#il santo nuovo
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valentina-lauricella · 4 months ago
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Da Piccole storie del mondo grande
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IL SANTO NUOVO
Il paesaggio delle Marche — con quelle città irrigidite lassù sovra alture che non sono più colline e monti ancora non sono — è melanconico.
Si vedono e si guardano tutte: Osimo, Castelfidardo, Loreto, Macerata, Recanati: non benevolmente si guardano e pare dicano l’una all’altra: “Tu sei più morta di me!„
Io sentivo di entrare nel dominio di un’anima melanconica, e gli occhi teneva rivolti verso ponente, al lontano colle di Recanati. Sopra appunto vi galoppavano le nubi allora; galoppavano e correvano, e per certo effetto di luce lucida e fosca, si distinguevano bene le case della patria tua, Leopardi!
Nella gente che incontravamo per salire a Loreto — e la cupola del Bramante e i turriti sproni del tempio già giganteggiavano sul capo — suonano pure e antiche voci italiche e certi scorci di fraseggiare così eleganti che que’ villani sembrano aver fatto i loro studi esclusivamente su qualche codice del trecento. Così la pronuncia nulla ha della sguaiatezza meridionale o della leziosaggine toscana o del rimbombo romano, nè della sfumata fierezza umbra: è qualcosa che non saprei definire, ma sento di definire bene dicendo: “È la lingua di Giacomo Leopardi!„ [...]
E così ogni tanto ci si presentava qualche figura di donna, che parea fusa nel bronzo, con certe linee di statue antiche. Anche nell'andare aveano qualche cosa di dignitoso e di composto come la materiale aristocrazia di una stirpe di cui l'anima è già svanita.
“Sciocchezze tutte le vostre - mi avrebbero potuto rispondere gli uomini e le cose - e stanno soltanto nel cervello di voi. [...]„
Perchè lassù – accennavo Recanati – fanno tante feste? lo sapete voi? - chiesi ad una donna che mi camminava del pari.
Ella mi guardò, girò attorno due occhi ebeti, poi disse:
“Sarà per qualche santo nuovo!„
Questa è la verità, buona donna; sono proprio le feste per un santo nuovo. Anche egli ha sofferto e poi è morto affinchè questi morti potessero risorgere: lo stesso come ha fatto il nostro Signore Gesù Nazareno. La cupola del cielo è più grande di quella di Loreto e Dio ci fa stare tutti i Santi che vuole.
Così io spiegai, ed ella fe' cenno che mi avea compreso benissimo.
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kon-igi · 8 months ago
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LA FESTA DEL PAPÀ È DIVISIVA
Ma oramai non credo che esistano argomenti di condivisione comune sui quali poter fare affermazioni nette e aspettarsi che tutti siano d'accordo.
Il cielo è blu? Ma va'... il cielo è celeste! No, guarda che è nero ed è un fenomeno di rifrazione dei raggi solari sull'atmosfera. Ti sbagli, è giallo! Sì, però togliti quel sacchetto dell'Esselunga dalla testa. Basta! Il cielo è marrone con radici che penzolano. Zitto tu che sei morto!
La scelta del giorno della festa del papà, poi, coincide con quel santo del calendario che credo abbia avuto il peggiore martirio fra tutti, cornuto, mazziato e ringrazia pure. Cioè, come papà sfigato il primo posto se lo prende di sicuro Darth Vader ma perlomeno aveva una spada laser e il suo arco di redenzione è stato più appassionante.
Insomma, la festa del papà è divisiva per due ragioni, una sociale e l'altra personale.
Da una parte, è una ghiotta occasione perché alcuni frignino che non esistono più i papà di una volta, tutti pipa e cinghiate, e che anzi, se andiamo avanti così non esisterano più nemmeno gli uomini, dall'altra è che al netto di tutto, i padri molte volte più che festeggiati spesso vanno perdonati.
Adesso come adesso, i papà sul mercato sono figli o nipoti del patriarcato, nel senso che difficilmente non avranno assorbito per osmosi familiare e sociale l'idea di quello che deve essere il ruolo di un genitore maschio all'interno della famiglia.
In sintesi il pater familias.
[maledetto genitivo ellenico ma sono cose mie]
Quando io e la mia compagna dobbiamo fare cose importanti che implichini decisioni tecniche, burocratiche, meccaniche, matematiche o notarili, il mio gesto preferito è questo
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perché tutte le volte il venditore di auto parla rivolgendosi a me che distinguo le macchine solo per il colore, l'avvocato quando io risolverei tutto con il trial by combat e la commercialista dove io opterei per il baratto.
Io sarei il pater familias, quindi automaticamente il detentore delle decisioni familiari e è invece è la mia compagna quella che prende le migliori, senza spargimenti di sangue o una pila di conchiglie che l'enel non accetta come forma di pagamento.
Sì, vabbè... non sa accendere la motosega o da che parte si impugna un coltello da lanciare e se proprio dobbiamo dirla tutta non riesce neanche ad accendere il fuoco nel camino (cosa che le rimprovero sempre ricordandole che erano le vestali ad accudire il Fuoco Sacro del focolare domestico). Poi però c'è quell'altra che disegna tubi e motori idraulici usando termini strani tipo 'valvola di massima' o 'dislocamento positivo' e quell'altra ancora che snocciola a memoria le caratteristiche di ogni macchina o moto e parla per due ore di maderizzazione e di vendemmia in neve carbonica.
Questo per dire che i ruoli sono solo ruoli ed è solo questione di abitudine... le abitudini cambiano e ci si abitua al nuovo.
Quindi buona festa a quella persona alla quale dovrebbe essere solo chiesto, dopo la fornitura di migliaia di gameti scodinzolanti, di amare in modo vasto e profondo chi non ha mai chiesto di essere portato su questa spaventosa e bella terra, ricordando che amore non è mai possesso, conferma od orgoglio.
L'amore per i propri figli è essere partecipe della gioia che abbiamo insegnato loro a conquistarsi da soli.
E per concludere, si può essere padre amorevole pure senza aver mai partecipato con un singolo spermatozoo.
