#genitori cattivi
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Nelle famiglie disturbate 🤯 i bambini si sentono responsabili dei problemi familiari e anche della loro soluzione. I modi in cui i bambini cercano di “salvare” le loro famiglie sono TRE: rendersi invisibili, diventare cattivi o essere bravi.
💣Rendersi invisibili significa non chiedere mai nulla, non avere esigenze, evitare preoccupazioni ai genitori. La sofferenza personale di questi bambini/adulti è essere intorpiditi, non sentire niente.
💣Essere cattivi significa essere ribelli. Il capro espiatorio, punto focale delle sofferenze della famiglia. I genitori si chiedono "cosa faremo di lei/lui?” invece di chiedersi "cosa faremo del nostro matrimonio?".
La rabbia copre il suo dolore.
💣Essere bravi significa essere vincenti nel mondo esterno. Sembrare felice e brillante serve a coprire la paura e la rabbia.
Apparire felice diventa più importante che sentirsi felice.
(R. Norwood)
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ci sono due genitori privi della capacità genitoriale, non cattivi semplicemente e banalmente incapaci di vedere il dolore i disagi e le sofferenze e mancanze dei loro figli e sembra che non si possa fare niente finché non accadrà qualcosa di veramente brutto.
ed è giusto allora sperare che accada qualcosa per cui si possa chiamare un'ambulanza o i carabinieri?
e magari sentirsi dire poi "ma nessuno si era accorto prima della situazione?" si, ce ne siamo accorti in tanti e nessuno può fare niente.
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Pausa pranzo. Vedo un mio collega disperato alla scrivania, gli prendo un caffè e vado da lui. Gli dico che spero non sia successo nulla di grave, che il lavoro ultimamente è uno schifo e che non vale la pena prendersela. "Da che pulpito..." risponde lui. Va bene, incasso. Io resto lì a guardarlo, in silenzio. "Il mio mutismo selettivo mi permette di stare qui anche sei ore a guardarti senza dire una parole, se necessario." Prima sbuffa poi chiude la porta. Mi racconta della sua crisi profonda con la moglie, del divorzio negato, delle terapie dallo psicologo, della sofferenza, dell'insonnia, e che all'ultimo la baby sitter gli ha dato buca e stasera non sa chi a lasciare il figlio. "E se ci rimanessi io, con lui?"
Finisce che vado a prenderlo dal dopo scuola, lui mi riconosce subito perchè a tutti i pranzi e le cene aziendali sono quella che fa le linguacce ai bambini di nascosto e dice "sei la collega di papà!" e lì il mio istinto materno vacillante inizia leggermente a intorpidirsi. Gli dico di farmi da navigatore, anche se so benissimo dove abita. Facciamo un po' di compiti (è in terza elementare) e prepariamo la cena. Dopo che si è fatto il bagno da solo mi chiede se lo aiuto ad asciugarsi i capelli. Si era messo il pigiama al contrario, inizio a ridere, lui con me, glielo sistemo e lui mi chiede se posso rimanere fino a che non si addormenta. Ma certo, gli dico, resto tutto il tempo che vuoi.
Diventa silenzioso, andiamo sul divano, accende disney+ e gli chiedo a cosa sta pensando. Lui mi strappa il cuore dicendomi che con me si sente molto al sicuro ed entriamo in un momento di confidenza, gli chiedo se lui si sentisse al sicuro con i suoi genitori. "No, perché loro litigano sempre e una volta li ho sentiti dire che se non c'ero io non stavano più insieme". Aldilà dei congiuntivi e della consecutio temporum cerco di rassicurarlo, dicendo che spesso i grandi dicono cose che non pensano, che quando sono arrabbiati diventano anche più cattivi, e che non doveva preoccuparsi se, a volte, i genitori litigano, può capitare.
E lì, quel piccolo esserino mi stupisce ancora. "Io se voglio bene a qualcuno non ci litigo. Se litighiamo sparisce il sorriso. Io voglio essere felice da grande, sentirmi sempre sulle nuvole senza paura di cadere. Non lo dire a mamma e a papà che li ho sentiti."
"Sarà il nostro segreto."
"Però ci torni a stare con me se mamma e papà escono?"
Dopo cinque minuti, piccolo esserino dolce si addormenta profondamente sul divano...e io pure.
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casa
mi dispiace che i miei genitori abbiano una visione di me diversa da come sono realmente.
purtroppo però la loro visione è giustificatissima
so che mi vedono come una buona a nulla
ma sono giustificati perché effettivamente quando sto a casa con loro l’unica cosa che faccio è stare rinchiusa in camera mia, tra l’altro disordinata come niente, dalla mattina alla sera, mi faccio vedere solo quella volta al giorno che mangio, per il resto non esisto
e quando non sono a casa, scompaio per ore se non giorni senza dire nulla
so anche che è irrispettoso, so che dovrei aiutare mia mamma a fare le faccende di casa visto che mio padre sta buttato sul divano senza far nulla, so che dovrei stare più tempo con loro quando si mangia, perché io solitamente ci sto giusto quei 10 minuti per qualche boccone e bere un bicchiere d’acqua e poi mi alzo e me ne vado
ma io non ci riesco. non ce la faccio.
non ce la faccio ad uscire da questa stanza, a girare per casa, a fare le cose anche più semplici come apparecchiare il tavolo o preparare un piatto di pasta.
