#fisici del XX secolo
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Il senso delle cose di Richard P. Feynman: Riflessioni scientifiche e filosofiche di un genio irriverente. Recensione di Alessandria today
Un’esplorazione del pensiero critico e del valore della scienza nella società moderna
Un’esplorazione del pensiero critico e del valore della scienza nella società moderna Recensione Il senso delle cose di Richard P. Feynman è una raccolta di lezioni e conferenze che offre una straordinaria finestra sulla mente di uno dei più grandi fisici del XX secolo. In questo libro, Feynman esplora questioni filosofiche e scientifiche fondamentali, svelando il suo approccio unico e…
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Rachel McLish: First Ms. Olympia 💪💪💪
(Image via: reddit.com)
Rachel McLish: Ms. Olympia
🏆 1980 IFBB Ms. Olympia – 1ª classificata
🥈1981 IFBB Ms. Olympia – 2ª classificata
🏆 1982 IFBB Ms. Olympia – 1ª classificata
🥈1984 IFBB Ms. Olympia – 2ª classificata
Rachel McLish bodybuilder
Rachel McLish si appassionò al bodybuilding femminile spinta dal successo riscosso da Lisa Lyon.
Il definitivo ingresso nel mondo del culturismo fu essenzialmente motivato dalla convinzione che questa disciplina le avrebbe potuto fornire una piattaforma per pubblicizzare sia la propria attività che il fitness tra le donne.
La McLish rivestì un ruolo fondamentale nella crescita del culturismo femminile negli anni ottanta del XX secolo.
Il suo anno d'oro fu il 1980, quando vinse i campionati la prima edizione del concorso di Ms. Olympia.
Grazie a tale vittoria apparve nelle copertine delle più note riviste di culturismo più di ogni altra donna, per i successivi cinque anni, oltre a guadagnarsi importanti sponsorizzazioni.
La bellezza e il carattere molto competitivo, infatti, ne fecero subito una stella del bodybuilding femminile, catapultando su di lei l'attenzione dei media locali.
Nel 1981 perse il titolo di Ms. Olympia a favore della finlandese Kike Elomaa, anche per via di un fisico meno definito rispetto all'anno precedente.
Presentatasi anche nell'edizione del 1982, alla terza partecipazione si riconquistò il titolo.
Tornò per un'ultima volta a Ms. Olympia 1984, con lo scopo di diventare tre volte campionessa, ma fu detronizzata dalla più massiccia e giovane Cory Everson al culmine di una discussa gara.
Al termine della contesa alcune sue rivali criticarono apertamente il suo 2º posto, convinte che non meritasse il piazzamento ottenuto per via di «un fisico troppo magro».
Lo stravolgimento dei parametri di giudizio dei giudici, ora inclini a favorire fisici più voluminosi rispetto alle figure snelle e toniche da lei promosse, la portarono ad annunciare il ritiro nel 1984, all'età di 29 anni.
Nella seppur breve ma importante carriera, durata quattro anni, giunse sempre a podio.
Fonte: Wikipedia
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Una delle esperienze più comuni dell'esistenza terrena, che facciamo cioè tutti e sempre di nuovo, è la sua pesantezza.
La vita molte volte, anche durante una stessa giornata, si fa pesante, e ci stanca da morire.
"Sono stanco di soffrire" (Salmo 109, 107), geme il salmista.
Sono stanco, siamo stanchi, perché portiamo un carico molto pesante.
Ma cos'è questo carico? Cosa è così pesante?
La nostra vita biologica è di per sé pesante?
Non mi pare, a meno che non sorgano problemi fisici di rilievo.
Allora sarà la nostra psiche ad essere pesante?
Sì, in un certo senso Io sono pesante, l'Io, il mio Io, il mio pensiero, i miei malintesi, rendono pesante a volte perfino le circostanze più favorevoli.
Diciamola così: ciò che rende pesante questo momento è il modo in cui Io lo penso, lo lo capisco, Io lo interpreto, e così ne faccio esperienza.
L'Io ordinario, l'Io che si crede separato e autosufficiente è il vero Peso, è il Piombo che ci porta giù, nell'abisso della nostra disperazione.
Sotto sotto, magari a livelli semiconsci, tutti noi sappiamo benissimo che è il nostro stesso Io, la nostra coscienza che rende pesante tutto ciò che tocca, e perciò ricerchiamo qualunque forma di sollievo, che ci liberi da questa zavorra mortale.
Ecco perché ci ubriachiamo, ci droghiamo, ci stordiamo nelle discoteche o nei rave, ci annichiliamo nel lavoro, nella frenesia di mille comunicazioni o relazioni sessuali, ci ammazziamo gli uni con gli altri, e così via.
E questa società al collasso offre molteplici compensazioni, sempre più "digitali" ovviamente, per aiutare gli umani a perdere momentaneamente il peso insopportabile del loro piccolo io.
Questa civiltà cioè da una parte alimenta la separazione più radicale dei piccoli io dentro i loro corpi mortali, rendendo la nostra vita di una pesantezza ormai indicibile, e poi ci offre infinite vie illusorie di fuga in realtà virtuali di ogni tipo, che somigliano sempre di più semplicemente a vizi.
Poi quegli stessi personaggi che notte e giorno insegnano a se stessi e a tutti i poveri malcapitati che noi umani siamo solo "scimmie nude", robot un po' goffi e presto da sostituire con Meccani più efficienti, bambocci inutili da ingannare, da indottrinare, da asservire e da sfruttare senza scrupoli, in nome di Potentati Oscuri; questi stessi Brutti Figuri si meravigliano che i giovani si ammazzino tra loro o si distruggano con l'alcol, la prostituzione, e lo stupro, invece di inebriarsi delle guerre e degli spettacoli molto edificanti che i Buoni propongono loro.
La buona notizia, cari amici, è che possiamo liberarci dal peso del nostro piccolo Io senza doverci ubriacare di soldi, di informazione malsana, o di pornografia, e senza nemmeno dover mettere un punto finale alla nostra vita con una bella pallottola in testa, come fecero Majakovskij, e tanti altri poeti del Novecento.
No, amici, possiamo alleggerirci in ogni momento, possiamo imparare a lasciare andare le gabbie del nostro piccolo io, possiamo cioè aprirci volontariamente alla Sfera Leggerissima del nostro Sé più interiore, e da lì riprendere il cammino.
Senza peso.
Con le ali ai piedi, come Hermes-Mercurio, il dio alchemico del più rapido passaggio.
Nei nostri Gruppi in fondo non facciamo altro che sperimentare questo mistero: il peso è solo un carico che possiamo mollare.
Perciò vi invito fraternamente ad iscrivervi (https://www.darsipace.it/iscriviti-ai-gruppi-darsi-pace/)
Ramana Maharshi, un grande mistico Hindu del XX secolo, diceva che l'essere umano sembra una persona che si affatica da morire tenendo su con le braccia due valigie pesantissime, senza rendersi conto di trovarsi su un treno.
Quelle valigie cioè le possiamo posare.
Anche adesso.
Depositare, e lasciarci portare
Dal vento.
Marco Guzzi
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Cos'è il PTSD complesso?
Il PTSD complesso (Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso) è una forma di trauma psicologico che si sviluppa in risposta a esposizioni prolungate e ripetute a eventi traumatici, spesso in un contesto in cui la vittima si sente intrappolata o impotente. È distinto dal PTSD classico, che di solito si verifica dopo un evento traumatico singolo.
Sintomi principali del PTSD complesso includono:
Disregolazione emotiva: difficoltà a controllare rabbia, tristezza, ansia.
Alterazione dell'autostima: sentimenti di colpa, vergogna, o inutilità.
Difficoltà nelle relazioni interpersonali: problemi a fidarsi o a costruire legami stabili.
Ricordi intrusivi: flashback e incubi.
Evitamento: tendenza a evitare situazioni, persone o ricordi legati al trauma.
Sintomi somatici: dolori cronici o disturbi fisici senza cause mediche evidenti.
Cause principali del PTSD complesso
Abusi fisici, emotivi o sessuali prolungati (spesso durante l'infanzia).
Traumi relazionali in contesti familiari o comunitari.
Detenzione in prigionia, schiavitù, o contesti coercitivi.
Libri in italiano sul PTSD complesso
Ecco alcune letture fondamentali disponibili in italiano:
“Il corpo accusa il colpo” di Bessel van der Kolk
Un libro molto noto che esplora l'impatto del trauma sul corpo e sulla mente e introduce tecniche per guarire.
“Traumi e dissociazione” di Onno van der Hart, Ellert R. S. Nijenhuis e Kathy Steele
Approfondisce le basi del trauma complesso e come si manifesta.
“Guarire dal trauma e dall'abuso” di Pete Walker
Un testo pratico per comprendere il PTSD complesso e lavorare su di esso.
“La mente traumatizzata” di Judith Herman
Esamina come i traumi, soprattutto quelli complessi, influenzano le vittime e suggerisce approcci per la guarigione.
“Trauma e memoria” di Peter A. Levine
Esplora come i ricordi traumatici influenzano la vita quotidiana e come affrontarli.
Etimologia di PTSD
PTSD è l’acronimo di Post-Traumatic Stress Disorder, che in italiano si traduce come Disturbo da Stress Post-Traumatico.
Origine del termine:
"Post": dopo.
"Traumatic": derivato dal greco trauma (τραῦμα), che significa "ferita" o "danno".
"Stress": originato dal latino strictus, che significa "stringere" o "tensione".
"Disorder": dal latino disordinare, ossia "fuori ordine".
Il termine PTSD è entrato nel linguaggio clinico ufficiale con la pubblicazione del DSM-III (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) nel 1980.
La storia del trauma: dagli antichi ai giorni nostri
Antichità
Gli antichi greci riconoscevano l'impatto della guerra e del trauma emotivo. Erodoto e altri scrittori descrivevano soldati con “cuore tremante” e sintomi compatibili con il PTSD.
