno » risponderebbe a Merrow, senza alzare lo sguardo perché gli occhi bruciano il doppio. « Non è niente. » Insomma poteva andare peggio... Continua a tenere lo sguardo basso e a poggiarli sull`avambraccio, nonostante il tremore dei muscoli senza forze dopo il digiuno.
C: Le domande della Grifondoro sono legittime ma la mettono lo stesso in difficoltà, distoglie leggermente lo sguardo e prova a mormorare « Stavamo provando a risolvere uno degli indovinelli » ed è ovvio che non sia quello il punto ma lei ci prova lo stesso, sfoderando pure un mezzo sorriso.
H: « un Tassorosso! » esclama tutta convinta, con un inconfondibile sicurezza a trapelare dalle sue parole, quasi stesse dicendo la verità assoluta « sai quello che se ne va in giro a fare trollincantesimi su tutti? » questo Tassorosso esiste davvero, tra l’altro « che poi più che un sortilegio » non si esime neanche dal correggerla tant’è spavalda « ha castato un incantesimo del primo anno.. » quale lo Spalancaocchi, com’è evidente da quelli arrossati e lucidi di Dominic « io ho provato a fermarlo » direbbe sventolando la bacchetta davanti a sé; ecco la vera cavalleria Serpeverde « ma sono stata lenta » concludendo la sua performance nello stringersi nelle spalle, pronunciando quelle parole con un filo di voce come se fosse realmente dispiaciuta.
S: [...] « vero » è stato un Tassorosso « Heav ha cercato di aiutare Dominic » accennando a lui in modo distratto - senza guardarlo che chittese « però quello è scappato in bagno » eeeeh e che ci vuoi fare? Seguirlo? Nah. Lui fa un`alzatina di spalle e, già che ci siamo « è andata così, vero Nico? » ah ma sa pure il suo nome scusa? E lo guarda con un sorriso e un`occhiata un bel po` eloquente che a tratti potrebbe tradirlo - un bullo in tutto e per tutto, seh.
M: « Hazaar » comincia piano « Se c`è qualcosa che ho capito dei Serpeverde, è che non parlano mai, a meno che non abbiano qualcosa da guadagnarci. » sguardo penetrante a lei rivolto, prima che l`attenzione si sposti su Sebastian. Tace, e ciò non è affatto un bene, perchè l`espressione di pietra di quel volto affilato è quanto di più strano da vedere su una persona così tumultuosa:
guarda il Secondino che in quella pantomima le fa contrarre l`espressione in un disgusto puro e profondo « Ti credevo migliore di così. » glielo dice stretto, in un mormorio che è una lama
« Questa cosa che chi ha la bacchetta facile e se la prende con i più piccoli » occhiata ad Heaven, pungente « mi fa vomitare. » lo schifo che prova è ai massimi livelli, e non salva nessuno dei presenti « E tu » verso Gilmore adesso « Se li proteggi, sei peggiore di loro. Vi vantate d`essere Purosangue e poi non siete in grado di mantenere nemmeno un comportamento decente. Chi è superiore non ha bisogno di dimostrarlo con questi mezzucci. » capito, Miss Verde-Argento? « Fate quel ca**o che vi pare. » perché a lei sta tornando a ribollire la rabbia, ed è il caso che non esploda, ecco perchè punta le iridi sulla Harris, scuotendo il capo, in quella che è pura delusione. Per tutti, su tutti. Non aggiunge altro, che tanto sarà già un miracolo se anche solo uno di loro avrà capito quello che ha detto: acchiappa Ophelia in braccio e farebbe per aggirarli, senza nemmeno degnarli d`altre attenzioni, proseguendo.
S: Quell`espressione dura di lei se la incassa tutta, seppur lui risponda con una particolare indolenza che piano piano sta cominciando a tirare fuori.
Il tutto però crolla al dire di lei che beh, se da una parte accende qualcosa dall`altra il suo cuoricino va a stringersi sinceramente ferito « credi quel ca**o che vuoi Merrow » e l`espressione pare pure indurirsi, con gli occhi che mantengono lo sguardo andando ad assotigliarsi, la mascella si serra e le mani - ancora in quell`incrocio - ridotte a pugnetti.
C: Merrow sputa fuori quelle frasi con così tanto disgusto un groppo le si forma alla gola, così stretto che sembra quasi impedirle di respirare normalmente, lo sguardo viene abbassato e le braccia si stringono al petto in una chiara posizione di chiusura ma anche in questo caso non dice niente, nemmeno una sillaba. Anche se la mascella s’irrigidisce a quella menzione sull’essere Purosangue. [...] Un’occhiata ai Secondini « Andiamo? » che lì hanno già fatto fin troppi danni. L’umore non è dei migliori ma ha comunque voglia della loro compagnia.
H: L’arrivo di Merrow sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso se non fosse che lei il vaso l’ha direttamente rotto. Ascolta il suo rimprovero mordendosi il labbro inferiore con forza, come se stesse soffocando una risata sul nascere, visto che gli angoli della bocca sono rivolti verso l’alto, le sopracciglia invece sono sollevate a mostrare, oltre che la sua arroganza, anche in queste circostanze, pure il suo scetticisimo riguardo ogni singola parola pronunciata da Merrow « non capisco di cosa tu stia parlando » inarcando le sopracciglia tanto da far spuntare tre rughette circolari sulla fronte, visibilmente confusa [...]
S: La lascerebbe proseguire ma niente, non si sa cosa sia a farlo esplodere ma lui ad una certa non pare riuscire a trattenersi, sempre che ci abbia mai provato. Le braccia vanno a mollare l`incrocio « che ca**o ne sai, del perché l`ha fatto? » passando gli occhietti dall`alto al basso
« tu arrivi, *giudichi* e te ne vai » calcando il "giudici". Ora è lui quello con l`espressione del "mi fai vomitare" « ti credevo migliore di così. » ecco, ricambiamo quella stessa affermazione.
E glielo dice quanto più schietto si possa, sincero in quello sputargli tutto ciò che al momento sta pensando e un po` troppo influenzato da quelle mille emozioni, il tono alto e l`espressione delusa.
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acciowesleyino · 4 years ago
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stampini e regali
«Allora… Dobbiamo fare la forma per lo stampino, perché non ne ho uno a forma di zampa.» Ovviamente, chi produrrebbe mai stampini in silicone a forma di zampa di rospo? «Mettilo qua.» Artie, ovviamente. E indica il foglio pulito, mentre prende la matita. Se il ragazzo seguisse le sue indicazioni, la Corvonero prenderebbe delicatamente la zampa dell’animale fra le mani, e inizierebbe a tracciarne i contorni con la matita.
« Okay capo » ridacchia nel sentirla dargli quei primi ordini su cosa fare con Artie. Il rospo viene lasciato dove richiesto dalla Corvonero, le mani che restano comunque a tenerlo fermo per il corpo. « Altrimenti scappa » si giustifica così, anche se magari Cheryl non gli chiede nulla. « Stai fermo eh. Ci vuole un attimo » continua a rivolgersi sempre al rospo mentre lascia che l`altra faccia quello che deve fare per prendere la forma della zampetta di Artie. Lui rimane solo a guardare curioso il foglio e i movimenti di lei.
«Adesso trasfiguro il foglio in uno stampino.» Logico, no? Però le serviva avere chiaro il profilo della zampa, nero su bianco, per esser in grado di concentrarsi meglio e creare un buono stampo. Gli occhi della Roberts si puntano quindi sulla pergamena, mentre la bacchetta si muove a croce, prima dall’alto verso il basso e poi dal basso verso l’alto. «Vèrto.» Con voce sicura, senza alcuna sbavatura di accento, la biondina pronuncia la formula dell’incantesimo trasfigurante, mentre lo sguardo si tiene fisso sul foglio: immagina che questo si contorca e si trasformi in uno stampino di silicone, trasparente, della stessa identica forma della zampa di Artie, il povero martire di quell’esperimento. Se l’incantesimo fosse riuscito, la ragazzina prenderebbe soddisfatta l’oggetto appena ottenuto fra le mani, mostrandolo al compagno. «Che te ne pare?»
« E` perfetto! » decreta alla fine, assumendo anche lui un`espressione tutta soddisfatta ed allungando la mano per afferrare lo stampino, solo per poterlo osservare meglio. « E` proprio la sua » ma dai, si chiama stampino apposta. « Ora ci metti quella roba lì? » continua a domandare curioso adocchiando la bottiglia riposta sopra il banco. [...] « Facciamolo giallo! » decreta alla fine tutto contento. « Che anche Artie è un tassorosso » e qui vanno rispettati i colori di casata. 
Le sue manine si richiudono subito attorno alla boccetta contenente la polvere colorante gialla. La stappa, e con attenzione inizia a versarla nel contenitore con la resina, senza però esagerare. Fatto ciò, inizia a mescolare. «Beh, visto che siete tutti e due tassorosso secondo me è fortissimo.» Il giallo come colore, quindi si, le piace tanto. Ecco, magari lei lo avrebbe fatto viola, ma quel colore tanto acceso non la disturba, come testimonia quel suo sorriso carico d’approvazione. Aggiunge ancora un po’ di giallo, e gira per bene, prima di passare il contenitore al ragazzo, con aria interrogativa. «Ti piace?»
« E` grinzafichissimo » certo che gli piace, neanche a dirlo, basta guardare lo sguardo ammaliato con cui guarda il tutto. « A te piace Artie, mh? » di nuovo coinvolge il rospo spostandolo per fargli osservare ciò che sta facendo Cheryl. Peccato che, a parte un bel CRAA, il rospo non possa esprimersi chissà quanto. « Gli piace » ci pensa lui a parlare per Artie tanto.
«Sono contenta ti piaccia.» Gli dice semplicemente, mentre canticchiando a bassa voce versa tutto il composto in due stampini: uno è quello a forma di zampa di Artie, l’altro è una sorta di mini rettangolo, sottile ed alto, che poi avrebbe incollato sulla zampa per dar modo al ragazzo di poter usare il timbro senza troppe difficoltà. Batte le formine sul tavolo, per essere sicura che il composto scivoli in ogni piega, prima di metterli fra loro. «Adesso devono solo asciugarsi.»
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Ad un tratto, però, afferra lo zainetto e vi estrae due cose: la prima, è il solito sacchetto di biscotti che mette fra loro, il secondo è un pacchetto dalla forma rettangolare. Visto che devono aspettare, tanto vale fare merenda. «Ti ho preso una cosa.» Gli Dice, tendendo verso di lui il pacchetto, incartato con una carta semplice, beige, e decorato con dei fiorellini secchi, legati fra loro –e anche al pacchetto- con un piccolo nastrino.
« E quello? » domanda ma la ragazza ci mette poco a spiegarsi, facendogli distendere il cipiglio mentre le sopracciglia questa volta si piegano verso l`alto. « Per me? » domanda sinceramente stupito ma con la curiosità che si fa sempre più elevata. « E perché? » chiede ancora mentre va ad afferrare il pacchetto iniziando subito ad aprirlo ma cercando di non rovinare troppo tutte le decorazioni che Cheryl ha applicato su di esso. « Ceh se è per Natale, io non ti ho preso niente » e lo dice anche con tono dispiaciuto mentre cerca il suo sguardo.
«Ma mica ti ho fatto un regalo per riceverne uno in cambio.» Lo rassicura, cercando a sua volta il suo sguardo, per fargli capire che no, non è dispiaciuta, e che no, non deve assolutamente sentirsi in obbligo con lei. Probabilmente qualcuno dovrebbe toglierle la possibilità di fare regali, che veramente nel periodo di Natale lei si sbizzarrisce. Il pacchetto è dalla forma rettangolare perché contiene un libro zeppo di racconti d’avventura. Se lo aprisse, si ritroverebbe anche una dedica sulla prima pagina, quella subito dopo la copertina. Vi si legge un “Magari vedendo che non tutti i libri sono noiosi, ti passa l’allergia per la biblioteca. Cherry, 2076”. Ma lei continua ad osservarlo, curiosa. «Ti piace?»