è più forte di me, quando esco da camera mia sento una grande pressione, mi sento osservata, mi sento stretta, mi sento come se avessi paura di qualcosa, di essere vista, di esserci e di esistere.
in tutto ciò però quando resto per i fatti miei in camera la situazione non è delle migliori, la stanza è veramente tanto disordinata, sempre buia a causa delle tapparelle costantemente serrate
le volte che loro entrano in camera mia spesso mi vedono e mi dicono che non sapevano da tutto il giorno se io fossi a casa o meno, e poi mi guardano con quello sguardo di pietà, che mi fa sentire un peso ancora più grosso sulle loro spalle.
la mattina quando mi sveglio a volte non mi faccio nemmeno vedere, aspetto la fine della giornata e se tutto va bene esco giusto per andare in bagno.
vorrei tanto sapessero che io in realtà non sono così, perché io quando mi trovo nella mia casa cucino, pulisco, faccio spesa, giro per casa in continuazione, apro tutte le finestre per far entrare l’aria che serve, sono molto indipendente e soprattutto intraprendente, e questo sia la mia coinquilina che il mio ragazzo possono assicurarlo, non tralascio quasi mai nulla.
ma qui, dentro questa casa, tutto ciò che ne è di me si spegne, e non ne capisco nemmeno il motivo, loro non sono cattivi con me, anzi, la cattiva della storia qui sono io nei loro confronti.
ma è più forte di me, non riesco ad uscire da qui dentro.
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Ho visto troppi figli limitati e resi falliti dalle idee educative di certi genitori.
La cultura degli anni 80 vi ha resi dei cattivi educatori.
Lasciateci decostruire e ricostruire.
youtube
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Moving
In realtà avrei voluto saltare il solito commento poiché impegnatissima ma poi ho trovato la necessità di buttar giù almeno qualche riga.
Moving è una serie coreana che nonostante il suo altissimo badget, una bellissima storia, un cast con i controcazzi e una oggettiva mancanza di difetti, ho trovato poco conosciuta e poco vista. E' un peccato perché la serie merita sicuramente la visione.
Partendo dal cast che ho trovato perfetto. Tutti gli attori hanno dato il 100% nei loro ruoli, anche gli attori stranieri - che spesso sono cani come ricordo il tizio italiano di Vincenzo - ed i ragazzi più giovani. Nota di merito per Han Hyo Joo , interprete di Lee Mi Hyun . L'avevo già vista in Shining Inheritance e più recentemente in W ma qui sboccia completamente. Intensa, letale ma amorevole e capace di divenire fredda come il ghiaccio quando serve.
Anche Jang Joo Won è stato uno dei miei personaggi preferiti poiché un vero e proprio tenerone. Grande, grosso, letale ma capace di mostrare umanità e sofferenza, solitudine e smarrimento. Ho amato la parte dove Jang Joo Won si perde per la strada e piange sentendosi smarrito. Non è una perdita reale ma sta parlando della sua vita. E' lì che lui si è perso e non sa più cosa fare di essa. Queste parti poetiche forse sono state le mie preferite.
Da notare poi come la serie offra a tutti i personaggi una caratterizzazione, un background, una psicologia che li rende umani, vivi, reali e non figurine di cartone messe lì a fare numero. Questo è particolarmente vero per i "villain" della storia: ho apprezzato molto che essi non fossero cattivi perché sì, perché lo richiede la trama. In questo caso, faccio spoiler ma sti cazzi, i nord coreani sono risultati i personaggi più interessanti della storia. Le loro vite distrutte, in ostaggio, per il loro paese e contro il loro paese... le loro storie sono tristissime e diventa difficile, nonostante siano i villain, non avere empatia verso di loro.
Ho percepito la disperazione della Corea del Nord nel tentativo raffazzonato di trovare super uomini da mandare contro i loro vicini: troppo veloci, troppo superficiali, troppo crudeli. Ma questo reclutamento forzato mostra benissimo il tormento del Paese.
Parlando della trama poi, è interessante. Moving prende una classica storia di gente con i superpoteri - alla Avangers per intenderci - che non deve lottare contro il Thanos di turno ma li mostra nelle difficoltà relazionali, di scelte di vita, di sopravvivenza.
Come dice giustamente Jang Joo Won, Moving non è una storia di combattimenti ma un romanzo d'amore. Amore verso i genitori ma anche verso i figli, verso la patria (qualunque essa sia), verso l'interesse amoroso di turno, verso la vita... @suzuran-s-rooftop
Le scazzottate, i proiettili in testa, lo splatter, la distruzione, diventa quindi solo uno sfondo dove i personaggi navigano sopravvivendo, crescendo e maturando.
Punto focale della serie è la relazione genitori-figli e cosa i primi sono capaci di fare una volta che vedono i loro pargoli in pericolo. Per la loro sicurezza sono disposti a rinunciare a tutto: sicurezza, libertà... è un bellissimo messaggio. In questo caso i tre genitori Jang Joo Won, Lee Mi Hyun o Lee Jae Man dotati anch'essi di poteri che annusando i loro figli in difficoltà non esistano nemmeno un secondo per proteggerli e salvarli.
