#fossili e poesia
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Fossili, arte e poesia: il doppio evento di Floriana Porta ad Asti e Viarigi tra acquerelli, emozioni e antiche forme di vita
Laboratorio artistico per bambini il 12 aprile al Museo Paleontologico di Asti e mostra “Primitiva” dal 10 maggio al 2 giugno nella Torre dei Segnali di Viarigi Floriana Porta, pittrice torinese di origini astigiane, torna a sorprendere il pubblico con due eventi che uniscono arte, paleontologia, natura e poesia, trasformando la memoria del passato geologico in emozione presente. L’artista, nota…
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Il giallo dei tigli

Tigli gialli nel campo. Non sono spettacolari come gli alberi di Ginkgo, però, nel loro piccolo, fanno colore.
L’albero di ginkgo biloba è un simbolo nazionale del Giappone ed è considerato portatore di speranza e simbolo di Pace. Le sue foglie bilobate vengono citate in letteratura e in poesia, inoltre compaiono su ceramiche, tessuti, stemmi familiari, ecc. Questo albero - stupefacente nella sua veste autunnale gialla dorata - è molto antico (può vivere fino a 1.500 anni): viene considerato un “fossile vivente”, poiché i primi fossili ritrovati risalgono a 270 milioni di anni fa! Si tratta di un albero anche molto resistente allo stress e al traffico, e per questo viene piantato nelle grandi città nipponiche come albero ornamentale. Sei alberi di Gingko rimasero in piedi a Hiroshima in seguito all'esplosione nucleare, che rase al suolo la città, e tutt'ora vivono rigogliosi. In Cina, già dal 1100 a.C. veniva coltivato dai monaci nei giardini dei templi.
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Discorso intorno alla fotografia del buco nero M87. Ovvero: i poeti devono riappropriarsi del cosmo. D’altronde, Pascoli cantava “le solitarie Nebulose” e Majakovskij voleva interrogare Einstein
Sembra l’occhio di Sauron, la pupilla che ti fissa dal fitto del cosmo, ti risucchia, con inesplicabile seduzione. Per alcuni è un anello che sta realizzando la sua forma, incandescente, ad altri pare la carezza di un angelo, l’ultimo amen prima dell’incomprensibile, la traccia dell’innocente sull’oscuro che smargina.
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L’uomo, intendo, è impastato di linguaggio: le cose non esistono nella loro definizione ‘scientifica’, ma per la natura linguistica che le anima. Per questo, mi sembra irritante dare al buco nero appena fotografato – impressionante: fotografare il cuore di tenebra, fermare l’assedio dell’oscurità – e alla galassia che lo ammanta la didascalia M87. Facciamo una gara lirica a chi assegna, a questo occhio indimenticabile, il nome più bello.
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Quando ero piccolo avevo un libro di mitologia greca e uno sul cosmo. Mi sembravano la stessa cosa. Il mito non serve a spiegare l’ignoto, il cosmo. Al contrario, serve a tracciarlo nella nostra mente, che è linguistica, e nella nostra carne, che è affettiva. L’uomo ragiona ancora per ‘storie’, non per incestuose cronache di logaritmi.
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L’Event Horizon Telescope ha fotografato per la prima volta un buco nero: l’intuizione astratta di un uomo trova conferma nella natura del cosmo. Che raffinatezza. Il buco nero M87 si trova nel cuore dell’Ammasso della Vergine, che è costituito da 87 galassie visibili, molte delle quali si chiamano Leda, altre Virgo, ovviamente, con un numero identificativo al fianco. Tra poco chiamo Ian Solo e mi getto nell’improbabile.
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Da bravo cristo, fiero della propria ignoranza, sfoglio il The Astrophisical Journal Letters, dove un articolo dettagliato, First M87 Event Horizon Telescope Results. I. The Shadow of Supermassive Black Hole. Intorno a questa idea dell’ombra del buco nero sarei pronto a scrivere un poema. Ci capisco poco, va da sé. Questo è l’esordio introduttivo: “I buchi neri sono una predizione fondamentale della teoria della relatività generale (Einstein 1915). Una definizione caratteristica dei buchi neri è il loro ‘orizzonte degli eventi’, un confine casuale nello spaziotempo da cui nessuna luce può sfuggire (Schwarzschild 1916)”.
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Leggendo del buco nero e della profezia realizzata di Einstein, mi viene in mente quanto ricorda Roman Jakobson in quel libro miracoloso, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. “Nella primavera del 1920 tornai a Mosca, stretta nella morsa dell’assedio. Portai nuovi libri europei e notizie sul lavoro scientifico dell’Occidente. Majakovskij mi fece ripetere più volte il mio resoconto confuso della teoria generale della relatività… ‘Io sono assolutamente convinto che la morte non ci sarà. I morti saranno resuscitati. Troverò un fisico che mi spieghi punto per punto il libro di Einstein’. Per me in quell’istante si rivelò un Majakovskij completamente diverso: l’imperativo di una vittoria sulla morte lo possedeva… In quel tempo Majakovskij era preso dall’idea di inviare a Einstein un radiotelegramma di saluto: alla scienza del futuro da parte dell’arte del futuro”.
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Majakovskij e Einstein: che incontro clamoroso sarebbe stato. Poesia e scienza, in effetti, sono uno. L’ascesa al cosmo la fa più la poesia che la scienza, perché l’uomo, ripeto, è una creatura linguistica, che ha i verbi nel sangue. Si costruisce una nave per atterrare sulla luna perché qualcuno, per secoli, la luna la ha cantata, la ha ‘creata’ con il linguaggio, con la poesia.
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Che scienza e poesia siano abbracciate è un concetto limpido ai poeti. Lo sapeva Walt Whitman (“Amo lo spirito scientifico – essere sicuri ma non troppo, la volontà di abbandonare le idee quando le prove le contraddicono: questo è buono – mantiene le vie aperte – dà vita, pensiero, affetto, umanità, la possibilità di ritentare dopo un errore, dopo una ipotesi sbagliata”), lo ha ribadito Saint-John Perse dalla tribuna del Nobel: “è il pensiero disinteressato di scienziati e poeti che è onorato, qui. E qui almeno una volta non guardateli come fratelli ostili: stanno esplorando lo stesso abisso, varia solo il loro modo di investigazione… In verità, ogni creazione della mente è prima di tutto ‘poetica’ nel senso proprio della parola; e finché esiste un’equivalenza tra i modi della sensibilità e l’intelletto, è la stessa funzione che si esercita al principio nelle imprese del poeta e dello scienziato… Il mistero è comune, comunque. E la grande avventura della mente poetica non è in alcun modo secondaria rispetto agli avanzamenti, drammatici, della scienza moderna. Gli astronomi sono stati scossi dalla teoria dell’universo in espansione, ma non ve n’è di meno, di espansione, nella morale infinita dentro l’uomo, dentro il suo universo”.
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Come si sa, Giovanni Pascoli è un poeta eminentemente ‘cosmico’, esaspera le necessità abissali di Leopardi. Ne Il ciocco, il più vasto dei Canti di Castelvecchio, Pascoli canta “le solitarie Nebulose”, “il folgorio di Vega”, la “cripta di morti astri, di mille/ fossili mondi”, “i Soli” che “la neve della Eternità cancella”. Pascoli è orientato alle galassie, ai mondi che nascono e si sfasciano, all’incredibile attualità dei tempi. La sua, va da sé, non è una descrizione ‘scientifica’, quella non serve: il poeta mette le ali alla scienza perché scorge il lembo dell’invisibile, solletica i misteri, dentro e fuori di noi, che poi altri, con altre armi, andranno a esplorare.
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E poi? E poi c’è Montale, il grande tagliagole della galassia, che negli Ossi di seppia ci dice “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti”, e allora il poeta si concentra sul suo ombelico, non più telescopico, non più microscopio che sonda i misteri dell’animo, ma piscina di una illustre non vita. Da Montale – un assoluto genio – ai poeti casalinghi nel proprio ego di oggi, si spalanca un buco nero.
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Un bel libro divulgativo, Origini. Quattordici miliardi di anni di evoluzione cosmica (Codice, 2005), scritto da due scienziati, Neil deGrasse Tyson e Donald Goldmisth, conclude così: “Ogni nuovo modo di aumentare la conoscenza annuncia l’apertura di una nuova finestra sull’universo… Se ci imbarchiamo in questo viaggio non è per un semplice desiderio, ma per il mandato, conferitoci dalla nostra specie, di ricercare il nostro posto nel cosmo. Quello che abbiamo scoperto, i poeti lo hanno sempre saputo”. Il libro è serrato da una citazione dai Quattro quartetti di Thomas S. Eliot.
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Sui giornali, oggi, intorno al buco nero, mi sarei atteso i versi di un poeta, che in quel buco, icona dell’insondabile, ci avrebbe gettato, a far pasto del mai visto. Invece. I poeti devono riappropriarsi del cosmo, perché il cosmo è una deflagrazione linguistica. (d.b.)