« Mi piace un sacchissimo! » dice con tutta l`enfasi del mondo, prendendo a sfogliare qualche pagina ed incappando anche in quella dedica che lo fa scoppiare in una risatina. « Non so se l`allergia mi passerà mai » rivela col sorriso « Però è bellissimo, come facevi a sapere che i libri di avventura sono i miei preferiti?? » magari non lo sapeva ed è andata a intuito, ma lui è super contento. « Grazie » finalmente la ringrazia anche fermandosi qualche secondo di troppo ad osservarla, con gli incisivi che mordicchiano il labbro inferiore in un sorriso mal trattenuto. Poi, con ancora il libro stretto in una mano, allunga il braccio libero per cercare di avvolgerle le spalle in un abbraccio un po` goffo che dovrebbe farla ritrovare un po` spiaccicata contro di lui. « Sei proprio carina » che è un po` il suo complimento basic per le ragazze, ma è veramente sentito sta volta.
Si sarebbe aspettata di tutto, tranne un abbraccio. Quando infatti il ragazzo le cinge le spalle con un braccio, le guance le si sporcano di rosso, e menomale che lui non può vederla, perché quel complimento di certo non migliora la situazione. Goffamente, la Corvonero cingerebbe il busto del ragazzo con entrambe le braccia esili, e poserebbe per qualche istante la fronte contro la sua spalla, nel tentativo di celare il rossore del viso. Che poi, come si risponde ai complimenti? Non ci ha mai pensato. «Anche tu.» Mormora alla fine, non sapendo esattamente come comportarsi.
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arreton · 4 years ago
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Quando si piange si ha sempre questa alternanza caldo-freddo: da un lato i brividi, dall'altro il caldo, il sudore. Gli occhi appannati, ovviamente, il naso che cola, lo soffi e sembri raffreddato e pare che butti fuori muco accumulato da anni interi. Che aspettasse proprio quando ci si mette a piangere, per venire fuori? Il nostro naso però cola sempre, pare sempre in scongelamento. Insomma ogni volta non è che sia tutta questa bella scena. Il naso gonfio, espressione brutta in viso, occhiali che si sporcano. No no. Tempie poi che pulsano, stanchezza. È troppo faticoso piangere, però la professoressa di matematica, alle medie, ci diceva che far lacrimare gli occhi fa bene perché li pulisce. Ogni tot bisogna portare all'autolavaggio le cornee, evidentemente. E così... Diciamo che si passa dal fissare lo schermo del pc: rilassante vedere una tipa fare pilates allenando la parte superiore del corpo, diceva, nominava pure il core che non è quello che pulsa sangue. Quando pensi che tutto ormai è finito, non hai più nulla da temere perché non c'è più nulla da fare e sfoghi la tua impotenza — ché sei impotente pure difronte alla sensazione di impotenza — facendo lacrimare gli occhi, prima davanti al PC, poi davanti alla stufa, mentre il corpo non si decide tra l'avere freddo (brividi e piedi freddi nonostante due paia di calzini) e l'avere caldo e respiri a bocca aperta perché hai il naso tappato, devi togliere gli occhiali, la testa pulsa, la schiena è curva su se stessa. Si diventa proprio brutti quando si piange. In realtà da piccoli mentre piangevamo ci guardavamo allo specchio e nel vedere gli occhi rossi l'iride sembrava azzurro e allora ci dicevamo: se non altro gli occhi sembrano azzurri (secondo la nostra convinzione: occhi azzurri equivalevano alla bellezza, noi tanto così vicino alla bellezza perché non erano azzurri ma di un colore che non si capiva). Ricordiamo una scena, una volta, non ricordo quanti anni potevamo avere, tempi delle medie sicuramente: il letto si trovava in un'altra posizione (cambiavamo spesso la disposizione dei mobili) entra nostra madre in camera, si accorge che avevamo pianto e ci chiede perché. Uno dei pochi gesti affettuosi che ricordiamo, passavamo il tempo a nascondere i nostri malesseri. Non ricordiamo il perché di quelle lacrime, spesso capitava che ci mettevamo a letto e mentre aspettavamo che salisse il sonno ci prendevano delle strane sensazioni dolorose e piangevamo. Un altro ricordo: piccolina, forse avevo svegliato mio papà mentre dormiva e lui si era arrabbiato sgridandoci, avevamo una bambola in mano. Corriamo in camera nostra, stringendo la bambola, e ci mettiamo a piangere. Nostra madre non ci difende, volevamo essere difesi da lei, ha compassione per noi, goffamente ci consola, è dispiaciuta, non sa che fare. Forse lì la odiamo. Forse l'abbiamo sempre odiata un poco. Altro ricordo ancora: medie; la mamma di un nostro compagno ci umilia davanti a tutta la classe, gridandoci contro che abbiamo dato al figlio assente i compiti sbagliati. I nostri compagni sono tutti in silenzio, ci guardano, sprofondiamo nella vergogna, ci mettiamo a piangere e la mamma del nostro compagno alla fine ci dice pure: sei come a tua madre, ti metti sempre a piangere. Nessuno ci difende, non lo ricordiamo almeno. Forse solo la professoressa di matematica, ma portando la mamma fuori, tutti i nostri compagni ci guardano con aria compassionevole. Vorremmo sprofondare. Quella mamma lo faceva spesso, io e mia madre avevamo il terrore di lei, mamma si metteva a piangere perché la attaccava ingiustamente. Nessuno ha mai fatto niente. Mamma le parla ancora, io la saluto a stento. Gli unici ricordi che abbiamo sono scene simili, ovvero scene che ci vedono con un profondo senso di umiliazione, di inadeguatezza, di terrore nei confronti degli altri, di timore.
Sempre avuto meno cose rispetto agli altri un po' perché non potevamo permettercelo, un po' perché se avevamo di più venivamo rimproverati, dovevamo sentirci in colpa perché noi sì e lei no. Nostra madre non ci difendeva, nostro padre non c'era. Nessuno ha mai fatto niente. Nemmeno noi abbiamo mai fatto niente eppure portiamo addosso delle colpe, cerchiamo continuamente l'espiazione, la punizione. Allora la sera pregavamo Gesù. Al tempo ci dicevano che Gesù era nostro amico, il nostro papà, che ci conosceva meglio di chiunque altro, che potevamo confidare su di lui. Allora gli chiedevamo scusa, sicuramente avevamo fatto qualcosa di sbagliato contro la nostra stessa volontà e qualsiasi cosa fosse ci dispiaceva. Chiedevamo scusa perché eravamo delle brutte persone, di non far pagare i nostri errori ai nostri genitori perché non era colpa loro se noi eravamo cattivi, ci dispiaceva vedere che i nostri genitori stavano male e soffrivano e ci sentivamo colpevoli, allora se Gesù avesse punito noi al posto loro, sarebbero stati meglio. Chiedevamo scusa anche della nostra stessa esistenza, che magari era colpa nostra se i nostri genitori stavano male, a causa della nostra nascita. D'altronde nostra madre ci diceva che nostro padre non ci voleva, che non ne voleva figli. Lo capivamo, lo capiamo adesso più di allora. Che avrebbe voluto farsi un altro viaggio di nozze, ma poi siamo nati noi e quindi. I nostri genitori soffrivano, noi soffrivamo, chiedevamo a Gesù le cose, ma arrivavano strane e con tempi tutti loro. Poi abbiamo capito che non potevamo fare affidamento nemmeno su Gesù. Non avevamo molti amici ed avevamo perso anche lui. Violenza.
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sofabsocharlotte · 5 years ago
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« Charlotte! » La richiama a sé. « Vieni qui, dai. » Uno sguardo davanti a sé, il movimento della testa. « Fai spazio a Charlotte. » E questo sì che non è bello. « Lo sai che sono molto delusa da te, vero? » Le labbra che si arricciano in una espressione alquanto dispiaciuta. « Non si fanno queste cose fra amiche. Non è così, Xaxa? » E il capo che si volta di lato, cercando la complicità del bff. « Invece di guardare il mio ragazzo... » La mano destra che cercherebbe di portarsi verso il viso dell`amico, a prenderlo con indice e pollice, dal mento, come a volerlo farlo vedere meglio dall`altra. « Lui è carino, no? » E finalmente ritornerebbe a guardarla. « Tu che ne pensi di Charlotte, Xavier? » Una pausa. « Si è fatta pure un bel cu*etto. »
« Cosa non hai capito di: fai spazio a Charlotte? » Aka alzati adesso è la tua ultima chance. « Non si fanno assolutamente. » pappagallo mode on. « E non puoi deludere la mia migliore amica, lo sai? » Come se fosse effettivamente vietato deludere Octavia Milles, a maggior ragione se questa è la sua migliore amica. « Carino, dici tu? » Solo carino, Octavia? « Si è fatta un bel cu*etto, ma non è ancora nella top ten di Hogwarts. » e quale sarebbe la top ten. « Sicuramente c’è vicina. » e le fa – a Charlotte – persino un occhiolino che sa di incoraggiamento. Ci sei vicina. Te l’ha appena detto. « Penso sia carina. Niente male. » Piccola, sicuro. Comunque non importa. « Che dici, Charlotte, mh? » Mh?
« Ecco, fammi spazio. » rincarando la dose, una volta che arriva e che si mette seduta proprio di fronte a lei. « Lo so, mi dispiace tanto! Ti giurissimo su.. su tutte le mie fatine » e ne ha tante « che è successo per sbaglio. » ed aggiunge « E infatti, cioè le amiche non fanno così, lo so! Infatti io cioè non l’ho fatto apposta, davvero-davvero! » insomma ecco. « Cos.. cosa dico? » che dice?
« Secondo me Charlotte diventerà una delle ragazze più favolose di tutta Hogwarts. » Ruffiana come pochi. « Però magari potrebbe rimanere senza la mia amicizia, se non fa qualcosa per riparare a questo errore. » Un grosso errore, grossissimo, a quanto pare. E assottiglia le palpebre, per guardarla meglio. Ci sta pensando. « Ti impegnerai per Xavier, sì? » Sondiamo un po` gli stati d`animo della secondina. Ma subito dopo. « CE L`HO! » Così ad alta voce, voltandosi per un attimo verso il bff, a cui lancia un sorrisetto niente male, prima di ritornare su Charlotte. « Se ci tieni alla mia amicizia, per ripagarmi dell`errore, devi salire sulla panca, e gridare che Xavier è il più bello di tutta la scuola. » Le braccia che si incrociano al petto. « Così anche Helios non pensa più che a lui piaci. » Perché, lo pensa? « Xavier ti ripagherà con un bacio. Vero Xaxa? » Forse questa parte non era proprio concordata, ops.
« Ne sono convinto. Dopotutto è stata smistata tra i Serpeverde anche per questo. » per la bellezza dici? « Pensavo fosse già rimasta senza la tua amicizia ormai… » una piccola pausa riflessiva « dovresti recuperarla, Charlotte. » la sua amicizia. « Dopotutto come vedi, per me è fondamentale. » facendo spallucce. « Dovresti stare più attenta a quello che fai. » [...]  « Vero Charlotte. » vero. Ha detto vero. « Ti ripagherò con un bacio. » che membro virile.
eeh.. u-un.. eeh-io… che?? » suoni senza senso dalle labbra schiuse, con lo sguardo che si alterna dall’uno all’altra. « EHI, VOI OSCENI! » tutti quanti voi « LO SAPETE CHI IL PIU’.. IL PIU’ BELLO DI TUTTA HOGWARTS? » chi sarà mai!? « È XAVIER! » ecco. « EE.. E BASTA, ECCO. » buona cena a tutti, intanto può tornare quanto meno seduta sulla panca ma dopo averci messo un fazzoletto di stoffa nel punto in cui ci ha messo i piedi perché è una signorina pulita, favolosa e soprattutto schizzinosa. « SperocheHeliosabbiacapito. »
Riflettori su Xaxa e l’ipotetica lista di scommesse che prosegue. Si avvicina alla secondina e cerca di facilitare il tutto poggiandole la mano sotto il mento. « Non mi finire in infermeria. » per uno svenimento in atto. Sarà abbastanza veloce nell’avvicinarsi a lei, sfuggendo in direzione delle sue labbra per darle un bacetto – solo un bacetto – a stampo. Una cosa che potrebbe essere sin troppo innocente e rapida. Gli occhi aperti nemmeno tentano le palpebre di abbassarsi. Rapido così come lo sarà l’allontanamento del viso – qualora questo sia stato permesso – per avere una panoramica migliore sulla tredicenne. Te lo sei guadagnata, in caso.
