#il suo inglese era un po' così e così
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Ad un meeting speciale a causa della cacciata del CTO ...
Un anonimo: Given that various incidents have occurred where the consumption of alcohol served likely played a part in influencing the actions of individuals, will there be any push towards dry events? Or perhaps to consider serving of non-alcoholic wines/beers at events where absolutely necessary. Il resto dell'azienda:
#questo cerca il linciaggio#se il tedesco non beve non riesce a fare 1+1#la birra a questa gente serve per diventare umana#il suo inglese era un po' così e così
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Oggi al bar c'era il tizio francese di cui ho scelto di non imparare il nome perché è un nome francese e io sono contrario all'imparare i nomi francesi, quindi lo chiamo "amico mio" che trasuda falsità ma poco importa. Non capisco cosa dice quando parla perché si barcamena un po' in tedesco e un po' in inglese ma si mangia le parole e le imburra con la lingua romanza più formaggiosa di tutte. Io annuivo ma ero concentrato a disegnare. La nebbia negli occhi c'è ancora. È un po' meno forte così mi sono messo fuori al sole all'aperto e il francese fumava e guardava il telefono e mi raccontava dell'appuntamento che avrebbe avuto la sera stessa con la propria fidanzata. Io continuavo a disegnare ma lui insisteva allora ho immaginato il loro appuntamento, in un bar come quello dove eravamo seduti. Ogni tanto emergevo dalle profondità di dove mi rintano quando disegno. Quando disegno esco dal pianeta, un processo molto simile a quello che attuo durante la scrittura. Abbandono il piano terreno e tutto cessa di esistere. I miei occhi funziano. Sto bene lì, sono sano, sereno. Capisco il francese e un po' vomito. Vedo dei topini intenti a ordinare una nuova bottiglia di vino. Il cameriere topino sale da una scaletta e gliela porge e loro siedono sul tavolino proprio di fronte al mio. Per disegnare i dettagli più minuscoli ho dovuto accendere la luce portatile della bici. In pieno giorno. Quando ho finito e sono tornato in superficie il francese se ne stava per andare. Ha pagato lui il conto ringraziandomi per la piacevole conversazione (non ho detto praticamente nulla ma rido sempre alle battute degli altri specialmente quando non le capisco). Ho guardato gli altri tavoli e ho visto una ragazza piena di pennarelli che disegnava diavoli rosa. Un signore di una certa età che scriveva a penna nel suo taccuino. Un ragazzo che provava a decifrare un file excel o forse era un programma di sintetizzatori formato dj techno. Poi io con i miei topini. Io non me lo posso permettere un atelier anche se mi do arie da artista. Mi posso permettere a malapena di stare in un bar sperando che qualcuno mi offra da bere. Ma qua è tutto così. Gli atelier sono per artisti con qualche mecenate, tipo un babbo ricco. Noi morti di fame paghiamo un caffè al giorno per sentirci meno soli, finire circondati da morti di fame come noi, costretti ad ascoltare il francese che diventa un salvagente mentre si sprofonda nella solitudine. Io ho i miei topini al momento a tenermi compagnia. Un giorno spero torneranno gli occhi.
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Ieri sono andata di nuovo dalla mia amica giapponese.
Sono arrivata da lei nel pomeriggio di sabato e siamo andate insieme al 銭湯 (sentō), ossia i bagni pubblici giapponesi. Questa volta mi ha fatto meno effetto ma è sempre in qualche modo liberatorio essere letteralmente nuda assieme a tanta altra gente nella tua condizione. Ci si guarda però non c'è troppo giudizio, perché ci sono così tanti corpi diversi che il giudizio sembra perdere di senso.
Dopo essere stata a rilassarmi nella vasca super calda con le turbe idromassaggio (che relax madonna), la mia amica mi ha proposto di immergermi nella vasca fredda:"Vedrai che bella sensazione!". Io inizialmente le dicevo che avrei voluto evitare perché non mi sembrava troppo sensato far fare uno sbalzo di temperatura così forte al corpo; in più conosco la mia polla (ossia me stessa). Alla fine però mi sono lasciata convincere e l'ho fatto: Mix perfetto per un cazzo di capogiro che così forte penso di non averlo mai avuto nella mia vita. Fortuna che è passato dopo qualche minuto e quindi vabbè tutto a posto.
Poi mi chiede del lavoro e del perché ho cambiato: le spiego che ho il doppio delle ferie di prima e mi fa:"Vabbe ma 20 giorni di ferie sono normali no?". È la seconda volta che me lo ha detto e io ogni volta le dico, no, la normalità in Giappone è 10 e mi stupisce sempre che lei, giapponese, anche se anziana, viva così fuori dal mondo e mi rendo conto che chi lavora nella scuola pubblica è privilegiato non solo in Italia, ma pure qui.
A cena abbiamo mangiato 冷やし中華 (hiyashi chūka - foto 1) ovvero noodles freddi cinesi con verdure e carne e una salsa fatta di salsa di soia, aceto, zenzero e sesamo. Poi aveva preso anche dei salamini francesi: buoni, ma peccato fossero letteralmente dolci - poco sale e pochissimo pepe rispetto ai nostri. Da bere una lattina di birra e del vino bianco (scarso).
La notte un inferno: mi sono svegliata forse alle 4/5 con una nausea e un mal di testa fortissimo. Ho temporeggiato girandomi da un lato all'altro per ore e ore, svegliandomi e riaddormentandomi di continuo, finché non ho sentito la mia amica sveglia. Mi sono alzata e le ho detto:"Yuki che guaio, mi viene da vomitare...", mentre lei mi suggeriva di tornare a dormire, ho preso un sorso di acqua... tempo 2 sec e sono corsa al bagno a vomitare. La causa penso sia stata il fatto che sono stata troppo indulgente col vino, che secondo me era pure di scarsa qualità.
Sono tornata a dormire finché non era ora di pranzo, intorno alle 12.
Questa volta però non siamo andate a pranzo dai suoi genitori, ma la mia amica ha organizzato un pranzo a casa sua in cui ha invitato: la sua insegnante di italiano (che è di Salerno e io, quando l'ho saputo, le ho chiesto di presentarmela), suo marito giapponese, un suo compagno di classe (che frequenta la stessa insegnante), la moglie e una sua collega molto giovane che insegna inglese nella stessa scuola media dove insegna anche lei.
L'insegnante di italiano è simpatica, però è la tipica signora italiana con un carattere forte che sta sempre in mezzo a fare le cose al posto degli altri, un po' ignorante e banale (che cazzo mi vieni a dire a fare: che palle D'Annunzio, che palle Manzoni, che palle tutti - dì che non ti piace la letteratura senza fare sceneggiate, no?), insomma, tipica signora italiana. Però ha preparato la parmigiana di melanzane quindi un po' la perdono ahahah.
Il marito invece super tranquillo e straeuridito: prima della pensione era un professore di storia romana e ha vissuto in Italia per svariati anni. Conosce un sacco di aneddoti italiani che manco io sapevo (tipo sul palio di Siena, su Matera etc) ed è il tipo che una volta che parte non lo fermi più. Non ricordo come se n'è uscito con questo argomento, ma dopo aver detto che c'era stato un momento in cui era senza lavoro e senza soldi e che non poteva nemmeno tornare in Giappone, ha detto anche che mentre stava facendo un lavoro prendeva uno stipendio sia in Italia che dal Giappone, nello stesso momento. Io sempre più convinta che chi ha vissuto in quegli anni ha avuto un culo della Madonna perché i soldi si buttavano come non è mai più successo (esempio plateale: mio nonno baby pensionato che ha vissuto metà della sua vita in pensione... METÀ).
Detto questo, fortunatamente sono riuscita a godermi il pranzo nonostante la vomitata.
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Bologna, agosto 1980
Le nostre vacanze di quell'estate 1980, in Austria, finirono troppo presto e per colpa mia.
