#guerre di religione
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Dio non esiste e la fede in un essere superiore è illogica, sbagliata e potenzialmente mortale, come millenni di guerre di religione e la recente minaccia globale del terrorismo fondamentalista islamico, oltre alla guerra in Palestina, dimostrano ampiamente; ogni religione condivide lo stesso errore fondamentale, vale a dire l'illusoria credenza nell'esistenza di dio, e, con essa, la pericolosa sicurezza di conoscere una verità indiscutibile perché sacra.
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Gesù gli disse: "Io sono la via, la
verità e la vita, nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me".
Amèn!
Se non credi che Gesù sia il Figlio di Dio, allora non credi in Dio e se pensi che la salvezza puoi trovarla attraverso la chiesa e la religione allora non sarai mai salvo. Si, perchè la vera chiesa di Cristo sono i credenti, i fedeli, siamo noi, come pietre viventi, su di Lui, che è la pietra angolare.
Nè la chiesa cattolica (che venera e prega più la madonna che Dio e recita il rosario, la cantilena a memoria, sonnecchiando) nè la religione (che è la vera causa dell'odio, delle divisioni e di tutte le guerre) potrà mai salvarti. Dice il Signore: "Chi crede nel Figlio ha vita eterna chi non ubbidisce al Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio dimora su di lui". La verità è scritta nelle Sacre Scritture e non nelle regole, nei precetti o nei dogmi degli uomini di qualsiasi religione. Tutte le divisioni, le diverse denominazioni come cattolici (che è una religione parallela) o battisti o pentecostali ecc... le ha inventate l'uomo con tutta la sua ipocrisia.
C'è salvezza fuori dalla chiesa, ma, non fuori dal Cristo. Così relazione e non religione, spiritualità e non religiosità. Cosi è, cosi sia. Amèn e Amèn!
Gv. 3:36 📖
lan ✍️
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IL PARADOSSO DEL TOTALITARISMO
di Andrea Zhok
Da tempo la strategia narrativa neoliberale, di matrice angloamericana, passa attraverso due mosse:
1) il tentativo di definire il mondo liberale come l’unico mondo possibile, per cui, nel lungo periodo non c’è alternativa (da Fukuyama alla Thatcher), e 2) il tentativo di sussumere tutte le forme di vita, tutte le organizzazioni politiche e tutti gli impianti culturali che pretendono di non ridursi al paradigma liberale come “illiberali-e-dunque-totalitari”.
Finiscono così nel calderone degli “illiberali-e-dunque-totalitari” ogni religione che pretenda di essere più che fatto privato (es.: l’Islam), tutti i paesi che pretendono di mantenere sovranità senza genuflettersi all’impero americano (Cina, Russia, Iran, Corea del Nord ma poi anche, a seconda di come girano i governi, Cuba, Venezuela, Bielorussia, Ungheria, Serbia, Sudafrica, ecc.), e poi tutte le ideologie che hanno storicamente rigettato l’impianto liberale (socialismo/comunismo in primis, conservatorismi pre-liberali dove esistono, e nella modesta misura in cui hanno elaborato una teoria, i fascismi tra le due guerre).
Naturalmente gli elementi che compaiono in questo calderone presentano, a chi voglia prendersi la briga di guardarli da vicino, una miriade di soluzioni politiche, istituzionali e culturali diverse, ma questo per la narrazione neoliberale è irrilevante: su di essi ricade la scomunica dell’“illiberalità-e-dunque-totalitarismo”.
Ci si ritrova così con il seguente quadro, altamente ironico, per cui il liberalismo, l’unica ideologia che si pretende l’ultima e definitiva verità della storia, da estendersi in forma planetaria, denuncia tutte le altre culture e soluzioni politiche della storia come “totalitarie”.
✅In sostanza l’unica cultura che oggi ha pretese realisticamente totalitarie denuncia tutti gli altri come totalitari.
E siccome in una visione totalitaria, ciò che appartiene alla propria ortodossia è per definizione il Bene, le società liberali (oggi neoliberali) riescono con perfetta serenità e buona coscienza a prodursi in spettacolari doppiopesismi, in un profluvio di doppi standard, perché i nostri delitti sono errori contingenti, i vostri ignobili abiezioni, i nostri massacri sono danni collaterali, i vostri espressione di malvagità innata, le nostre proteste interne sono tafferugli di minoranze ingrate, le vostre sono manifestazione popolare di un anelito alla libertà, ecc. ecc.
La denuncia neoliberale di “tutti i totalitarismi” è la perfetta esemplificazione del proverbiale bue che dà del cornuto all’asino.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA POTENZA DELL'IMMAGINE
Forse in pochi ne sono al corrente: a Vibo Valentia è custodita, nella casa comunale e precisamente nella stanza di rappresentanza del Sindaco, un dipinto di pregevole fattura e di notevole rilevanza storico-artistica.
