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Supermercati e digitale. Con Gabriele Gobbo e Matteo Pappalardo - 205
In questa puntata di FvgTech, Gabriele Gobbo ospita Matteo Pappalardo per discutere di un tema quotidiano e familiare a tutti: il supermercato. La conversazione esplorerà come la grande distribuzione organizzata (GDO) si intreccia con il mondo digitale, analizzando sia gli aspetti aziendali e organizzativi, sia l’esperienza della clientela. Si parlerà dell’evoluzione del marketing nella GDO,…
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A Mario mancano tre anni alla pensione, da 35 è impiegato nella grande distribuzione, in un supermercato Pam di Corso Svizzera a Torino.
A un certo punto la vita comincia a precipitare: il mutuo di casa schizza alle stelle, sua moglie si ammala. Mario stringe i denti, dà fondo ai risparmi. Ma con questi lavori mica metti in banca milioni e i risparmi finiscono presto.
Un giorno perde la testa, sono parole sue, e ruba sei uova e una scamorza affumicata dagli scaffali del supermercato, gli stessi che aveva riempito e su cui aveva vigilato per tanti anni. Lo beccano subito perché lui non è un ladro di professione, è solo un uomo disperato e affamato. Appena viene sorpreso con la scamorza nel sacco, ammette tutto e chiede scusa: “Ho sbagliato, ma vivo una situazione privata ed economica al limite del sostenibile. Non è una giustificazione, solo una spiegazione”.
All’azienda le scuse e la mortificazione non bastano. Il licenziamento in tronco arriva per raccomandata: “Appare particolarmente grave che lei abbia deliberatamente prelevato dagli scaffali di vendita alcune referenze per un valore complessivo di 7,05 euro e sia poi uscito dal negozio senza provvedere al pagamento delle stesse. Le scuse da lei fornite non possono giustificare in alcun modo l’addebito contestato. Considerati violati gli obblighi generali di correttezza, diligenza e buona fede, ritenuto venuto meno l’elemento fiduciario, avendo abusato della sua posizione all’interno dell’organizzazione a proprio indebito vantaggio e a danno della società, le comunichiamo la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa”.
I sindacati, giudicando la misura del licenziamento sproporzionata, hanno fatto ricorso.
Anche Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, ruba un mezzo pane e per tutta la vita viene inseguito da Javert, il poliziotto che diventerà il simbolo universale della giustizia ottusa e, appunto, sproporzionata.
Ma questi sono gli aggettivi della burocrazia e dei tribunali, abbiamo bisogno di altre parole per capire un sistema disumano, che si basa su uno schiavismo legalizzato che (anche) nella grande distribuzione trova terreno fertile.
Questo sistema feroce – in cui si sono polverizzate le reti sociali (in un alimentari a gestione familiare la vicenda di Mario sarebbe andata a finire nello stesso modo?) e milioni di individui sono esposti alle intemperie del mercato – è pensato a discapito della maggioranza e a vantaggio dei pochi che si spartiscono le ricchezze del mondo, con l’avallo dei governi.
Il nostro, nonostante una situazione di crescente, paurosa povertà, ha abolito il Reddito di cittadinanza anche grazie a un’indegna campagna di stampa portata avanti dai principali giornali italiani per conto di lorsignori.
In un bel libro appena uscito per Einaudi, Antologia degli sconfitti, Niccolò Zancan mette in fila le storie dei nuovi Valjean: nella discesa agli inferi dell’emarginazione gli apre la porta Egle, un’anziana signora che fruga nell’immondizia del mercato di Porta Palazzo, in cerca di verdura per fare il minestrone. Ma nella vita di prima c’erano state una casa, una famiglia, le vacanze a Loano sulla 500. Poi si è ritrovata a vivere con la pensione di reversibilità del marito e la dignità perduta in un cassonetto della spazzatura.
In questo atlante della disperazione c’è tutto il catalogo degli emarginati: un padre separato, un senzacasa che dorme in auto, un cassintegrato, prostitute, migranti, rider. E un ladro di mance che viene licenziato come Mario. L’aiuto cuoco gli dice: “Da te non me lo sarei mai aspettato”. E lui gli risponde, umiliato, “nemmeno io”.
Invece è tutto prevedibile e ha un nome semplice: si chiama povertà. Dei poveri però non frega niente a nessuno, incredibilmente nemmeno dei lavoratori poveri: sono solo numeri nelle statistiche dell’Istat.
Finché non rubano sei uova e una scamorza.
(Silvia Truzzi, FQ 29 febbraio 2024) da Tranchida.
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Questi giorni non si parla d'altro che di blocchi stradali degli agricoltori, bloccano strade perche' i guadagni sono ridotti al lumicino viste alcune normative europee, aumenti di carburante, di mangimi e anche la fine di esenzione IRPEF. Sono imbufaliti perche' i loro prodotti gli vengono pagati pochissimo e rivenduti a tantissimo. Eh, gli agricoltori.. Mi riviene in mente mia Zia Maria, sposata con quello che poi divenne mio zio Mario. Furono gli unici della parentela fino al terzo grado a rimanere su quelle colline ascolane a fare gli agricoltori. Trent'anni di agricoltura campando con i loro pochi prodotti, con qualche contributo annuale dello Stato, zero tasse e contributi previdenziali figurativi ovvero, non si pagavano contributi ma risultavano come pagati ai fini pensionistici, questo prevedevano ( e prevedono ancora) certe leggi proprio a tutela di chi rimaneva o entrava nel mondo dell'agricoltura. Poi, e' arrivato il momento della pensione ( a 60anni). Sui 900 euro lui e 900 lei. Poi e' arrivato il momento dell'invalidita' civile per mio zio Mario e dopo qualche anno anche per mia zia Maria, 400 euro cadauno. Perche' racconto tutto questo? Semplice! Due persone che per una vita intera non hanno mai versato una lira di tasse ma che hanno usufruito di sanita' per loro, scuole per i figli, di pensioni e da qualche anno di casa di cura. Insomma, sembra brutto quantificare ma direi una cifra importante. Sapete, di agricoltori come i miei zii ce ne sono migliaia di migliaia nel nostro Paese e tutti nelle loro stesse condizioni. Sono quelli che adesso bloccano le strade per lanciare il loro grido di dolore, pronti a marciare su Roma. Manifestano contro chi, nel bene e nel male li sostiene da 70anni e non un fiato contro chi gli impone i prezzi, contro i grossisti e la grande distribuzione, quelli che gli tengono il cappio intorno al collo. Gente che applaude e vota convintamente chi stravede per il libero mercato ma..non per loro, non per loro. Loro vogliono le massime tutele possibili, il libero mercato va bene per tutti gli altri. Inutile dire che sto dalla parte degli agricoltori ma solo di quelli consapevoli, non dei furbetti o degli sciocchi, quelli che protestano sbagliando bersaglio. Non si puo' battere le mani a chi racconta le bellezze del capitalismo e poi lagnarsi quando si viene chiamati a pagare il conto. Non ci si puo' spellare le mani a favore di chi butta miliardi e miliardi di euro per sostenere le guerre dei potenti prepotenti e poi, un domani, lagnarsi perche' si e' invasi dal grano ucraino. Non si puo' votare chi promette "mai patrimoniali' per i grandi capitali e poi lagnarsi che mancano gli aiuti all'agricoltura. Quella parte, per me, puo' andare tranquillamente a fanculo e mi resta difficile dare loro solidarieta'.