Avevo parcheggiato il camper (in realtà, un vecchio furgone 238 Fiat riadattato dal propretario) in un silo piuttosto distante dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, mèta della nostra mattinata culturale. Il costo del parcheggio era diviso in fasce orarie e avevamo fatto i nostri conti sulla durata che avrebbe dovuto avere la visita per spendere il meno possibile. Il Museo risultò però incredibilmente interessante, Dürer, Bruegel, Bosch.... Il tempo passò troppo in fretta e quando ci accorgemmo di stare per entrare nell'orario in cui il balzello del parcheggio ci sarebbe costato un bel po' di scellini, uscimmo in fretta, più di corsa che a passo veloce; è vero che Orazio aveva inscenato una incredibile pantomima alla biglietteria del museo, mostrando il suo libretto universitario e cercando di far capire, un po' in inglese e un po' in pugliese, che, come studenti, dovevamo avere uno sconto, che poi ci fecero, ma avevamo veramente i soldi contati e il costo della vita in Austria era ben più alto che in Italia.
Arrivati appena in tempo al parcheggio, mi misi alla guida cercando di guadagnare l'uscita prima dello scadere dell'orario. Ahimè, così al coperto, e abituato a guidare una Mini, non avevo valutato l'altezza del furgone e, a una curva troppo stretta, feci impuntare il tettino in uno spigolo di cemento sporgente, producendo un gran di rumore e un notevole 'taglio' nella lamiera: accorsero subito un paio di sorveglianti per vedere che cosa fosse successo, passò una mezz'ora o più e ovviamente, all'uscita, fummo costretti a pagare per la salata fascia oraria in cui eravamo rientrati per quei minuti di ritardo.
La cosa più brutta era che il camper, Domenico, il terzo componente del gruppo, lo aveva avuto in prestito da suo cognato, con l'impegno di riportarlo a Firenze entro il 9 o 10 agosto, per consentire a lui e alla famigliola di andarsene in vacanza. Che cosa potevamo fare? Certo non raccontare l'accaduto, a rischio creare dei problemi familiari a Domenico; decidemmo allora, dopo una serie concitata di telefonate in Italia (non c'erano i cellulari!), di rientrare qualche giorno prima, per consentire a un mio amico carrozziere, che avevo rintracciato ancora nella sua officina, di porre rimedio al danno in maniera 'invisibile': avremmo usato i soldi risparmiati dall'accorciarsi della vacanza per pagare il lavoro.
Io fui immediatamente esonerato dalla guida in città ma poi mi alternai con Domenico durante il rientro; eravamo abbastanza abbattuti per l'incidente e per la brutta chiusura della vacanza, e decidemmo, per fare prima, di guidare anche di notte.
Orazio doveva andare a Pisa, con Domenico, per ripartire subito dopo verso la Puglia, dai suoi. Domenico doveva riportare il camper a Firenze, dopo aver accompagnato me nel mio paesello di mare e fatto aggiustare il danno alla carrozzeria del mio amico. Visto il rientro anticipato, Orazio decise di fermarsi qualche giorno da alcuni amici a Bologna, per poi andare da lì in Puglia; i bagagli li aveva con sé e non aveva motivo di ripassare da Pisa.
Il pomeriggio del primo di Agosto, arrivati a Bologna poco dopo le 16:30, parcheggiammo in prossimità della stazione per accompagnare Orazio a consultare gli orari dei treni e a fare la prenotazione e il biglietto per il suo rientro. La stazione, nonostante il periodo dell'anno, non era particolarmente affollata; girellammo un po' per il salone, mentre Orazio era in fila, poi lo accompagnammo col camper nella zona dove abitavano i suoi amici. Senza neppure scendere per salutare i suoi nuovi ospiti, riprendemmo la strada verso casa mia: volevamo arrivare dai miei sul fare della notte.
La cena, finalmente tra le mura familiari, fu veramente ristoratrice, così come gli abbondanti lavacri. La mattina dopo, sabato 2 agosto, Domenico ed io dormimmo fino a tardi; a tavola, all'ora di pranzo, saltata la prima colazione, eravamo famelici.
L'immancabile televisore rumoreggiava in sottofondo, ma non lo ascoltavamo, tutti presi a rispondere alle domande dei miei sulla nostra vacanza; a un certo momento però ci accorgemmo che alla TV parlavano di Bologna, della stazione e ci voltammo meccanicamente per vedere e sentire cosa dicevano. "Eravamo lì ieri pomeriggio...", feci alla mamma, con la bocca piena.
Il silenzio fu poi agghiacciante: capimmo cosa era successo. Un incidente? Un attentato? Decine di morti, centinaia di feriti... Muti, un raggrinzire della pelle... ci prese, stretti, quella commozione che ti fa luccicare gli occhi; e ci fu un pensiero non detto, negli sguardi tra me e Domenico: chissà, forse andando un po' più piano o non viaggiando di notte, saremmo potuti essere lì anche noi, a quell'ora.
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Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
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stamattina sono sul bus per un paio d'ore e per non pensare alla sete che per ovvi motivi non posso soddisfare e al sonno che mi impedisce di concentrarmi sul mio ebook scriverò dell'esame di ieri. durerà un po'.
ieri sono partita da casa malissimo, ho addirittura ripassato sull'autobus e per sdrammatizzare scherzavo con la collega, che diceva che stava ripassando pure, perché è una cosa che non facciamo mai, ripassare prima dell'esame. appena ho raggiunto l'ufficio dei russisti sono andata nel panico perché non mi ricordavo niente, cosa fosse la boemia in particolare, e ho deciso che avrei accettato non fino al 29 ma anche meno, fino al 27. non lo so perché, comunque, dal primo giorno il mio cervello aveva deciso che assolutamente non avrebbe trattenuto nulla sulla boemia, incredibile. ho iniziato le domande compulsive con le colleghe e il ripasso senza speranza fuori dall'aula, avevo la nausea e mi odiavo perché mi stavo presentando all'esame di una materia bellissima, con un prof che mi piace tantissimo e con cui faccio un percorso da molti anni e avevo studiato solo una settimana. ho ascoltato come un podcast l'audio della mia collega che mi ripeteva il capitolo sulla slavistica e la filologia slava e mi sono buttata subito dopo di lei, volontariamente seconda perché se avessi aspettato oltre penso che mi sarei sentita male o avrei fatto qualche sciocchezza, tipo andarmene. una volta dentro l'esame è iniziato con l'analisi dello slavo ecclesiastico e poi il prof mi ha chiesto come volevo continuare. ha fatto tanto, nella valutazione finale, penso, il fatto che questo argomento che avevo scelto era opzionale fra quelli dettati dal prof ma mi piaceva troppo e quindi se in una settimana ho studiato tipo cento ore cosa mai poteva essere un capitolo in più? ho scelto di parlare della donna e di quella che era, probabilmente, l'organizzazione matriarcale della società dei primi popoli slavi (vorrei approfondire di nuovo anche qui perché è veramente interessante ma risparmio al povero lettore che segue i miei aggiornamenti almeno questo) e poi il prof ha iniziato a farmi una serie di domande, una dopo l'altra, molto velocemente e quasi senza farmi finire il discorso che ogni volta iniziavo, ma sono riuscita a rispondere a tutto. non mi ha fatto domande difficili, credo. mi ha detto che ero un po' imprecisa su alcune cose (devo aver confuso un qualche verbo con un aoristo, non so) ma comunque, a quanto pare, mi sono meritata la lode.