Prima che il quartino le si avvicini per darle quel bacetto adorabile, la serpeverde sbatacchia le palpebre e si fissa su Xavier in un’apnea che potrebbe ammazzarla davvero. Poi quell’innocente bacino che la porta a sentire in un attimo fugace che per lei è durato nell’eterno infinito le labbra altrui. E appena si allontana si porta le mani sulle guance guardando non Xavier e nemmeno Octavia: dentro di sé il miglior spettacolo pirotecnico della storia. « … » Avete rotto Charlotte, bimbi.
« Così siamo pari. »
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chiamatemefla · 4 years ago
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La sua indecisione nasce dall’impossibilità di scegliere davvero tra tutte le cose belle e buone che incontra, ha incontrato e incontrerà, nella sua vita.
Non si definisce un esteta, del vero cultore del bello gli manca l’oggettività, è solo un povero essere umano dannato dal bisogno di godersi quel che fa, di farselo piacere fino in fondo, e con un odio viscerale per le mezze misure che lasciano uno strano senso di scontento proprio alla bocca dello stomaco.
Per essere felici, però, e soddisfatti e sazi, bisogna fare una cernita, arrivare dritti al punto.
Da piccolo era indeciso su quale album delle figurine comprare, quale gusto di gelato scegliere, ricorda una volta, che doveva essere tanti anni prima perché i suoi genitori erano ancora innamorati e vivevano tutti e quattro sotto allo stesso tetto, in cui passò un’ora a decidere cosa ordinare per cena. Il resto della sua famiglia fece in tempo a finire tutto prima che lui scegliesse cosa mangiare e non riuscì neanche a finire il suo piatto perché ci si addormentò dentro, dritto di faccia in una scodella di gnocchi alla sorrentina.
La serata era diventata un po’ la barzelletta di casa, più divertente per gli altri che per lui che doveva subirla, sentirla raccontata ad ogni pranzo e ad ogni festa comandata, ma aveva, pian piano e con difficoltà, imparato ad accettare la verità.
Lui è fatto così, siamo tutte persone diverse, e tante altre cose che gli dice suo nonno quando lo vede imbronciarsi.
C’erano voluti anni perché sua sorella imparasse ad avere pazienza quando uscivano insieme: era stato difficile, certo, ma anche sua sorella è “fatta così” e di pazienza ne ha poca, ne ha sempre avuta poca. Sua sorella è come sua madre e lui, tristemente, è come suo padre, ad entrambi manca comunque qualcosa e chissà che non finiranno per compensarsi, un giorno.
Ma suo padre fa così perché non è davvero interessato a niente, perché scegliere tra una rosa di cose che disdegni in egual misura alla fine rende difficile prendere una decisione che possa soddisfarti.
Spesso sua madre rideva, gli accarezzava una guancia e gli diceva che ad essere così indeciso non sarebbe mai diventato vecchio ma si sarebbe riempito di rughe, ché le scelte portano pensieri, e i pensieri ti ridisegnano la faccia.
Ad Antonio questa cosa non piaceva ma ancora meno gli piaceva l’idea di rimanere perennemente in bilico, incapace di muovere un passo avanti o uno indietro, comodo nella sua quotidianità fatta di scelte già compiute e routine.
La sua prima scelta era stata Lucia, una decisione presa di getto, senza rimuginare, che l’aveva fatto sentire per un lunghissimo momento il padrone del mondo.
Lucia era la sua ragazza, con un po’ di fortuna, lo sarebbe stata per tutta l’estate e, siccome Lucia è impaziente per natura, Lucia è proprio come sua sorella, forse insieme sarebbe riusciti a funzionare per i due mesi che mancano a settembre.
Forse si sarebbero divertiti. 
Si era imposto, per mesi, di non farsi domande, non far nascere dubbi, non soppesare pro e contro e tutto era filato liscio: l’estate era passata, lui aveva baciato Lucia in ogni posto del lungomare, aveva assaggiato ogni gusto di gelato presente nella gelateria vicino al porto e si era anche concesso di odiarne una buona parte senza sentirsi in colpa per quello, senza pentirsi eccessivamente.
Poi l’estate era finita, Lucia era ripartita, avevano rotto senza piangersi addosso ma scambiandosi i numeri e Antonio si era ripromesso che, da allora, le decisioni le avrebbe prese così: chiudendo gli occhi e prendendo la prima risposta alla domanda, ignorando tutte le altre, non pensando alle conseguenze.
Così aveva scelto il liceo, così aveva scelto il suo banco, così sceglieva le sue scarpe e, solo una volta, anche il taglio di capelli -- ma di quello si era pentito e, da allora, non l’aveva più cambiato, ne aveva trovato uno che gli permettesse di non visitare il barbiere più spesso di quanto necessario ed aveva continuato felice la sua vita.
Senza pensare aveva accolto Edoardo nel disegno.
Le domande non erano arrivate con la prima uscita, nonostante l’imbarazzo palpabile e l’adrenalina del non farsi beccare mentre provavano a capire chi dei due sarebbe stato il primo a baciare l’altro. Non erano arrivate neanche con la seconda, dopo un’ora e mezzo di treno per allontanarsi abbastanza da tenersi per mano. Non erano arrivate quando l’altro, per la prima volta, l’aveva chiamato “il mio ragazzo” durante una telefonata che si era conclusa con una risata e un bacio morbido e gentile.
Le domande arrivano tutte insieme un mercoledì notte, gli spalancano gli occhi alle tre e non gli permettono di provare a riaddormentarsi, lo bloccano sul materasso col peso di mille interrogativi che non può scrollarsi di dosso.
Sa chi è, quella è una domanda semplice.
Sa dov’è, perché è dove è sempre stato.
Sa, più o meno, dove andrà ma è ancora in tempo per cambiare idea.
Sa che sarebbe pronto a tornare con Lucia se lei glielo chiedesse.
Sa che ora ha voglia di baciare Edoardo come ha fatto un paio di giorni prima.
Non sa se quello è normale.
Non sa neanche se c’è una parola che descrive tutto quello, né sa se può usarla.
Sa che sua madre dovrebbe saperlo.
Non sa come dirglielo.
Non sa se deve dirglielo.
Le domande continuano per settimane.
Le risposte sono circa sempre le stesse.
Mari non passa il suo primo esame, sua madre passa il concorso.
Mari vuole rimanere a Napoli, Antonio non lo sa, Edoardo dice che da Napoli a Roma non è certo un viaggio.
Antonio non l’ha ancora detto a sua madre. 
Il primo a saperlo è Vito, che lo ascolta parlare ma non risponde e, davanti alla sua confusione, reagisce accendendo il computer e affermando possono scoprire insieme se, da qualche parte, esiste la parola giusta per descrivere quel casino -- chiaramente lui non la conosce, dice, ma mica è detto che solo perché non la sa lui allora non l’ha inventata nessuno.
«Forse sono solo indeciso.» tenta di scherzare, muovendosi a disagio sulla sedia dallo schienale rotto, e Vito gli tira una gomitata.
«Per essere indeciso devi avere più opzioni, tu hai solo il tipo, no?»
«Sì.»
«E ti piace solo lui.»
«Al momento sì.»
«E allora vedi che hai scelto?»
Casa sua è un accampamento di scatoloni, non c’è più qualcosa di suo che non sia stato accuratamente imballato, infilato in valigia, stipato in un furgoncino.
Tra quelle cose Antonio ha una parola, che suona bene e sta cercando di cucirsi addosso, e tra quelle scatole c’è sua madre che sistema le loro vite con meticolosità.
Alla fine ha scelto di seguirla, allo sbaraglio in un paesino in cui, dicono, i binari della ferrovia vanno in salita e intorno ci sono solo montagne.
«Più che il Lazio sembra il Trentino.» ride sua madre, ogni volta che ci pensano, e l’ha fatto anche la sera prima mentre mangiano seduti a terra, e Mari continua a dire che le mancherà tutto quello ma che, almeno, avrà una scusa per passare più volte dalla stazione cercando di farsi notare dal tizio della biglietteria.
Quando Antonio prova a parlare sua sorella non c’è, sua madre è appoggiata alle inferriate del balcone e forse sta salutando il mare, forse sta solo pensando a cosa potrebbe aver dimenticato, se il divano della casa che hanno preso in affitto sarà scassato o meno.
Sua madre odia i bugiardi, le cose fatte di nascosto e quelli che non sanno prendersi la responsabilità delle proprie azioni ed è per questo che non crede nei rimproveri preventivi, nei divieti categorici e, soprattutto, nella «Demonizzazione dell’espressione adolescenziale» come la chiama lei.
Non ha battuto ciglio quando sua sorella ha confessato di aver fatto sesso col suo fidanzatino delle superiori, si è limitata ad esporre i rischi del fumo quando ha trovato sigarette ed accendino nel suo zaino, perfino quando il suo ormai ex marito aveva confessato di averla tradita lei non aveva battuto ciglio e, con un’eleganza che Antonio le invidia, l’aveva ringraziato per la sincerità ed era corsa dall’avvocato per mettere fine a quella situazione scomoda il prima possibile.
Inspira a fondo, appoggia a sua volta i gomiti sulla ringhiera e si chiede se, dopo aver parlato, gli mancherà tutto quello, la normalità di un tempo, forse sua madre.
«Ti ho detto delle bugie.» soffia, tutto d’un fiato, e sua madre si volta di scatto per fissarlo con un paio di occhi che sarebbero esattamente come i suoi se fossero azzurri e che non dimostrano sorpresa, solo curiosità.
«Parli delle versioni di latino?»
«No! No, giuro che le versioni di latino le sto recuperando davvero!»
Sua madre ride, piano, gli appoggia la testa sulla spalla colpendolo col gomito perché continui a parlare, vada avanti, il rospo -- ma il rospo ce l’ha incastrato in gola e deve schiarirsi la voce più di una volta perché questa non esca rotta, tremante, insicura.
Lui è sicuro di quel che sta dicendo, dopotutto.
«E comunque è vero che le sigarette che hai trovato non sono le mie. Io non fumo quelle, costano troppo, mi compro il tabacco.» si ferma, un secondo, appoggia la guancia contro la testa di sua madre per poi ritirarsi immediatamente. 
«Quelle sono del mio ragazzo.» non abbassa la voce mentre lo dice, non gli interessa che qualcuno possa sentire, ormai l’ha detto a sua madre ed è questo ciò che conta, non verrà a saperlo da terzi e questo gli basta.
La sente sospirare a fondo, gli lascia un bacio su una spalla ma non si muove da quella posizione.
Antonio vorrebbe tanto che lo guardasse negli occhi.
«Lo so già.» risponde lei «Ti ho sentito una notte al telefono.»
«E non sei arrabbiata? Non sei dispiaciuta?»
«Dispiaciuta perché non me l’hai detto prima? Un po’ sì. Arrabbiata perché sei gay? Non avrebbe senso, non servirebbe a niente.»
«Non sono gay.»
«Edoardo non è un ragazzo?»
«Sì, lo è. Ma non sono gay, ciò...le ragazze mi piacciono ancora? Solo che mi piacciono anche i maschi. Sembra complicato ma non lo è. E non è neanche una cosa da indecisi. E in realtà è un sacco imbarazzante parlarne con te, io neanche te l'avrei voluto dire che sto con qualcuno.»
Sua madre si alza, gli prende il viso tra le mani, lo osserva a lungo senza dire una parola prima di sorridere dolce, un po’ mesta, accarezzandogli piano la pelle intorno agli occhi.
«Sei l’unica persona a cui le decisioni importanti non fanno venire le rughe.» risponde solo, prima di entrare in casa. 
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Dal writober con furore 🥁🥁🥁 i pezzettini di fic che sto postando su facebook!!!