Si tratta del "San Sebastiano" ascritto al pittore messinese Gian Simone Comandé (1558 - 1630) per attribuzione dello storico dell’arte calabrese e ricercatore insigne, Mario Panarello, nel suo corposo contributo al saggio “I dipinti e gli inventari di Francia e altri inediti documenti per il collezionismo nella Calabria del Settecento e dell’Ottocento: Cosenza e Vibo Valentia”.
Come rammentato dallo studioso, il quadro si rivela analogo a “una nota iconografia del Sodoma (Antonio Bazzi, 1477 - 1549), oggi nella Galleria Palatina di Firenze” meglio conosciuta come Palazzo Pitti.
Il raffronto della tela "vibonese" con l'opera assai celebre del "Sodoma" è impressionante: non si tratta di mimesi ma di una comparazione interpretativa "a distanza".
Il "Martirio di San Sebastiano" (risalente al 1525 - 1527) è, in realtà, un gonfalone per le processioni, richiesto al famoso artista di origine vercellese naturalizzato senese (ritratto nella Scuola di Atene accanto allo stesso Raffaello) dalla Compagnia di San Sebastiano in Camollia della città toscana.
Il potere salvifico della rappresentazione era dunque molto sentito: un'icona, una sorta di talismano, un'immagine dalla potenza guaritrice.
L'opera del Comandé apparteneva invece alla Chiesa del Carmine a Vibo Valentia, dove prima insisteva, appunto, la Chiesa di San Sebastiano e la confraternita del santo: “In essa chiesa antichissima - scrive Bisogni - c’era dipinta l’immagine di S. Sebastiano di Simone Comandia siciliano”.
Probabilmente anche quest'immagine doveva rivestire un valore di fede intenso e diffuso: non a caso, nei pressi della chiesa sorgeva (esistente tuttora) il caratteristico borgo denominato San Sebastiano nel centro storico della città.
Premesse fatte a richiamo sommario del significato che accomuna le due immagini.
Ora si tratta adesso di confrontarne la "potenza" nell'impatto sull'osservatore.
E qui l'allievo, a mio parere, supera il maestro: non ho dubbi che la tela del Comandé (fotografata magistralmente dal Maestro Tonio Verilio) s'innalzi a un livello di pathos molto più profondo, vissuto nella consapevolezza del martirio e in un'angosciata fede ormai piena e intensa.
Possiede già il nimbo, al contrario ancora tra le mani dell'angelo nel dipinto del Sodoma.
Ma quel che più conta è lo sfondo: il San Sebastiano di Vibo è opera che risente più marcatamente della lezione vinciana, delle apocalissi che sorgono alla vista per consumare il tempo delle cose create, dell'invisibile che cela l'archè, la forza primigenia, la terra strappata al suo manto di luce per essere gettata nella desolazione della materia.
Nella tela del Sodoma, la natura benigna e il mondo degli esseri umani proseguono il loro corso immemori del sacrificio.
Qui l'evento assume connotazione epocale.
Lì il corpo attende lo spirito.
Qui il corpo è già spirito.
È già Chiesa.
La matrice, nonostante la vicinanza mimetica, è divergente: l'opera del Sodoma appartiene a una storia ancora ingenua dei catastrofici mutamenti che devasteranno l'Europa delle guerre di religione, pur trovandosi sulla soglia del "Sacco di Roma", non può prevederne le conseguenze; il dipinto del Comandé, allievo del "Veronese" che dipinse una strepitosa "Ultima cena", risale alla fine del '500 inizi del '600, in piena controriforma tridentina (1545-1563) mentre già agisce il Caravaggio e il Barocco sta per avvitarsi sulle spoglie di un confuso Manierismo.
Immagine potente, evocativa, consapevole.
Non è la morte il destino immediato del martire trafitto dalle frecce: egli patirà la violenza brutale che l'ucciderà proprio per essere sopravvissuto al primo atto crudele.
Ma quella guarigione imprevista rimane il segno dell'impossibile, la rinascita oltre ogni drammatica condizione, la forza che respinse il motto rinascimentale albertiano, vinciano e infine machiavelliano del "tamquam Christus non esset", "come se Cristo non fosse mai stato".
No, il cristianesimo riemerge dalle sue paludi cinquecentesche per confermare la regola benedettina: "Omnes supervenientes hospites tamquam Christus suscipiantur", "Lasciamo che tutti gli ospiti che vengono siano ricevuti come Cristo".