Vorrei poi porre l'accento sulla questione dei servizi segreti Sudcoreani e sul Vicedirettore Min. Tralasciando tutte le imprecazioni che gli ho tirato, diventa difficile non essere almeno un po' d'accordo con lui: sappiamo e abbiamo visto come anche gli altri paesi abbiano i super uomini ( Frank sempre nei nostri cuori) e che non esitano a mandarli in missione in Corea. Può essa rimanere senza protezione? Ma allo stesso tempo, nessuno vuole fare davvero questo lavoro. Discorso difficile.
Altra nota poi è la quantità impressionante di splatter. Ora, io sono sensibilissima su questo frangente e per me è stato davvero troppo. La serie infatti non lesina su arti mozzati, occhi cavati, impalamenti ecc ecc ed io ho trovato difficoltoso vedermi certi combattimenti che infatti ho skippato con la morte nel cuore perché amo le scene di rissa.
La serie offre anche delle storie d'amore anche se la mia preferita è stata quella di Kim Doo Shik e Lee Mi Hyun : lenta, delicata, romantica e pericolosa. Ho amato poi, tutti i rimandi che sono stati inseriti, come nel finale il tetto della casa viola, in richiamo alle parole passate della madre su come il viola fosse il suo colore preferito. Tetto fatto di quel colore per indicare al padre la via di casa. Carini da morire.
Anche Kim Bong Seok e Jang Hee Soo sono stati adorabili: mi è piaciuto come abbiano legato sin da subito e fossero uno il sostegno dell'altro. Come Bong aiutasse Hee sia nei suoi allenamenti sia nella relazione con il padre e come Hee fosse sempre super gentile con Bong.
Ultima nota, il finale.
Ho apprezzato che il finale della serie tornasse all'inizio: gli americani. La loro storyline si era conclusa con la morte di Frank nel quarto episodio e poi non se ne era saputo più nulla. Ma con la fine della serie, tornano in tutta la loro gloria e mi è piaciuto che gli autori non se ne siano dimenticati e anzi, probabilmente saranno la base per una seconda stagione.
E adesso, il vero motivo perché ho sentito il bisogno di scrivere queste righe:
Nonostante le mie belle parole, nonostante non abbia trovato criticità oggettive, nonostante l'ottima produzione, Moving non è riuscito a farmi innamorare. Mi è piaciuto, ho visto una bella storia fatta benissimo e potrei parlare per ore delle cose positive di questa serie. Ma non mi ha preso il cuore.
Non è stato come Someday o Circle o anche High and Low, drama da produzione più "brutte" a volte, con anche errori e cagate che però hanno saputo conquistarmi.
Ed è proprio la ricerca del perché questo non sia avvenuto ad avermi spinto a scrivere: ho pensato che mettendo "su carta" la serie, mi sarebbe giunta l'illuminazione.
Spoiler: non è arrivata.
Ci dovrò riflettere sopra ma in compenso mi sono data due risposte: la prima è il troppo splatter. Come detto sopra non solo non ne sono un amante ma proprio non riesco a vedere queste scene, portandomi quindi a non potermi godere metà dei combattimenti.
La seconda motivazione potrebbe essere la coralità. Tanti personaggi, tante storie, tanti background che mi hanno fatto volteggiare come una pallina impazzita da una parte e dall'altra. Non sono riuscita a concentrarmi su nessuno dei protagonisti perché tutti in un modo o nell'altro lo erano.
Detto questo, che rimane una mia opinione da considerare con il tempo, Moving rimane una serie assolutamente da vedere!
VOTO 8.3
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E dunque, non sarebbe meglio regalare un libro ad un piccolo bimbo, piuttosto che un cellulare? E non è forse un sintomo dei genitori in errore e non tanto di bambini cattivi oggi e futuri uomini ignoranti domani? Siamo noi che edifichiamo il mondo oggi, loro, lo erediteranno solo domani.
È un vero piacere, sapere che un grande come Clint, condivida questo mio pensiero, già tante volte espresso e pubblicato in altre occasioni.
lan ✍️
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Il nostro Paese visto da lontano e con gli occhi della cultura e dell'arte ormai fa impressione. Come diceva Schopenhauer: la nostra massima aspirazione è avere «un’Italia modernamente confusa e livellata»
Ercole custodiva un gregge. Un vitello disubbidiente e riottoso fuggì. Il mitico eroe lo dovette inseguire. Nella sua fuga, la bestia attraversò al galoppo una penisola che, come una gamba, si stendeva nel mare. Arrivato al piede, si gettò nelle acque in tempesta, attraversò uno stretto e raggiunse un’isola a tre punte. Di quest’isola Goethe dirà: «Senza vedere la Sicilia non ci si può fare un’idea dell’Italia. È lì che si trova la chiave di tutto».
Ercole diede un nome alla terra che aveva attraversato, la chiamò Vitalia da Vitulo, vitello (in greco italós).Nei secoli, i luoghi meravigliosi percorsi dal galoppo tuonante dell’animale e del mitico eroe inseguitore si popolarono di Vitaliani (bovini indisciplinati). Questi Vitaliani costruirono, subirono e fusero diverse civiltà prima di arrivare ai tempi moderni e perdere l’identità.