L'articolo Discorso intorno alla fotografia del buco nero M87. Ovvero: i poeti devono riappropriarsi del cosmo. D’altronde, Pascoli cantava “le solitarie Nebulose” e Majakovskij voleva interrogare Einstein proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2G4xjgt
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I fumi della fornace – festa della poesia IV edizione Nasce il canale podcast de I fumi della fornace. La festa della poesia curata da Congerie. Usmaradio è presente. Testimonianze, conversazioni, approfondimenti con protagonistə della festa. «Di un pugno di sabbia faremo l’inizio di un giardino come, di tutti i granelli di silenzio, abbiamo fatto, dopo l’esodo, il nostro cielo.» Ancora un cominciamento, ancora un viaggio verso l’ignoto: un quarto capitolo che fa del deserto il luogo di costante interrogazione del possibile. Con le parole del poeta Edmond Jabès s'inaugura la quarta edizione dei "Fumi della fornace" che si svolgerà dal 26 al 28 agosto 2022 a Valle Cascia, piccola frazione del Comune di Montecassiano divenuta una specie di cantiere permanente dove si agitano e si incontrano vitalità provenienti da tutta Italia. Tra gli ospiti: Luigi Lo Cascio con un suo intervento intitolato Sul deserto; letture di Ida Travi, Franca Mancinelli, Rosellina Massi Scataglini, Graziano Graziani ed Emanuele Franceschetti; concerti di Canio Loguercio, Roberto Paci Dalò e La Macina. Ad apertura delle giornate una serie di tavole rotonde dal titolo Isola e isole - dialoghi per il mondo a venire che ospiteranno Matteo Meschiari, Paolo Godani, Fabio Condemi, Alessandro Mazzi, Francesca Matteoni e Adriano Ercolani. Tra i progetti ospitati:- La specie storta. Terzo movimento: fossili di rivoltaA partire dal 2020, Congerie ha dato vita a La specie storta, un rito teatrale collettivo in tre movimenti orchestrato da Giorgiomaria Cornelio e Lucamatteo Rossi. Quest’anno il capitolo conclusivo indaga l’età matura e la stortura come marchio costitutivo. Il progetto si è costruito attraverso un lavoro teorico attorno al tema dell'infanzia degenerata, aperto a molteplici contaminazioni, oltre che a una sperimentazione sul campo insieme al gruppo di performer, scenografi e ricercatori che compone Congerie. Tratto costitutivo di questo progetto è il rapporto con il territorio: il lavoro è stato concepito nel segno di una radicale riattivazione dei luoghi della frazione, volto a coinvolgere la comunità in un esercizio teatrale aperto. Voce e musiche di Omero Affede con Enrico Bordoni e Isabella Carloni. Le scenografie sono di Luca Luchetti ed Elena Martusciello. I costumi sono disegnati e realizzati dalla Casa di moda Mavranyma. -Dimora sul limite. Passaggi per organismi diffusi Progetto curatoriale di Diana Caponi e Giulia Pigliapoco, che prende avvio dalle domande: "Si può contenere il deserto? Come si è nomadi se il viaggio è immobile, inatteso, sotterraneo, impercettibile? Interrogativi che si riflettono nella serie di strutture mobili progettate dall’architetto Lorenzo Malloni che popoleranno la festa e saranno attraversate da pratiche interdisciplinari, performance e installazioni che ripensano il modo di abitare partendo dal deserto; ovvero come l’architettura, il luogo, i corpi possano ridisegnare, costruire, mappare, inventare nuovi spazi o plasmarli. Un'indagine sull'abitare, e sulle sue crisi. Tra gli ospiti: Cristina Kristal Rizzo, dance-maker attiva sulla scena della danza contemporanea e tra i fondatori dello storico collettivo Kinkaleri, con il quale ha collaborato attraversando la scena performativa internazionale; Lucia Amara, teorica dell’arte scenica particolarmente interessata alla sperimentazione tra teoria e pratica e tra i critici chiamati da Romeo Castellucci alla Biennale Teatro di Venezia del 2005. Tra gli artisti anche Gaetano Palermo, Mauro Campagnaro e Roberto Paci Dalò (con l’opera Lament presentata alla Biennale Arte e prossimamente a Cafè Oto Londra). -Rubina Giorgi. La scena del possibile: teatro, symbolon e corrispondenze Mostra a cura di Valentina Lauducci che raccoglie l’eredità di Rubina Giorgi, studiosa che ha dedicato la propria vita alla ricerca di un’idea altra dell’uomo e del mondo. Filosofa, poetessa, docente universitaria, saggista, scomparsa nel 2019, ha vissuto gli ultimi diciannove anni a Macerata, rappresentando un punto di riferimento per gli artisti del territorio. Nella sua sterminata produzione, Giorgi ha dato alle stampe libri imprescindibili come Esercizi 1 per la storica “gialla” Feltrinelli e Figure di Nessuno, saggio di ispirazione per intellettuali alla stregua di Michel de Certeau. In mostra, testimonianze della sua collaborazione con il critico teatrale G. Bartolucci e alcuni dei più importanti gruppi teatrali d’avanguardia della scena italiana (Socìetas, Il Carrozzone/Magazzini Criminali, Teatro Rebis, Sperimentale Teatro A), corrispondenze private inedite e non con figure eminenti del panorama artistico italiano (L. Saffaro, A. Tagliaferri, S. D’Ambrosio, E. Grasso, D. Brancale, F. Ermini, A. Fazzini). Un omaggio nel segno delle “Corrispondenze dalla villeggiatura”, rassegna dedicata ai roveti ardenti (agli artisti spirito-guida, ai maestri) dell’impianto filo-poetico del festival, che quest'anno renderà omaggio anche al poeta Franco Scataglini, con un intervento serale al Parco della Poesia di Rosellina Massi Scataglini. -Il fiume non canta più Una mappa fotografica di Gianmaria Pennesi, a cura di Valentina Compagnucci. La mappa fotografica comprende una precisa area geografica delle Marche, quella del fiume Aso, dei Comuni da esso bagnati e del torrente Menocchia. Ciò che oggi rimane dell’antico mondo contadino sono le case: nuove possibili esistenze e riscoperte di quei luoghi dimenticati e abbandonati dallo sviluppo. Immagini della vita mutata in cui tutto è così come vive. Elogio all’incolto, alla dignità di ciò che resta. Per il primo anno I fumi della fornace ospiteranno anche un nuovo progetto sonoro che si svolgerà al termine di ogni giornata a partire dalle ore 23:30: Universo a sonagli è curato da Andrea Balietti e Simone Doria e ospiterà Babau, Jadhbadjk e Carolina Martines. La direzione artistica del festival è di Giorgiomaria Cornelio, Valentina Compagnucci e Lucamatteo Rossi. Il manifesto di quest’anno è stato disegnato da Roberto Paci Dalò. La festa è sostenuta dalla Regione Marche e dal Comune di Montecassiano, ed è patrocinata dai Comuni di Macerata, Appignano, Treia e Porto Recanati, e dall’Accademia di Belle Arti di Macerata. www.congerie.org
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Ben Seretan e poesia di Olga Broumas
Ben Seretan e poesia di Olga Broumas
BELLA ADDORMENTATA Io dormo e dormotroppo a lungo, le ore puremi braccano, fuoridal letto e dentro i vestiti, io vegliofino a tardi, senza fiato, il cuoreall’impazzata, il sonnoche si sbuccia via come un glabroghiottone, momentaneamentesaziato. Acqua fredda mi scuotefuori dal sogno. Vedoi succhiotti come fossili: qualcosache è esistito come un sogno, anche sei sogni hanno un alibi perfetto,…

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Il Codice Arundel rivela un mistero Leonardiano

La balena di Leonardo da Vinci era un fossile vero, non un mostro di fantasia. Un team di ricercatori dell'Università di Pisa e dell'Università di San Diego in California (Usa) ha analizzato sia dal punto letterario che paleontologico alcuni passaggi contenuti nel Codice Arundel. E ha scoperto che il genio italiano ha dato un contributo importante alla nascita della paleontologia dei vertebrati 300 anni prima del francese Georges Cuvier. Quando intorno al 1480 il giovane Leonardo Da Vinci scriveva di un "potente e già animato strumento dell'arteficiosa natura" capace di indurre "impaurite schiere dè delfini e dè gran tonni fugire" che oramai giaceva con le sue "spolpate ispogliate e ignude ossa" non stava fantasticando su di un mostro marino. Né, come da molti studiosi ipotizzato, stava componendo una poesia o rielaborando letture classiche mitologiche. Il genio toscano si stava invece cimentando con una descrizione dei resti fossili di una balena affioranti da una parete, quasi fosse un muro di contenimento, una "armadura e sostegno al sopra posto monte". Di fatto, e per la prima volta nella storia, Leonardo stava osservando e riportando su carta le caratteristiche di un cetaceo fossile dando un contributo importante alla nascita della paleontologia dei vertebrati ben trecento anni prima di colui che è considerato il padre di questa scienza: il francese Georges Cuvier. Read the full article
#balenafossile#balene#Castelfiorentino#CodiceArundel#fossili#GAMPS#leonardo#leonardodavinci#paleontologia#sedeGAMPS#testoleonardiano#toscana
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SAIL 2017 - Si presenta all’Arsenale della Marina Regia “Orion”: museo multimediale dello Stretto di Messina - 2017