Questo, forse, è il significato più autentico del San Sebastiano di Vibo Valentia.
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Alcuni filosofi sostengono che l'idea di dio sia innata nell'uomo, ma la filosofia non è una scienza: non si configura come una scienza nel senso empirico del termine; la filosofia si basa su ragionamenti e deduzioni SENZA esperimenti e osservazioni dirette. Le argomentazioni filosofiche sull'esistenza di dio non si fondano su principi razionali e concettuali e nemmeno su evidenze scientifiche, pertanto non hanno alcun valore.
Rispondere alla teologia con la filosofia è un atto di ignoranza, poiché non è una strategia intellettuale valida; la filosofia non è una scienza, pertanto non offre strumenti per analizzare le affermazioni teologiche. Le questioni morali sollevate dalla teologia possono essere esplorate solo attraverso una lente scientifica, permettendo una comprensione più profonda delle implicazioni etiche SBAGLIATE presenti nelle credenze religiose.
dio è una illusione
La fede è un prodotto di processi evolutivi; la comprensione dell'evoluzione porta logicamente all'ateismo.
Le credenze religiose possono essere spiegate attraverso la psicologia evolutiva; la ridotta capacità cognitiva di un soggetto porta al pensiero religioso.
#fate#cartomanti#astrologi#trattato#pseudoscienze#prova#dio non esiste#Un tempo ero ateo#trucco#apologeti della religione#credibilità#truffatori#Sono ateo MA#finti intellettuali#fede#credenti#buffoni#credere nella credenza#evoluzione#processi evolutivi#logica#capacità cognitiva#psicologia evolutiva#dio è una illusione#pensiero religioso#giardino#douglas adams#guerre di religione#illogico#mortale
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E' da tempo che la religione attende di essere annoverata nei manuali medici come malattia mentale: non so proprio cosa stia aspettando la Scienza per fare questo passo storico importante affinché cessi pure l'odio sociale causato dall'indottrinamento religioso: indottrinamento (fanatismo) che anche oggi porta solo a guerre - come quella condotta da Israele contro i palestinesi.
𝗙𝗶𝗻𝗰𝗵𝗲́ 𝘀𝗮𝗿𝗮̀ 𝗰𝗼𝗻𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗿𝗲𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗱 𝗮𝗺𝗶𝗰𝗶 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗮𝗿𝗶, 𝗹𝗮 𝗣𝗮𝗰𝗲, 𝗼𝘃𝘂𝗻𝗾𝘂𝗲, 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗹𝗲 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗲 𝗰𝗮𝘀𝗲, 𝗻𝗼𝗻 𝗮𝗿𝗿𝗶𝘃𝗲𝗿𝗮̀.
Ogni volta che sento una campana cristiana suonare, ad ogni rintocco urlo: porcoddio ! porcamadonna ! dioporco ! madonnaputtana ! ovunque io sia, per riconoscere ed esprimere il Diritto all'esistenza di un Contraddittorio in uno Spazio Pubblico.
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È opaca la denominazione dello Stato, definito ebraico pur essendo abitato per oltre il 25 per cento da non ebrei (arabo-palestinesi musulmani e cristiani, cristiani non arabi, drusi, beduini, ecc.). È opaca la formula che descrive Israele come “unica democrazia in Medio Oriente”, perché la democrazia non si concilia con l’occupazione coloniale o l’assedio dei palestinesi. È opaca la forza militare di Israele, che dagli anni 60 dispone di un armamento atomico senza mai ammetterlo. Secondo il giornalista Seymour Hersh, Tel Aviv ha già minacciato una volta l’uso dell’atomica, nella Guerra del Kippur del 1973 (The Samson Option, 1991).
Ma più opaca di tutte le politiche è l’esistenza di una lobby sionista estremamente danarosa e attiva – soprattutto in Usa e Regno Unito – che fin dalla nascita dello Stato di Israele sostiene le sue politiche di colonizzazione, e che oggi appoggia l’ennesimo tentativo di svuotare la Palestina dei suoi abitanti. Si dice che Netanyahu sta spianando Gaza e attaccando anche la Cisgiordania solo per restare al potere, senza un piano per il futuro. Quasi un anno è passato dalla strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre, e una rettifica si impone. È vero che Netanyahu teme di perdere il potere, ma un piano ce l’ha: la pulizia etnica in Palestina.
La lobby sionista ha istituzioni secolari negli Stati Uniti e Gran Bretagna e filiali ovunque. Influenza i giornali e li monitora, finanzia i politici amici. Denuncia regolarmente l’antisemitismo in aumento, mescolando antisemitismo vero e opposizione alle guerre di Israele. Nei Paesi europei operano vari gruppi di pressione tra cui l’Ong Elnet (European Leadership Network).
