#incubo senza riposo
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Un incubo che continua anche da sveglio.
#incubo senza fine#incubo senza riposo#incubo#sveglia#spavento#allucinazioni#angoscia#ansia#timore#dubbio#inadeguatezza#incertezza#insicurezza#incubo continuo#agitazione#incuboreale#paura#panico#terrore#orrore#ansiaestrema#stato di ansia#ansia costante
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Darwish
Si è legata l’esplosivo alla vita e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
É il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
É l’arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza. Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un’isola.
Ogni volta che esplode, e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico, spezza i suoi sogni e ne interrompe l’idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un’altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale. Non spinge la gente alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà. Il tempo laggiù non porta i bambini dall’infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li rende uomini al primo incontro con il nemico. Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi, completamente diversi.
𝐋’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐞 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐧𝐭𝐞.
Questa è l’unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all’esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai libri o dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfare spiegate della propaganda o dalle canzoni patriottiche.
L’ha imparato soltanto dall’esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in funzione della pubblicità o del ritorno d’immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi, né del suo spirito rivoluzionario, né del suo bilancio. Lei offre la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore, non ha gola.
É la sua pelle a parlare attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo il nemico la odia fino alla morte, la teme fino al punto di commettere crimini e cerca di affogarla nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano con un pudore che sfiora quasi la gelosia e talvolta la paura, perché Gaza è barbara lezione e luminoso esempio sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe. Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata, né la più grande, ma equivale alla storia di una nazione.
Perché agli occhi dei nemici è la più ripugnante, la più povera, la più disgraziata, la più feroce di tutti noi. Perché è la più abile a guastare l’umore e il riposo del nemico ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose, lei è la più bella, la più pura, la più ricca, la più degna d’amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza che risiede nel suo essere priva di poesia. Al contrario, noi abbiamo cercato di sconfiggere il nemico con le poesie, abbiamo creduto in noi e ci siamo rallegrati vedendo che il nemico ci lasciava cantare e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie si seccavano sulle nostre labbra, il nemico aveva già finito di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza quando la trasformiamo in un mito perché potremmo odiarla scoprendo che non è niente più di una piccola e povera città che resiste.
Quando ci chiediamo cos’è che l’ha resa un mito, dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi e piangere se avessimo un po’ di dignità, o dovremmo maledirla se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi, non ci libererà.
Non ha cavalleria, né aeronautica, né bacchetta magica, né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi, la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno forse non ci riconoscerebbe, perché lei ha natali di fuoco e noi natali d’attesa e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero: la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole (vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse è lo stesso della pelle con l’osso e non quello dell’insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un’istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno, non ha affidato il proprio destino alla firma né al marchio di nessuno. Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome, l’immagine, l’eloquenza. Non ha mai creduto di essere fotogenica, né tantomeno di essere un evento mediatico. Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto, né incensiamo i suoi sogni con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico. Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
É dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
𝑆𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐺𝑎𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑀𝑎ℎ𝑚𝑜𝑢𝑑 𝐷𝑎𝑟𝑤𝑖𝑠ℎ, 1973
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Operatore socio sanitario. Anche specializzato, 900 euro di corso di formazione supplementare, prego. Lavori (anzi, lavoravi) in una struttura dove a fronte di 28 pazienti registrati, ce ne sono dentro 45. Assiepati come in una stalla, con spazi strettissimi dove maneggiare carrozzine e pazienti emiplegici e non collaboranti diventa un incubo. O ti fai male tu o si fanno male loro. Sollevatori (che vengono forniti gratuitamente dalla Asl) che non vengono mai forniti, nemmeno nei casi dei pazienti allettati e ben oltre i 100 kg di peso. Materiali essenziali (pannoloni, manopole presaponate, lenzuola e traverse, saponi) molto spesso mancanti e comunque sempre razionati all'estremo. Il tutto con i parenti convinti che i loro cari siano ricoverati in lussuose e spaziose camere singole o al massimo doppie, pagando cifre esorbitanti, e tu che tremi ogni volta che uno dei parenti si avvicina ad una delle porte di ingresso, perché se entrano dentro e vedono lo stato delle camere, parte di sicuro una denuncia. Grida, insulti e minacce di licenziamento (a volte velate, altre molto meno) contro il personale. In più ti passano dai turni classici di tre giornate da sette ore con poi il turno di notte, lo smonto e il riposo, ai turni di sei giorni su sette, dove il giorno di riposo ti sembra talmente breve da non essere mai esistito, oppure a lavorare solo nei turni notturni, un giorno sì e l'altro... anche. Ovvero smonti alle 7:00 del lunedì per riattaccare alle 21:00 del martedì, per poi smontare alle 7:00 del mercoledì e riattaccare alle 21:00 del giovedì. A ciclo continuo senza interruzioni. Lavori con il 90% di pazienti con demenze gravi o gravissime accompagnate dalle più svariate patologie e traumi: bacino, costole, femori, vertebre varie rotti, tumori, SLA, epatiti, HIV, diabete, venghino venghino siore e siori! Ti viene impedito anche di tenere il cellulare in tasca, perché nelle ore di lavoro non ti devi distrarre (bisognerebbe vedere dove trovare il tempo, visto che non riesci neanche ad andare in bagno, cosa per la quale ti becchi svariate cistiti.) A fronte di tutto ciò...vai in burnout. Inizi a svegliarti la mattina con gli attacchi di panico, che continuano a intervalli durante tutta la giornata. Quando dormi, perché, se casualmente non sei stremato, il sonno diventa un miraggio. Ma comunque quando dormi ti sogni il lavoro/i pazienti/i dirigenti che ti cazziano. Scoppi a piangere dal nulla non solo al lavoro, ma anche per strada, al supermercato, in macchina, ovunque. Ti senti come se ti avessero appena bastonato mentre attraversavi a nuoto la Manica. Hai dei vuoti di memoria spaventosi, roba da non riuscire a ricostruire cosa puoi aver fatto durante intere ore, figuriamoci chiudere la macchina, accendere lo scaldabagno o chiudere il gas. Alla fine ti decidi, sai che perderai il lavoro ma sentendoti intrappolato in un vicolo cieco, prendi appuntamento dal neuropsichiatra che ti certifica il burnout completo, ti prescrive farmaci, psicoterapia e minimo due mesi di malattia. In trance vai dal medico curante che ti scambia per uno zombie e si sbriga a prescriverti tutto, senza fiatare.