la cosa che sto notando di questi esami della magistrale, diversamente dalla triennale, è che quasi tutti, finora, sono iniziati con un argomento a piacere, così diventa più personale, e la cosa mi piace molto. l'unica che non ci ha chiesto di scegliere un argomento è stata, mi sembra, la prof di letteratura inglese, ma il suo corso era sull'autobiografia e la scrittura delle donne e tutto era il mio argomento a scelta, quindi va bene. invece per esempio per l'esame di letteratura russa eravamo così liberi che quasi la cosa mi ha messo più ansia e confusione del solito. quando l'altro giorno all'esame di linguistica inglese ho iniziato parlando di language and gender e di quel paragrafetto in particolare che iniziava con do women talk more than men? era sì sempre un esame, ma mi sono sentita molto molto a mio agio a discutere di una cosa che avevo studiato perché mi aveva appassionata più del resto anche se ero davanti a un'insegnante che sapevo mi avrebbe valutata. in generale però sono stata così in ansia durante questa sessione e ho studiato così tanto in così poco tempo per recuperare i giorni in cui avevo fatto molto poco che pensavo che l'avrei chiusa male e che avrei portato a casa solo risultati deludenti. ho chiuso invece con tre materie date e due lodi a distanza di una settimana e anche se per tutto il tempo di scrittura di questo post il pensiero della sete non mi ha abbandonata un secondo (me lo merito comunque, ho mangiato pizza e patatine ieri a cena e stamattina a colazione) sono molto molto felice e soddisfatta di quello che sono riuscita a fare. sono felice perché mi sono sempre sentita mediocre nello studio e ci stavo sempre male quando studiavo per mesi una materia e comunque non ottenevo mai il massimo e non riuscivo a capire perché. solo ora sto capendo che forse avevo bisogno di appassionarmi giusto un pizzico di più e fare mio davvero ciò che studiavo. e lo so che il voto finale può dipendere da tante cose, ma la mia prima lode, prima di queste, l'avevo presa solo quando ho fatto la prova finale di letteratura russa su delitto e castigo, un altro argomento che avevo scelto io.
qualche giorno fa giuravo qui sopra che dopo questa sessione mi sarei impegnata a imparare a gestire meglio il tempo, o qualcosa del genere. ogni singolo giorno prima di un esame mi ritrovo sempre a dire e pensare che mi sarebbe bastato un singolo misero giorno in più per arrivare tranquilla, serena e sicura di me il giorno dell'appello. orazio non mi sopporta più perché è un pattern che si ripete e io ho dei seri problemi con la gestione del tempo e le deadline e lui (ammetto pubblicamente) ha ragione ma poi in un modo o nell'altro funziona sempre e riesco a farcela. il costo, certo, è il decadimento della mia salute psicofisica, quindi ribadisco nonostante i buoni risultati: mi impegnerò perché devo essere più gentile e rispettosa verso me stessa
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Il 29 aprile 1975 ci fu un altra vittima dell'odio comunista.
Sergio Ramelli, 17 anni, militante del Fronte della Gioventu' di Milano, verso le ore 13 di giovedì 13 marzo fece ritorno a casa in via Amadeo dopo una commissione.
Più tardi avrebbe preso il suo motorino e sarebbe andato a frequentare i corsi pomeridiani scolastici.
Il ragazzo legò il suo "Ciao" al solito posto in via Paladini e si diresse verso casa.
Ad un tratto vide due ragazzi minacciosi muoversi verso di lui ed altri posizionati un po' più avanti.
I due erano armati, ma non avevano armi nel vero senso della parola, ma una particolare di quei tempi, la chiave inglese "Hazel 36", una grossa e pesante chiave inglese usata dai meccanici e dagli idraulici.
In quegli anni uno degli slogan preferiti dalle zecche era: "Hazel 36, fascista dove sei?".
In pochi secondi Sergio capì di essere in trappola.
Inciampò e fu colpito dai due ragazzi alla testa.
I colpi sferrati nei suoi confronti furono fortissimi e continui, lasciandolo sanguinante per terra.
Non contento, uno dei due aggressori ritorno' indietro per dare il colpo di grazia a Sergio.
I maledetti Kompagni terminarono il loro infame "lavoro" solo quando una signora anziana si mise ad urlare, implorando loro di smettere.
Ramelli era a terra con il cranio aperto, il sangue e pezzi di cervello accanto.
Fu chiamata un ambulanza e fu portato al Policlinico.
Sergio fu ricoverato con un trauma cranico, una ferita lacero contusa del cuoio capelluto, fuori uscita di materiale cerebrale ed in stato comatoso.
Cesso' di vivere il 29 aprile 1975.
Alla notizia della sua morte la maggioranza di sinistra del consiglio comunale di Milano applaudi'.
Applaudirono per la morte di un ragazzino.
Stramaledettissimi infami. Vigliacchi criminali assassini. Non meraviglia che stiano oggi con lo stupro islamico e lo chiamino resistenza. La feccia non cambia mai... si riorganizza soltanto. Blaterano di pacifismo...ma nel loro gergo è la resa totale e incondizionata alle loro violenze e a quelle dei loro amici muss.
Non abbiamo una vera opposizione che dichiari finalmente il comunismo un crimine contro l' umanità. E così tutti i loro satelliti.
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Il Tabellone dei gelati è della mitica gelateria De Luca di Briga Marina
All’interno del bar del sig. Placido regnava il solito caos siciliano dove le regole del buon vivere erano non infrante, ma sicilianamente scavalcate, nel senso che erano accantonate, messe da parte, in quanto fare i furbi e lasciare agli altri leggi e regolamenti, fa parte del codice genetico siciliano . Così essere arrivati prima degli altri non aveva valore se gli altri vi si mettevano davanti richiamando rumorosamente l’attenzione del barista o se chiamavano un barista per nome in quanto suoi cugini, fratelli, compari amici o conoscenti. Per cui, nella bolgia che ne seguiva il sig Placido, proprietario della famosa gelateria, si comportava come un giudice della cassazione ricordandosi chi c’era prima o dopo malgrado i tanti millantatori di permanenze risalenti anche ad un ora prima. Il sig. Placido, serio e preciso indicava un cliente e con il volto freddo e professionale da croupier di casinò chiedeva “Cosa le faccio?” E qui partiva l’elenco di gusti che il sig Placido, rapido e preciso, disponeva ad arte su un cono. D’improvviso qualcuno si fece largo nella calca di golosi. Era un ragazzo alto e robusto che teneva in braccio una bambina che lo stringeva piangendo “No cori i papà non cianciri … scusati, …. la bambina … scusate … non cianciri u papà, chi ora ti cattu u gilatino …” Al suo passaggio la gente prima protestava poi, vedendo la bambina che piangeva si spostava presa a compassione dai lacrimoni che scendevano dai suoi occhi. L’uomo con la bambina in mano arrivò al bancone e il sig. Placido, vedendo il dramma in atto si avvicino chiedendo “Che ha questa bambina? Lo vuole un gelatino? Che gusto vuoi picciridda?” “dicci u papà che gusti vuoi? Senti, senti il signor Placido che gusti ci sono, glielo dica signor Placido” “C’è bacio, gianduia, stracciatella, nocciola, zuppa inglese, caffè, Babà, crema d’arancia, mandorla tostata, pistacchio, setteveli al pistacchio, Rocher, nero fondente, sette veli, fondente all’arancio, amarena, torrone, snickers, parfait di mandorle, caramello salato, nutella, Taormina, fiordilatte, cioccolato bianco, cocco, cedro, fragola, ananas, pesca, bergamotto, melone e gelso. Quale vuoi?” “Quale vuoi u papà, dicillu al signor Placido” La bambina lo guardò spaesata e poi puntò gli occhi annacquati sul sig. Placido. Ebbe un singulto del pianto “Diccillu o signor Placido chi gilatinu voi” Fece il vecchietto sulla destra del padre “prendi il cioccolato che è buonissimo” Suggerì il vecchietto sulla sinistra. Nella gelateria scese un silenzio denso e pieno d’attesa mentre tutti osservavano la bambina come se dovesse dare una terna vincente. Lei guardò il signor Placido e lentamente si strinse al padre e bisbigliò nell’orecchio “Va bene u papà signor Placido pi cortesia, ci pò mettiri un po' di panna su un cono”. Un sospiro di sollievo si allargò nella sala e tutti commentarono felici la scelta della bambina. Con la solita rapidità ed efficienza il signor placido riempi un cono di panna disegnando un riccio sulla punta e lo passo alla bambina. “se lo paghi” Fece il padre allungando cinque euro “lasciassi stare, un pensiero mio alla bambina” Fece il signor Placido rimettendo il coperchio sul pozzetto della panna e guardando la folla davanti a se chiese con la solita professionalità “chi servo?” Si udì un boato di voci e la bolgia nella gelateria incominciò nuovamente.