Come sempre grazie a @blogitalianissimo che mi presta i suoi personaggi per i miei esperimenti e poi mi dice che mi odia ma mi ama ma mi odia perché la faccio piangere ✨
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arieldallas03 · 4 years ago
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ehi lu, mi spiace che mi sto rifacendo risentire non voglio disturbare o altro, ma ho bisogno di scriverti delle cose e non importa se non leggerai o semplicemente farai finta di non averlo visto, almeno mi sarò tolta un peso e ne ho bisogno.
mi fa un sacco strano sapere che davvero sto scrivendo questo e riesco ad inviarlo, avrei preferito riuscire ad affrontare sta cosa di persona e pensavo davvero di farcela con tanta sicurezza finché non ti ho avuto davanti quel giorno, però ora dovrei farcela.
so benissimo che nemmeno per te è un segreto che io son stata presa di te, ma la cosa più strana è che lo sono tutt’ora, non mi è mai successo di star davvero così tanto tempo dietro a qualcuno e soprattutto facendo la “sottona” in sto modo, non sono mai stata così vulnerabile davanti a qualcuno, MAI; ho avuto mille motivi per non dover continuare e in mille che mi dicevano di lasciar stare, pure io me lo dicevo, ma alla fin fine sempre in un modo o nell’altro arrivavo sempre a te.
si, è una cosa abbastanza tossica lo riconosco, non dovrei nemmeno star qua a perdere ancora tempo che non spero più in nulla e non ti chiedo nulla in cambio, ma ne sento davvero il bisogno.
non ne ho nemmeno io la più pallida idea del come son riuscita a prendermi così di qualcuno, son sempre stata acida con i ragazzi e facevo la “figa di legno” come al solito, ma come te sia riuscito a non fare la loro fine non so, non riesco davvero a spiegarmelo.
fidati che son stata davvero troppo male quando a febbraio mi hai scaricata senza dirmi nulla, non nego che son stata davvero a penare sta cosa per un botto di mesi, non riuscivo nemmeno a capire che avesse lucrezia meglio di me che hai scelto lei, non importa questo dai l’importante è che tu sia stato felice con lei e che sia riuscita a darti quello che io non sarei mai riuscita.
ho provato mille volte a smettere di pensarti e passarci oltre e non c’è la facevo proprio, mi riducevo sempre alla fine a piangermi addosso come una stupida perché son così fragile a pensare a quel che c’è stato tra noi.
mi son posta tante domande sul perché è successo tutto questo e come abbia fatto a farmi trasportare così tanto da questo casino.
lo so, per te probabilmente non sarà stato nulla di che quello che è successo, sarò stata una delle tante con cui hai voluto divertirti un po’ e avere come seconda scelta, ma fidati che a me hai preso troppo e non son riuscita a vivere tutto questo con la leggerezza con cui la fai te davvero, son stata troppe volte a piangere per te sentendomi sbagliata per come sono anche andate a finire le cose.
hai ragione, non mi hai illuso, son stata io a illudermi pensando che sarebbe andato tutto bene tra noi e ho ripercorso tutto su di te mi spiace.
sono una persona troppo fragile che ne ha passate tante di cose brutte e ho avuto vari problemi per cui son stata anche in ospedale, non sono pazza o altro, solo che soffro di depressione da anni, tutto qui.
nonostante la “””tossicità””” son riuscita a godermi tutti i pochi momenti che ti ho avuto affianco senza buttarti addosso roba mia e varie paranoie, almeno ci provavo poi non so, perché davvero ero felice quando ti avevo intorno e stavo bene in quei momenti, anche solo quando ci scrivevamo in chat.
la cosa che ci siamo usati per sesso alla fin fine non mi ha fatto male, ovviamente non avrei mai pensato che sarei arrivata a sto punto con te, però sarei stata davvero felice a prescindere quando ero con te indipendentemente dalla situazione, quella faccenda è solo una cosa in più.
son riuscita a perdonarmi tutte le volte che mi buttavi merda addosso nonostante non lo tollero a nessun altro, perché davvero ci tenevo e tutt’ora tengo troppo a te indipendentemente dal resto.
quasi tutti mi dicevano “lascia stare, è un puttaniere”, “ti farà davvero male”, “non gli interessa nulla a lui di te, arrenditi” e cazzate varie, pochi mi hanno sostenuto davvero su questo caso anche se le persone più care a me dicevano ste stronzate, volevo dimostrargli che non era vero nonostante alla fine è stato così in parte.
son davvero dispiaciuta che ho fallito in tutto e non son riuscita a smentire ciò che dicevano gli altri e stare serena con me stessa e fidati che non ti auguro che tu passi ciò che ho passato io con te con nessun’altra ragazza perché ho...si, sofferto molto e anche ora ci penso spesso.
avrei voluto che sia andata bene fin dall’inizio così non avrei fatto ricadute e magari sarebbe andata diversamente anche per te senza che tu abbia non so che pregiudizi nei miei confronti, fidati che se non ti fossi arreso così per quel poco che mi conoscevi non sarebbe finita in questo modo.
ti sembrerò esagerata lo so benissimo, ma finché non passi una situazione del genere non so quanto tu possa capirmi.
ora son qua a londra, non c’è nulla da fare più ormai ma meglio così, non credo che se sarebbe andata diversamente tu saresti stato felice assieme a me, sono una 2005 infondo no? una bambina per quelli più grandi che non vuole nulla di serio.
non so nemmeno come avrei potuto salutarti prima di partire senza che io scoppiassi, meglio che sia andata a finire così.
lo so di non essere la classica ragazza che tutti vorrebbero avere al proprio fianco che si pone tutta bella e gentile, ma nonostante i miei difetti sarei stata disposta a tutto per essere la persona che volevi al tuo fianco perché io non mi sarei permessa di perderti a differenza di altre ma non so nemmeno spiegarti come e perché.
non ti ho mai odiato anche se avrei avuto i motivi, ho sempre continuato a pensare che c’è l’avrei fatta.
mi ha portato un calo di autostima in molti sensi ciò che c’è stato nel passato che si è fatto notare molto.
io spero che almeno ciò che c’è stato non sia solo una cosa a caso perché io ci ho messo tanto anche se te non hai visto, ma ho anche davvero sofferto.
già mi hai dimenticata me lo sento, non pretendo nulla da te ripeto, se non sei stato bene non ci posso far nulla se non accettare la cosa, però ogni volta che mi arriva una tua notifica anche dopo ore mi fa sorridere sempre, apprezzo ogni piccolo momento che mi concedi.
ora come ora fidati che molte cose successe le ho superate nel modo o nell’altro, il passato rimane lì, ora mi concentro sul presente.
ti ricordi quella volta che ero in centro con sara e ci siam visti? sai perché piangevo? ero davvero felice di averti rivisto ma odiavo il fatto di vederti così indifferente, poi dopo che ho saputo che avresti lasciato roberto roca provarci è stato anche quello un colpo basso.
tutt’ora provo davvero dei sentimenti per te, ma ora che son lontana riesco un po’ più a rassegnarmi.
non ci tengo per nulla che sta cosa che provo per te influenzi il nostro rapporto, però dovevo troppo dirtela per stare anche bene con me e non mi importa di quello che poi tu deciderai, non hai molta scelta se non capirmi ,sempre se vuoi apprezzare.
tu hai fatto riscoprire la ariel fragile che non vedevo da troppo e dopo questa occasione non ne ho più avuto modo.
non pensare di aver avuto un impatto negativo nella mia vita, son felice di averti conosciuto.
beh, direi che ho scritto anche troppo ed è una cosa che faccio ogni morte di papa soprattutto rendendomi così vulnerabile.
ripeto, io spero che tu non ti allontani da me pensando male o cose simili, se lo vuoi fare sei libero di farlo senza problemi tanto son abituata dopo tutte le volte che ci son state, so anche che se leggi tutto questo ti sembrerò un mostro o altro, ma ci ho messo davvero tutta me a scrivere anche se non ho detto tutto.
ogni scelta tua nei miei confronti la comprenderò, non pretendo nulla.
qualsiasi sarà la tua scelta o risposta, ti appoggio. ariel
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kyda · 5 years ago
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C'è qualcosa nella frutta che mi fa stare bene. Non solo mangiarla, sono tante cose, sono attenzioni, ricordi. Condividerla anche, in particolare, mi fa stare bene.
Quando c'è aria di festa e sono contenta mi va di fare la macedonia per tutti, anche quando eravamo in 20 la domenica, fra zii e cugini, io facevo la macedonia per 20 persone.
Quando due anni fa andavo a casa di nonna per aiutarla con il nonno lei provava sempre a farmi mangiare qualcosa, si sa come sono le nonne con questo bisogno di veder mangiare tutti, e soddisfarlo le rende felici. Io per giorni le ho spiegato che non doveva cucinare per me, che non volevo mangiare troppo, che non mi andava, che non volevo neanche che stesse davanti ai fornelli per me. Mi guardava dispiaciuta e mi chiedeva di cosa avessi voglia. Allora poi per caso, una mattina, mi ha detto che aveva delle fragole in frigorifero e io contenta ne ho prese alcune e le ho mangiate. Da lì in poi non passava un solo giorno senza che io potessi trovare le fragole fresche a casa e quando prendeva la frutta mi chiedeva sempre di scegliere la mia preferita. Io glielo dicevo che la frutta mi piace tutta e allora lei prendeva tutto, poco di tutto ma voleva che io avessi sempre della frutta a disposizione e se di pomeriggio si accorgeva che non mangiavo niente mi diceva "ce la dividiamo una pera?"
Quando mia madre va a fare la spesa torna a casa contenta e la prima cosa che mi dice è "Ro, ti ho preso le mele e le banane" e mi fa la lista di quello che ha trovato. Quando trova il cocco me lo porta proprio davanti per farmelo vedere.
Nei pomeriggi d'estate, quando fa troppo caldo, io e mia sorella saliamo in cucina, tagliamo l'anguria, tantissima, e ci mettiamo in balcone a mangiarne così tanta da dire che non ne mangeremo mai più e poi il giorno dopo lo rifacciamo.
Quando papà sa che devo andare da lui mi chiede "che frutta vuoi comprata?" e appena arrivo lui è tutto orgoglioso e dice che la frutta da lui non manca mai quando ci sono io.
Quando viaggiavo con papà per andare a lezione, tutte le mattine, per mesi, lui portava da casa una banana per lui e una per me, per merenda. E poi quando le lezioni finivano prima e tornavamo da Palermo a metà pomeriggio si fermava dal fruttivendolo e comprava l'uva, la lavava e la mangiavamo insieme in macchina. Quando non aveva le banana, dispiaciuto, mi diceva "oggi mela, va bene lo stesso? Già è lavata" e mi veniva voglia di abbracciarlo.
Ultimamente a pranzo mangiamo tanta pasta e chi finisce prima fra me, mamma e Fra inizia a sbucciare un'arancia in silenzio e la dividiamo in tre, tutti i giorni.
A volte nel pomeriggio mia madre viene da me, senza dire niente, e mi porta un kiwi con lo zucchero.
Stamattina papà è passato da casa e quando è sceso dalla macchina mi ha detto "guarda che ti ho portato" e aveva in mano le fragole. "Lo so che ti piacciono, così fai merenda". E mi sono tornate in mente tutte le volte che a Palermo mi portava le arance e mi chiedeva "ti bastano per una settimana?" e io gli dicevo certo, sono tantissime e lui "vabbè ma tu mangi solo frutta e verdura, devo stare attento così non ti finiscono le scorte".
Sarà che sono cresciuta in campagna, che in estate ero in giro con i miei cugini e mangiavamo la frutta da tutti gli alberi. Passavamo ore sotto l'albero delle ciliegie, raccoglievamo i fichi, ci sporcavamo le mani con i gelsi e ci inseguivamo stando attenti a non sporcarci i vestiti per non farci rimproverare. Quando vedevo mio nonno che faceva il giro del terreno aveva sempre una mela in mano, o le amarene, lui che aveva il diabete e amava la frutta e mio zio si arrabbiava perché non poteva mangiarne troppa. Mia nonna a volte gliela toglieva dal piatto e lui di nascosto mi diceva di fare finta di niente e con quel suo coltello che portava sempre dietro ne tagliava un altro pezzo e rideva perché li prendeva tutti in giro.