Ah, ciliegina sulla torta, ti telefona il tuo datore di lavoro dicendoti che non crede affatto che tu stia male, che hai inventato tutto e progettato tutto a tavolino. Ma che sarà una buona opportunità per fare pulizia tra il personale. E i colleghi sono arrabbiati con te, perché te ne sei andato così e nessuno era organizzato per sostituirti.
#thatslife
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22.07.2024
La mia vita non ha più senso.
Da circa 20 giorni più o meno è tornato nella mia vita, ovviamente non è più come prima nonostante il sentimento ci sia. Diciamo che c'è la consapevolezza che lui può andare via, cosa che prima non c'era.
Non voglio neanche ripensarci a Giugno, un mese meschino.
Questi primi 7 mesi dell'anno sinceramente posso paragonarli ad un incubo mai avveratosi: Gennaio in realtà tranquillo perché avevo superato le selezioni per MM e mi stavo godendo il primo mese con M. insomma tutto sommato, poi Febbraio sono partita per 3 settimane di formazione e tutto sommato le cose andavano, poi iniziato lavoro da incubo e con M. sempre così e così, poi lavorato forse una settimana, poi 2 mesi di malattia credo senza fare niente, ogni tanto in uni, sì certo completata la tesi, ma ancora devo pagare le tasse e fare l'esonero.
Giugno M. mi lascia un mese in balia, quindi senza lavoro e senza di lui.
Ad oggi sono al giorno di riposo dopo 4 di lavoro e sinceramente questo lavoro non lo so se mi piace, il fatto di lavorare 6/7 è un gigantesco no e mi fa venire voglia di andarmene.
Domani parto per 3 settimane di formazione, ok let's do dat again, let's ok ragazzi ora lo rifacciamo di nuovo e meglio. O forse, peggio.
Ah ovviamente fra parentesi le cose fra me e M. non è che siano chissà cosa, nel senso ci siamo visti 4 volte credo, forse 3. A me quello che piace di noi è la leggerezza e la chimica.
Questa cosa del lavoro mi fa diventare matta, senza aria condizionata, senza regole alcune, un mercato.
Non quello a cui sono abituata.
Mi sento un pesce fuor d'acqua.
Ma anche se ci fosse un change, che ad ottobre per CG, dai ma veramente? Una SRL, ma serio? Per 1,9k sai che ci facciamo qui.
Non mi chiedo mai se le scelte che ho fatto siano state giuste o meno, il pensiero che ho è che in quel momento ho fatto la cosa migliore che potevo fare.
Né più né meno. Non posso pentirmi di quelle scelte se le ho fatte: ho lasciato Gabriele eppure avevo tutto, eppure non ero felice, mi faceva senso quando mi toccava.
Ho lasciato L., ho scatenato il panico, eppure potevo fare quello che volevo. Non me ne pento se il risultato era chiudermi a fare autolesionismo in stock.
Certo, su alcune cose si poteva fare più attenzione, ma sicuramente non me ne pento.
In ogni modo siamo qui ora, dobbiamo pensarla più positiva e razionale possibile.
Forse non sarà così male, o forse non mi fermerò mai..
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...DAL WEB...
COME MUORE UN ANZIANO OGGI? Muoiono in OSPEDALE. Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie. “Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”. Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente! Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo. “Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”. “Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna. Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti. Talvolta no. Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”. A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.
La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo. All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire. “Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”. Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”. Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”. La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita. Che serve amore, vicinanza e dolcezza. Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché? Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto. In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino. O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
-Enrico Galoppini-
C.C.
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"Gaza non è la più bella delle città.
La sua costa non è la più blu tra i litorali delle città arabe.
Le sue arance non sono le più belle del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la più ricca delle città.
Non è la più elegante né la più grande, ma eguaglia la storia di una nazione intera
perché è la più brutta, impoverita, miserabile e infelice agli occhi dei nemici.
Perché, per noi, è la più capace a turbare l’umore del nemico e il suo riposo.
Perché è il suo incubo.
Perché è disseminata di arance,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia
e donne senza desideri.
Per questo per noi è la più bella,
la più ricca e la più pura
e la più degna d’amore.
Compiamo un’ingiustizia verso Gaza quando cerchiamo le sue poesie,
non deturpiamo la bellezza di Gaza.
La cosa più bella è quella priva di poesia,
nel momento in cui cercammo di trionfare sul nemico con le poesie,
credendo in noi e festeggiando nel vedere il nemico che ci lasciava cantare.
Lo abbiamo lasciato vincere, e quando abbiamo asciugato le nostre labbra dalle poesie
abbiamo visto che il nemico aveva costruito città, fortezze e strade.
Siamo ingiusti con Gaza quando la trasformiamo in mito
perché la odieremo quando scopriremo
che non è altro che una piccola misera città che resiste."
(da "silenzio per Gaza" di Mahmoud Darwish)
#freegaza
#freepalestine
#mahmouddarwish
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E TU DEL TEMPO NON SEI PIÙ SIGNORA
Perché sono passati CINQUE mesi dall’inizio del fattaccio virale e dopo questa fase estiva bisognerà essere pronti alla nuova
TOTENTANZ
(Mo’ ve lo segnate SUBITO sull’agenda: 14 Settembre TOTENTANZ)
E quando dico TOTENTANZ (tod, morte + tanz, danza in tedesco) intendo proprio TOTENTANZ - La danza della Morte - e non la Danza dei Morti per Covid-19...
La danza dei numeri con cui mi farete morire.
Ad oggi (fine di Luglio) siamo messi così:
Caporedattore: a Giuse’... com’è l’Indice di Proporzione tra tasso di Paura e Tasso di Produttività? Titolista: Eh, dotto’... un po’ altino Caporedattore: sai cosa fare
14.450.223 CONTAGIATI NEL MONDO! POSITIVI 48 NEONATI! I RUNNER TRAPPER CON SPINELLI STANNO FACENDO LA MOVIDA SOTTO LE CASE DI RIPOSO MENTRE ASCOLTANO LA COFFIN DANCE! segue foto di archivio di paninari assembrati davanti al Burghy in Piazza del Duomo a Milano.
Caporedattore: a Giuse’... com’è l’Indice di Proporzione tra tasso di Paura e Tasso di Produttività? Titolista: Eh, dotto’... un po’ bassino Caporedattore: sai cosa fare
SOLO TRE MORTI IN 24 ORE DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA! EXTRACOMUNITARIO SGRIDA UOMO SENZA MASCHERINA E LA GENTE APPLAUDE! RIAPRE IL TEATRO DEI BURATTINI IN VIA NAZARIO SAURO! RI-NA-SCI-TA! segue poster sovietico di metalmeccanico e agricoltore che si salutano orgogliosi col gomito e indossano mascherina tricolore.
