#invocazione
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PRIMA PAGINA Avvenire di Oggi giovedì, 03 ottobre 2024
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San Pascual Bailón, San Pascual Bailón,
basta ya con esa destrucción.
Si me lo concedes, te bailo un danzón
que te alegre el corazón.
San Pasquale Baylonne, San Pasquale Baylonne,
basta con questa devastazione.
Se me lo concedi, ti canto questa canzone
in lode e gloria della tua missione.
San Pasquale Baylonne, San Pasquale Baylonne,
basta con questa demolizione.
E se me lo concedi, ti ballo un "danzón"
con l'anima e la ragione.
______
Continua qua (in versione spagnola e italiana).
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Parole d'amore
trovate per caso
nello specchio di pagine
raccolte e asciugate
come lacrime lontane
e carezze di fiori:
"Luna di primavera
fronte di ampi pensieri
Anima che si vede dagli occhi
occhi d'acqua sorgiva
bambino che abbraccia gli alberi
giovane fra secoli di libri
farfalla crepuscolare
bruna notte
simbolo
fantasma
angelo
desiderio e guida," rischiari anche
l'ombra della morte.
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🇮🇹 #FIREPODCAST N.18 Ascoltate il nostro VideoPodcast ed è ancora #120giorniincenacolo con P. Baldo Alagna @padrebaldo.dj : Leggiamo SALMO 144/145,18 Dio ci é vicino, invochiamolo e si manifesterà ! 🔥
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INVOCAZIONE
Oh tu che stai, oh tu che ristai, oh tu che ristagni in hac lacrimarum valle, piacciati di restare in esto loco anche se la tua loquela ti fa manifesto di altra nobil patria natio e alla quale non fosti molesto traghettando il mare nostrum in cerca di squali e di balene, novel Caronte e novel Sardanapalo, piacciati di giacere con l’esquimese secondo le ospitali norme di Cupido, secondo libido…
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#carne#Caronte#Charles#Ciuzza#Cupido#dialetto#edipica#Femina#formaggio#Gabriele#genitale#Heidy#invocazione#libido#lingua#Luciuzza#Lusy#madre#muffa#orale#petel#Sardanapalo#scatola#Sedaka#Umberto
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Ingeborg Bachmann "Invocazione all'Orsa Maggiore", presentazione
Nel cinquantenario della scomparsa Edizione con testo a fronte a cura di Luigi Reitani Con una Nota di Hans Höller Adelphi Editore In libreria il 20 ottobre […] Una poesia multiforme, cangiante, dove classico e moderno si fondono in versi ora audaci e spigolosi ora di chiara musicalità, e lo sguardo della Bachmann si mostra attento a cogliere la violenza della realtà e il dolore, in…
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Quirinello, un sogno, forse una favola, spesso un incubo.
Le migliori perle del peggiore, forse il più subdolo, certamente il più nazi-europeista.
"Nessun movimento può mettere in discussione l'Unione Europea."
- Mattarella, 14 settembre 2018
"Nel ventennio fascista non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere."
- Mattarella, 25 aprile 2019
"La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva"
- Mattarella, 25 aprile 2019
"Non si invochi la libertà per sottrarsi dalla VACClNAZlONE, perché quella invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui."
- Mattarella, 5 settembre 2021
@ChanceGardiner
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Bisognerebbe essere giusti con le madri e riconoscere loro la funzione essenziale ed insostituibile nell’adozione simbolica della vita. Bisognerebbe sottrarre la maternità ad ogni sua rappresentazione naturalistica: madre non è il nome della genitrice, ma, al di là della Natura, al di là del sesso e della stirpe, è il nome di quell’Altro che offre le proprie mani alla vita che viene al mondo, che risponde alla sua invocazione, che la sostiene con il proprio desiderio. Bisognerebbe non ridurre la madre a un appetito di morte, a una spinta a divorare il proprio frutto, a diventare proprietaria esclusiva e incestuosa della vita che ha messo al mondo. Bisognerebbe non dimenticare che il bestiario che accompagna immancabilmente la sua figura (la piovra, il coccodrillo, la chioccia, il vampiro) fornisce solo il suo lato in ombra, patologico, abnorme, che non fa giustizia della sua forza positiva che oltrepassa di gran lunga quel bestiario. Bisognerebbe non identificare la madre con il virus di ogni malattia psichica. Bisognerebbe non dimenticare la donazione che precede ogni eventuale divorazione e che custodisce la memoria più profonda del materno [...] Il legame arcaico con la madre non è solo una palude mortifera da cui bisogna liberarsi, ma è in primis una donazione che rende possibile la trasmissione non solo e non anzitutto della vita in quanto tale, ma del sentimento della vita, del desiderio di vivere [...] Bisognerebbe non pensare solo alla sua onnipotenza oscura, ma anche alla sua mancanza. Bisognerebbe provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un’ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita. Bisognerebbe rintracciare nel suo dono del respiro la possibilità che la vita abbia un inizio e che possa ogni volta ricominciare.
