#il suo inglese era un po' così e così
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der-papero · 5 months ago
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Ad un meeting speciale a causa della cacciata del CTO ...
Un anonimo: Given that various incidents have occurred where the consumption of alcohol served likely played a part in influencing the actions of individuals, will there be any push towards dry events? Or perhaps to consider serving of non-alcoholic wines/beers at events where absolutely necessary. Il resto dell'azienda:
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ross-nekochan · 7 months ago
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Ieri sono andata di nuovo dalla mia amica giapponese.
Sono arrivata da lei nel pomeriggio di sabato e siamo andate insieme al 銭湯 (sentō), ossia i bagni pubblici giapponesi. Questa volta mi ha fatto meno effetto ma è sempre in qualche modo liberatorio essere letteralmente nuda assieme a tanta altra gente nella tua condizione. Ci si guarda però non c'è troppo giudizio, perché ci sono così tanti corpi diversi che il giudizio sembra perdere di senso.
Dopo essere stata a rilassarmi nella vasca super calda con le turbe idromassaggio (che relax madonna), la mia amica mi ha proposto di immergermi nella vasca fredda:"Vedrai che bella sensazione!". Io inizialmente le dicevo che avrei voluto evitare perché non mi sembrava troppo sensato far fare uno sbalzo di temperatura così forte al corpo; in più conosco la mia polla (ossia me stessa). Alla fine però mi sono lasciata convincere e l'ho fatto: Mix perfetto per un cazzo di capogiro che così forte penso di non averlo mai avuto nella mia vita. Fortuna che è passato dopo qualche minuto e quindi vabbè tutto a posto.
Poi mi chiede del lavoro e del perché ho cambiato: le spiego che ho il doppio delle ferie di prima e mi fa:"Vabbe ma 20 giorni di ferie sono normali no?". È la seconda volta che me lo ha detto e io ogni volta le dico, no, la normalità in Giappone è 10 e mi stupisce sempre che lei, giapponese, anche se anziana, viva così fuori dal mondo e mi rendo conto che chi lavora nella scuola pubblica è privilegiato non solo in Italia, ma pure qui.
A cena abbiamo mangiato 冷やし中華 (hiyashi chūka - foto 1) ovvero noodles freddi cinesi con verdure e carne e una salsa fatta di salsa di soia, aceto, zenzero e sesamo. Poi aveva preso anche dei salamini francesi: buoni, ma peccato fossero letteralmente dolci - poco sale e pochissimo pepe rispetto ai nostri. Da bere una lattina di birra e del vino bianco (scarso).
La notte un inferno: mi sono svegliata forse alle 4/5 con una nausea e un mal di testa fortissimo. Ho temporeggiato girandomi da un lato all'altro per ore e ore, svegliandomi e riaddormentandomi di continuo, finché non ho sentito la mia amica sveglia. Mi sono alzata e le ho detto:"Yuki che guaio, mi viene da vomitare...", mentre lei mi suggeriva di tornare a dormire, ho preso un sorso di acqua... tempo 2 sec e sono corsa al bagno a vomitare. La causa penso sia stata il fatto che sono stata troppo indulgente col vino, che secondo me era pure di scarsa qualità.
Sono tornata a dormire finché non era ora di pranzo, intorno alle 12.
Questa volta però non siamo andate a pranzo dai suoi genitori, ma la mia amica ha organizzato un pranzo a casa sua in cui ha invitato: la sua insegnante di italiano (che è di Salerno e io, quando l'ho saputo, le ho chiesto di presentarmela), suo marito giapponese, un suo compagno di classe (che frequenta la stessa insegnante), la moglie e una sua collega molto giovane che insegna inglese nella stessa scuola media dove insegna anche lei.
L'insegnante di italiano è simpatica, però è la tipica signora italiana con un carattere forte che sta sempre in mezzo a fare le cose al posto degli altri, un po' ignorante e banale (che cazzo mi vieni a dire a fare: che palle D'Annunzio, che palle Manzoni, che palle tutti - dì che non ti piace la letteratura senza fare sceneggiate, no?), insomma, tipica signora italiana. Però ha preparato la parmigiana di melanzane quindi un po' la perdono ahahah.
Il marito invece super tranquillo e straeuridito: prima della pensione era un professore di storia romana e ha vissuto in Italia per svariati anni. Conosce un sacco di aneddoti italiani che manco io sapevo (tipo sul palio di Siena, su Matera etc) ed è il tipo che una volta che parte non lo fermi più. Non ricordo come se n'è uscito con questo argomento, ma dopo aver detto che c'era stato un momento in cui era senza lavoro e senza soldi e che non poteva nemmeno tornare in Giappone, ha detto anche che mentre stava facendo un lavoro prendeva uno stipendio sia in Italia che dal Giappone, nello stesso momento. Io sempre più convinta che chi ha vissuto in quegli anni ha avuto un culo della Madonna perché i soldi si buttavano come non è mai più successo (esempio plateale: mio nonno baby pensionato che ha vissuto metà della sua vita in pensione... METÀ).
Detto questo, fortunatamente sono riuscita a godermi il pranzo nonostante la vomitata.
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raccontidialiantis · 3 months ago
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Sabato sera d'agosto in paese
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“Amare od aver amato, basta: non chiedete nulla, dopo. Non è possibile trovare altre perle nelle oscure pieghe della vita: amare è essere completi” (Victor Hugo)
“Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare” (Victor Hugo)
“Vivere è simile all’arte del disegnare, solo che si fa senza la gomma” (Victor Hugo)
“Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai.” (Gabriel Garcia Marquez)
“Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza come nel momento in cui amiamo.” (Sigmund Freud)
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Era passata da poco la mezzanotte. Fra un po’ avrebbero finito la serata, nel pub della cittadina in cui anche Mario, rappresentante di commercio, era nato e dove tornavano ogni estate per le vacanze. Quello era decisamente il loro posto dell’anima. Lui suonava la chitarra, nel loro gruppo. Si ritenevano a buon diritto una “jazz band”, ma poi in pratica suonavano di tutto: oltre agli standard di jazz, eseguivano impeccabilmente brani rock dei gloriosi anni sessanta-settanta e canzoni italiane sempreverdi.
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Che poi alla fine erano queste ultime, quelle che facevano battere il piedino a tutti. Erano bravissimi: anche gli altri componenti della band erano tutti professionisti fuori sede da decenni. Un professore, un ingegnere, un poliziotto e un dermatologo. Uomini maturi che si riunivano puntualmente in paese nell'agosto di ogni estate. Tutto l’anno ognuno nella propria città si impegnava e proponeva spunti agli altri via web.
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Si scambiavano idee e brani, mantenendo così viva la loro grande passione per la musica. Accadde che quel sabato, verso la fine, durante una pausa, gli altri quattro membri della band erano già scesi dal palco: chi per andare a fare pipì, chi a bere una birra. Ma Mario invece era rimasto ancora un attimo seduto, con lo strumento in grembo. Perché gli sembrava di aver improvvisamente scorto, all’ultimo tavolo in fondo e nell’angolo buio del locale, il viso di Sonia.
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All’epoca, primi anni settanta, avevano entrambi diciott’anni. Lui aveva avuto in regalo in estate dai genitori una bellissima e fiammante motocicletta Gilera 124 con cui la portava in giro e grazie alla quale potevano appartarsi lontani dalla città. Di lei era innamoratissimo e anche Sonia sembrava ricambiarlo. Amavano entrambi il rock inglese: Yes, Genesis, King Crimson, Gong, Gentle Giant…
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Tra gli italiani, erano entrambi fan di Lucio Battisti; come tutti in quel periodo. E sulla moto ovviamente spesso cantavano a squarciagola “Il tempo di morire” (motociclettaa… dieci accappìììì…) e poi altre canzoni dell’epoca, quelle che oggi chiameremmo a buon diritto “evergreen.” Stettero insieme solo un altro inverno e la successiva estate, giusto il tempo di passare l’esame di stato. Lui era convinto che l’avrebbe sposata. Le aveva giurato amore eterno.
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Faceva nella sua testa mille progetti. Lei invece a settembre a bruciapelo gli distrusse il cuore. Dal juke box del baretto in cui si videro l’ultima volta prima di lasciarsi si sentiva “L’Aquila” di Lucio Battisti. Questo le diede il coraggio e lo spunto per farlo: gli disse perciò che lei si sentiva come un’aquila. Che era nata libera e perciò troppo costretta in quel paesello; voleva andarsene e avere molto di più, dalla vita. Infatti dopo qualche giorno si trasferì a Roma per frequentare l’università.
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Mario seppe in seguito che forse non era stato estraneo alla faccenda un altro giovane che l’aveva incantata a sua insaputa quando ancora stavano insieme. Stupido, ingenuotto, farlocco: non s'era accorto di nulla! Dopo aver rammendato - ma non curato - il suo cuore, anch’egli si iscrisse all’università. Nelle sue intenzioni da sempre avrebbe voluto anche lui scegliere Roma, ma per ragioni ovvie d’orgoglio preferì darci un bel taglio e scelse Pisa. Nessun dolore.
Tu mi sembri un po’ stupita - Perché rimango qui indifferente Come se tu non avessi parlato - Quasi come se tu non avessi detto niente
Ti sei innamorata - Cosa c'è, cosa c'è che non va? Io dovrei perciò soffrire da adesso - Per ragioni ovvie d'orgoglio e di sesso
E invece niente, no, non sento niente, no - Nessun dolore -Non c'è tensione, non c'è emozione - Nessun dolore
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E adesso nel pub quella lì in fondo era lei: ne era sicuro. Scherzava e rideva assieme ai suoi amici di tavolo. Forse uno di loro era suo marito. O forse no. Era la prima volta che la rivedeva dopo moltissimi anni e gli sembrava sempre bellissima. Gli venne spontaneo: rialzò il volume dell’amplificatore e piano, da solo iniziò a suonare “L’aquila”. Dopo un’era geologica fu la prima volta.
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Perché era un brano che categoricamente si rifiutava di suonare, coi suoi amici. Loro sapevano, capivano e lo rispettavano. Chi l’ha detto che dopo un po’ di tempo qualsiasi rancore sparisce: per la freddezza e l’egoismo con cui era stato liquidato, ancora dopo decenni provava soltanto un’intensa rabbia. Una pena sorda nel cuore. Eppure cominciò a suonare in modo dolcissimo.
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Erano, gli arpeggi iniziali, a loro modo inesorabili e penetranti: rimandavano a una canzone che era impossibile non riconoscere. Il timbro caldo che scaturiva dalle sue dita portava l’armonia in alto. Senza ancora la melodia vocale inconfondibile: un accompagnamento armonico nudo, scarno ma bellissimo. Lei si fece seria: di sicuro ora l’aveva riconosciuto. Le era tornato in mente il brano e quell’espressione della donna fu l’ultima che vide, perché subito dopo abbassò il viso e si concentrò sui tasti, sulla diteggiatura e sulla dinamica dell’esecuzione.