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I libri della renna
Il regalo di Natale delle biblioteche di Milano consiste, naturalmente, nei nostri consigli di lettura, scelti per offrire al pubblico un’occasione per distrarsi in totale relax.
È ambientata proprio in tempo di feste l’ultima fatica di Valerio Varesi, L’affittacamere, ma è un Natale un po’ cupo per il commissario Soneri, costretto a scavare anche nel proprio doloroso passato per venire a capo dell’omicidio di un’anziana affittacamere dalla vita piuttosto torbida: “La nostalgia è la sublimazione della paura che ci fa il tempo che passa”. Forse Varesi è riuscito a darci, una volta per tutte, la spiegazione della passione per i libri gialli: “La vita, dopotutto, non assomiglia tragicamente a un omicidio? Non si concludeva sempre con un morto? Non ci ammazzava il tempo logorandoci ogni giorno con un piccolo affronto fino al cedimento? E il tempo non ha bisogno di un alibi come non ce l’ha il boia: compie semplicemente il suo mestiere”. Scritto molto bene, sembra di passeggiare insieme al protagonista per le vie nebbiose di Parma, durante le festività natalizie.
Antonio Manzini, nel titolo del suo ultimo libro della serie del vice questore Rocco Schiavone, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, fa il verso al noto film di Ettore Scola con Nino Manfredi e Alberto Sordi, ma l’amico, in questo caso, è misteriosamente scomparso in Sud America e non in Africa. Spassoso e divertente anche durante la trasferta, il coriaceo Rocco sembra ricordare la risposta che Aldo Fabrizi diede ai giornalisti che lo rimproveravano di parlare solo in romanesco: “Sono sicuro che se anche fossi nato altrove parlerei romanesco lo stesso”: è così anche per i nostri eroi, che si trovino a Roma, ad Aosta, a Buenos Aires o in Messico. Buon divertimento!
Anche in La ricreazione è finita, recentissimo romanzo di Dario Ferrari, si respira aria di Natale, ma in questo caso il riferimento cinematografico non è a Scola bensì al Fellini dei Vitelloni, perché il protagonista gigioneggia in quel di Viareggio senza decidersi a dare una svolta, matrimoniale e professionale, alla sua tardo-fanciullesca esperienza personale. Egli riesce però, del tutto inaspettatamente, a vincere un dottorato di ricerca in università e viene incaricato di occuparsi degli scritti del compatriota Tito Sella, morto in carcere dove era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Diversi generi letterari e temi, il romanzo di formazione, il mondo accademico, le suggestioni cinematografiche, storiche e metaletterarie, si intrecciano in questo romanzo davvero accattivante.
Feste decisamente spensierate per chi sceglierà Le imprudenze di Archie di Wodehouse, recentemente ripubblicato da Mursia. Inossidabile humour inglese di ottima lega, del suo stile l’autore diceva: “consiste nel costruire una specie di commedia musicale senza musica, ignorando del tutto la vita reale”. E proprio così, in assoluta leggerezza, vive Archie, il protagonista di questo romanzo che vi lascerà con il sorriso stampato durante tutta la lettura. “Mentre considerava la sua situazione alla fine del primo mese di vita matrimoniale, ad Archie pareva che andasse tutto per il meglio nel migliore di tutti i mondi possibili. … C’erano dei momenti in cui gli sembrava che New York fosse solo stata in attesa del suo arrivo prima di dare ufficialmente inizio ai bagordi”.
Le festività natalizie sono l’occasione giusta anche per affrontare un bel romanzo storico, di quelli “cappa e spada”, soprattutto per chi ha amato I promessi sposi. Il conte Attilio di Claudio Paglieri è infatti il prequel del capolavoro manzoniano e ci offre un punto di vista diverso sulla personalità del famigerato cugino di Don Rodrigo, ma l’ambientazione è sempre la stessa: la nostra grande Milano e le meravigliose sponde del lago di Como.
Ancora in tema con le feste vi proponiamo Un lungo capodanno in noir, in cui dieci autori contemporanei tra i più seguiti ci offrono la loro versione delle feste. Diversi sono anche gli scenari: Roma, Firenze e Milano “con i suoi quartieri e la sua gente; Milano che negli anni Venti ospitava Antonio Gramsci a San Vittore, uno che il Capodanno lo odiava proprio”. Poi un borgo del centro Italia, e infine Barcellona e la Svizzera: un ampio panorama per feste colorate di giallo!
Chiudiamo questa breve rassegna con una garanzia assoluta, ovvero l’ultima raccolta di racconti gialli di Simenon pubblicata da Adelphi: I misteri del Grand-Saint-Georges, anch’essa, in qualche modo, in tema con il Natale perché ambientata nei paesaggi innevati della Lituania. Una tremenda vendetta è l'argomento della prima storia, un “racconto di Natale per grandi” è il sottotitolo della seconda, mentre l’ultima, Il piccolo sarto e il cappellaio, sarà poi sviluppata nel romanzo I fantasmi del cappellaio: basta un semplice pezzettino di carta per suscitare i più atroci sospetti e scatenare la tensione.
Di nuovo auguri di buone feste a tutti i nostri fedelissimi lettori!
#georges simenon#valerio varesi#antonio manzini#ettore scola#dario ferrari#pg wodehouse#claudio paglieri
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Rating: Explicit
Fandom: Hannibal TV
Relationships: Hannibal Lecter/Will Graham
Characters: Hannibal Lecter, Will Graham, Frederick Chilton, Bedelia Du Maurier, Jack Crawford, personaggi originali
Tags: Post TWOTL, vita insieme, Hannibal è Hannibal, Dark Will, sangue, violenza, crescita sentimenti, evoluzione
Lingua: Italiano
Sommario: Will e Hannibal sono rinchiusi in un istituto di massima sicurezza, sotto la supervisione del dottor Chilton.
Questo è il racconto di come sono finiti lì dentro e di cosa è successo dopo la notte in cui il Drago è stato sconfitto.
Capitolo 1
“Dottor Chilton, mi lasci solo dire che non ritengo questa un’idea saggia.”
“Sta contestando la mia autorità?” Chilton si appoggiò sul suo bastone, spostando il peso dalla gamba più malandata. “Mi creda, in quanto a saggezza ormai ne ho per le altre tre vite, quelle che…mi sono rimaste.”
“Non sono due individui da sottovalutare.”
“E lo sta dicendo a me?” sbottò Chilton indicando tutto se stesso, tutto il suo corpo.
Il suo interlocutore si quietò, respirando a fondo un paio di volte.
“Non è stata data loro la pena capitale,” disse poi il giovane uomo come a voler sottintendere qualcosa e Chilton sapeva a cosa voleva alludere.
Continua a leggere su AO3
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Quanto tempo! Come sono felice di poter finalmente condividere questa storia, nata la bellezza di due anni fa.
Penso di aver già detto che non condivido mai qualcosa se prima non sono assolutamente certǝ che abbia una conclusione e così ho atteso e atteso che la conclusione di questa storia arrivasse da sé.
Ne sono successe tante nel frattempo e questo povero racconto è stato parcheggiato in un angolo della mia mente più e più volte, ma era venuto il momento di farlo uscire del tutto e fargli avere il suo spazietto su AO3.
Eccolo. Vi terrà compagnia, se lo vorrete, per qualche mese e spero la lettura vi sarà gradita.
Io nel frattempo mi butterò sugli altri nove, dieci racconti tutti inseriti in un file denominato one-shot anche se poi i racconti dentro hanno dai due ai cinque capitoli ciascuno. A casa mia one-shot ha un curioso significato parallelo, evidentemente.
Questa storia Dentro è un’altra, l’ennesima, versione del post TWOTL. Chi ha letto Evolvere sa che quella è per eccellenza la mia visione del futuro di Hannibal e Will, ma se ne possono creare all’infinito e a volte mi capita di partorirne di nuove.