Venerdì 15 dicembre 2017, alle ore 11,00, all’Arsenale della Marina Regia a Palermo sarà presentato il Museo multimediale dello Stretto di Messina intitolato “Orion. Scilla e Cariddi il mito del mare”, finanziato dall'Assessorato Regionale dei Beni culturali e dell'Identità siciliana. Una iniziativa della Soprintendenza del Mare dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana in collaborazione con l’Associazione Culturale “Athanasius Kircher” di Messina. Alla manifestazione interverranno Sebastiano Tusa, Alessandra De Caro e Sergio Palumbo. Seguiranno la proiezione di alcuni filmati-campione del Museo virtuale e un recital di Elena Grasso che leggerà testi sui miti dello Stretto: da Scilla e Cariddi e le Sirene alla Fata Morgana e Colapesce con brani di Omero, Corrado Ricci, Italo Calvino, Renato Guttuso, Stefano D’Arrigo. “Orion” è un originale progetto promosso dalla Soprintendenza del Mare che si caratterizza come un museo virtuale con accesso gratuito su Internet in un proprio sito sia in italiano che inglese. Il Museo ha una forma radiale con otto sezioni (mitologia, scienze naturali, letteratura, religione, etnoantropologia, arte e architettura, storia, geografia sociale). Ciascuna sezione tematica ha al suo interno una o più sale in cui, come in una classica pinacoteca, vi sono dei quadri con brevi filmati, immagini, testi. Si possano ascoltare musiche, effetti sonori e brani di poesia e prosa letti da attori. Le varie sale, benché contenute in un percorso guidato, grazie ai tag (i marcatori contenenti una parola chiave o un termine associato a un’informazione), sono collegate fra di esse in base alle varie tematiche in maniera da garantire al visitatore percorsi alternativi e personalizzati. “Orion”, pur utilizzando prezioso materiale d’archivio, punta sull’alta definizione coi più moderni e sofisticati strumenti di ripresa ma soprattutto offre l’opportunità di visionare ormai “storici” filmati girati in più di vent'anni di riprese relativi a vari aspetti del microcosmo dello Stretto: da tradizioni etnoantropologiche a riti marinareschi, da eventi naturali straordinari a testimonianze letterarie di grande valore come quelle di scrittori quali Stefano D’Arrigo, Vincenzo Consolo ed Eugenio Vitarelli oggi scomparsi e quindi uniche. Alcuni dei filmati montati per “Orion”, inoltre, contengono interviste e simulazioni audiovisive che rappresentano aspetti particolari della vita marinara dello Stretto di Messina: dallo spiaggiamento dei pesci abissali, alla ricostruzione dell’antica caccia al pescespada con il “luntro”, dal ritrovamento di reperti fossili tra le montagne di sabbia del pleistocene, alla scoperta dei tesori nascosti tra i fondali dello Stretto di Messina. L’ideazione e la cura del progetto multimediale è di Sergio Palumbo, giornalista e regista messinese, il quale ha messo a disposizione la proprio storica filmoteca sul mare dello Stretto ed è l’autore dei testi e della regia dei circa venti microdocumentari ospitati nelle sale virtuali del Museo.
FROM http://www.navigamus.info/2017/12/si-presenta-allarsenale-della-marina.html
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Biologia Marina- Lezione #1
Storia della biologia marina
L’interesse per il mare ha origini molto antiche, in particolare ai fini dell’utilizzo delle sue risorse. Un esempio sono le grandi concentrazioni di fossili di molluschi di varie specie rinvenuti lungo le coste del Messico e della California a testimonianza del fatto che l’uomo preistorico si cibasse di questi animali; i numerosi reperti di attrezzi quali arpioni fabbricati in pietra o in osso dimostrano la conoscenza da parte dei nostri antenati di tecniche di pesca antidiluviane. Questi primi individui dovevano essere per lo più naviganti e pescatori che per primi si approcciarono al mare, con le sue onde e le correnti ed il flusso delle maree. Nell’antico Egitto i pesci venivano catalogati e le loro caratteristiche ampiamente descritte, a rivelarlo è stata una tomba di un faraone sulla quale venne raffigurato un pesce palla (Tetraodon) per cui è molto probabile che gli egizi conoscessero le carni tossiche di questo abitante marino.
Illustrazioni riguardo i metodi di pesca o raffigurazioni di animali marini non sono poi così rare nei dipinti romani, in particolare sul vasellame. Persino i filosofi greci erano ammaliati dalla poesia del mare, passavano parte della loro ricerca a calcolarne le dimensioni, capire il perché l’acqua fosse salata (rispetto a quella dei fiumi e delle acque interne), studiavano i suoi organismi ed i suoi movimenti. Anassimandro di Miletro (610 a.C) creò una cosmologia ed una cosmogonia fornendo spiegazioni per molti fenomeni che la scienza moderna ha infine confermato, una di queste è senza dubbio l’ipotesi che l’origine della vita sia avvenuta nel mare. Il grande Aristotele, anticipando il modello quantitativo del ciclo idrologico, intuì che l’acqua piovana e quella derivante dai fiumi non contribuivano all’innalzamento del livello del mare in quanto compensavano le perdite dovute all’evaporazione dell’acqua marina; inoltre descrisse molte forme di vita marina e fu il primo a capire che le branchie costituiva l’apparato respiratorio dei pesci.

Durante le epoche successive si affievolirono, come comunemente noto, il desiderio e l’interesse di dare spiegazione ai fenomeni naturali su basi razionali, tipici dei filosofi dell’antichità. Venne pertanto a mancare qualsiasi iniziativa di carattere scientifico riguardante la natura e molte delle conoscenze ottenute grazie agli antichi andarono perdute o peggio, furono alterate. Nondimeno l’esplorazione degli oceani proseguì in molte regioni del mondo. Basti pensare ai vichinghi del nono e decimo secolo che navigarono nell’Atlantico settentrionale e gli Arabi che raggiunsero l’India e l’Asia sud orientale (durane quelle spedizioni descrissero i monsoni). Soltanto verso la fine del Medio Evo, con l’inizio delle grandi spedizioni geografiche organizzate nel Vecchio Mondo la tendenza fu finalmente invertita.
Nella prossima lezione parlerò dei pionieri dell’Oceanografia
#marine biology#fishes#sea#ocean#lessons#lezioni#biologia marina#biologia#mare#oceano#pesce#tetraodon#storia#filosofia
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L’ape, un insetto zen:
L’ape per antica delega è casta ma frequenta i fiori organi sessuali fa il miele con gli amori delle specie vegetali diventando la regola di quel misterioso teorema che trasforma ogni fregola in un poema l’ape è domestica e non domestica vive in comunità con l’uomo sedicente sapiente senza dargli troppa confidenza l’ape non è una confidente non è il gatto e neppure il cane è un insetto zen proclive all’indifferenza l’ape che danza parla mediante i simboli del sole e della distanza l’ape nell’ambra è rimasta uguale a se stessa in un mondo che cambia celebra la stabilità e la costanza è stata prima di noi e ci sarà dopo abitare il poi sembra il suo scopo chi sopravvive avrà sempre ragione domani perché ci sarà i fossili possono suggerire che c’erano tanti modi per vivere e un solo modo per morire non ha perduto l’eden per bramosia di sapere operosa infaticabile casta vola di fiore in fiore e questo le basta. GIORGIO CELLI-1991
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Una poesia del mio amico Giorgio Celli, uomo di multiformi interessi, pur essendo prima di tutto un entomologo, fine letterato e grande amante della vita in ogni sua forma.
Marco Valli-Osel Dorje
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DSCB | Sulla pietra dei tre vitae, il suono della montagna cade sul padiglione delle peonie. Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Viaricrea la gloria con la Yile
Per attuare lo spirito del Stato che insiste la fuducia culturale, fare la cultura socialistica prospera, dire una storia cinese al mondo, rappresentare la Cina reale complesamente, rinforzare il potere soft culturale nazionale e spingere la capacità della diffusione, il gruppo DSCB risponde l'appello della Paese, coopera con Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e Via.
Quindi abbiamo stabilito la piattaforma personalizzata artistica dell'Opera Kunqu di Yile per offrire una possibilità di conoscere l'Opera Kunqu e la ricca cultura cinese all’esercito DSCB.
La piattaforma personalizzata artistica dell'Opera Kunqu di Yile diventerà un importante pilastro del territorio dell'impero commerciale di DSCBank. La piattaforma effettuerà tutti i pagamenti con il DSCB e fornirà la spinta più forte per il modello di deflazione di DSCB.
Facciamo ogni sforzo, riuscirerà perfettamente. Il Yile lavora sempre.
Opera Kunqu
Opera Kunqu, conosciuta anche come Opera Kun, Kun Qiang, è la più antica opera in Cina, ed è un tesoro della cultura e dell'arte tradizionale cinese. Opera Kunqu proviene dal banchina meridionale a Suzhou Taicang in Cina nel quattordicesimo secolo. Dopo il miglioramento di Liangfu Wei e di altre persone, diffonde nel Paese. Dal centro della dinastia Ming ha guidato il teatro cinese per quasi 300 anni. Nel 2001 il Kūnqǔ è stato riconosciuto come Capolavoro del Patrimonio Orale e Intangibile dell'Umanità dall'UNESCO.
Con una ricca storia, l‘opera Kunqu sorge nella foresta culturale in mondo
Opera Kunqu, conosciuta anche come Opera Kun, Kun Qiang, è la più antica opera in Cina, ed è un tesoro della cultura e dell'arte tradizionale cinese. Opera Kunqu proviene dal banchina meridionale a Suzhou Taicang in Cina nel quattordicesimo secolo. Dopo il miglioramento di Liangfu Wei e di altre persone, diffonde nel Paese. Dal centro della dinastia Ming ha guidato il teatro cinese per quasi 300 anni.