L’identità si perde nella scuola, per la strada, nelle stanze di casa…
… Nella scuola. Quando non si insegna la necessità vitale di cercare il tempo, lo spirito, il significato delle esistenze dei genitori e dei genitori dei genitori. Perché un essere umano che non sa rivivere il lungo e sofferto percorso che lo ha portato a nascere in un dato luogo e in un dato tempo, vivrà procedendo alla cieca e girando intorno a se stesso. Nessuno scappa dalle proprie radici. E, se non le vede e non se le racconta, vive con addosso una specie di maledizione, come gli orfani.
… Per la strada. Quando si cammina pensando soltanto ai propri passi e non si è capaci di armonizzarli ai passi che ci hanno preceduto. Non si riconoscono allora le eredità di armonia e di violenza che ci circondano. E si smarriscono la capacità e il piacere di rifletterci sopra.
… Nelle stanze di casa. Quando il pensiero e l’azione sono governati dall’angoscia di non essere capaci di afferrare il futuro. Allora il presente è insicuro come un pavimento nel terremoto e il passato è perduto.
Leopardi lamentava che gli stranieri «… considerano l’Italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili…». Qual è l’animo di questi custodi? C’è orgoglio per i musei? C’è vergogna per l’odore dei gabinetti? O la vista e l’olfatto dei custodi sono stanchi, pigri e annoiati e non percepiscono più né il museo né il gabinetto? O, peggio ancora, i custodi ignorano quello che contengono i musei e invidiano i soldi e la furbizia ignorante di chi ha costruito e possiede i gabinetti?
Leggendo uno dei miei autori preferiti, mi sono imbattuto in una pagina in cui si parla di noi italiani: «… Sono di nuovo fra questa gente malfamata, che ha volti così belli e animi così cattivi… essi sono fini e astuti e, quando vogliono, sanno perfino sembrare onesti e leali; e nondimeno sono così perfidi, disonesti e impudenti, che la meraviglia ci fa dimenticare lo sdegno. Le loro voci sono orribili: se a Berlino uno solo urlasse per la strada in maniera così rimbombante come fanno qui a migliaia, accorrerebbe tutta la città. Ma a teatro trillano a meraviglia… Il tratto principale, nel carattere nazionale degli italiani, è un’impudenza assoluta. Questa dipende dal fatto che essi da un lato non si sentono inferiori a nulla, sono quindi presuntuosi e sfacciati, dall’altro non si ritengono buoni a nulla e sono quindi vili. Chi ha pudore, invece, è per certe cose troppo timido, per altre troppo fiero. L’italiano non è né l’una cosa né l’altra, ma, a seconda delle circostanze, è tutt’al più pusillanime o borioso».
Non prendiamocela con Arthur Schopenhauer che ha scritto di noi queste parole. I suoi compatrioti li liquidava più frettolosamente: «Disprezzo la nazione tedesca per la sua infinita stupidità e mi vergogno di appartenervi».
Siamo ancora così assolutamente impudenti? Insieme presuntuosi e vili? È ancora questa l’immagine che trasmettiamo? Incapaci di uscire dalla confusione inconcludente e rumorosa in cui boria e vigliaccheria ci trascinano. Siamo cambiati? In meglio? In peggio? Dobbiamo smentire o confermare le parole di Schopenhauer? Guardiamo allora la vita pubblica, i comportamenti delle persone che decidono e che influiscono nella nostra storia presente. Guardiamo la vita di tutti i giorni, interroghiamo la nostra esperienza nei luoghi di lavoro e di svago. Ciascuno troverà la sua risposta.
Torno a Schopenhauer. È in punto di morte: «Che i vermi avrebbero presto roso il suo corpo non costituiva, per lui, un pensiero triste. Pensava con orrore, invece, a come il suo spirito sarebbe stato ridotto tra le mani dei professori di filosofia. Chiese le ultime novità in politica e in letteratura, e espresse la speranza che l’Italia potesse avere l’unità. Aggiunse, però, che in tal caso avremmo dovuto scambiare la vecchia Italia riccamente individualizzata, alle cui molteplici divisioni in fatto di carattere, di spirito e di costumi era legata, forse inconsapevolmente, gran parte dell’Europa colta, con un’Italia modernamente confusa e livellata».
Dunque, prima di morire aveva pensato all’Italia. Un breve, folgorante pensiero che, come sempre, vedeva lontano. Il giorno dopo, il medico lo trovò morto, seduto nell’angolo del sofà e riverso sulla schiena. «Aveva sempre sperato di morire dolcemente, perché chi è stato solo tutta la vita capisce meglio degli altri questa faccenda solitaria».
Il momento in cui è stato pronunciato dà una particolare forza simbolica a questo richiamo, per noi che viviamo in «un’Italia modernamente confusa e livellata», a non perdere quella identità fatta di ricchezza individuale che nasceva proprio da antiche, radicate differenze di carattere, spirito e costumi.