Massimo Recalcati -"Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno",
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Corte penale, l’autogol di Kiev e il doppio standard del diritto
Luigi Daniele
Ucraina/Russia. Zelenksy chiede l’adesione allo Statuto di Roma ma invoca l’articolo 124: nessuna indagine nei prossimi sette anni. A restare fuori, però, non sarebbero solo eventuali crimini ucraini: “via libera” anche a quelli russi commessi sul territorio del paese invaso. Torna l’idea di regole internazionali à la carte, buone solo quando servono contro i nemici
Nel 1945 il giudice che avrebbe servito come procuratore capo americano a Norimberga, Robert Jackson, criticando i profili di «giustizia dei vincitori» che le giurisdizioni penali internazionali avrebbero mantenuto da allora per molti decenni, dichiarò alla Conferenza di Londra: «Non possiamo codificare norme penali contro gli altri che non saremmo disposti a vedere invocate contro di noi».
Sembra questa, al contrario, la scelta del governo Zelensky, che ha ottenuto ieri dalla Verchovna Rada l’approvazione della propria proposta di legge di ratifica dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi). La legge contiene l’invocazione dell’articolo 124 dello Statuto, che stabilisce che «uno Stato che diviene parte al presente Statuto può, nei sette anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto nei suoi confronti, dichiarare di non accettare la competenza della Corte per quanto riguarda la categoria di reati di cui all’articolo 8 quando sia allegato che un reato è stato commesso sul suo territorio o da suoi cittadini».
LA PROCURA della Cpi, giova ricordarlo, dal 2022 ha considerato la situazione in Ucraina una priorità assoluta, stanziando la più alta cifra del proprio budget (4,5 miliardi di euro) per le indagini, assegnandovi 42 investigatori, organizzando numerose visite in situ del procuratore e aprendo un country office nel paese. Un paese, però, che non aveva mai ratificato lo Statuto, essendosi limitato a una dichiarazione ad hoc di accettazione della giurisdizione della Corte sul proprio territorio e sui propri cittadini nel 2014 e nel 2015 (una sorta di invocazione di intervento della Cpi consentita anche agli stati che non ratificano il suo trattato istitutivo).
L’Ucraina si è trovata nella singolare posizione di essere al vertice delle priorità della Corte, pur non essendo uno Stato parte. La richiesta di aderire al sistema Cpi ridimensiona questa anomalia, aggiungendone però una ancor più stridente: l’invocazione della clausola dell’articolo 124, ovvero una richiesta di temporanea immunità per crimini internazionali eventualmente commessi da propri cittadini o, problematicamente, sul proprio territorio.
Relitto dei compromessi del 1998, anno in cui lo Statuto istitutivo della Corte fu approvato, l’introduzione dell’articolo 124 fu voluta dalla Francia, che minacciava di non firmare se non fosse stata inserita questa clausola, funzionale a tenere il proprio territorio e i propri cittadini «al riparo» dalla giurisdizione della Corte per sette anni dall’adesione.
L’articolo 124 apparì subito così contrario allo spirito dello Statuto che fu immediatamente destinato (come specificato nell’articolo stesso) a essere emendato nella prima conferenza di revisione del trattato. Nel 2015, quindi, l’Assemblea degli stati parte ha approvato un emendamento di cancellazione dell’articolo, che entrerà in vigore se sostenuto dai sette ottavi degli stati parte (tra quelli che hanno già acconsentito alla cancellazione figura la stessa Francia).