Ma io continuo a svegliarmi di notte urlando per il solito incubo ricorrente in cui sono dentro al bagno di una camera d’albergo e qualcuno sfonda con un’ascia la porta sulla quale è scritto col rossetto
14 SETT∃MBЯE
Perché il 14 settembre ci sarà l’allineamento funesto di tre fattori che concorreranno al Risveglio dell’Hobbiano Leviatano da eoni (7 mesi... quindi eoni) dormiente nella dimenticata R'lyeh
Le scuole riapriranno
Fine ufficiale delle ferie estive
Farà freschino
Quindi l’italiano medio, privato della metaforica meta di ombroso ombrellone, dovrà fare i conti con il depressivo inverno alle porte e con i figli che dovranno tornare a scuola. Anzi... che non potranno tornare a scuola.
In merito a questo è stupefacente come chi è chiamato a occuparsene dal punto di vista politico - e parlo tanto di maggioranza, quanto di opposizione - non abbia il coraggio di far permeare in maniera chiara una pura e semplice verità:
O si ridimensionano le regole di ingaggio per questo virus oppure non ci sono i numeri e lo spazio per frammentare le classi di studenti e assicurare la stessa didattica a tutti i gruppi di una stessa classe.
A me verrebbero in mente soluzioni divertenti e fantasiose (ma dopo l’ora di 50 minuti - cosi invece di sei ne figurano sette - nulla è più solo fantasia) tipo un professore che urla in corridoio col megafono davanti a tre classi con le porte aperte o, in mancanza di due aule supplementari, 1/3 di classe distanziata in aula col prof che saetta lo sguardo tra i cinni in carne e ossa e gli altri 2/3 dentro lo schermo del portatile.
Ma io ho assistito a un esame di terza media online in cui a un certo punto una prof ha urlato ‘FERMI TUTTI! COS’ERA QUEL RUMORE?! SEI SICURO DI ESSERE DA SOLO O C’È QUALCUNO CHE TI STA SUGGERENDO DI NASCOSTO?!’.
Un virus troppo veloce perché l’alfabetizzazione digitale forzata del corpo insegnanti nella sua interezza potesse avvenire in modo efficace in così poco tempo.
Quindi succederà quello che succede tutte le volte che ci si accorge che un certo inquinante o una certa sostanza tossica è sopra i livelli massimi di sicurezza...
Si alzano i livelli di sicurezza e si dice che non c’è più pericolo perché è nei limiti.
E badate bene che nel caso del Sars-Cov2 la cosa mi trova perfettamente d’accordo, perché questa fòla del distanziamento tra i giovani mi ha sempre fatto sorridere...
Perché se il primo di Settembre si mettessero a fare test sierologici a tappeto sulla fascia di popolazione in età scolastica si scoprirebbe che la maggior parte dei giovani ha sviluppato immunità contro il Sars-Cov2.
Ce lo dice l’intelligenza e la capacità critica che ognuno dovrebbe avere nel leggere i numeri dei contagi, dei malati e dei decessi e confrontarli con le immagini di decine di migliaia di persone giovani senza mascherina che fanno aperitivo, ballano e si assembrano al chiuso senza la minima traccia di mascherina.
E voi dal buio dei vostri sarcofagi sabbiosi vi preoccupate di quando torneranno a scuola?
Chi doveva morire è morto, già fragile preventivamente e colpito improvvisamente da un virus nuovo e verso il quale non c’era né immunità personale né preparazione sociale ma ora le cose sono parecchio diverse, sotto ogni aspetto.
Sappiatelo se non lo sapevate e ragionateci adesso che lo sapete.
P.S.
Grazie degli eventuali toni moderati di interazione, soprattutto da parte chi si sentirà attaccato - a torto - in quanto insegnante. Se lo siete, purtroppo sapete bene di cosa sto parlando.
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Sabato 28 Ottobre 2017. #2
8.
Era il 28 del mese, il nostro mesiversario. Due anni e 7 mesi. Ci tenevo a quella data. Era un semplice numero, però mi ricordava quanto tempo avevamo trascorso insieme, quanto avessimo condiviso, nonostante le cose non fossero sempre rose e fiori. Eravamo cresciuti insieme, cambiati insieme, e avevamo vissuto momenti importanti insieme.
Non volevo farlo aspettare quella sera, quindi presi a prepararmi velocemente e lo raggiunsi. Percorremmo quel vicoletto insieme e arrivammo a casa sua.
Inviai un messaggio a mio padre, per tranquillizzarlo, per avvisarlo che ero con il mio ragazzo, e poco dopo seremo usciti insieme come ogni sabato.
‘Va bene, divertiti tesoro.’ Questa fu la risposta che lessi sullo schermo del mio cellulare, mentre ero seduta su uno dei due lettini della sua cameretta.
Lo vidi nella sua felpa blu, che giocava col cellulare, disteso sul lettino accanto.
‘Allora che facciamo stasera amore?’
Una domanda banale, semplice, da cui nacque tutto.
La mia intenzione era solo quella di trascorrere una serata insieme, dato che era il nostro giorno, e invece tempo qualche minuto che cominciammo a discutere.
Io espressi la preferenza per un’uscita, lui invece, nervoso e brusco, rispose che saremmo rimasti a casa.
Si era innervosito, così per nulla, come accadeva tante altre volte, e come ogni volta diventava intrattabile. Non potevo avvicinarmi, parlargli, o tentare un qualsiasi gesto dolce, che la situazione peggiorava.
In poco ci ritrovammo a discutere sempre più pesantemente, fino ad alzare la voce, e a far degenerare la situazione. Lui che alzava la voce, fino a zittirmi, a trattenermi, a bloccarmi. Quegli occhi furiosi, che mi stavano così vicini, quelle mani che mi afferravano, e quella paura che non riuscivo a non provare. Le mani al collo mi toglievano il respiro e la capacità di pensare, come se non riuscissi più a rendermi conto di cosa accadesse, come se non fossi più io a decidere. Rimanevo semplicemente paralizzata dalla paura, e sconcertata da quella violenza. La persona che poche ore prima, prima della lezione aveva detto di amarmi, ora mi teneva bloccata su quel lettino, mentre mi urlava contro quanto fossi stata brava a rovinare la serata, il suo weekend, e la sua pace. Quel ragazzo che mi aveva vista in ogni forma e circostanza, in quel momento mi guardava con disprezzo, e mi stringeva con quelle mani troppi potenti per permettermi di oppormi in qualche modo.
In quella cameretta, quella sera mi guardai allo specchio, quello piccolo posto dietro la porta.