@ilpianistasultetto
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Storia Di Musica #340 - INXS, Kick, 1987
La band di oggi, a metà anni '80, era tra le più famose del mondo. Ma credo che anche all'epoca pochissima sapessero che il nucleo centrale di questo gruppo australiano fosse formato da tre fratelli. tutto inizia a Perth, nel 1979: i fratelli Farris, Tim, Andrew e Jon che avevano già un gruppo dal nome, inequivocabile, di The Farris Brothers, aggiungono al nucleo fondativo Kirk Pengilly, Garry Beers e un cantante, amico di liceo di Tim, Michael Hutchens. Si spostano a Sydney, dove cambiano nome in INXS ( da leggere come "In Excess") dove ottengono un contratto con una piccola etichetta indipendente, la Deluxe, con cui pubblicano il primo singolo, Simple Simon. Erano gli anni della pulizia dal rumore del punk, dell'arrivo della elettronica "dolce" e della new wave. È in questo solco che la band si muove, ma si apre in maniera piuttosto originale al funk e a piccoli innesti dance. All'inizio concentrano le energie nella nativa Australia, dove ottengono un buon successo con il loro primo disco, del 1980, intitolato INXS, che si ripete nel 1981 con Underneath The Colours, con la prima hit, una cover di un classico della musica australiana coverizzato, The Loved One, successo del 1966 dei The Loved Ones. Nel 1982 tentano il grande salto. Vanno in Inghilterra, dove li scrittura la WEA e la Atlantic li distribuisce negli Stati Uniti. Shabooh Shoobah del 1982 ha il primo singolo di successo mondiale, Don't Change, e il seguente tour internazionale al seguito di The Kinks e Adam And the Ants li fa conoscere in mezzo mondo. Nel 1984 ancora maggiore successo ottiene The Swing, trascinato dal singolo Original Sin, prodotto da Nile Rodgers. Il successo è sempre crescente: nel 1985 partecipano da Sydney al Live Aid, nel 1986 suonano con i Queen alla Royal Albert Hall, Hutchens addirittura esordisce come attore protagonista in Dogs In Space, film che lo vede interpretare Sam, il frontman avvezzo alla sostanze di una band post punk nel 1978 a Melbourne.
Dopo un tour lunghissimo, e con il management che ne programma uno nuovo in Europa, la band torna in studio. Guidati dal produttore Chris Thomas, uno dei grandi produttori inglesi (a lavoro con The Beatles, Pink Floyd, Procol Harum, Roxy Music, Badfinger, Elton John, Paul McCartney, Pete Townshend, Pulp, The Pretenders) le prime prove avvengono addirittura nella spettacolare Sydney Opera House. Il suono è più maturo, gli innesti da altri generi eclettici, i riff invidiabili e la voce di Hutchens è ormai una garanzia. Thomas però vorrebbe più canzoni, anche in previsione dell'atteso e imminente tour europeo, quindi manda Hutchens e Andrew Farris a Honk Kong, dove i due acquistarono un appartamento. Un giorno, mentre è in attesa di un taxi, a Andrew viene in mente una melodia, proprio mentre il taxi è arrivato. Chiede al tassista di aspettarlo cinque minuti, ma lui sale nel suo appartamento, scrive e registra i demo di una canzone, la riporta sulla cassetta e 45 minuti dopo, nonostante la furiosa cazziata del tassista, la porta a Hutchens che lo aspettava in un bar, e in dieci minuti ne scrive il testo, per quello che sarà il singolo di apertura, e hit mondiale, del nuovo disco.
Kick esce il 19 ottobre del 1987, un mese prima, il 21 Settembre, fu preceduto da quella canzone: Need You Tonight, dal ritmo funky, la voce sensuale di Hutchens e un bellissimo video musicale (che vinse nel 1988 5 MTV Video Music Awards) trascinano il brano in cima alle classifiche (primo negli Stati Uniti e secondo in Gran Bretagna) e proietta il disco e la band in una nuova dimensione. Tutte le canzone sono scritte dal duo Hutchens - Andrew Farris, che mediano tra il suono molto funk dei primi dischi a quello mainstream rock dei primi dischi a distribuzione internazionale. Più che altro, hanno il tocco magico di scrivere canzoni che diventano famose per come rimangono in testa: New Sensation, Devil Inside, Mystify, la toccante Never Tear Us Apart, la ripresa di The Loved One ne fanno un disco di grande qualità e di grande successo, con una serie di ganci musicali memorabile. Il disco venderà milioni di copie e li fa diventare rockstar.
Arriveranno anche al Festival di Sanremo del 1988, però perdono il tocco magico: nonostante tour seguitissimi, in studio perdono la magia e X (1990) e Welcome To Wherever You Are (1992) sono accolti con freddezza e non regalano grandi canzoni. Parallelamente, Hutchens diventa molto più famoso dell'intera band, complice anche la relazione con Paula Yates, giornalista musicale famosa per le sue interviste particolari fatte in programmi come The Tube o The Big Breakfast, dove intervistava gli artisti in un letto e dal 1986 al 1996 moglie di Bob Geldof. Hutchens pensa ad una carriera solista, ma il 22 novembre del 1997 viene trovato morto impiccato in una camera di Hotel in Australia. In un primo momento si scatenano le voci incontrollate di un tragico gioco erotico, in seguito un'inchiesta medico legale, contestata da Yates, accerta che la morte del cantante è suicidio, cosa che non interrompe minimamente il gossip sulla vicenda.
La band, scossa dall'accaduto, sostituirà per un tour celebrativo Hutchens con Terence Trent D'Arby (che fu amante di Paula Yates quando era ancora sposata con Bob Geldof), inaugurando il nuovo stadio Olimpico di Sydney, e nel 2000 alla chiusura dei Giochi Olimpici nella città australiana del 2000. La band continuerà in maniera discontinua anche a suonare dal vivo fino al 2012, ma senza mai arrivare alla qualità di questo disco. Ci sono da raccontare ancora due aneddoti: Hutchens era probabilmente molto simpatico, perchè era amico di tantissimi musicisti. Simon Le Bon dei Duran Duran, scrisse per lui prima della sua morte, Michael, You've Got A Lot To Answer For dall'album Medazzaland del 1997, canzone che Le Bon non è mai riuscita a cantare dal vivo per l'emozione. E Bono dedicò all'amicizia con Hutchens un brano molto famoso, Stuck In A Moment You Can't Get Out Of, da All That You Can't Leave Behind del 2000, che immagina un impossibile dialogo tra i due con Bono che cerca di convincere Hutchens a non farlo:
I never thought you were a fool
But darling, look at you
You gotta stand up straight, carry your own weight
These tears are going nowhere, baby
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AVVISO PER LA GRANDE DISTRIBUZIONE: Esselunga Coop ecc. Ecc.
Avete fatto sparire dagli scaffali tante Marche come questa con grano italiano 100% in favore di marchi UE e extra UE spacciandola per made in italy oltre a quella con farina di insetti. Ora basta. Intanto ho fatto un ordine direttamente al produttore non ve la compro la pasta che ci propinate nei Vs scaffali. Dovete solo vergognarvi. E non è vero che costa di più! In ogni caso meglio la qualità. Spero proprio che perdiate tanti clienti.
P.P.
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO - Nel 1500 la distribuzione della popolazione siciliana era molto diversa dall’attuale. I grandi paesini presenti lungo la costa con la loro caotico agglomerato di case e palazzi, non esistevano a causa delle terribili scorrerie dei pirati turchi. I paesi e paesini fortificati, sorgevano nell’entroterra, spesso su colline o in luoghi ben difendibili. Lungo la costa vi era un sistema di sorveglianza con circa 600 torri che monitoravano il mare a scoprire per tempo la presenza dei temuti pirati. Nei grandi porti e presso i villaggi più grossi, vi erano forze d’intervento che dovevano attaccare le navi dei pirati appena avvistate o i turchi sbarcati che iniziavano una scorreria verso l’interno. I temuti pirati e le loro scorrerie erano una minaccia costante e imprevedibile.