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Sentì appena la voce di lei che da lontano del pezzo iniziava a cantare le parole. Dapprima esitante, poi via via più decisa. Incredibile a dirsi, si fece silenzio nel locale, durante quell’esecuzione drammatica: si percepiva chiara la forte tensione emotiva tra i due. Lontani tra loro dieci metri e trent'anni. Eppure eseguivano il pezzo benissimo, incastrando la melodia della voce con l'armonia degli accordi.
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Lei man mano si avvicinò: dal tavolo raggiunse dapprima il centro del pub, più vicina al palchetto. Cantava con una tale intensità che qualcuno si commosse, persino. Aveva una voce stupenda e intonata; lui l’accompagnava e sottolineava le frasi con rara perizia nel fraseggio. Finito di suonare, insieme ma ancora lontanissimi, lei arrivò vicina alla pedana.
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Muta, lo fissò per tutto il tempo. Mario non alzò neppure per un momento lo sguardo. Ripose lo strumento nel suo fodero imbottito, che con un rapido movimento mise in spalla. Poi staccò la spina, prese con l'altra mano l’amplificatorino da pub che usava in quelle occasioni, si girò e senza dire una parola se ne andò.
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Disse appena ai suoi amici poco distanti e imbarazzati che si sentiva poco bene, che continuassero senza di lui: tanto all’una avrebbero comunque finito e mancava pochissimo. Tornato a casa fece una doccia, si infilò nel letto in silenzio insieme alla moglie che già dormiva serena da tempo.
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La guardò a lungo, ritrovò nel comodino, tra i calzini e i libri in perenne standby, un sorriso ancora pulito; le accarezzò i capelli pianissimo per non svegliarla. Si infilò sotto le coperte e finalmente si concesse due lacrime, prima di cadere nel sonno. Lei si girò e nel dormiveglia gli si strinse. Il suo cuore ebbe un lieve sobbalzo. L’amore da qualche parte in lui esisteva ancora, evidentemente.
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RDA
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libriaco · 6 months ago
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Bologna, agosto 1980
Le nostre vacanze di quell'estate 1980, in Austria, finirono troppo presto e per colpa mia.
Avevo parcheggiato il camper (in realtà, un vecchio furgone 238 Fiat riadattato dal propretario) in un silo piuttosto distante dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, mèta della nostra mattinata culturale. Il costo del parcheggio era diviso in fasce orarie e avevamo fatto i nostri conti sulla durata che avrebbe dovuto avere la visita per spendere il meno possibile. Il Museo risultò però incredibilmente interessante, Dürer, Bruegel, Bosch.... Il tempo passò troppo in fretta e quando ci accorgemmo di stare per entrare nell'orario in cui il balzello del parcheggio ci sarebbe costato un bel po' di scellini, uscimmo in fretta, più di corsa che a passo veloce; è vero che Orazio aveva inscenato una incredibile pantomima alla biglietteria del museo, mostrando il suo libretto universitario e cercando di far capire, un po' in inglese e un po' in pugliese, che, come studenti, dovevamo avere uno sconto, che poi ci fecero, ma avevamo veramente i soldi contati e il costo della vita in Austria era ben più alto che in Italia.
Arrivati appena in tempo al parcheggio, mi misi alla guida cercando di guadagnare l'uscita prima dello scadere dell'orario. Ahimè, così al coperto, e abituato a guidare una Mini, non avevo valutato l'altezza del furgone e, a una curva troppo stretta, feci impuntare il tettino in uno spigolo di cemento sporgente, producendo un gran di rumore e un notevole 'taglio' nella lamiera: accorsero subito un paio di sorveglianti per vedere che cosa fosse successo, passò una mezz'ora o più e ovviamente, all'uscita, fummo costretti a pagare per la salata fascia oraria in cui eravamo rientrati per quei minuti di ritardo.
La cosa più brutta era che il camper, Domenico, il terzo componente del gruppo, lo aveva avuto in prestito da suo cognato, con l'impegno di riportarlo a Firenze entro il 9 o 10 agosto, per consentire a lui e alla famigliola di andarsene in vacanza. Che cosa potevamo fare? Certo non raccontare l'accaduto, a rischio creare dei problemi familiari a Domenico; decidemmo allora, dopo una serie concitata di telefonate in Italia (non c'erano i cellulari!), di rientrare qualche giorno prima, per consentire a un mio amico carrozziere, che avevo rintracciato ancora nella sua officina, di porre rimedio al danno in maniera 'invisibile': avremmo usato i soldi risparmiati dall'accorciarsi della vacanza per pagare il lavoro.
Io fui immediatamente esonerato dalla guida in città ma poi mi alternai con Domenico durante il rientro; eravamo abbastanza abbattuti per l'incidente e per la brutta chiusura della vacanza, e decidemmo, per fare prima, di guidare anche di notte.
Orazio doveva andare a Pisa, con Domenico, per ripartire subito dopo verso la Puglia, dai suoi. Domenico doveva riportare il camper a Firenze, dopo aver accompagnato me nel mio paesello di mare e fatto aggiustare il danno alla carrozzeria del mio amico. Visto il rientro anticipato, Orazio decise di fermarsi qualche giorno da alcuni amici a Bologna, per poi andare da lì in Puglia; i bagagli li aveva con sé e non aveva motivo di ripassare da Pisa.
Il pomeriggio del primo di Agosto, arrivati a Bologna poco dopo le 16:30, parcheggiammo in prossimità della stazione per accompagnare Orazio a consultare gli orari dei treni e a fare la prenotazione e il biglietto per il suo rientro. La stazione, nonostante il periodo dell'anno, non era particolarmente affollata; girellammo un po' per il salone, mentre Orazio era in fila, poi lo accompagnammo col camper nella zona dove abitavano i suoi amici. Senza neppure scendere per salutare i suoi nuovi ospiti, riprendemmo la strada verso casa mia: volevamo arrivare dai miei sul fare della notte.
La cena, finalmente tra le mura familiari, fu veramente ristoratrice, così come gli abbondanti lavacri. La mattina dopo, sabato 2 agosto, Domenico ed io dormimmo fino a tardi; a tavola, all'ora di pranzo, saltata la prima colazione, eravamo famelici.
L'immancabile televisore rumoreggiava in sottofondo, ma non lo ascoltavamo, tutti presi a rispondere alle domande dei miei sulla nostra vacanza; a un certo momento però ci accorgemmo che alla TV parlavano di Bologna, della stazione e ci voltammo meccanicamente per vedere e sentire cosa dicevano. "Eravamo lì ieri pomeriggio...", feci alla mamma, con la bocca piena.
Il silenzio fu poi agghiacciante: capimmo cosa era successo. Un incidente? Un attentato? Decine di morti, centinaia di feriti... Muti, un raggrinzire della pelle... ci prese, stretti, quella commozione che ti fa luccicare gli occhi; e ci fu un pensiero non detto, negli sguardi tra me e Domenico: chissà, forse andando un po' più piano o non viaggiando di notte, saremmo potuti essere lì anche noi, a quell'ora.
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
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kyda · 7 months ago
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stamattina sono sul bus per un paio d'ore e per non pensare alla sete che per ovvi motivi non posso soddisfare e al sonno che mi impedisce di concentrarmi sul mio ebook scriverò dell'esame di ieri. durerà un po'.
ieri sono partita da casa malissimo, ho addirittura ripassato sull'autobus e per sdrammatizzare scherzavo con la collega, che diceva che stava ripassando pure, perché è una cosa che non facciamo mai, ripassare prima dell'esame. appena ho raggiunto l'ufficio dei russisti sono andata nel panico perché non mi ricordavo niente, cosa fosse la boemia in particolare, e ho deciso che avrei accettato non fino al 29 ma anche meno, fino al 27. non lo so perché, comunque, dal primo giorno il mio cervello aveva deciso che assolutamente non avrebbe trattenuto nulla sulla boemia, incredibile. ho iniziato le domande compulsive con le colleghe e il ripasso senza speranza fuori dall'aula, avevo la nausea e mi odiavo perché mi stavo presentando all'esame di una materia bellissima, con un prof che mi piace tantissimo e con cui faccio un percorso da molti anni e avevo studiato solo una settimana. ho ascoltato come un podcast l'audio della mia collega che mi ripeteva il capitolo sulla slavistica e la filologia slava e mi sono buttata subito dopo di lei, volontariamente seconda perché se avessi aspettato oltre penso che mi sarei sentita male o avrei fatto qualche sciocchezza, tipo andarmene. una volta dentro l'esame è iniziato con l'analisi dello slavo ecclesiastico e poi il prof mi ha chiesto come volevo continuare. ha fatto tanto, nella valutazione finale, penso, il fatto che questo argomento che avevo scelto era opzionale fra quelli dettati dal prof ma mi piaceva troppo e quindi se in una settimana ho studiato tipo cento ore cosa mai poteva essere un capitolo in più? ho scelto di parlare della donna e di quella che era, probabilmente, l'organizzazione matriarcale della società dei primi popoli slavi (vorrei approfondire di nuovo anche qui perché è veramente interessante ma risparmio al povero lettore che segue i miei aggiornamenti almeno questo) e poi il prof ha iniziato a farmi una serie di domande, una dopo l'altra, molto velocemente e quasi senza farmi finire il discorso che ogni volta iniziavo, ma sono riuscita a rispondere a tutto. non mi ha fatto domande difficili, credo. mi ha detto che ero un po' imprecisa su alcune cose (devo aver confuso un qualche verbo con un aoristo, non so) ma comunque, a quanto pare, mi sono meritata la lode.
la cosa che sto notando di questi esami della magistrale, diversamente dalla triennale, è che quasi tutti, finora, sono iniziati con un argomento a piacere, così diventa più personale, e la cosa mi piace molto. l'unica che non ci ha chiesto di scegliere un argomento è stata, mi sembra, la prof di letteratura inglese, ma il suo corso era sull'autobiografia e la scrittura delle donne e tutto era il mio argomento a scelta, quindi va bene. invece per esempio per l'esame di letteratura russa eravamo così liberi che quasi la cosa mi ha messo più ansia e confusione del solito. quando l'altro giorno all'esame di linguistica inglese ho iniziato parlando di language and gender e di quel paragrafetto in particolare che iniziava con do women talk more than men? era sì sempre un esame, ma mi sono sentita molto molto a mio agio a discutere di una cosa che avevo studiato perché mi aveva appassionata più del resto anche se ero davanti a un'insegnante che sapevo mi avrebbe valutata. in generale però sono stata così in ansia durante questa sessione e ho studiato così tanto in così poco tempo per recuperare i giorni in cui avevo fatto molto poco che pensavo che l'avrei chiusa male e che avrei portato a casa solo risultati deludenti. ho chiuso invece con tre materie date e due lodi a distanza di una settimana e anche se per tutto il tempo di scrittura di questo post il pensiero della sete non mi ha abbandonata un secondo (me lo merito comunque, ho mangiato pizza e patatine ieri a cena e stamattina a colazione) sono molto molto felice e soddisfatta di quello che sono riuscita a fare. sono felice perché mi sono sempre sentita mediocre nello studio e ci stavo sempre male quando studiavo per mesi una materia e comunque non ottenevo mai il massimo e non riuscivo a capire perché. solo ora sto capendo che forse avevo bisogno di appassionarmi giusto un pizzico di più e fare mio davvero ciò che studiavo. e lo so che il voto finale può dipendere da tante cose, ma la mia prima lode, prima di queste, l'avevo presa solo quando ho fatto la prova finale di letteratura russa su delitto e castigo, un altro argomento che avevo scelto io.