Vidi il mio maglioncino rosa stropicciato, il collo con segni rossi marcati e i miei occhi gonfi e spenti.
‘Perché a me?’ Era l’unica cosa che riuscivo a pensare.
Mi voltai dietro di me, verso quel lettino dove lui se ne stava a giocare sul suo cellulare, come se non fosse successo nulla, ed io non ci fossi.
Ritornai a guardare poi la mia immagine riflessa. ‘Ho solo 19 anni, perché mai devo subire tutto questo? Non merito di trascorrere il mio tempo libero a litigare, a farmi umiliare, e picchiare’ pensai.
Era un incubo dal quale non potevo uscire. Sapevo che non era normale, e in quel momento ebbi anche la consapevolezza che mai sarebbe cambiato nulla. Era un anno e mezzo che accadeva, che quei litigi finivano sempre allo stesso modo, con la promessa che non sarebbe più successo, che sarebbe stato un errore mai più ripetuto, che sarebbe cambiato per me. La verità è che non cambiava mai nulla. Si partiva da un motivo stupido, insignificante, e si arrivava a urla, segni lasciati sulla mia pelle, e lacrime a vuoto.
Sentii delle voci provenienti dalla cucina; erano tornati i suoi genitori.
In quel momento tentai frettolosamente di sistemarmi. Asciugai le lacrime, eliminai quell’alone nero dovuto al mascara colato, e coprii i segni rossi sul collo con i miei capelli. Provai a darmi una sistemata.
I miei sforzi furono vani; i segni erano evidenti, i miei occhi erano gonfi e la mia voce ancora rotta dal pianto. Mi guardai velocemente allo specchio e alzai leggermente le spalle. Non riuscii a sistemarmi alla meglio.
Quella sera dovetti cenare con la sua famiglia, persone che avevano sentito quanto era accaduto in quella camera, che vedevano chiaramente i segni, eppure non dicevano nulla, come se fosse tutto normale.
Mi sforzai di essere tranquilla come sempre, di fare qualche commento sul programma in tv, qualche complimento su quel rustico che proprio non mi andava, e di sembrare più naturale possibile.Ci provavo ma mi sentivo come sporca, colpevole di un qualcosa che non avevo nemmeno commesso.
E se da un lato mi ritrovavo di fronte ai suoi, e sua sorella, con i miei segni sul collo, dall’altro lui siedeva alla mia sinistra, ognitanto mi sfiorava la mano, mi dava qualche bacio delicato e mi chiedeva come stessi.
‘Rilassati e le cose andranno meglio. Devi solo calmarti.’
Queste erano le sue parole.
Lo guardavo allibita, e mi chiedevo come facesse. Come era possibile che la persona che un’ora prima mi teneva le mani strette intorno al collo e mi spintonava, in quel momento mi diceva di stare tranquilla e mi baciava.
Quella cena sembrava un labirinto dal quale non riuscivo più ad uscire. Il tempo non passava più, io mi sentivo imprigionata tra quelle mura, fatte di violenza e omertà, quella casa dove tutto ciò che avevo appena vissuto sembrava essere normale. Non vedevo l’ora di arrivare a casa mia, di essere al sicuro.
In quel momento avrei voluto che qualcuno mi liberasse, mi portasse via, in un posto dove non dovevo aver paura, non dovevo temere niente.
Mentre cenavo e mi fingevo interessata a quel programma televisivo, mi venne in mente il messaggio che avevo ricevuto da mio padre a inizio serata.
La mia famiglia a casa era tranquilla, mi credeva al sicuro. Pensavano che fossi a casa del mio fidanzato, a godermi un po’ di riposo dopo una lunga settimana, e soprattutto che la loro unica figlia femmina si sentisse amata e fosse felice.
Niente di tutto questo era vero. Non mi sentivo amata, né felice, né al sicuro. In quel momento avrei voluto soltanto scappare via, e non mettere più piede in quella casa.
Con non poca fatica la serata finì, e finalmente tornai a casa, ancora più stanca.
La settimana era stata dura, stancante e frenetica, e non era finita di certo nel migliore dei modi. Solo tra le mura di casa mia, mi sentivo un po’ più tranquilla, più sicura.
Un’altra serata era andata. Altro tempo insieme trascorso a litigare. Ormai succedeva così spesso, che quando non accadeva mi meravigliavo. Come sempre sapevo che il giorno seguente avremmo fatto pace. Andava sempre così; litigavamo, mi urlava contro, perdeva le staffe, allungava le mani, e poi si ritornava ‘bene’. Alla fine la colpa per svariati motivi, era sempre mia. Io che lo stressavo, io che dicevo qualcosa di sbagliato, che lo facevo arrabbiare. Io ero la causa di tutta quella violenza, io quella che doveva inghiottirla senza dire nulla.
Tornai a casa, poggiai la testa sul cuscino, e mi si riempirono gli occhi di lacrime. In cuor mio, nel silenzio buio della mia camera, chiedi scusa ai miei genitori. La loro intelligente e disciplinata figlia, aveva permesso ad una persona estranea di trattarla in quel modo, picchiarla ed umiliarla. Che delusione. Sentivo di essere una vera e propria delusione per loro. Di tutti i sacrifici e le rinunce che avevano fatto per me, io li avevo ripagati con quell’enorme vergogna.
Mi chiedi cosa avessi fatto, perché dovevo subire quel ritmo...sovrumano, quei continui litigi, quei continuo colpi, quelle mani che si stringono attorno al collo.
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TITOLO : Il giorno sbagliato ANNO : 2020 DATA USCITA : 2020-07-02 GENERE : Azione,Thriller TRAMA : Un innocente incidente quotidiano si trasforma rapidamente in un incubo quando una donna suona il clacson nel momento sbagliato al tipo sbagliato. L'espressione "rabbia al volante" non rende l'idea di ciò che lo sconosciuto farà a lei e a tutti quelli che incontra.
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COME MUORE UN ANZIANO OGGI? Muoiono in OSPEDALE. Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie. “Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”. Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente! Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo. “Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”. “Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”. Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna. Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no. Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”. A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo. La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo. All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire. “Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”. Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen. “Dottore, la vecchina del 12 non respira più”. Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”. La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti. Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita. Che serve amore, vicinanza e dolcezza. Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”. Ma perché? Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto. In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino. O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
Zerogas
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Cari compagni proprietari, una nuova stagione si sta schiudendo avanti a noi, ma quale nuova annata sarebbe senza il power ranking di benvenuto? Si, certo, avete visto quello di Mario, avete sentito parlare di quello di Ale (mai pervenuto), ma siamo sinceri, è questo il solo e l’unico che attendevate con ansia, e quindi ecco la risposta ai vostri desideri più incofessati, che come la rete nella notte del draft arriva all’ultimo istante così da essere ancora più anelato.
