#film su messia
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Santocielo su Prime Video: Una commedia celestiale tra angeli, preghiere e decisioni divine
Aristide, l'angelo delle preghiere, e la sua missione celeste in un film che unisce ironia e riflessione su temi eterni
Aristide, l’angelo delle preghiere, e la sua missione celeste in un film che unisce ironia e riflessione su temi eterni Prime Video presenta Santocielo, una commedia dal tocco ironico e surreale che racconta le vicende di Aristide, un angelo addetto allo smistamento delle preghiere, che coltiva il sogno di unirsi al coro dell’Altissimo. La sua vita “celeste” viene stravolta quando, durante…
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Santocielo Regia di Francesco Amato
✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://t.co/ReQRHrnxQl
:: Trama Santocielo ::
Aristide è un angelo adibito all'ufficio smistamento preghiere che sogna un trasferimento nel coro dell'Altissimo. Durante un'assemblea del consesso dei cherubini si vota se eliminare l'umanità con un diluvio universale definitivo per punirla della sua scelleratezza, o mandare sulla terra un nuovo messia come ultima possibilità prima dell'estinzione. La spunta la seconda opzione, e qualcuno dovrà scendere ad ingravidare una donna con il nuovo figlio di Dio. Aristide si dà volontario, sperando che quella sia la sua occasione di ottenere in premio l'ambita promozione al coro angelico: una volta atterrato, dovrà posare la mano sul ventre di una prescelta, e il gioco sarà fatto. Ma per una serie di equivoci finirà invece per toccare il ventre di Nicola, un vicepreside in rotta con la moglie, che si ritroverà incinto del messia. E per poter tornare in Paradiso Aristide dovrà trovare il modo di riparare il guaio commesso.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Santocielo
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:: Trama Santocielo ::
Aristide è un angelo adibito all'ufficio smistamento preghiere che sogna un trasferimento nel coro dell'Altissimo. Durante un'assemblea del consesso dei cherubini si vota se eliminare l'umanità con un diluvio universale definitivo per punirla della sua scelleratezza, o mandare sulla terra un nuovo messia come ultima possibilità prima dell'estinzione. La spunta la seconda opzione, e qualcuno dovrà scendere ad ingravidare una donna con il nuovo figlio di Dio. Aristide si dà volontario, sperando che quella sia la sua occasione di ottenere in premio l'ambita promozione al coro angelico: una volta atterrato, dovrà posare la mano sul ventre di una prescelta, e il gioco sarà fatto. Ma per una serie di equivoci finirà invece per toccare il ventre di Nicola, un vicepreside in rotta con la moglie, che si ritroverà incinto del messia. E per poter tornare in Paradiso Aristide dovrà trovare il modo di riparare il guaio commesso.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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He who controls the spice
Questa settimana l'ho sentita tutta. Ieri, in particolare, era uno di quei giorni che tendono a mandarmi in ansia una settimana prima. La scaletta del giorno consisteva in:
arrivare alle 10:00 nella vecchia sede per parlare di e-learning e intelligenza artificiale con dei tizi che non conosco, dato che l'azienda ha deciso di "formarmi" per produrre quel genere di contenuto.
rientrare nella sede nuova (a poca distanza) per accogliere un cliente con cui siamo andati a pranzo.
alle 14, dopo pranzo con cliente e direzione, rientro in azienda per SETTE meeting consecutivi, con tutti i referenti dei mercati esteri di questo cliente, per coordinare i prossimi step formativi.
alle 19, finito il turno, sono andato a farmi una birra, a cena fuori e poi al cinema con due colleghi. A vedere Dune, parte 2, motivo per cui siamo usciti dal cinema all'una meno dieci.
E questo post, riepilogativo del mio stato d'animo derivante dalla settimana di merda culminata nella giornata pesantissima di ieri, in realtà vuole andare a parare proprio sull'ultimo punto, ovvero: Dune parte 2, diretto da Denis Villeneuve e tratto dall'inadattabile romanzo fantascientifico di Herbert.
E già il fatto che io metta subito in campo l'aggettivo "inadattabile" dice molto di come io la pensi sul film in due tempi la cui visione ho completato iernotte.
Non spetta a me giudicare la fotografia, il ritmo, i (pochi!) dialoghi o l'accompagnamento (un po' scontatello) musicale di Hans Zimmer.
Dirò dell'altre cose ch'io v'ho scorte.
Intanto, biforchiamo subito il discorso: avete letto il libro (sarebbe meglio dire: il libro e i suoi seguiti almeno fino a "Imperatore Dio di Dune")? Perché se lo avete fatto vi dico due cose: è l'adattamento migliore, tra i tre (Lynch, per ovvi motivi di budget e di De Laurentiis non ha potuto che affrettare il finale in maniera confusionaria; la serie TV lasciamola perdere) e dovreste sapere subito che Chani è stata portata in primo piano come nel libro, tutto sommato, non era.