qualche giorno fa giuravo qui sopra che dopo questa sessione mi sarei impegnata a imparare a gestire meglio il tempo, o qualcosa del genere. ogni singolo giorno prima di un esame mi ritrovo sempre a dire e pensare che mi sarebbe bastato un singolo misero giorno in più per arrivare tranquilla, serena e sicura di me il giorno dell'appello. orazio non mi sopporta più perché è un pattern che si ripete e io ho dei seri problemi con la gestione del tempo e le deadline e lui (ammetto pubblicamente) ha ragione ma poi in un modo o nell'altro funziona sempre e riesco a farcela. il costo, certo, è il decadimento della mia salute psicofisica, quindi ribadisco nonostante i buoni risultati: mi impegnerò perché devo essere più gentile e rispettosa verso me stessa
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sciatu · 2 years ago
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Il Tabellone dei gelati è della mitica gelateria De Luca di Briga Marina
All’interno del bar del sig. Placido regnava il solito caos siciliano dove le regole del buon vivere erano non infrante, ma sicilianamente scavalcate, nel senso che erano accantonate, messe da parte, in quanto fare i furbi e lasciare agli altri leggi e regolamenti, fa parte del codice genetico siciliano . Così essere arrivati prima degli altri non aveva valore se gli altri vi si mettevano davanti richiamando rumorosamente l’attenzione del barista o se chiamavano un barista per nome in quanto suoi cugini, fratelli, compari amici o conoscenti. Per cui, nella bolgia che ne seguiva il sig Placido, proprietario della famosa gelateria, si comportava come un giudice della cassazione ricordandosi chi c’era prima o dopo malgrado i tanti millantatori di permanenze risalenti anche ad un ora prima. Il sig. Placido, serio e preciso indicava un cliente e con il volto freddo e professionale da croupier di casinò chiedeva “Cosa le faccio?” E qui partiva l’elenco di gusti che il sig Placido, rapido e preciso, disponeva ad arte su un cono. D’improvviso qualcuno si fece largo nella calca di golosi. Era un ragazzo alto e robusto che teneva in braccio una bambina che lo stringeva piangendo “No cori i papà non cianciri … scusati, …. la bambina … scusate … non cianciri u papà, chi ora ti cattu u gilatino …” Al suo passaggio la gente prima protestava poi, vedendo la bambina che piangeva si spostava presa a compassione dai lacrimoni che scendevano dai suoi occhi. L’uomo con la bambina in mano arrivò al bancone e il sig. Placido, vedendo il dramma in atto si avvicino chiedendo “Che ha questa bambina? Lo vuole un gelatino? Che gusto vuoi picciridda?” “dicci u papà che gusti vuoi? Senti, senti il signor Placido che gusti ci sono, glielo dica signor Placido” “C’è bacio, gianduia, stracciatella, nocciola, zuppa inglese, caffè, Babà, crema d’arancia, mandorla tostata, pistacchio, setteveli al pistacchio, Rocher, nero fondente, sette veli, fondente all’arancio, amarena, torrone, snickers, parfait di mandorle, caramello salato, nutella, Taormina, fiordilatte, cioccolato bianco, cocco, cedro, fragola, ananas, pesca, bergamotto, melone e gelso. Quale vuoi?” “Quale vuoi u papà, dicillu al signor Placido” La bambina lo guardò spaesata e poi puntò gli occhi annacquati sul sig. Placido. Ebbe un singulto del pianto “Diccillu o signor Placido chi gilatinu voi” Fece il vecchietto sulla destra del padre “prendi il cioccolato che è buonissimo” Suggerì il vecchietto sulla sinistra. Nella gelateria scese un silenzio denso e pieno d’attesa mentre tutti osservavano la bambina come se dovesse dare una terna vincente. Lei guardò il signor Placido e lentamente si strinse al padre e bisbigliò nell’orecchio “Va bene u papà signor Placido pi cortesia, ci pò mettiri un po' di panna su un cono”. Un sospiro di sollievo si allargò nella sala e tutti commentarono felici la scelta della bambina. Con la solita rapidità ed efficienza il signor placido riempi un cono di panna disegnando un riccio sulla punta e lo passo alla bambina. “se lo paghi” Fece il padre allungando cinque euro “lasciassi stare, un pensiero mio alla bambina” Fece il signor Placido rimettendo il coperchio sul pozzetto della panna e guardando la folla davanti a se chiese con la solita professionalità “chi servo?” Si udì un boato di voci e la bolgia nella gelateria incominciò nuovamente.
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I libri della renna
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Il regalo di Natale delle biblioteche di Milano consiste, naturalmente, nei nostri consigli di lettura, scelti per offrire al pubblico un’occasione per distrarsi in totale relax.
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È ambientata proprio in tempo di feste L’affittacamere di Valerio Varesi, appena ristampato da Mondadori, ma è un Natale un po’ cupo per il commissario Soneri, costretto a scavare anche nel proprio doloroso passato per venire a capo dell’omicidio di un’anziana affittacamere dalla vita piuttosto torbida: “La nostalgia è la sublimazione della paura che ci fa il tempo che passa”. Forse Varesi è riuscito a darci, una volta per tutte, la spiegazione della passione per i libri gialli: “La vita, dopotutto, non assomiglia tragicamente a un omicidio? Non si concludeva sempre con un morto? Non ci ammazzava il tempo logorandoci ogni giorno con un piccolo affronto fino al cedimento? E il tempo non ha bisogno di un alibi come non ce l’ha il boia: compie semplicemente il suo mestiere”. Scritto molto bene, sembra di passeggiare insieme al protagonista per le vie nebbiose di Parma, durante le festività natalizie.
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Antonio Manzini, nel titolo del suo ultimo libro della serie del vice questore Rocco Schiavone, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, fa il verso al noto film di Ettore Scola con Nino Manfredi e Alberto Sordi, ma l’amico, in questo caso, è misteriosamente scomparso in Sud America e non in Africa. Spassoso e divertente anche durante la trasferta, il coriaceo Rocco sembra ricordare la risposta che Aldo Fabrizi diede ai giornalisti che lo rimproveravano di parlare solo in romanesco: “Sono sicuro che se anche fossi nato altrove parlerei romanesco lo stesso”: è così anche per i nostri eroi, che si trovino a Roma, ad Aosta, a Buenos Aires o in Messico. Buon divertimento!
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Anche in La ricreazione è finita, recentissimo romanzo di Dario Ferrari, si respira aria di Natale, ma in questo caso il riferimento cinematografico non è a Scola bensì al Fellini dei Vitelloni, perché il protagonista gigioneggia in quel di Viareggio senza decidersi a dare una svolta, matrimoniale e professionale, alla sua tardo-fanciullesca esperienza personale. Egli riesce però, del tutto inaspettatamente, a vincere un dottorato di ricerca in università e viene incaricato di occuparsi degli scritti del compatriota Tito Sella, morto in carcere dove era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Diversi generi letterari e temi, il romanzo di formazione, il mondo accademico, le suggestioni cinematografiche, storiche e metaletterarie, si intrecciano in questo romanzo davvero accattivante.
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Feste decisamente spensierate per chi sceglierà Le imprudenze di Archie di Wodehouse, recentemente ripubblicato da Mursia. Inossidabile humour inglese di ottima lega, del suo stile l’autore diceva: “consiste nel costruire una specie di commedia musicale senza musica, ignorando del tutto la vita reale”. E proprio così, in assoluta leggerezza, vive Archie, il protagonista di questo romanzo che vi lascerà con il sorriso stampato durante tutta la lettura. “Mentre considerava la sua situazione alla fine del primo mese di vita matrimoniale, ad Archie pareva che andasse tutto per il meglio nel migliore di tutti i mondi possibili. … C’erano dei momenti in cui gli sembrava che New York fosse solo stata in attesa del suo arrivo prima di dare ufficialmente inizio ai bagordi”.
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Le festività natalizie sono l’occasione giusta anche per affrontare un bel romanzo storico, di quelli “cappa e spada”, soprattutto per chi ha amato I promessi sposi. Il conte Attilio di Claudio Paglieri è infatti il prequel del capolavoro manzoniano e ci offre un punto di vista diverso sulla personalità del famigerato cugino di Don Rodrigo, ma l’ambientazione è sempre la stessa: la nostra grande Milano e le meravigliose sponde del lago di Como.
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Ancora in tema con le feste vi proponiamo Un lungo capodanno in noir, in cui dieci autori contemporanei tra i più seguiti ci offrono la loro versione delle feste. Diversi sono anche gli scenari: Roma, Firenze e Milano “con i suoi quartieri e la sua gente; Milano che negli anni Venti ospitava Antonio Gramsci a San Vittore, uno che il Capodanno lo odiava proprio”. Poi un borgo del centro Italia, e infine Barcellona e la Svizzera: un ampio panorama per feste colorate di giallo!
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Chiudiamo questa breve rassegna con una garanzia assoluta, ovvero l’ultima raccolta di racconti gialli di Simenon pubblicata da Adelphi: I misteri del Grand-Saint-Georges, anch’essa, in qualche modo, in tema con il Natale perché ambientata nei paesaggi innevati della Lituania. Una tremenda vendetta è l'argomento della prima storia, un “racconto di Natale per grandi” è il sottotitolo della seconda, mentre l’ultima, Il piccolo sarto e il cappellaio, sarà poi sviluppata nel romanzo I fantasmi del cappellaio: basta un semplice pezzettino di carta per suscitare i più atroci sospetti e scatenare la tensione.
Di nuovo auguri di buone feste a tutti i nostri fedelissimi lettori!
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len-scrive · 2 years ago
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Rating: Explicit
Fandom: Hannibal TV
Relationships: Hannibal Lecter/Will Graham
Characters: Hannibal Lecter, Will Graham, Frederick Chilton, Bedelia Du Maurier, Jack Crawford, personaggi originali
Tags: Post TWOTL, vita insieme, Hannibal è Hannibal, Dark Will, sangue, violenza, crescita sentimenti, evoluzione
Lingua: Italiano
Sommario: Will e Hannibal sono rinchiusi in un istituto di massima sicurezza, sotto la supervisione del dottor Chilton.