I capisaldi fondamentali di come io vedo Hannibal e Will rimangono, ma si poggiano su basi leggermente diverse e su dinamiche un po’ più complesse. Sempre colpa di Will, sempre colpa sua, ormai si sa. XD
Penso di aver parlato abbastanza, l’appuntamento è ogni domenica tra mezzogiorno e l’una.
Grazie a tutti e buona lettura.
Len
Per problemi di spam ho dovuto chiudere la mia pagina AO3 ai soli iscritti. Bisogna avere un account per leggere, ma a parte quello nulla di diverso.
Devo dire che preferisco l’idea che solo chi è registrato ha accesso alle mie storie.
E per chi di voi volesse venire a trovarmi sul mio canale YouTube Len Irusu colgo l’occasione per ricordare che sono sempre lì a condividere gameplay (in inglese) e a commentarli (in italiano) o a parlare dei fatti miei mentre provoco, più o meno involontariamente, il trapasso di svariati personaggi.
Al momento tra le altre cose è in corso il gameplay di The Last of Us part II e… Oh boy… Il massacro di anima e cuore. Ma da appassionatǝ di Hannibal sono abituatǝ, devo dire.
#Hannigram#Hannibal#Hannibal Fanfictions#hannibal nbc#Dentro#Len Irusu#Leniam#Hannibal Lecter#Will Graham
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Lascia al tempo fare il suo corso magari ti sorprenderà
Questa è la storia di Vera e Nando, il destino come li aveva fatti incontrare li aveva separati per sempre o almeno così credevano...
Chat del 31 dicembre ore 23:45
Nando: ehi Vera sono il ragazzo più felice del mondo!
Vera: ... perché? Che è successo???
*pensiero di Vera: temo di aver capito purtroppo*
Nando: ce l'ho fatta! Finalmente lei è mia, sono fidanzato ufficialmente con la donna della mia vita, quella che ho desiderato in tutte le ragazze che ho conosciuto!!
Vera: buon per te.
Nando: per essere mia amica mi aspettavo un po' più di entusiasmo Vera da parte tua
Vera: yuppy. Ti va bene così?!
Nando: ok dimmi che hai? Uno dei tuoi soliti crolli?
Vera: No Nando, ero felice anch'io prima che mi mandassi questo messaggio e non è gelosia la mia è solo che mi fa ancora male pensarti tra le braccia di un'altra, io ti ho amato e ho bisogno di tempo per guarire questo mio cuore malato d'amore, non riesco ad essere davvero felice per te perché anch'io ti ho desiderato, ti ho sognato in una vita insieme, anch'io ho ricevuto da te un ti amo e un bacio, il mio primo bacio. Ma tu hai mutato i tuoi sentimenti con il tempo mentre i miei invece si rafforzavano. Quindi scusami se non sono felice per te, ma anch'io ho vissuto un sacco di momenti con te e non è facile per me chiudere il passato dietro una porta e non aprirla mai più, soprattutto se è un passato troppo recente, le cui ferite d'illusione bruciano ancora.
Nando: Oh Vera pensavo ingenuamente ti fosse passata, non volevo ferirti lo sai, non l'ho mai voluto e mi dispiace di averti illusa tanto, ma non ti amo più da un pezzo, al cuore non si comanda lo sai. Spero potremo restare amici e continuare a sentirci, non ti voglio perdere e ci sarò sempre per te. Ma tu più di chiunque altra sa quanto ho sognato e desiderato lei con tutto il mio cuore
Vera: si lo so, anche se è diversa da come la descrivevi un tempo
Nando: in che senso?
Vera: non ricordi: capelli biondi un po' ricciolini come le onde del mare, occhi azzurri ma da cerbiatta, alta e magra, sportiva ed elegante nel suo paio di jeans, possibilmente con un accento inglese da farti viaggiare nel nord Europa ad ogni suo sussurro. E invece lei è mora e ha gli occhi scuri, non è chissà quanto alta ed è italiana al 100%.
Nando: hai ragione ma è lei nonostante tutte queste differenze che aspettavo da una vita. Quella che hai descritto era la ragazza che desideravo da adolescente, per sentirmi una sorta di supereroe con una lady di tutto rispetto da fare invidia a tutti i miei coetanei che mi definivano strano e un fallito.
Vera: lo so ... Vabbè che devo dirti allora congratulazioni! Sono (fintamente) felice per te. Ma pensi davvero che lei accetterà il nostro rapporto anche se solo di amicizia, io non credo, lei ti vorrà solo per sé magari non ora, ma tra qualche mese ti chiederà di scegliere e tu ovviamente finirai per scegliere lei, chiudendo tutto con me. Quindi non voglio più collezionare ricordi di noi per poi ritrovarmi con nulla. Preferisco approfittare che tra qualche minuto inizia un nuovo anno per andare avanti senza di te.
Nando: Vera non dire così... Non voglio perderti
Vera: Nando mi hai già persa. Ecco che fanno il conto alla rovescia 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2 ,1 buon anno! E buona vita, addio. Una sola cosa ti chiedo pubblica quei tuoi racconti in forma cartacea anche se a quel concorso non ti presero in considerazione è davvero un peccato tenerli nascosti su questi social.
Nando: addio Vera buon anno anche a te, ti auguro il meglio e ancora scusami, grazie di ogni cosa che abbiamo vissuto, non volevo finisse così.
*chat eliminata*
...
5 anni dopo
Tg 2: «E per la rubrica dei lettori più appassionati ecco salire in prima posizione la saga "SAOA" di Nando Fritz! Che con il suo miscuglio di fantasy e fantascienza ha conquistato grandi e piccini!
Vera: «Nando, quel Nando almeno ha seguito il mio ultimo consiglio, alla fine ha pubblicato con quella famosa casa editrice per ragazzi ed ecco che come pensavo ha ottenuto un grande successo per la sua fantastica immaginazione e originalità».
Tg 2: «É previsto il lancio del suo nuovo libro nella Mondadori di Roma il 20 ottobre alle 14:00, non mancate per scoprire quale altra perla è uscita dalla sua magica penna. E ora passiamo allo sport, anche quest'anno l'Italia non si è classificata per i mon...>>.
*Vera spegne la TV e si annota quella data sull'agenda del telefono*
*pensiero di Vera: semmai dovesse capitare un torneo a Ciampino in quei giorni magari ci potrei fare un salto, giusto per togliermi la curiosità*
...
20 ottobre ore 13:30
Vera al telefono con i genitori: «niente da fare, sono arrivata 6°, sempre le solite sul podio, vabbè mi rifarò la prossima volta ahah. No non riparto subito, penso di andare a farmi un giro nella libreria qui vicino è così maestosa, con tutti quegli scaffali pieni di libri dalle copertine più svariate. Si sto attenta, come sempre, mamma non sono più una bambina. Si vi chiamo quando entro in autostrada, tranquilli. A dopo ciao ciao ciao»
*Vera cerca la libreria tra i vari negozi di quel centro commerciale, e fa lo slalom tra tutta quella gente che si era fatta prendere dalla febbre dei saldi autunnali. Una volta superato il negozio di lingerie eccola la più bella Mondadori che avesse mai esplorato, all'ingresso era presente una sorta di bancarella con i libri in svendita, mentre vicino alle scale, che portavano al secondo piano con vista e salottino per leggere i libri di seconda mano, erano posizionati dei cestelli pieni dei nuovi arrivi. Mentre al piano inferiore situato un po' sottoterra c'era un delizioso bar stile retrò con tutto l'arredamento in legno che dava davvero la sensazione di essere accolti in un caloroso abbraccio e l'aria era intrisa di quell' inconfondibile profumo di thè caldo di ogni tipologia e sapore. Infine superati i vari scaffali di ogni genere letterario immaginabile e svoltato a destra rispetto all'angolo dedicato alla lettura dei più giovani, ecco la zona delle conferenze e firma copie. Era allestita come una sorta di red carpet per i divi del cinema, solo che stavolta era dedicata ai "divi" dei lettori. E poi lo vide, lo riconobbe subito Nando che stava venendo intervistato dalla Rai, la stessa Rai che anni prima aveva ignorato i suoi racconti. Non era cambiato molto fisicamente, sempre magro, di altezza media, non troppi muscoli e quei capelli castani un po' ribelli e si era fatto crescere un po' di più la barba. Anche Vera non era poi tanto cambiata, sempre quattrocchi, un po' pienotta anche se di meno rispetto ad anni prima, vestita casual con i capelli nero corvino che le cadevano sopra le spalle. Qualche anno prima aveva provato con un taglio corto, seguendo l'idea che aveva letto da qualche parte che le donne tendono a cambiare acconciatura dopo una rottura, ma non solo era stato inutile cambiare taglio ma lei non riusciva proprio a vedersi con i capelli corti quindi lasciò che ricrescessero anche un po' più lunghi di prima.