Se è grande il debito dell’Europa colta verso quell’Italia, non possiamo noi italiani farla dimenticare ai nostri figli. Non possiamo perdere la coscienza e la memoria dei sogni e degli incubi vissuti nel nostro lungo percorso, unico nella storia. Diventeremmo altrimenti nient’altro che degli zotici, forse benestanti, provinciali d’America. Noi eravamo, secondo Milton, «il centro della civiltà e il domicilio ospitale di ogni specie di erudizione».
-Giacomo Battiato
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Cara Me,
Forse sei nata nel posto sbagliato, nemmeno i tuoi genitori ti volevano, figuriamoci le persone intorno a te se ti vogliono.
Sei nata fragile in un mondo cattivo e l’essere buona non è un pregio ma soltanto un difetto perché le altre persone ti pugnalano alle spalle e tu sei li, a guardarle e a non riuscire a fare niente perché sei troppo buona.
Sei una persona di quelle che non vuole nessuno come amica perché ti piace il silenzio anzi che tante parole messe li a caso dalle persone che la maggior parte non hanno nemmeno un senso, la gente parla e stra parla ma di cose che nemmeno sanno.
Sei un anima fragile da tenere con delicatezza e invece le persone ti sballano da una parte all’ altra e tu crolli perché non sei in grado di sopportare tutta quella cattiveria in loro.
Sei troppo buona ti dicono e poi sono cattivi con te come se fosse un difetto essere troppo buoni e un pregio essere cattivi in questo mondo.
Sei una persona che ormai non sa più di chi fidarsi perché anche la persona più vicina a lei da anni l’ ha messa sotto i piedi come se non le importasse più nulla, come se fosse solo uno zerbino da pulirsi i piedi, un oggetto che ormai usato va buttato via.
Me
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“Being a part of a twin set” -Miya Twins [Haikyuu!!]
Note: ↓[Engl. version]↓
Prologo: “La necessità di un equilibrio”
Essere un fratello non è una cosa semplice.
Non lo è affatto, soprattutto quando ti ritrovi a condividere anche il tuo aspetto.
Perché in una casa dove è rimasto solo uno dei genitori, inevitabilmente cresci con la necessità di capire quanto importante sia l'equilibrio.
Per questo motivo Atsumu ed Osamu avevano imparato a comportarsi come il sole e la luna: se il biondo non sapeva trattenersi, era il cenerino ad essere paziente; se il maggiore (di soli sette minuti!!) aveva in bocca la parola voglio, il minore scuoteva la testa fingendo disinteresse; se il primo si faceva travolgere dalle emozioni, era il secondo a farsi abbastanza forte da sostenere entrambi...
Insieme facevano di tutto pur di non gravare sulle spalle della loro adorata Ma'.
Anche se alle volte questo significava rinunciare ad una parte di loro stessi.
"Se sono felici loro, lo sono io" è il motto che sforzavano di ricordarsi quando diventava difficile e stringevano i denti, serravano i pugni, si mostravano invincibili per poter cautelare quell'equilibrio, per far sì che la sua bilancia non pendesse da un solo lato quando uno dei due osava essere un poco egoista, senza mai farlo vacillare né cedere.
Superficialmente la gente ha da sempre additato la loro interdipendenza come un legame morboso, ignorando il vero motivo latente: se sei da solo come faresti mai a sbarazzarti della tua immagine speculare, l'unica indissolubilmente a te legata per geni per sangue, l'unica che capisce e resta al tuo fianco nonostante tutto?
Osamu avrebbe tanto voluto chiederlo a quei bambini cattivi che alla materna prendevano in giro Atsumu, poiché incapace di relazionarsi con chiunque non fosse il suo gemello, ma tra i due era proprio lui ad essere fatto di parole e allora rispondeva ai bulli con le botte.
Solo il cenerino aveva il diritto di schernire il biondo e nessun altro.
Per calmare i suoi pianti mocciosi aveva provato a ragionare con lui, tuttavia Atsumu continuava comunque a voler fare amicizia con gli altri, ugualmente desiderava far parte del gruppo... quello stesso gruppo che irrazionalmente accoglieva Osamu, ma non anche lui. Ed allora incominciava a diffidare di quelle "amicizie", rinunciava loro dubitando della loro onestà dato il comportamento esclusivo che avevano nei confronti del suo gemello. Il cenerino cresceva sempre più cinico con il passare del tempo ed imparava a mostrare agli altri solo la sua apatica superficie, stanco della gente intenta a confrontarli per capire quale dei due potesse essere il migliore.
Le lagne di uno e l'asocialità dell'altro avevano portato la loro Ma' a preoccuparsi per loro, quindi assieme avevano cercato un modo per far parte di un gruppo in cui la loro sincronia sarebbe stata impossibile da rinnegare, fondamentale. All'Inarizaki High tutti conoscevano i Gemelli Miya, la coppia incredibile ed intercambiabile divenuta l'incubo dei professori e di chiunque si azzardasse a sfidarli ma soprattutto il mostruoso duo nel campo da pallavolo.