Per questo motivo, quando papa Pio V chiamò alla Guerra Santa contro la flotta turca di Alì Pascià, per soccorrere la guarnigione Veneziana assediata a Cipro, l’adesione da parte dei siciliani fu immediata. Subito fu armata una flotta con i soldi delle città e dei nobili siciliani. Armare una galera all’epoca, non era una cosa semplice ed immediata. I turchi ed i veneziani avevano non solo enormi arsenali ma flotte già pronte conservate in enormi magazzini. Inoltre avevano un sistema di arruolamento collaudato e sicuro per cui non avevano problemi a trovare i rematori (che solo in piccola parte erano galeotti o prigionieri di guerra), gli equipaggi ed i soldati. È da notare quindi la velocità con cui la flotta siciliana (circa una decina di galee) fu allestita e armata, mentre quella spagnola dovette approntarsi con difficoltà recuperando dagli stati italiani materiale per le armi e gli scafi, rematori e marinai.
A Messina si riunì quindi nel luglio del 1571, la grande flotta di poco più di 200 galere formate da veneziani, pisani e genovesi sotto le insegne papali, quindi i cavalieri di Malta, gli spagnoli da Barcellona, quelli del regno di Napoli e la flotta siciliana guidata dall’ammiraglia, la Capitana di Sicilia. La flotta turca, conquistata Cipro nell’agosto di quell’anno, dopo aver messo a ferro e fuoco il basso Adriatico attaccando e conquistando le roccaforti veneziane nella Dalmazia e in Albania, si stava ritirando verso Lepanto, stanca e corto di munizioni, pronta a ricevere l’ordine di ritorno a Istanbul per porre le galere in darsena dato che non potevano affrontare le tempeste autunnali.
Quell’ordine però non arrivò mai.
La flotta della Lega Santa si diresse verso settembre contro la flotta nemica cercando di ingaggiar battaglia prima che il tempo peggiorasse. Le due flotte si ritrovarono a Lepanto, in una insenatura riparata, base dei turchi ma adatta al movimento delle duecento navi della Lega Santa che dovevano affrontare le circa trecento degli avversari. Disposti gli schieramenti gli uni di fronte agli altri, Alì Pascià prese l’iniziativa e puntò la prua direttamente contro la nave di Giovanni d’Austria. La flotta turca lo seguì muovendosi velocemente con il vento a favore. La sua ala destra, guidata dall’esperto capitano Shoraq detto Scirocco, si scontrò contro le navi veneziane e spagnole agli ordini del veneziano Barbarigo che in un primo tempo sembrò soccombere all’urto. Dopo l’arrivo delle navi di riserva venute in soccorso, i veneziani riuscirono a capovolgere la situazione e a catturare e uccidere il comandante avversario.
Sull’ala sinistra i turchi erano principalmente pirati algerini, astuti ed esperti che cercarono di circondare le navi dell’ammiraglio Doria che invece si defilò andando verso il mare aperto inseguito dai pirati che catturarono solo qualche nave rimasta indietro.
Ali Pascià notò che molto avanti rispetto alla linea su cui si era distribuita la flotta nemica erano state disposte sei grosse navi da trasporto chiamate galeazze, lente e tozze, con la murata tanto alta che ne impediva l’abbordaggio. Le galeazze erano scortate dalle galee con le vele rosse della flotta siciliana quasi che quel pugno di navi volesse fermare l’avanzata della potente flotta turca.
Alì Pascià, decise di ignorare quel che considerò un diversivo e si diresse prontamente contro l’ammiraglia della flotta nemica. Le navi che lo seguirono approcciarono le galeazze scoprendo che, contrariamente all’uso di allora, quelle grosse e goffe navi erano dotate di cannoni disposte lungo tutto il loro perimetro. Con una potenza di fuoco superiore di sei o sette volte quella di una normale galera, le galeazze incominciarono a bombardare dall’alto i vascelli nemici, distruggendo e affondando navi su navi e scompigliando la flotta turca che perse slancio e forza. A bordo delle galeazze Giovanni d’Austria aveva fatto collocare gli archibugieri che decimarono gli equipaggi di ogni nave nemica che si avvicinava a loro.
Le galeazze, seguite dalla flotta siciliana, incominciarono a girare in tondo rendendo il tratto di mare vicino a loro, un inferno. La Sultana, l’ammiraglia turca raggiunse velocemente Giovanni d’Austria che vedendo arrivare i nemici, lanciò la sua nave contro quella di Alì Pascia così che la sua guardia personale, il Tercio de Cerdena, una compagnia formata da veterani di Castiglia ed Estremadura di base in Sardegna, andò all’arrembaggio della nave avversaria. I castigliani si trovarono di fronte gli giannizzeri turchi, un corpo scelto formato da slavi cresciuti ed addestrati ad Instabul.
Lo scontro fu durissimo.
Per tre volte gli spagnoli andarono all’arrembaggio e furono cacciati indietro, Giovanni d’Austria fu ferito e spesso sul punto di soccombere. Le navi nemiche si concentrarono intorno alla loro ammiraglia, lo stesso fecero quelle della Lega Santa. Ormai era una lotta all’ultimo sangue.
Gli esperti soldati combattevano ormai all’arma bianca, i marinai, i rematori che spesso erano uomini della strada o gente di campagna arruolata a forza o per debiti, si erano uniti a loro e lottarono con rabbia e determinazione. Ormai tutti combattevano per sopravvivere tra i morti e i feriti, in un intreccio di legni rotti, carni tranciate, sangue e fumo di polvere da sparo.
La grande santa battaglia diventò una caotica, sanguinosa, terribile carneficina.
Le navi dell’ala sinistra turca, vedendo l’inutilità di inseguire l’ammiraglio Doria tornarono su i loro passi e veleggiarono verso l’ammiraglia a darle manforte. Se avessero raggiunto il groviglio di navi nel centro della formazione, le truppe spagnole avrebbero avuto la peggio. Fu questo quello che pensò Giovanni Cardona, capitano dell’ammiraglia siciliana, che subito lasciò le terribili galeazze e incrociò con la sua Capitana, le navi nemiche attaccandole, incurante della superiorità numerica, del mitragliare delle archibugiate e del fuoco delle cannonate. Ferito più volte con i suoi uomini riuscì a fermarle spingendole lontano dalla mischia.
In quel momento, le navi pisane, vittoriose sull’ala destra dei turchi, riuscirono a farsi largo tra il groviglio di remi rotti e alberi maestri tranciati dai cannoni ed arrivarono nella mischia delle ammiraglie, buttandosi all’arrembaggio di quella. Ebbero la meglio sui giannizzeri sopravvissuti agli scontri con i castigliani e catturarono, uccidendolo, Alì Pascià. Alla vista della testa del loro ammiraglio che dondolava sul pennone della sua ammiraglia, le navi turche superstiti (ormai poche e malconce) si dileguarono, o almeno ci provarono a causa delle galeazze che le aspettavano al varco, lasciando dietro di loro un mare di relitti e di sangue.
La vittoria fu una di quelle più pubblicizzata dei suoi tempi. Libri, poesie, grandi quadri, narrazioni epistolari si sparsero per tutta Europa a raccontare la grandiosa vittoria e l’immensa carneficina. I turchi rallentarono la loro pressione via mare ed aumentarono quella via terra dirigendo le loro truppe alla volta di Vienna.
In Sicilia l’evento ebbe una grande risonanza. Prova ne è la descrizione della battaglia rappresentata negli stucchi di Santa Cita e persino nelle carceri dello Speri dove un giovane condannato disegnò la battaglia su indicazione di un veterano. Messina, che era una porta del mediterraneo orientale, grata a Giovanni d’Austria, fece fondere una statua in bronzo che lo ricordasse e celebrasse. Le galeazze cambiarono il modo di concepire la guerra per mare. Presto vascelli dalle alte murate e con un gran numero di cannoni sostituirono le galere ed i pirati turchi furono pian piano eliminati, cosa che permise lo sviluppo dei paesi costieri siciliani e, ai Principi di Palermo, di iniziare a costruire le bellissime ville di Bagheria.