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sciatu · 3 months ago
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LA VARA DI MESSINA – TERZA ED ULTIMA PARTE: PERCHE’? – I devoti si preparano ad un altro strappo. Dovranno farne pochi altri prima di far girare la Vara e portarla da Corso Garibaldi nella quasi perpendicolare via I Settembre. Per la virata della Vara, dispiegheranno le corde per la loro lunghezza e il Capotimoniere li guiderà nella svolta sulla base della sua esperienza. È un punto critico quello della svolta, dove in passato la Vara si è anche ribaltata provocando il ferimento delle comparse e dei bambini che su di essa raffiguravano gli angeli. Per questo, dalla fine del 1800 solo il vescovo e il timoniere della Vara possono stare su di essa. I fischietti incominciano a squillare e i devoti si allineano e si curvano sulla grossa gomena. Si parte di nuovo, ancora una volta. La Vara li segue docile e scivola sulla strada bagnata senza alcun intoppo, seguita dai devoti che non tirano e dal resto della popolazione che l’aveva attesa sul bordo dei marciapiedi. L’accompagneranno così fino di fronte al Duomo. A quel punto le gomene saranno tagliate e ogni Devoto riceverà un pezzo di corda, unica ricompensa per la sua fatica. A vedere la stanchezza dei Devoti quando la strada per la conclusione dei tiri e ancora lunga e sempre più faticosa, ci si chiede perché lo facciano. Perché si impegnano in una estenuante giornata di terribile fatica e non si limitino ad una semplice preghiera, ad un silenzioso attimo di spiritualità. Vi sono moltissime risposte per questa domanda. Risposte culturali, storiche, sociali, religiose ed individuali. L’affidamento al popolo della Vara da parte della chiesa che diventa quasi spettatore marginale dell’evento, affidamento che è comune a tutte le grandi feste siciliane da quella grandissima di Sant’Agata a Catania, a Santa Rosalia, ad i Misteri di Trapani o al Cristo Morto di Enna, implica un rapporto diretto ed individuale dei vari devoti o dei membri delle varie confraternite che quel simulacro Santo e carismatico ricevono. Oltre quindi all’appartenenza ad un gruppo, ad una identità, ad una località, vi è la spiritualità della sofferenza, della fatica, del dolore che ogni devoto prova nel trascinare, sollevare, portare l’oggetto che è unione tra lui e la santità. È la stessa sofferenza, dolore, fatica che i siciliani provano a vivere in una terra dove l’acqua può diventare un lusso, dove il fuoco può scendere dal monte a distruggere, dove la terra, in un istante, si può scollare di dosso case, città e paesi intieri. Sono le stesse sensazioni di chi lascia la Sicilia, di chi si trova in altre terre per diventarne ricchezza e forza. È la spiritualità di chi non ha nulla, quella degli operai, delle madri, dei disoccupati, dei carcerati e di chi pur avendo riconosce che il valore di quanto ha è in difetto, perché è altro quello che conta e che segna la vita. È la spiritualità di chi prega con il sudore, di chi si umilia nella fatica, di chi offre il meglio di quanto è nel silenzio, nella dedizione assoluta. È la spiritualità del buon ladrone che si pente, di Simone da Cirene che porta la croce al posto del Cristo, del buon Samaritano che aiuta uno sconosciuto di un'altra fede. È una spiritualità che richiede forza, coraggio, abbandono di se stessi per seguire quello in cui si crede.
THE VARA OF MESSINA – THIRD AND FINAL PART: WHY? – The devotees prepare for another pull. They will have to make a few more before turning the Vara and taking it from Corso Garibaldi to the almost perpendicular Via I Settembre. To turn the Vara, they will unfold the ropes to their full length and the Chief Helmsman will guide them in the turn based on his experience. The turn is a critical point, where in the past the Vara has also capsized, causing injuries to the extras and children who were portraying angels on it. For this reason, since the end of the 19th century only the bishop and the helmsman of the Vara can stay on it. The whistles begin to sound and the devotees line up and bend over the large hawser. They set off again, once again. The Vara follows them docilely and slides on the wet road without any hitches, followed by the devotees who do not pull and by the rest of the population who had waited for her on the edge of the sidewalks. They will accompany her in this way up to the front of the Cathedral. At that point the ropes will be cut and each Devotee will receive a piece of rope, the only reward for his or her effort. Seeing the tiredness of the Devotees when the road to the conclusion of the pulls is still long and increasingly tiring, one wonders why they do it. Why they commit themselves to an exhausting day of terrible toil and do not limit themselves to a simple prayer, to a silent moment of spirituality. There are many answers to this question. Cultural, historical, social, religious and individual answers. The entrustment of the Vara to the people by the church that becomes almost a marginal spectator of the event, an entrustment that is common to all the great Sicilian celebrations from the very great one of Sant’Agata in Catania, to Santa Rosalia, to the Mysteries of Trapani or to the Dead Christ of Enna, implies a direct and individual relationship of the various devotees or members of the various brotherhoods that receive that Holy and charismatic simulacrum. In addition to belonging to a group, to an identity, to a location, there is the spirituality of suffering, of fatigue, of pain that each devotee feels in dragging, lifting, carrying the object that is the union between him and sanctity. It is the same suffering, pain, fatigue that Sicilians feel in living in a land where water can become a luxury, where fire can descend from the mountain to destroy, where the earth, in an instant, can peel off houses, cities and entire towns. They are the same sensations of those who leave Sicily, of those who find themselves in other lands to become wealth and strength. It is the spirituality of those who have nothing, of workers, mothers, the unemployed, prisoners and of those who, despite having, recognize that the value of what they have is lacking, because it is something else that counts and marks life. It is the spirituality of those who pray with sweat, of those who humble themselves in fatigue, of those who offer the best of what they have in silence, in absolute dedication. It is the spirituality of the good thief who repents, of Simon of Cyrene who carries the cross in place of Christ, of the good Samaritan who helps a stranger of another faith. It is a spirituality that requires strength, courage, abandonment of oneself to follow what one believes in.
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piccolaaa3 · 4 months ago
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Riassunto della giornata :
* carica madre e padre in macchina, passa all'aci a pagare il bollo della macchina e del motorino
* passa al caseificio a comprare yogurt e formaggi vari
* passa in farmacia
* corri a casa a mettere via la spesa
* passa in ferramenta
* corri a casa perché padre sta male
* passa a prendere il pane con madre
* torna a casa, scarica madre e carica nuovamente padre perché vuole andare in edicola
* corri a casa che è arrivata l'amica trasferitasi a Praga un anno fa
* corri nella vecchia casa di tua zia per aiutarla a traslocare
* carica roba e corri alla nuova casa
* scarica e corri di nuovo alla casa vecchia
* carica ancora e corri alla casa nuova
* sistema tutto
* corri a casa a cucinare per padre che, Cristo santo, manco una pasta sa prepararsi da solo
E poi ti guarda e se ne esce con "ti vedo stanca, che succede?"
Ma va in mona.
Quasi quasi accetto l'offerta di amica sopra citata e mi trasferisco anche io a Praga a coltivare e vendere erba.
Quanto può essere difficile..? Mal che vada mi metto a vendere tiramisù per strada.
#me
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evolia7 · 2 months ago
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Maria Valtorta – Quaderni 1945-50 - 20 gennaio 1946: Anima mia, comprendi come nacque il Male? Dalla volontà libera, e rispettata tale da Dio, di uno che non era “tutto amore”.
Mentre lavoro d’ago, contemplo mentalmente la figura morale di Gesù Cristo. Penso che se potessi avere un quadro dipinto di Lui, secondo le mie indicazioni e perciò il più vicino possibile a quale era il suo Ss. Volto d’Uomo, vorrei fargli scrivere sotto una frase che fosse “tutto” ciò che era Gesù di Nazaret. Penso a “Venite a Me”, a “Io sono la Via – Verità – Vita”, a “Sono Io, non temete”. Ma sento che non è ancora ciò che l’anima mia vuole per indicare “il Cristo”.
S. Azaria mi parla:
«Gesù è il Compendio dell’amore dei Tre. Gesù è il Compendio di ciò che è la Ss. Trinità e Unità di Dio. È la Perfezione dei Tre compendiata in Uno solo. È l’infinita, multiforme Perfezione compendiata in Gesù. Un abisso di Perfezione davanti al quale si prostrano adorando le milizie celesti e le beate moltitudini del Paradiso. Un abisso di Amore che poté essere, e può essere, compreso e accettato solo da coloro che posseggono amore.