Per forza di abitudine Osamu assecondava i capricci del biondo, come spendere ore extra in palestra per allenarsi o partecipare ad eventi sociali per conoscere persone, al caro prezzo della sua porzione di budino. Esatto, perché sarebbe andato anche il capo al mondo per suo fratello e la sua Ma', però il cibo aveva la sua priorità. Era in grado di restare impassibile ad una rovinosa caduta di Atsumu davanti ai suoi occhi, se fra le mani stringeva un caldo dorayaki, e di spezzare braccia se qualcuno tentava di rubargli un morso.
"Samu ama mangiare di gusto come Tsumu ama giocare a pallavolo!" scherzava di tanto in tanto Ma', facendogli passare l'appetito inconsapevolmente.
L'amore non c'entrava nulla con il suo peccato di gola.
No, lui non provava quel genere di sentimenti...
Quello ad agire di cuore era Atsumu, non lui.
No, lui era il gemello noioso, silenzioso e (anche si, dai) goloso, mentre Atsumu...
Beh, Atsumu era definitivamente il più solare dei due, quello più bello con il sorriso stirato sulle labbra, gli occhi vispi e vivaci ed il ciuffo dorato. Per questo aveva un fan club di ragazze che gli sbavavano dietro, anche se stranamente bastavano cinque minuti delle sue chiacchiere senza filtri a farle scappare via. Già, via per andare a cercare la sua copia e fare il paragone.
Se il biondo era stronzo per innocente natura, Osamu lo era diventato per esaurimento.
Era una cosa insopportabile, la odiava, la odiavano entrambi.
Come mai avrebbero potuto essere la loro libera persona, se la ricerca di comprendere quale dei due fosse quello giusto li perseguitava dovunque?
Al secondo anno di liceo Atsumu ed Osamu vennero divisi in due classi diverse e parallele.
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COSA SIGNIFICA ESSERE FIGLI ANZIANI DI GENITORI ANZIANI?
Uno degli aspetti più affascinanti del viaggiare da soli è la maggiore facilità con cui si fanno incontri e addirittura la possibilità di entrare in poco tempo in relazioni anche profonde.
Con questi amici abbiamo condiviso tanti bei momenti e mi ha colpito quanto fosse ricorrente parlare del rapporto con i genitori, in particolare mamme anche ultra centenarie.
La cosa è nata dalla curiosità che avevano nel vedere una donna ultracinquantenne, sola e con tanto di ricrescita senza tinta, dormire in macchina.
La mia battuta sul fatto che vacanza per me significa ridurre al minimo le cose e le persone di cui occuparmi, solleva sempre un certo sconcerto.
Credo perché da una donna non ci si aspetti uno sdoganamento così sfacciato di un tabù di genere: sola - o meglio non in coppia con un uomo -, autonoma negli spostamenti, indipendente, apparentemente felice della sua situazione, incurante delle apparenze e soprattutto che non si sente in colpa nell'esprimere il desiderio e la necessità di stare unicamente in rapporto con sé stessa.
Certamente attraggo tante curiosità, specie dalle donne over cinquanta che vengono confrontate indirettamente con il proprio rapporto con la libertà all'età a cui sono arrivate.
Così le persone si avvicinano, mi chiedono del perché di questa scelta, che pensavano fossi straniera perché non è da italiane girare da sole, men che meno " ad una certa età ".
E allora iniziano a parlare, specie le donne, di quanto ancora si sentono incastrate nelle loro vite famigliari, in particolare nei loro ruoli di accudimento in quanto mamme, nonne e figlie.
È un tema questo che ricorre sovente in quest'ultimo anno.
Le persone con cui ne ho parlato finora mi hanno tutte confermato una certa fatica e irritazione nell'essere trattati ancora come figli piccoli, nonostante si abbiano abbondantemente superato gli "anta".
Persone che a settant'anni si sentono ancora di dover giustificare delle scelte oppure che debbono fare ciò che il genitore si aspetta per non sentirsi cattivi.
Le figlie femmine - ovviamente - sono le più vessate.
Genitori da mantenere, conflitti famigliari tra fratelli, donne eternamente impegnate sul fronte dell'accudimento dei nipoti e dei genitori e magari invischiate in eterni conflitti con fratelli, in particolare maschi, che si sentono più liberi di stare distanti.
Di questo genere di esperienze, specie in un paese come il nostro ad alto tasso di invecchiamento, se ne parla pochissimo eppure credo incida nella vita delle persone statisticamente di più delle problematiche adolescenziali o giovani adulte.
Perché non se ne parla secondo voi? perché non esistono esperti che danno indicazioni come si vede di sovente in altri campi delle relazioni umane?
Esistono testi che si occupano della relazione genitori-figli in tarda età?
Qual'è la vostra esperienza? Ditemi cosa ne pensate.