È chiamata a volte lobby ebraica, ma con l’ebraismo non ha niente a che vedere. Ha a che vedere con il sionismo, che è una corrente politica dell’ebraismo e che dopo molti conflitti interni ha finito col pervertire la religione. È nata nella seconda metà dell’800 e culminata nei testi e negli atti fondatori di Theodor Herzl e Chaim Weizmann. Per il sionismo politico, l’ebraismo non è una religione ma una nazione, uno Stato militarizzato, edificato in Palestina con uno slogan che falsificando la realtà era per forza bellicoso: la Palestina era “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, data da Dio agli ebrei per sempre. Secondo il filosofo Yeshayahu Leibowitz, che intervistai nel 1991, Israele era preda di un “nazionalismo tendenzialmente fascista”. Non stupisce che Netanyahu e i suoi ministri razzisti si alleino oggi alle estreme destre in Europa e Usa.
Non tutti gli ebrei approvarono la ridefinizione della propria religione come nazione e Stato. In parte perché consapevoli che la Palestina non era disabitata, in parte perché la lealtà assoluta allo Stato israeliano imposta dalla corrente sionista esponeva gli ebrei della diaspora a sospetti di doppia lealtà.
Indispensabile per capire questa fusione tra religione e Stato militarizzato è l’ultimo libro di Ilan Pappe (Lobbying for Zionism on Both Sides of the Atlantic, 2024). Lo storico racconta, proseguendo lo studio di John Mearsheimer e Stephen Walt sulla lobby (2007), la nascita del sionismo nella seconda metà dell’800, e cita fra gli iniziatori le sette messianiche evangelicali negli Stati Uniti. Sono loro che con più zelo promossero e motivarono il movimento sionista. L’idea-guida del sionismo millenarista è che Israele ha un diritto divino a catturare l’intera Palestina. Se il piano si realizza, giungerà o tornerà il Messia. Questo univa nell’800 sionisti ebrei e cristiani. C’era tuttavia un tranello insidioso: per i sionisti cristiani, il Messia arriva a condizione che gli ebrei alla fine si convertano in massa al cristianesimo.
Il sionismo colonizzatore è oggi in difficoltà. “Non in mio nome”, è scritto sugli striscioni degli ebrei che manifestano contro la nuova Nakba (“Catastrofe”, in arabo) che il governo Netanyahu infligge a Gaza come nel 1948. E che infligge in Cisgiordania dal 28 agosto.
Ciononostante i governi occidentali accettano l’equiparazione fra antisemitismo e antisionismo, per timore delle denigrazioni e manipolazioni della lobby. Quasi tutti hanno fatto propria la “definizione operativa” dell’antisemitismo adottata nel 2016 dall’International Holocaust Remembrance Alliance (cosiddetta Definizione IRHA, legalmente non vincolante). Tra gli esempi indicati, l’antisionismo e le critiche di Israele. Il governo Conte-2 si è allineato nel gennaio 2020.
Difficile in queste condizioni monitorare e combattere l’antisemitismo. L’unica cosa certa è che la politica di Israele non solo svuota la Palestina e crea nuove generazioni di resistenti più che mai agguerriti, non solo rende vano l’appello ai “due popoli due Stati”, ma mette in pericolo gli ebrei in tutto il mondo. Nel lungo termine può condurre Israele stesso al collasso.
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Parlavano a voce molto alta quando dicevano che le loro leggi erano fatte per tutti; ma presto capimmo che, sebbene si aspettassero da noi il rispetto della legge, infrangerla per loro era normale. Ci ordinarono di non bere whisky, ma erano essi stessi a fabbricarlo e a vendercelo in cambio di pellicce e pelli, fino a quando non ne rimasero quasi più. I loro Saggi dissero che potevamo adottare la loro religione, ma quando cercammo di comprenderla ci rendemmo conto che i bianchi avevano troppe religioni differenti, e che raramente due di loro erano d’accordo su quale fosse quella giusta da seguire. Questo ci confuse molto finché capimmo che l’uomo bianco non considera la propria religione più seriamente delle leggi, tenendole entrambe dietro di sé, come aiutanti, per usarle quando possono fargli comodo nei rapporti con gli stranieri. Questi non erano i nostri modi. Mantenemmo le leggi che noi avevamo fatto e praticammo la nostra religione.
E posso andare avanti a raccontare di guerre e di furti di cavalli. Ma quando non ci furono più bisonti, il cuore del mio popolo cadde a terra e non si alzò mai più. Dopo, non accadde più niente.
Se una cosa è buona prendetela. Se è cattiva, lasciatela perdere.