Onde qui si spiega come poté divenire Spirito del Male l’arcangelo che era spirito benigno e santo. Ma non santo al punto da esser tutto amore. È la misura dell’amore, che uno ha in sé, che dà la misura della sua perfezione e della sua refrattarietà ad ogni corruzione. Quando l’amore è completo, nulla più può entrare a corrompere. La molecola che non ama è breccia facile per l’infiltrarsi dei primi elementi che non sono amore. Ed essi sforzano, allargano e allagano e sommergono gli elementi buoni, fino ad ucciderli. Lucifero aveva una incompleta misura d’amore. Il compiacimento di sé occupava uno spazio in lui, uno spazio in cui non poteva essere amore. E fu la breccia per la quale entrò, rovinosa, la sua depravazione. Non poté, per essa, comprendere ed accettare il Cristo-Amore, Compendio dell’infinito, unico, trino Amore. E che al giorno attuale più sia vasta l’eresia che nega l’Umanità Divina della Seconda Persona e fa di Lui un semplice uomo buono e saggio, si spiega facilmente con questa chiave: la mancanza di amore nel cuore umano, l’incapacità di amore, la povertà del possesso d’amore.
Osserva, anima mia, che, sia nel tempo di Cristo come poi nella sua èra, due furono sempre i punti in cui più si impuntò l’intelletto protervo dell’uomo che non può credere se non è umile e se non è amoroso: che il Cristo fosse Dio e Uomo e facente azioni unicamente spirituali e per le quali fu odiato anche dai suoi più intimi e perciò tradito, e che abbia creato il Sacramento dell’Amore. Allora, ora, sempre, i “senza amore” ereticamente dissero e diranno che Dio non può essere in Gesù e che Gesù non può essere nella Ss. adorabile Eucarestia.
Perciò, anima mia, se avessi a fare scrivere una parola sotto l’effigie dell’Uomo-Dio, dovresti fare scrivere: “Io sono il Compendio dell’Amore”.»
E S. Azaria tace, adorando.
Che pace! Che pace in me, che luce, che sensazione di benessere mentale, di un pensiero che si acquieta per una risposta che lo persuade totalmente, si fanno durante e dopo la lezione angelica! Col mio tesoro chiudo il quaderno e torno al lavoro manuale mentre la mente contempla, appagata, la lezione avuta.
Rileggo più tardi, medito e mi impunto sulla frase: “Lucifero non santo al punto da essere tutto amore”. Nel concetto sublime che ho io degli angeli non riesco a capire come uno spirito quale è lo spirito che è angelo abbia potuto avere manchevolezze. È sempre stato un invincibile stupore il mio davanti al peccato degli angeli! E mai nessuno mi ha dato una spiegazione che mi persuadesse del come degli esseri spirituali, creati dal Volere perfetto di Dio, in un creato dal quale mancava l’elemento “Male” che ancora non si era formato, contemplanti l’eterna Perfezione, e quella sola, abbiano potuto peccare. Ora la frase: “…non santo da essere tutto amore” mi arresta, suscitando di nuovo il mio: “Come poté essere ciò?”.
S. Azaria mi dice:
«Gli angeli sono superiori agli uomini. Dico “uomini” per dire gli esseri così chiamati, composti di materia e di spirito. Allora siamo superiori noi, tutto spirito. Ma ricorda che quando nell’uomo vive la Grazia e circola il Sangue del Mistico Corpo il cui capo è Cristo, mentre i sette Sacramenti lo corroborano dalla nascita alla morte, per ogni stato e per ogni fase della vita, allora in voi, “templi vivi del Signore”, noi vediamo il Signore e adoriamo Egli in voi, e allora voi siete superiori a noi, “altri Cristi” siete, e avete ciò che è detto “Pane degli angeli” ma solo degli uomini è Pane. Mistica, insaziata fame d’Eucarestia che è in noi e che ci fa stringere a voi, quando di Essa vi nutrite, per sentire la fragranza divina di questo Cibo perfetto!
Ma, per tornare al punto iniziale, ti dico che negli angeli, diversi in natura e perfezione a voi, vi è, come in voi, libertà di volere. Dio nulla ha creato di schiavo. In origine nel Creato non era che Ordine. Ma l’Ordine non esclude la libertà. Anzi nell’Ordine è perfetta libertà. Nell’ordine non è neppure, ad essere costrittrice, la paura di un’invasione, di un’intrusione, di un’anarchia di altre volontà che possano produrre collisioni e rovine penetrando nell’orbita e nella traiettoria di altri esseri o cose create. Così era l’Universo tutto, prima che Lucifero abusasse della sua libertà e con volontà propria mettesse in sé disordine di passioni per creare disordine nell’Ordine perfetto. Se fosse stato tutto amore, non avrebbe avuto posto in sé per altro che non fosse amore. Invece ebbe posto per la superbia che potrebbe dirsi: il disordine dell’intelletto.
Dio avrebbe potuto impedire questo fatto? Sì. Ma perché violentare la volontà libera del bellissimo, intelligentissimo arcangelo? Non avrebbe allora Lui stesso, il Giustissimo, messo disordine nell’ordinato suo Pensiero, non più volendo ciò che prima aveva voluto, ossia la libertà dell’arcangelo? Dio non oppresse lo spirito turbato per metterlo con violenza nella impossibilità di peccare. Il suo non peccare non avrebbe avuto allora nessun merito. Anche per noi fu necessario il “saper volere il Bene” per continuare a meritare di godere la vista di Dio, Beatitudine infinita!
Dio, come aveva voluto al suo fianco nelle prime operazioni creative l’arcangelo sublime, e lo volle cognito del futuro della Creazione d’amore, così lo volle cognito dell’adorabile e dolorosa necessità che il suo peccato avrebbe imposto a Dio: l’Incarnazione e Morte di un Dio per controbilanciare la rovina del Peccato che si sarebbe creato se Lucifero non avesse vinto la superbia in se stesso. L’Amore non poteva che parlare questo linguaggio. Il primo annichilimento di Dio è in questo atto di voler piegare dolcemente il superbo, supplicandolo quasi, con la visione di ciò che la sua superbia avrebbe imposto a Dio, a non peccare, per portare altri a peccare.
Era atto di amore. Lucifero, già insatanassato, lo prese per paura, debolezza e affronto, per dichiarazione di guerra; e guerra mosse contro il Perfettissimo dicendo: “Tu sei? Io pure sono. Ciò che Tu hai fatto, per me l’hai fatto. Non c’è Dio. E se un Dio c’è, io sono. Io mi adoro. Io ti abborro. Io mi rifiuto di riconoscere chi non mi sa vincere per mio Signore. Non mi dovevi creare così perfetto se non volevi rivali. Ora io sono e ti sono contro. Vincimi, se puoi. Ma non ti temo. Io pure creerò; e per me tremerà il tuo Creato perché io lo scrollerò come brandello di nuvola presa dai venti, perché ti odio e voglio distruggere ciò che è tuo per creare sulle rovine ciò che sarà mio. Non conosco e non riconosco nessun’altra potenza all’infuori di me. E non adoro più, non adoro più, non adoro più altro che me stesso”.
Veramente allora nel Creato, in tutto il Creato, dall’imo al profondo, fu una convulsione orrenda per l’orrore delle sacrileghe parole. Una convulsione quale non sarà alla fine del Creato. E nacque da essa l’Inferno, il regno dell’Odio.