La medicina ippocratica attribuiva i disturbi emotivi a uno squilibrio tra i quattro umori corporei.
Medioevo e Rinascimento
Il trauma veniva spesso interpretato come possessione diabolica o punizione divina. Le cure includevano esorcismi e preghiere.
Leonardo da Vinci, nei suoi studi anatomici e psicologici, ipotizzò connessioni tra il trauma fisico ed emotivo.
XIX secolo
Durante la Guerra Civile Americana si parlava di "nostalgia" o "nevrosi da battaglia" per descrivere i sintomi dei soldati.
In Inghilterra, dopo incidenti ferroviari, comparve il concetto di sindrome da shock ferroviario.
XX secolo
Prima e seconda guerra mondiale:
Il trauma psicologico dei soldati veniva chiamato "shell shock" (shock da bombardamento) o "nevrosi di guerra".
Anni '70:
Il movimento femminista portò all’attenzione pubblica il trauma legato a violenze domestiche e abusi sessuali.
La guerra del Vietnam accelerò il riconoscimento del PTSD come condizione clinica.
Oggi
Il PTSD complesso è riconosciuto come una condizione distinta nel manuale ICD-11 (OMS, 2018), anche se il DSM-5 non lo distingue dal PTSD standard.
La comprensione del trauma si è estesa a molti ambiti, dalla neurobiologia alla psicologia somatica, grazie a ricerche di autori come Bessel van der Kolk e Peter Levine.
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Enrico Fermi: la fisica che ha cambiato il corso della storia
Enrico Fermi: la fisica che ha cambiato il corso della storia
Il 28 novembre 1954 segna la scomparsa di uno dei più grandi fisici del XX secolo: Enrico Fermi. Vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 1938 e noto per essere uno dei padri della fissione nucleare, Fermi ha lasciato un’impronta indelebile nella scienza moderna. La sua carriera straordinaria è caratterizzata da scoperte rivoluzionarie che hanno influenzato non solo la fisica teorica, ma…
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L’Arte del Thai Massage e le Tradizioni Europee del Benessere: Un Viaggio nel Tempo
Il Massaggio Thai: Un Viaggio tra Oriente e Occidente Il massaggio tradizionale tailandese, noto anche come Thai Massage, ha origini antichissime che risalgono a oltre 2.500 anni fa. Questo massaggio affonda le sue radici in credenze spirituali e tecniche curative provenienti da diverse tradizioni asiatiche, in particolare l'Ayurveda indiana e la medicina cinese. Il cuore di questa pratica risiede nel concetto di energia vitale, che scorre attraverso specifiche linee energetiche chiamate Sen. Secondo la tradizione tailandese, se queste linee vengono bloccate, si manifestano malesseri fisici e mentali. Il Thai Massage aiuta a ristabilire l’equilibrio energetico attraverso tecniche di digitopressione e stretching. Ma cosa sarebbe accaduto se il Thai Massage si fosse sviluppato in Europa durante lo stesso periodo storico? Per rispondere a questa domanda, esploreremo le radici del massaggio tradizionale tailandese e le tecniche parallele di cura e benessere sviluppate in Europa. Le Radici del Thai Massage Il Thai Massage è storicamente attribuito al medico mitico Shivago Komarpaj, ritenuto contemporaneo del Buddha e legato alla tradizione dell'Ayurveda. Come riportato da fonti storiche e testi canonici del buddhismo, il massaggio tailandese non è solo una pratica fisica, ma coinvolge anche la dimensione spirituale. La sua combinazione di medicina indiana, cinese e influenze buddhiste lo rende unico nel suo genere, offrendo un approccio olistico che integra mente, corpo e spirito. Il Contesto Europeo: Ippocrate e Galeno Parallelamente, in Europa, il concetto di equilibrio era centrale nella medicina. Ippocrate e Galeno, figure di spicco della medicina antica, ritenevano che la salute dipendesse dall'equilibrio tra i quattro umori del corpo: sangue, bile gialla, bile nera e flemma. Sebbene il concetto di equilibrio fosse simile a quello del Thai Massage, la medicina europea si concentrava prevalentemente sul fisico, utilizzando il massaggio come tecnica per alleviare dolori muscolari e migliorare la circolazione sanguigna. La dimensione energetica e spirituale, invece, era meno sviluppata rispetto all’Asia. Il Medioevo: Declino delle Pratiche di Massaggio Con la caduta dell'Impero Romano e l'ascesa del Medioevo, in Europa molte pratiche mediche avanzate, incluso il massaggio, furono messe da parte. La Chiesa cristiana, che dominava la vita sociale e culturale, poneva l'accento sulla cura dell'anima piuttosto che su quella del corpo, e molte tecniche curative antiche andarono perdute. Nel frattempo, in Asia, il Thai Massage continuava a prosperare nei templi buddisti, dove veniva praticato e perfezionato non solo come tecnica terapeutica, ma anche come pratica spirituale. Rinascimento: La Riscoperta del Corpo Con l’avvento del Rinascimento, l'Europa riscoprì l'interesse per il corpo umano. Grandi studiosi come Leonardo da Vinci e Andrea Vesalio approfondirono la conoscenza dell'anatomia, e il massaggio tornò a essere una pratica importante nella medicina. Ambroise Paré, uno dei più noti chirurghi francesi, promosse il massaggio come strumento per alleviare il dolore e favorire la guarigione post-operatoria. Tuttavia, mentre in Europa il massaggio si concentrava principalmente sul recupero fisico, in Asia il Thai Massage continuava a essere una pratica profondamente spirituale. L'Occidente Scopre il Massaggio Thai Nel XIX e XX secolo, l'Occidente cominciò a scoprire le pratiche terapeutiche orientali grazie all'aumento dei viaggi e degli scambi culturali. Il Thai Massage, insieme a tecniche come il Ruesi Datton e l'agopuntura, attirarono l'attenzione per il suo approccio olistico, che combinavano lavoro fisico ed energetico. Il massaggio tailandese divenne popolare anche in Europa e America, dove veniva visto come una pratica curativa completa, capace di trattare non solo il corpo ma anche la mente. Un Incontro tra Due Mondi Nel mondo moderno, il dialogo tra il Thai Massage e le tecniche occidentali di massaggio è più vivo che mai. Mentre le pratiche orientali continuano a offrire un approccio energetico e spirituale alla cura, in Occidente si è sviluppato un approccio più fisico e scientifico. Tecniche come il massaggio svedese, che si concentra sulle manipolazioni muscolari e tessutali, hanno trovato un equilibrio con le pratiche orientali, creando un'integrazione tra dimensioni fisiche ed energetiche. Tradizioni a Confronto Il Thai Massage e le tecniche occidentali di massaggio hanno seguito percorsi storici differenti, ma entrambi riconoscono l'importanza del contatto fisico per promuovere il benessere. Mentre il Thai Massage si distingue per la sua enfasi sull'energia e la spiritualità, il massaggio occidentale è più focalizzato sulla guarigione fisica. Nel mondo moderno, vediamo una fusione tra queste tradizioni, che si arricchiscono reciprocamente offrendo un approccio completo alla cura del corpo e della mente. Fonti AGENAS: Telemedicina e sanità moderna in Italia. Global Wellness Summit, rapporto 2024: Tendenze del benessere e pratiche orientali. FNOMCeO: La mappa delle medicine complementari in Italia. Storia della medicina tradizionale: Ippocrate, Galeno e le radici della medicina europea. Read the full article
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Una nuova e intrigante teoria potrebbe confermare che il tempo in realtà è un'illusione quantistica.
Il tempo come illusione quantistica: un enigma che da millenni affascina e sfida menti brillanti, da filosofi a scienziati. Paradossalmente, più la nostra comprensione della realtà fisica si approfondisce, più la risposta a questa domanda fondamentale sembra sfuggirci.
Al cuore della questione risiede il cosiddetto “problema del tempo”, un nodo gordiano che fa capolino dal contrasto tra le due colonne portanti della fisica moderna: la relatività generale e la meccanica quantistica. Mentre la prima concepisce il tempo come una dimensione relativa, intrecciata con lo spazio nel tessuto stesso dell’universo, la seconda lo considera un parametro universale e assoluto.
Un gruppo di fisici italiani dell’Istituto di sistemi complessi (ISC) del Consiglio nazionale delle ricerche ha recentemente proposto una soluzione audace a questo dilemma. La loro ipotesi, basata su un’idea formulata decenni fa, suggerisce che il tempo potrebbe essere un’illusione, un prodotto dell’entanglement quantistico, un fenomeno in cui particelle distanti rimangono misteriosamente connesse.
La vera rivoluzione di questo modello, pubblicato sulla rivista Physical Review A, è la sua capacità di ricavare la definizione di tempo coerente con la relatività generale a partire dai principi della meccanica quantistica. In altre parole, apre una strada promettente per superare l’attuale incompatibilità tra le due teorie. Alla fine ne esce una visione unificata del tempo che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dell’universo.
Quantistica vs relatività del tempo
Due sono i pilastri fondamentali su cui si basa la fisica moderna, che furono introdotti nella prima metà del XX secolo: la meccanica quantistica e la relatività generale.
Nella prima viene descritto il comportamento di particelle e onde su scala microscopica, mentre nella seconda la gravità viene interpretata come la curvatura dello spazio-tempo. Questo è il palcoscenico quadridimensionale in cui si svolge la nostra esistenza.
Entrambe le teorie hanno dimostrato la loro straordinaria precisione e validità attraverso innumerevoli verifiche sperimentali. Tuttavia, quando si tenta di unirle in modo coerente, in una teoria quantistica della gravità, si manifestano delle profonde contraddizioni.
Enigma analogo riguarda il concetto di tempo. Nella relatività generale, il tempo è una componente intrinseca del tessuto dell’universo, malleabile e influenzabile dalla gravità. Al contrario, la meccanica quantistica lo considera un parametro assoluto, immutabile e indipendente dalle proprietà fisiche degli oggetti.