Gloria Volpato
#donnelibere #equità #ruolidigenere #esserevecchicongenitorianziani
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Ormai
Già, eccola la parola assassina: ormai. Lei non passa mai di moda, e ora come allora serve a non partire, non fare, non provare mai a cambiare le cose intorno a noi. È una parola corta, ma basta a riempire una vita di scontento, giorno dopo giorno fino all’ultimo, raccontandoci che per essere felici è troppo tardi, ormai. Quante volte ci lamentiamo del lavoro, delle scelte, di mariti e mogli, fidanzati o compagni e insomma della vita tutta intorno e addosso a noi. E diciamo scemenze tipo che l’infanzia era l’età più bella, la più libera e spensierata. Ma non è mica vero: come può essere libera, un’età in cui per fare qualsiasi cosa devi chiedere il permesso a genitori, familiari, maestri, catechisti e adulti in generale? È quando diventi grande che sei libero davvero, non devi obbedire a nessuno, e disegnare la tua vita spetta a te. Solo che ce la disegniamo da schifo. Da bambini abbiamo un sacco di sogni, ma ce li teniamo dentro perché è troppo presto, in attesa di diventare adulti e realizzarli. Poi però cresciamo, e decidiamo che i sogni sono roba da bambini, e al posto di quelli ci riempiamo i giorni di obblighi e doveri e altra roba che non ci piace e non ci fa felici, e vorremmo cambiare ma non cambiamo nulla di nulla, perché è troppo tardi, ormai. Troviamo un sacco di scuse: siamo troppo giovani o troppo vecchi, oppure siamo sfortunati, diversi, siamo nati nel posto sbagliato. O magari sono gli altri che sono cattivi, sono invidiosi, sono raccomandati, sono ... sono tutte scuse, che ci raccontiamo per non fare nulla. E io non ho niente contro le scuse, anzi, le amo. Sono preziose quando le usi con gli altri, per evitare cene noiose, ritrovi di parenti, riunioni di condominio e altri inaccettabili furti di vita. Ma che senso hanno le scuse, se le raccontiamo a noi stessi per non essere felici? Non lo so e non lo voglio sapere. Per stare meglio, a me basta sapere che sono negato a suonare il pianoforte. E sembra che non c’entri nulla, ma invece sì: fin da piccolo, quando alla tv c’era qualcuno che suonava il piano, io seguivo e annuivo, pensando che avrei saputo farlo anch’io. (...) Non ho quel talento, non ce l’ho per niente, però non ho nemmeno quel rimpianto dentro. Ci ho provato, e ho fallito enormemente, ma va bene così. Mi hanno detto che sono negato, che sono patologicamente negato, ma sono contento di non aver detto ormai. (Fabio Genovesi - “Il calamaro gigante”)
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Baudelaire non punta all’autosoddisfazione per via del seguente meccanismo: X vuole Y e, per una qualunque di mille ragioni, pensa che non dovrebbe volere Y. X pensa che è CATTIVO volere Y. Quel che vuole X è Y e insieme essere BUONO.
E allora Baudelaire il dilemma lo risolve cosí: si rende conto che qualche forza (i suoi genitori, la società, la sua amante) agisce dicendo che desiderare Y è CATTIVO. Questa forza è l’autorità e dunque è giusta. L’autorità lo punirà perché è CATTIVO. L’autorità lo punirà il piú possibile, puniscimi puniscimi, piú di quanto sia necessario finché non sarà ovvio a tutti che la punizione è ingiusta. I castigatori sono ingiusti. Ogni autorità in questo momento ha un odore mefitico. Dunque non ci sono BUONI e CATTIVI. X non può essere CATTIVO.
È necessario spingersi sempre a toccare gli estremi.
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“ Mia madre è la forza e la tempesta, ma anche la bellezza, la curiosità per il mondo, l’apripista sulla strada verso il futuro, che mi dice di non aver mai paura di niente e di nessuno. Combatte contro tutti, i fornitori e i cattivi clienti del suo negozio, i canali di scolo ostruiti della nostra via e lorsignori che tenteranno sempre di schiacciarci. Si porta in scia un uomo dolce e trasognato, dalla parlata pacata, con la tendenza a rabbuiarsi per giorni alla minima contrarietà, ma che conosce un’infinità di barzellette e di indovinelli, qual è il contrario di melodia, cosa fa un chicco di caffè sul treno, e canzoni che mi insegna mentre lui si occupa del giardino e io raccolgo vermi da gettare nel recinto delle galline: mio padre. Dentro di me non faccio distinzioni tra i due, semplicemente sono la bambolina di pezza di lei, il tacchino di lui, per entrambi sono il frutto del ripensamento, ed è a lei che devo assomigliare perché sono una bambina, e come lei anch’io un giorno avrò il seno, farò la permanente, indosserò calze di nylon. La mattina, in classe, papà-va-al-lavoro, mamma-resta-a-casa, sbriga-le-faccende, prepara-un-pranzetto-coi-fiocchi, io farfuglio, ripeto insieme alle altre senza stare lì a questionare. Ancora non mi vergogno di non avere dei genitori normali. Il mio, di padre, la mattina non esce, e se è per questo nemmeno il pomeriggio. Resta a casa. Sta al bancone del caffè-drogheria, lava i piatti, cucina, sbuccia le verdure. Lui e mia madre gestiscono la stessa attività, con il viavai di uomini dalla parte del bar, di donne e bambini dalla parte dell’alimentari, le persone che costituiscono tutto il mio mondo. I miei genitori condividono le competenze, le preoccupazioni, il registratore di cassa che lui svuota ogni sera, mentre lei lo osserva contare. Dicono, lui o lei, «giornata magra», altre volte, «oggi bene, dai». L’indomani uno dei due andrà a depositare il denaro sul conto in posta. Non svolgevano esattamente le stesse mansioni, esisteva pur sempre una divisione di ruoli, ma non aveva nulla di tradizionale, eccezion fatta per i panni, da lavare e da stirare, di cui si incaricava mia madre, e la manutenzione dell’orto, compito di mio padre. Tutto il resto sembrava essere dettato dai gusti e dalle inclinazioni di ciascuno. Lei si occupava soprattutto della drogheria, lui del caffè. Da una parte la ressa di mezzogiorno, i minuti contati, alle clienti non piace aspettare, vieni che c’è gente, e con richieste d’ogni tipo, una bottiglia di birra, un pacchetto di forcine, una folla di donne diffidenti, da rassicurare in continuazione, vedrà che questa marca è la migliore, parola mia. Arte della persuasione, lingua sciolta. Mia madre era esausta e appagata, usciva raggiante da una giornata in negozio. Dall’altra parte i bicchieri di vino tirati in lungo per ore, uomini placidamente seduti al tavolino, un tempo sospeso, senza orologio. Nessun motivo di correre, di tessere le lodi dei prodotti né di fare conversazione, bastavano già gli avventori a chiacchierare per due. Fa al caso suo, lunatico com’è, così dice mia madre. E poi i clienti del bar gli lasciano il tempo per un mucchio di altre attività. “
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹; pp. 15-17.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
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No. I tassi da strozzini non sono una buona analisi.