Una cosa che colpì Vera, no non fu un libro che era in bilico sullo scaffale, ma l'aver notato che Nando era da solo, niente famiglia nemmeno il gatto tanto insopportabile per lui e soprattutto niente ragazza al suo fianco.
"Strano davvero molto strano, in un giorno così importante per lui quella non sta al suo fianco?! Mah, che strano rapporto hanno instaurato sti due" Pensò Vera.
Poi si scorse un po' tra le teste di tutti quei ragazzi che erano in fila per ricevere l'autografo sulla copertina dei loro libri di quella ormai famosa saga "SAOA". E riuscì a leggere il titolo del suo nuovo libro "Il tempo e i suoi misteri" con la raffigurazione di un ragazzo in divisa da cosmonauta che si premeva l'orologio da polso e da quello fuoriusciva un fascio di luce che immobilizzava ogni cosa.
Vera capì subito a cosa si riferiva l'immagine in copertina: un time-stop! Chissà cos'altro si è inventato stavolta Nando, quasi quasi lo compro, ma senza farmi notare, anche se ... mi piacerebbe avere un suo autografo, ho pur sempre fatto da braccio destro per un po' di tempo ed ero sua fan con lo slogan "721 rivoluzione". Magari non mi riconoscerà e così potrò avere il suo autografo senza scatenare eventi che possano variare le linee temporali. Ok, fermi un attimo ma sto parlando come lui ahah. E si mise a ridacchiare tra sé e sé. Un ragazzo lì vicino la notò e dallo sguardo perplesso che fece sicuramente pensò "questa è matta". Ma Vera lo ignorò e si mise in fila.
Intanto l'intervista per la Rai era stata interrotta per un problema con dei cavi, roba informatica, che se non fosse stato impegnato a vivere quei momenti di fama, Nando avrebbe sistemato volentieri seguendo uno dei suoi motti "fare del bene al prossimo".
La fila scorreva velocemente e solo 3 persone dividevano i nostri protagonisti dall'incontrarsi nuovamente. Vera sentiva il cuore battergli all'impazzata e sperò vivamente fosse solo emozione o adrenalina data dal momento e non il riaffiorare dei sentimenti che con tanta fatica era riuscita a reprimere.
Ancora una persona davanti a Vera, una ragazza sorridente con l'apparecchio ai denti, una gonnellina corta nera e delle calze a rete che le modellavano le gambe slanciate su dei tacchi eleganti, stringeva tra le mani il nuovo libro come il più prezioso dei tesori. "Che carina!" Pensò Vera. Prima di sentire lo stesso commento provenire da quella voce che conosceva bene, quella di Nando intento a ringraziare la sua fan e farle l'autografo con dedica. Sentì che la stava congedando con un saluto e ... un batti cinque. "È rimasto il ragazzo strambo di un tempo" disse tra sé e sé Vera, prima di rendersi conto che la ragazza aveva lasciato la fila e che ora a dividerla da quel suo caro scrittore-poeta era rimasto solo il tavolo stracolmo di quel suo nuovo racconto. "Ok Vera respira e comportati come una semplice fan, non farlo insospettire" cercò di ripetersi mentalmente Vera come un mantra e prese uno dei libri passandolo a Nando limitandosi a sorridere.
Nando prese il libro, aprì alla prima pagina interna ed era pronto per la dedica puntando la penna azzurra sotto al titolo, alzò lo sguardo per chiedere il nome della fan e rimase quasi pietrificato vedendo Vera, la riconobbe all'istante, anche se lei cercava di nascondersi dietro alle sue ciocche corvine. E esclamò il suo nome a gran voce con un sorriso di entusiasmo e nostalgia : «VERA!! Vera Fleur, sei davvero tu? Non ci posso credere, tu qui dopo tutto questo tempo, nonostante tutto e tutti e per un mio romanzo» quelle sue parole attirarono l'attenzione di tutti compresa la truppa della Rai che stava finendo di sistemare per proseguire le riprese.
Rendendosi conto di aver attirato troppo l'attenzione Nando si rimise a sedere e si sbrigò a scrivere la dedica a quella ragazza che gli aveva donato così tanti bei momenti e in piccolo scrisse "se lo vorrai vediamoci al caffè nella viuzza parallela a questa troppo affollata tra un'oretta"
Vera riprese il libro e senza dare nell'occhio cercò di scappare da lì sentendosi comunque lo sguardo di tutti addosso.
Una volta fuori dalla libreria si affrettò ad uscire da quel centro commerciale, si sentiva girare la testa per le troppe emozioni. Uscita dal centro commerciale raggiunse un parco pubblico e si sedette sulla prima panchina libera. Aprì il libro sulle sue ginocchia e lesse la dedica del suo caro Nando:
"Alla dolce Vera il mio braccio destro e super fan.
721 rivoluzione e ricorda l'amore vince sempre.
Non ho mai smesso di volerti bene.
Il tuo Nando".
Senza accorgersene le iniziarono a scendere le lacrime lungo le guance e poi con la vista offuscata notò la scritta in piccolo e si alzò in piedi di scatto controllando subito l'orario sul display del cellulare, ore 14:50. Solo 10 minuti per trovare questo bar isolato. Iniziò a correre per le vie limitrofe e poi finalmente lo trovò "Bar della pace", se non è questo un segno ditemi cos'è. Entrò nel locale e lo vide seduto nell'angolino più nascosto con indosso una delle sue felpe blu oceano. Lo raggiunse e si scambiarono un lungo abbraccio stretti l'uno all'altro sussurrandosi i rispettivi nomi. Poi sedendosi iniziarono a parlare, cominciò Nando così: «Oh Vera non hai nemmeno idea di quanto mi sia mancata, ti ho pensata spesso e alcune volte passando vicino alla stazione ho pensato di venirti a trovare e riallacciare i rapporti. So che ti stai chiedendo dov'è lei, la ragazza che ci ha fatti separare 5 anni fa e devo ammettere che avevi ragione tu, che non era la persona che pensavo fosse e che era troppo gelosa e chiassosa per me. Mi ha fatto perfino discutere con i miei per dei suoi capricci e quindi sì l'ho lasciata dopo 2 anni di relazione».
«Aspetta» lo interruppe Vera, «hai detto 2 anni, ma corrisponde alla data di uscita del primo libro della saga».
«Si Vera, appena l'ho lasciata mi sono reso conto di aver perso una ragazza speciale e rara, tu, per rincorrere un'avventura del me adolescente. E mi sono ricordato dell'ultimo tuo consiglio, quello di pubblicare con un editore i miei racconti e così ho inviato a tutti gli editori una copia di "SAOA" e ho aspettato con pazienza una risposta. Dopo 4 mesi la risposta è arrivata da questo famosissimo editore, il racconto era davvero piaciuto e dopo qualche piccola miglioria e un paio di mesi di lavoro in team ecco uscire in libreria il mio primo libro. Vera se non fosse stato per te non avrei mai trovato il coraggio di fare questo passo, ti ringrazio dal profondo del mio cuore».
"Wow", solo questo uscì dalla bocca di Vera dopo aver ascoltato il discorso fatto da Nando.