Questa discrepanza solleva interrogativi cruciali: è possibile che il tempo sia un’illusione quantistica, un artefatto della nostra limitata percezione? O forse esiste una realtà più profonda, in cui le due concezioni del tempo si fondono in una sintesi armoniosa?
La ricerca di una teoria unificata, in grado di conciliare la meccanica quantistica e la relatività generale, è una delle sfide più affascinanti e complesse della fisica contemporanea. Una teoria che potrebbe svelare la vera natura del tempo, rivelando se si tratta di un’illusione quantistica o di una realtà fondamentale dell’universo.
Dagli anni 80 arriva un’idea
Paola Verrucchi, co-autrice dello studio, spiega:
Nel nostro lavoro abbiamo ripreso un’idea proposta nel 1983 dai fisici Don Page e William Wootters, secondo cui il tempo nascerebbe come risultato dell’entanglement tra sistemi quantistici, uno dei quali funge da orologio.
Ma cosa significa entanglement? Nel mondo subatomico, una particella può esistere in più stati contemporaneamente. Ad esempio, una particella può ruotare sia in senso orario che antiorario (spin su o giù) finché non viene misurata, momento in cui “collassa” in uno stato definito.
L’entanglement, invece, è un fenomeno ancora più enigmatico: due particelle possono essere così intimamente connesse che condividono la stessa sovrapposizione di stati. Misurando una particella, l’altra collassa istantaneamente nello stato opposto, indipendentemente dalla distanza che le separa.
In questa prospettiva, dire che qualcosa accade in un certo istante significa che un oggetto (l’orologio) si trova in un determinato stato. Nel modello di Page e Wootters (e nel nostro), il tempo è il risultato dell’entanglement tra due sistemi: un sistema che evolve e un orologio.
Paola Verrucchi
In altre parole, quando osserviamo un oggetto cambiare nel tempo, ciò che percepiamo è l’entanglement tra questo oggetto e un orologio. Questa visione ha implicazioni sorprendenti: un osservatore esterno a questa coppia (sistema + orologio) vedrebbe un universo statico e immobile. Il tempo, quindi, potrebbe essere solo un’illusione quantistica, un prodotto della nostra osservazione che perturba il sistema quantistico.
L’idea del tempo come illusione quantistica, sebbene affascinante, solleva interrogativi profondi sulla natura della realtà e della nostra percezione. È possibile che il tempo, così fondamentale per la nostra esperienza, sia semplicemente un artefatto della nostra interazione con il mondo quantistico? Questa prospettiva rivoluzionaria apre nuove strade per la ricerca e la comprensione della natura del tempo e dell’universo stesso.
Out of time
La Verrucchi approfondisce questo concetto:
Abbiamo esteso il meccanismo di Page e Wootters, rendendolo più generale e includendo alcune considerazioni successive. Questo modello, già verificato sperimentalmente nel 2012, ci ha permesso di derivare la definizione di tempo perfettamente in linea con la meccanica classica e quindi compatibile con la relatività di Einstein.
Il modello proposto rappresenta l’orologio come un sistema di piccoli magneti entangled con un oscillatore quantistico, l’analogo quantistico di una molla. Attraverso una versione leggermente modificata dell’equazione di Schrödinger, i ricercatori sono riusciti a caratterizzare questo sistema.
La novità risiede nella sostituzione della variabile tempo convenzionale con una nuova variabile legata allo stato quantistico dei magneti, interpretata come una “lettura quantistica” del tempo. Estendendo il calcolo a scale più grandi, al di fuori del regime quantistico, con grande sorpresa i risultati rimangono coerenti sia con la nuova definizione di tempo che con la trattazione classica.
Questa coerenza a diverse scale suggerisce che il tempo potrebbe non essere una grandezza fondamentale, ma nasce dalle interazioni quantistiche. Ciò apre la strada all’ipotesi che il tempo sia un’illusione quantistica.
Sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare questa prospettiva, i risultati di Verrucchi e colleghi rappresentano un passo avanti importante verso la comprensione più profonda della natura del tempo e del suo legame con la meccanica quantistica e la relatività generale.
Tempo come illusione quantistica: l’entanglement è l’inizio
La fisica quantistica ci svela un universo in cui l’entanglement, il legame invisibile tra particelle distanti, potrebbe essere la chiave per comprendere la natura stessa del tempo.
In questa prospettiva, il tempo assoluto, un concetto familiare nella fisica classica, potrebbe riemergere in un contesto quantistico. Nella “singolarità” iniziale, l’entanglement universale avrebbe regnato sovrano, creando un legame indissolubile tra ogni particella dell’universo. Questo legame primordiale potrebbe spiegare perché il tempo, così come lo percepiamo, sembra scorrere inesorabilmente in una sola direzione.
L’entanglement potrebbe quindi essere la radice di ciò che viene chiamato “tempo illusione quantistica“, una specie di effetto “Fata Morgana” creato dalla nostra percezione limitata di un universo intrinsecamente interconnesso. Se questa teoria fosse confermata, rivoluzionerebbe la nostra comprensione del tempo e della realtà stessa.
Il concetto di tempo e le teorie moderne
Il concetto di tempo, da sempre oggetto di dibattito filosofico e scientifico, si rivela sempre più sfuggente alla luce delle teorie moderne. La relatività generale e la meccanica quantistica, pur essendo entrambe verificate sperimentalmente, offrono visioni contrastanti del tempo: relativo e deformabile nella prima, assoluto e immutabile nella seconda.
Una possibile soluzione a questa discrepanza nasce da un’ipotesi affascinante: il tempo come illusione quantistica, un’illusione derivante dall’entanglement tra sistemi quantistici. Il modello proposto sembra fornire una definizione di tempo compatibile sia con la meccanica quantistica che con la relatività generale. Inoltre, l’ipotesi dell’entanglement primordiale suggerisce che il tempo, nella sua forma assoluta, potrebbe essere esistito solo all’inizio dell’universo.
Tuttavia, questa teoria rimane per ora un’ipotesi intrigante. La sfida futura sarà quella di trovare prove sperimentali che possano confermare o smentire questa visione rivoluzionaria del tempo.
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Per il 14 aprile è stato indetto il World Quantum Day
Perché l’Universo parla il linguaggio della meccanica quantistica. Il “World quantum Day” ci porta in una dimensione aliena. Ma si può cominciare partendo da un piatto di patate al forno. Si narra che all’astrofisico inglese Arthur Eddington – contemporaneo di Einstein e suo grande ammiratore a divulgatore – furono rivolti i complimenti per essere una delle tre persone al mondo che capivano la teoria della Relatività generale, e che in tutta risposta egli stette in silenzio. Bonariamente apostrofato di falsa modestia, pare che lo scienziato abbia replicato che no, la sua non era modestia, ma solo una pausa per cercare di capire chi fosse la terza persona. Un altro famosissimo fisico, il premio Nobel Richard Feynman, scrive invece nel suo libro “The Character of Physical Laws” (“La legge fisica”): “Certamente più di dodici capirono in un modo o nell’altro la teoria della Relatività. Invece credo di poter dire con sicurezza che nessuno ancora comprende la meccanica quantistica”.