1. TEAM GUARNERI: 2013, e ho detto tutto, è da 6 anni che Giuseppe non vince, ormai è l’unico campione a non essersi ripetuto, tanto che in molti si domandano se non sia stato più il caso che altro nella notte dei tempi a portarlo al trionfo. Quest’anno Giuseppe non si è presentato alla notte del draft (come successe nel 2013), si dice perché altrimenti avrebbe dovuto noleggiare un camion per trasportare tutto il materiale consultabile, e questo spiega anche perché si sia preso tutti i 120 secondi per ogni singola presa. Non ci sono punti deboli e la panchina è la più profonda, è l’anno del riscatto per il venerabile maestro?
2. FRANCOFORTE LINCI: Primo nel power ranking dell’anno scorso ed in quello di 3 anni fa, Daniele porta sempre a casa un draft solido, ma a fine anno i risultati non riflettono le aspettative; non fraintendete, siamo di fronte ad uno dei proprietari più competitivi: la seconda media vittoria più alta e due regular season vinte, ma solo un terzo posto come risultato migliore. CP3 a OKC e Beal a Washington predicano nel deserto ed in logica fantasy questo non è necessariamente un male.
3. CREMONA 3TITANS: Mario arriva da una stagione difficile: partito con un draft sospetto ha sistemato il roster con 37 mosse di mercato (record della stagione passata), giunto ai playoff (unico proprietario a non averli mai mancati) è uscito al primo turno in modo anacronistico. Nessuno più di lui è capace di rimestare nel torbido dei bassifondi per trovare le gemme nascoste e con il passaggio a 14 squadre questo talento diventa un super potere. Dalla sconfitta all’ultimo canestro contro Giacomo di 3 anni fa non si è ancora ripreso pienamente; quest’anno può contare su un gruppo di guardie con molti punti nella mani ma sembra un po’ leggerino sotto canestro.
4. BEOGRAD JUGOSLAVIA: L’annata del matrimonio è sempre difficile per tutti, è complesso coniugare bomboniere e palle rubate; il draft di quest’anno è molto più imponente con tanti ma tanti chili a rimbalzo e nonostante il peso ridotto delle stoppate i centimetri hanno storicamente innalzato le nostre franchigie alla meta dei playoff. Le spalle di PG13 sono la grande incognita mentre lo spogliatoio di Boston detossificato da Kyrie dovrebbe garantire a Kemba la solita stagione iperproduttiva.
5. DARK SIDE: Stefano agisce nell’ombra da tanti anni, ha visto i suoi sforzi sprecati dalle scelte scombinate del compagno di professione, ma ora è giunto il suo momento di brillare nella luce della ribalta. Ci piace il suo gruppo in cui in tanti sanno fare tanto, ed anche nelle notti in cui il tiro sarà un po’ fuori fase potranno contribuire nelle altre categorie. Certo Kanter non è detto che arrivi a fine stagione, Porter Jr non ne ha ancora iniziata una, e molti dovranno ambientarsi in nuove realtà ma le triple doppie di Westbrook sono come la morte e le tasse.
6. LAGUN ARO MARISCOS: Ale ha lottato per 4 anni per giungere ai playoff, poi si è ripetuto in back to back ma gli manca ancora quell’elusiva prima vittoria. De’Aaron in tutte le guide per il draft era il giocatore “da prendere” ma il suo compagno di backcourt Donovan Mitchell dopo aver spezzato il cuore del commissioner si è prodigato in un mondiale storicamente deludente. Anthony Davis ha dimostrato negli anni di valer per tre, quattro anche cinque giocatori ma poi non lo abbiamo visto in campo per lunghi mesi, lo scorso anno si è vigliaccamente riposato per cui parte fresco ma ormai sappiamo che la lebronite ha azzoppato le statistiche di innumerevoli compagni.
7. G FORCE: Dario è stato in fuga per tutta la prima parte del campionato, ha iniziato a gozzovigliare ed è arrivato bolso alla fine mancando clamorosamente la finale. Ci riprova quest’anno con tanti giocatori dal nome poco sexy ma molto abili a fare quello che devono fare. Drummond e Gobert metterebbero paura a chiunque, Rozier è chiamato ad onorare un contratto per molti insensato e LeVert deve provare ad una squadra praticamente nuova che l’infortunio è ormai cosa vecchia.
8. CREMONA BIG CREAMERS: Lore ha studiato per giorni e giorni prima del draft ed i risultati si vedono, Lamb è stata la sorpresa fantasy della scorsa stagione ed ha permesso a Giak di alzare la coppa, Lillard domina da anni la regular season e se non fosse al confino in terra di Portland non sarebbe costretto a vergognarsi di pubblicità discutibili ma sarebbe il volto della NBA e Draymond Green può finalmente smettere di essere la brutta copia del vaso di coccio Bosh schiacciato tra i vasi d’acciaio della Miami di Lebron e tornare a macinare triple doppie.
9. NORTH LONDON BULLS: Il draft di Maffo è ovviamente influenzato dall’entità dell’infortunio di Zion che fino ad ora si è dimostrato sospettosamente delicato nonostante la stazza ercolinea, purtroppo al fantasy non vanno bene campioni trattati con i guanti bianchi, servono onesti lavoratori che ogni sera timbrano il cartellino, detto questo il commissioner è segretamente innamorato di Zion per cui promuoviamo comunque la scelta purtroppo sfortunata (il record del commissioner non è particolarmente di buon auspicio). Tante novità impattano i giocatori di Maffo che potrebbe avere un inizio di stagione complicato: Conley deve abituarsi al deciso cambio d’aria dopo tanti anni di Memphis che nel frattempo ha accolto Valanciunas, Brook Lopez si è reinventato sharpshooter ed Ibaka deve scoprire la vita senza Kawhi ma crediamo che a regime il nostro rookie potrà togliersi molte soddisfazioni.
10. READY FOR GO HOME: Che anno sarebbe se il dottore non partisse fuori dalla zona playoff? Tanto lo sappiamo che come ogni volta assisteremo alla stessa trama: un inizio di campionato da incubo seguito dall’interminabile sequela di infortuni seguita da una sfilza di vittorie inspiegabili per poi terminare in una amara sconfitta nei playoff. Sempre la stessa solfa con in più l’aggravante dell’assenza dell’essenza segreta di questa franchigia che ora è diventato proprietario indipendente.