L'Opera Kunqu combina canti, danze, arti marziali, ecc. È famoso come l'antenato di 100 opere. L'Opera Kunqu usa tamburi e tavole per controllare il ritmo del canto. Qudi e Sanxian sono i principali strumenti accompagnati e la sua voce cantata è "Zhongzhou rhyme". Nel 2001 il Kūnqǔ è stato riconosciuto come Capolavoro del Patrimonio Orale e Intangibile dell'Umanità dall'UNESCO.
Dal punto di vista dello sviluppo storico dell'Opera Kunqu, i 400 anni prima del XVIII secolo furono un'epoca in cui l'Opera Kunqu maturò gradualmente e divenne sempre più prospera.
Nella tarda dinastia Yuan (metà del XIV secolo) provenne nella zona di Kunshan a Suzhou ed è associata allaqiang Haiyan, allaqiang di Yuyao e allaqiang di Fuyang, originata nella provincia di Jiangxi, chiamata Quattro Grandi Camere della Dinastia Ming e appartenuta alla meridionale Drama Sistema
All’inizio la Kunshan Qiang solo un canto folcloristico e canzone. La sua area di distribuzione cominciò a essere limitata all'area intorno a Suzhou, durante il periodo Wanli si estese a sud del fiume Yangtze e nell'area a nord del fiume Qiantang, e alla fine dell'anno anche Wanli arrivò a Pechino. Quindi la Kunshan Qiang diventò il più influente tipo dell’opera dalla metà della dinastia Ming fino alla metà della dinastia Qing.
Il 18 maggio 2001, l'UNESCO ha annunciato i primi "Capolavori del patrimonio orale e immateriale dell'umanità" a Parigi.
Ragioni: 1, capacità elevatissima. Il mezzo di esecuzione delle opere è la sintesi del canto, della lettura, del fare, del suonare (ballare). 2 "fossili viventi". L'opera di Kunqu ha meno cambiamenti e conserva caratteristiche più tradizionali delle opere tradizionali: il repertorio è estremamente ricco e viene chiamato "fossile vivente". 3, è "specie in via di estinzione". Prima del 1949, oltre alla compagnia sovietica del nuovo stile del vento e al Kunban semi-salariato, le caratteristiche dei gruppi di prestazioni professionali non erano state incluse nella cultura non-heritage.
Diffuso in tutta la Cina, l’Opera Kunqu fiorisce in Huaxia
A causa delle spettacoli di classe Kunqu, Wanli della dinastia, l’opera entra a Pechino,Hunan attraverso Yangzhou, giunse al primo posto, diventò la leggenda di canto. Durante la fine della dinastia Ming e l’inizio della dinastia Qing, diffuse a Sichuan, Guizhou e Guangdong ed altri luoghi, svippò un tipo nazionale dell’opera
Wu voce canto lirico è di origine Suzhou come il vettore, ma dopo aver superato il paese, sarà combinato con il dialetto paese e la musica popolare, Evoluzione di un gran numero di scuole, costituiscono una varietà di reparto opera da camera, è diventato rappresentante di tutta l'opera nazione. Per la dinastia Qing Qianlong, lo sviluppo di Opera è entrato il suo massimo splendore, fin dall'inizio di dominare Kunqu Opera, che si estende fino ad ora sei o settecento anni, ora diventata la più antica forma di opera ha una lunga tradizione della Cina e del mondo.
camera di Kunshan inizia la sua area di distribuzione del flusso, ha iniziato limitata zona di Suzhou, Dynasty, Suzhou come il centro per espandere a sud del fiume Yangtze e Qiantang nord del paese, Wanli della dinastia anche fluire in Pechino, alla dinastia Qing, come l'imperatore Kangxi amava l'opera, per renderlo più popolare. Kunshan è diventato un taleqiang nel mezzo del Ming Ye Zhiqing per conto del brano d'opera più influente.
Secondo gli studiosi, ha detto, "Kunqu gusto estetico rappresentato, anche se ovviamente, soprattutto nelle regioni meridionali del Sud, ma la loro identità culturale, ma non appartiene al tempo, un luogo, incarna la ricerca estetica dei letterati cinesi, e vaste aree di creazione artistica. è proprio perché si tratta di un modello di eleganza letterati, che ha una forte copertura, non è probabile che sia molto diffuso, e nel processo di comunicazione, è indispensabile per mantenere la coerenza interna sul piano estetico. "
Implicazione culturale, la successione di un patrimonio culturale intangibile come un antenato delle opere
L’opera Kunqu è stata scelta come “Patrimonio Orale e Intangibile dell'Umanità dall'UNESCO“, perché è un classico dell’arte di interpretazione tradizionale cinese.
La selezione di Kunqu Opera di "patrimonio culturale orale e immateriale umano" è perché si tratta di un'arte performativa cinese classica.
Come una perfetta arte completa maturo, opera ha molti elementi costitutivi, in genere tra cui la letteratura, la musica, la danza, recitazione, trucco, costumi, tritare, paesaggio e così via, il suo valore del patrimonio riflette anche nel estremamente ampio campo della cultura. Il primo è noto come "mulino sintonizzare" Tune Arte, che è diverso da altre opere Kunqu caratteristiche fondamentali.
In altre parole, in sostanza, si tratta di un'opera melodia prima opera, la musica delle arti lingua. Le sue manifestazioni è tratto dalla Tang e Song poesia, Jinyuazhugongdiao, Songyuannanxi, yuanzaju, yuanmingsanqu e mingqingshidiao, e la musica religiosa, musica popolare, canzoni e anche il mercato minoranza grida e altri ricca fonte del 2000 Accorda le carte. Le schede sintetiche sono disposte in base al colore del tubo, al tono della melodia e alla combinazione delle melodie in un set completo. La base interna per fondere le specifiche dei materiali musicali di epoche, regioni e stili differenti è il sistema fonologico cinese.
Un'altra preziosa eredità di Kunqu Opera è la sua sceneggiatura letteraria. Due generazioni della leggendaria creazione teatro delle dinastie Ming e Qing hanno nomi possono testare non meno di 4.400 specie, più di 2700 tipi sono tramandate, la stragrande maggioranza di questi giochi ha sede a Kunshanqiang comporre e cantare. Inoltre quando la gente usa l'adattamento portatile di Kunshan parte di Tunes, la dinastia Yuan e lo script strum floreale diverse formazioni cameristiche-and-coming, palcoscenico d'opera aveva assistito lo splendore variopinto della scena. sceneggiatura Opera di contenuto ideologico che copre ogni periodo della storia di cinquemila anni di civiltà cinese, in particolare una profonda riflessione del 16 ° secolo al 17 ° secolo neo Cina spazzare anti-sociali, la verità pesante pensiero umanistico, Questo è il momento dell'economia capitalista rapida crescita in erba in particolare la città meridionale di economia delle materie prime e il rapido sviluppo delle vicissitudini del cambiamento sociale in contesto storico della Cina, la consapevolezza sociale di grande valore.
Inoltre, esso dovrebbe includere anche Kunqu patrimonio "danza unità, cantare e fare sono importanti" le prestazioni del sistema. Kunqu Opera non ha l'esattezza del realismo realistico come il dramma occidentale: è una pennellata a mano libera che riflette la realtà. Qui, la forma naturale della vita è quello di rompere il linguaggio, in una mano libera arte poetica, la forma naturale del comportamento e l'espressione della vita è suddiviso, in una danza impressionistica e arti dello spettacolo, la forma naturale dell'ambiente di vita è suddiviso, in Arte paesaggio impressionista e oggetti di scena, la forma naturale della vita umana è anche un importante passo avanti, in un'arte maschera a mano libera, il trucco e il costume. Kunqu Opera tecniche a mano libera incarnate nelle prestazioni di stilizzato, il tempo e la liberalizzazione dello spazio, la virtualizzazione, alla fine del puzzle e dei personaggi e altri aspetti della professione e di sviluppare Nord-Sud margherita rosa per l'altare arti sancito insieme nel lungo corso della storia specifica.
Una cintura e una via
Facciamo attuare lo spirito enunciato dal Segretario Generale Xi Jinpin che insiste la fuducia culturale, fare la cultura socialistica prospera, dire una storia cinese al mondo, rappresentare la Cina reale complesamente, rinforzare il potere soft culturale nazionale e spingere la capacità della diffusione.
La prosperità di un paese e di una nazione è sempre sostenuta dalla prosperità culturale. Senza l'eredità e lo sviluppo delle civiltà e anche senza la promozione e la prosperità della cultura, non ci sarà la realizzazione del sogno cinese. Il destino della cultura e il destino nazionale sono legati, il sangue della cultura e dello Stato sono legati. Per proteggere e diffondere questo patrimonio culturale immateriale dell'umanità, la signora Hao Meng, con il suo amore per la cultura tradizionale cinese, ha istituito Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Viacon i relativi dipartimenti per studiare e realizziare ulteriormente l'idea socialistica cinese dell’epoca nuova di Xi Jinping. Rafforzeremo la relazione e la cooperazione in base ai paesi che sono lungo la Cintura e la Via, sviluppa il commercio culturale straniero, pubblica e promuove la cultura tradizionale cinese che guida da l’Opera Kunqu.