Molti Colpi o Trofei Capo Apasaroka\e (Crow)
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Ci sono donne che non hanno diritto a un'istruzione, a un lavoro, che non possono scegliere il compagno/a da amare oppure non possono lasciare il marito che qualcuno ha scelto per loro e che ne è diventato il padrone. Donne che non possono disporre della loro vita. Vivono in Afghanistan, Iran, Siria, Arabia Saudita e altri cento paesi in tutto il mondo. Sopravvivono, anzi. Ci sono donne vittime degli uomini, picchiate, uccise, violentate, considerate proprietà, "tu sei mia", talmente plagiate e sottomesse da confondere la violenza con l'amore. E questo succede nel mondo occidentale, ma un po' di più nel nostro Paese patriarcale, maschilista e gerontocratico. In Europa, in Italia soprattutto, ci sono donne che hanno in mano il potere e non fanno niente per le altre donne, anzi provano a riportarle indietro in quanto mogli madri e donne di casa, sono donne potenti ma quando qualcuno le attacca sul merito si difendono dicendosi discriminate in quanto donne, e lo dicono protette da guardie del corpo. Alle prime auguro di avere la forza per continuare a lottare e finalmente debellare un mondo e una religione che le vuole prigioniere. Alle seconde auguro di riuscire ad imparare dalle prime il coraggio per ribellarsi e riprendere in mano le loro vite. Alle ultime invece auguro di andare a visitare più spesso le persone che fuggono da guerre, carestie e persecuzioni, persone che hanno perso tutto, persino una speranza per il futuro, e non andare soltanto a dispiacersi davanti alle bambole di pezza dei bambini morti sotto le bombe russe. Si sporchino le mani e i vestiti di quelle persone, non spargano lacrime di coccodrillo davanti ai peluche.
Ecco, questo è il mio pensiero per un 8 marzo a due facce, diviso tra donne preoccupate che chiedono ai follower quale smalto abbinare alla borsa (non lo so, sto vagheggiando) o che si lamentano di non trovare posto il sabato sera al jappo dopo una settimana di lavoro duro e donne che vedono morire i propri bambini tra le braccia affamati, annegati o mutilati dalle bombe. Ognuna ha i suoi dolori, non intendo assolutamente criticare chi ha il privilegio di avere problemi più risolvibili, alcune hanno solo la colpa di essere nate dalla parte sbagliata del mondo.
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Non esistono guerre mosse da atei; un'ideologia politica dittatoriale (come comunismo o nazismo o fascismo) è identica ad una religione, perché i militanti si comportano come fedeli di un ideale e da subordinati ad un capo: non sono per nulla liberi pensatori (cioè atei), ma una setta.
Gli avvenimenti storici erroneamente legati all'ateismo che vedono come protagonisti Unione Sovietica, Albania, Germania e Cina sono fenomeni religiosi e non razionali.
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Written in my own heart’s blood
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Spoiler Season 7/b episode 15
I start the episode thinking: I already know what happens, I’ve read and re-read the novel, I know what happens, it can’t affect me! Or can it?
The episode begins with a series of flashbacks from past battles, wars won and lost. There’s a bit of rhetoric in this, but the flashbacks are beautiful, and then there’s Jamie and Claire. Even here, the rhetoric isn’t lacking, but we know that in the later books, Jamie becomes more reflective, giving voice to his inner struggles, to the pain that only leaves him when he’s in Claire’s arms. We also know their love is infinite and transcends the boundaries of time and the universe. Ellen’s memory and her child are deeply moving. What’s missing in these scenes, though, is a bit of the passion we know never faded between Jamie and Claire.
Then the battle erupts, bringing us face to face with the inevitable, with what we knew was coming, and… nothing! There’s a striking difference between reading a scene and seeing it: you don’t just feel the characters’ pain—you can see it, and it’s heart-wrenching. I have to say that everything in these moments was done masterfully. I appreciated that, overall, the adaptation stayed true to DG’s writing—from the shooting to Jamie’s resignation (a detail I had been eagerly waiting to see because it struck me so much in the novel)—and then the despair, the whispered prayers, and Danny’s providential intervention. The performances were outstanding, with Sam delivering an incredibly intense portrayal. ♥️
As I eagerly wait to see how everything unfolds in the next episode, I remain puzzled by the development of the story between Will and Jane. While I appreciated the scene where Will is freed from the Hessians, Ian’s intelligence in not letting religion cloud his judgment (war is war—you either don’t fight or, if you do, you fight to the end), and Lord John’s touching sermon to his son, I’m left wondering how this storyline will evolve. Who will help William? I couldn’t accept anything different from what was written. This moment is a key redemption arc for Jamie in Will’s eyes—they can’t have changed it!