11. NEW YORK KNICKERBOCKER: Prima figlia, prima maratonina e soprattutto prima finale di fantasy basket. Solo un Giacomo con un squadra irreale ha fermato Andrea ad un passo dal triplete. Manca poco e scopriremo se l’effetto delle ceneri del vulcano islandese intossicherà anche il nostro campionato; RJ Barrett e Coby White sommati assieme non fanno l’età del proprietario ma saranno chiamati ad avere in mano le chiavi dell’attacco dei Knickerbocker della bassa. Ma più che l’inesperienza, sono i giorni di riposo che saranno concessi a Kawhi sulle spiagge californiane che pongono dubbi sulle possibilità di ripetere il successo nella postseason.
12. CHEZ CHAMOIS: “the pick heard around the world”: dopo un’annata che più anonima di così quasi non ci si accorgevamo che avesse partecipato, il commissioner ha deciso di farsi notare subito da tutti nel modo più eclatante possibile, senza badare agli effetti a lungo termine: per cui porte aperte alla gragnuola di triple by the bay e poi per non farci mancare nulla abbiamo deciso di andare in Africa ed ai Caraibi, se stessi preparando un piatto di cucina fusion potrebbe saltare fuori qualcosa di interessante peccato che si stia giocando a fantabasket e la pallacanestro sia stata inventata negli Stati Uniti...
13. DEPORTIVO LA CORUNA: L’altro Splash Brother ha condiviso gli onori della cronaca la notte del draft ma ha creato ancora più sgomento perché non vedremo Klay fino alla fine della regular season. Una terza scelta arruolabile sarebbe tornata decisamente utile a Ciccio per raggiungere finalmente i playoff al sesto tentativo ed evitare che i nuovi rookies gli possano bagnare il naso nella corsa alla terra promessa dei playoff. L’unicorno si presenta ai nastri di partenza in forma smagliante e Herro parte come favorito per il trono di Rookie of the Year ma non sono loro a preoccuparci quanto l’effetto LBJ che intristisce tutto ciò che tocca.
14. RASTA SUPERSONICS: Gli opposti si attraggono, gli estremi si toccano, l’eterna competizione tra discepolo e maestro si ripete con una nuova declinazione: Giacomo tenta di replicare la mossa del Barone, che l’anno dopo il trionfo si accaparrò la coppia di Philadelphia, per dimostragli di riuscire dove l’altro si è dimostrato mancante. Siamo troppo severi con il Campione? Se nessuno è mai riuscito a ripetersi ci sarà un perchè: Mario ci è andato vicino, Gasta sembrava destinato, sarà il giovane orobico a porre termine al sortilegio? Se l’abbiamo messo qua è perchè noi lo riteniamo tanto probabile quanto che Ben Simmons vinca la gara del tiro da 3.
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Non Farti Toccare la Faccia
Nota: questo è un racconto inedito che ho mandato ad una rivista. Ed è piaciuto così tanto, che non mi hanno nemmeno risposto.
Ho sempre pensato che il mio riscatto sarebbe arrivato grazie ad un racconto dalla vaga ambientazione fantascientifica. La storia è basata su un sogno, anzi una specie di incubo, uno di quelli che non ti fa svegliare di soprassalto ma che ti lascia disturbato per tutto il giorno. A dire il vero, non avevo in testa proprio tutta la trama, ma solo una specie di germe. Un nucleo di aggregazione intorno al quale ogni tanto aggiungevo qualche particolare. Lo facevo nei momenti più impensabili della giornata, tipo mentre aspettavo il bus insieme a estranei infreddoliti e rassegnati, oppure al lavoro mentre pestavo sulla tastiera come se volessi demolire la scrivania, l’ufficio, i miei pensieri. E quindi, volevo scrivere un grande racconto incentrato su una specie di zombie che infestano il pianeta. Lo so: non è proprio una cosa originale, però avevo pensato a diversi elementi innovativi. Ad esempio, nella mia storia, questi morti viventi non si cibano di carne umana e neppure di cervelli. E non si trascinano nemmeno emettendo versi e seminando pezzi di corpo, roba tipo un braccio, una gamba, le viscere, oppure i denti. Sono esseri apparentemente normali. Per dire, sentono il caldo oppure il freddo, aspirano l’atmosfera attraverso sigarette stropicciate, pensano al conto in banca. Insomma, sono indistinguibili dalle altre persone, ma il loro unico scopo è di renderti come loro. Tra l’altro, sulla mia scrivania c’è un foglietto. Ha delle righe nere su uno sfondo bianco e ha un numero stampato con un carattere moderno e tondeggiante. Un lato è sbilenco e frastagliato. È un appunto per ricordami di trovare un nome per questi esseri, cioè per non chiamarli zombie oppure morti viventi. Chessò, una roba tipo pseudo-umani, ma meno scontata. E insomma, nel mio racconto questi mostri parlano al telefono, guardano le vetrine dei negozi, chiedono un mutuo. Si muovono senza vivere, nel senso che tutto quello che fanno è inutile. La loro mente è compromessa, incapace di provare soddisfazione. Una mente senza riposo, tormentata da un processo che richiede sempre qualcosa o qualcuno che non potrà mai arrivare. Non potrà mai arrivare perché non esiste. Questo li rende invincibili. D’altro canto, come si può combattere un essere che non vive? E se magari non è mai esistito? Dovrei aggiungere sul foglietto anche queste domande. Comunque, la novità principale del racconto è che il contagio non si trasmette attraverso il morso, la saliva, o qualche virus complicato e scientificamente improbabile. Questa è forse l’idea che mi ha fatto cercare un pezzo di carta. Mi ero appena svegliato ed era inverno, il pavimento era gelato. Lo so perché ero scalzo e non trovavo le ciabatte. Avevo paura di dimenticare l’intuizione che mi avrebbe permesso di scrivere la mia storia. Così ho strappato un foglio dall’agenda ed è venuto tutto storto. E mentre annotavo alcune idee, pensavo che con un po’ di fortuna questo racconto avrebbe potuto aiutarmi a cambiare la mia vita. Magari avrei trovato qualcuno disposto a pubblicarlo. E magari qualcun altro mi avrebbe pagato per farlo diventare un romanzo. Magari poi ci avrebbero pure fatto un film. Dicevo che un’altra novità del racconto è che il contagio non avviene sbranando o mordendo la vittima. Nel mio caso, gli zombi infettano gli altri