Questo è il racconto di come sono finiti lì dentro e di cosa è successo dopo la notte in cui il Drago è stato sconfitto.
 Capitolo 1
“Dottor Chilton, mi lasci solo dire che non ritengo questa un’idea saggia.”
“Sta contestando la mia autorità?” Chilton si appoggiò sul suo bastone, spostando il peso dalla gamba più malandata. “Mi creda, in quanto a saggezza ormai ne ho per le altre tre vite, quelle che…mi sono rimaste.”
“Non sono due individui da sottovalutare.”
“E lo sta dicendo a me?” sbottò Chilton indicando tutto se stesso, tutto il suo corpo.
Il suo interlocutore si quietò, respirando a fondo un paio di volte.
“Non è stata data loro la pena capitale,” disse poi il giovane uomo come a voler sottintendere qualcosa e Chilton sapeva a cosa voleva alludere.
 Continua a leggere su AO3
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 Quanto tempo! Come sono felice di poter finalmente condividere questa storia, nata la bellezza di due anni fa.
Penso di aver già detto che non condivido mai qualcosa se prima non sono assolutamente certǝ che abbia una conclusione e così ho atteso e atteso che la conclusione di questa storia arrivasse da sé.
Ne sono successe tante nel frattempo e questo povero racconto è stato parcheggiato in un angolo della mia mente più e più volte, ma era venuto il momento di farlo uscire del tutto e fargli avere il suo spazietto su AO3.
Eccolo. Vi terrà compagnia, se lo vorrete, per qualche mese e spero la lettura vi sarà gradita.
Io nel frattempo mi butterò sugli altri nove, dieci racconti tutti inseriti in un file denominato one-shot anche se poi i racconti dentro hanno dai due ai cinque capitoli ciascuno. A casa mia one-shot ha un curioso significato parallelo, evidentemente.
Questa storia Dentro è un’altra, l’ennesima, versione del post TWOTL. Chi ha letto Evolvere sa che quella è per eccellenza la mia visione del futuro di Hannibal e Will, ma se ne possono creare all’infinito e a volte mi capita di partorirne di nuove.
I capisaldi fondamentali di come io vedo Hannibal e Will rimangono, ma si poggiano su basi leggermente diverse e su dinamiche un po’ più complesse. Sempre colpa di Will, sempre colpa sua, ormai si sa.  XD
Penso di aver parlato abbastanza, l’appuntamento è ogni domenica tra mezzogiorno e l’una.
Grazie a tutti e buona lettura.
Len
Per problemi di spam ho dovuto chiudere la mia pagina AO3 ai soli iscritti. Bisogna avere un account per leggere, ma a parte quello nulla di diverso.
Devo dire che preferisco l’idea che solo chi è registrato ha accesso alle mie storie. 
E per chi di voi volesse venire a trovarmi sul mio canale YouTube Len Irusu colgo l’occasione per ricordare che sono sempre lì a condividere gameplay (in inglese) e a commentarli (in italiano) o a parlare dei fatti miei mentre provoco, più o meno involontariamente, il trapasso di svariati personaggi.
Al momento tra le altre cose è in corso il gameplay di The Last of Us part II e… Oh boy… Il massacro di anima e cuore. Ma da appassionatǝ di Hannibal sono abituatǝ, devo dire.
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supergaietta · 2 years ago
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Suzanne
Non ho (mai avuto) un gran rapporto con la mia famiglia, con nessuno dei componenti che ne fanno parte. Credo che zia Suzanne però appartenesse a quella ristretta cerchia di persone che mi andavano piuttosto a genio. E no, non lo dico perché è morta poco più di un mese fa per quella retorica sul fatto che ci accorgiamo delle cose belle quando non le abbiamo più. 
Zia Suzanne parlava poco (come me) e male (nonostante vivesse in Italia da 30 anni), era una persona riservata, allegra e curiosa. Un tipo un po’ particolare. Forse proprio per questo mi ci sono sempre un po’ rivista, nonostante non avessimo direttamente legami di sangue. E io lo avrei voluto tantissimo: ho sempre invidiato le mie cugine per il loro DNA mezzo americano, per il fatto che fossero bilingue e mille altre cose. 
È con lei infatti che sono partita. Due volte. E io in realtà non sono stata spesso all’estero, quindi anche se fossi semplicemente andata al confine con la Svizzera sarebbe comunque qualcosa da considerare memorabile. E invece è stato memorabile anche sotto altri aspetti. Zia Suzanne ha invitato me e mia madre in Irlanda, una volta, perché ci trovavamo già a casa sua quando i suoi genitori hanno deciso di rinunciare a questo viaggio già pagato e organizzato, e quindi invece che chiedere rimborsi e pensare a eventuali annullamenti, è stato ceduto il posto a noi. Ho passato 5 giorni in alcuni graziosissimi paesini irlandesi ed è stato molto bello. 
Nel 2016, invece, mentre eravamo a una comunione oppure a un matrimonio - ora non ricordo - mia madre parlando con i parenti ha notato che erano passati esattamente 30 anni dal suo ultimo viaggio in America, più precisamente (anche) a Chatham, dove zia Suzanne ha la casa al mare. Mio zio mi ha detto “Se regalassi a te e a mamma un viaggio a Chatham, ci andresti?”. Ovviamente sì, e questa cosa - che sembrava detta un po’ così per dire - si è realizzata davvero. A settembre, io e mia madre abbiamo raggiunto Suzanne nella sua casa di Chatham e siamo state lì circa 10 giorni. Abbiamo passato del tempo insieme, ma - nonostante fossimo ospiti a casa sua - c’erano momenti della giornata in cui spariva completamente. Non una cosa proprio comune, ma una cosa per cui mi sentivo affine a lei. Il bisogno della riservatezza e della solitudine. 
Poi tornava da noi e parlava in quel suo modo strano. In inglese, anche con noi che lo capivamo poco. Con parole strane tradotte male che mia madre faceva fatica a capire e per cui spesso dovevo intervenire io. Anche in questo eravamo simili. Capire una lingua bene, parlarla meno bene. Io capivo l’inglese (a stento), lei capiva l’italiano. Io parlavo male l’inglese, lei parlava male l’italiano. Ed è proprio così che riuscivamo sempre a capirci. Con mia zia succedeva questa piccola magia per cui lei mi parlava nella sua lingua, io le parlavo nella mia, e ci capivamo benissimo così. Ho sempre un po’ pensato che è proprio in questo modo che dovrebbe funzionare il mondo. E non credo che mi ricapiterà. 
Per Suzanne non è stato organizzato un funerale. Abbiamo fatto invece un memorial. Io non sapevo in che cosa consisteva, ma è stato molto bello. Mi è sembrata più una festa per celebrarla, piuttosto che un’inutile funzione in chiesa per ricordarla. Eravamo in un locale e molti degli invitati, a turno, si sono semplicemente alzati in piedi e hanno parlato di lei e dei bei ricordi che ci ha lasciato. E io volevo parlare dei viaggi, del modo incredibile che avevamo di comunicare, delle sue foto che ho nel portafogli. Non ho detto niente. 
Per fortuna, non era strettamente necessario. Questo perché, come ci ha appunto insegnato lei stessa, starsene in disparte può sempre essere considerata la parte migliore da cui stare per imparare e osservare il mondo forse al meglio. 
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jobin-speedking · 3 months ago
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Cap. Precedente: Cap. 2-2
#2-3_kawauso/ un nome che non posso chiamare
—……Perché?
Questa fu la prima domanda che gli venne in mente. Prima, forse non si potrebbe dire. Non era venuto al mondo in quel momento. Comunque, perché, è lo pensò.
Non era morto? Sembrava chiaramente fosse morto.
Perché era morto?
No, non era morto. Giusto. Non era morto.
Aveva appena affrontato la morte. Non sarebbe stato strano se fosse morto. Che era successo?
Che cosa…….
Non lo capiva davvero, ma era leggero.
Vedeva la luce.
Non era brillante. Però c’era della luce ai suoi piedi.
Era seduto? Così sembra. A quanto pareva era seduto su una sedia.
Non poteva muoversi. Sembrava fosse legato ad una sedia. Perché ad una sedia?
Giusto. Si era ricordato.
Era stata la macchina.
Era stato schizzato via. Da una macchina. Un minivan. Era un minivan bianco.
Stava inseguendo un giovane uomo. Era stato notato ed era scappato. Quando aveva provato a prenderlo, l’uomo aveva utilizzato una specie di corda di simile a un lombrico o una tenia—
“……Zin……gai……”
Non era solo un pezzo di corda, non era un verme troppo lungo, non era una tenia mutante.
Era un’illusione con sostanza. Corpo fantasma, veniva anche chiamato.
Un altro nome, Zingai*.
*Tradotto letteralmente con "Disumano"
Era uno Zingai.
Quell’uomo aveva uno Zingai con sé. Quello era lo Zingai di quell’uomo.
Zingai, a proposito—
Si guardò la gamba destra.
Niente.
O si dovrebbe dire, non c’era.
Olver non c’era, che sarebbe dovuto essere fuso con la sua gamba destra.
La Lontra annuì, OK, OK, e mormorò. Pensava fosse inglese. Inglese? OK non è inglese? Se non era inglese, non sapeva a quale altra lingua appartenesse. Sarà inglese?
Qualunque cosa fosse, era vivo. Non aveva idea di dove si trovasse. Era un posto buio. C’era della luce. Forse era una luce di una lampada elettrica. Il terreno era in cemento, e c’erano alcune crepe qua e là. Era sicuramente al chiuso. La Lontra era legata a una sedia. Era in una fabbrica o qualcosa del genere? O magari, una fabbrica abbandonata. O un magazzino, forse.
Si sentirono dei passi.
La Lontra alzò lo sguardo. Si strizzò gli occhi, sbatté le palpebre, inspirò ed espirò, ricominciando gradualmente a vedere meglio.
C’era qualcuno lì. Stava arrivando. Si fermò davanti alla Lontra. Era una donna? Con un taglio di capelli corto. Oppure era un uomo? Aveva una felpa col cappuccio oversize che rendeva difficile vedere la forma del suo corpo. E dei pantaloni di tuta. Non erano grandi. Erano piuttosto snelli.
“……Sei sveglio?”
A giudicare dalla sua voce, pareva essere una femmina. La donna si chinò leggermente e guardò il viso della Lontra.
“Senti, ti sto facendo una domanda. Sei sveglio o no?”
La Lontra scosse la testa su e giù. La donna si voltò.
“Hey! Questo qua è sveglio!”