Due, tre, dodici o più? Per la Relatività sembra che le opinioni siano discordanti, ma la meccanica quantistica – almeno per Feynman – sembra essere materia davvero piuttosto ostica. Eppure, tanti ne parlano, anche se non sempre a proposito: basta un’occhiata in Internet con un motore di ricerca per capire quanti sostantivi vengano associati all’aggettivo “quantistico/a”, talvolta in maniera diciamo fantasiosa. E, più concretamente, varie sue manifestazioni e applicazioni sono presenti nella nostra quotidianità e sempre più caratterizzeranno il nostro futuro tecnologico, come ha recentemente raccontato Massimo Inguscio su questo sito. La quantistica è una branca della fisica relativamente giovane, che nasce e si sviluppa all’alba del XX secolo e che, come afferma David Griffiths in un libro specialistico molto usato nei corsi universitari (“Introduction to Quantum Mechanics”) “a differenza della meccanica di Newton, dell’elettrodinamica di Maxwell o della Relatività di Einstein, la meccanica quantistica non è stata creata o sistematizzata in modo definitivo da un solo individuo e conserva ancora oggi alcune cicatrici della sua eccitante ma traumatica gioventù”. Dopo oltre un secolo noi fisici siamo più che convinti che la meccanica quantistica funziona molto bene, anche se il perché funzioni e le sue interpretazioni più profonda sono ancora oggetto di studio e ricerca. Proprio per celebrarne i successi e per promuovere in tutto il mondo nel pubblico la consapevolezza e la comprensione della scienza e della tecnologia quantistica è stata indetta la Giornata Quantistica Mondiale (il World Quantum Day), che si celebra il 14 aprile. È un evento attorno al quale sono sorte tante iniziative dedicate alla divulgazione della fisica dei quanti e delle sue applicazioni. Con la consapevolezza che, come apre il sito worldquantumday.org, “dal tessuto dello spazio-tempo al GPS del telefono, l'Universo parla il linguaggio della meccanica quantistica”. La data del 14 aprile non è stata certo scelta a caso, visto che corrisponde alle prime cifre di uno dei numeri fondamentali per la teoria quantistica - la costante di Planck, che prende il nome da uno dei padri della meccanica quantistica, il fisico tedesco Max Planck. A lui si deve infatti l’intuizione che solo la quantizzazione dell’energia avrebbe potuto spiegare un fenomeno letteralmente sotto gli occhi di tutti, ma che alla fine dell’800 non aveva ancora una spiegazione teorica. Parliamo della radiazione termica, ovvero della luce – spesso non visibile a occhio nudo - emessa da un qualsiasi oggetto per il solo fatto di trovarsi a temperature superiori allo zero assoluto. Ne sono esempio il bagliore rossastro che emette la serpentina del grill all’interno del forno in cucina e la radiazione infrarossa emessa dal corpo umano attraverso la quale – con quei termoscanner onnipresenti ai tempi della pandemia – misuriamo la temperatura corporea. Fu la spiegazione teorica di questo fenomeno, grazie a Planck, ad aprire le porte allo sviluppo della meccanica quantistica. La prossima volta che grigliate le patate al forno pensate che state utilizzando un processo fisico da cui è nata la fisica quantistica. E se per caso prima di cuocerle le avete pesate, sappiate anche che il chilogrammo è oggi definito proprio grazie alla costante di Planck. Per non parlare di laser, semiconduttori, strumenti diagnostici come la risonanza magnetica nucleare, della misura del tempo con i super precisi orologi atomici, e un domani i computer quantistici che rivoluzioneranno l’informatica. Sono solo alcuni degli esempi dove la fisica quantistica gioca un ruolo fondamentale. Per non parlare della misura del tempo, con i super precisi orologi atomici, e un domani i computer quantistici che rivoluzioneranno l’informatica. Insomma, è sicuramente una scienza difficile, ma certamente la vediamo all’opera – e sempre più la vedremo – ogni giorno. E, se vi interessano curiosità e approfondimenti alla portata di tutti, www.quantum.gov: la meccanica quantistica vi stupirà! Read the full article
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Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam
Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Si apre al pubblico il 22 marzo al Mudec - Museo delle Culture la mostra “Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen”, che presenta oltre 180 opere tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti provenienti dalla collezione di uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi, in dialogo con alcune opere della Collezione Permanente del Museo delle Culture. Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, la mostra è stata realizzata grazie ai prestiti del Museo Boijmans Van Beuningen (Rotterdam, Paesi Bassi) e a Fondazione Deloitte, partner della mostra. La curatela è affidata alla storica dell’arte Els Hoek, curatrice del Mfhduseo, con la collaborazione di Alessandro Nigro, professore di Storia della critica d’arte presso l’Università di Firenze. “Il Mudec prosegue nel lavoro di tessitura che collega la creatività moderna e contemporanea alle diverse culture del mondo – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Il particolare taglio curatoriale della mostra connette infatti un movimento artistico, capace di conquistare artisti che hanno contribuito a scrivere la storia dell’arte italiana ed europea, alla creatività di popoli lontani nello spazio e nel tempo, andando all’origine della ‘necessità dell’arte’, che è diversa ma simile in ogni luogo e in ogni epoca”. Era il primo dicembre 1924 quando a Parigi il poeta André Breton pubblicava la sua raccolta di prose “Poisson Soluble”, la cui introduzione sarebbe diventata il Primo Manifesto del Surrealismo, inaugurando ufficialmente la più onirica tra le avanguardie del XX secolo. I Surrealisti cercarono di esplorare la realtà oltre i limiti imposti dalla ragione, espandendola oltre i suoi confini fisici per attingere a una dimensione più piena dell’esistenza: la “surrealtà”. Il Museo Boijmans Van Beuningen possiede una collezione di arte surrealista famosa in tutto il mondo, che annovera tra gli altri artisti come Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte e Man Ray. Oltre a dipinti, oggetti e opere su carta, la collezione comprende numerosi libri rari, periodici e manifesti di artisti e scrittori surrealisti. La mostra fornisce quindi al pubblico una visione a 360 gradi dell’universo surrealista, proponendo opere di artisti famosi ma anche meno conosciuti, pubblicazioni e documenti storici. La scelta di curare una mostra per il Mudec ha portato Els Hoek, la curatrice del Museo olandese, a una selezione mirata della collezione con un focus particolare sull'interesse dei surrealisti per le culture native. La loro critica alla cultura e alla società occidentale industrializzata spinse infatti questi artisti a cercare modelli alternativi, e questa ricerca portò Breton e i suoi a studiare e collezionare gli oggetti etnografici, che entrarono a far parte dell’orizzonte concettuale del movimento. Alessandro Nigro, co-curatore della mostra, ha quindi sviluppato il fil rouge del percorso espositivo sul rapporto tra il surrealismo e le culture native, al quale è dedicata un’ampia sala in cui sono esposte opere della Collezione Permanente del Mudec provenienti da Americhe, Africa, Artico canadese e dalla Papua, in dialogo con artisti quali Tanguy, Masson, Carrington e Lam. Ogni sezione è introdotta da una scultura chiave o un oggetto iconico, che parla al visitatore evocando il tema a cui la sezione stessa è dedicata, e da una citazione che racconta e ricorda al pubblico come il surrealismo fu anche manifesto filosofico, pensiero poetico, sguardo incantato su una realtà ‘altra’. Le sezioni sono arricchite da un apparato multimediale che completa il quadro del racconto. Nelle sale verranno proiettati anche spezzoni di film d’epoca che hanno rivisitato la poetica surrealista contribuendo a formare nella società un nuovo modo di approcciarsi alla realtà: da capolavori come Entr’acte (1924), cortometraggio di Rene Clair, a Spellbound di Alfred Hitchcock, del 1945.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Grazie a noi siamo guariti
Una persona che non conoscete, sfortunata, manifesta difficoltà respiratorie. Portata in ospedale è sottoposta a tampone e dopo sole cinque ore arrivano i risultati che consentono di scegliere la terapia adeguata. La malattia viene identificata dal codice genetico estratto dalla persona malata. L’analisi del DNA è una tecnica recente, ed è possibile perché nel 1983 Kary Mullis sviluppa la tecnica della reazione a catena della polimerasi che consente di amplificare piccoli campioni di materiale genetico. Mullis non partiva ovviamente da zero e deve ringraziare Kohrana, Nirenberg e Holley per i loro studi sul codice genetico e la sua funzione nella sintesi di proteine. A sua volta, ancora indietro di una generazione, tutto questo non sarebbe potuto essere possibile se nel 1953 Watson, Crick e Franklin non avessero descritto il modello della struttura del DNA a doppia elica che tutti conosciamo.
In questo lavoro ha avuto un ruolo fondamentale la diffrazione a raggi X utilizzata da Rosalind Franklin per “fotografare” il DNA. Se numerosi fisici, tra cui spicca Röngten, a cavallo tra XIX e XX secolo si fossero dedicati al tennis anziché alla ricerca, l’umanità non avrebbe i raggi X. I raggi X vengono prodotti facendo incidere un fascio di elettroni su un materiale bersaglio, ad esempio tungsteno. Per avere il fascio di elettroni serve però un dispositivo particolare, il tubo catodico o, all’epoca, tubo di Crookes in cui una forte differenza di potenziale tra due elettrodi causa il fascio di elettroni. Per applicare questa differenza di tensione si usava una batteria, che è stata inventata da Volta nel 1799 alternando strati di rame, un panno imbevuto di elettrolita e zinco.
Volta non sarebbe potuto arrivare alle sue scoperte senza l’attività di un altro scienziato italiano: Galvani. E questa è solo una parte infinitesimale delle persone a cui dobbiamo essere grati per gli strumenti che abbiamo oggi: senza Galileo Ferraris non avremmo il motore elettrico per far funzionare i macchinari, Watt ci ha mostrato come tramutare l’energia chimica di un carburante in energia meccanica, Carnot ci ha spiegato come ottenere il meglio da questo processo e migliaia di altri scienziati hanno dedicato la loro vita a descrivere come funzionano i fenomeni che ci circondano e a migliorare la nostra vita.
Sicuramente i più puntigliosi tra voi obietteranno sull’attribuzione delle invenzioni citate, ma questa un’altra conferma dell’innata capacità dell’essere umano di cercare di comprendere. In questo periodo in cui riaffiorano paure che ritenevamo archiviate, qualcuno potrebbe avere la tentazione di affidarsi alla superstizione o di sperare nell’intervento miracoloso per la soluzione di un problema enorme. È invece adesso il momento più appropriato per riaffermare la fiducia nella scienza e nel metodo scientifico, nella stupefacente capacità dell’essere umano di modellare il mondo che lo circonda grazie ad ingegno e cooperazione.
Per questo motivo, quando qualcuno ringrazia Dio invece degli operatori sanitari che hanno salvato una persona a lui cara, non manca di rispetto solo al medico e agli infermieri che rischiano la loro salute ogni giorno, ma offende anche Galileo, Newton, Volta, Carnot, Einstein, Fermi e tutti coloro che hanno speso la loro vita a spiegarci come funziona l’universo e rendere migliore la nostra vita.
Per questo stesso motivo l’UAAR chiede che i soldi dell’otto per mille vengano tutti destinati a chi lo merita davvero, al servizio sanitario nazionale ed alla ricerca scientifica. E non lo chiede astrattamente, ma con una petizione che dobbiamo tutti firmare e condividere se vogliamo fare arrivare il nostro messaggio fino in Parlamento.
www.change.org/8×1000-a-sanita-e-ricerca
Solo la ragione e ricerca ci faranno uscire da questa emergenza.
Pubblicato 17-04-2020 alle 10:12 da Redazione Uaar
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Kurt Gödel, è stato definito forse il più grande logico dopo Aristotele. Figura nota più nell’ambiente che al pubblico degli appassionati di scienza, è senza nessun dubbio l’uomo che più di tutti ha influenzato il pensiero scientifico matematico e logico (e quindi anche quello della scienza dei computer), negli ultimi 100 anni, cambiandolo probabilmente per sempre. Nel 1931 ha enunciato due teoremi di incompletezza che si dice abbiano scardinato i fondamenti stessi della matematica. Ma da dove nasce questa idea? Nei primi del ‘900 era opinione diffusa tra i fisici e i matematici e gli uomini di pensiero, che la scienza umana fosse dimostrativamente illimitata, precisa e perfetta in ogni sua parte. Questo era chiaro, secondo loro, anche dalle mille conquiste del secolo, cioè di tutto il 1800: questa fiducia incrollabile, questa idea che tutto è possibile e scienticamente spiegabile e tecnologicamente controllabile dall’uomo, ha anche un nome nel campo della storia della filosofia, positivismo.