Anima mia, comprendi come nacque il Male? Dalla volontà libera, e rispettata tale da Dio, di uno che non era “tutto amore”. E credi che, su ogni colpa che d’allora è commessa, è questo giudizio: “Qui non è tutto amore”. L’amore completo interdice il peccare. E senza sforzo. Non fatica, chi ama, a raggiungere la giustizia! L’amore lo porta alto sopra tutti i fanghi e i pericoli, e lo purifica d’attimo in attimo delle imperfezioni appena apparenti che ancora ci sono nell’ultimo grado della santità consumata, in quello stato in cui lo spirito è così progredito da essere veramente re, già unito con spirituale connubbio al suo Signore, godendo di un sol grado meno ciò che è la vita dei beati in Cielo, tanto Dio si dona e si svela al suo figlio benedetto.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo.»
Fonte:
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elperegrinodedios · 1 year ago
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Non si è cristiani solo perchè si dice di essere nati di nuovo; si è cristiani, se si manifestano perchè si posseggono i frutti dello Spirito. Se dico di amare il prossimo ma odio mio fratello allora sono un bugiardo ipocrita e bestemmio contro lo Spirito Santo. E se manifesto bontà unita alla gioia solo quando sono con i fratelli, ma nel mio cuore dimora l'invidia per gli amici allora mento a me stesso sotto gli occhi di Dio. Se poi non riesco a perdonare un torto subìto, ma riesco a farlo solo a parole e non col cuore allora, la grazia del Signore non alberga in me.
=🕊=
Ti prego Signore, che io possa sempre godere di questi tuoi doni e manifestare di vero cuore tutti i frutti dello Spirito e fa Signore che come tu hai perdonato me possa io farlo con tutti. Ti prego Padre nel nome santo di Gesù. Amèn! 🤍
lan ✍️
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libriaco · 7 months ago
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La creazione del cane
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(La scena si apre sul Paradiso Terrestre. Ci sono piante lussureggianti, cascatelle d’acqua, ninfee, leoni, elefanti, caimani e zanzare. Sulla scena, in piedi, vicini l’una all’altro, Eva e Adamo.)
EVA: Adamo, hai portato fuori il cane? ADAMO (la guarda interrogativo): Cane, quale cane? EVA (comincia ad irritarsi): Il nostro cane! ADAMO (didascalico): Ma noi non abbiamo un cane! EVA (irritata): Tutti hanno un cane! ADAMO (come sopra): Ma se qui ci siamo solo tu ed io! EVA (come sopra): Ecco, sempre pronto a contraddirmi. Vuoi che litighiamo di nuovo? ADAMO (conciliante): Ma no, cara, non è per contraddirti, ma qui non c’è nessun cane. EVA (come sopra): Oh, ma va’ al diavolo! SERPENTE (scende serpeggiando giù dall'albero): Mi ha chiamato? EVA: Fila via, tu: entri solo al prossimo atto! SERPENTE: Ah, scusate (serpeggia sull'albero, mogio, mogio) EVA (ad Adamo): Hai visto? Hai messo scompiglio nel Giardino. Quello ha pure fatto l’entrata sbagliata, ora lo senti il Regista! DIO (svegliandosi): Eh? ADAMO: Cosa? EVA: Che dice? DIO: Meditavo e mi è parso di sentire invocare il mio nome ADAMO ed EVA (all’unisono): No, no. Continui pure a meditare. EVA (ad Adamo): Senti… ADAMO: Cosa c’è? EVA: Ma… e il cane? ADAMO: Ancora il cane? Quando ti metti in testa una cosa…. Sei proprio cocciuta: non abbiamo cani qui! EVA: Io lo voglio ADAMO (sconsolato): Già EVA (fa una bizza): Lo voglio, lo voglio, lo voglio! ADAMO (fa spallucce): Non ci posso fare niente, è colpa del Regista. DIO (si sveglia di nuovo): Eh? Che c’è? Mi si nomina ancora invano laggiù? EVA (sommessamente): No, è per il cane… DIO (che sa tutto): Quale cane? Non ci sono cani costì. ADAMO (gongolando, rivolto a Eva): Ecco, vedi, che ti dicevo! EVA (a bassa voce, rivolta ad Adamo): Sta invecchiando, allora: si è dimenticato di crearlo… DIO (che sente tutto): Mi sono dimenticato? EVA (umile): Ehm … sembrerebbe… DIO: Mah, ho perso la lista delle cose da fare, può darsi…. Non sono più attento come un tempo. (Rivolto a se stesso) Forse ho fatto male a crearlo, il Tempo, ma qui devo fare sempre tutto da solo, e qualche volta… ADAMO ed EVA (si guardano, scuotendo la testa, senza parlare) DIO (tuonando): Eccovi il cane! CANE (compare tra Adamo ed Eva, fa qualche passo, si avvicina all’Albero del Bene e del Male e fa pipì) SERPENTE: Attento, mi hai schizzato tutto! CANE: (sorride, compiaciuto)*. EVA: Adamo, questo cane non mi piace. ADAMO (rivolgendo lo sguardo in alto): Oh Santo Cielo! DIO, SERAFINI, CHERUBINI, TRONI, DOMINAZIONI, VIRTÙ, POTENZE, PRINCIPATI, ARCANGELI e ANGELI (in coro): Eh? Che c’è? ADAMO (fa un passo avanti sul proscenio): Qui non ne usciamo più. Vogliamo chiudere il sipario e passare al secondo atto?
(Cala il sipario)
[*] I cani sorridevano, nel Paradiso Terrestre. È da quando ne sono usciti che hanno smesso.
Ispirato ad Achille Campanile.
Immagine: Luca Cranach, particolare da: Paradiso Terrestre (1530)
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donaruz · 3 months ago
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E TUTTO IL RESTO.
Ci ritroveremo fra sette minuti, caro Nicola e rifaremo tutto da capo. Avevamo detto così, no? Tutto da capo, cristo santo, non vedo l’ora di tornare a Villafalletto, fra quei campi che profumano di olivi e vigneti e terra bagnata e zolle leggere. Roba che quando la tieni fra le mani non puoi fare meno di baciarla, ti viene voglia di amarla davvero, quella terra.
Quando me ne andai presi una manciata e la misi in tasca, è una roba strana da fare, lo so, ma volevo portarmi dietro un ricordo concreto mentre partivo per la maledetta America. Già, la maledetta America, uno se la immagina smisurata e felice e disposta ad amarti. Ci pensi e ti vedi in una casa da muri bianchi e il tetto rosso e spiovente, che deve essere proprio uno spettacolo quando viene Natale. E poi il giardino e la strada alla fine del prato, ma non quelle polverose di Cuneo, no, strade pulite e lisce e infinite. Uno se la immagina piena di possibilità, la maledetta America, una roba che di giorno fai un lavoro dignitoso e la sera te ne stai seduto nel portico a chiacchierare e a bere un vino strano e magari a fumarti una sigaretta e guardi dentro casa la luce oltre la finestra e pensi che forse te la sei meritata davvero quella felicità. Uno se la immagina come il posto ideale in cui mettere radici e incontrare una donna e costruirci insieme un figlio nuovo di zecca e sentire che quello è il migliore dei mondi possibile, è il mondo di quelli che vanno là e ci restano per sempre, perché quella è l’America, amico mio, la maledetta America.
Un giorno l’ho fatto, sono saltato su una nave e sono venuto qui, “La providence” si chiamava, il nome prometteva bene. Uno schifo di viaggio, onde che sembravano uscite dal culo dell’inferno, e noi giù in terza classe a vomitare l’anima, fra le valigie di cartone e i mocciosi con i calzoni corti e le gabbie con le galline e le donne a pregare e i mariti a tirare giù bestemmie come sassate. Che poi un paio di volte l’avevo visto, il mare, e non sembrava così insopportabile, ma qui era un’altra faccenda, qui si trattava del fottuto Atlantico, amico mio, e quello quando ci si mette sa essere davvero cattivo. Me l’aveva detto mio padre una volta: “Attento Trômlin che quell’oceano lì è un gran figlio di puttana”, mi disse così, una volta soltanto e quello fu l’unico tentativo che fece per trattenermi.