Non c’erano solo la Lontra e la donna lì. Sembrava avesse dei compagni. Sembrava stesse cercando di chiamare i suoi compagni.
La Lontra si guardò attorno. Una specie di vecchio macchinario giaceva su un fianco. Colonne rinforzate e travi. Il tetto era di lamiera. Ovunque mancavano delle tegole del tetto. Quindi era una fabbrica abbandonata? Un po' distante era posizionata una lanterna come quelle che si usano per il campeggio. La luce proveniva da lì. Fuori era buio.
Se in quel momento era notte, doveva essere passata più di mezza giornata da quando era stato investito dal minivan bianco. Ora che ci pensava, si sentiva come se avesse fatto un sogno prima di svegliarsi. Era stato un sogno? Non è così. La Lontra si era svegliata più volte. Ma aveva la testa annebbiata e si era riaddormentato velocemente, o immaginava di essere svenuto.
Appena fuori dalla portata della luce della lanterna, era parcheggiato un minivan bianco. Probabilmente era il minivan che aveva investito la Lontra. La porta scorrevole posteriore era aperta.
Da lì entrò un uomo. Aveva una giacca in stile militare. Pantaloni di denim. Dalla manica della giacca pendeva una cosa lunga, simile a un verme o una tenia—pendeva uno Zingai.
Il giovane entrò trascinando lo Zingai.
“Ibe-kun”
La donna chiamò il giovane uomo. Era il nome? Ibe. Probabilmente era il cognome. La donna chiese a Ibe.
“E Hideyoshi-san?”
Ibe scosse la testa.
Hideyoshi. Non sembrava essere il nome della donna o il primo nome di Ibe. Ciò significava che c’era una persona in più. Si chiese se Hideyoshi fosse in macchina.
Erano quindi in tre?
Ibe dello Zingai tenia. La donna è Hideyoshi potrebbero essere stati in quel minivan bianco. La Lontra era saltato in strada ed era stato investito. Era stata una coincidenza? Che dire. Sinceramente non ricordava il momento in cui era stato investito, quindi non poteva dire nulla. Comunque, avevano portato la Lontra in una fabbrica abbandonata. Non conosceva la gravità delle ferite, ma era improbabile si trattasse di un graffio. Tuttavia, invece di portarlo in ospedale, lo tenevano detenuto in quel posto. Non è una misura dettata dal buon senso.
Ibe si avvicinò alla donna.
“Sei un negozio di fiori, tu, vero?”
La Lontra non rispose. La tenia Zingai di Ibe strisciò lentamente sul cemento e si avvicinò alle dita della Lontra.
“Lo so. Ogni volta che c’è un incidente o una disgrazia che coinvolge gli Zingai, voi ragazzi uscite e annusate in giro. Subdoli, come dei cani randagi affamati”
Questa era la prima volta che vedeva seriamente la tenia Zingai. Il lungo corpo aveva un diametro di circa un centimetro. Dalla sua punta, simile a un dito, spuntava una singola antenna simile a quella di una lumaca.
Pensò di schiacciarlo, ma le sue caviglie erano saldamente fissate alla sedia. Per questo, riusciva a muovere solo le dita dei piedi.
“Voi ragazzi siete degli agenti di quell’organizzazione?”
Ibe si avvicinò al suo viso. La Lontra non guardò negli occhi Ibe. Stava tenendo d’occhio lo Zingai tenia di Ibe.
“Eh? Lo so. Che siete agenti di quell’organizzazione. Politici, grandi aziende, mass media di tutto il mondo. La portata di quell’organizzazione si estende ovunque”
“……È una tipica teoria del complotto”
La Lontra non poté fare a meno di ridere. Ibe gli afferrò la spalla.
"Oooh……"
Quasi svenne dal dolore.
"Vedi che è inutile, sceeemo"
Ibe rise sonoramente.
"Noi sappiamo la verità. Tutto, Sullivan ci ha raccontato tutto. Capisci? Gli agenti di quell'organizzazione non lo sanno? Abbiamo già aperto gli occhi, noi"
La Lontra sussultò. Continuò a inspirare ed espirare tranquillamente. Non pensava sembrasse turbato. —Sullivan.
Ibe e compagni erano collegati a Sullivan.
Dhole-senpai e la Lontra. Loro due non erano solo Dahlia 4. La polizia affermava che nei negozi di fiori, fra i fioristi e nell'Ufficio Contromisure per Casi Speciali, noto anche come Special Incidents Response Office, ci fossero più unità attive. Molti di loro avevano cercato di individuare e localizzare una persona chiamata Sullivan mentre si occupavano di casi specifici come parte dei loro compiti regolari.
Qualcosa strisciò sulla gamba sinistra della Lontra. Era lo Zingai tenia. Come un serpente che si arrampica su un albero, lo Zingai tenia si arrampicò sulla gamba sinistra della Lontra.
"Noi lo sappiamo esattamente. Voi state cercando di trovare Sullivan. Abbiamo una vista chiara su tutto questo"
La Lontra scosse la gamba sinistra. Voleva scrollarsi di dosso lo Zingai tenia, ma era impossibile perché era legato alla sedia.
"Non siete cani randagi. Siete posseduti da quell'organizzazione. State mangiando delle buone esche, vero? D'altro canto, non sembra voi stiate ingrassando. Oi"
Ibe afferrò la mascella della Lontra con la mano destra.
"Dì qualcosa, negozio di fiori. Appartenete a qualcosa come il Cabinet Intelligence Research Office, giusto? Chi è il vostro capo? Chi è? Quante persone ci sono con voi? Cosa sapete di Sullivan?"
"Ibe-kun"
La donna sospirò. Ibe si guardò indietro.
"Eh?"
"Non ti porterà a nulla chiedere tutto in una volta. Non sarebbe meglio porre una domanda alla volta?"
"……Va bene. Qualunque cosa sappia questo tizio, glielo farò vomitare fuori"
"Comunque, mi sa che c'è un modo migliore per farlo parlare"
“In tal caso, dovresti farlo tu, Yuki”
“Eeeh. Che palle”
“Fallo dai. Non fare storie……”
“Non sto facendo storie”
“Sono un funzionario pubblico”
Disse la Lontra, sentendo che lo Zingai tenia gli avrebbe raggiunto presto la nuca.
Ibe strinse ulteriormente la mascella della lontra.
“Che cosa?”
"Io sono un umile funzionario pubblico. Si chiama lavoro speciale. Cosa sarebbe, quell'organizzazione? Riguarda il nostro paese? Il governo giapponese?"
"Non sfidare la sorte"
Ibe si leccò abbondantemente le labbra. La pelle delle labbra si stava staccando. Lo Zingai tenia beccò la nuca della Lontra. Forse la pelle non era ancora stata danneggiata. Gli balenò in mente il modo in cui erano morti la vecchia nel complesso residenziale e il giovane sotto il cavalcavia. La parte dello Zingai tenia simile ad un’antenna cercò di scavare un buco nella nuca della Lontra. Probabilmente da lì lo Zingai tenia sarebbe entrato nel corpo della Lontra. Era sicuro viaggiasse attraverso i vasi sanguigni e raggiungesse il cuore.
“Va bene? Se continui a prenderti gioco di me, ti ucciderò in pochi secondi”
Ibe lasciò andare la mascella della Lontra. Sembrava essere piuttosto eccitato. Sembrava stesse cercando di controllarsi stringendo, aprendo e unendo entrambe le mani.
"Non lo sai? Il governo è da tempo controllato da quell'organizzazione. È come un quartier generale. È deciso. Un funzionario pubblico? Sei veramente un agente dell'organizzazione"
"……Organizzazione. Che organizzazione?"
Anche se la Lontra sembrava calmo, non era calmo affatto. Onestamente, era spaventato. Era così spaventato da non sentire nemmeno troppo dolore.
Era meglio non provocare Ibe con noncuranza. O forse, non voleva farlo arrabbiare? Si chiese se il suo sentimento di non voler morire potesse prevalere. Nemmeno la Lontra stesso ne era sicuro.
"Non ho idea di cosa sia questa……organizzazione di cui parli. Forse perché sono una persona umile"
"Tu, hai usato uno Zingai"
"……Quella cosa che hai detto, non so che sia"
"I maestri di Zingai, possono vedere gli Zingai. Questo tipo di persone, possono chiamarsi visualizzatori di Zingai. Inoltre, possono utilizzare gli Zingai a loro piacimento. Ecco perché possiamo usare gli Zingai. Loro sono fra noi”
Lo Zingai tenia di Ibe premette la sua antenna contro il collo della Lontra. Era come se avesse potuto squarciargli la pelle in qualsiasi momento.
La Lontra guardò la donna che Ibe chiamava Yuki. Sono fra noi, aveva detto Ibe. Anche Yuki era una maestra di Zingai? Dov’era lo Zingai di Yuki?
“……Sembra che siamo sulla stessa barca. Usi uno Zingai? Giusto. Sì. Siamo simili”
“Quindi?”
“……Eh?”
“Dov’è il tuo Zingai?”
“Il mio……”
Non riusciva a parlare bene. La Lontra provò a ingoiare la propria saliva. Non va bene. Aveva la bocca secca.
“……Zingai? Il mio—Aah……”
La Lontra guardò in tutte le direzioni e fecendo finta di cercare Olver.
“Dov’è? Non c’è, il mio Zingai. Eh? Che strano……non c’è più. Stiamo sempre insieme……ma non c’è. Dove sarà andato……”
“È possibile che uno Zingai scompaia e il maestro stia bene?
Mormorò Ibe. La Lontra poteva rispondere a questa domanda. Anche se ci sono sempre delle eccezioni, un maestro che ha perso lo Zingai non poteva sopravvivere. Però, aveva qualche obbligo di dirglielo gentilmente? No. Ne valeva la pena?
All’improvviso, si udì un forte rumore. Era il rumore di una porta che si apriva? Sembrava che da qualche parte nella fabbrica abbandonata si fosse spalancata una porta.
Ibe e Yuki guardarono a sinistra.
“Cos—”
Ibe stava per dire qualcosa. Prima che potesse dire qualcosa, venne aggredito. Era un Lupo. Un lupo corse verso Ibe e gli saltò furiosamente addosso. Il lupo spinse subito Ibe a terra e lo stese.
“……!”
La Lontra cadde a terra insieme alla sedia a cui era legato. Fu una scommessa ad alto rischio. In un istante lo Zingai tenia avrebbe potuto uccidere la Lontra praticandogli un foro nella nuca. Era stato grazie alla senpai se non aveva dovuto avere paura. Lupo. Ovviamente, quello non era un lupo. Garm. Era Garm. Il Garm della senpai. Era arrivata la senpai.
Il terreno in cemento era, naturalmente, duro. Lo shock si propagò su tutto il corpo della Lontra. Subito dopo, cosa stava facendo Olver, creatura simile a una donnola? Non riusciva a vederlo, ma lo capiva. Era lo Zingai tenia che stava cercando di entrare nel corpo della Lontra attraverso la nuca. Olver morse lo Zingai tenia e lo allontanò dalla Lontra.