Nel nono convegno della cooperazione cinese dell’investimento estero e il foro della cultura luogo la Cintura e la Via e dello sviluppo dell’Opera Kunqu, il signora Hao Meng ha raccontato il suo scopo a vita che eredita e diffonde l’Opera Kunqu e ha annuciato che Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Via salpava formalmente attraverso il Foro Kunqu. Ha detto: ” Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Via diffonderà l’Opera Kunqu come un regalo diplomatico ai paesi lungo la Via della Seta e darà lo spettacolo speciale per i capi di ogni paese in base allo strategia nazionale.”
Il signor Li Kaiwen, presidente del Comitato Scambi Culturali USA-Cina, ha premiato Hao Meng con un premio per il suo contributo speciale patrimonio culturale immateriale umano, l'ha incoraggiata a promuovere il contributo di Kunqu alla diffusione e alla protezione dell'arte e ha invitato formalmente Il Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Via a esibirsi al Lincoln Center negli Stati Uniti nel 2018.
Teng Weifang, Chief Investment Officer del Gruppo Chia Tai (Cina) ha natato: "Con l'importante influenza di Kunqu e di altre culture tradizionali cinesi nella regione Asia-Pacifico e il cambiamento profondo della Cintura della Via, interpreterà un ruolo più importante nel Sud-Est asiatico."
Zhang Rao, il segretario generale della lega dell’educazione tearale, ha detto: “ La cultura teatrale è un rappresentante della straordinaria cultura tradizionale cinese, e Kunqu è un grande interprete, lo sviluppo della cultura tradizionale dell'opera dovrebbe essere basato sul locale e sul mondo, l'eredità è il fondamento e l'eredità è lo sviluppo. Dobbiamo trasformare l'insegnamento in classe in una pratica artistica scenica, sforzarsi di introdurre opere eccellenti e Un'opera che può resistere alla prova della storia e diffondere il passaparola. "
Yang Feng, vice presidente dell’Associazione Opera cinese e il capo del Teatro Nord Kunqu Opera, ha puntato: "Nella diffusione delle opere, dobbiamo aderire all'atteggiamento culturale cinese, e non dobbiamo cedere troppo all’altra cultura. Dobbiamo combinare le condizioni dei tempi di oggi per raggiungere la diffusione della conoscenza, visite guidate al repertorio e posizionamento accurato delle opere, importanza delle esibizioni sul palcoscenico e pieno utilizzo delle nuove piattaforme multimediali, combinate con alcune idee creative come comic, gioco a mobliephone, ecc.
Il principale consigliere del Teatro dell'Opera Kunqu e della Cintura e della Via Zhou Yi ha detto: “dobbiamo fare l’opera Kunqu un regalo diplomatico e dare un giro artistico ai paesi lungo la Via della Seta ”
L’Opera Kunqu è Il tesoro del Paese, il patrimonio Intangibile dell'Umanità e il spirito della cultura tradizionale cinese con una lunga storia. Il team DSCB continua a fare progressi e sviluppa il mercato globale. I due sono forti e uniti e, attraverso il potere della blockchain, porteranno avanti l’Opera Kunqu e persino la cultura cinese, diffonde la bellezza della Kunqu, e promuove la cultura tradizionale, fa sorgere la cultura cinese in cima al mondo.
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Il Peter Larsen Dance Studio alla Cittadella
Nel weekend di sport e benessere di Sabato 9 e Domenica 10 settembre in Cittadella ad Alessandria, non poteva mancare la danza, con esibizioni e lezioni aperte a cura del Peter Larsen Dance Studio. Moderna, classica, hip hop, flamenco, contemporaneo e molto altro: il pubblico potrà cimentarsi con tutti i generi e scegliere quello più congeniale, per sè e soprattutto per i più piccoli. La danza infatti contribuisce in modo sostanziale allo sviluppo psico-fisico dei bimbi, migliorando la percezione di sè e del prprio corpo nei confronti dell'esterno e degli altri, aumentando sicurezza e autostima. Ed è proprio il principio "la danza per tutti" che muove il Peter Larsen Dance Studio, come hanno dimostrato anche gli spettacoli costruiti con gli ospiti dei Centri Durni disabili. A Peter Larsen è infatti affidato il coordinamento dei laboratori "per tutti", che comprendono quelli di danza e movimento (Peter Larsen e Monica Brusco), Andrea Di Tullio per il teatro e Rossella Bagattin per arte e disegno. I Centri coinvolti sono: Interactive Sant'agata Fossili, AIAS/Anteo, centro Martin Pescatore di Alessandria e San Giuliano Vecchio, Soleluna di Alessandria, Lo Zainetto Anffas di Ovada, Andeira di Castellazzo Bormida, Anffas di Novi Ligure/Serravalle e Crescere Insieme di Acqui Terme, e quanti altri ancora vorranno unirsi a questa bellissima iniziativa. Operatori o consulenti saranno a disposizione per laboratori, per far conoscere e condividere l'esperienza con altri Centri e soprattutto con il pubblico presente. Esercizi sportivi, yoga, musica, danza, canto, pittura, poesia e teatro per tutti. Gli orari sono dalle 10:00 alle 12:30 e dalle 15:30 alle 18:00. La scuola di danza di Peter Larsen aspetta tutti in Cittadella nel weekend, per provare di persona a ballare con tutti gli insegnanti e gli allievi della scuola, e assistere a esibizioni http://dlvr.it/PlMgNF
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Fonti energetiche alternative: facciamo due conti
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Fonti energetiche alternative: facciamo due conti

Si parla spesso di risparmio energetico, di ricorso alle fonti energetiche alternative e di “solare”, ma raramente si guarda ai “numeri”. Ovvero quanta energia viene prodotta da fonti energetiche rinnovabili. E, soprattutto, quali sono i paesi più virtuosi e quelli meno rispettosi dell’ambiente.
Ebbene nonostante in questo paese la qualità dell’aria sia ormai irrespirabile e in barba al ricorso a centinaia di centrali a carbone, il paese che dispone del maggior numero di centrali solari fotovoltaiche sul pianeta è la Cina. Nel 2016, questo paese è diventato il primo produttore di energia fotovoltaica al mondo: si generano 77,42 Gigawatt di potenza installata. Un record che è stato possibile grazie alla realizzazione di nuove centrali che hanno praticamente raddoppiato la capacità produttiva (solo lo scorso anno sono stati realizzati impianti per 34,54 Gigawatt di potenza). Oltre alla Cina la crescita maggiore è stata registrata in Giappone (11 GW), Usa (7 GW), Ue (7 GW) e India (2 GW). Ma a farla da padrone in questa classifica è la regione Asia-Pacifico che da sola rappresenta il 59% del mercato globale dell’energia solare (in barba allo “sviluppo” dei paesi sviluppati).
Un record assoluto, quello cinese, ma che incide poco sul totale dei consumi di energia elettrica del paese: le centrali ad energia fotovoltaica con gli occhi a mandorla coprono solo l’1% della produzione energetica del paese (66,2 miliardi di kilowattora). Una percentuale decisamente inferiore a quella di altri paesi come gli Stati Uniti d’America o l’Unione europea. O l’Arabia Saudita. Il calo vertiginoso del prezzo del petrolio se, da un alto, ha consentito a questo paese di ridurre drasticamente la concorrenza e di conquistare nuovi mercati, dall’altro ha reso i margini di guadagno irrisori e ha creato una vera e propria voragine nei conti pubblici del paese. Per questo, da diversi anni l?Arabia Saudita cerca di diversificare la propria economia. E, nel 2015, ha varato il programma governativo Vision 2030, per accelerare la transizione verso il solare. Un progetto faraonico (il costo è di 2 trilioni di dollari) che è considerato una priorità strategica. E non solo come alternativa al petrolio: la transizione dalle fonti energetiche fossili alle rinnovabili dovrebbe servire anche ad aumentare la sicurezza energetica (un report del 2011, “Burning Oil to Keep Cool”, riferiva che l’Arabia Saudita potrebbe essere costretta ad importare petrolio anche per il consumo interno), ad incentivare lo sviluppo dell’industria locale e, ultimo ma non ultimo, ad abbassare le emissioni di CO2 nel paese.
Ma se invece di riferirsi ai valori assoluti, ci si concentra sulle percentuali di energia prodotta da energia fotovoltaica, ad essere in cima alla graduatoria si trova, sorprendentemente, l’Italia: l’energia solare copre l’8% dei suoi consumi energetici. Meglio di quanto facciano paesi come la Grecia (7,4%) e la Germania (7,1%). È il risultato di un cambiamento avvenuto per la maggior parte tra il 2007 e il 2012. un risultato che però non è frutto delle politiche degli ultimi governi ma di scelte precedenti. Il picco è stato raggiunto nel 2014 (43% includendo tute le fonti energetiche rinnovabili). Poi un lieve calo. A confermarlo sono i dati dell’ Agenzia internazionale dell’energia (IEA). Dopo Italia, Grecia e Germania, i paesi che utilizzano di più il fotovoltaico sono il Belgio e il Giappone (4%), la Bulgaria, la Repubblica ceca e l’Australia (3,5%). Nonostante i quasi 80 Gigawatt di potenza installata, la Cina è “solo” al 21esimo posto. Peggio gli Usa, al 25esimo posto (con meno dell’1%).