Se non avete letto il libro: potete vedere Dune, di Denis Villeneuve, in due comode parti da circa 3h l'una, con Timotè Scialamè (mi rifiuto di mettermi a scrivere il suo nome come si deve tutte quelle H e accenti) eccetera eccetera SOLO se vi piacciono i film sci-fi con una gran bella estetica e se la presenza di tre tonalità di colore in tutto (bianco, nero e giallo) non vi infastidisce troppo.
E' imprescindibile? No. E' un buon film di fantascienza? Per lo scrivente, un buon film di fantascenza toglie il disturbo dopo due ore e mezza al massimo e solo se mi giustifica quei trenta minuti di troppo in maniera eccelsa, ma YMMV, come si dice. Cinque ore spalmate su due film è proprio un NO, a meno che non si sia dei grossi fan del materiale di partenza, come nel mio caso. Però non si può proprio dire che sia brutto. MA se non avete una cazzo di idea di cosa sia Dune o di cosa rappresentino i personaggi o le fazioni che vedete, sospetto che non vi piacerà affatto. Anche perché è estremamente AVARO di spiegazioni.
Zendaya è bravissima. Anya-Taylor Joy compare a promettere che Villeneuve voglia adattare anche "Messia di Dune", povero lui. Timoteo Scialameo fa il suo, ma non è Kyle MacLachlan; è un twink sperduto nel deserto, e Bardem alla terza volta che lo guarda con gli occhi a cuoricino (lisan al ghaiiiiiib! 🥺🥺🥺) vien voglia di piazzargli un martellatore in testa.
Un appunto: la sorella di Paul verrà chiamata Santa Alya del Coltello perché quel cazzo di coltello lo deve brandire. Se non la fai manco nascere c'è qualcosa che non mi torna.
Un appunto parte due: ma ci sono volute CINQUE ore di film tra primo e secondo per vedere un verme delle sabbie in maniera decente? Carlo Rambaldi ti perseguiti. Un appunto parte tre: il cast è stato in larga, larghissima parte, sprecato. Perché se devi prendere degli attori di questo calibro e fargli dire tre battute in croce non è casting, è fanservice.
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~[ALTADEFINIZIONE]+ Dune - Parte Due Streaming ITA | Film Completo Italiano
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Dune - Parte Due Streaming ITA Altadefinizione - un film di genere fantascienza, avventura, drammatico del 2024, diretto da Denis Villeneuve, con Timothée Chalamet e Zendaya.
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Dune - Parte Due, film diretto da Denis Villeneuve, è il secondo capitolo della saga sci-fi tratta dal romanzo di Frank Herbert. Dopo una serie di prove, Paul Atreides (Timothée Chalamet) è diventato ormai parte del popolo desertico dei Fremen, sostenuto dall'entusiasta leader Stilgar (Javier Bardem). Si è inoltre profondamente legato a Chani (Zendaya), che non riesce però del tutto a leggere in un cuore tormentato. Qual è la priorità di Paul? Vorrebbe vendicarsi degli Harkonnen che gli hanno ucciso il padre e hanno preso il controllo del pianeta Arrakis, con la complicità dell'Imperatore (Christopher Walken), deciso a liberarsi della sua casata. Sa però che questo lo trasformerebbe in un leader spietato, così resiste alle insistenze di sua madre: Lady Jessica (Rebecca Ferguson), ora Reverenda Madre dell'ordine delle Bene Gesserit, vuole che accetti il suo destino di "messia", Muad'dib, la figura che guiderà i Fremen alla liberazione di Arrakis.
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❏ CONTENUTI COPYRIGHT ❏
Il diritto d'autore è un tipo di proprietà intellettuale che conferisce al suo proprietario il diritto esclusivo di fare copie di un'opera creativa, di solito per un periodo di tempo limitato.[1][2][3][4][5] Il lavoro creativo può essere in una forma letteraria, artistica, educativa o musicale. Il diritto d'autore ha lo scopo di proteggere l'espressione originale di un'idea nella forma di un'opera creativa, ma non l'idea stessa.[6][7][8] Un diritto d'autore è soggetto a limitazioni basate su considerazioni di interesse pubblico, come la dottrina del fair use negli Stati Uniti.
Alcune giurisdizioni richiedono la "riparazione" di opere protette da copyright in una forma tangibile. Spesso è shaCorro date tra più autori, ognuno dei quali detiene una serie di diritti per l'uso o la licenza dell'opera, e che sono comunemente riferiti a Corro date come titolari dei diritti.[citazione necessaria][9][10][11] [12] Questi diritti includono spesso la riproduzione, il controllo su opere derivate, la distribuzione, l'esecuzione pubblica e diritti morali come l'attribuzione.[13]
I diritti d'autore possono essere concessi dal diritto pubblico e sono in tal caso considerati Con chi viaggi “diritti territoriali”. Ciò significa che i diritti d'autore concessi dalla legge di un determinato stato non si estendono oltre il territorio di quella specifica giurisdizione. I diritti d'autore di questo tipo variano in base al paese; molti paesi, e talvolta un grande gruppo di paesi, hanno stipulato accordi con altri paesi sulle procedure applicabili quando i lavori "attraversano" i confini nazionali o i diritti nazionali sono incoerenti.[14]
In genere, la durata di diritto pubblico di un diritto d'autore scade da 50 a 100 anni dopo la morte del creatore, a seconda della giurisdizione. Alcuni paesi richiedono determinate formalità sul diritto d'autore[5] per stabilire il diritto d'autore, altri riconoscono il diritto d'autore in qualsiasi opera completata, senza una registrazione formale.