The moments with Roger and Buck were also wonderful, and I don’t know if you noticed, but when they arrive at Lallybroch, Brian, wearing a kilt and white shirt, is doing exactly what young Jamie was doing when the redcoats arrive at the very beginning. A beautiful parallel that I really appreciated.
The disappearance of Bree and the children was spectacular. Mandy is an unstoppable force.
An episode I ended up loving much more than I thought I would at the start—truly remarkable, brilliantly acted, and well-directed.
Inizio l’episodio e penso: so già cosa succede, ho letto e riletto il romanzo, lo so cosa succede, non può colpirmi! O no?!
Si parte con una serie di flashback sulle battaglie passate, sulle guerre vinte e quelle perdute, c’è un po’ di retorica in questo ma i flashback sono belli e poi ci sono loro Jamie e Claire. Anche qui non manca la retorica ma noi sappiamo che negli ultimi libri Jamie si fa riflessivo e da voce alle sue guerre interiori al dolore che lo abbandona solo tra le braccia di Claire e sappiamo anche che il loro amore è infinito e vive anche oltre i confini del tempo e dell’universo. Commovente il ricordo di Ellen e del suo bambino. Quello che manca in queste scene è un po’ di passione che sappiamo non essersi mai spenta tra Jamie e Claire. Poi la battaglia esplode e ci porta di fronte all’ inevitabile, ciò che sapevamo sarebbe accaduto e niente! C’è una bella differenza tra una scena letta e una scena vista non senti solo il dolore dei protagonisti lo puoi anche vedere ed è straziante. Devo dire che tutto in questi momenti è stato fatto magistralmente, ho apprezzato che in linea generale si siano attenuti a quanto scritto da DG, dalla sparatoria alle dimissioni di Jamie (particolare che aspettavo di vedere perché mi aveva molto colpito nel romanzo) e poi la disperazione, le preghiere sussurrate, l’intervento provvidenziale di Danny. Grande interpretazione di tutti e davvero intenso Sam. ♥️
In attesa di vedere come tutto proseguirà nel prossimo episodio sono rimasta perplessa dal l’evoluzione della storia tra Will e Jane. Pur avendo apprezzato la scena della liberazione di Will dagli Assiani, l’intelligenza di Ian nel non lasciarsi fuorviare dalla religione nei suoi giudizi (la guerra è guerra o non la combatti o se lo fai lo devi fare fino in fondo) e la bella predica di Lord John al figlio mi rimane il dubbio su come si evolverà la questione. Chi aiuterà William? Non potrei accettare qualcosa di diverso rispetto a ciò che è stato scritto. Questo passaggio è un po’ il riscatto di Jamie agli occhi di Will, non possono averlo cambiato!
Belli anche i momenti di Roger con Buck e non so se avete notato che quando arrivano a Lallybroch, Brian, in kilt e camicia bianca , sta facendo esattamente quello che faceva il giovane Jamie quando arrivano le giubbe rosse, all’inizio di tutto. Bella analogia che ho molto apprezzato.
Spettacolare la sparizione di Bree e dei bambini. Mandy è una forza della natura.
Un episodio che mi è piaciuto molto più di quanto avrei pensato all’inizio, davvero molto bello, bravissimi gli attori, e ben girato.
#sam heughan#outlander#jamie fraser#outlanderedit#diana gabaldon#official#outlander season 7b#outlander series#outlander starz#outlander books#charles vandervaart#david barry#sassenach#Spotify
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With her book The Return of Martin Guerre (1983), the historian Natalie Zemon Davis, who has died aged 94, attracted a wide readership and inspired future historians. It came out of working as a historical consultant on a film of the same name released the previous year, starring Gérard Depardieu and Nathalie Baye, and directed by Daniel Vigne.
Martin Guerre, a peasant farmer in the 16th-century Pyrenees, left his wife Bertrande to go on a journey, only to have his marital role usurped by an impostor who “returned” pretending to be him. After some years of cohabitation, Bertrande denounced the impostor, her testimony seemingly confirmed by the return of the real Martin Guerre. The impostor was duly tried and executed.
The film-makers’ questions about period detail and behaviour intrigued Davis. But other aspects of the movie genre troubled her, so she went back to the archives and wrote up her own compact account of 120 pages.
A gripping narrative and a lesson in method, Davis’s book raised questions about the reliability of evidence and the motives and worldviews of peasant men and women from a faraway place and time. It is an example of a microhistory, where historians turn away from the big canvas of kings, queens and battles to understand ordinary lives, often through a highly localised case study.