Nonostante la riduzione delcosto delle fonti energetiche fossili adottate dai paesi dell’OPEC, nel mondo la quantità di energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili cresce anno dopo anno: a confermarlo è il rapporto Snapshot of Global PV Markets che riporta un aumento, nel 2015, di 50 GW (gigawatt) di potenza, arrivando ad almeno 227 GW.
Un risultato incoraggiante soprattutto se si pensa che i contributi concessi ai combustibili fossili, negli ultimi anni, sono cresciuti più di quelli concessi a fonti rinnovabili. Anche in Italia gli incentivi alle rinnovabili hanno dovuto subire un netto ridimensionamento in seguito ai tagli retroattivi voluti dal governo Renzi nel decreto Competitività. Tagli che “hanno contribuito a smorzare l’interesse degli investitori in Italia lo scorso anno” (come hanno detto i tecnici delle Nazioni Unite nel rapporto Global trends in renewable energy investment). Secondo i dati forniti dal Fondo monetario internazionale, petrolio, carbone e gas avrebbero ricevuto 13,2 miliardi di dollari nel 2014 (con un sensibile aumento rispetto ai 12,8 miliardi del 2013).
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“Fino al fondo di me stesso”. Raúl Zurita, poeta combattente, ottiene il “Reina Sofía” (che vale 42mila euro). Da noi il poeta è vilipeso, la poesia (dicono) “non vende”, ma si continua a pubblicare di tutto…
Ieri litigavo, con ferma serenità, per interposta persona, con un ‘promotore’. Uno di quelli che devono far vendere libri. Parlavo di un grandissimo autore – gratificato dall’al di là – che ha scritto alcune grandissime poesie (parere mio, sia chiaro, che vale quello di un cane bagnato). “Guardi, la poesia non si vende”, mi fa, il tizio. Che scoperta. Eppure si continua a pubblicare, gli dico. Non farebbero meglio a non pubblicarla più? (Per altro, con quel che si pubblica).
*
Mi pare un delirio grottesco. L’Italia, in fondo, ha fondato la poesia moderna (Dante, Petrarca, bla bla) – e l’ha sputtanata. In effetti, da noi il poeta, se tale è davvero, ha il ruolo dello sfigato; altrimenti, se ricco e ‘introdotto’, è un fatuo oggetto d’arredo nei salotti letterari (esistono ancora?, censimento di fossili). Il resto lo sapete meglio di me: tutti si pensano poeti, grandissimi, per altro, e la poesia è il regno del livore, un rango che si misura in invidia. Amen.
*
Alla ragione ‘umana’ – spesso gli uomini sono ominicchi e i poeti un fottio di lagne – si lega quella del ‘sistema’. Insomma, se il poeta muore per asfissia, se sta nel tormento dell’indifferenza – cosa che al poeta può anche star bene: sono gli altri, eventualmente, ad aver bisogno di lui, lui sta bene così – meglio così. Preciso la questione ‘sistema’. In Italia i premi sono affare per poveracci. Il Premio Strega e il Campiello, per dire di due dei più importanti, offrono allo scrittore 5mila euro. Roba che per me è manna, ma in assoluto, praticamente, ti cambia nulla. Certo, c’è il reflusso ‘d’immagine’, i libri ristampati con la bandella, il carosello delle interviste. Buon per loro: Strega e Campiello non premiano i poeti.
*
Preciso ancora. Nel mondo ispanoamericano – non ho detto i fausti States, l’ambita Russia, le piane piene di applausi della Cina, luoghi dove il denaro gira come l’apericena – la poesia è presa sul serio. Il Premio Reina Sofía, che si assegna ogni anno dal 1992, può effettivamente dare un certo vulcanico impulso al poeta, per natura povero e nudo. Vale 42mila euro. Non sono pochi. Il paradosso – che misura l’indecenza culturale di un Paese che ha fondato la poesia ma in cui la poesia “non vende” – è che tolti alcuni (Alvaro Mutis, Mario Benedetti, Nicanor Parra, Juan Gelman, Ernesto Cardenal), i poeti più noti in quei mondi, così prossimi al nostro, sono totalmente ignoti qui. Chi conosce Bianca Varela, Fina García Marruz, Rafael Cadenas, ad esempio?
*
Quest’anno il ‘Reina Sofía’ è andato a Raúl Zurita, cileno, classe 1950, la cui vita ha riprodotto un tragico cliché dei poeti in quel tratto di mondo: nel 1973, oppositore di Pinochet, viene arrestato. Zurita ha diversi legami, biografici (la mamma è una emigrata italiana) ed estetici (i suoi libri più grandi, Purgatorio, Anteparaíso, La vida nueva, si legano singolarmente a Dante), con l’Italia. La nota italiana Wikipedia che lo riguarda è lunga e fitta di dati: eppure, l’opera di Zurita, in Italia, è pressoché introvabile, come sempre dobbiamo la sua conoscenza a piccoli & piccolissimi (cioè, grandissimi) editori, Raffaelli (Claudio Cinti ha tradotto Purgatorio), Le parole gelate, Squilibri, Valige rosse. Qui potete leggere un profilo di Lorenzo Mari. Non credo che il premio, pur così importante, cambi qualcosa: in Italia la poesia non vende ma in troppi si credono poeti.
*
Come è degno di un uomo di genio, Zurita ha ottenuto la prima pagina di “El País”. Rafael Gumucio ha descritto così la sua opera: “A Raúl Zurita sono bastate una decina pagine su una rivista per lasciare un segno indelebile nella poesia cilena. La rivista si chiamava Manuscrito e nella dittatura installata di recente (era il 1975) costituì una boccata di aria fresca. La rivista durò soltanto un numero, ma nessuno poteva attendersi che Áreas verdes, dello studente di ingegneria Raúl Zurita, 25 anni, si sarebbe rivelato un tale successo. La poesia cilena aveva conosciuto fino ad allora la parola totale e terrestre di Pablo Neruda e l’ironia geometrica e risoluta di Nicanor Parra. Zurita, che conosceva la matematica quanto Parra ma che si abbeverava alle acque oscure di Residencia en la tierra di Neruda, cercò di coniugare entrambe le possibilità liriche, e trovò la sua voce… Tutta la poesia di Zurita è il combattimento interiore di un essere che abita i disagi del mondo. Un uomo costretto a dare tutto per parlare di ciò che non ha nome, che è ovviamente il dolore, ma che a volte si trasmuta in amore, come in Dante, e quando appare è solo per sparire, con grazia raggiunta”.
*
In una intervista rilasciata qualche anno fa a “El País” (che leggete integralmente qui) Zurita ha detto: “La poesia ha bisogno di radicalità e passione, non ti accontenti mai. Non so se quello che faccio sia buono, cattivo, mediocre, ma non posso rassegnarmi e continuo a fare ciò che faccio… Ho il Parkinson e lavoro con la mia vita, senza commiserarmi, arrivando fino al fondo di me stesso. Se vi arrivo, in qualche modo è come se fossi giunto al fondo dell’essere umano”.
*
Naturalmente, non sono i premi che contano, la poesia va, indipendente dai poeti. Eppure, è quando c’è un criterio, un carato, un crisma, che puoi ribellarti: al contrario, fai castelli di sabbia in una palude. Ci sono i falsi poeti e i veri poeti, come i falsi e i veri profeti. A volte, non ci sono neanche quelli. (d.b.)
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Snoopy è il più grande filosofo degli Usa. I Peanuts approdano alla Library of America, tra Melville e Philip Roth
Bruce Handy ha scritto un pezzo curioso su The Atlantic. È la riproposizione della sua premessa a una raccolta di testi per celebrare… I Peanuts. Tutto vero. E per la collana… The Library of America.
*
Ora, la Library of America è arrivata a trecento titoli e mentre dei primi ‘classici’ agli albori della letteratura americana, alle prime uscite della Library, si sa tutto o quasi, gli ultimi testi inclusi in questo Olimpo sono invece per me dei perfetti sconosciuti. Ben venga il lavoro collettaneo sui Peanuts. Che titolo impegnativo però: The Peanuts Papers. Con tanto di saggi, testi inediti, poesie, interviste. E tra gli altri il celebre testo di Umberto Eco su Krazy Cat e i Peanuts. (Per non farsi mancare niente hanno trovato il modo di far scrivere una cosa a Jonathan Franzen).
*
Comunque seguiamo Handy nella sua argomentazione: “Charles Schulz non ha creato Charlie Brown e Linus e Lucy perché agissero o parlassero come dei normali bambini. Li ha creati perché fossero divertenti, perché se ne venissero fuori come parte di un teatrino di figure crudeli. In ogni caso Schulz ha messo in scena dei pargoli, veri o falsi che siano, e i suoi lettori più avidi sono proprio i pargoli. Anch’io ero nella truppa. Mi immagino che i bambini in età scolare portati a ridere delle disgrazie altrui siano quelli discriminati dai coetanei. Ma se godono delle sofferenze altrui è solo per inclinazione naturale. Quindi leggono Peanuts per la sua durezza e la trovano sovversiva, una sorta di scossa che li calma e li soddisfa. Per me andava così”.