Ma il termine è forse anche più incisivo di così, ha un doppio significato: uno filosofico-cosmico, ovvero l’idea che esista nella realtà solo ciò che è positivo, quindi materialmente dimostrabile, concreto, toccabile. E uno morale, piscologico-storico, che tutto è alla portata della scienza moderna, tutto è nella potestà dell’uomo. Dato che esiste solo ciò che è materiale e la scienza studia la materia, l’uomo controlla indirettamente con la scienza e la tecnologia, tutto. Questo pensiero dominava allora, e domina tuttora anche la nostra società. Quando chiediamo alla medicina di guarire tutti, o diciamo che un giorno ogni malattia sarà sconfitta, siamo positivisti, anche se non lo sappiamo o non ne siamo perfettamente coscienti.
E d’altro lato siccome Dio non lo si vede nè nelle provette, nè nei telescopi,ne nelle teorie della Fisica, evidentemente non ha verità “materiale” , noi diciamo cn termini moderni che è “evidente” che Dio non esiste. Non per caso viviamo in una società materialista, e fondamentalmente atea. E forse vuota sul piano spirituale.
Ma torniamo agli inizi del ‘900. Per gli scienziati dell’epoca, come per l’uomo comune di oggi, la scienza era ed è in grado di realizzare ogni promessa, prima o poi, ed è positiva, ovvero cristallina e chiara in ogni parte, manipolabile, cioè controllabile in modo trasparente e in tutte le sue componenti, e in particolare lo era e lo è - cosi si pensava - anche la matematica che è la regina di tutte le science e il fondamento delle scienze fisiche, statistiche, chimiche, tecnologiche, etc. Era una pura questione di buonsenso, si pensava, allora come ora; si doveva solo dimostrarlo. Tutto è conoscibile. E certamente lo si sarebbe dimostrato. Il campione di questa posizione tra i matematici divenne David Hilbert, eminente e rispettato matematico operante a cavallo dei secoli XIX e XX. In particolare, nel 1900, a Parigi, Hilbert a trentotto anni - all’alba di un nuovo luminoso secolo, nella città considerata la punta di diamante della scienza e della tecnolgia di allora - espone la sua teoria, la sua promessa di uomo positivista:
Non esistono problemi insolubili in matematica, tutti possono essere risolti con la sola forza dell’intelletto
Hilbert, va detto, è uno dei padri dell’algebra moderna, un matematico raffinato e di grandissimo talento. E’ una delle più grandi menti della matematica di tutti i òtempi, non è un ingenuo sprovveduto o un improvvisato divulgatore. La sua opinione conta. A rinforzo di questa sua visione, al primo Congresso internazionale dei matematici, nel 1900 sempre a Parigi, David Hilbert propone quasi "pretende”, con una certa enfasi, dalla comunità scientifica matematica di rispondere - a tre domande chiave che consentano quindi di stabilire quello che gli scienziati consideravano la verità fondante e assoluta, quella verità assoluta che aspettava solo di essere dimostrata a gloria del pensiero umano, elevato e potente come quello di un dio - propone e “pretende”, dicevo, di rispondere a questi tre quesiti fondamentali:
La matematica è completa? È in grado di dimostrare o refutare un qualsiasi enunciato all’interno del suo medesimo sistema di regole?
La matematica è coerente? È in grado di evitare che attraverso una serie di dimostrazioni tutte interne al suo sistema di regole si giunga a un enunciato falso del tipo 2+2=5?
La matematica è decidibile? Esiste un metodo universale e ben definito per desiderare a priori se un qualsiasi problema è solubile o meno? (oggi diremmo, e diciamo: si può scrivere un programma per computer per decidere se un qualsiasi problema è solubile o meno? Ovvero si può far decidere un programma da un altro programma, cioè automatizzare il pensiero?)
... Come dire, ecco qua la strada: l’uomo moderno non è più dominato dai bisogni materiali grazie alla scienza, cioè grazie a noi, i semidei di questa nuova “religione”. L’uomo può tutto e quel che non può ora lo potrà domani, grazie alle scoperte future della scienza, destinata a progredire al’linfinito. Tutto è alla portata della ragione quindi. Dobbiamo solo dimostrare, ora, noi matematici, sul nostro lato, questi tre importanti e fondamentali concetti e la gloria dell’uomo sarà imperitura e un nuovo secolo dell’oro si aprirà di fronte a noi, perchè abbiamo dimostrato che niente è impossibile ai mezzi umani, che niente è precluso all’uomo. Che la scienza capisce tutto e quindi può tutto.
Trent’anni dopo, un giovanissimo ricercatore e studioso Viennese, risponde alle pretese tre domande di Hilbert, ma lo fa in modo sorprendente.
A Königsberg, il 7 settembre 1930, a un convegno di filosofia della scienza, Kurt Gödel prende parola. Ha solo 24 anni, e afferma di aver trovato la risposta a uno dei tre fondamentali quesiti di Hilbert posti trent’anni prima. “La matematica è completa?”
Kurt, a differenza di quanto credeva e voleva tutta la comunità di matematici e filosofi del periodo, risponde chiaramente e senza tergiversare: “no”. Risponde dimostrandolo.
Questa risposta distruggerà l’ambizioso programma di Hilbert, e cambierà radicalmente e per sempre la visione della matematica moderna, della logica e della scienza moderna in generle, dando origine a una visione della scienza del tutto nuova. Nessuno aveva mai pensato, in millenni, che anche la matematica, la scienza esatta per definizione, esatta perchè inventata dalla ragione umana, nessuno aveva mai pensato che avesse dei limiti intrinseci, in ogni sua possibile formulazione.
Gödel pubblicò il suo risultato nel 1931, l’anno successivo, quando lavorava presso l'Università di Vienna. Il lavoro conteneva i famosi due teoremi di incompletezza che da lui presero il nome, secondo i quali ogni sistema assiomatico consistente e in grado di descrivere l'aritmetica dei numeri interi è dotato di proposizioni che non possono essere nè dimostrate né confutate sulla base degli assiomi di partenza. Notate che dice nè dimostrate nè confutate contemporaneamente. Parafrasando: se un sistema formale S è consistente (privo di contraddizioni), allora è possibile sempre costruire una formula F sintatticamente corretta, ma indimostrabile in S, sistema che quindi risulta “incompleto”. Godel dice, se un sistema formale è logicamente coerente, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata stando all'interno di quel sistema logico. In altre parole, si entra in un loop fatale: se il sistema è rigoroso genera proposizioni che sfuggono la teoria che le ha generate, e se non lo è... be’ non e’ scienza. E’ una vera e propria bomba sul piano filosofico e pratico, paragonabile negli effetti a quello che fu la teoria della relatività in fisica, uno slittamento che colpisce le basi stesse della matematica. E non colpisce solo la matematica già nota, ma anche quella non ancora nota e tutta quella ancora da inventare, qui e in tutti gli universi possibili. Ka-boom! Gödel ha solo raso al suolo il positivismo e tutto il pensiero umano dal 1500 a oggi. Illuminismo incluso. E ha detto, la matematica, al contorno, non sa che dice.
I teoremi di Gödel nascevano in relazione alle ricerche volte a realizzare il programma di Hilbert, che chiedeva di trovare un linguaggio matematico che potesse provare da solo la propria consistenza o coerenza. Gödel dimostrò che la coerenza di un sistema è tale proprio perché non può essere dimostrata. La ragione pura ha dei limiti invalicabili, e Goedel l’aveva dimostrato nero su bianco e per sempre. Oggi e nel futuro. Molti non compresero le affermazioni di Gödel dapprincipio. ritenevano che il suo teorema minasse ogni possibilità di giungere ad una assoluta certezza nella matematica. Che smacco per i matematici. Gödel era convinto, invece, di non avere affatto dissolto la consistenza dei sistemi logici, da lui sempre considerati come funzioni reali dotati di valore ontologico, e che anzi il suo stesso teorema di incompletezza avesse una valenza di oggettività logica. Oltretutto, spiegava Gödel, la presenza di un enunciato che affermi di essere indimostrabile all'interno di un sistema formale significa appunto che esso è vero, dato che non può essere effettivamente dimostrato. Lo so, non è banale capire o parlare di questi punti, e non è facile addentrarsi in dimostrazioni che richiederebbero una conoscenza specialistica. Posso dire che nessuno ha mai messo in dubbio il teorema di incompletezza. E’ la scienza che si è adeguata a Goedel ed è cambiata, dopo, a causa di Gödel. Avete mai sentito parlare, ad es, di Teoria del Caos, o di effetto farfalla? I modelli matematici caotici, oda qriginano da questo rovesciamento filosofico, di cosa è dimostrabile, e prevedibile, in una teoria. Per dire. Probabilmente senza Goedel, non esisterebbe neanche l’artificial intelligence instance based. Quella che va di moda oggi, per capirci. S.Tommaso D’Aquino con un’argomentazione identica, aveva affermato una cosa molto simile, nel 1260, nel contesto dei suoi studi di Teologia. Questa realtà indimostrabile che è vera proprio perchè non può essere dimostrata, è nel sistema di D’Aquino, Dio. Dio esiste perchè è un indimostrabile by design. Incircumscriptibilis, dice Tommaso. Tommaso dice che Dio va dimostrato perchè la sua esistenza non è evidente, ma anche che Dio ha una natura infinita e quindi inafferrabile alla mente umana, ovvero che Dio è “la formula corretta, ma indimostrabile nel sistema”, che in questo caso è la teologia, o la filosofia. E quindi, seguendo il pensiero di Gödel a posteriori, e di Tommaso a priori e all’epoca, proprio perchè Dio è indimostrabile nel sistema, significa che la ragione è coerente, e che Dio è vero essendo un inafferrabile. Contemporaneamente. Dio esiste perchè indimostrabile. Sottile e intelligente. Aristotele, D’Aquino e Gödel parlano di cose non banali, della natura finale delle cose, e delll’umoo, dei fondamenti del reciproco pensiero, raggiungendo complesse e raffinate vette del pensiero umano, e influenzando la storia della scienza e della filosofia (e della teologia) in modo definitivo. Siamo fortunati a non essere nati prima, ma dopo Gödel perchè grazie a lui, la scienza di oggi è molto più interessante, invece che fondata su una monolitica, assiomatica, turrea e statica verità, è una cagiante e sfuggente descrizione del pensiero umano, che a volte mostra colori imprevedibili e affascinanti e i bagliori di nuove verità impossibili, forse apparentemente contradditorie ma certo innovative, e foriere di nuove avventure all’orizzonte. Tutto sta nell’afferrarle. https://www.youtube.com/watch?v=w6e14vcmwKY
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Relazione e interconnessione
In “Gesù il Maestro interiore”, Laurence Freeman sottolinea che “nelle domande del Padre Nostro vediamo come ogni richiesta tocca le relazioni umane, non meno che la relazione fondante con Dio. Questa preghiera mostra un singolo sistema di consapevolezza che comprende la conoscenza di Dio, la conoscenza di sé e dei rapporti con gli altri “.