The Return of Martin Guerre was one of a series of works including Society and Culture in Early Modern France (1975), Fiction in the Archives (1987), Women on the Margins (1995) and The Gift in Sixteenth-Century France (2000). Davis’s trademark was the longer essay or biographical study, often focused on marginal or misunderstood personalities, all spiced with a sharp attention to issues of religion, gender, sex, class, money and power. Historical records for her were never dull: she once described them as “a magic thread that links me to people long since dead and with situations that have crumbled to dust”.
Born in Detroit, Natalie was the daughter of Helen (nee Lamport) and Julian Zemon, a textile trader, both children of east European Jewish immigrants to the US. While studying at Smith College, Massachusetts, at the age of 19 she fell in love with Chandler Davis, a brilliant mathematician and socialist activist; they married in 1948 and went on to have a son and two daughters. Her first degree, from Smith (1949), was followed by a master’s at Radcliffe College (1950).
Her life with Davis was productive and fulfilling but also complicated her early career, as his principled stances against McCarthy-era restrictions on political expression led to both him and her being barred from a number of posts, and from travelling abroad. This she needed to do for her doctorate on 16th-century France.
After finally gaining her PhD at Michigan University in 1959, Davis went on to hold positions at Toronto, moved in 1971 to the University of California, Berkeley, where she was appointed professor, and in 1978 to Princeton, retiring in 1996. She became only the second woman to serve as president of the American Historical Association (1987), and the first to serve as Eastman professor at Oxford (1994). In 2012 she was appointed Companion of the Order of Canada, and in the US was awarded a National Humanities Medal.
Davis helped establish programmes in women’s studies and taught courses on history and film. Her AHA presidential address, History’s Two Bodies (1988), summed up her thinking about gender in history. It was also the first such address to be printed with illustrations. Her book Slaves on Screen (2002) was one of the first in-depth treatments of this topic by a professional historian.
In her last two books, Davis returned to the exploration of mixed identities. Trickster Travels (2006) was about the 16th-century scholar Leo Africanus, whose complicated Jewish and Muslim roots in North Africa she expertly unpicked. Listening to the Languages of the People (2022) focused on the 19th-century scholar Lazare Sainéan, a Romanian-Jewish folklorist and lexicographer who published one of the world’s first serious studies of Yiddish, but had to abandon his Romanian homeland for Paris in 1901.
At the time of her death, Davis was completing a study of slave families in colonial Suriname: it is hoped this will appear under the announced title of Braided Histories. In this way she continued to explore unconventional topics, going against the grain of Eurocentric history and looking instead at the boundaries of identity and belonging in very different settings.
Visiting many universities and research centres in her retirement, Davis encouraged younger scholars by conveying the potential of history to inspire empathy and hope for change. While at my own institution, the University of Amsterdam, in 2016, she made it her main aim to talk to students rather than to other professors. In 2022-23 she presented her latest work in online seminars, and wrote and corresponded actively until shortly before her death from cancer.
Chandler died in 2022. Natalie is survived by her three children, Aaron, Hannah and Simone; four grandchildren; three great-grandchildren; and a brother, Stanley.
🔔 Natalie Zemon Davis, historian, born 8 November 1928; died 21 October 2023
Daily inspiration. Discover more photos at Just for Books…?
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Non so, guerre di religione, giubilei, un generico terrore verso l'Altro... fa tutto molto medioevo, fratelli e sorelle.
#mi è capitato di vedere brevemente il tg1 che intervistava i pellegrini e alcuni erano convinti che l'apocalisse fosse imminente#anche se non la mettevano in questi esatti termini la vibe era quella#historia
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Paolo Mattia
STORIA DI UNA TERRA CONTESA
Geografia, politica e religione nel conflitto israelo-palestinese
Tornato all’apice delle cronache mondiali con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e la successiva e massiccia offensiva israeliana su Gaza, il conflitto israelo-palestinese ha radici profonde e pochissime prospettive di soluzione. Ma come si è giunti a questo punto?
Il presente saggio – attraverso una narrazione agile e completa – ripercorre le tappe di un lungo e complesso percorso: dall’antichità al terzo millennio, attraverso migrazioni e scontri diretti, patti traditi e azioni diplomatiche, guerre cruente e stragi feroci, colonizzazioni e resistenze, sogni infranti e vendette giurate. Un excursus che attraversa la geopolitica del Medio Oriente, le evoluzioni interne ai due schieramenti, il ruolo dell’Italia e dei Paesi arabi, l’influenza americana e la natura del sionismo. Tra azioni militari, operazioni d’intelligence, svolte politiche e identità confessionali, la drammatica storia della terra di Palestina è affrontata senza filtri e con dovizia di dettagli, aneddoti e curiosità.