Nella speranza di mettere al riparo propri cittadini da possibili responsabilità per crimini di guerra, quindi, Kiev ha optato per la clausola in via di cancellazione. Tuttavia, anche se accettata, la clausola non potrebbe essere applicata retroattivamente.
QUELLO dell’Ucraina potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol: se l’articolo 124 fosse applicato, non escluderebbe solo la giurisdizione della Corte su possibili crimini di guerra commessi da cittadini ucraini, ma anche su crimini di guerra commessi su suolo ucraino, inclusi quelli contestati alla leadership e alle forze russe. L’articolo parla di crimini di cui sono sospettati cittadini dello Stato e di crimini la cui commissione è sospettata sul territorio dello stato. È indubbio che i crimini di guerra contestati a Putin, Lvova-Belova e ai comandanti delle forze russe rientrino in tale categoria.
Le implicazioni di questo tentativo, tuttavia, non si limitano ai gravi rischi di effetti controproducenti per il diritto alla giustizia delle stesse vittime ucraine. Segnalano, più profondamente, una riproduzione dell’approccio tipico degli Stati uniti al diritto internazionale penale: ci si indigna per i barbarici crimini internazionali dei nemici, proclamando a reti unificate la necessità morale della loro punizione, mentre si mantiene in vigore nella propria legislazione la cd. «Legge di Invasione dell’Aja», che autorizza all’uso della forza armata per liberare cittadini americani o di stati alleati imputati di crimini internazionali e in custodia della Corte.
Persino le norme più elementari di diritto internazionale, ovvero quelle funzionali alla prevenzione e punizioni dei crimini di massa (e di Stato) si dichiarano senza infingimenti buone solo per i nemici e simultaneamente inapplicabili a se stessi.
TRAMONTA così il nucleo di tre secoli di sviluppo della tradizione giuridica illuministico-liberale, cardine dei modelli democratici di giustizia penale, che esigono che sia il tipo di condotta, con il danno sociale che produce e non il tipo di autore, a essere al centro dell’attenzione dei codici penali e delle istituzioni punitive. Al contrario, l’enfasi sui tipi di autore – identificati di volta in volta come nemici «della razza», «della patria» o «della rivoluzione» – fu il tratto distintivo dei modelli punitivi delle esperienze autoritarie e totalitarie.
È un paradosso degno del regresso a cui la guerra ci condanna che siano proprio le forze che si proclamano a difesa delle democrazie a formalizzare e istituzionalizzare nuovi modelli di diritto del nemico, che globalizzano l’etica della diseguaglianza di fronte alla legge e forgiano politiche internazionali che riducono il diritto a strumento di guerra ibrida.
Il nemico totale, la guerra e il diritto del nemico totale sono stati i motori della distruzione della democrazia nel Novecento. Piaccia o meno, è solo l’ultimo a mancare all’appello nell’attuale discorso dominante delle democrazie occidentali. Guerra e democrazia, è una legge della storia, si combattono sempre, spesso all’ultimo sangue. Caduto il bastione dell’eguaglianza di fronte alla legge, anche crimini internazionali e genocidi potranno essere crimini buoni e giusti, purché a commetterli sia la nostra tribù, la tribù delle democrazie.
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La tua lingua,
la tua saggia lingua che inventa la mia pelle,
la tua lingua di fuoco che mi incendia,
la tua lingua che crea l’istante di follia,
il delirio del corpo innamorato,
Bocca di donna che mostra la lingua
la tua lingua, sacra frusta, dolce brace,
invocazione degli incendi
che mi strappa a me stesso,
e mi trasforma,
la tua lingua di carne senza pudore,
la tua lingua di resa che mi richiede tutto,
la tua molto mia lingua,
la tua bella lingua che elettrizza le mie labbra,
che rende tuo il mio corpo da te purificato,
la tua lingua che mi esplora e che mi scopre,
la tua splendida lingua che sa dire pure che mi ama.