Questo senso di “rete condivisa di consapevolezza”, questa interconnessione totale, è andata persa nel XVII secolo con l’arrivo della visione scientifica di Cartesio e Newton. Cartesio era un matematico che sosteneva che le regole matematiche governano tutta la creazione. Esse formano la struttura di tutto, non solo dell’universo, ma anche dei nostri corpi. Cartesio ebbe sia una chiara intuizione di se stesso come essere pensante, sia di Dio come un’entità perfetta, che influenza e illumina la propria mente. Pertanto, le sue intuizioni e le leggi matematiche erano state ispirate dal divino. Il problema per l’umanità in questa sua visione era che la natura è divisa nel regno della mente – res cogitans – e nel regno della materia – res extensa. Egli considerava la mente umana come totalmente separata: separata dal nostro corpo, dal resto dell’umanità e della creazione, anche se non da Dio. L’unica cosa di cui potevamo essere sicuri era la nostra capacità di pensare – la nostra unica vera prova dell’esistenza: “cogito ergo sum” (penso dunque sono), che collega l’esistenza saldamente con il pensiero. Infatti, siamo, a suo avviso, osservatori isolati dal resto dell’universo visibile, facendoci sentire un senso di separazione totale e di mancanza di senso.
Il pensiero razionale ha dominato sovrano nel corso dei secoli successivi, fino ai nostri giorni, il mero concetto delle facoltà spirituali e intuitive e persino l’esistenza di Dio è stato denigrato sempre più come non scientifico e deriso come un primitivo retaggio del nostro passato. È stato ritenuto, nel complesso, che la scienza potesse gettare una luce utile sulle credenze religiose, ma la religione in sé non aveva nulla da offrire per spiegare la realtà. Con il risultato che il pensiero razionale e l’intelligenza intuitiva sono stati posizionati su lati diversi dello spettro, provocando una separazione tra scienza e spiritualità, con risultati dannosi per la nostra cultura e società.
Ma questo è cambiato all’inizio del XX secolo con l’arrivo sulla scena scientifica di Einstein e della sua teoria della relatività generale e la teoria quantistica Niels Bohr e Werner Heisenberg e di chi ha visto l’universo in una luce del tutto diversa. Non solo, Einstein ha riaffermato l’importanza dell’intuizione: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”, ma lui e anche i suoi colleghi scienziati hanno completamente cambiato la nostra visione del Cosmo. La loro visione della realtà è simile a quella che si trova nelle tradizioni di Saggezza e nelle religioni del mondo: tutto nel Cosmo è importante, interconnesso e interdipendente. Si tratta di una costante danza creativa di energia e coscienza, con ogni cosa che influisce su ogni cosa anche in un modo trasformativo. Tutta l’umanità è integralmente e attivamente coinvolta in questa danza cosmica, e quindi intrinsecamente connessa e co-responsabile verso il resto del creato – non siamo più oggetti isolati. Questa visione del mondo ci rende profondamente consapevoli del fatto che anche noi abbiamo un valore profondo e un significato.
Come si può vedere, cosmologi e fisici teorici e teologi e mistici davvero si sono avvicinati crescendo nelle loro idee. Gli scienziati parlano di circa quattro campi che sono alla base di tutto ciò che avviene nell’universo e postulano che prima che qualunque cosa esistesse, prima del Big Bang, prima della creazione del nostro Universo, questi quattro campi fossero uno, ora chiamato campo inflatone, un vasto sottostante oceano di energia – vuota di oggetti ma piena di potenziale creativo. Anche i teologi e i mistici parlano riguardo a qualcosa che è Uno dentro e al di là dell’Universo materiale, un vasto vuoto che è pienezza, che è la ‘Terra dell’Essere’, la Fonte di tutto.
Scienziati e cosmologi ricercano l’Unità del tutto in modo teorico e mentale, partendo da fatti conosciuti e dalle osservazioni della ricerca di pensatori e scienziati precedenti e poi approvano o confutano le conoscenze precedenti. I teologi e i mistici usano le Scritture, l’esegesi, le riflessioni della preghiera per capire che cosa credono circa l’unicità della Realtà Divina, ma poi verificano queste credenze in modo personale, con l’esperienza intuitiva della preghiera e della meditazione. L’uso di entrambi questi linguaggi e metodi diversi portano forse alla stessa Realtà Ultima – a diverse sfaccettature dello stesso Diamante? Ma soprattutto, anche a ‘conoscere ciò che loro non conoscono’. E ancora è tutto un mistero.
Kim Nataraja
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Clarice Lispector
Scrivo come se fosse in gioco la vita di qualcuno. Probabilmente la mia stessa vita.
Clarice Lispector è una delle più importanti scrittrici brasiliane del XX secolo e la più importante scrittrice ebrea dai tempi di Franz Kafka.
Ha prodotto romanzi, racconti e saggi. Le sue opere abbondano di scene di semplice quotidianità e di trame psicologiche: una delle sue principali caratteristiche è raccontare “da dentro” i suoi personaggi e il mondo che li circonda.
Nata col nome di Chaya, il 10 dicembre 1920 in una famiglia ebrea ucraina che, a causa dei pogrom e della guerra civile, si trasferì prima in Romania e dopo poco in Brasile, dove prese il nome con cui è passata alla storia, Clarice.
È cresciuta a Recife, sua madre morì quando lei aveva nove anni. Sin da bambina aveva la passione per la scrittura. Negli anni dell’adolescenza, la famiglia si trasferì a Rio de Janeiro. Mentre studiava legge all’Università Federale di Rio de Janeiro, iniziò a pubblicare i suoi primi racconti e articoli per vari giornali. Il suo primo racconto noto, Triunfo, comparve sulla rivista Pan il 25 maggio 1940.
A soli 23 anni, venne consacrata portavoce della nuova letteratura brasiliana, col suo primo romanzo, Vicino al cuore selvaggio. Una delle prime opere scritte in Sud America a raccontare una donna così intimamente. Joana, la protagonista, dispiega un monologo interiore che parte dall’infanzia per arrivare all’età adulta, scaturito da sensazioni, desideri, bisogni fisici. Il suo primo libro era scritto talmente bene che più di un debutto si parlò di miracolo. I suoi importanti riferimenti erano stati James Joyce, e lo studio approfondito di Spinoza. Famosa per la sua bellezza e eleganza da diva del cinema, si disse di lei che era uno strano ibrido tra Virginia Woolf e Greta Garbo.
Il 12 gennaio 1943 ottenne la cittadinanza brasiliana e undici giorni dopo sposò Maury Gurgel Valente, suo compagno di studi diventato diplomatico, con cui, nel 1944, trascorse quindici anni in Europa e negli Stati Uniti. Ha vissuto a Napoli, Berna e Washington, scriveva, faceva la traduttrice, ha conosciuto Ungaretti, ha posato per De Chirico.
Dopo la sua separazione dal marito è tornata a Rio de Janeiro nel 1959, dove iniziò la produzione delle sue opere più famose, tra cui il libro di racconti Legami famigliari, il grande romanzo mistico La passione secondo G.H. e Água viva, ritenuto il suo capolavoro. Anche qui il flusso di coscienza porta avanti la narrazione che si concentra sul sentire del corpo, ma anche sulla natura che circonda la narratrice, una pittrice, che parla a un suo ex-amante a cui si riferisce sempre e soltanto con il “tu”.
Ferita in un incidente nel 1966, trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita scrivendo e pubblicando regolarmente romanzi e racconti.
Il 9 dicembre 1977, mentre stava lavorando a Un soffio di vita, si è spenta a causa di un cancro. Negli anni successivi, la sua assistente, ha raccolto appunti e frammenti dell’opera che è stata pubblicata postuma.
Clarice Lispector stata oggetto di numerosi studi, e i riferimenti a lei e alla sua opera sono comuni nella letteratura e nella musica brasiliana.
La sua scrittura, come la sua esistenza è stata di un’intensità incredibile, assorta sul bordo di un abisso interiore, di un fuoco centrale che è anche un nulla, una mancanza, l’ombra di un perpetuo fallimento. Tutta la sua opera è pervasa dal sentimento dell’unicità della vita, e il fascino dei singoli personaggi consiste nel fatto che nel loro sangue si agitano correnti e maree che trascendono l’illusione dei confini individuali, di un destino nettamente separato dal Tutto. Anche se ha tutte le apparenze del sintomo privato, il loro male di vivere è sempre un aspetto, una temporanea variabile di un dolore universale, cosmologico. Nella sua prosa il massimo della visionarietà coincide con il massimo del realismo.
Clarice Lispector ha sempre incarnato l’enigma, una specie di sfinge nevrotica, una forma d’essere in bilico fra il possibile e l’impossibile.