Olver uscì dallo spazio fra il terreno e il collo della Lontra e lottò con lo Zingai tenia, andando su tutte le furie.
“Ibe-kun……!”
Yuki diede un calcio a Garm. Questo era il modo per calciare un pallone da calcio. Ma lo mancò. Prima di ricevere il calcio, Garm saltò lontano da Ibe.
Mentre Ibe veniva aiutato da Yuki, il nastro o qualcosa del genere, che legava la Lontra alla sedia cominciò a strapparsi.
“……Senpai”
Dhole-senpai, che era vestita con un pantalone di tailleur nero e sneakers bianche, era proprio accanto a lui. Si accovacciò e tagliò uno dopo l’altro il nastro o qualcosa del genere con un coltello.
La senpai lasciò che Garm entrasse per primo. La senpai stessa si mosse per salvare la Lontra, attirando l’attenzione di Ibe e gli altri. Era così?
Dopo aver tagliato il nastro o quel che era, la senpai scappò senza dare alla Lontra una seconda occhiata. Troppo brusca. Sarebbe stato bello sentire almeno una o due parole. Beh, era la senpai. L’asso dell’unità speciale dello Special Incidents Response Office riconosciuto a livello locale. Lei era Dhole-senpai, che metteva a tacere anche i bambini che piangono.
Lo Zingai tenia si scrollò di dosso Olver e scappò.
“Olver!”
La Lontra sgranò gli occhi e gridò.
“Garm!”
Anche la senpai chiamò Garm, che sembrava un lupo mannaro.
Olver corse e si fuse alla gamba destra della Lontra. Garm fu più audace. Saltò sulla senpai, abbracciandola. Ogni volta che lo vedeva, la Lontra pensava. Che figata, quella roba. Sono un pò geloso. Se lo dicesse, la senpai lo disprezzerebbe. Sentiva avrebbe ricevuto molte strigliate. Ecco perché non lo diceva.
La senpai si trovava nel petto di Garm. Tuttavia, andava bene descriverlo con parole romantiche, come trovarsi nel petto?
Il petto e l’addome di Garm si erano squarciati. La senpai entrò in quel punto come se fosse stata assorbita.
Questa espressione potrebbe essere più adeguata.
Il lupo aveva mangiato la senpai.
Tuttavia, Garm non aprì la bocca come il lupo nella fiaba di Cappuccetto Rosso. Divise il suo corpo in due nel verticalmente e mangiò la senpai come fosse la sua bocca. Aveva ingoiato la senpai.
Il legame fra Zingai e maestro era speciale. Maestro e Zingai sono una cosa sola. Insostituibile senza alcuna esagerazione. Sono una combinazione unica. Ad esempio, non faceva male se lo si metteva negli occhi ed era così delizioso da volerlo mangiare. Era per questo che Garm era finito a mangiare la senpai?
Non poteva essere vero.
La senpai non era stata mangiata da Garm, era dentro Garm. Era questo. Un lupo travestito da pecora, come nel Nuovo Testamento. Forse era il contrario. Innanzitutto la senpai non era una pecora.
Ciò che appariva era Dhole-senpai, che non era una pecora travestita da lupo.
Che intendeva? La senpai si era trasformata in una lupa mannara.
“—Kuh……!”
La Lontra calciò il terreno con la gamba destra fusa con Olver e come reazione saltò in piedi.
Atterrò sulla gamba destra fusa con Olver e si sostenne con la sua gamba sinistra, ma era stato piuttosto deludente. Ma, e gli infortuni? La senpai stava guardando. La Lontra si chiese se la senpai lo stesse guardando. Era un punto delicato.
“Deathworm……!”
Ibe alzò la voce. Era il nome dello Zingai? Deathworm. Aveva un ottimo gusto in fatto di nomi. Deathworm, noto anche come Zingai tenia, stava probabilmente cercando di soddisfare le aspettative del suo padrone. Provò a confrontarsi con la sua senpai che si era subito trasformata in una lupa mannara, ma fu tutto inutile.
Dhole-senpai, quando indossa la pelle di lupo di Garm, è a dir poco pericolosa.
Era veloce, o meglio acuta, e brutalmente potente.
Spietatamente feroce, brutalmente selvaggia.
La senpai si gettò all'indietro con la schiena come se avesse voluto fare una capriola all'indietro. Schivò Deathworm, ma non finì lì. Un attimo dopo si chinò in avanti e addentò Deathworm. Diede un boccone e ne prese circa la metà, compresa la punta, poi diede un altro boccone, lo addentò e mangiò il resto.
"Aaah……"
Ibe crollò a terra.
È possibile che uno Zingai scompaia e il maestro stia bene?
Questa era la domanda fatta poco prima. Ora conosceva la risposta.
Dopo aver perso lo Zingai, il maestro entra in uno stato di Shock. Una diminuzione estrema o cessazione del livello di attività mentale. Una sensazione di intorpidimento o paralisi. Nel peggiore dei casi, si potrebbe cadere in uno stato simile al coma e non ci si potrebbe riprendere per molto tempo, o addirittura per il resto della propria vita.
“L’ha man-mangia……”
Yuki cadde all'indietro come se fosse stata trascinata da Ibe.
"—Omen, vieni……!"
Era a causa del dolore? Aveva sbagliato a dire Amen? Non sembrava così. Dove diavolo si nascondeva? Delle robe bianche di circa venti centimetri iniziarono a cadere. Erano bambole, quelle? Non erano DHOLE di Dhole-senpai, erano proprio DOLL? Non potevano essere solo delle bambole. Erano degli Zingai simili a delle bambole. Sembrava si stessero nascondendo da qualche parte su una trave, e non solo qualcuna, ma dozzine di bambole bianche iniziarono a piovergli addosso. C’è n’erano troppe. Omen. Erano tutte Zingai di Yuki?
“Sono un tipo raro……!?”
La Lontra calciò il terreno con la gamba destra fusa con Olver e saltò giù. A parte la gamba destra, che era integrata con Olver, lui era quasi inutile, quindi l’unica cosa che poteva fare era scappare. Era frustrante, ma non aveva altra scelta se non arrendersi. Almeno non avrebbe disturbato la senpai.
Avrebbe lasciato il resto alla senpai.
La senpai con addosso la pelle di Garm si avvicinò a Yuki, senza nemmeno preoccuparsi di Omen.
Quelle bambole bianche non sembravano molto pericolose. Tuttavia, un falco talentuoso potrebbe nascondere i suoi artigli. Se tutte le bambole bianche erano lo Zingai di Yuki, c'era la possibilità che si dovessero eliminare tutte. Se così fosse, sarebbe una seccatura.
La senpai aveva preso la via più veloce. Lasciare stare lo Zingai ed eliminare il maestro. Un maestro che ha perso lo Zingai non può sopravvivere. Salvo rarissime eccezioni, uno Zingai senza maestro non potrebbe nemmeno esistere. Se non si può eliminare lo Zingai, si dovrebbe fare qualcosa per sbarazzarsi del maestro.
Tuttavia, gli Zingai non si smuovono anche se il suo maestro sviene. Se era così, cosa avrebbe dovuto fare?
È semplice.
Se il maestro muore, lo Zingai scompare.
In altre parole, avrebbe dovuto uccidere il maestro—l'umano.
Fortunatamente, la Lontra non aveva ancora causato la morte di una persona con le proprie mani. Se doveva assolutamente fare qualcosa, ovviamente l'avrebbe fatta. La sua intenzione era questa. Ma era davvero possibile farlo? Poteva farlo senza esitazione?
La senpai era diversa. La Lontra era come una persona inesperta, non dolce. L'avrebbe fatto se necessario. La senpai poteva fare facilmente cose che la Lontra non poteva fare.
In effetti, la Lontra ne era stato testimone. Per sbarazzarsi del terrificante Zingai, che stava causando danni alle persone, e che non poteva essere lasciato solo, la senpai uccise il suo maestro, un umano, proprio davanti agli occhi della Lontra.
Stava per farlo di nuovo. La senpai avrebbe ucciso Yuki.
"Senpai……!"
La Lontra non stava cercando di fermare la senpai. Nemmeno la senpai lo faceva perché lo voleva. Era lavoro. Faceva ciò che doveva fare per portare a termine la propria missione. La Lontra non stava cercando di dissuadere la sua senpai. La voleva mettere in guardia.
La macchina. Qualcuno era sceso dal posto di guida del minivan bianco. Giacca di pelle nera e pantaloni slim dello stesso nero. Indossava un berretto nero e aveva la barba. Sembrava piuttosto insensibile e gli ricordava un ragno. Probabilmente era più vecchio di Ibe e Yuki. Sarà stato sulla trentina? Yuki aveva chiesto 'E Hideyoshi-san?' a Ibe. Hideyoshi. Quell’uomo ragno era Hideyoshi?
Sia Ibe che Yuki erano portatori di Zingai, ma Hideyoshi non lo era. Era possibile una cosa del genere? Beh era difficile da immaginare.
Zingai.
Era quello lo Zingai di Hideyoshi?
Di seguito a Hideyoshi, un traballante pezzo di carne che sembrava umanoide ma più sferico uscì dal minivan bianco. Anche quel pezzo di carne era sul sedile posteriore? Una grossa goccia cadde dalla porta scorrevole aperta. Così era apparso.
Sembrava bizzarro ed era grande. Non era così alto, ma era comunque alto quando un uomo adulto medio. La larghezza e lo spessore non erano nella media. Una volta aveva visto un video in televisione di un uomo così grasso che non riusciva ad alzarsi dal letto. Era peggio di così.
Si chiese cosa fosse stato più veloce, se quando la senpai notò il pezzo di carne di Hideyoshi, o se quando il pezzo di carne si alzò all'improvviso.
Hideyoshi aveva qualcosa di nero in mano. La caricò appena sceso dall'auto. Quel qualcosa, era una pistola.
La senpai venne distratta dalla pistola di Hideyoshi. Lo stesso valeva per la Lontra.
Erano abituati agli Zingai. Parlando di animali, avevano anche incrociato Zingai leoni e orsi bruni. Però, gli Zingai non usano armi da fuoco. Quello era il Giappone. Inoltre erano molto rari i casi in cui il maestro di Zingai fosse armato con un’arma da fuoco. La Lontra non aveva mai avuto una pistola puntata contro di lui prima d’ora. E la senpai? Non lo sapeva, ma almeno non era mai successo da quando faceva squadra con la Lontra. Anche se era la senpai, non c’era modo di non essere nervosi se si vede una pistola.