Nando allora le prese la mano e tenendola stretta le disse ciò che in fondo Vera aveva sperato per tanto tempo: « Vera, so che non sarà facile avere davvero il tuo perdono per tutto ciò che ti ho fatto e so che alla fine ti eri convinta non fossi il ragazzo giusto per te... ma se ci fosse un briciolo di speranza ora che siamo entrambi più maturi di riprovarci seriamente, senza nasconderci, parlando di noi alle nostre famiglie, ritrovandoci almeno una volta a mese da qualche parte insieme, se ci fosse questa speranza sappi che io metterei tutto il mio cuore e l'etichetta "fidanzati" al nostro rapporto. Vera ti amo e forse in un angolo remoto del mio cuore non ho mai smesso di provare questo sentimento per te, ma la paura della distanza e dei nostri caratteri aveva preso il sopravvento. Ora siamo più grandi e maturi e io mi sento pronto ad una relazione seria con te. Cosa mi dici dolce Vera vuoi essere la mia ragazza?»
Vera era stordita, tutte quelle parole le svolazzavano nella mente e credette di aver solo immaginato tutto questo, si diede uno schiaffetto sul viso come per svegliarsi ma Nando e il suo sguardo innamorato erano ancora davanti ai suoi occhi, non sapeva cosa rispondere, aveva paura di soffrire di nuovo per lo stesso ragazzo, eppure l'istinto le sussurrava dì di sì. Così fece dopo aver tentennato per un po' di minuti. Si lasciò andare ed eccoli fidanzati Vera e Nando e chissà quante altre avventure aspettavano a questi due ormai non più ragazzini.
Nando accompagnò Vera a casa e i genitori di lei in un primo momento non la presero molto bene sapendo come aveva sofferto la figlia per quel fessacchiotto, ma vedendo gli occhi di Vera luccicare si convinsero a dare un'altra possibilità a Nando.
Così ogni mese si alternavano le visite alle rispettive famiglie e qualche viaggio tra musei e natura.
Nando fece conoscere anche al pubblico la sua fidanzata e i suoi racconti fantasy ed entrambi ebbero successo contentendosi la classifica dei bestseller.
E la vita dei due proseguì come nelle più belle fiabe "vivendo felici e contenti".
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#racconto#racconto mio#vita#amore#storia d'amore#destino#tempo#lettura#leggere#libri#passione libri#bookslover#scrivere
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4 Marzo 1943
Non c'entra molto con la cooperativa ma è perfetto per oggi, giorno in cui state tutti a stracciare i coglioni con Lucio Dalla.
Comunque, il Pupetto e Sciù ...va bene, il Pupetto era il ragazzo della Pupetta, quella con i piedi sporchi, come diceva ViaColVento e Sciù era un ex ragazzo del Pilastro, in realtà un Lucano trapiantato a Bulagna.
Tutti e due erano del Pilastro e da come lo dicevano te pensavi che fossero due terribili Pilastrini tipo quei mezzi mafiosi che si facevano notare per rapine o aggressioni e che la notte faticavano a dormire regolarmente, perché ricevevano la visita delle forze dell'ordine.
Erano invece due pezzi di pane, due cani che se abbaiavano era perché non dormivano, non perché non mordevano.
Insomma il Pupetto e Sciù avevano formato un gruppo musicale, i Fuori Servizio, in cui il primo era voce solista e il secondo suonava forse la batteria, non ricordo più bene.
Una volta il Pupetto mi chiese se sapessi suonare e dissi di no. Allora mi chiese se sapessi comporre testi per canzoni e ci dissi: sei scemo? Per comporre canzoni ci vuole un poeta, non un CiccioPuzzetta qualunque.
Da allora non mi chiese più nulla, anche perché continuavo a chiamare il suo gruppo musicale gli Out Of Order, cosa che non gli piaceva, un po' perché non sapeva nulla di inglese e un po' perché gli ricordava gli ascensori dei grattacieli del Pilastro, sempre in manutenzione straordinaria.
Comunque prima che il Pupetto smettesse di rompermi le palle chiedendomi di andare ad ascoltare gli Out Of... vabbè, i Fuori Servizio, mi raccontò la storia di Lucio Dalla.
O meglio il rapporto che Dalla aveva con la scena musicale Bolognese, di cui i Fuori Servizio erano una parte infinitesima ma trascurabile.
Secondo il Pupetto, Lucio era solito offrire collaborazione e aiuto ai gruppi emergenti o sommersi come i Fuori Servizio, in cambio del Culo.
A loro aveva chiesto un culo per lanciarli nel mondo della musica professionale. Uno. Un culo qualsiasi, del Pupetto o di Sciù sarebbe andato benissimo.
Un culo in cambio della gloria, culo che però i Fuori Servizio non gli fornirono mai e così rimasero sconosciuti e irrisi, almeno da me.
Questo per dire che va bene (solo per) oggi che rompiate il cazzo con le canzoni o le storie o le immagini di LD.
Da domani basta però, dioCulo.
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Suzanne
Non ho (mai avuto) un gran rapporto con la mia famiglia, con nessuno dei componenti che ne fanno parte. Credo che zia Suzanne però appartenesse a quella ristretta cerchia di persone che mi andavano piuttosto a genio. E no, non lo dico perché è morta poco più di un mese fa per quella retorica sul fatto che ci accorgiamo delle cose belle quando non le abbiamo più.
Zia Suzanne parlava poco (come me) e male (nonostante vivesse in Italia da 30 anni), era una persona riservata, allegra e curiosa. Un tipo un po’ particolare. Forse proprio per questo mi ci sono sempre un po’ rivista, nonostante non avessimo direttamente legami di sangue. E io lo avrei voluto tantissimo: ho sempre invidiato le mie cugine per il loro DNA mezzo americano, per il fatto che fossero bilingue e mille altre cose.
È con lei infatti che sono partita. Due volte. E io in realtà non sono stata spesso all’estero, quindi anche se fossi semplicemente andata al confine con la Svizzera sarebbe comunque qualcosa da considerare memorabile. E invece è stato memorabile anche sotto altri aspetti. Zia Suzanne ha invitato me e mia madre in Irlanda, una volta, perché ci trovavamo già a casa sua quando i suoi genitori hanno deciso di rinunciare a questo viaggio già pagato e organizzato, e quindi invece che chiedere rimborsi e pensare a eventuali annullamenti, è stato ceduto il posto a noi. Ho passato 5 giorni in alcuni graziosissimi paesini irlandesi ed è stato molto bello.
Nel 2016, invece, mentre eravamo a una comunione oppure a un matrimonio - ora non ricordo - mia madre parlando con i parenti ha notato che erano passati esattamente 30 anni dal suo ultimo viaggio in America, più precisamente (anche) a Chatham, dove zia Suzanne ha la casa al mare. Mio zio mi ha detto “Se regalassi a te e a mamma un viaggio a Chatham, ci andresti?”. Ovviamente sì, e questa cosa - che sembrava detta un po’ così per dire - si è realizzata davvero. A settembre, io e mia madre abbiamo raggiunto Suzanne nella sua casa di Chatham e siamo state lì circa 10 giorni. Abbiamo passato del tempo insieme, ma - nonostante fossimo ospiti a casa sua - c’erano momenti della giornata in cui spariva completamente. Non una cosa proprio comune, ma una cosa per cui mi sentivo affine a lei. Il bisogno della riservatezza e della solitudine.
Poi tornava da noi e parlava in quel suo modo strano. In inglese, anche con noi che lo capivamo poco. Con parole strane tradotte male che mia madre faceva fatica a capire e per cui spesso dovevo intervenire io. Anche in questo eravamo simili. Capire una lingua bene, parlarla meno bene. Io capivo l’inglese (a stento), lei capiva l’italiano. Io parlavo male l’inglese, lei parlava male l’italiano. Ed è proprio così che riuscivamo sempre a capirci. Con mia zia succedeva questa piccola magia per cui lei mi parlava nella sua lingua, io le parlavo nella mia, e ci capivamo benissimo così. Ho sempre un po’ pensato che è proprio in questo modo che dovrebbe funzionare il mondo. E non credo che mi ricapiterà.