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OROLOGI E PASSIONE
Orologi e passione: Piccola storia dell’orologeria svizzera È dagli albori della civiltà, se non prima, che la misura del tempo affascina gli esseri umani. Si iniziò con l’osservare le regolarità dei movimenti celesti: i cicli della luna, del sole e del firmamento. La misura del tempo aveva una necessità pratica: coordinare sull’arco dell’anno le semine e i raccolti o del giorno per le necessità giornaliere. Con l’avanzare della civiltà e delle sue esigenze la misura del tempo doveva essere sempre più precisa. Dal consumarsi di una candela, all’ombra del sole (meridiane), al flusso di predeterminate quantità d’acqua, allo scorrere della sabbia in una clessidra, all’invenzione di aggeggi meccanici dal funzionamento sempre più regolare (pendolo, bilanciere, ecc.) al contare le vibrazioni di un cristallo (quarzo), alla frequenza di risonanza di un certo atomo (orologio atomico), la misura del tempo è diventata sempre più precisa, permettendo un coordinamento sempre maggiore delle attività umane e la misura temporale di fenomeni fisici senza dimenticare i progressi fatti nel tempo dalla navigazione oceanica con l’utilizzo di orologi sempre più precisi (cronometri di bordo). In sintesi, il progresso. Senza la misura del tempo sempre più accurata, non ci sarebbe la civiltà che conosciamo. Ma dedichiamoci a orologi e passione. La storia che ci interessa qui è quella dell’orologeria meccanica, particolarmente di quella svizzera. I primi orologi meccanici risalgono al XIV secolo e furono costruiti in Europa e i primi orologi portatili (non possono essere definiti ancora orologi da tasca per le loro dimensioni e forme) furono introdotti nella seconda metà del XV secolo. Apparvero simultaneamente in Italia e in Germania. Quelli da tasca, seppure fossero per decenni assai ingombranti, furono introdotti nei primi decenni del XVI secolo e via via furono perfezionati con sempre maggiori innovazioni meccaniche e miniaturizzati, anche se i principi basilari del loro funzionamento rimasero inalterati per secoli fino all’introduzione degli orologi elettronici. L’industria orologiera più importante e significativa per quel che riguarda orologi e passione è l’industria orologiera svizzera. Va comunque ricordato che nell’orologeria meccanica la Francia e l’Inghilterra ebbero un ruolo determinante nello sviluppo tecnico degli orologi. Il riformatore francese Giovanni Calvino, a Ginevra, a metà de XVI secolo, proibì i segni esteriori di ricchezza (Ginevra era già protestante con Farel e aveva già promulgato editti che proibivano il lusso nella religione) obbligando i gioiellieri a trasformarsi sostanzialmente in orologiai. Un certo Bayard, dell’ondata di protestanti francesi e italiani arrivati a Ginevra nella prima metà del XVI secolo per sfuggire alle persecuzioni religiose, divenne il primo orologiaio ”ufficiale” nel 1554, ma altri apprendisti orologiai erano presenti a Ginevra in quel periodo. Infatti gli orologi non erano considerati gioielli perché utili ma potevano comunque essere oggetti di gran lusso. Nacque e si sviluppò così l’orologeria ginevrina che si caratterizzava per la sofisticazione e la ricchezza (pietre preziose, oro, smalti) dei suoi manufatti. Molti dei rifugiati ugonotti - così numerosi da raddoppiare il numero di abitanti della città - erano infatti artigiani, chi nel settore tessile, chi nella gioielleria, chi nell’orologeria o banchieri e aiutarono lo sviluppo industriale e commerciale di Ginevra. Una seconda ondata di rifugiati protestanti arrivò a Ginevra dopo la strage di San Bartolomeo nel 1572.
Orologio del 1650 (Wiki) Una terza ondata di ugonotti francesi arrivò a Ginevra dopo la revoca dell’Editto di Nantes, che li proteggeva, nel 1685, e fu più importante numericamente delle prime due. Una parte di questi nuovi rifugiati con molti orologiai e artigiani tra di loro, non potendo più stabilirsi a Ginevra, si distribuì nell’arco giurassiano (Vallée de Joux, regione del lago di Neuchâtel, Giura bernese, ecc.), fondando piccole manifatture anche orologiere. I contadini del Giura - regione dagli inverni lunghi e molto nevosi - avevano molto tempo a disposizione durante l’inverno e molti di loro si dedicarono, nella scia dei nuovi arrivati, all’orologeria. Erano aziende agricole d’estate e laboratori orologieri durante la brutta stagione. Una semi-leggendaria origine dell’orologeria giurassiana, particolarmente di quella dell’alto cantone di Neuchâtel, vuole che nel 1679 un mercante di cavalli tornato dall’Inghilterra con un orologio da tasca che si era rotto si rivolgesse al figlio di un fabbro nato a La Sagne (piccolo borgo del cantone di Neuchâtel) per ripararlo. Quest’ultimo, Daniel JeanRichard, lo esaminò, si appassionò alla meccanica e in un anno, dopo aver realizzato tutti gli strumenti necessari, lo riparò. Trasferitosi a Le Locle vi fondò un’impresa orologiera che divenne il seme del futuro sviluppo dell’industria della regione. Una leggenda? Forse, ma Daniel JeanRichard divenne comunque il nume tutelare dell’orologeria neocastellana e giurassiana. Anche nella pianura ai piedi del Giura in direzione di Zurigo, in città come Granges/Grenchen, Soletta, sciaffusa e Langendorf si svilupparono successivamente aziende orologiere.
Statua di Daniel JeanRichard a Le Locle Tra la fine del XVIII e il XX secolo l’industria si sviluppò ulteriormente e vennero fondate aziende importanti sia a Ginevra sia nell’arco giurassiano e le sue vicinanze. Nel cantone di Neuchâtel, ad esempio, si svilupparono due città gemelle: Le Locle e La Chaux-de-Fonds che divennero centri importantissimi dell’industria orologiera. La città di La Chaux-de-Fonds nel 1794, già centro orologiero, fu distrutta da un incendio e fu ricostruita con l’orologeria in mente seguendo un piano a scacchiera (all’americana) con strade dritte molto larghe per l’epoca, disposte ad angolo retto, onde permettere alla luce di penetrare meglio negli atelier degli orologiai, generalmente siti sotto o sopra l’abitazione dei dipendenti. Le 2 città funzionavano esse stesse come orologi. Costituite principalmente da una miriade di piccoli atelier che fabbricavano pezzi specifici degli orologi: chi le sfere (lancette), chi le casse, chi i quadranti, chi pezzi dei movimenti (calibri), ecc. Ogni azienda dipendeva dall’altra. Rare erano le aziende che facevano tutto o quasi in casa. Certe grandi aziende, all’inizio del XX secolo, avevano più di mille dipendenti e producevano centinaia di migliaia di orologi all’anno. Karl Marx definì la città nel “Il Capitale* come un’immensa città fabbrica. Per questi motivi entrambe le città sono diventate patrimonio dell’umanità Unesco per il loro urbanismo orologiero. A la Chaux-de-Fonds ha sede il museo internazionale dell’orologeria (MIH) che senz’altro vale una visita anche per chi non è un appassionato. https://www.chaux-de-fonds.ch/musees/mih/
Vista parziale di La Chaux-de-Fonds Nella seconda metà del XIX secolo l’importante industria americana degli orologi era molto meccanizzata e fordista ante-litteram e l’industria svizzera, più frammentata e artigianale, dovette adattarsi per competere. Anche con l’aiuto di imprenditori ebraici immigrati dall’Alsazia che si stabilirono principalmente nelle montagne neocastellane, ma non solo, l’industria adottò metodi produttivi più moderni. Alla fine del XIX secolo l’industria svizzera iniziò a dominare per innovazione e qualità l’industria orologiera mondiale; dominazione che si protrasse per quasi tutto il XX secolo. A Ginevra e nella Vallée de Joux grandi “Maison” si affermarono come icone a livello mondiale: Rolex, Patek Philippe, Vacheron & Constantin (fondata nel 1755), Universal Genève, Audemars Piguet. Nel Giura bernese e a Biel/Bienne: Longines, Omega, Heuer, Marvin. A Le Locle: Zenith, Tissot, Ulysse Nardin. A La Chaux-de-Fonds: Movado, Election, Girard- Perregaux, Eberhard, Breitling, Invicta, Vulcain, Ogival. Nel Giura neocastellano: Piaget. A Soletta: IWC. A Granges /Grenchen: Eterna. Le aziende erano centinaia e ovviamente non si possono citare tutte in questa breve retrospettiva. Certe manifatture producevano quasi tutto l’orologio in casa, altre aziende assemblavano solo componenti prodotti da terzi. Altre grandi aziende erano (sono) specializzate nella produzione di “ébauche” ovvero solo del movimento (calibro) nudo. Ad esempio alla sua fondazione nel 1926 Ébauches SA a Neuchàtel (oggi ETA), essa stessa un conglomerato di altre preesistenti aziende (A. Schild, FHF, Michel), impiegava 6000 dipendenti, per - successivamente inglobando altre importanti aziende (Landeron, Felsa, Venus, Unitas, FEF, Valjoux, ecc.) - arrivare a più di 10000. L’industria orologiera svizzera aveva un’importanza fondamentale per l’economia nel suo insieme: infatti l’orologeria ha stimolato tutto il comparto industriale delle macchine utensili necessarie per la sua meccanizzazione, macchine utensili che servivano anche ad altri scopi (micromeccanica e meccanica di precisione in generale) e che si affermarono sul mercato mondiale per la loro grande qualità e precisione. All’avvento degli orologi da polso al quarzo, resi ubiqui dai giapponesi negli anni 70 del secolo scorso seguì una grave crisi dell’industria svizzera che non seppe adeguarsi alla nuova tecnologia in tempo seppure la possedesse. Molte aziende scomparvero, altre furono salvate per il valore del loro brand, certe vissero sul loro prestigio. Quel decennio e l’inizio del successivo fu, per l’industria orologiera svizzera, un vero e proprio calvario con grave danno per l’occupazione. Dai primi anni ottanta però l’industria svizzera reagì (concentrazioni e investimenti in ricerca e sviluppo) e si dedicò a quello che sa fare meglio: gli orologi meccanici di alta gamma partendo paradossalmente da un orologio rivoluzionario nel suo concetto, semplice e al quarzo: lo “Swatch”! La rinascita fu inaspettata e superò tutte le più rosee previsioni. Mettendo in gioco la sua storia, le sue capacità tecniche e il suo prestigio secolare l’industria svizzera dell’orologeria riconquistò il suo posto sul gradino più alto del podio. Di tutti gli orologi prodotti nel mondo la Svizzera attualmente ne produce poco meno del 3% ma rappresentano più del 50% del valore complessivo della produzione orologiera mondiale. Ad esempio le esportazioni svizzere di orologi, nel 2014, hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 22,2 miliardi di CHF (Circa 20,3 mia di EUR).