Ho un sacco di bei ricordi e sono tutti legati alla mia famiglia unita, all'infanzia, alle merende nel pomeriggio e alle sere d'estate in campagna. Alle volte che andavamo al mare e portavamo le albicocche e all'uva che cresceva direttamente sul balcone di casa mia quando ero piccola e la sera, dopo cena, papà ne prendeva un po' e me la faceva assaggiare
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bat-catia-capobianhi · 4 years ago
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Uomini in vetrina
    «Buongiorno, posso?» Chiesi timidamente.
«Dica dica» rispose il negoziante.
«Vorrei un’informazione»
«Dica dica»
«Ehm... dove posso trovare un uomo?»
«Come lo vuole?»
«Ah! Posso scegliere?» Chiesi imbarazzata.
«Sì, certo» rispose con naturalezza.
«Ehm… dunque… vediamo...»
«Vuole dare un’occhiata sul catalogo o entrare direttamente ai reparti?» Domandò gentilmente.
«Preferirei andare ai reparti!»
«Allora prego, vada avanti e vedrà sulla destra un reparto, dove potrà scegliere uomini di razza bianca e su la sinistra di razza nera, si accomodi»
«Scusi» notai un atro reparto e fui curiosa di sapere, cosa ci fosse.
«Dica dica»
«Lì cosa c’è?»
«Ehm... c’è una via di mezzo»
«Ossia?» Insistetti.
«Mah... non saprei definire, tra un uomo e una donna!»
«Ah! Credo di aver capito... allora vado?»
«Prego vada, vada!»
Dopo un po’:
«Bene signorina, ha scelto?»
«Direi di sì!»
«Dica dica!»
«Ehm...»
«Coraggio non sia timida, sono qui apposta, dica!» Mi esortò il negoziante.
«Sì, dico!»
«Allora?»
«Avrei scelto Luca»
«Codice di identificazione?»
«Q.l.2» risposi frettolosamente.
«Vediamo... dunque, razza bianca, dolce, Q.I.2. Eccolo! Oh! Mi dispiace, è esaurito»
«No!»
«Sì!» Rispose dispiaciuto.
«Se vuole, può andare a dare un’altra occhiata» suggerì sorridendo.
«Ehm no, guardi se c’è L.R.5»
«Subito! Allora, razza nera, super  dotato, arrabbiato, L.R.5! Mi dispiace è fuori serie»
«E perché?»
«Perché era troppo arrabbiato»
«Ah!»
«Se vuole, può dare un'altra occhiata e potrà disporre di varie etnie»
«Faccio subito»
«Vada vada»
«Bene signorina, stavolta spero di accontentarla» attestò speranzoso.
«Speriamo! Dunque avrei deciso per P.E.4»
«Allora vediamo, razza indiana, schiavo prestante e voglioso P.E.4. Mi dispiace! Ma sa che lei è proprio sfortunata?»
«Eh si!» Risposi avvilita.
«Allora cosa vuole fare?»
«E… ci sono tanti uomini, ma quelli che voglio non ci sono»
Il negoziante si sporse un poco dal bancone e in confidenza disse:
«Perché non prova sulla terza strada più avanti?»
«Cosa c’è?» Domandai stuzzicata.
«È un nuovo negozio, si chiama Robotman»
«Interessante» affermai.
«Già, purtroppo!» Rispose abbattuto.
«E allora perché me lo consiglia?»
«Tanto l’avrebbe visto»
«Scusi...»
«Dica dica»
«Di cosa si tratta?»
«Di uomini meccanici»
«Ma... sono robot?»
«Venga più vicino...»
«Sì...» mi accostai.
«Sono più autentici degli uomini veri!»
«Ah... davvero? Ma lei come fa a saperlo?»
«Prima che quel negozio aprisse, io ero un uomo sposato»
«E poi?»
«Mia moglie mi ha lasciato per Duca Robot 31!»
«Oh!Mi dispiace! Non è possibile, è pur sempre un robot!»
«Senta... non ci sono mai entrato, ma da quello che ho sentito dire, se ne incontra uno per strada, non riesce a distinguere la differenza!»
«Ma… così dicendo perderà la clientela!»
«Che ci posso fare, anche mia figlia ha preso un Robtman e l’ha sposato!»
«Noo…» non credevo alle sue parole.
«Sì e le dirò di più! Non ho mai visto mia figlia così felice!»
«E sua moglie?»
«Mi dispiace ammetterlo, ma anche lei è felice»
Pensai che se la figlia e la moglie, avessero fatto quella scelta ritrovando la felicità, forse anch’io avrei avuto qualche possibilità:
«Mi ha convinto! Allora vado!»
«Vada vada»
Beh... è stato un piacere» dissi, prima di andarmene un po’ dispiaciuta per il negoziante. All’apparenza sembrava un bravo uomo… ma non volli approfondire l’argomento.
«Piacere mio»
«Spero che lei non debba chiudere»
«Beh... finché c’è richiesta nella corsia centrale, andiamo avanti!»
«Sì sicuramente, la crisi lì non c’è!»
«Sa qual è il problema o meglio la mia paura?» Disse contrariato.
«Quale?»
«Spero che non facciano Robot unisex!»
«E già, non ci avevo pensato»
«Anche perché ho pagato a mie spese e lei intende ciò che voglio dire...»
«Sì... credo di sì»
«Nessuno si è mai lamentato di aver acquistato un Robotman! Che tempi! La tecnologia si sta impossessando di noi, tra un po’ il mondo sarà loro e noi saremmo rottamati!» Concluse.
«Sì ha proprio ragione, scusi sa… vado! Non vorrei trovare chiuso»
«Sì vada, vada»
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veronica-nardi · 5 years ago
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You Are Beautiful Commento Finale
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La prima cosa che mi tornerà alla mente quando ripenserò a questa serie sarà "porconiglio", diventato per me il simbolo di You are beautiful e che porterò sempre nel cuore.
Questa serie mi è stata consigliata da... chi può avermela consigliata? Ah già. Sempre lei: @dilebe06. Mia segretaria personale in fatto di serie tv, mia compagna di visione e ascoltatrice di tutti i miei scleri. So che ti sei salvata tutti i miei audio in cui rido come una scema, ammettilo.
Quando ho iniziato la visione, mi disse "questa serie devi guardarla senza farti domande". E così ho fatto. Ho pulito la mente, staccato il cervello e mi sono lasciata andare. Ho effettivamente visto tutta la serie senza pormi grosse domande, e mi sono fatta delle grandissime risate.
Jemma è una ragazza che è cresciuta in un orfanotrofio e ha sempre vissuto in un convento, circondata da suore e da preghiere quotidiane. Non ha mai conosciuto altro. Un giorno si ritrova a vestire i panni di suo fratello gemello ed entra a far parte di una band famosissima.
Band formata da:
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Hwang Tae-kyung, detto Tronky perché è duro fuori e morbido dentro (adoro). Presenta una personalità irascibile, distaccata e facilmente irritabile, ma fin dai primi episodi si può chiaramente capire che nasconde un cuore d'oro.
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Kang Shin-woo è un ragazzo gentile e pacato (anche troppo), quello che spicca di meno tra i membri della band in quanto a personalità.
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Jeremy ha un carattere giocoso, semplice ed infantile. È il "bimbo" del gruppo, sempre pronto a sorridere e a divertirsi. Ha un cane a cui è molto affezionato di nome Jolie (ADORO). Se ho amato profondamente Tronky, Jeremy è stato una vera chicca per me.
Parlando della protagonista, Go Mi-nyu è una ragazza ingenua, goffa ed impacciata, una vera combinaguai (non comincio neanche a fare la lista di tutto quello che ha combinato). Sono però riuscita ad apprezzarla: quando vuole è determinata, è spontanea e genuina, e questo la porta a essere anche molto sincera.
Jemma ha un rapporto differente con ognuno dei membri della band.
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Tronky scopre quasi subito che lei è in realtà una ragazza, e nonostante minacci di dirlo a tutti e si mostri sempre molto irritato in sua presenza, alla fine finisce sempre per coprirla e aiutarla. Chi se lo scorda il momento in cui si sacrifica comprando il silenzio della Finta Fata iniziando una relazione con lei? Piano piano Jemma entra sempre di più a far parte della sua vita, con la sua personalità gli tira su il morale, lo distrae quando soffre a causa della madre (stronza), con lei vive momenti tranquilli e spensierati come se fosse un ragazzo normale, e non una star internazionale. Alla fine la ragazza fa breccia nel suo cuore e Tronky si innamora di lei, e lei di lui. Lui diventa la sua stella, la stella più luminosa e preziosa che Jemma abbia mai avuto.
I due vivono alcuni momenti difficili perché c'è un momento in cui si crede (non so per quale motivo) che a Jemma piaccia Shin Woo, ma la vera batosta arriva a causa della madre di Tronky, innamorata da giovane del padre di Jemma. È una donna che ha passato tutti questi anni ancorata al suo amore perduto, convincendosi che l'uomo amasse solo lei e che le abbia dedicato una struggente canzone d'amore. Per il suo amore, lei ha abbandonato suo figlio, con cui ora c'è un difficile rapporto.
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Quando la verità viene a galla, i due ragazzi coinvolti rimangono sconvolti, ed essendo la situazione troppo pesante da gestire, si allontanano momentaneamente. Tronky avrà bisogno di qualche spinta da parte degli amici (il "stronzo egocentrico" di Jeremy rimarrà sempre nel mio cuore) per capire non solo di amare Jemma, ma anche che Jemma ama lui e lo porta sempre nei suoi pensieri.
Concentrato solo su se stesso e al proprio dolore, cieco a quello di Jemma, si lascia finalmente andare e durante il concerto finale canta la canzone della mamma di lei, per poi chiamarla, chiedendole di venire fuori, di dargli il permesso di poterla vedere. Quando le luci si accendono, corre da lei e la abbraccia confessandole il suo amore.
La coppia ha collezionato diversi momenti davvero carini e divertenti nel corso della serie. Non dimenticherò MAI Jemma che rimane intrappolata sul tetto di un camion e Tronky che le corre dietro. Giuro che in quella scena avevo le lacrime. Carinissima la scena di quando Jemma riesce a trovare Tronky nei boschi perché dimostra di conoscerlo e prende tutti i sentieri giusti. Bellissimo poi il test che Tronky rifila a Jemma perché lei è talmente ingenua da non capire che si tratta di una burla. Quando le chiede quanto le piaccia Tronky da 1 a 10, questo è quello che succede:
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FOTTUTAMENTE ADORABILE.
E di momenti così ce ne sono molti altri. A parte il finale, l'unica scena in cui mi sono commossa in tutta la serie è stato quando Jemma canta il suo singolo dedicandolo a Tronky.
(Ps. ricorderò sempre Tronky come "l'uomo delle smorfie", con quel suo tipico broncio che fa sempre con la bocca)
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Tra Jemma e Shin Woo la questione è differente. Pensavo che Jorah Mormont fosse il personaggio più friendzonato della storia, ma probabilmente Shin Woo lo batte. Perché Shin Woo viene anche umiliato. E sinceramente, lo dico senza vergogna, la cosa non mi è mai dispiaciuta troppo. Per me Shin Woo è sempre stato TROPPO gentile, calmo, pacato, tranquillo, educato. A una certa, annoia. Non nascondo di non aver mai fatto il tifo per lui (#teamtronky tutta la vita), anche se non posso dire che non ci abbia provato. Ma devo anche dire che le ha tirate troppo per le lunghe, con tutte quelle pippe riguardo una "certa ragazza" che gli piace, e Jemma che naturalmente non capisce perché se non le dici davanti agli occhi "tu mi piaci", lei non ci arriva.