Era frenetica, era urlante, era grande, cristo santo se lo era, smisurata da non rendersi conto quanto avresti dovuto camminare per vederne la fine, era ruvida, era diffidente, era fredda. Era New York.
Avrebbero dovuto dircelo, prima di farci rischiare la pelle sul fottuto Atlantico, intendo, doveva venire qualcuno a spiegarci com’era davvero, la maledetta America. Dovevano dirci che se sbarchi da emigrante ti trattano da pezzente e ti smistano insieme alle gabbie delle galline e a tutto il resto. Ti parcheggiano lì e ti urlano contro e tu non capisci una parola e quelli urlano ancora di più e ti spintonando come a ricacciartela in gola la tua dignità. Dovevano dirci che no, non c’è niente da fare, se sbarchi da emigrante non c’è modo di uscire da quel sobborgo popolato da valigie di cartone e gabbie e galline. E pezzenti. Era questa, la maledetta America.
E ci ho provato, amico mio, a tirarmi fuori da quello schifo di sobborgo. Ho dormito per strada, cristo santo se l’ho fatto, con il treno della sopraelevata che mi sferragliava sulla testa e le macchine che neanche si fermavano e la gente che rispondeva e il freddo e il tram e la maledetta America. E tutto il resto.
Ci ho provato, ho servito ai tavoli della gente che sta bene, mi sono bruciato i polmoni nella cave e logorato le mani in quella fottuta fabbrica di cordami. Alla fine mi sono stancato di prendere spintoni, penso sia normale incazzarsi un po’ e ho scoperto di non essere l’unico e che potevamo fare qualcosa e poi ho incontrato te. E tutto il resto.
Ma questo posto non li sopporta i pezzenti che alzano la voce, qui devi stare al posto tuo, fare la tua parte e crepare senza disturbare nessuno. Avrebbero dovuto dircelo, amico mio, che qui vincono sempre loro, questi sono capaci di metterti in casa una rivoltella e convincere il mondo intero che sei un delinquente e che mesi prima hai ammazzato un tizio di una banca e devi pagarla cara. E tutto il resto.
Dovevano dircelo di non pensarci neanche alla dignità, che se provi a farti rispettare va a finire che qui qualcuno si indispettisce e si mette a starnazzare frasi cattive sugli stranieri, come se essere emigranti fosse una colpa. Dovevano dircelo che per sentirsi migliori un sistema l’avrebbero trovato e che saremmo finiti su questa fottuta sedia, a farci friggere come stronzi, per un crimine che neanche abbiamo capito bene quale sia. Il tizio della banca, hanno detto che siamo stati noi, mi pare di aver capito così, che poi neanche sappiamo dove sia quella diavolo di banca. Ma dice che questo non importa, siamo stati noi e dobbiamo pagarla cara e gli emigranti sono tutti delinquenti e l’America ha il diritto di dormire tranquilla e che questo è in assoluto il migliore dei mondi. La maledetta America.
Sono passati sette minuti caro Nicola e sto arrivando, hanno appena dato il segnale, sto tornando lì, fatti trovare pronto che dobbiamo fare tutto da capo. Con questa manciata di terra nella tasca che mi porto dietro da tutta la vita e il fottuto Atlantico e la maledetta America. E tutto il resto.
“Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico, ho sofferto perché sono un italiano, e davvero io sono un italiano. Se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”. (dal discorso di Bartolomeo Vanzetti prima di essere giustiziato sulla sedia elettrica a sette minuti di distanza da Nicola Sacco. Questo brano è per loro e per tutti quelli che sono calpestati).
Francesco Lollerini
23 Agosto 1927
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eliophilia · 1 hour ago
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Hybris 
Stava andando (quasi) tutto bene. Il giorno prima avevo messo dei selfie dove in effetti mi sentivo di nuovo carina dopo tanto tempo, visto che ultimamente stavo pensando solo a lavorare e basta, curandomi minimamente del mio aspetto, se non quel poco che bastava per andare in giro ogni giorno e mostrarmi alla gente. Stavo facendo tre lavori contemporaneamente e forse la seccia ha voluto punirmi pensando che stessi avendo troppe soddisfazioni, e infatti. Il giorno dopo un fulmine a ciel sereno, e quando dico “fulmine” immaginate proprio nel mio cervello il suono: BUMTRASHSTABADABUMDABUM. Perché così è stato.
Precisamente due mesi fa mostravo anche qui le mie perplessità sulla nuova scuola e su quanto avessi paura di come sarebbe andata dopo. A dir la verità successivamente la situazione si è stabilizzata, avevo la mia classe con le mie colleghe e andava tutto bene. Ora che trovo il coraggio di raccontarlo mi sembra tutto ancora più incredibile. Quando ad un certo punto, martedì per la precisione, la direttrice, anche se posso anche evitare di chiamarla così ormai perché non è più nessuno per me, mi chiama in ufficio e BELL E BUON ALL’INTRASATT mi licenzia. Lì per lì non ho capito molto perché la stronza (ops) me l’ha detto mentre stavo facendo lezione e sono caduta da un pero alto 800 metri. Mi dice che faccio troppe assenze e se “concede” giorni di festa a me poi deve concederle anche alle altre che glielo chiedono e lei non può permetterselo. Capite bene che già così sembra un discorso surreale per diversi motivi, che ora andiamo ad analizzare: 1. se pure avessi fatto delle assenze, le ferie sono concesse nel contratto dunque non dovrei giustificarmi di niente; 2. queste cosiddette assenze erano praticamente il lunedì e il mercoledì perché dovevo fare gli esami e lei lo sapeva benissimo da giugno che sono iscritta alla magistrale; 3. ho cercato di concentrare gli esami proprio in quella settimana in modo da non fare altre assenze proprio per non creare problemi (e chi cazz m’ha fatt fà di avere tutta questa accortezza); 4. devo fare altri due esami e poi ho pure finito; 5. quando mi assentavo non lasciavo la classe scoperta perché non ero la titolare, c’erano sempre altre due maestre ad occuparsene, quindi non creavo problemi a nessuno; 6. valeva lo stesso per le altre classi quindi, anche se altre maestre avessero chiesto dei giorni di permesso, non avrebbero creato alcun problema; 7. la cessa non mi aveva fatto ancora neanche il contratto quindi non doveva giustificare le assenze da nessuna parte visto che non cagavo il cazzo a nessuno né professionalmente né fiscalmente (questo l’ho saputo quel giorno stesso quando mi ha cacciato via). Devo andare avanti?  Quel giorno io volevo addirittura rimanere fino alla fine del mio orario di lavoro, se non avessi chiamato mia madre e se lei non mi avesse detto “torna a casa” io sarei pure rimasta lì come la cretina. E appena ho messo il piede fuori da quel cancello cos’è successo? Una maestra di un’altra classe stava al posto mio. Dunque il vero motivo qual è? Che questa maestra (di sostegno), che aveva perso il suo alunno perchè aveva cambiato scuola, non poteva andare a casa (sicuramente ha qualche santo in paradiso) e invece di mandare a casa lei che era lì da due settimane, ha pensato bene di cacciare via me.   L’umiliazione è stata scottante, quando sono salita sopra a raccontarlo alle mie colleghe, prima di andarmene, c’è stato un pianto generale, nostro e dei bambini. Alcuni sono andati anche via piangendo e le mamme hanno chiesto cosa fosse successo. Alcune mamme le conosco anche al di fuori della scuola e ho pensato di aver fatto una figura di merda assurda. Anche se la colpa non è mia, anche se è successo tutto all’improvviso, mi sono sentita portare via un pezzo. Come se non bastasse, la cessa ha messo pure in giro voci del tipo che rispondevo male agli alunni e se avesse continuato l’avrei pure denunciata. Già devo subire il fatto di essere stata cacciata per le troppe assenze che non esistono, ci mancava pure la diffamazione in un paese piccolo con tre scuole private in croce. 