Non mi dilungherò sulle vicissitudini dell’assetto proprietario delle aziende orologiere svizzere degli ultimi 5 rivoluzionari decenni. Si può sommariamente dire che a fronte di grandi e iconiche aziende rimaste indipendenti (Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet, ecc.) molte altre fanno parte di grandi gruppi orologieri o del Lusso: Swatch Group, LVMH, Richemont, Kering, ecc. Altre ancora sono di proprietà estera o sono state spostate in altri lidi. Inoltre, negli ultimi decenni si sono create aziende indipendenti che producono orologi meccanici in piccole quantità ma di grandissimo pregio tecnologico o di alta gioielleria.
Un orologio Philippe Dufour (orologiaio indipendente)
Greubel Forsey La Chaux-de-Fonds
Franck Müller Genève Orologi e passione: Il collezionismo Ci sono varie forme di collezionismo di orologi. Le due più importanti sono gli orologi da tasca e gli orologi da polso, collezionismi a volte combinati. Ci occuperemo brevemente in orologi e passione di quelli da polso che sono gli orologi più ricercati dai collezionisti, soprattutto i modelli realizzati nel secondo dopoguerra, anche se gli orologi da polso dei primi decenni del secolo scorso non sono disdegnati. La storia del primo orologio da polso è assai dibattuta: i primi furono orologi per signore, più gioielli che orologi, per gli orologi maschili invece c’è chi dice che il primo fu realizzato addirittura nel XVI secolo, chi attribuisce la sua paternità a Patek Philippe nel 1868 e chi la attribuisce a Girard-Perregaux che realizzò una serie di orologi da polso per la marina tedesca alla fine del XIX secolo.
Patek Philippe da tasca del 1908 Si può senz’altro affermare che gli orologi da polso sono diventati ubiqui, per gli uomini, dai primi decenni del secolo scorso. Durante la prima guerra mondiale gli ufficiali e i piloti portavano spesso orologi da polso detti “trench watch”, concepiti per l’uso militare, con una griglia metallica protettiva, più o meno impermeabili. Erano orologi assai grandi e spessi e realizzati con movimenti da orologi da tasca, molto più pratici durante i combattimenti (trincee, aviazione) che non i tasca. Dopo la prima guerra mondiale gli orologi da tasca ebbero tendenza a scomparire e l’industria si mise a produrre orologi da polso accessibili a quasi tutti i ceti sociali. Negli anni 30 la proporzione nella produzione tra gli orologi da polso e quelli da tasca era di circa 50/1. Inoltre gli orologi da polso furono aiutati nella loro diffusione planetaria da innovazioni che li rendevano sempre più affidabili e solidi. Si affermarono alla fine della prima metà del secolo scorso, nella grande produzione, la cassa impermeabile, l’antiurto e soprattutto il movimento automatico. Già esistenti nella prima metà del secolo scorso ma relativamente rari e considerati orologi da lavoro i cronografi, dagli anni 60/70, divennero orologi molto diffusi. Le casse degli orologi da polso possono essere in acciaio, in argento, in oro con varie gradazioni (9,14,18 carati), in platino e più recentemente in titanio - e anche se più raramente - in bronzo. I cinturini e i bracciali hanno materiali e fogge infinite, inutile descriverli.
Trench watch della WWI
Movimento cronografico Valjoux 72 per un Rolex Daytona anni 60/70
1982 Movimento (calibro) ETA 2824-2 automatico, antiurto Il collezionismo di orologi non è una novità. L’orologio, se è sempre stato considerato un oggetto utilitaristico, è anche e soprattutto un oggetto che nelle sue varie forme può acquisire un grande valore tecnico (cronografi, calendari completi, annuali, perpetui, rattrappante, répétition minute, tourbillon, ecc.), essere uno status symbol o diventare un vero e proprio gioiello sia per la presenza di complicazioni straordinarie sia per il lavoro orafo che lo compone e questo ne fa, anche per l’immensa varietà di modelli, le varie tipologie, le sue dimensioni e la grande diversità dei prezzi, un oggetto ideale da collezionare.
Movado cronografo M95 degli anni 40
Patek Philippe calendario perpetuo del 1943 Seppure il collezionismo di orologi fosse già molto diffuso nella seconda metà del secolo scorso, l’avvento del web ha amplificato il numero di collezionisti. Infatti molti ritrovano orologi dei nonni o dei padri e il web permette di venderli o di scambiarli, commercianti di orologi nuovi o vintage vi trovano una vetrina globale e i collezionisti una miniera da scavare. Inoltre il web fornisce la possibilità di informarsi sui modelli, le “Maison”, i movimenti (calibri), la tecnica, le sempre più frequenti aste, la storia delle singole aziende, anche di quelle scomparse, ecc. Anche l’editoria si è accodata pubblicando molti periodici e libri dedicati al collezionismo di orologi. Non si collezionano solo orologi di gran pregio ma anche orologi a basso costo, seguendo spesso un personale “fil rouge” che può essere la storia, l’innovazione tecnica, il periodo storico, una tipologia (solo tempo, cronografo, cronometro, subacqueo, complicato, ecc.), una “Maison” particolare o semplicemente l’estetica. Va detto che per i loro movimenti assai complicati ed esteticamente pregevoli i cronografi godono di grande considerazione presso i collezionisti.
Rolex submariner del 1953 (il primo) Il collezionismo di orologi apre un mondo fatto di tecnica sopraffina. Un orologio meccanico è un oggetto dal fascino particolare, che allea utilità, tecnica ed estetica, non è solo uno status symbol ma spesso procura una soddisfazione intima al collezionista quando pensa che al polso ha un oggetto del quale conosce la meraviglia meccanica che nasconde, o la sua storia. Ovviamente anche i più moderni orologi al quarzo non sono da disdegnare e meritano rispetto e considerazione. Inoltre la storia dell’orologeria meccanica non si ferma in Svizzera. Orologi e passione vale anche per gli orologi giapponesi, tedeschi e americani spesso prodotti di grande orologeria, ma anche i russi, i cinesi, gli indiani e altri meritano considerazione e sono spesso oggetto di collezionismo.
Cronografo Omega Speedmaster professional del 1968 (detto Moonwatch). Due Libri su tutti per iniziare a conoscere l’orologeria da collezione: di Marco Strazzi: Giornalista, scrittore e storico dell’orologeria. Libri (italiano/inglese) ottenibili su AMAZON o direttamente sul suo sito The Museum Collection.
“The Museum Collection è un viaggio attraverso gli strumenti per la misura del tempo, il biglietto d'ingresso di una mostra, una fonte d'ispirazione per gli appassionati desiderosi di costruire la collezione perfetta. Cos'è la "collezione perfetta"? Secondo l'interpretazione proposta dal libro, è quella che comprende i cento orologi da polso più rilevanti del Ventesimo Secolo sotto il profilo tecnico ed estetico…”
”Lancette & C. è l’avventura dell’orologio da polso come non è mai stata raccontata prima: anno per anno, modello per modello, immagine per immagine. Il volume ripercorre un secolo di tecnica e design…” L'articolo su orologi e passioni: Piccola storia dell'orologeria svizzera è stato scritto da Mauro Locatelli: appassionato collezionista, ha lavorato per più di trent’anni come trader e gestore per le più importanti case di brokeraggio USA/UK, tra le quali ED&F Man e Refco. Specializzato in trading speculativo e hedging su valute, commodities e strumenti derivati, dispone della licenza USA per operare sui mercati americani (03 series). Nel 1989, inoltre, ha ottenuto la licenza di Fiduciario Finanziario dal Consiglio di Stato del Cantone Ticino. Read the full article
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«Sta scherzando, Mr. Feynman!»
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«Sta scherzando, Mr. Feynman!»
Richard P. Feynman, premio Nobel per la fisica nel 1965, è stato uno dei maggiori fisici teorici del XX secolo. La sua vita, lungi dal rimanere confinata entro i limiti dell’impegno strettamente scientifico, ci si presenta in questo libro come un’esplosiva miscela di eventi incredibili resi possibili da quell’impasto del tutto unico di acuta intelligenza, curiosità irrefrenabile, costante scetticismo e radicato umorismo che è stato l’uomo Feynman. È davvero straordinario poter ritrovare nella stessa persona un tal numero di esperienze diverse e talora contraddittorie. Egli ha, di volta in volta, scassinato le più sicure casseforti di Los Alamos, dove si custodivano i segreti della bomba atomica, suonato la frigideira in una scuola di samba brasiliana, illustrato la fisica a “menti mostruose” come Einstein, von Neumann e Pauli, e lavorato come suonatore di bongos con una coreografa di successo, per tacere poi della sua attività di pittore, o di biologo, o di frequentatore di case da gioco. Per dare un’idea dell’unicità del personaggio, basta pensare che il futuro premio Nobel venne scartato dall’esercito americano perché “psichicamente deficiente”. Per anni le conversazione di Richard “Dick” Feynman con l’amico musicista Ralph Leighton sono state registrate e poi trascritte senza alterarne il tono confidenziale: un tributo a un grandissimo scienziato ma prima di tutto a un uomo per il quale la vita è davvero stata un instancabile susseguirsi di ricerca e scoperta.
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