utilizzando le mani. Se riescono a toccarti il volto, non hai più speranze. Nel giro di pochi minuti comincerai a vagare cercando di propagare la malattia, di toccare la faccia a qualcuno per privarlo dell’arbitrio, della vita. Proprio come è stato fatto a te. Lo farai senza nemmeno rendertene conto mentre sei in coda alle poste, imbottigliato nel traffico, intento a sfuggire al fiato fetido di qualche estraneo, a boicottare equilibri sociali a suon di esuberanti capricci. Insomma, rubare la vita delle persone toccando la loro faccia sarà la tua unica ragione di vita. Sarà la tua routine mortale. Non è molto. Per scriverci un racconto, intendo. Ora che ci penso, non mi sembra nemmeno una roba di fantascienza, forse è più una cosa catastrofica. Quasi tutte le sere, penso agli zombi che infettano le persone toccando la faccia. Immagino fucili a pallettoni, inseguimenti con auto blindate, sparatorie e mirabili scene di azione. Cerco di trarre ispirazione ripensando alle persone che ho visto per strada, uomini e donne che vanno al lavoro, affollano le città, popolano il mondo. Il flusso incomprimibile di carne che gorgoglia cercando di annientare la vita degli altri. Penso a tutto questo sperando che un altro me affiorerà etereo per darmi qualche idea durante un sogno. Per ora non mi sembra abbia funzionato. A parte quella volta che, mentre assonato mi lavavo i denti, ho avuto l’ispirazione per scrivere un dialogo su un antidoto. Credo lo infilerò da qualche parte per dare una vaga idea di speranza, per addolcire un finale apocalittico che non lascia scampo a nessuno. Al momento, l’unico modo per sopravvivere è scappare, correre, divincolarti sperando che gli zombie non ti tocchino la faccia. Basta il contatto, anche una semplice carezza e sei infetto. Quindi, non fidarti. Mai. E mentre la tua mente decade, di tanto in tanto avrai dei barlumi di lucidità. E in quei momenti avrai il terrore negli occhi perché sai quello che sei diventato. Ti hanno toccato il volto, gli pseudo-umani ti hanno trascinato con loro, a non vivere nelle fabbriche, nei bar, negli stadi, nelle piazze, nei palazzetti ammassato in mezzo a corpi sudati ed estranei. Ma la tua voglia di conservazione è tanto ostinata quanto inutile. Così cercherai di fare qualsiasi cosa nella speranza di guarire, di invertire il processo degenerativo che ti sta corrodendo. Farai cose tipo suonare uno strumento, scrivere poesie, costruire un gioco per un bimbo, comprare regali alla persona che ami. È più lo farai, più sprofonderai. Avrai incubi che ti sembreranno grandi idee, e avrai voglia di toccare la faccia degli altri per infettarli. Vorrai renderli come te, far sprofondare altri uomini e altre donne nell'angosciosa attesa durante la quale aspetti che qualcuno legga il tuo racconto confusionario di persone che si infettano toccando i volti.
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𝗟𝗔 𝗔𝗕𝗨𝗘𝗟𝗔 - 𝗥𝗘𝗖𝗘𝗡𝗦𝗜𝗢𝗡𝗘
La Abuela è un film che mette in risalto gli orrori legati al decadimento fisico conseguente all'avanzare degli anni e, mescolandoli ad elementi sovrannaturali e a una consistente dose di suspense, se ne serve per creare un film che potremmo definire un mix tra il drammatico, l'horror e il thriller psicologico.
𝗧𝗥𝗔𝗠𝗔
Paco Plaza, già regista dell'acclamato film horror "REC", ci offre una pellicola incentrata sul rapporto tra l'orfana Susana - modella spagnola ventiquattrenne emigrata a Parigi - e la nonna Pilar, ottantacinquenne appena sopravvissuta ad un ictus che l'ha resa incapace di parlare e di svolgere funzioni basilari quali nutrirsi ed espletare i propri bisogni fisiologici in autonomia. Rifiutandosi di relegare la nonna che l'ha cresciuta in una casa di riposo, Susana si trasferisce da lei nell'attesa di trovare una badante che la accudisca. Nel giro di poco, però, in casa cominciano ad accadere fatti a dir poco inquietanti che, uniti ad un atteggiamento della nonna via via sempre più ostile, trascinano la povera Susana in un vero e proprio incubo.
𝗥𝗘𝗖𝗘𝗡𝗦𝗜𝗢𝗡𝗘 Il film, dalla durata di circa 100 minuti, è ambientato totalmente nella casa di Pilar, fatta eccezione per alcune, sporadiche, riprese all'aperto che ritraggono Susana in completa solitudine. L'atmosfera è cupa, a tratti claustrofobica e angosciante; tuttavia, per gran parte del tempo, ho avuto l'impressione che il film non riuscisse a prendere il volo. Troppi i momenti di calma piatta, che ho interpretato come un malriuscito tentativo di creare suspense da parte del regista: più volte mi sono chiesto quanto mancasse alla fine del film. Estremamente prevedibile l'evolversi della storia e troppo scontato il finale, che ho intuito già nei dieci minuti iniziali. Da segnalare comunque l'interpretazione dell'anziana attrice Vera Valdez che, nel ruolo della nonna, ci regala una prestazione magistrale pur senza servirsi del linguaggio parlato. Si potrebbe dire che il film si regge totalmente sulle sue spalle.
⭐⭐
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La prima volta che ho sentito parlare di "insufficienza ( o incompetenza ) cervicale" avevo ventisei anni ed ero sul lettino del reparto di ginecologia ed ostetricia dell'ospedale in cui ero stata ricoverata pochi giorni prima, da quel giorno non ho mai dimenticato quelle due parole. Ero entrata con i miei due bambini in pronto soccorso ma ne sono uscita da sola.
Era un giorno di metà estate ed io stavo entrando nel sesto mese della mia gravidanza gemellare. Quella mattina soffrivo dei soliti dolori dovuti alla sciatica ma che, a dispetto degli altri giorni, una volta alzata dal letto non accennavano a passare o anche solo ad affievolirsi. Sentivo che c'era qualcosa di diverso, di sbagliato. Non riuscivo a stare seduta né in piedi, tantomeno sdraiata: un incubo.
Avevo da qualche giorno effettuato la mia solita visita ginecologica e tutto risultava nella norma, anzi, perfetto, i miei gemellini stavano bene. Ma quella mattina avvertivo la pancia, ormai già bella in evidenza, diventare sempre più dura ad altezza ventre e prima ancora di poter chiamare il mio ginecologo per un consulto, ho tremato.