Hideyoshi teneva l’impugnatura con una mano e la canna della pistola appoggiata su un lato. Era una posizione davvero interessante. Non era un professionista qualificato. Era palesemente un novellino. Era vera, quella pistola? Sarebbe potuta essere il modellino di una pistola. Era possibile. Dopotutto quello era il Giappone. Se si conosceva come ottenerle, si potevano ottenere a seconda dei propri soldi, ma non era qualcosa che si poteva comprare ovunque. Era un bluff?
Hideyoshi premette il grilletto.
“Bang!”
Non era uno sparo. Era fatto con la bocca.
Hideyoshi lo disse ad alta voce. Emise un suono che imitava uno sparo.
Ovviamente, la senpai non era stata colpita. Era un’imitazione giocosa. La Lontra si arrabbiò. Se Hideyoshi fosse stato davanti a lui, gli avrebbe dato un pugno. Però, era davvero solo uno scherzo?
"—……"
La Lontra rimase senza parole. Era un pezzo di carne.
Quel pezzo di carne stava cadendo verso la senpai. Non poteva crederci. Si poteva dire che si fosse gonfiato in aria in così poco tempo? Era chiaramente più grande di prima. C'era un limite a quanto potesse diventare grande. Che enorme pezzo di carne che era. Comunque, non sembrava la senpai.
Quella senpai non aveva schivato.
Era colpa della pistola? La sua reazione era stata ritardata perché si era accorta della pistola. Era stata tenuta sotto controllo.
Il pezzo di carne aveva completamente schiacciato la senpai.
Non si vedeva più.
La senpai.
Era intrappolata sotto il pezzo di carne.
Non poteva non aiutarla. Non poteva non aiutare la senpai. La Lontra provò a calciare il terreno di cemento con la gamba destra fusa con Olver. Fu imprudente. Fino a quel momento la Lontra ne era stato completamente ignaro. Era Omen, lo Zingai di Yuki, le bambole bianche. Stavano aumentando. Si raggrupparono sulla Lontra.
“Ah……!”
Le bambole bianche non saltarono sulla gamba destra fusa con Olver, ma sulla gamba sinistra, sulla vita e su entrambe le braccia. Omen trascinò rapidamente giù la Lontra.
“Uahahahah”
Risuonò una risata rabbiosa. Hideyoshi. L’uomo ragno stava arrivando. O meglio, era già arrivato. Il suo volto barbuto con le fossette sulle guance guardò la Lontra. Puntò la bocca della pistola contro la Lontra. Alla testa. Nel mezzo delle sopracciglia. In quella posizione con la canna della pistola abbassata.
“Avete divorato lo Zingai di Ibe. La tortura è finita. Dopotutto, noi siamo guerrieri che hanno dedicato la propria anima agli ideali sostenuti da Sullivan. I cani dell’organizzazione sono il nemico. Il nemico va ucciso. Anche voi morirete”
Si sbagliava. Non era il modellino di una pistola. Era una vera pistola. Gli avrebbe sparato. Anche in quella posizione, la distanza era quel che era. Sicuramente non l’avrebbe tolta. Questo era sicuro. Inoltre, Hideyoshi aveva posizionato la mano sinistra sulla mano destra che impugnava la pistola. Poi premette il grilletto.
Era disperato. La Lontra usò tutta la sua forza e piegò la testa a sinistra.
Voleva lodare se stesso per non aver chiuso gli occhi e nemmeno aver pensato in una situazione così estrema. Era un po’ orgoglioso di se stesso per aver cercato di sopravvivere.
La Lontra sentì un forte impatto sulla parte destra della testa. Il suo occhio destro era estremamente caldo. Ma non fu un colpo diretto. Il proiettile non lo aveva colpito. Su questo non si sbagliava affatto.
“Eeeh!? Bastardooo……!”
Hideyoshi scattò e cercò immediatamente di sparare il proiettile successivo. Forse questa volta non funzionerà. Se la Lontra fosse stato colpito, probabilmente sarebbe rimasto ferito a morte. Avrebbe potuto essere colpito alla testa e morire sul colpo.
“—uUAAAAAAAAaaa……!”
Era un ruggito bestiale. Tuttavia la Lontra capì. Era la senpai. Non era possibile che la Lontra avesse sentito male. Era la voce della senpai.
“Cosa……”
Hideyoshi si voltò di lato. Non mise via la pistola, ma la canna della pistola si era allontanata dalla Lontra.
“Olveeer……!”
La Lontra spalancò più che potè gli occhi. Non aveva proprio pensato a cosa fare o a come farlo. Lasciò tutto a Olver.
Olver, che era integrato con la sua gamba destra, sollevò il corpo della Lontra, si scrollò Omen, le bambole bianche, e spazzò via anche Hideyoshi.
La Lontra volteggiò. Né in verticale né in orizzontale. Ruotò diagonalmente nell’aria. Mentre girava, intravide la coraggiosa figura della senpai che indossava la pelle di Garm, la lupa mannara, Dhole-senpai, mentre trasportava lo Zingai massa di carne sulle sue spalle.
La Lontra atterrò sul terreno di cemento e rotolò. La senpai lanciò lo Zingai pezzo di carne a Hideyoshi. Hideyoshi saltò di lato e schivò per un pelo lo Zingai pezzo di carne. Sarebbe stato divertente se il maestro di Zingai venisse schiacciato a morte dal suo stesso Zingai. Hideyoshi gli urlò di alzarsi.
“Vai, Fatman……!”
Era il nome dello Zingai? Fatman.
Fatman rimbalzò e attaccò di nuovo la senpai. La senpai si alzò senza scappare. Afferrò Fatman e lo addentò. La senpai e Fatman rimasero attaccati e rotolarono di qua e di là.
La senpai azzannò pezzi di carne. Staccò con forza la carne dal pezzo di carne. Non c’era alcun sanguinamento. Anche se la carne si disperdeva, veniva raschiata via e collassava, dal buco formatosi sarebbe uscita altra carne. Era carne. Quello Zingai pezzo di carne era davvero carne messa insieme. Anche così, lo Zingai pezzo di carne sembrava provare dispiacere. Stava cercando di allontanare la senpai torcendo il suo corpo e la sua carne, ma non ci riusciva. La senpai non glielo permetteva.
La senpai predominava.
Non poteva però sedersi e aspettare che la questione venisse risolta. Mi spiace, Olver. Solo un altro passo. La Lontra si alzò lodando la gamba destra fusa con Olver. Rimproverò la sua gamba sinistra, che era dolorante e aveva poca forza. Le ossa, sembrava fossero rotte. Non gli interessava. Era determinato.
La lontra corse a tutta velocità con la gamba destra fusa con Olver.
Uccidere.
Hideyoshi.
Da ora in poi, la Lontra avrebbe ucciso le persone. Non gli importava diventare un assassino o no, era una missione. Doveva farlo. Oltre a ciò, doveva aiutare anche solo un pop la senpai. La Lontra voleva essere un kohai che non lasciava il lavoro sporco alla sua senpai. Era sempre in debito con la senpai. Però, non poteva restare così per sempre. Doveva essere un kohai in grado di sostenere il pesante fardello della sua senpai.
Hideyoshi era su un ginocchio e osservava la lotta tra la senpai e Fatman. Non se ne rese conto, ma la Lontra doveva essere così eccitato che emise un qualcosa come un ruggito. A causa di questo, venne notato.
“—ah!?”
Hideyoshi sparò immediatamente. Puntò la pistola contro la Lontra e sparò diversi colpi di seguito. La Lontra inciampò all'indietro come se fosse stato colpito nelle viscere da una mazza da baseball o qualcosa del genere, ma non si fermò. Provò a continuare a correre. Non riusciva a correre come voleva, perché la sua postura non era per niente stabile. Come mai? Era instabile perché aveva ferite su tutto il corpo. Gli avevano anche sparato al braccio sinistro. Era tutto a posto. La Lontra decise di pensarla in questo modo. Le braccia andavano bene.
“I proiettili—“
I proiettili non venivano più sparati quando Hideyoshi premeva il grilletto. Fu subito dopo. Finalmente. La Lontra finalmente catturò Hideyoshi.
Afferrò il collo di Hideyoshi con la mano destra e lo spinse a terra. Non è giusto.
Devo uccidere quest'uomo.
Se era così, aveva la sua carne e ossa nella mano destra, era il turno di Olver.
“Gh……”
Hideyoshi provò a dire qualcosa. Ma aveva il collo legato e non riusciva a dire nulla. Bene. Così.
Muori.
Manteniamo il peso corporeo su di lui. Ti schiaccerò la gola. Maledetto, muori.
Muori ho detto.
Stava per ucciderlo, ma cosa successe?
—Goh.
La Lontra sentì un rumore così forte. Non era Hideyoshi. Qualcos'altro spinse via la Lontra? Forse, era stato colpito?
La Lontra stava strisciando a terra. O era sdraiato? Non riusciva nemmeno a capire se era sulla schiena o sulla pancia.
Qualcuno, era lì.
Si trovava in piedi lì vicino.
Era un grand'uomo.
Indossava le galosce e aveva le mani simili a dei guanti.
Quel gigante indossava una maschera. Una maschera raffigurante una bocca con i denti scoperti.
Aveva la testa rasata? Indossava un cappello?
I suoi occhi vuoti guardarono la Lontra.
“……Di Sullivan—”
Sentì la voce di qualcuno. Era Hideyoshi? Hideyoshi avrebbe potuto averlo detto. Sullivan.
Di Sullivan.
—Di, che cosa?
L’uomo mascherato alzò la gamba. Apparentemente, sembrava stesse cercando di calpestare la Lontra con le suole dei suoi stivali. Sembrava potesse far male. Male, era abbastanza dirla così? Quello che doveva essere calpestato dall’uomo mascherato era la Lontra. Eppure, per qualche motivo, la Lontra sentiva che il problema fosse di qualcun altro. Stava per svenire.
Era la fine?
Sarebbe finita così? Senpai, scusa.
Se mi scuso, ti arrabbierai? Non scusarti ogni volta, diresti. Però, scusami. Davvero—
“NGAAAAAAAaaaaaah……!”
Senpai.
Perché si sentì la voce della senpai?
Ovviamente, perché era la senpai.
La senpai saltò e fece volare via l’uomo mascherato.
Quando il suo inaffidabile kohai era in difficoltà, veniva sempre in suo soccorso. Questa era la senpai.
“Chi vi ha dato il permesso……! Di picchiare il mio adorabile kohai, BRUTTI PEZZI DI MERDAAaa……!”
Quando arrivava il momento e si trovava di fronte al nemico, protegge a il suo kohai e sconfiggeva coraggiosamente il rivale. L’asso dell’unità speciale dello Special Incidents Response Office. Dhole di Dahlia 4. La senpai che indossava la pelle di Garm. La terrificante ma bellissima lupa mannara. Che dire? Non è incredibile, la mia senpai? Non è fighissima? Più figa di chiunque altro.