Con Jeremy il rapporto è differente ancora. Personalmente li ho sempre visti come fratello e sorella, o come grandi amici giocherelloni, per questo ho un po' storto il naso quando il ragazzo rivela di essere innamorato di lei. Senza contare che è una ripetizione: abbiamo già due personaggi innamorati della protagonista, c'era bisogno di un terzo? Innamoramento poi che scompare nel giro di un episodio, visto che una puntata Jemery piange disperato, e la puntata successiva si chiede preoccupato se tra Jemma e Tronky c'è qualcosa che non va. E allora questo amore mi sembra un po' buttato lì e piuttosto inutile. L'ho però gradito perché in tal modo hanno regalato a Jeremy una certa profondità emotiva di cui era povero, facendo sempre la parte del pazzerello del gruppo.
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La "villain" della serie è stata la Finta Fata nazionale, un'attrice all'apparenza dolce e gentile, ma in realtà arrogante, falsa, capricciosa, immatura. La sua maschera non regge però con Tronky (ovviamente), che le tiene testa in modo incredibile. Ci sono stati momenti in cui l'ho davvero odiata e avrei voluto entrare nella scena per prenderla a sberle, prima su tutte la scena in cui fa mettere a Jemma le scarpe che Shin Woo ha preso per lei, facendo soffrire crudelmente prima Shin Woo, poi Jemma, poi Tronky. Diventa dispettosa da fare schifo, ma il bello è che si auto illude. Tenta in tutti i modi di avvicinarsi a Tronky, quando sa benissimo che il ragazzo non la sopporta, la caccia non appena la vede, ed è innamorato di Jemma. Perché sprecarsi tanto? Fattene una ragione e basta. Perché far soffrire anche altre persone? Questa è cattiveria gratuita.
È finito come mi aspettavo, la ship tra Jemma e Tronky era telefonata fin dai primi episodi, ma me la sono lo stesso goduta tantissimo. Il finale nel complesso è molto semplice e alla "vissero per sempre felici e contenti". Sarebbe stato interessante vedere i tre ragazzi, e soprattutto Tronky e Shin Woo, litigare per via della stessa ragazza. Non dico che dovevano pestarsi a sangue o sciogliere la band, ma anche solo una piccola discussione l'avrei vista volentieri. Mi sembra abbastanza favolistico che questi sono innamorati della stessa ragazza e rimangono amici/colleghi come se nulla fosse.
Finisce "bene" anche tra Tronky e sua madre, ma qui ho apprezzato l'assenza di una scena strappalacrime con i due che si abbracciano dimenticando in un attimo tutto il dolore. Tronky è stato onesto e realistico: DOPO che la madre gli chiede perdono perché capisce di essere stata egoista e ingiusta, il ragazzo è pronto a riaprire i rapporti, ma ci vorrà del tempo.
Mi è piaciuta TANTISSIMO la colonna sonora, che per me è sempre molto importante quando vedo un film/serie tv. Non è un caso che io abbia pianto durante la scena della canzone di Jemma.
In conclusione, nonostante qualche pecca e difettuccio, rimane una serie estremamente godibile, carina, molto divertente (ho appena ricordato la scena del maiale che insegue Tronky nel campo di grano stile Gladiatore) e rilassante, adatta per quando si vuole guardare qualcosa senza troppe pretese.
Consigliata? Certo che sì.
Voto: 8+ (il + è per il porconiglio, lo ammetto).
Ps. SENTO ANCORA I PUGNI NEGLI OCCHI PER COLPA DI QUESTO:
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(Ho fatto un commento veloce ma tornerò con immagini e gif della serie per ricordare i momenti più belli)
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erisriderblog-blog · 5 years ago
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Ballate nelle Terre di Confine
                            Un viaggio inizia con una stretta di mano
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Sanctuary.
Una delle -se non l'unica- città più importanti di Pandora. Suggestiva per il fatto che volasse, ma per Rider era una come le altre; in fondo era andato lì per lavoro.
Non ci mette molto per trovare la casa del proprio cliente, fermandosi a guardare l'insegna sopra di lui: Zed, l'unica persona su quel pianeta che potesse venire chiamata e definita come medico. Certo, nulla a che vedere con i medici di Concordia, ma per un luogo squallido come questo era già tanto.
Prende un respiro prima di sistemarsi il cecchino sulla schiena ed entrare. Viene subito accolto da delle urla di due persone che cercano di comunicare da una parte all'altra della casa, ma decide di aspettare lì all'entrata, non volendo impicciarsi nel discorso. 
Nella sala medica, in mezzo a tutto quel casino, nota una piccola cornice appoggiata sul bancone con una foto all'interno. Si guarda intorno, assicurandosi che non ci sia nessuno in giro: preferiva mantenere i rapporti con i propri clienti al minimo, ma acquisire qualche informazione in più su Zed gli faceva comodo. Bastava che il medico non ne guadagnasse su di lui e sarebbe andato tutto per il meglio.
Prende in mano la foto guardandola: una bambina con i boccoli sta sorridendo verso l'obiettivo, con a fianco una gamba di una persona su cui corre una lunga sfilza di punti. Nell'angolo c'è scritto "Prima operazione andata bene!", ma senza contesto non si capisce se è la prima operazione della bambina ed è andata bene, o è la prima in assoluto ad essere andata bene. Guardando più attentamente, nota che è molto coperta in fatto di vestiti, ma sul collo si intravedono dei segni azzurri che corrono su fino all'occhio sinistro.
Purtroppo non fa in tempo a guardare di più poiché sente dei passi, allora rimette subito la foto al suo posto, allontanandosi da essa.
Difatti, dalla porta che dà al resto della casa esce una ragazza che corre subito all'altro lato della stanza, raccogliendo una pistola da sotto il tavolo. Al passare di nuovo davanti al mercenario lo nota, guardandolo dritto negli occhi ma urlando subito dopo verso le scale.
<Papà, c'è qua quel tizio che aspettavi!>
E con questo corre di nuovo via, senza dire nulla al mercenario.
Dopo qualche secondo finalmente arriva Zed, stranamente senza essere sporco di sangue e vestito in borghese, ma portando sempre la sua mascherina.
Va da Rider porgendogli la mano e lui ricambia il gesto.
<Zed, tu sei Rider, giusto?>
<Esatto.>
<Bene, allora non perdiamo tempo. Eris!>
L'uomo grida verso la porta da cui è arrivato, aspettando una qualche risposta; poco dopo si sente il legno della scale scricchiolare e torna la ragazza di prima con un borsone a tracolla. 
Adesso che ha tempo di guardarla meglio, capisce che è la bambina raffigurata nella foto. Stessi boccoli e capelli dalla sfumatura particolare: viola, arancioni e gialli, per poi tornare viola. Come nella foto è molto coperta, portando un dolcevita a maniche lunghe come i pantaloni, senza lasciare spazio libero alla pelle, tranne per la mano destra, l'unica parte del corpo libera da vestiti visto che quella sinistra aveva un guanto.
<Rider, lei è mia figlia Eris.>
Figlia adottiva, probabilmente.
<Visto che ormai è abbastanza grande e continua ad insistere, ho deciso di farle fare delle commissioni in giro per Pandora da parte mia per la clinica.>
Ai commenti su sé stessa, la ragazza sbuffa con un sorrisetto, ma Zed la ignora. Un discorso che avevano fatto molte volte, probabilmente.
<Vorrei che tu la accompagnassi in giro per queste prime volte, insegnandole a sopravvivere, combattere e altre cose. Insomma, fai in modo che non si uccida.>
Lui non aggiunge altro, mantenendo un tono secco. All'apparenza potrebbe sembrare un comportamento menefreghista, ma Rider ormai sa leggere bene le persone. Per un uomo così cinico che vive di persone ferite o malate, dire una frase del genere non è roba da poco.
Porge la mano verso Eris che a sua volta gliela stringe con una stretta troppo energica e un sorriso troppo grande.
<Non vedo l'ora di passare del tempo con te- Mr, Ms..?>
<Mr Rider. Ma Rider va bene>
<Perfetto Rider! Allora partiamo subito che abbiamo un botto di robe da fare. Ciao papà!>
L'energia e l'entusiasmo della ragazza gli sembra troppo per una che sta per andare nel territorio desolato e ostile di Pandora. Eris si gira a salutare il padre, dandogli un bacio sulla guancia. Lui si toglie un filo della mascherina e da quanto vede il mercenario, la zona nascosta da essa è sfigurata e istintivamente Rider si porta la mano al petto, togliendola subito. Quando Zed ricambia il bacio sulla guancia e guarda la figlia con così tanto amore, lui gira la testa di lato, concentrandosi su un'interessantissima piastrella del muro. Sono proprio necessari tutti sti saluti?
<Se avete finito, io avrei anche un lavoro da fare.>
<Tu vai dove vado io, no? Quindi sei io rimango qua, pure tu ci rimani.>
Rider spalanca gli occhi a quel commento e si gira guardando Eris, che in quel momento ha un sorrisetto furbo stampato in faccia: vuole pure fare la furba.
<Dai scherzo, era una battuta! Ciao papà, ci vediamo!>
L'uomo si rimette la mascherina e saluta le due mentre escono. Appena uscite, Eris si stiracchia, sospirando.
<Finalmente! Non vedo l'ora di andare in giro per Pandora!>
<..Hai un desiderio di morte o l'aria di quassù ti ha dato alla testa?>
Qualsiasi altra persona che abbia conosciuto durante la sua vita lo avrebbe insultato o avrebbe cercato di picchiarlo e non si aspettava nulla di meno da una ragazzina, ma invece Eris scoppia a ridere, lasciandolo spiazzato.
<Chissà, forse la seconda!>
Mentre si teletrasportano giù a terra la sente ancora ridere: certo che era strana.
Finito il teletrasporto, vanno subito al "Catch a Ride" dove aveva parcheggiato la moto. Quando però da lontano non la vede più, il mercenario corre dove l'aveva parcheggiata, guardandosi intorno confuso, cercando tracce della sua amata moto.
No, non possono averla portata via, non vede tracce di ruote a terra. Oppure-
<Scooter? Non è che hai tu la moto del bel tenebroso?>
<Tranquilla, ce l'ho io. Ho dovuto solo fare un ritocco, omaggio per il tuo primo viaggio!>
Sentendo quelle voci, Rider gira così velocemente la testa che sembrava stesse per staccarsi, correndo al monitor e prendendolo fra le mani facendo quasi cadere Eris.
<Che cazzo hai fatto alla mia moto?!> 
<Calmati bello! Fidati, adesso che la vedrai mi ringrazierai. Volevi sul serio andare in giro con Tatsu su una moto? Na nah, adesso capirai.>
Rider subito si gira alla sua sinistra e guarda insieme a Eris la moto che si materializza, o almeno- il sidecar che si materializza.
Eris si lascia scappare un urlo di gioia e dopo aver ringraziato Scooter corre verso il veicolo.
<Amico, la moto è perfetta come prima e così sarà più comoda per questa lavoro. Fidati, Eris È IPERATTIVA.>
Scooter scandisce bene le parole assicurandosi di farsi sentire, ma lui non risponde, andando alla moto dove la ragazza si è seduta al posto di guida. Lui incrocia le braccia, aspettando che si tolga, ma lei lo imita guardandolo con uno sguardo divertito. Ha voglia di giocare col fuoco?
<Togliti.>
<Potrei dire la stessa frase alle robe che hai in faccia. Dai, fatti vedere!>
Non ha tempo per stare dietro a dei giochi di una bimba, quindi con un sospiro si abbassa la bandana e toglie gli occhiali. Aspetta una qualche reazione da lei: schifata, sorpresa, dispiaciuta, qualsiasi cosa, ma lei invece rimane impassibile.
<Tutto qua? Eddai, tragico! Susu, andiamo. Dobbiamo trovare un sacco di cose!>
Si butta nel sidecar tenendo sulle gambe il borsone pieno di munizioni a giudicare dal rumore. 
Rider mette in moto il veicolo e mentre si allontana da Sanctuary, accompagnato dalle chiacchiere di Eris, si domanda: ma chi glielo ha fatto fare questo lavoro da babysitter?
-
Ehilà! Questo è un nuovo blog creato per la storia “Ballate nelle Terre di Confine”, concentrata sulle avventure di Eris e Rider in giro per Pandora. Nonostante questa sia una storia basata su Borderlands, gli eventi canonici rimarranno di background per il momento. Siamo in due a gestire il blog e fra poco ci presenteremo. Spero che questa prima fanfiction vi sia piaciuta e spero di rivedervi nelle prossime!