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Dall’analisi di oltre 450.000 risposte al Gallup Healthways Well-Being Index, un sondaggio quotidiano condotto su 1000 americani, emerge una risposta sorprendentemente netta al quesito più frequente della ricerca sul benessere: il denaro dà la felicità?9 La conclusione è che essere poveri rende infelici e che essere ricchi forse aumenta la soddisfazione per la qualità della propria vita, ma non migliora (in media) il benessere esperito. La grave indigenza amplifica gli effetti esperiti di altre disgrazie della vita; in particolare, la malattia fa molto più male agli indigenti che a chi dispone di maggior benessere economico. Il mal di testa incrementa la percentuale di quelli che riferiscono di provare tristezza e ansia, portandola dal 19 al 38 per cento nei soggetti appartenenti ai due terzi superiori della distribuzione del reddito. Le corrispondenti percentuali per il decimo della popolazione appartenente alle fasce di reddito più basso sono 38 e 70 per cento, un livello più alto nelle condizioni di base e un aumento molto più grande. Si osservano notevoli differenze tra i molto poveri e il resto della popolazione quando si vanno ad analizzare gli effetti del divorzio e della solitudine. Inoltre, gli effetti benefici del weekend sul benessere esperito sono assai inferiori tra i molto poveri che nella maggior parte delle altre persone. Il livello di appagamento oltre il quale il benessere esperito non aumenta più risulta essere un reddito familiare di circa 75.000 dollari nelle aree ad alto costo della vita (era inferiore in aree con un costo della vita più basso). L’aumento medio di benessere esperito associato a un reddito superiore a quello era assolutamente nullo. È curioso, perché un reddito maggiore permette indubbiamente di procurarsi molte cose che danno piacere, come vacanze in posti interessanti e biglietti per l’opera, nonché un migliore ambiente in cui vivere. Perché questi piaceri aggiuntivi non vengono riportati nei rapporti sull’esperienza emozionale? Un’interpretazione plausibile è che un reddito maggiore sia associato a una ridotta capacità di godersi i piccoli piaceri della vita. Alcune prove fanno pensare che questa ipotesi sia corretta: stimolare gli studenti con l’idea della ricchezza riduce il piacere che il loro volto esprime quando mangiano una tavoletta di cioccolato!
Daniel Kahneman - Pensieri lenti e veloci
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OLTRE 100 DELFINI SALVATI DAL PIÙ GRANDE SPIAGGIAMENTO DI MASSA
102 delfini sono stati salvati dopo essere rimasti spiaggiati in una secca fangosa al largo di Cape Cod, nel Massachusetts (USA), in quello che è stato identificato come il più grande spiaggiamento di massa degli ultimi decenni.
“Quando siamo arrivati abbiamo visto decine di animali languire sulla spiaggia, senza possibilità di muoversi. Stavano morendo” ha spiegato Misty Niemeyer, coordinatrice dell’International Fund for Animal Welfare. L’operazione di salvataggio ha tentato di idratare i delfini e di portarli di nuovo in mare ed ha coinvolto oltre 150 persone in gran parte volontarie. “Abbiamo aiutato gli animali che erano in difficoltà e cercato di mantenerli vivi mentre aspettavamo la nuova alta marea”. I delfini sono stati radunati in pozze e assistiti per incoraggiare il loro spostamento verso acque più profonde, prima a piedi e poi in barca. L’operazione è proseguita per diversi giorni per permettere ai delfini di non finire nuovamente spiaggiati a causa del loro stato confusionale.
Cape Cod è un luogo in cui si verificano frequenti spiaggiamenti a causa della sua forma a uncino e delle forti fluttuazioni delle maree, oltre all’inquinamento acustico sottomarino. “Questo salvataggio ha presentato molte sfide a causa del numero di delfini, delle grandi dimensioni di molti degli animali, della loro distribuzione su una vasta area e delle difficili condizioni del fango” ha affermato Niemeyer. “È stata una risposta estenuante di 12 ore sotto il sole implacabile ma siamo riusciti a superare le tante sfide e a dare ai delfini la possibilità di sopravvivenza”.
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Fonte: International Fund for Animal Welfare; foto di Abdolhossein Rezvani
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Bridgerton 3, Parte 1: un ritorno tra amori, segreti e scandali
Ah, la primavera! Con i suoi colori e i suoi profumi, è davvero la stagione perfetta per il debutto di una nuova tranche di episodi della romance saga che ormai dal 2020 appassiona gli abbonati Netflix: la prima parte della terza stagione di Bridgerton è infatti disponibile per lo streaming sulla piattaforma, così come l'attesissima storia d'amore tra Colin Bridgerton (Luke Newton) e Penelope Featherington (Nicola Coughlan)… Ma come se la sarà cavata lo show a questo giro? Scopriamo insieme cosa ci riservano Shonda Rhimes e i primi 4 episodi di Bridgerton 3.
Scelte mirate
Nicola Coughlan è Penelope
Dopo una lunga attesa carica di speculazioni di ogni tipo sul futuro dei protagonisti di Bridgerton, siamo finalmente di ritorno nella 'Ton più amata dagli spettatori Netflix, quella che, assieme ai suoi abitanti, ci regala sempre un turbinio di emozioni. Questa volta capitanata da Jess Brownell - nuova showrunner della serie dopo l'addio di Chris Van Dusen - che accompagna fedelmente la produttrice delle produttrici, Shonda Rhimes, la terza stagione di Bridgerton si mostra in tutto il suo sfarzo, la sua eleganza e la sua intensità, ma solo per quattro episodi… la seconda parte della stagione arriverà domani 13 giugno su Netflix. Una delle novità dell'adattamento televisivo dei romanzi di Julia Quinn per questa nuova stagione è stata la decisone di scindere in due parti la distribuzione degli episodi.
Ritorno a Bridgerton
Per il momento, è difficile valutare se una tale scommessa sarà vincente o meno e solo l’uscita della seconda parte di stagione c’è lo dirà, ma i presupposti sembrerebbero dar ragione alla produzione: dopotutto, anche per gli appassionati del genere, un binge-watching tutto d'un fiato di 8 episodi di una serie che fa un cospicuo uso di cliché e archetipi narrativi come Bridgerton, nonché assai affezionata a plot twist e cliffhanger ad effetto, potrebbe risultare più pesante da digerire, e nel tempo controproducente rispetto a una ripartizione in due blocchi. Così facendo, invece, non solo ci si assicura che un prodotto di grande interesse attirerà audience più a lungo termine, ma si dà anche modo a storia e spettatori di "respirare", e a questi ultimi di assimilare al meglio quanto visto sullo schermo. E in questa stagione, di certo non c'è da annoiarsi…
Dai Polin, con amore
Luke Newton e Nicola Coughlan
Fin dal termine della seconda stagione di Bridgerton, nella quale abbiamo visto nascere e concretizzarsi l'amore tra il primogenito di casa Bridgerton, Anthony (Jonathan Bailey), e la maggiore delle sorelle Sharma, Kate (Simone Ashley), ci si è chiesti a chi i due avrebbero passato il testimone e consegnato il titolo di "coppia dell'anno" nella stagione successiva. Se lo show avesse voluto seguire pedissequamente l'ordine dei libri, sappiamo che l'onere e l'onore sarebbe spettato a Benedict (Luke Thompson), alla cui storia è stato dedicato il terzo volume della saga letteraria, "La proposta di un gentiluomo". Tuttavia, l'amore era già nell'aria da tempo per i Polin, ovvero Colin e Penelope, gli amici di sempre il cui rapporto sembrava serbare qualcosa di più fin dal principio, sebbene avevamo visto un maggiore interesse in quel senso da parte di Pen (che ricordiamo, non leggere se non hai ancora visto la serie, è colei che si cela dietro il nom de plume di Lady Whistledown).
Luke Newton è Colin Bridgerton
E malgrado in ordine cronologico cartaceo il loro momento sarebbe dovuto arrivare più in là nel tempo, sullo schermo, complice la chimica tra i due attori e l'impostazione data dal team creativo alle loro interazioni sin dalla prima stagione, è stato possibile procedere in questa direzione, senza tuttavia dimenticarsi degli altri Bridgerton. Nella prima parte della terza stagione abbiamo comunque dei focus su Benedict, Francesca (Hannah Dodd), e la Eloise di Claudia Jessie (malgrado una curiosa assenza…).