La rottura delle acque è stata improvvisa, senza che io potessi accorgermi di nulla: nonostante il fastidio alla zona lombare non sentivo dolore né avevo avuto perdite se non fosse stato per quel preciso momento in cui, correndo in bagno a cambiarmi, notai la perdita di quello che immediatamente pensai fosse il "tappo mucoso".
E purtroppo non mi sbagliavo.
Sono stati minuti interminabili quelli in cui aspettavo l'arrivo dell'ambulanza assieme al mio compagno, attimi carichi d'incertezza e soprattutto di paura. La gioia di quella gravidanza si era immediatamente trasformata in disperazione e preoccupazione: non riuscivamo a credere, non volevamo credere che qualcosa di terribile stesse accadendo proprio a noi, esattamente in quel momento.
Nonostante il tempestivo arrivo in ospedale, non feci in tempo a lasciare i miei dati all'infermiera di turno che il sacco di uno dei gemelli si ruppe, causandomi una grave emorragia. Persi un litro di sangue, ed entrambi i miei bambini.
Sono stata dimessa qualche giorno dopo.
Incompetenza cervicale, ovvero l'incapacità del collo dell'utero di supportare la gravidanza fino al suo termine a causa di un motivo congenito o acquisito, questa è stata la causa che non mi ha permesso di portare a termine la mia gravidanza gemellare.
Da quel momento, una volta capito di cosa si trattasse, non ho mai smesso di cercare e ricercare su internet notizie e studi al riguardo in attesa di poter incontrare il mio ginecologo ed avere più notizie. Questa patologia, se così vogliamo chiamarla, è completamente asintomatica e non ci si può rendere conto di cosa sta succedendo a meno che non si noti in tempo, durante una visita ginecologica, una dilatazione eccessiva dell'utero. In tal caso, nel primo trimestre, ci si può sottoporre ad un cerchiaggio preventivo per scongiurare un parto pretermine anche se questa pratica, associata ad un riposo assoluto, non prevede comunque una riuscita sicura senza parlare delle complicanze che potrebbe ripercuotere al corpo.
Perché non si sente mai parlare di incompetenza cervicale fin da subito?
Perché, seppur durante una gravidanza all'apparenza sana e perfetta, non viene messa in conto la possibilità di poter soffrire di tale disagio essendo appunto asintomatico ed impossibile da diagnosticare fin da subito?
Perché la maggior parte della gente, delle mamme e delle future mamme non ha idea di che cosa si tratti quando se ne parla?
Perché bisogna arrivare a perdere un figlio per poter affrontare al meglio, con massima attenzione e riguardo, con più visite preventive, con più riposo ma anche con più paure e preoccupazioni una futura gravidanza?
Chiunque potrebbe soffrire di questo disagio ( seppur la percentuale di donne che ne soffre sembrerebbe minima ) senza saperne il motivo e l'origine, in qualsiasi momento, eppure non viene mai preso in considerazione sin dall'inizio.
Perché?
Parliamone di più, parliamone subito, parliamone con rabbia ma soprattutto con una speranza in più.
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"Gaza non è la più bella delle città. La sua costa non è la più blu tra i litorali delle città arabe. Le sue arance non sono le più belle del bacino del Mediterraneo. Gaza non è la più ricca delle città. Non è la più elegante né la più grande, ma eguaglia la storia di una nazione intera perché è la più brutta, impoverita, miserabile e infelice agli occhi dei nemici. Perché, per noi, è la più capace a turbare l’umore del nemico e il suo riposo. Perché è il suo incubo. Perché è disseminata di arance, bambini senza infanzia, vecchi senza vecchiaia e donne senza desideri. Per questo per noi è la più bella, la più ricca e la più pura e la più degna d’amore. Compiamo un’ingiustizia verso Gaza quando cerchiamo le sue poesie, non deturpiamo la bellezza di Gaza. La cosa più bella è quella priva di poesia, nel momento in cui cercammo di trionfare sul nemico con le poesie, credendo in noi e festeggiando nel vedere il nemico che ci lasciava cantare. Lo abbiamo lasciato vincere, e quando abbiamo asciugato le nostre labbra dalle poesie abbiamo visto che il nemico aveva costruito città, fortezze e strade. Siamo ingiusti con Gaza quando la trasformiamo in mito perché la odieremo quando scopriremo che non è altro che una piccola misera città che resiste." (da "silenzio per Gaza" di Mahmoud Darwish) . . #freegaza #freepalestine #mahmouddarwish . . Grazie a @krisvera22 https://www.instagram.com/p/CUb3_UVtwON/?utm_medium=tumblr
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Post di Claudio De Marco. "Giuseppe Conte, discoteche chiuse e mascherina obbligatoria in questi orari: nuovo lockdown in vista – Libero Quotidiano Esplora: giuseppe conte discoteche coronavirus lockdown mascherina Condividi: Sullo stesso argomento: Bambino di 5 anni in terapia intensiva: il coronavirus sta cambiando? Due focolai, torna il terrore per gli anziani: altro incubo nelle case di riposo? Lazio e Sicilia, cosa sta succedendo 16 agosto 2020 a a a Il vertice del governo con le Regioni si è concluso come ampiamente previsto, ovvero con la chiusura delle discoteche di tutta Italia a partire da domani, lunedì 17 agosto. Non solo l’esecutivo ha richiamato all’ordine i governatori, ma ha anche messo nero su bianco che non sono ammesse deroghe regionali al dpcm del 7 agosto scorso, che già prevedeva la sospensione delle attività in sale da ballo, discoteche e locali assimilati, all’aperto o al chiuso. I governatori non hanno potuto far altro che subire la volontà dell’esecutivo, che improvvisamente ha scoperto un’avversione per le discoteche, nonostante i contagi stiano arrivando soprattutto dai ritorni dall’estero e dai centri di accoglienza per migranti. Ma non è tutto, perché Giuseppe Conte e compagni hanno deciso una nuova stretta sull’uso delle mascherine: dalle 18 alle 6 sarà obbligatoria su tutto il territorio nazionale, anche all’aperto. Quindi a mezzogiorno il virus non circola, si può uscire tranquilli senza mascherina: l’ennesima assurdità di un governo che sembra sempre più interessato a far perdurare lo stato di emergenza, nonostante l’Italia abbia una situazione tranquilla rispetto agli altri principali europei, che fanno registrare migliaia di nuovi casi ogni giorno. Coronavirus, scende la curva dei contagi con il “trucchetto” dei tamponi: il crollo sospetto Please enable JavaScript to view the comments powered by Disqus." Copia e incolla https://www.instagram.com/p/CD9WLehJfPr/?igshid=q2vbm6rcc2p8
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