Darío Jaramillo Agudelo
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Italo-statunitense, economista, docente presso l'University College di Londra ed ex consulente del governo Conte. Atea e a favore dell'aborto. L'anno scorso è stata nominata da Francesco alla Pontificia Accademia per la Vita perché molto competente...😎
la prossima sarà elevare la bestemmia a invocazione e L'Osservatore romano muto...
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUINTO - di Gianpiero Menniti
L'INASPETTATO
Edgar Degas (1834 - 1917) dipinge "Ballerina che fa un saluto", 1878, conservato al Museo d’Orsay a Parigi.
Le forme scompaiono nel colore, riappaiono tra sfumature e contrasti.
Nel 1890 dipinge "Russet Landscape" (Paesaggio color ruggine) e nel 1892 compie sperimentazioni ulteriori con la tecnica del "monotype" che coniuga incisione, disegno e pittura.
Ulteriori poichè già nel 1876 aveva prodotto opere come "Dancer Onstage with a Bouquet" (Ballerina sul palco con un Bouquet, collezione privata).
Potremmo chiuderla qui aggiungendo che si tratti di una direzione di "ricerca" poco nota dell'artista francese.
Qualcosa che nasce nel medesimo contesto dei soggetti tradizionali della sua pittura.
Certo.
Ma perchè?
Ne realizzò circa centoventi di stampe con questa tecnica.
Eppure, negli anni '90 del XIX secolo scompaiono le classiche figurazioni per dare vita a immagini che annullano la forma sondando esperienze visive abissali.
Tuttavia, sullo sfondo delle altre due opere citate, queste rappresentazioni emergevano.
L'irrazionalismo non è una corrente viva nel solo Novecento: è già negli aforismi di Nietzsche, nelle immagini poetiche di Baudelaire e nelle strutture visive dell'Impressionismo.
Degas s'immerge in questa radicale percezione, l'anticipa nell'arte, la rivela facendo segno alla parola del suo tempo.
La realtà non possiede un fondamento e la concezione tragica pervade la lunga stagione che segue alla rivoluzione scientifica e illuminista dei due secoli precedenti.
Per dirla con le parole di Dostoevskij, tratte da "I fratelli Karamazov" (1880):
«Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile».
Nel 1882, ne "La gaia scienza", Nietzsche afferma perentoriamente:
«Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?».
In entrambi i casi, la fine della "cristianità" - non significa la fine del "cristianesimo" - s'annida nell'espressione figurativa che abbandona ogni certezza e muta in invocazione metafisica: semplicemente, la vocazione alla verità s'infrange con il baratro delle inattingibili origini.
Il '900 comincia da lì, anche da un inaspettato Degas.
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Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figli e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma era una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece segno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Ma, non era forse la mia una ribellione umana? non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione?
Un po' per l’effetto delle medicine è un po' per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione.
#aforisma#aforismi#aforismos#alda merini#citation#citazioni#frasi sulla vita#lirica#merini#personaggi
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La PAROLA PIU' BELLA
La parola più bella
sulle labbra del genere umano è "Madre"
e la più bella invocazione è 'Madre mia"
è la fonte dell'amore, della misericordia
della comprensione, del perdono,
Ogni cosa in natura parla della madre,
La stella Sole è madre della terra
e le dà il suo nutrimento di calore;
non lascia mai l'universo nella sera
finchè non abbia coricato la terra
al suolo del mare e al canto melodioso
di uccelli e acque correnti
E questa terra è madre degli alberi e dei fiori
Li produce, li alleva, e li svezza.
Alberi e fiori diventano
madri tenere dei loro grandi frutti e semi
La parola'"madre' è nascosta nel cuore
e sale alle labbra
nei momenti di dolore e di felicità,
come il profumo sale dal cuore della rosa
e si mescola
all'aria chiara e nell'aria nuvolosa.
Khalil Gibran
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Invocazione indiani nativi
“Chiudi gli occhi
e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare
e sentirai la verità.
Resta in silenzio
e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto
e troverai l'unione.
Sii quieto
e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato
e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente
e compirai ogni cosa.
Sii umile
e manterrai la tua integrità.”
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VERGOGNOSO QUANTO ABBIA SOFFERTO
Ero una sposa e una madre felice
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a risconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni.
Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Alda Merini
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