*
Curiosa questa razionalizzazione ex-post da parte di uno che ha scritto di fiabe e storie per bambini. Curiosa tanto più perché viene espressa in chiave autoironica: con gli anni, scrive Bruce Handy, i Peanuts sono diventati per lui come un vino andato a male. (Esiste?)
*
In ogni caso la cultura nordamericana che si nutre di fumettoni ha il pregio di essere sarcastica verso se stessa. Al di là delle parole usate come fossili per riconoscere uno stato d’animo (che senso ha parlare di Schadenfreude per parlare dei bambini e tirare in ballo gli archetipi di Esopo per descrivere i Peanuts?) il pezzo su Atlantic è commovente. Commovente perché arriva a proporre Snoopy come… filosofo.
*
Che ridere vedere gli adulti a strologare sull’intuito dei bambini, sulla loro forma originaria che li porterà a diventare scienziati o letterati o infermieri. Che buffo. Sembra la caccia spietata di una madeleine che non c’è più. Forse non c’è mai stata…
*
Altre idee diffuse nella cultura nordamericana come le propaga Atlantic: “Quel che mi ha insegnato Schulz è che la vita è dura. Nel migliore dei casi la gente è difficile (quando non ingestibile). Giustizia è un termine sconosciuto. La felicità svapora nella striscia sottile tra la terza e la quarta vignetta. La reazione migliore, date queste premesse, è ridere, continuare a muoversi, sempre pronti a scansare il colpo. (…) Se Charlie Brown è un fesso, è però un fesso che ha a cuore tutto. Non possiamo insultarlo solo perché tende a diffidare. Come il suo inventore Schulz, Charlie ha passione e insiste nelle cose che fa”.
*
Va bene va bene, hanno vinto gli yankee e la loro Library of America può vantare tra gli ultimi numeri le poesie di Melville e le testimonianze sui Peanuts. Aveva ragione la mia professoressa Maria Monica D. buonanima a sconsigliarmi di seguire le lezioni su Giordano Bruno perché “Snoopy è un filosofo migliore”.
*
In ogni caso se avete tempo e voglia di capire come mai un testo di Eco si trovi nel libro sui Peanuts, andate in biblioteca a prendere i saggi di Cases. Non so più se nel Testimone secondario o in Patrie lettere faceva un racconto surreale dove immagina un mondo coi gatti che tengono lezione all’università. Il gatto in cattedra. All’epoca, Eco aveva appena pubblicato il suo testo su Krazy Cat e i Peanuts, Cases era un marxista che si era laureato su Jünger e non capiva niente del mondo ‘attuale’. Però fa morir dal ridere.
O piangere?
Nel frattempo gli scolari di comunicazione di Eco hanno preso la strada giusta, oggi elaborano raffinati testi sull’uguaglianza e il rispetto delle aziende per le corporation mentre chi legge poesia segue il consiglio di Auden: poet go right, till the end of the night. Poeta tira dritto, sopra di te c’è la volta stellata e niente soffitto.
*
Scusate queste stupidate, siano benedetti i fumetti e i fumettoni e dio stramaledica gli intellettuali che ricavano una morale dal cane beagle che si stende sulla sua cuccia e fissa le stelle. È un beagle, Snoopy, chi sa se nei saggi qualcuno ha ricordato che si tratta di una razza di cani delle più testarde e delle più amorevoli (coi bambini). Chi lo sa. Chi ha avuto un beagle lo sa, lo sa…
*
Non trovo di meglio di questa poesia del compianto Tony Hoagland per descrivere lo stato d’animo dopo aver letto questi sproloqui sui Peanuts. Porta il titolo Tra gli intellettuali ed esce sul numero del 2 settembre del New Yorker.
Andrea Bianchi
*
Tra gli intellettuali
Era una vera tribù, non si mettevano mai a prendere il sole, mai si fermavano di pomeriggio a mangiare insieme dell’uva.
Tra di loro reputavano che sbirciare le nuvole fosse una schifosa perdita di tempo.
Trascorrevano le giornate assorbiti da un’attività che chiamavano “stimolazione cerebrale” quasi fossero animali che si titillano a vicenda tra le sbarre di una gabbietta usando lunghe stecche.
E così tormentandosi facevano librare i loro pensamenti, al modo di bizzarri etologi.
Questa era la loro religione. Questa, e la luce che passa dalle vetrate gotiche innalzate dai loro predecessori.
Preferivano il nome dell’albero al sapore del suo frutto.
Ero giovane e volevo mettermi alla prova,
però le parole che appresi da loro mi trasformarono. Prima che me ne fossi accorto, il cambiamento era già cosa fatta.
Impossibile dire se fosse cosa malvagia.
Senza scampo, scopri che sei perduto, realmente perduto; cieco, davvero; stupido, davvero; disseccato, davvero; affamato, davvero; eppur ti muovi.
Però scopri anche che non puoi smettere di pensare, pensare, pensare;
tormentandoti, parlando solo a te stesso.
Tony Hoagland
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Piccolo discorso sulle mani (che sono volti e uomini) nell’opera di Caravaggio
La mano, in verità, è un viso. Di quello sguardo puoi innamorarti, del tocco, dell’intoccabile.
*
Di solito, la mano, per via di anarchia del pollice, è sinonimo di tutto l’uomo: “Salvami dalla mano di…”; “Non mi abbandonare alla mano del nemico…”, è implorazione canonica nella Bibbia. La mano è il laboratorio dell’alfabeto – da pollice a mignolo è fenicia l’abilità nel segno –, il vaglio della misura.
*
Prima furono creati i segni sulla mano, una scansione di fossili: da lì fu dedotto l’uomo. Per questo, si impongono le mani, basta essere ‘toccati’ per sgravarsi della salvezza. Si bacia la mano del potente, perché quello è il luogo in cui si può stringere o mollare, strozzare o benedire, dare la morte o pendere per la vita.
*
Le tre mani al centro dell'”Incredulità di San Tommaso” di Caravaggio, usato come immagine di copertina
Lavarsi le mani: segno di pulizia, di purezza. O di disinteresse. Di una donna non si chiede la vita, ma la mano. La mano come un anello.
*
Le dita sono occhi. Ciechi, carichiamo gli occhi di ogni verità: ma la superficie inganna, per ombre aspre e fiotto di luce. Soltanto il tocco delle mani, il tastare, ci fa capire la natura di un viso. Le mani, in conca, contengono del volto ogni anfratto: la sindone, la sinopia.
*
A cosa serve la mano lo illustra Caravaggio, nel quadro, conservato a Potsdam, in cui Tommaso fa serpeggiare l’indice nel costato di Cristo. A vedere bene, il quadro ha tre mani al centro. Quella di Tommaso, che scava la carne dissanguata; poi quelle di Cristo: una che apre la veste e l’altra che trattiene il polso di Tommaso, come se, scavando con troppa violenza, il discepolo possa cadere in Dio. L’altra mano del quadro è in basso, la sinistra, di Tommaso, sul fianco, a dimostrare la natura d’ira meticolosa, la disciplina laboriosa. Quattro mani – e quattro visi. Quello di Tommaso e dei due alle sue spalle, i cui occhi puntano il petto di Cristo come chiodi; l’altro è il volto, nel sospiro, di Cristo.
*
La “Vocazione di San Matteo”: tre mani reclamano chi, con le mani, conta i soldi sul tavolo
L’altro quadro in cui la mano è centrale è la Vocazione di san Matteo in San Luigi dei Francesi. In questo caso la scena allestita da Caravaggio è davvero speciale: la luce, che giunge da una finestra invisibile, forse sfonda le mura, sottolinea il gesto di Gesù, alla destra, che indica Matteo, al lato opposto del quadro, impegnato – con le mani – a contare i soldi. Il gesto di Gesù, però, è triplicato: il vecchio di fianco a lui e uno degli uomini vicini a Matteo, compiono lo stesso gesto, in imitazione gergale – così a noi suonano le parole del maestro, come dita. Meglio ancora: lo stesso dito, l’indice, è usato, in un quadro, per scavare, nell’altro per chiamare.
*
Da quando ho visto la Cattura di Cristo di Caravaggio a Dublino, le mani mi ossessionano. In particolare, le mani di Caravaggio. Lo scrivo con smisurata ingenuità: mi sembra che le mani siano il cuore di tanti quadri di Caravaggio. Non mi importano le mani come tratto distintivo di un pittore – l’eserciziario di Giovanni Morelli – ma per il ruolo scenico che rivestono. La Cattura di Cristo ha, al centro simbolico del quadro – in basso – le mani intrecciate di Gesù: se le sciogliesse, svanirebbe il creato. Poi c’è la mano rude di Giuda che lo afferra, quella, inguantata nel ferro, del soldato che gli va al collo; quella, delicatissima, dell’uomo, sulla destra, che regge la lampada, e l’altra, di cui si vedono solo tre dita, aperte, a mimare un urlo, dell’apostolo, disperato, che mira il nulla.
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San Pietro ammira la sua mano, chiusa sul chiodo, durante la crocefissione
Anche la Cena in Emmaus alla National Gallery è un’opera interamente costruita sui gesti delle mani: il discepolo, anziano, che spalanca le braccia e le mani sbigottito, perché ha riconosciuto in quel giovane femminino Cristo risorto, l’altro, al contrario, che stringe i braccioli di una sedia, nell’atto di balzare in piedi – una mano si apre, l’altra si chiude: a cosa costringe e a cosa libera il cristianesimo? Con una mano Cristo benedice il cibo imbandito sulla tavola, con l’altra indica, senza guardare, il vuoto – chiama lo spettatore al tavolo, alla conversione per gioia condivisa; ovvero, fa luce sulla geografia di Dio.