Claudia Jessie è Eloise Bridgerton
Ma, come dicevamo, gran parte dell'attenzione in Bridgerton 3 è riversata sui Polin che, dopo gli accadimenti della stagione 2, si trovano ora in una fase di stallo: Penelope aveva infatti udito le parole di Colin che escludevano a priori un risvolto amoroso nel loro rapporto, e le frizioni nella sua amicizia con Eloise (che aveva scoperto la sua identità di Regina del Gossip) non avevano fatto che allontanarla dai Bridgerton. Adesso però la ragazza finisce con il ritrovarsi in una situazione, se vogliamo, ancora più scomoda, dato che, nel tentativo di recuperare la loro amicizia, Colin si offre di aiutarla a trovare marito, e cerca di impartirle "lezioni su come uscire dal guscio" ora che lui stesso, a seguito della sua estate in giro per il mondo, sente di aver trovato una nuova dimensione. Ma quando il suo aiuto finisce con creare più guai per i loro cuori che altro, cosa farà Colin? E come si comporterà Penelope? E non dimentichiamoci che Colin è ancora all'oscuro della doppia identità di Penelope…
Bridgerton non molla
Bridgerton: una foto di Benedict e Colin nella stagione 3
Arrivati dunque al nostro quarto appuntamento con il mondo di Bridgerton (se contiamo anche lo spin-off sulla Regina Carlotta) ci si potrebbe preoccupare di una fisiologica fatigue del prodotto che, solitamente con le serie, giunti a questo punto inizia già a fare capolino. Per quanto riguarda lo show targato Shondaland, a ogni modo, il tutto sembra "tenere botta", poiché, almeno in questi primi quattro episodi, non si rileva una pesantezza di fondo nel seguire le vicende (seppur in gran parte prone a stereotipi) dei vari personaggi, né viene da pensare di essere stufi del suo modus operandi.
Un ritorno tra amori, segreti e scandali
Le scenografie si fanno sempre più spettacolari, i dettagli visivi sempre più ricercati (guardate anche solo le parrucche della Regina!), il comparto musicale continua a regalare gioie con le sue versioni classiche di hit da classifica, da Dynamite dei BTS a Cheap Thrills di Sia, passando per Give Me Everithing di Afrojack, Ne-Yo e Pitbull, e nulla di tutto ciò risulta gratuito o fuori luogo. C'è solo da sperare che una tale cura possa continuare a essere tangibile anche nella costruzione di storie e personaggi, nello sviluppo delle dinamiche e tanto nella trasposizione del materiale già fornito dalla Quinn, quanto nell'incorporazione di elementi originali nel tessuto del racconto.
Conclusioni
In conclusione, si guarda con favore ai primi quattro episodi di Bridgerton 3, che con la sua Parte 1 ha già fatto approdo su Netflix. La tanto attesa storia d’amicizia che si trasforma in amore tra Colin Bridgerton e Penelope Featherington sta finalmente prendendo piede, e non resta che augurarsi che i due non finiscano con l’inciampare e divenire protagonisti di una rovinosa caduta. Per ora, tuttavia, non sembra questo ciò che è scritto nelle carte. Possiamo fidarci?
👍🏻
Coerenza formale e attenzione ai dettagli.
Focus sui vari personaggi, non solo sui protagonisti dichiarati.
👎🏻
Rischio esagerazione e saturazione.
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"Spogliare la Grecia è stato uno scherzo.
Aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, demanio interessante.
Comunque la Grecia aveva un Pil inferiore alla sola provincia di Treviso.
È bastato un sol boccone.
PER L’ITALIA È DIVERSO:
Un capitale assolutamente enorme.
Secondo al mondo in quanto a risparmio privato, primo come abitazioni di proprietà, terre di valore assoluto e coste meravigliose.
Quinta potenza industriale al mondo prima dell'euro, ottava oggi.
Il Made in Italy è ancora oggi il marchio numero uno al mondo, davanti a Coca Cola.
Biodiversità superiore alla somma di tutti gli altri paesi europei.
Come capitale artistico monumentale, non ne parliamo neanche: è superiore a quello di tutto il resto del mondo.
Francia e Germania, più qualche fondo americano, cinese o arabo hanno fatto la spesa da noi a "paghi uno e prendi quattro".
Tutto il lusso e la grande distribuzione sono passati ai francesi insieme ai pozzi libici passati da Eni e Total.
Poi anche Eni è diventata a maggioranza americana.
Anche il sistema bancario è passato ai francesi insieme all'alimentare.
I tedeschi si sono presi la meccanica, e il cemento.
Gli indiani tutto l'acciaio.
I Cinesi si son presi quote di TERNA, e tutto PIRELLI agricoltura.
Se ne sono andate TIM, TELECOM, GIUGIARO, PININ FARINA, PERNIGOTTI, BUITONI, ALGIDA, GUCCI, VALENTINO, LORO PIANA, AGNESI, DUCATI, MAGNETI MARELLI, ITALCEMENTI, PARMALAT, GALBANI, LOCATELLI, INVERNIZZI, FERRETTI YACHT, KRIZIA, BULGARI, POMELLATO, BRIONI, VALENTINO, FERRE’, LA RINASCENTE, POLTRONA FRAU, EDISON, SARAS, WIND, ANSALDO, FIAT FERROVIARIA, TIBB, ALITALIA, MERLONI, CARTIERE DI FABRIANO, ..... Ma...non hanno finito.
Ci sono rimaste ancora le case e le cose degli italiani.
E I LORO RISPARMI. CIRCA 3.000 MILIARDI DI EURO.
ORA VOGLIONO QUELLI.
Ecco chi ha chiamato Mattarella e gli ha "intimato " di procedere a sbarrare la strada a chi poteva mettere a rischio la prosecuzione della spoliazione.
I fondi di investimento, i mercati, che, come ricordavo raccolgono i soldi delle mafie, tutte, grandi e piccole, dei traffici di droga, di umani, di truffe internazionali, di salvataggi bancari, del "nero" delle grandi multinazionali, siano esse del commercio, dei telefonini, della cocaina o delle armi, questi fondi di investimenti dicevo, non hanno finito.
Ora tocca alle poche industrie rimaste, ai fondi pensioni, ai conti privati, agli immobili. Ora tocca a noi.
Ecco perché non serve a nulla mediare, arretrare un po'.
Non si placheranno, l'abbiamo già visto. BISOGNA FERMARLI ORA.
Ogni generazione ha il suo Piave. Questo è il nostro."
~ Gian Micalessin, giornalista indipendente
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Con una scelta a sorpresa, Lidl Italia ha rotto il fronte del no al rinnovo del contratto di lavoro della grande distribuzione. Il grande discount tedesco presente in Italia (20 mila dipendenti e 700 punti vendita) in un colpo solo è uscito dall’associazione di categoria dove era entrato due anni fa, la Federdistribuzione, e ha dichiarato di adottare il contratto firmato pochi giorni fa dalla Confcommercio per il terziario.
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Il primo monopattino elettrico della storia ha più di cento anni
Te lo raccontiamo qui:
L'Autoped, come veniva chiamato, fu inventato da Arthur Gibson a New York. Vennero prodotte due versioni: una con motore elettrico e un'altra con motore a benzina. Raggiungevano una velocità di trentadue chilometri all'ora, ma la versione elettrica aveva un'autonomia di soli diciannove chilometri.
Costava cento dollari, che al cambio odierno sarebbero quasi 2.700. Tuttavia ne è valsa la pena per i viaggi brevi a causa del minor consumo di energia (anche il motore a benzina consumava meno carburante di un'auto o di una moto). I suoi acquirenti erano soprattutto donne, poiché a quel tempo erano poche quelle che avevano la patente.