Un viaggio che unisce storia, politica e religione, scavando nell’abisso di un odio che risale alla notte dei tempi e che arriva ai giorni nostri senza apparire minimamente invecchiato.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Prossimo Sanremo se diretto da Pino Insegno:
In gara solo uomini etero bianchi
Le donne ammesse alla gara solo se sposate con almeno 5 figli per risollevare la natalità del popolo italico, soprattutto cristiane
Gli outfit assolutamente in total black
Le canzoni devono avere nel testo almeno una delle seguenti parole: pro vita, Italia, patria, famiglia, religione, treni in orario
Esclusi automaticamente i cantanti italiani il cui albero genealogico non è in toto italiano per almeno tre generazioni
Divieto assoluto di parlare di diritti, immigrazione, guerre (le guerre solo quelle approvate e giuste secondo il comitato)
Alle donne niente fiori, ma libri sulla maternità
Agli uomini niente fiori, non scherziamo, ma giuramento di fedeltà all'italica penisola
Il regolamento subirà delle aggiunte mano a mano
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Il mio dolore più grande, è quello che dopo aver studiato per 25 anni le scritture conosciuto tutta la storia di questo popolo fino dalle origini, dopo aver calpestato questa terra e dopo aver visitato questi luoghi durante i miei tre cammini in Terra Santa da Nazareth, Gerusalemme, Betlemme le terre dove è nato, vissuto, testimoniato e morto Gesù, ancora oggi si sparge sangue d'innocenti. E questo purtroppo, non finirà mai fino alla fine dei tempi. Religione certo, ma anche dittatura e bramosia, egoismo, ricchezza e vanità. Pensare che ormai quasi tutta la Palestina è musulmana e cosi è insieme agli ebrei per Israele. Io lo so, io l'ho visto con i miei occhi e ho toccato con mani che ormai i cristiani rimasti, sono soltanto i frati che gestiscono i luoghi sacri o parte di essi cosi come la Basilica del Santo Sepolcro.
Tra una bomba ed un'altra, un'attentato e l'altro, tra una strage di innocenti ed un'altra, alla fine rimane sempre il fatto che, un solo popolo, con lo stesso sangue, combatte contro i suoi fratelli.
No, non è soltanto una disputa e una guerra tra Israele e Palestina bensì, una situazione che di fatto coinvolge l'intera umanità ed il silenzio o il non prendere posizione in merito, ci rende tutti complici. Da parte mia l'uomo, cosi come fa fin dal principio (Caino con Abele) potrebbe anche continuare ad uccidersi l'un l'altro tanto è la sua natura, ma che a pagarne le spese e a versare il sangue siano bambini innocenti e le loro madri, questo no, questo è l'abominio che toccherà la pupilla di Dio che a suo tempo farà giustizia. 💧
Queste sono due foto che scattai durante il mio ultimo cammino in Terra Santa. Basta quella in alto, per capire quanto loro stessi sappiano che stanno combattendo una guerra fratricida. Una guerra non religiosa dicono loro, ma politica nel nome d'una propria indipendenza e di una reale autonomia. Due muli che vogliono andare per la loro via in direzioni diverse ma che non possono perchè legati dalla loro stessa natura e origine e dallo stesso sangue. Questa foto del murales, si trova sulla parete di un edificio, diviso in due dal muro di confine dalla parte di Gerusalemme e in pratica divide Israele e Palestina. Tale murales è stato di grande impatto su di me. Mentre l'altro in basso invece si trova (come si può vedere) sul muro stesso alto sette metri che segna proprio il confine tra Betlemme e Gerusalemme che dista nove km. Il leone che divora la colomba e siamo sempre all'interno della Palestina. Un anziano di quei luoghi mi raccontò che il muro al momento della costruzione, non ha avuto nessun riguardo e ha di fatto separato intere famiglie che si sono ritrovate già dal giorno dopo, ad essere cittadini palestinesi se erano nativi israeliani e, viceversa.
Uno scempio!!! Come possiamo girarci dall'altra parte? Come può questo mondo infame restare a guardare, senza almeno restarne indignato?!?!
Si spacciano dittature per democrazie contando sull'ignoranza e, sul menefreghismo del popolo, basti vedere chi tiene e tira i fili in queste guerre più conosciute, come Israele e Palestina, Russia e Ucraina o anche nel Congo. Noi non possiamo fare nulla, ma sappiamo scrivere e spargere foto e lamenti e preghiere e lacrime di condanna e di orrore. Abbiamo potere, lasciamo le cose futili e condividiamo le sofferenze ed il dolore, di quelle madri e di quelle povere anime innocenti, che la sola colpa che hanno è quella di essere nati. 💔
lan ✍️🙏
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