Ho sbagliato tutto da quando me ne sono andata dalla vecchia scuola a giugno probabilmente, questa è stata la mia punizione per essere stata, per una volta troppo ambiziosa. Per voler uscire da un ambiente deleterio e voler cercare, nel mio piccolo, di insegnare invece di restare alle scuole materne? Ma che avrò fatto di male? È ancora questo il karma che mi porto dietro da quando la mia professoressa delle medie mi puntò e mi tormentò per tutti e tre anni di scuola? È successo di nuovo? Ma soprattutto... devo ricominciare tutto da capo?  Senza contare il fatto che mi guardano tutti con rassegnazione come per dire “Hai visto? Hai fallito di nuovo? Strano, non succedeva da troppo. Adesso che farai? Starai di nuovo tutto il giorno in casa a non fare nulla?” Per esempio, la mia amica stamattina: “Eh ma ormai a novembre è difficile che chiamino ancora qualcuno, le classi ormai sono fatte”, cosa che ovviamente penso anch’io ed è una delle mie maggiori preoccupazioni ora che sto mandando i curriculum a mezzo mondo, però sentirlo dire fa sempre un po’ più male.  Che devo fare? Cerco di non piangermi addosso e di aprirmi anche altre strade, così come ho sempre fatto, dato che le elementari comunque non mi davano punteggio e altrove non posso ancora insegnare. Cerco di non pensare di essere una fallita anche se mi brucia ancora quello che è successo, mi godo di nuovo lo svegliarsi senza sveglia (anche se ho un pappagallo quindi praticamente è uguale), cerco di occupare il tempo con quello che conosco, cercando quello che devo fare per il futuro, studio, leggo, scrivo, (faccio cose NON vedo gente), aspetto che torni il mio fidanzato che non vedo da più di un mese, cerco di non sbattere con la testa al muro e prendermela con tutti quelli che stanno avendo successo nella proprio vita.  E sto qua. A sentire freddo, a impigrirmi, senza un Coccolotto che profumi (non li ho trovati da nessuna parte, neanche dall’altra parte dell‘Italia), con un astuccio nuovo, una borsa nuova con delle spille nuove, un termos nuovo, una serie di cose nuove che ora non mi serviranno e sono durate quanto un gatto in tangenziale, a credere di non riuscire mai a trovare un posto nel mondo in cui mi apprezzino per quello che sono e dandomi la possibilità di esprimere a pieno tutte le mie capacità (perché le ho e sono pure parecchie), e a pensare che neanche ultimamente è uscito un singolo adatto per poter piangere sopra tutte le mie lacrime. 
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fridagentileschi · 10 months ago
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I dieci danni che ci lasciò il '68
Mezzo secolo fa l'arroganza del (presunto) contropotere generò la dittatura chiamata "politicamente corretto"
Sono passati cinquant'anni dal '68 ma gli effetti di quella nube tossica così mitizzata si vedono ancora. Li riassumo in dieci eredità che sono poi il referto del nostro oggi.
SFASCISTA Per cominciare, il '68 lasciò una formidabile carica distruttiva: l'ebbrezza di demolire o cupio dissolvi, il pensiero negativo, il desiderio di decostruire, il Gran Rifiuto.
Basta, No, fuori, via, anti, rabbia, contro, furono le parole chiave, esclamative dell'epoca. Il potere destituente. Non a caso si chiamò Contestazione globale perché fu la globalizzazione destruens, l'affermazione di sé tramite la negazione del contesto, del sistema, delle istituzioni, dell'arte e della storia. Lo sfascismo diventò poi il nuovo collante sociale in forma di protesta, imprecazione, invettiva, e infine di antipolitica. Viviamo tra le macerie dello sfascismo.
PARRICIDA La rivolta del '68 ebbe un Nemico Assoluto, il Padre. Inteso come pater familias, come patriarcato, come patria, come Santo Padre, come Padrone, come docente, come autorità. Il '68 fu il movimento del parricidio gioioso, la festa per l'uccisione simbolica del padre e di chi ne fa le veci. Ogni autorità perse autorevolezza e credibilità, l'educazione fu rigettata come costrizione, la tradizione fu respinta come mistificazione, la vecchiaia fu ridicolizzata come rancida e retrò, il vecchio perse aura e rispetto e si fece ingombro, intralcio, ramo secco. Grottesca eredità se si considera che oggi viviamo in una società di vecchi. Il giovanilismo di allora era comprensibile, il giovanilismo in una società anziana è ridicolo e penoso nel suo autolesionismo e nei suoi camuffamenti.
INFANTILE Di contro, il '68 scatenò la sindrome del Bambino Perenne, giocoso e irresponsabile. Che nel nome della sua creatività e del suo genio, decretato per autoacclamazione, rifiuta le responsabilità del futuro, oltre che quelle del passato. La società senza padre diventò società senza figli; ecco la generazione dei figli permanenti, autocreati e autogestiti che non abdicano alla loro adolescenza per far spazio ai bambini veri. Peter Pan si fa egocentrico e narcisista. Il collettivismo originario del '68 diventò soggettivismo puerile, emozionale con relativo culto dell'Io. La denatalità, l'aborto e l'oltraggio alla vecchiaia trovano qui il loro alibi.
ARROGANTE che fa rima con ignorante. Ognuno in virtù della sua età e del suo ruolo di Contestatore si sentiva in diritto di giudicare il mondo e il sapere, nel nome di un'ignoranza costituente, rivoluzionaria. Il '68 sciolse il nesso tra diritti e doveri, tra desideri e sacrifici, tra libertà e limiti, tra meriti e risultati, tra responsabilità e potere, oltre che tra giovani e vecchi, tra sesso e procreazione, tra storia e natura, tra l'ebbrezza effimera della rottura e la gioia delle cose durevoli.
ESTREMISTA Dopo il '68 vennero gli anni di piombo, le violenze, il terrorismo. Non fu uno sbocco automatico e globale del '68 ma uno dei suoi esiti più significativi. L'arroganza di quel clima si cristallizzò in prevaricazione e aggressione verso chi non si conformava al nuovo conformismo radicale. Dal '68 derivò l'onda estremista che si abbeverò di modelli esotici: la Cina di Mao, il Vietnam di Ho-Chi-Minh, la Cuba di Castro e Che Guevara, l'Africa e il Black power. Il '68 fu la scuola dell'obbligo della rivolta; poi i più decisi scelsero i licei della violenza, fino al master in terrorismo. Il '68 non lasciò eventi memorabili ma avvelenò il clima, non produsse rivoluzioni politiche o economiche ma mutazioni di costume e di mentalità.