L'Autoped veniva utilizzato anche da postini, agenti di polizia e persino ladri. Nonostante il successo, ebbe vita breve, un po' perché non ci fu una grande distribuzione e un po' come oggi a causa di gente sconsiderata che provocava incidenti. Ha smesso di essere prodotto nel 1922 ma, come si suol dire, le mode tornano sempre.
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Tema libero: i biscotti
Nutro una certa infatuazione per i biscotti, che negli anni mi ha aiutato a sviluppare due superpoteri:
l'invulnerabilità all'impalugamento, che mi permette di mangiare a secco qualsiasi tipo di biscotto senza apporto di liquidi ad accompagnarli
la capacità di ingurgitare l'equivalente del mio peso in biscotti
Questa passione mi ha portato grandi gioie e alcuni traumi (tipo scoprire che al di fuori dell'Italia la situazione biscotti è spesso drammatica, soprattutto a colazione) (o la sparizione delle tortorelle).
Potreste stare pensando "beh, anche a me piacciono i biscotti, chesaràmmai" ma per dare un'indicazione oggettiva del mio livello patologico: durante l'adolescenza, quando si tende a tappezzare la cameretta di iconografie dei propri eroi avevo appesa una (nutrita ma ormai sparita e compianta) collezione di coperchi di scatole di biscotti danesi. Mia sorella può testimoniare.
La storiografia dei biscotti è per lo più piatta come una lingua di gatto, ma verso la fine degli anni '90 abbiamo assistito ad una piccola rivoluzione commerciale che mi ha sempre incuriosito.
In un mercato per lo più dominato da un noto marchio che per comodità chiameremo Burino Stanco™, vari esponenti della Grande Distribuzione iniziarono quasi contemporaneamente una certosina opera di clonazione biscottifera copiando forme e gusti della suddetta marca.
Mi sono sempre chiesto se l'inizio di questa operazione sia stato legato alla risoluzione di qualche ambiguità legale sull'applicazione del copyright ai biscotti o se semplicemente sia stato mero calcolo economico. Sta di fatto che una delle vette più alte della mia storia d'amore con questi amorevoli prodotti dolciari da forno è stata quando la mia famiglia fu selezionata per valutare qualitativamente una serie di pacchi di biscotti di marca ignota che volevano clonare i prodotti del Burino Stanco™. Avere finalmente una missione e un riconoscimento del mio curriculum nel mangiare biscotti (pur se i questionari tecnicamente li firmava poi mia madre) fu il coronamento di un percorso iniziato nelle paludi dei plasmon spappolati passando per le cime innevate dei canestrelli, le brughiere delle treccine di frolla siciliane, le foreste di shortbread scozzesi...
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Storia Di Musica #322 - Spoon, Kill The Moonlight, 2002
Alla cabina del mixer di The Stage Names dei Okkervil River c'era un ragazzo musicista, un batterista per la precisione: Jim Eno. Che all'uscita di quel disco era una sorta di celebrità della musica indie per via del gruppo che aveva fondato, circa dieci anni prima, con il cantante e chitarrista Britt Daniel. Ad Austin infatti agli inzi degli anni '90 fondano un gruppo che prende nome da una canzone dei leggendari Can, il famoso gruppo tedesco della Kosmik Music degli anni '70, che si chiama Spoon (da quel disco meraviglioso che fu Ege Bamyasi del 1972) e che faceva parte della colonna sonora di un film amato dai due ragazzi, Doppio Taglio (Jagged Edge), del 1985. Nel 1994 come duo con musicisti sessionisti incidono le prime canzoni: vanno in un EP, Nefarious (1994) e poi, assodati dalla etichetta Matador, in un LP, del 1996, Telephono, che vende poco ma viene notato da una certa critica come qualcosa di molto interessante. Nel 1997 un nuovo EP, Soft Effects, mostra l'embrione della loro musica futura: poco noisy, una musica geometrica che si rifà alla New Wave più illuminate (i Wire soprattutto) e una passione, soprattutto di Daniel, per Elvis Costello. Durante un concerto del 1996, invitano sul palco Josh Zarbo, bassista tra il pubblico, e finirà per suonare con loro per oltre dieci anni, fino al 2007. Nel 1998 hanno una grande occasione: li mette sotto contratto la Elektra, la leggendaria casa discografica dei The Doors, dei Love, centrale nella musica degli anni '70 negli Stati Uniti: esce persino un disco, A Series Of Sneaks, ma una serie di incomprensioni con il loro referente, Ron Laffitte, porterà ad una distribuzione scadente e persino a scelte produttive non concordate, tanto che la casa discografica li licenzia dopo un solo disco e gli Spoon dedicheranno a Laffitte una suite di sue brani, molto ironici ma potentissimi per la critica nei confronti dei suoi comportamenti, The Agony Of Laffitte e Laffitte Don't Fail Me Now che saranno incluse nella ristampa di A Series Of Sneaks del 2002, quando la band è sotto contratto con la Merge. Una delle etichette più importanti per la musica indipendente crede moltissimo in questo duo, che in tre anni scrive tre dischi bellissimi: Girls Can Tell del 2001 è l'antipasto per il disco di oggi, scelto per il misterioso motivo comune ai dischi di Aprile (che sono sicuro avete ormai capito).
Kill The Moonlight esce il 20 Agosto del 2002. È un disco che fa della semplicità sonora il suo fulcro, che non vuol dire affatto che sia un disco banale: anzi se ne apprezzano le idee, le influenze, le scelte degli arrangiamenti in modo più facile ed incisivo. È un disco che lascia da parte gli stili prefissati, meno dolente di Girls Can Tell, più gioioso e divertente, un omaggio alle loro passioni musicali. Il disco è trascinato da The Way We Get By, che diventerà molto famosa per l'uso in serie cult come The O.C., Scrubs e persino nella colonna sonora di Shameless (e di molti altri film). Il suono è semplice ma variopinto, con addirittura occasionali puntate di fiati, e per la prima volta il fulcro sonoro è di chitarra e pianoforte, quest'ultimo strumento mai usato precedentemente, nei crediti affidato al misterioso Eggo Johanson, in realtà lo stesso Britt Daniel (tra gli altri musicisti, il fido Zarbo e Mike McCarthy alla chitarra, altri due bassisti, Roman Kuebler e John Clayton, Matt Brown al sassofono e Brad Shenfield al Darbuka, che è un tamburo a cesto tipico della musica mediterranea, soprattutto lato africano). Meravigliosi gli intro di Small Stakes, molto rock, e quello quasi dadaista di Stay Don't Go. Someone To Look Foward To è più "sporca" e groove, salendo nei toni alti del canto tanto amati da Daniel. Jonathan Fisk è ritmica e sa di anni '80 (soprattutto nel timbro della batteria di Eno), ed è il più chiaro omaggio a Costello, anche nella tematica del brano (ricordi di bullismo da cortile, religione e politica di destra con "bombe atomiche e rasoi smussati"). C'è anche sufficiente angoscia in brani come All The Pretty Girls Go To The City. Ma è musicalmente che il disco sorprende: sono uno dei pochi gruppi rock indie del periodo che non "abusano" della chitarra ritmica fuzz, ricorrendo alle tastiere, che sono davvero la novità musicale nel loro stile, e anche ai campionatori. Chiude il disco un altro gioiello, Vittorio E., 3 minuti di malinconica e potente "anti-ballata".
Il disco viene osannato dalla critica, e finalmente anche dalle vendite: rientra in tutte le classifiche dei migliori dischi dell'anno 2002, del decennio 2000-2010 e persino nelle posizioni alte delle classifiche specialistiche dei migliori dischi indipendenti di sempre. Diventerà presto uno dei titoli migliori del catalogo Merge, dopo In the Aeroplane Over the Sea dei Neutral Milk Hotel e 69 Love Songs dei Magnetic Fields (li trovate tutte e due nelle Storie Di Musica). Ma il vero boom lo fece il disco successivo per gli Spoon: Gimme Fiction venderà centinaia di migliaia di copie, trascinato da un'altra canzone stupende, I Turn The Camera On, anch'essa usata in serie Tv (Veronica Mars, Bones e persino in una puntata de I Simpson), che segna il successo di una band che ha sempre fatto musica interessante, alla faccia di quel Ron Laffitte che non credette in loro.