Basti ricordare che veniamo dalla crisi dei subprime seguita da un periodo in cui i tassi erano addirittura negativi (si lo so che i tassi della banca centrale e mutui non sono la stessa cosa).
Le banche dovrebbero prestare i soldi alla gente che può permettersi di fare investimenti.
Se tu non hai i soldi ADESSO e quello che acquisti non incide sulla tua capacità di risparmiarli o aumentare la tua capacità di fare soldi, ha poco senso prestarteli.
Solo che la casa non dovrebbe essere un investimento per dire... e nemmeno la macchina dovrebbe essere una NECESSITÀ.
E l'educazione dovrebbe essere un investimento collettivo, perchè offrire l'opportunità a TUTTI di studiare È un INVESTIMENTO di e per tutti. (ricordiamo altresì che se si pensa che un negro non possa avere le stesse capacità di un Einstein o una Montalcini (o di un Turing??) è perchè si è RAZZISTI... tanto quanto quando si vorrebbe che agli europei di atletica vincessero solo italiani bianchi...).
Poi le banche hanno altri problemi... come quello di prestare i soldi agli amici ed esternalizzare il rischio...[*].
Lasciamo perdere quelli che si lamentano del fatto che non bisognerebbe fare educazione sessuale nelle scuole (che si ostinano a chiamare "teoria gender") e dicono che dovrebbe occuparsene la famiglia e poi al primo caso di regazzina menata dai genitori perchè non porta il velo... non dicono "brava ragazzina" e "brava scuola" ma dicono "cattivi musulmani".
O al primo stupro... "portava la minigonna"... "era ubriaca"... "si sapeva che era un po' zoccola"...
[*] pigliarsela con le banche o con il "mercato" o con la finanza e come pigliarsela con il martello perchè chi ti faceva reggere il chiodo ti ha picchiato un dito.
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Mosciano Sant'Angelo, minaccia di gettarsi dal cavalcavia della A14: salvato da un Carabiniere
Mosciano Sant'Angelo (Teramo), minaccia di gettarsi dal cavalcavia della A14: salvato da un Carabiniere Martedì nel cuore della notte alla centrale operativa dei carabinieri di Giulianova veniva transitata una telefonata proveniente da Mosciano Sant’Angelo, con la quale un giovane manifestava intenti suicidi in particolare minacciava di gettarsi da un cavalcavia dell’autostrada A 14. L’operatore di turno un brigadiere, con alle spalle una lunga militanza nel radiomobile, percepita la gravità del fatto ha avviato con il ragazzo un lungo colloquio telefonico ove ha riscosso la fiducia dello stesso che si è aperto verso il carabiniere, infatti gli ha raccontato che voleva suicidarsi perché aveva deluso i genitori nello studio e piano piano ha dato indicazioni sul luogo ove si trovava che insieme al tracciamento della telefonata permettevano ai carabinieri della Stazione di Roseto degli Abruzzi di rintracciare il ragazzo. Lo stesso che era arrivato con la propria autovettura in un cavalcavia dell’A 14 nel comune di Mosciano sant’Angelo contrada Colle Pizzuto era ancora al telefono con l’operatore di Giulianova. I Carabinieri della pattuglia provvedevano a tranquillizzare il giovane e lo affidavano alle cure dei sanitari del 118 che lo conducevano all’ospedale di Giulianova, adesso il ragazzo sarà sottoposto alle cure dei sanitari, per il carabiniere della centrale operativa, incarico importante nell’Arma dei Carabinieri, ma poco visibile all’esterno, l’immensa soddisfazione di aver aiutato un giovane un coetaneo dei propri figli, di aver saputo delicatamente e sapientemente colloquiare con lui, farlo desistere dai pensieri cattivi e nel contempo guidare i suoi colleghi a salvare una vita.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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