TOSSICO Un altro versante del '68 preferì alle canne fumanti delle P38 le canne fumate e anche peggio. Ai carnivori della violenza politica si affiancarono così gli erbivori della droga. Il filone hippy e la cultura radical, preesistenti al '68, si incontrarono con l'onda permissiva e trasgressiva del Movimento e prese fuoco con l'hashish, l'lsd e altri allucinogeni. Lasciò una lunga scia di disadattati, dipendenti, disperati. L'ideologia notturna del '68 fu dionisiaca, fondata sulla libertà sfrenata, sulla trasgressione illimitata, sul bere, fumare, bucarsi, far notte e sesso libero. Anche questo non fu l'esito principale del '68 ma una diramazione minore o uscita laterale.
CONFORMISTA L'esito principale del '68, la sua eredità maggiore, fu l'affermazione dello spirito radical, cinico e neoborghese. Il '68 si era presentato come rivoluzione antiborghese e anticapitalista ma alla fine lavorò al servizio della nuova borghesia, non più familista, cristiana e patriottica, e del nuovo capitale globale, finanziario. Attaccarono la tradizione che non era alleata del potere capitalistico ma era l'ultimo argine al suo dilagare. Così i credenti, i connazionali, i cittadini furono ridotti a consumatori, gaudenti e single. Il '68 spostò la rivoluzione sul privato, nella sfera sessuale e famigliare, nei rapporti tra le generazioni, nel lessico e nei costumi.
RIDUTTIVO Il '68 trascinò ogni storia, religione, scienza e pensiero nel tribunale del presente. Tutto venne ridotto all'attualità, perfino i classici venivano rigettati o accettati se attualizzabili, se parlavano al presente in modo adeguato. Era l'unico criterio di valore. Questa gigantesca riduzione all'attualità, alterata dalle lenti ideologiche, ha generato il presentismo, la rimozione della storia, la dimenticanza del passato; e poi la perdita del futuro, nel culto immediato dell'odierno, tribunale supremo per giudicare ogni tempo, ogni evento e ogni storia.
NEOBIGOTTO Conseguenza diretta fu la nascita e lo sviluppo del Politically correct, il bigottismo radical e progressista a tutela dei nuovi totem e dei nuovi tabù. Antifascismo, antirazzismo, antisessismo, tutela di gay, neri, svantaggiati. Il '68 era nato come rivolta contro l'ipocrisia parruccona dei benpensanti per un linguaggio franco e sboccato; ma col lessico politicamente corretto trionfò la nuova ipocrisia. Fallita la rivoluzione sociale, il '68 ripiegò sulla rivoluzione lessicale: non potendo cambiare la realtà e la natura ne cambiò i nomi, occultò la realtà o la vide sotto un altro punto di vista. Fallita l'etica si rivalsero sull'etichetta. Il p.c. è il rococò del '68.
SMISURATO Cosa lascia infine il '68? L'apologia dello sconfinamento in ogni campo. Sconfinano i popoli, i sessi, i luoghi. Si rompono gli argini, si perdono i limiti e le frontiere, il senso della misura e della norma, unica garanzia che la libertà non sconfini nel caos, la mia sfera invade la tua. Lo sconfinamento, che i greci temevano come hybris, la passione per l'illimitato, per la mutazione incessante; la natura soggiace ai desideri, la realtà stuprata dall'utopia, il sogno e la fantasia che pretendono di cancellare la vita vera e le sue imperfezioni... Questi sono i danni (e altri ce ne sarebbero), ma non ci sono pregi, eredità positive del '68? Certo, le conquiste femminili, i diritti civili e del lavoro, la sensibilità ambientale, l'effervescenza del clima e altro... Ma i pregi ve li diranno in tanti. Io vi ho raccontato l'altra faccia in ombra del '68. Noi, per dirla con un autore che piaceva ai sessantottini, Bertolt Brecht, ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati. Alla fine, i trasgressivi siamo noi.
Marcello Veneziani
Editorialista del Tempo, sul '68 ha scritto Rovesciare il '68 (Mondadori, anche in Oscar, 2008)
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camilleisback · 9 months ago
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Zlatan è bellissimo, meraviglioso, un santo, un angelo, ha sempre ragione, non ha mai sbagliato niente, un cucciolo di foca, il nuovo padre Pio
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aki1975 · 9 months ago
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Napoli - Francesco Laurana - Maschio Angioino - Arco trionfale - 1479
Fondata dai Greci di Cuma, i sovrani che nei secoli si sono susseguiti sul trono di Napoli sono stati:
i Normanni:
- Ruggero I d’Altavilla conquistò la Sicilia nel 1091;
- Ruggero II (1130 - 1154): fu il primo re di una Sicilia multietnica e multireligiosa avendo accorpato in un unico regno tutti i possedimenti normanni nell’Italia Meridionale conquistando Napoli nel 1137;
- Guglielmo I (1154 - 1166)
- Guglielmo II (1166 - 1189): eresse il Duomo di Monreale;
- Tancredi (1189 - 1194)
- Guglielmo III (1194)
- Costanza d’Altavilla (1194 - 1197)
gli Svevi:
- Federico II (1198 - 1250) Stupor Mundi: a Napoli istituì l’università nel 1224;
- Corrado (1250 - 1254): dovette confrontarsi con il potere del fratellastro Manfredi;
- Corradino (1254 - 1258): fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e fatto imprigionare a Castel dell’Ovo e decapitare da Carlo d’Angiò nella piazza del mercato a Napoli, poi sepolto nella vicina Chiesa del Carmine. La dinastia degli Svevi scomparve con la morte di Manfredi nel 1266.
gli Angioini:
- Carlo I (1266 - 1285): fratello di Luigi IX il Re Santo, Conte d’Anjou, ricevette in vassallaggio la Sicilia e Napoli dal Papa che difese dagli Hohenstaufen. Edificò il Maschio Angioino, con uno stile che richiama il castello di Avignone, nel 1282;
- Carlo II (1285 - 1309): dovette rinunciare al trono di Sicilia dopo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1302;
- Roberto I (1309 - 1343): figlio di Maria d’Ungheria sepolta nella Chiesa di Donnaregina, fu apprezzato da Petrarca e amante della cultura e delle lettere;
- Giovanna I (1343 - 1382): fu fatta assassinare dal ramo di Durazzo degli angioini e le succedette
- Carlo (1382 - 1386)
- Ladislao (1386 - 1414)
- Giovanna II (1414 - 1435)
- Renato I (1435 - 1442)
gli Aragonesi:
- Alfonso I d’Aragona (1442 - 1458): sconfisse Renato d’Angiò e unì il tono di Napoli a quello di Sicilia e ai possedimenti della Sardegna e della Spagna occidentale. Combattè contro Milano e Genova e dotò il Maschio Angioino dell’attuale arco di trionfo;
- Ferdinando I detto Ferrante (1458 - 1494): all’inizio del suo regno dovette fronteggiare la rivolta angioina e successivamente sedò la rivolta dei baroni e si alleò con gli Sforza contro il re di Francia Carlo VIII d’Angiò. Del suo tempo la Chiesa del Gesù Nuovo;
- Alfonso II: sposò Ippolita Maria Sforza, ma dovette abdicare a causa della calata di Carlo VIII;
- Ferrandino (1494 - 1496)
- Federico I (1496 - 1503) durante il cui regno vi fu la conquista e poi la cacciata di Luigi XII re di Francia;
- Ferdinando III (1504 - 1516) dopo il quale il Regno di Napoli fu incluso in quello di Spagna prima sotto la casata degli Asburgo (con la breve parentesi della Repubblica di Masaniello fra il 1647 e il 1648) poi sotto quella dei Borbone (1700 - 1713) ed ancora sotto quella degli Asburgo d’Austria (1713 - 1734).