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Actually, second time's the charm: Fantastic Parasuicides e The World of Us
Trovo abbastanza buffo che nel primo consiglio dedicato ai film io mi sia prodigata nello specificare che si tratta della forma di narrativa per cui ho i gusti più mainstream di tutti, che conosco poco del linguaggio del cinema e che dunque vedrete pochi post a tema ecc ecc., per poi finire a scrivere due dei quattro articoli di quest’anno su dei film... D’altra parte non ho mai preteso di essere una persona coerente. Mi rendo conto che mi mancano delle basi importanti per parlare di cinematografia in maniera completa e interessante, ma d’altra parte ci tengo talmente tanto a questa segnalazione, visto che mi permette (finalmente!) di parlare di cinema che mi è davvero tanto caro, che preferisco mettere in piedi un consiglio un po’ didascalico e poco brillante ma che potrebbe permettere a qualcuno di muovere i primi passi del cinema coreano meno famoso. Proprio così, è un sacrificio bello e buono quello che faccio, ma d'altronde ho invece la pretesa di essere una persona altruista, tipo uh... scrivendo articoli che mi divertono sul mio blog personale? No?
Giustificazioni non richieste a parte, ci tengo a fare questa segnalazione perché se negli ultimi anni il cinema della Corea del Sud ha ricevuto rinnovate attenzioni e interesse anche da parte della stampa generalista, il tipo di film che arrivano ai giornali, alle testate cinematografiche più popolari o ai portali di aggregazione di recensioni sono spesso e volentieri un po’ monotematici – insomma, quando si parla di cinema dalla Corea o si parla di horror o si parla di thriller. Mi sento di dire tutto sommato anche a ragione: i thriller coreani fanno spesso e volentieri le scarpe a quelli anglofoni per qualità della recitazione, intreccio e sequenze d’azione (guardatevi The Chase, The City of Violence o perché no, A Bittersweet Life e poi ne riparliamo) e non c’è dubbio che la popolarità di Parasite renda più facile che sia questo tipo di titoli ad essere distribuito dignitosamente anche in occidente. Sarebbe però estremamente scorretto – e piuttosto razzista – pensare che allontanandosi da questi generi e da qualche grande Regista-Camaleontico-con-la-R-e-la-C-maiuscole (Kim Ki-duk, Lee Chang-dong ecc.) la Corea abbia poco o nulla da offrire. Dunque per le segnalazioni di oggi mi sembra giusto presentarvi due film relativamente atipici se paragonati ai titoli che hanno avuto più fortuna presso la distribuzione nostrana: Fantastic Parasuicides e The World of Us, completamente differenti come struttura, intreccio e tematiche ma entrambi assai competenti in quello che si propongono di fare.
Fantastic Parasuicides
Il primo film del consiglietto di oggi è in realtà una raccolta di corti, ciascuno girato da un regista diverso, a tema, beh... para-suicidi fantastici. Para- perché come potrete immediatamente notare già dal primo corto, ciascuno dei protagonisti incontrerà più difficoltà del previsto nel tentare di togliersi la vita, e fantastici perché ciò che capiterà nel corso di questi tentativi difficilmente potrà essere descritto in altro modo; dalle situazioni apertamente sovrannaturali fino a quelle semplicemente bizzarre, ciascuno dei corti sceglierà un angolazione diversa da cui esplorare che cosa passa per la mente di una persona che vuole morire e che cosa può succedere attorno a lei per farle cambiare idea.
Il poster non mi dispiace, ma forse è solo perché ho un debole per questa palette.
Tra i tre, il primo corto è quello che adotta la prospettiva più surreale e votata allo strambo per il gusto dello strambo: la protagonista è una studentessa che dopo essersi presentata troppo in ritardo per sostenere un esame decide di buttarsi dal tetto della scuola; anziché morire, però, si risveglia in una realtà simile alla nostra, ma che si rivelerà lungo lo snodarsi della vicenda decisamente più peculiare. Come accennavo, il suicidio in questo corto è poco più che un pretesto per dare inizio alle avventure carrolliane in cui la protagonista sarà impantanata per tutta la durata della storia: non c’è alcuna pretesa di parlare delle modalità e delle motivazioni dietro al gesto che vadano oltre al pretesto di trama o alla stucchevole banalità del finale. Il film è però piuttosto conscio di questa superficialità, poiché il fascino del corto risiede nel domandarsi ad ogni momento quanto la situazione potrà ancora farsi più assurda: da un ragazzo con una bomba nella macchina ad un insegnante paranoico, passando per una serie atroce di effetti speciali che verso il finale diventeranno alquanto buffi, il motivo principe per completare la visione di questa prima parte del film sta proprio nella sequenza onirica in cui la protagonista verrà sballottata. Di certo il corto più debole di questa raccolta, ma ugualmente divertente se si ha un certo gusto per il surreale a basso budget.
Il secondo corto, intitolato Fly Chicken, sceglie modalità più sobrie (ma non per questo meno peculiari) per esplorare il tema della raccolta. La premessa infatti è quella di un agente segreto che trova rifugio in una casa sul mare, dove inizia a pianificare il suo suicidio per sfuggire al suo terribile passato; in teoria tutto ciò che deve fare è premere il grilletto, ma una serie di eventi bizzarri ritardano il momento fatidico. E con “una serie di eventi bizzarri” mi riferisco principalmente al pollo che compare in riva al mare, con cui il nostro protagonista avrà una serie di dialoghi intensi e drammatici, appropriatamente sottotitolati in coreano e in inglese vista l'impossibilità dell'uccello di esprimersi in lingua umana. Il contrasto tra la serietà dei momenti in cui l’agente segreto rimane da solo a confrontarsi con gli oscuri meandri della sua psiche, e quelli in cui interagisce con il pennuto nel tentativo di aiutarlo a liberarsi dalla rete in cui è invischiato suscita una certa ilarità – anche se il regista è molto bravo a mantenere una certa serietà e tensione circa il destino finale del protagonista, camminando sulla linea sottile che separa la commedia nera dal dramma; complice anche la durata ridotta, questo tono ibrido e l’azzeccata scelta di ridurre i dialoghi all’osso – le uniche interazioni verbali saranno proprio quelle con la gallina – permettono allo spettatore di lasciarsi catturare da quest’atmosfera così peculiare fino ad un finale ambiguo ma abbastanza spiazzante da risultare una degna conclusione del film.
Come vedete non mento mai. Solo segnalazioni di qualità su questo blog.
Ok, arrivati al terzo corto – che è, per inciso, di gran lunga il migliore nonché il mio preferito della raccolta – mi sento di specificare che il mio punto debole quando leggo/guardo/ascolto fiction sono i vecchi tristi. Potrete sparare tranquillamente ad una dozzina di bambini senza vedermi battere ciglio (… sì, dicevo, nella fiction), ma mostratemi un signore anziano che mangia una minestrina patetica nel suo appartamento vuoto e sarò costretta a tastare se sul comodino sono rimasti dei fazzoletti con cui asciugarmi il moccio che mi starà già colando giù per il naso. Dunque partivo già disposta ad accogliere come si deve questo corto su un anziano signore che un giorno si sveglia e si rende conto che nessuno si ricorda più che è il suo compleanno. Non il partner – morto anni prima – e non i pochi amici che gli sono rimasti; messo di fronte alla desolazione e alla noia in cui si consumano le sue giornate, il protagonista decide che è arrivato il momento di lasciarsi la vita alle spalle, e decide di sdraiarsi sulle rotaie in attesa del treno poco distante dalla città in cui abita. Piano che viene scombussolato dalla presenza di un’altra persona sulle rotaie, che sembra ugualmente in pericolo ma meno desiderosa di morire… Quale miglior occasione per dare un senso alla propria vita prima di compiere l’estremo gesto? A partire da questo inizio si dipanerà un intreccio rocambolesco che tiene con il fiato sospeso fino alla fine: proprio perché il corto è così abile nel farci provare empatia nei confronti del nostro anziano protagonista ogni minuto sarà speso a “tifare” per lui, oltre che a domandarci che cosa succederà: innanzitutto, riuscirà a salvare dai gangster che lo inseguono il giovane incontrato sulle rotaie? E secondariamente, riuscirà a farlo senza divenire lui stesso una vittima o rimarrà rassegnato fino alla fine all'idea del suicidio?