Io, scrittrice, sono Greg e il mio profilo Tumbrl è @proteccdabees
La copertina è stata fatta dall’altra povera cristiana che mi sopporta e ha creato questo blog con me, @ladydate9652!
Infine @astrapanda ci ha aiutati colorando la copertina <3
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cainoeabele · 5 years ago
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Era da un po'che non mi svegliavo a causa dei sogni: oggi ho spalancato gli occhi alle 6, nonostante avessi la sveglia più tardi
Sono andata a pisciare per cercare di reprimere quel senso di panico e disagio che provavo
Festa di compleanno, invito il ragazzo che mi piace. M, migliore amica, inizia a parlare con lui: non so perché io non riesco ad avvicinarmi troppo spesso, poi c'è la presenza di mia madre che mi frena. Il giorno dopo M mo racconta eccitata come lui sia innamorato di lei e delle sue dita nella sua vagina: scatto, sono invidiosa, lei sapeva che mi piaceva e la sua faccia non era per nulla dispiaciuta. Perché l'hai fatto? L'hai fatto anche tu. Ma io avevo 16 anni, era diverso. Forse hai ragione. Ma lo sguardo di sfida, aver visto che sì, lei è stata preferita, lei era più intelligente, lei era più interessante, lei era più di me. Io solo un bel viso.
Torno a casa, prendo la pioggia. Sono al limite: entra mia madre e inizia a inveire contro di me perché non avevo steso i vestiti: sei inutile, non fai nulla e via dicendo.
Mi sveglio, convinta che ci sia una presenza nera sulla mia scrivania.
Stupida e inutile
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sciatu · 6 years ago
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I TRIONFI DEI TAROCCHI SICILIANI
IL DORSO DELLE CARTE
Fortunato si avvicinò al portone e guardò il numero che aveva sullo spigolo in alto a destra, poi abbassò lo sguardo e guardò il pezzo di carta su cui vi era scritto “via Palermo “ e un numero. I due numeri coincidevano. Si avvicinò al citofono cercando il bottone accanto al nome Madam Effie e trovatolo stava per schiacciarlo ma il portone si apri improvvisamente. Lui si avvicinò al portone pensando che qualcuno stesse per uscire ma non vide nessuno. Entrò e guardando il foglietto di carta andò a destra. Si fermò alla terza porta e stava per suonare che questa si aprì e apparve una vecchietta piccola piena di rughe e con i capelli bianchissimi che guardandolo senza sorridere chiese: “Desidera?” “cercavo Madam Effie..” “Ha un appuntamento? – ma vedendo la sua faccia dispiaciuta aggiunse - la manda qualcuno?” “ la signora Mariagrazia ….Mariagrazia Cannistraci” “Ah – fece la vecchia come se il nome le dicesse qualcosa e si sposto per farlo entrare – si accomodi” Entrò in una sala d’attesa dove vi erano un vecchio da un lato e una signora con una ragazza da un altro lato e una porta a vetri davanti. Fortunato salutò e si sedette accanto all’uomo. Aspetto mezzora prima che il vecchio accanto a lui venisse chiamato e un'altra mezzora perché la vecchia e la ragazza entrassero attraverso la porta a vetri in un lungo corridoio. Si rassegno ad aspettare e dopo un ora toccò a lui. Attraversò  il lungo corridoio ed entrò in una stanza quasi al buio dove in un angolo c’era una grande scrivania con una signora seduta. Era vestita con qualcosa che a lui sembrò un vestito di seta giallo. Nella semioscurità non riusciva a distinguere i dettagli del volto ma notò che gli occhi scuri erano come magnetici, ti entravano dentro ed il volto era tondo circondato da una nuvola di capelli neri. Vedeva bene invece le sue mani curate e lo smalto prugna sulle unghie “Come si chiama – chiese il volto con una voce morbida ma dai toni bassi – e mi dica anche quando è nato” “Mi chiamo Fortunato Catalano sono nato il 20 Maggio del ….” Sentita la data Madam Effie allungo la mano su cinque mazzi di carte molto grandi  disposti sulle cinque punte di una stella disegnata sulla scrivania, fece scivolare la mano su di essi come per sentirne il calore e, fermandosi su uno di loro, lo prese  incominciando a disporre le carte di fronte a lei. “Mi racconti i fatti ” Fortunato si schiarì la gola ed incominciò “Ho una sorella gemella, Cristina, lei si è sposata molto giovane  ed ha avuto tre figli. Suo marito lavorava nelle manutenzione delle linee ferroviarie e ha avuto un incidente sul lavoro ed è morto. Io e miei genitori ci siamo trasferiti sopra l’appartamento di Cristina per aiutarla con i figli che in pratica, sono cresciuti con noi. Soprattutto la più piccola, Teresa, che non ha neanche conosciuto il padre, mi considera come il suo secondo padre visto che stavano sempre con me quando finivo di lavorare. Quando Teresa aveva dieci anni io e Cristina la mandammo a lezioni di pianoforte da Rossana, una signora che abitava vicino a noi. Cristina aveva sempre desiderato suonare il pianoforte e Teresa era molto portata per la musica. Portavo Teresa ogni giorno da Rossana e loro due si sedevano al piano e suonavano. Io le ascoltavo ed ero felice, perché quelle lezioni erano l’unico svago che avevo; non andavo da nessuna parte, ero troppo impegnato con i ragazzi e con mia nipote e non mi restava altro tempo sopratutto quando i miei genitori incominciarono a invecchiare. Rossana è una bella donna, che vive per la musica, anche lei non aveva nessuno, così ogni tanto io e Teresa andavamo con lei ai concerti o, se capitava, anche alle opere a Catania. Ci prendevano per una famiglia e una sera una signora ci fece i complimenti perché portavamo la nostra figlia a teatro con noi” Madam lo guardò e gli chiese la data di nascita di Rossana, saputala prese un altro mazzo di carte e le dispose perpendicolarmente sopra quelle di Fortunato in modo che formassero una croce. Le osservò e poi fissando negli occhi Fortunato precisò “Ma tu e Rossana non siete mai stati fidanzati…. non c’è intimità tra di voi” Fortunato si agitò sulla sedia “Ecco, io non so dire le cose dell’amore e lei è timidissima, può parlare per ore di Schubert o Tchaikowski ma non riesce a dire una parola di se come io non so dire niente alle donne, nè di me o di quanto provo … sono stato sempre imbranato…” “C’è dell’altro vero?” “Si ecco, è da tanto che io e Rossana ci conosciamo ma non ci siamo mai detti niente di quello che proviamo anche se pensiamo, immaginiamo che non siamo indifferenti l’uno all’altra. I miei genitori sono morti ed i ragazzi ora sono grandi. Mia nipote Teresa è a Milano al conservatorio, Cristina si frequenta  con un signore, si vogliono bene anche se non vogliono andare oltre e non pensano al matrimonio. Io ho molto tempo libero rispetto al passato e mi vedo regolarmente con Rossana ma solo per andare a sentire musica o per mangiare una pizza. Recentemente la mamma di Rossana è venuta a mancare e lei si è depressa, è diventata triste. Un mese fa circa le hanno trovato un brutto male al seno , non dovrebbe essere qualcosa di pericoloso e dopodomani si dovrebbe operare, ma lei sembra che non sia interessata a guarire, non vuol fare niente, è diventata apatica, disinteressata a tutto, ha detto che se anche morisse non gliene importerebbe nulla.” Madam Effie lo guardò “Le carte non dicono che lei sia in pericolo. Tu non sei venuto solo per questo” Fortunato si agitò nuovamente sulla sedia. “Ecco…, io…., io faccio dei sogni… sogni strani. Il primo è stato tanto tempo fa, ho sognato che ero per strada e a un certo punto ho visto un gruppo di cani che mangiavano qualcosa ed io li ho cacciati via con un bastone e per strada c’erano dei pezzi di carne…. di un uomo. Il giorno dopo mio cognato è stato investito da un locomotore che lo ha tranciato a pezzi ed i pezzi sono rimasti sui binari… - Fortunato si fermò quasi a prendere fiato - Più recentemente ho sognato che ero in una casa con tante stanze, ad un certo punto ho sentito odore di bruciato e sono scappato fuori, da dove ho visto la casa andare a fuoco tutta quanta. A quel punto ho sentito qualcuno che era rimasto dentro la casa chiamarmi e per quanto cercassi di entrare, le fiamme me lo impedivano. Il giorno dopo a mio padre hanno diagnosticato un tumore e nel giro di un mese l’ho visto rinsecchirsi e lentamente spegnersi, mentre con gli occhi mi chiedeva di aiutarlo. Il terzo sogno l’ ho avuto quando è morta mia madre. Ero in un giardino e vedevo dall'altra parte di un cancello moltissimi fiori e tante rose. Io cerco di aprire il cancello ma le sue sbarre si fanno sempre più grosse fino a che diventa un muro che cresce cresce fino a cadere nel giardino seppellendolo sotto una montagna di pietre nere come la lava e grossissime, così che alla fine resta solo una distesa nera e vuota. Il giorno dopo mia madre è caduta per strada, all’inizio pensavano che fosse inciampata invece ha avuto un infarto ed è morta. Per coprirla hanno usato una coperta nera che la nascose completamente sull'asfalto scuro … come la lava.” Fortunato restò zitto quasi sconvolto da quello che aveva detto. “Quindi c’è un nuovo sogno” chiese Madam Effie per incoraggiarlo dopo quasi un minuto di silenzio. “Si ho sognato che ero in un lungo corridoio di un ospedale che portava nella stanza di Rossana. Ad un certo punto il corridoio è incominciato ad inclinarsi sempre di più, sempre di più finché era quasi verticale e tutto cadeva verso quella stanza che era diventata nera e buia come il fondo profondo di un pozzo che inghiottiva tutto. Io sentivo la voce di Rossana che disperata mi chiamava, ma ero aggrappato ad una porta e non potevo fare nulla.  D’improvviso la porta si stacca ed io precipito verso quel posto oscuro gridando il nome di Rossana.” Fortunato si mise la mano in tasca prendendo il fazzoletto ed asciugandosi  un invisibile sudore che sentiva sulla fronte. “Allora ne ho parlato con Cristina che sa dei miei sogni e lei, parlandone con una sua amica dove lavora, mi ha suggerito di venire qui a sentire e magari convincere Rossana a non farsi operare….” Madam Effie restò a guardarlo alcuni lunghi secondi, poi incominciò a raccogliere le carte. “Vedi – incominciò sistemando il primo paio di carte – io sono solo un faro, dico dove potrebbero essere i pericoli sulla base della tua natura, ma non ti darò la soluzione di tutto – e guardandolo dritto negli occhi disse lentamente – devi essere tu a risolvere i tuoi problemi, io ti aiuto nel trovare la tua strada ma se vorrai percorrerla devi deciderlo tu” Finì di raccogliere anche il secondo mazzo e lo sistemò al suo posto. Lasciò due carte sulla scrivania e prendendole mostrò il dorso uguale a Fortunato “Queste siamo noi, come ci presentiamo agli altri. Vedi siamo uguali a tanti altri perché abbiamo capito che uniformarci agli altri ci facilita la vita, per questo niente ci deve rendere differente da chi ci osserva. Ma in realtà noi siamo questo – e girò le carte mostrando in una il “Trionfo” dell’Imperatrice e nell’altra quello della Morte – questo è quanto siamo dentro di noi, quello che in realtà ci rende diversi ed unici, quello che è il succo dei nostri giorni che la vita ha lasciato dentro di noi: i nostri desideri e le voglie che fanno nascere in noi, i bisogni e il modo di soddisfarli, gli amori e il modo di amare, le nostre manie, i nostri feticismi, i dolori che proviamo, insomma l’essenza di quello che siamo. Se quello che siamo – Madam Effie mostrò la figura dell’imperatrice – è allineata a quanto mostriamo – e mostrò il dorso della carta – allora siamo sereni e forse felici. Se non è cosi ci sentiamo infelici, insoddisfatti come se fossimo malati! Ti faccio un esempio, una mia cliente era a dieta e mangiava pochissimo e seguiva la sua dieta con costanza