La Lontra rise. Pensava stesse ridendo. Non uscì alcuna voce. Forse perché faceva male o qualcosa del genere? Il suo corpo non si muoveva. Non riusciva a vedere molto. Potrebbe essere un male. Questo, non mi starà mica uccidendo? La Lontra sarebbe potuto essere sul punto di morire. Ma aveva voglia di ridere. Almeno voleva morire ridendo.
Non era il momento di ridere. La Lontra non aveva capito fosse una situazione in cui non poteva semplicemente ridere.
—Perché?
La senpai improvvisamente si tolse la pelle di Garm.
Come mai?
Garm prese la Lontra e se lo portò sulla schiena.
Cosa stava facendo, questo?
“Lascio il resto a te”
Questo fu quello che gli disse la senpai. La sua voce era debole e il suo tono era piatto. La senpai non guardò la Lontra. Ma quelle parole erano per la Lontra. Quello lo capì.
Lasciare il resto?
A lui?
Cos’erano, quelle parole?
Cosa intendeva?
Garm iniziò a correre. Sembrava che Garm stesse cercando di far uscire la Lontra da quella fabbrica abbandonata. Cosa fai? Cosa stai facendo per me? Fermati. La Lontra cercò di fare resistenza. Per favore fermati. Mettimi giù. Non va bene, Garm. Perché fai questo? Voleva fermare Garm anche con la forza. L’avrebbe fatto se avesse potuto. Tuttavia, la Lontra stava barcollando tra la vita e la morte. Era buio da quelle parti. Era l’oscurità della notte quella? Oppure aveva già perso conoscenza? Nell’oscurità chiamò più e più volte il nome della senpai. Ancora, ancora, ancora, ancora, chiamò molte volte il nome della senpai.
La Lontra conosceva il vero nome della senpai.
Shima Touko.
Una volta aveva provato a chiamare la senpai con il suo vero nome per scherzo. Touko-san. Quando la chiamò, la senpai rispose con nonchalance: ‘Cosa c’è, Haizaki Itsuya?’. Ma perché sei così calmaaa? Quando protestò, la senpai rise di lui. Dopotutto, quello è il mio nome. Non penso nulla se vengo chiamata.
Senpai.
Dhole-senpai.
Senpai Shima Touko.
Touko-san.
All’improvviso la Lontra venne gettata nell’oscurità.
Garm, che avrebbe dovuto portare la Lontra sulla schiena, non si trovava da nessuna parte. Si chiese dove fosse finito. Non ne aveva idea. Si trovava in un freddo campo erboso. C’era un fiume che scorreva nelle vicinanze? Sentiva un debole rumore di acqua. La Lontra era da solo.
Garm non c’era.
Era scomparso, all’improvviso.
Lo Zingai della senpai, Garm, era scomparso senza lasciare traccia.
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Cosa significava? La Lontra non lo capiva.
Non doveva capire adesso.
Non voleva accettarlo.
Cap. Successivo: Cap. 3-1
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enkeynetwork · 5 months ago
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princessofmistake · 8 months ago
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Sono rimasto a bocca aperta pur sapendo che era impossibile, era solo un uomo che gli somigliava. Eppure mi ha stravolto vedere ciò che pensavo non avrei rivisto mai più, i lineamenti così precisi, la mascella pesante, il sopracciglio dall’arco disteso. Il suo nome si è spinto verso la punta della mia lingua prima che riuscissi a fermarlo. Riemerso in superficie, mi sono seduto su un idrante e ti ho chiamato. “Ma’, l’ho visto,” ho esalato con un respiro. “Ma’, giuro che l’ho visto. So che è assurdo ma ho visto Phuong sulla metropolitana.” Mi stava venendo un attacco di panico. E tu lo sapevi. Per un po’ non hai detto niente, poi hai iniziato a intonare la melodia di “Happy birthday.” Non era ancora il mio compleanno ma era l’unica canzone che tu conoscessi in inglese, e così hai continuato a cantarla. E io ho ascoltato, con il telefono premuto così forte contro il mio orecchio che per il resto della notte mi è rimasto un rettangolo rosa impresso sulla guancia.
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myrquez · 9 months ago
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Non vorrei che la tensione di marc in conferenza stampa fosse dovuta al fatto che ducati lo abbia "ingannato", facendogli credere di non aver ancora deciso.
La dichiarazione su Pramac è stata molto diretta, quando di solito lui è sempre molto cauto e cerca sempre di non scoprire troppo le sue carte, e potrebbe aver parlato in quel modo per far capire a ducati che non possono trattarlo come un burattino.
Per quanto riguarda le varie opzioni che marc avrebbe, ieri Misterhelmet diceva che a Barcellona il suo manager è stato visto parlare parecchio con quelli di Aprilia.
il problema è che lui stesso ha detto qualcosa riguardo ai movimenti ducati ma l’ha detto in un inglese smozzicato per cui non ho capito che cazzo intendesse veramente, il succo che ho colto è che, checché ne abbia detto gazzetta, le notizie che ducati ha dato a lui erano del tutto diverse, quindi si ritorna alla solita storia, ducati ha già scelto ma non lo ha detto a marc (secondo me improbabile), o quello di gazzetta era un leak per fare pressioni?
in ogni caso è stato veramente categorico e come hai detto tu è raro si sbottoni così tanto (metaforicamente lmao), ha voluto mettere il punto della situazione, e molti dicono sia anche perché forse stufo delle contrattazioni tra ducati e pramac/yamaha in cui lui bene o male era il centro focale
in ogni caso ora ducati ha una bruttissima gatta da pelare (per le contrattazioni con altri manufacturers si sta parlando molto sia di KTM che aprilia, ma pure già da un po’)
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il-giardino-del-castello · 1 year ago
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[Parte 2 di 3, perché ora Tumblr ha il limite caratteri di una oneshot breve.]
Se passa la sento volentieri
Il nome è già esaustivo, e non credo ci saranno troppi altri gigaparagrafi, da qui in poi.
All'inizio Respectless me la scordavo. La prima volta che l'ho sentita ho detto solo "Com'è di inizio Duemila!" e ho pensato che sembrava una canzone che avrebbero dato alla radio. Non so se me la scordassi anche perché Velvette e Carmilla non hanno tutto questo screentime - Anche se poi la seconda ha rimediato. Sta di fatto che ora capita la canticchi a caso. E, oggettivamente, stiamo parlando di una canzone con una bimbaminkia che dice a tutti che sono dei vecchiacci di merda, i suddetti tutti vanno in Pikachu face mode e, soprattutto, abbiamo un'antagonista perfidissima che ha portato in scena la trama principale e ha innescato una catena di eventi che ha portato alla vittoria del Team Buoni. Velvette queen assoluta.
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Non so se questa gif dia un'idea estremamente fuorviante o estremamente precisa della canzone.
Mi piacciono entrambe le versioni, la De Risi va bene qualsiasi cosa canti, ma preferisco leggeramente quella inglese per un motivo molto stupido: come detto, mi sa tantissimo di canzone anni '00 alla radio, e quelle erano tutte inglesi, quindi temo sia il nostalgiafagghismo a farmi parlare.
Per rimanere da Carmilla, Out for Love. C'è una milfona che pesta la sua appena scelta allieva a ritmo di "CREDI NELLA FORZA DELL'AMOOOOOOOOOOOOORE". Solo il concept merita il Tier S. Ovviamente non è solo amore romantico, è amore tutti i tipi, certo. Still fantastico. Il fatto che Carmilla sia spagnola e Vaggie sudamericana rende ancora migliore il ritmo latino. Inizialmente non mi diceva niente ma, dopo qualche ascolto, l'ho trovata molto più orecchiabile. È un gusto acquisito.
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Questo è l'altro caso dove vado solo, se non esclusivamente, da quella inglese. Sembra che le canzoni di Carmilla siano difficilissime da cantare, ed è per questo che nella versione italiana è l'unica con una doppiatrice per il parlato e una cantante professionista per le canzoni. Tuttavia, non mi piace per niente come la Astolfi apre tutte le vocali. Considerato che "amore" ha tre vocali su cinque lettere e che è il ritornello, non mi piace granché come suoni letteralmente "aHmOOOOOOOOOOOHreH", ripetuto due-tre volte di fila. Il resto va bene, ma il ritornello di Per amore è l'unica cosa che proprio non mi piace del comparto musicale italiano.
Ready for This era la canzone del trailer! E me l'ero scordata. Mi piace il suo essere anche in questo caso una canzone con più cantanti, la parte di Alastor e Rosie è carinissima, e amo come ogni "ready for this" sia detto in modo diverso - A sentirli di fila, si sente chiaramente tutto il flusso di pensieri di Charlie, e trovo sia una cosa fantastica.
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Mi piacciono sia la versione inglese che quella italiana, indistintamente.
Carina
Rimanendo con Charlie, quella che in pratica è la sua character song: A Happy Day in Hell. Confesso che trovo molto più orecchiabile Inside Every Demon There's a Rainbow, dal Pilot, però A Happy Day in Hell suona così tanto principessa Disney nel posto sbagliato che assume una tenerezza e un'ilarità tutte sue. Se Charlie non fosse così persa nel mondo dei sogni, le battute dei figuranti non farebbero ridere allo stesso modo. E, soprattutto, la frase finale non sarebbe epica.
Bonus: Ho detto "principessa Disney", ma in realtà mi fa tantissimo Belle, quindi ha subito la mia simpatia.
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Anche in questo caso mi piacciono allo stesso modo sia la versione italiana che quella inglese.
More Than Anything (Reprise) è l'effettivo duetto romantico di questo musical. È dolcissimo, sia nel concetto che nel video - E, finalmente, un bacio on screen tra Charlie e Vaggie, ancora più importante visto che è dopo il loro essersi riappacificate.
Sono un po' combattuta. La maggior parte di me ama tantissimo che il duetto romantico sia sulla scia della canzone tra Charlie e suo padre - Una volta avevo letto un commento che diceva che, così facendo, faceva capire quanto il primo contatto con l'amore si ha con i propri genitori, e che avendo imparato a coltivare l'amore si può poi donarlo agli altri. Non so se l'idea fosse quella, ma la amo tantissimo e la voglio vedere così. E amo che il bacio venga mostrato solo a questa altezza, trovo gli dia più valore.
Dall'altra parte, però, spero che nella seconda serie Charlie e Vaggie abbiano un loro duetto romantico e non la reprise della canzone di Carla con papino, ecco-
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Come per More Than Anything (E Basta), nella versione italiana si sente tutto lo sforzo della Caputo e della Franceschetti per non andare in debito d'ossigeno - Ma c'è da dire che anche la Henningsen e la Beatriz sfiorano gli ultrasuoni. Le voci di tutte e quattro stanno benissimo nelle loro accoppiate, ma forse mi suona un po' troppo acuta-
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