A questa storia appassionante si aggiunge anche un finale davvero brillante: un paio di colpi di scena perfettamente giustificati anche all’interno di un corto così breve, e l’abilità del regista di dosare le rivelazioni sul passato e sul presente nei momenti più opportuni, permettono a questo film di finire meglio di come è iniziato – e non era un’impresa facile. Emozionante, divertente e capace di suscitare genuina preoccupazione per le sorti dei personaggi coinvolti, si tratta del corto migliore della raccolta e quello che permette a Fantastic Parasuicides di fare un decisivo salto di qualità. Se siete ancora indecisi se dare una possibilità all'intero film, vi consiglio di guardare almeno questo.
Sì, il ragazzo necessita di una mano. Immaginatevelo un po' come il povero Jessie Pinkman ma senza la dipendenza.
The World of Us
Nel momento in cui ho iniziato a buttare giù la struttura della recensione mi sono resa conto di quanto The World of Us risultasse un’anomalia rispetto al genere di storia di cui parlo di solito sul blog. Si tratta infatti di una vicenda senza alcuna traccia di fantastico, incentrata sul rapporto tra due bambine alla fine delle elementari che fanno amicizia nel corso di un’estate e che vedono il loro rapporto messo a dura prova al ritorno sui banchi di scuola. Sembra un genere di storia lontanissimo sia dalle mie corde sia da quello che scelgo di recensire su questo spazio, ma la verità è che il film è riuscito a colpirmi per la precisione mimetica con cui dipinge quel tipo di amicizie intense che si formano tra giovani emarginati, senza per questo idealizzarle o spogliarle dei loro lati più vulnerabili e crudeli (oltre ad essere del tutto sconosciuto al grande pubblico); dunque ho deciso che meritava uno spazio su questo blog, nonostante si tratti di un film che lavora per tutto il tempo con archetipi più che consolidati e che abbia ben poco di stravagante o bizzarro.
Già dalla locandina è facile capire quale sarà la palette del film,
Sun è un bambina che frequenta gli ultimi anni delle elementari, ed è molto sola. A scuola è presa di mira dalle compagne e non ha nemmeno un’amica con cui passare del tempo assieme durante l’intervallo; quando torna a casa si trova a dover curare il pestifero fratellino, a cui sua madre presta molte più attenzioni di quante non ne abbia mai prestate a lei, mentre suo padre beve troppo spesso e quando beve diventa sgradevole. Quindi quando durante la pausa estiva incontra per caso Jia, una ragazzina appena trasferitasi da un’altra scuola che non conosce ancora nessuno, Sun decide che dovrà fare di tutto per conquistarla: il suo piano funziona a meraviglia, ma quando le due bambine tornano a scuola per l’ultimo anno iniziano i problemi… Ecco, leggendo questo rapido riassunto penso che la maggior parte di voi non avranno difficoltà ad immaginare che cosa succede in questo film. L’intera storia si muove infatti su strade ben tracciate e soffre di un certo disinteresse a parlare di temi come il bullismo, l’isolamento e l’amicizia intensa e totalizzante dei bambini in maniere meno convenzionali rispetto agli archetipi già visti e rivisti nella fiction. Quello che distingue questa pellicola dai suddetti archetipi (la cui visione mi è onestamente di solito indigesta) è la qualità della scrittura dei personaggi e la bravura di tutte le interpreti.
Per elaborare il secondo punto, le due attrici principali sono molto naturali nel loro ruolo; è difficile trovare attrici o attori così giovani con una certa abilità (come penso dimostri bene il film recensito nello scorso consiglio), ma entrambe sono bravissime nel rendere ciascuna sfumatura del proprio personaggio. Sun desidera disperatamente piacere a qualcuno, tanto che in ogni scena ogni suo movimento, dall’imbarazzo con cui si muove vicino ad altri fino al suo prodigarsi in mille gesti fin troppo gentili, tradisce la necessità di sembrare piacevole, disponibile, amabile: l’amica perfetta; di contro, Jia appare assai più sicura di sé – eppure anche Jia nasconde più di un segreto, e la sua incapacità di affrontare la solitudine avrà conseguenze molto crudeli. Insomma, la regista Yoon Ga-eun è al suo meglio quando si tratta di rendere con accuratezza le mille sfumature di un’amicizia così ricca di fragilità, tra un’emarginata disposta a smussare ogni lato potenzialmente sgradevole della sua personalità per scappare dalla sua solitudine e una bambina spavalda che nasconde i propri difetti e la propria codardia dietro una facciata cool e patinata.
tipregoamamitipregotipregoTIPREGO – il monologo interiore di Sun in ogni momento del film.
Entrambe le protagoniste – e anche il gruppo di bulle che rende la vita impossibile a Sun – interagiscono poi su uno sfondo molto abile nel riprodurre con mimetica precisione le attività e i giochi più comuni a quell’età: la telecamera indugia spesso sulle unghie dipinte (ma anche nude, scheggiate e morsicate) delle protagoniste, o sul telefono pieno di giochi, sulle matite colorate di marca e così via. In senso più ampio, si tratta di un film che non avrebbe affatto stonato inserito nel mio post precedente: l’atmosfera estiva che permea la maggior parte del film è costruita grazie alle strade semideserte, ai parchi abbandonati dagli studenti in vacanza, ai colori pastello desaturati in cui è avvolta tutta la pellicola. Sono rimasta piuttosto impressionata dall’abilità della regista di catturare quelle sensazioni specifiche che si provano durante la pausa estiva quando si è bambini, nonché di ancorarle ad elementi fisici così azzeccati.
Ammetto di essere ancora incerta su quanto mi siano piaciute le battute finali di questo film, che forse soffrono di una certa convenzionalità, ma mi sento di dire che per la maggior parte del film Yoon evita di cadere in facili buonismi sulla natura dei bambini e su quanto siano più “puri” degli adulti; trovo che ciò sia vero anche sul finale, anche se non faticherei a capire il punto di vista di chi si sarebbe aspettato qualcosa di più radicale e meno vicino ai canoni del genere. In ogni caso, se il tema non vi repelle istintivamente consiglio caldamente la visione! Non sono molti i film che parlano di bullismo che riescono a non farmi alzare gli occhi al cielo durante la visione, ma questo c’è riuscito.
Il fratellino di Sun è adorabile, nonostante sia una peste. Devono essere le guanciotte.
Anche la segnalazione di oggi giunge al termine: sono assai soddisfatta di aver potuto finalmente dedicare un intero post al mio amato cinema coreano, peraltro segnalando titoli un po’ lontani anche dal “suo” mainstream. E dico così perché so quanto siano irreperibili i due titoli segnalati: se aveste difficoltà a recuperarli non esitate a mandarmi un messaggio sul blog e vedrò di farvi avere il materiale necessario. Dunque spero vivamente che almeno uno di questi film abbia catturato la vostra attenzione – e davvero, se seguite questo blog per il bizzarro non potete non dare una chance a Fantastic Parasuicides.
#ita#movie#fantastic parasuicides#the world of us#sung-ho kim#chang-ho cho#soo-young park#yoon ga-eun#recensione
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Dopo che Babbo Natale - nome in codice: UNO ROSSO - viene rapito, il capo della sicurezza del Polo Nord (Dwayne Johnson) deve fare squadra con il più famigerato cacciatore di taglie del mondo (Chris Evans) in una missione travolgente e ricca di azione per salvare il Natale.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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