e precisione. Un giorno su internet vede dei dolci: sfinci di San Giuseppe, cannoli, paste alla crema e così via. Diventa tutta rossa, sente che il suo corpo era come preso da una febbre, allora corre in pasticceria e mangia a più non posso. Aveva umiliato tanto quello che lei era dentro di se che ad un certo punto il suo “trionfo” , la figura che aveva dentro, si era ribellata facendo avvenire un terremoto nel suo corpo. Lei ha capito così che quello che era dentro di se aveva bisogno ogni tanto di poter essere felice, mangiando qualche dolce. Madam Effie si allungò verso Fortunato congiungendo le punta delle dita delle mani come se lo stesse a pregare, nel frattempo lo osservava con i suoi occhi che a Fortunato sembravano fuoco oscuro. “Tu hai delle premonizioni, o meglio, il tuo Io interiore ti racconta le sue paure. La casa che brucia era tuo padre, il giardino fiorito era tua madre, tu ti sei raccontato le tue paure, la paura di quanto poteva avvenire e che è effettivamente avvenuto. Per caso o per altri motivi, è avvenuto quello che più di tutto ti spaventava, come per tuo cognato che lavorando sulla linea ferroviaria poteva essere effettivamente investito da un locomotore e questo te lo sei detto, magari molte volte dimenticandolo al risveglio, finché non è avvenuto. L’ultimo sogno è anch'esso un messaggio che ti sei mandato, ma non è riferito a Rossana, è dedicato a te. Dentro di te hai capito che Rossana quando supererà l’operazione ti lascerà! Le sue carte dicono che avverrà  un grosso cambiamento nella sua vita, perché anche lei vuole qualcosa che tu non le stai dando: l’amore! Lei è triste perché neanche il fatto che sia rimasta sola ti ha spinto a farti avanti, a dichiararle il tuo amore. Per cui, superato questo momento in cui la morte, il nulla, il freddo eterno l’ha sfiorata, deciderà di cambiare e cercherà altre alternative. Questo ti farà cadere in uno spaventoso oscuro nulla per cui il “trionfo” che sei dentro di te ti ha mandato un avvertimento: lei ti sta chiamando per l’ultima volta.” Fortunato ascoltava immobile come una statua, quando Madam finì sbatte più volte gli occhi “Ma io avevo dei doveri…. I miei nipoti….” “Avevi un alibi, non dei doveri. Tua sorella ha trovato lo stesso qualche altro anche se aveva dei doveri più grandi dei tuoi. Ha trovato il giusto bilancio tra quanto mostra al mondo e quello che ha dentro di se. Tu invece insisti nel difendere quello che sei per gli altri, sacrificando quello di cui in realtà hai bisogno dentro di te. Fortunato la guardò ancora dritto sulla sedia, poi abbasso la testa piegandosi “Che cosa devo fare allora?” Madam Effie si appoggio sullo schienale della sua sedia “ vai alla cassettiera li di lato e prendi quello che c’è nel terzo cassetto della quarta fila da destra.” Fortunato andò ed aprendo il cassetto trovò un astuccio per anelli in velluto rosso “Aprilo” gli disse Madam quando tornò al suo posto. Lui l’aprì e vide che l’astuccio era vuoto anche se dentro vi era il posto per mettere due anelli uno vicino all’altro “Questo è l’astuccio degli amanti pigri - e nel buio il suo sorriso brillò - . Come vedi, io sono il faro che ti dice il pericolo: ora sei tu che devi decidere la rotta!” Fortunato capì che l’incontro era finito, quindi lentamente si alzò e si ricordò di qualcosa e stordito dalle parole di Madam chiese “E per pagare?” Lei sorrise ancora una volta. “Un astuccio vuoto non si paga”
Fortunato usci dallo studio di Madam Effie più confuso che convinto. Camminava per strada ragionando su quello che gli era stato detto e su quello che fino ad allora aveva creduto importante per la sua vita. Ma era stata la sua vita? Fino ad allora i momenti più felici erano stati quando era con Rossana, gli altri momenti erano stati belli, pieni di soddisfazioni come quando Teresa si era presa il diploma in pianoforte o quando Salvatore, il figlio grande aveva finito la triennale. Ma questi erano momenti che lui aveva aiutato a costruire per loro e ne faceva parte ma non erano i suoi, quelli in cui lui era protagonista. Si fermò e apri l’astuccio guardando il posto vuoto dei due anelli. Lo rinchiuse e continuò a camminare. Era vero, Rossana era triste perché voleva di più. Forse non sapeva neanche di volerlo, ma fino a quel momento la loro vita era stata perdere sempre qualcosa: genitori, occasioni, momenti, avevano lasciato alle spalle tutti i loro giorni. Non avevano costruito nulla, non vi avevano mai aggiunto nulla di nuovo insieme, non potevano neanche ricordare i baci dati o il sesso fatto, perché a parte qualche bacio di buon anno o buon compleanno i loro corpi non si erano toccati e lui si sentiva una rosa recisa che stava lentamente perdendo il verde  dei desideri, il rosso ardito della passione, appassendo in un bicchiere dove l’acqua diminuiva ogni giorno. Per questo Rossana nel sogno lo aveva chiamato. Si fermò in mezzo alla strada. Non era Rossana che lo aveva chiamato, era quella parte di lui che amava Rossana che aveva urlato di dolore, perché sapeva che la stava perdendo. Gli venne un brivido pensando che nessun giorno della sua vita era stato da lui vissuto per come voleva veramente. Aveva dato tantissimo agli altri pensando che quella fosse la sua vita ed era stato giusto, ma si era inaridito e quello che ora dava non era perché lo sentiva, ma solo per continuare ad apparire per come gli altri fino ad allora lo avevano visto. Era già in fondo al pozzo soffocato dall'oscurità. Prese di nuovo l’astuccio e aprendolo lo guardò nuovamente.
Il corridoio era come nel sogno, lungo e con in fondo la porta di Rossana. Arrivato alla porta l’aprì lentamente. Solo tre dei quattro letti erano occupati e in quel momento solo Rossana era sdraiata con le cuffie alle orecchie, sentiva la musica che preferiva, forse Mozart, Bach o qualche esecuzione dell’ Argerich.   Lui si avvicinò e la salutò sorridendo; lei lo guardò sorpresa e si levò le cuffie. “Ma che fai qui, non è ora di visita? È venuta Cristina a portarmi il ricambio…” “Volevo vederti” Disse lui prendendo la sedia a lato del letto e sedendosi. “È successo qualcosa?” Chiese lei preoccupata “Si, oggi mi sono chiesto se ero felice e mi sono risposto di no. - Rossana lo guardo stupita non capendo che cosa centrava quell'affermazione con la sua visita -  Mi sono detto che ora i ragazzi non avevano bisogno di me e Cristina si è fatta la sua vita, ma che con te non sono arrivato a niente” “Con me?” Chiese lei adagiandosi sul lato destro per guardarlo meglio “Si con te – confermò lui prendendole la mano – vedi è talmente tanto che ci conosciamo che l’abitudine a vederti mi ha fatto essere ingiusto con te. Io ti ho dato solo la mia amicizia anche se sei l’unica donna che frequento e che mi fa felice quando la vedo, ma solo perché non so parlare e non so dire quanto provo perché se no ti avrei detto che la mia non era solo amicizia; ed ora questa tua malattia mi preoccupa e mi ha fatto capire quanto mi sei necessaria che quell'amicizia che io pensavo è più importante di quanto io ti sappia dire…” “Più importante…?” “Si, più importante perché al solo pensiero che qualcosa potesse accaderti mi ha fatto disperare, mi sono sentito perso e stupido” Lei sorrise “Stupido ? Perché?” “perché ho avuto sempre una donna stupenda  accanto a me e non l’ho mai considerata come meritava; perché la vita non è mai quella che abbiamo avuto ma quella che ancora deve venire, ed io sto correndo il rischio di non viverla; perché pensavo, sbagliando, che tu non c’eri nei miei pensieri, nei miei domani, non eri il motivo principale delle mie giornate!  Apparentemente, preso com’ero tra nipoti, genitori e sorella, per me non eri chi dava senso ad ogni momento della mia giornata, eri solo qualcuno con cui andare a un concerto, con cui mangiare una pizza al sabato, mentre invece ora so che sei quella che dà, ad ogni mio giorno, un motivo per essere vissuto. E senza rendermi conto di questo ti facevo diventare una figura sfocata sullo sfondo, mentre invece sei l’unica figura in primo piano nella mia vita, l’unica con cui posso guardare in avanti e vivere – si guardò le mani e continuò con una voce ancora più bassa – lo vedi quanto sto parlando e di cose che prima non avrei avuto il coraggio neanche di pensare, ma l’idea di perderti mi ha sconvolto e ora parlo con la disperazione di un imputato che vuole evitare la pena di morte” Lei sorrise e come il gatto gioca con il topo gli chiese “Ma sei sicuro che anche per me sei una figura in primo piano?” “non può essere che cosi – continuò lui tenendole la mano tornando all’enfasi che aveva prima di fermarsi – perché mi avresti sopportato per tutti questi anni? perché mi avresti concesso di starti vicino pur non sapendoti dire quello che provo, perché non hai trovato un’alternativa che eppure avresti incontrato facilmente? Ma a un certo punto l’attesa deve finire perché l’amore è come il fuoco a legna: deve essere alimentato sempre con un tronco nuovo se no, lasciato a sé stesso, si consuma e muore, si spegne. Ed io questo stavo facendo, lo stavo facendo morire, per pigrizia, pensando che occuparmi di chi è già grande e indipendente dovesse essere la mia unica preoccupazione. Ma non è così, ormai tu hai più diritti di chiunque altro, non posso far spegnere o rimandare la nostra felicità, non posso farti aspettare ancora negandoti quella vita che mi chiedi. Ti devo chiedere perdono, per questo sono venuto di corsa a dirtelo” Lei sorrise emozionata ma si intristì preoccupata “Forse ora è un po’ tardi? E se poi tutto va male?” “no non andrà male, poi è il momento giusto, hai bisogno di me adesso, dopo, sarebbe stato come stare a vedere come andava a finire prima di dirti quanto sento. Ora, ora è il momento in cui insieme dobbiamo pensare al nostro domani perché non possiamo più rimandare, seppellendoci nella pigrizia, diventando per sempre incapaci di vivere” Si alzo e la baciò sulle labbra secche che sapevano di medicinale eppure lui sentiva solo il loro calore, il senso salato e dolce che il suo corpo doveva avere, così quando si stacco vide che lei era ancora li con gli occhi chiusi, come se fosse stato troppo breve e troppo veloce. Allora tornò a baciarla perché capi che non doveva avere più fretta, non doveva più perdere un minuto della vita che stava arrivando. Quando si staccò lei era tutta rossa e lui prese la sua mano dove aveva il catetere e le mise sulle dita lunghe e bianca la scatolina di velluto rosso “Non c’è più motivo ad aspettare, te le ho portare per fartele vedere, così quando esci saremo pronti” Lei aprì la scatola e vide due fedi d’oro vicine una all’altra “Devi prendere la misura così poi faccio incidere il nome…” Ma lei guardando l’astuccio si mise a piangere perché aveva avuto paura che quel momento non sarebbe arrivato più e ora improvvisamente accadeva e lo abbracciò per stringere a se quel piccolo semplice istante che le stava riempiendo la vita. Fortunato capì che era il momento di stare zitto, di tenerla stretta sentendo quanto era fragile il suo corpo e questo lo spaventò facendogli capire quanto intensamente dovevano vivere quel momento che era unico e dava senso ad due vite; capì che il Fortunato che c’era dentro di lui e la Rossana che era dentro di lei, in quel silenzio dovevano parlarsi e dirsi tutte le cose che fino ad allora non avevano avuto il coraggio di dirsi. L’astuccio rosso rotolò sul letto lontano da loro e restò sul lenzuolo bianco ai piedi del letto come una rosa rossa appena sbocciata in mezzo alla neve.
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