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Dal tono della mano si capisce l’ambire alla fedeltà, o una andatura ambia alla vita. Il gesto, fermo, è una mistica.
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Il modo in cui Giuditta afferra la spada è replicato dalla forza con cui Oloferne afferra il lenzuolo, appena macchiato di un sangue spesso, come una corda. Con la sinistra Oloferne tira i capelli dell’uomo, per spiccare il capo; la vecchia tiene un telo su cui verrà posta la testa mozza. Le mani dei tre sono nella stessa fascia centrale del quadro: come se recitassero il dramma in modo autonomo, più eloquenti dei visi. D’altronde, la Conversione di San Paolo a Santa Maria del Popolo è nelle mani, arrese, aperte, a sostenere la gravità di Dio, come la Crocefissione di san Pietro è tutta nella mano chiusa e inchiodata alla croce, ammirata con timore, ma con un tratto di felicità dal vecchio discepolo: anch’io patisco il tormento del mio maestro, ed è questa la gloria. Il discepolo prediletto chiude la mano sul chiodo; l’Apostolo delle genti, ignoto a Gesù, apre le mani, sa che è carne quella luminosità.
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Nel San Matteo e l’angelo ancora in San Giovanni dei Francesi, la creatura celeste è circonfusa in una tunica bianca. La mano destra stringe un dito della sinistra: come se l’angelo stesse contando o dettando qualcosa a Matteo, che scrive. In realtà, è l’angelo a imparare la mano da Matteo: cosa ha mai toccato di umano un angelo, che cosa può afferrare, che cosa accarezza?
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Davanti a Matteo, l’angelo conta, impara le mani
In una poesia dedicata all’Annunciazione, Rainer Maria Rilke fa parlare l’angelo:
Ma tu hai stupende, benedette le mani. Nascono chiare a te dal manto, luminoso contorno: io sono il giorno, la rugiada, ma tu, tu sei la pianta.
Se le conficcassi nella terra, le mani diverrebbero radici – ma noi le gettiamo al cielo perché si facciano raggi, falchi.
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“Mise le mani per terra ed era simile/ ad una bestia”: così inizia Solstizio, una poesia di Scipione. Tra angelo e bestia la differenza è minima. Ma l’uomo, che imita, ha le mani, ed è da quelle grate, sgradito, grave, che guarda – perfino un dio ha scelto la carne perché alcuni potessero, con le mani, fare il calco del suo viso. Fino al primo, cardiaco colpo di martello. (d.b.)
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A 100 anni dalla nascita, Primo Levi in Nuova Zelanda! In questa storia ci sono: una manciata di poesie, un dente di Iguanodonte, l’autografo di Byron, un libro stupefacente scoperto in una bottega di Torino
Come si sa, Primo Levi è morto il 31 luglio di un secolo fa. L’omaggio più alto e curioso a marcare il centenario viene dalla Nuova Zelanda ed è una traduzione, in stampa limitata, delle poesie di Primo Levi. A compiere la traduzione, un poeta americano, Harry Thomas, e un grande studioso e traduttore italiano, Marco Sonzogni – esegeta massimo di Seamus Heaney, speleologo nell’opera di Montale – che insegna e vive a Wellington. Il libro si intitola The Occasional Demon e – al di là dell’autore a cui è applicato e alle ragioni che lo reggono – pare il sunto del dire poetico. La poesia è un demone, cioè qualcosa di anarchico, improvviso, inavvicinabile (che si può rifiutare, per paura d’ingombro); ed è occasionale, perché non ha meridiane né cronologie, non la contieni né la tieni. La poesia è un assalto.
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Dietro all’occasione – il centenario di Levi – in questo caso il destino ha disseminato una storia. La storia ha un nome. Gideon Algernon Mantell (1790-1852). Medico inglese, costui, leggo sulla Treccani, “si dedicò anche alla geologia, raccogliendo un’importante collezione di fossili”. In particolare, si deve a lui “la scoperta dell’Iguanodonte”. Cosa c’entra l’Iguanodonte con Primo Levi? Eccoci. In calce al delizioso librino neozelandese ci vien detto che “Primo Levi ha imparato da sé l’inglese – traducendosi un libro. Nel 1924, quando aveva 15 anni, suo padre, Cesare, ‘un habitué accanito di tutte le botteghe di libri usati in via Cernaia’, a Torino, portò a casa un ‘volume sottile, elegantemente legato’”. Si trattava di Thoughts on Animalcules or, a glimpse of the Invisible World revealed by the microscope, del fatidico Gideon Algernon Mantell, stampato a Londra nel 1846. Il libro, ricco di illustrazioni “abbaglianti”, attrasse il ragazzino che si comprò un dizionario e così, parola per parole, prese a masticare l’inglese.
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Ma cosa c’entrano il geologo inglese, l’Iguanodonte e Primo Levi con la Nuova Zelanda? C’entrano perché il figlio di Gideon, Walter Baldock Durrant Mantell (1820-1895) “emigrò in Nuova Zelanda a bordo dell’Oriental, che salpò da Londra il 15 settembre 1839, arrivando a Port Nicholson il 31 gennaio 1840”. Alla morte del padre, Walter recepì i suoi documenti, compresi un dente di iguanodonte, una collezione di fossili, il Child Harold autografato da Byron. E una copia del Thoughs on Animalcules tanto amata da Levi.
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Così il cerchio del Levi neozelandese si chiude. La poesia di Levi, invece, si inaugura con le sue parole, anno di grazia 1984. “In tutte le civiltà, anche in quelle ancora senza scrittura, molti, illustri e oscuri, provano il bisogno di esprimersi in versi, e vi soggiacciono: secernono quindi materia poetica, indirizzata a se stessi, al loro prossimo o all’universo, robusta o esangue, eterna o effimera. La poesia è nata certamente prima della prosa. Chi non ha mai scritto versi? Uomo sono. Anch’io, ad intervalli irregolari, ‘ad ora incerta’, ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico. In alcuni momenti, la poesia mi è sembrata più idonea della prosa per trasmettere un’idea o un’immagine. Non so dire perché, e non me ne sono mai preoccupato: conosco male le teorie della poetica, leggo poca poesia altrui, non credo alla sacertà dell’arte, e neppure credo che questi miei versi siano eccellenti. Posso solo assicurare l’eventuale lettore che in rari istanti (in media, non più di una volta all’anno) singoli stimoli hanno assunto naturaliter una certa forma, che la mia metà razionale continua a considerare innaturale”.
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Per gentile concessione si pubblica una scelta di poesie da: Primo Levi, “The Occasional Demon”, The Cuba Press, 2019
Nel principio
Fratelli umani a cui è lungo un anno, Un secolo un venerando traguardo, Affaticati per il vostro pane, Stanchi, iracondi, illusi, malati, persi; Udite, e vi sia consolazione e scherno: Venti miliardi d’anni prima d’ora, Splendido, librato nello spazio e nel tempo, Era un globo di fiamma, solitario, eterno, Nostro padre comune e nostro carnefice, Ed esplose, ed ogni mutamento prese inizio. Ancora, di quest’una catastrofe rovescia L’eco tenue risuona dagli ultimi confini. Da quell’unico spasimo tutto è nato: Lo stesso abisso che ci avvolge e ci sfida, Lo stesso tempo che ci partorisce e travolge, Ogni cosa che ognuno ha pensato, Gli occhi di ogni donna che abbiamo amato, E mille e mille soli, e questa Mano che scrive.
13 agosto 1970
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In the Beginning
Brother humans, for whom a year is a long time, A century, a venerable achievement, Wearing yourself out for your bread, Irascible, deluded, sick and lost, Listen to me, and be comforted and scorned. Twenty billion years before we were, Splendid, hovering in space and time, There was a globe of flames, sole and eternal, Our common father and our executioner, And it exploded, and all mutation began. Even now the faint echo of this one catastrophe Reverberates to the outermost reaches. From that one spasm everything was born: The abyss that engulfs and challenges us, Time that gives us birth and overwhelms us, Everything that everyone has thought, The eyes of every woman we have loved, The thousands upon thousands of suns, And even this hand that is writing now.
13 August 1970
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Approdo
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto, Che lascia dietro sé mari e tempeste, I cui sogni sono morti o mai nati; E siede e beve all’osteria di Brema, Presso al camino, ed ha buona pace. Felice l’uomo come una fiamma spenta, Felice l’uomo come sabbia d’estuario, Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte E riposa al margine del cammino. Non teme né spera né aspetta, Ma guarda fisso il sole che tramonta.
10 settembre 1964
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Sundown
That man is happy who has reached port, Who leaves behind him seas and storms, Whose dreams are dead or won’t be born, And sits and drinks at an inn in Bremen Near the fireplace, and feels at peace. The man is happy like a spent flame. The man is happy like estuary sand. He has put down his load, wiped the sweat From his forehead, and rests on the roadside. Without fear or hope or expectation, He stares at the sun as it goes down.
10 September 1964
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