i Borboni:
- Carlo I (1734 - 1759): già Duca di Parma, conquistò e riunificò il Regno delle Due Sicilie anche grazie alla madre Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna, che da Madrid influenzò la prima parte del suo regno. Riformò con Bernardo Tanucci l’amministrazione, promosse la musica (fondò il Teatro di San Carlo nella patria di Paisiello e Pergolesi), l’arte (promosse la ceramica di Capodimonte, fece costruire al Vanvitelli la reggia di Caserta del 1751 e quella che oggi è Piazza Dante oltre alla Reggia di Capodimonte dove installò la collezione Farnese) e sostenne gli scavi a Pompei ed Ercolano che iniziarono nel 1738);
- Ferdinando (1759 - 1799 e 1816 - 1825): sposò una figlia di Maria Teresa d’Austria, Maria Carolina che lo allontanò dall’influenza spagnola di Bernardo Tanucci, promosse la Marina Militare (nel 1787 fu fondata la Nunziatella), ma dovette subire una rivoluzione filo-francese (Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, …) nel 1799 contrastata dal Cardinale Ruffo e da Fra Diavolo e la conquista napoleonica che insediò Giuseppe Bonaparte dal 1806 al 1808 e Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 prima di diventare, con il Congresso di Vienna, Re delle Due Sicilie ed essere sepolto al Monastero di Santa Chiara;
- Francesco (1825 - 1830)
- Ferdinando II (1830 - 1859): fondò la prima ferrovia d’Italia (1839), ma fu reazionario e soprannominato il Re Bomba per come represse i moti rivoluzionari del 1848 a Messina;
- Francesco II (1859 - 1861): era figlio di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia e sposò la sorella di Sissi, Maria Sofia di Baviera.
Con l’Unità, Napoli confluì nel Regno d’Italia: ecco perché la statua di Vittorio Emanuele II è presente a Palazzo Reale.
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pettirosso1959 · 2 months ago
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Data la pigritia che m'assale, e m'attinge, ora che la Stagione ripone il sole a dormire più frettamente che d'estate, e questo m'immalinconisce recando seco anche un aggravamento della mia indole oblomoviana, invece che fare un Santodelgiorno nuovo, ne ripropongo - come la peperonata - uno vecchio, tanto il calendario quello è. ========================================= Il Santo del giorno, Rubrica pastorale con ascendente scorpione.
Oggi la Chiesa Cattolica Romana celebra due fenomeni insieme, tipo 3x2, ossia S. Cipriano Vescovo e S. Cornelio lui invece Papa perchè aveva più aderenze dove conta.
Cipriano era di Cartagine. Era un retore, che dio solo sa che cazzo significhi, ma fece carriera lesto, nonostante le persecuzioni di Decio, Valeriano, Gallieno, Rosmarino, Timo, Alloro ed altri Odori che non ricordo, ma tu fai cuocere lento, poi copri. Molti cadevano e rinnegavano, ma alcuni poi chiedevano la riammissione, e Cipriano la dava spesso (come sua sorella, Cipriana, fai te la rima) nonostante si opponessero i rigoristi, tra i quali Totti e Benzema.
Vita simile quella di Cornelio, anche lui osteggiato dai rigoristi, ed in particolare Novaziano, che poi con Costantino Vitaliano e Daniele Interrante andarono dalla De Filippi (da cui il detto: "Ci rivedremo alla De Filippi).
Fatto sta che morirono, e questa incredibile circostanza in comune ha portato quei fantasiosi di Roma a celebrarli insieme.
Nella foto, trovata chissàddove, i due protomartiri ritratti al Carnevale di Viareggio vestiti da razzi che poi volano in cielo rapidi e immacolati. Luigi Del Pacchia.
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kon-igi · 2 years ago
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Com'è che diceva Forrest Gump? Ah, sì... sarei anche un po' stanchino 🥲
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ilpianistasultetto · 1 year ago
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LETTERINA
"Cara Befana, e. p. c. Babbo Natale-
non Vi prendete collera, ma per il prossimo anno ho deciso di scrivere la letterina a PNRR. Ne parlano tutti, anche i grandi, io non so chi sia di preciso questo signore, ma sembra che sia più magico di voi. Tutti lo aspettano, in televisione non parlano di altro, e se anche il Presidente della Repubblica ci crede, allora significa che PNRR esiste veramente!
Voi mi avete sempre portato dei bellissimi regali e non mi posso lamentare, ma per il prossimo anno voglio qualcosa di più importante. Ho la nonna che non sta tanto bene, e sembra che PNRR possa fare miracoli per la Sanità italiana. Anche mio zio Giuseppe che bestemmia sempre perché ogni volta che piove si allaga tutta la strada, spera che PNRR possa aggiustare tutto.
Spero che PNRR possa far riscrescere tutti gli alberi intorno al mio quartiere e anche i capelli a zio Mario, e rimettere l'acqua nel laghetto che oggi e pieno d'immondizia!
Cara Befana e caro Babbo Natale, non vi dovete offendere, se proprio ci tenete portatemi un regalo a piacere, ma al mio futuro ci pensa PNRR, lo dicono anche quelli seduti nelle poltrone in televisione. Mi è sembrato di capire che un giorno scenderà dal cielo, magari sarà un nuovo Santo, perchè una volta anche il Papa lo ha nominato.
Grazie per tutto quello che avete fatto per grandi e piccini, adesso vi potete riposare, ci pensa PNRR.
Vi voglio bene".
@ilpianistasultetto
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elperegrinodedios · 8 months ago
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"Che cosa c'è tra me e te, o donna?".
Ai più, sembrerebbe una risposta irriverente se data a sua madre specialmente in pubblico, ma non è cosi. Secondo le abitudini del linguaggio dell'epoca donna indicava rispetto, tenerezza e dal termine latino significava signora. Del resto Gesù non fu mai irrispettoso neppure con quelli che gli si avvicinavano per tentarlo o anche per corromperlo. Ha avuto sempre rispetto per tutti e si può ben comprendere dunque come usasse le parole con chiunque. Che donna fosse poi un termine d'uso in quel tempo lo si ricava dal fatto che Gesù lo usò anche con la donna adultera:
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"Donna, dove sono i tuoi accusatori?" poi con la Maddalena: "Donna, perchè piangi? Chi cerchi?" e di nuovo con sua madre, ai piedi della croce... : "Donna, ecco tuo figlio". (📖 Gv. 8:10 -- 20:15 -- 19:26) Avere poi preferito "donna" e non "madre" in tale occasione, significava che il loro rapporto per quel che era la sua missione messianica non poteva dipendere da "carne e sangue" (madre e figlio), ma unicamente, dalla sovrana volontà di Dio. A te la gloria, a te l'onore e la magnificenza, la maestà e la potenza, nei secoli dei secoli. 🤍
Grazie per il perdono Signore e grazie per averci liberato dalla schiavitù del peccato. Grazie per la tua misericordia per averci salvato pagando con la tua vita. Grazie Padre nel nome santo di Gesù.
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Amèn!
lan ✍️
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