Per Suzanne non è stato organizzato un funerale. Abbiamo fatto invece un memorial. Io non sapevo in che cosa consisteva, ma è stato molto bello. Mi è sembrata più una festa per celebrarla, piuttosto che un’inutile funzione in chiesa per ricordarla. Eravamo in un locale e molti degli invitati, a turno, si sono semplicemente alzati in piedi e hanno parlato di lei e dei bei ricordi che ci ha lasciato. E io volevo parlare dei viaggi, del modo incredibile che avevamo di comunicare, delle sue foto che ho nel portafogli. Non ho detto niente.
Per fortuna, non era strettamente necessario. Questo perché, come ci ha appunto insegnato lei stessa, starsene in disparte può sempre essere considerata la parte migliore da cui stare per imparare e osservare il mondo forse al meglio.
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Ossigeno - 25
25. Bienvenue a Paris
Zlatan chiuse la comunicazione con Sveva e scostò le tende del balcone. Era una bellissima giornata di sole e dalla sua camera d'albergo poteva ammirare la Tour Eiffel. Vagò con lo sguardo sui tetti delle case, sul cielo e sulla strada sottostante, con la testa piena di pensieri. Si sarebbe trovato bene con i nuovi compagni? Avrebbe avuto gli stimoli giusti per fare bene? Bussarono alla porta ed andò ad aprire. Mino gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla, entrando. «Dormito bene?» chiese. «Insomma.» «Sei agitato?» «Un po'.» «Non dovresti esserlo. Guadagnerai una valanga di soldi e presto diventerai l'idolo di tutta la Francia.» «E se non dovessi trovarmi bene?» «Un anno, Zlatan. Resisti solo un anno e poi troveremo una soluzione.»
Zlatan sorrise, un sorriso amaro. «Non ho ancora firmato il contratto e stiamo già pensando al dopo. Questa cosa non parte bene, Mino. Non ho delle buone sensazioni.» «Tu pensa solo a stare tranquillo. Coraggio, è ora di andare.» Detto questo, aprì la porta e si incamminò lungo il corridoio. Zlatan trasse un profondo respiro e lo seguì. Salirono su un'auto con i vetri oscurati nel parcheggio sotterraneo e mezz'ora dopo erano nella sede del PSG. Zlatan conobbe il presidente e alcuni dirigenti, firmò il contratto e andò a pranzo con tutti loro. Lì gli fu presentata Annette, la sua insegnante di francese, nonché la sua interprete e traduttrice durante la conferenza stampa. Annette era una giovane ragazza francese con i capelli castano chiaro lisci non molto lunghi, un viso grazioso dai lineamenti delicati, slanciata. Indossava un tubino classico, nero e grigio e scarpe col tacco. Alle mani aveva dei vistosi anelli e alle braccia dei bracciali luccicanti.
La conferenza stampa sembrava non finire mai e Zlatan era impaziente di concludere quella giornata. Non aveva più voglia di rispondere alle domande stupide dei giornalisti. Annette era di fianco a lui e gli parlava vicinissimo all'orecchio per tradurre le domande in francese che gli rivolgevano. Parlava bene lo Svedese e Zlatan si ritrovò a pensare a cosa l'avesse spinta ad imparare quella lingua in particolare. Lui parlò sempre in inglese, anche quando gli vennero rivolte delle domande in Italiano. Per fortuna quel tormento finì e le seguenti ore volarono. Dopo aver adempiuto a tutti gli impegni previsti per la giornata, si ritrovò con una fame da lupi. Era in macchina con Mino ed Annette quando il suo procuratore gli annunciò che sarebbe tornato in albergo a prendere le sue cose e poi sarebbe partito per l'Italia per concludere altri contratti. «Bè, io ho fame. Tu, Annette, vieni con me?» «Io?» chiese lei scettica. Zlatan sfoderò il suo miglior sorriso. «È la mia prima giornata a Parigi, ho bisogno di una guida... chi meglio della mia insegnante personale?» Anche Annette rise. «Va bene, ti porto nel miglior ristorante di Parigi.» Si sporse verso l'autista e gli indicò il nome del locale che raggiunsero subito dopo aver accompagnato Mino in albergo. Quando si furono accomodati ed ebbero ordinato, Annette si diresse in bagno e Zlatan ne approfittò per telefonare a Sveva. Lei però non rispose e optò per un messaggio. "Ciao Sveva, ho provato a chiamarti... che fai? Io sono a cena con la mia insegnante di francese." No, quel messaggio non gli piaceva e lo cancellò. Riscrisse. "Finalmente si è conclusa questa giornata d'inferno. A te com'è andata? Cosa avete fatto?" No. Cancellò di nuovo. "Vorrei che fossi qui." Inviò. Era stata una giornata piena ma il pensiero di Sveva non lo aveva mai abbandonato. Voleva addormentarsi con lei e abbracciarla forte. «Monsieur Ibrahimovic, siamo pensierosi?» Zlatan alzò lo sguardo e incontrò quello sorridente di Annette. Si accomodò di fronte a lui e si sistemò il tovagliolo sulle gambe. Lui sorrise. «No, solo stanco.» «Immagino.» «Allora, Annette. Mi piacerebbe sapere dove hai imparato a parlare così bene lo svedese.» «L'ho studiato all'università. A quei tempi ero fidanzata con un ragazzo svedese e l'ho imparato anche per lui.» «E adesso che fine ha fatto il ragazzo svedese?» «Abbiamo vissuto per alcuni anni in Svezia insieme. Eravamo felici e innamorati. Poi lui ha avuto un incidente.» Zlatan le prese una mano e gliela strinse. «Oddio. Mi dispiace moltissimo, Annette. Non immaginavo...» «Non preoccuparti, Zlatan. Ho cercato di essere forte e di andare avanti e adesso sto... bene.» Zlatan la fissò a lungo, mortificato per aver toccato un tasto dolente. Poi le lasciò la mano e sorrise. «Parlami un po' di Parigi. Com'è la gente?» Annette gli fu grata per quel diversivo e per tutta la cena gli parlò delle zone più belle e romantiche di Parigi, della sua storia, dei francesi. A fine cena lei insistette per portarlo in un locale a divertirsi e lì trascorsero gran parte della notte tra le chiacchiere, le risate, le foto con i fans e un po' di alcool. La salutò a malincuore. Era stato bene con lei e non aveva intenzione di dormire da solo quella notte. Sapeva che i pensieri negativi sarebbero tornati a tormentarlo una volta da solo, ma l'unica persona che voleva nel suo letto era lontana migliaia di km. E sarebbe sempre stato così, perché lei viveva a New York. Il sonno, per fortuna, arrivò presto e lui fu più che felice di concedere alla sua mente una tregua dall'angoscia che lo tormentava.
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Sono rimasto a bocca aperta pur sapendo che era impossibile, era solo un uomo che gli somigliava. Eppure mi ha stravolto vedere ciò che pensavo non avrei rivisto mai più, i lineamenti così precisi, la mascella pesante, il sopracciglio dall’arco disteso. Il suo nome si è spinto verso la punta della mia lingua prima che riuscissi a fermarlo. Riemerso in superficie, mi sono seduto su un idrante e ti ho chiamato. “Ma’, l’ho visto,” ho esalato con un respiro. “Ma’, giuro che l’ho visto. So che è assurdo ma ho visto Phuong sulla metropolitana.” Mi stava venendo un attacco di panico. E tu lo sapevi. Per un po’ non hai detto niente, poi hai iniziato a intonare la melodia di “Happy birthday.” Non era ancora il mio compleanno ma era l’unica canzone che tu conoscessi in inglese, e così hai continuato a cantarla. E io ho ascoltato, con il telefono premuto così forte contro il mio orecchio che per il resto della notte mi è rimasto un rettangolo rosa impresso sulla guancia.
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