È opinione diffusa che i diritti d'autore siano un must per promuovere la diversità culturale e la creatività. Tuttavia, Parc sostiene che contrariamente alle cCon chi viaggienze prevalenti, l'imitazione e la copia non limitano la creatività o la diversità culturale, ma in realtà le supportano ulteriormente. Questa argomentazione è stata supportata da molti esempi come Millet e Van Gogh, Picasso, Manet e Monet, ecc.[15]
❏ BENI DI SERVIZI ❏
Il credito (dal latino credit, “(egli/ella) crede”) è il trust che consente a una parte di fornire denaro o risorse a un'altra parte in cui la seconda parte non rimborsa immediatamente la prima parte (generando così un debito), ma promette di rimborsare o restituire tali risorse (o altri materiali di pari valore) in un secondo momento.[1] In altre parole, il credito è un metodo per rendere la reciprocità formale, legalmente vincolante ed estensibile a un ampio gruppo di persone non imparentate.
Le risorse fornite possono essere finanziarie (es. concessione di un prestito), oppure possono consistere in beni o servizi (es. credito al consumo). Il credito comprende qualsiasi forma di pagamento differito.[2] Il credito è concesso da un creditore, noto anche come prestatore, a un debitore, noto anche come mutuatario.
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PERFORMING PAC: DANCE ME TO THE END OF LOVE (parte I)
“Performing Pac” è un appuntamento fisso del Padiglione di Arte Contemporanea di Milano e l’edizione speciale di quest’anno non poteva che essere dedicata alla memoria, cominciando da quella relativamente recente, proprio quella che coinvolge direttamente il PAC ,in considerazione del trentennale dell’attentato del 1993 che distrusse la prestigiosa sede espositiva ed istituzione milanese. Sono Marco Bova e Simona Zecchi a ricostruire in maniera dettagliata attraverso una timeline di piccoli ritagli cronologici (dal 1992), la situazione politica nazionale ed internazionale, piccole e grandi notizie di quel periodo. Ma la mostra è anche altro, inglobando molti materiali dell’archivio del Pac, a partire dalla mostra di Christian Boltanski del 2005 incentrata sul concetto del fluire del tempo. E al concetto di tempo e al concetto di ricordo fa riferimento l’allusivo titolo, ovvero “Dance Me to the End of Love”, da un verso di una celebre canzone di Leonard Cohen del 1984, nata dai racconti dei sopravvissuti ai campi di sterminio. Poche e selezionate le opere esposte con grande predominanza di video (sembrano i video e le video installazioni la strada intrapresa dal Pac). All’ingresso il visitatore è accolto dal magnifico video su tre schermi di Yael Bartana intitolato “Balka Germania” del 2021. Il titolo significa in ebraico “Regina Germania”, nel video rappresentata da una immaginaria regina a dorso di un asino (il Messia per gli ebrei arriva a dorso di asino). Nel video la donna di bianco vestita e con caratteri somatici decisamente ariani, attraversa una Berlino infestata dai lugubri fantasmi del nazismo, evocati e non rappresentati esplicitamente in una commistione sincronica tra passato e presente: berlinesi di oggi e di ieri che grazie a questo salvifico passaggio di Balka Germania sembrano liberarsi delle colpe, ma non dei sensi di colpa. Un film grandioso per dimensione e profondità del tema. Molto singolare il video di Clemencia Echeverri con due proiezioni sincroniche di un fiume notturno che vede crescere le proprie acque e le urla di due persone non comprese nell’inquadratura che chiamano nomi senza avere alcuna risposta, una sorta di trenodia greca ove il defunto non è presente e, forse, non si tratta solo della vittima di un naufragio, ma di una vittima simbolica di dittature, forse guerre, certamente indifferenza. Il magnifico video di Douglas Gordon riprende l’esecuzione della Sinfonia Concertante in mi bemolle maggiore K.364 di Mozart, da parte di Avril Levitan e Roi Shiloac. I due musicisti ripercorrono al contrario la strada da Berlino a Varsavia che i loro genitori percorsero fuggendo nel 1939 dalla Polonia occupata. Nella prima parte del video, la foresta vista dal treno e il racconto della fuga con la tappa a Poznan con le immagini quasi astratte della antica sinagoga; nella seconda parte il concerto. Accattivante il gioco degli specchi che dànno conto della labirintica complessità della situazione. Nello spazio-giardino del padiglione, quello solitamente dedicato alle installazioni più ambientali ecco l’installazione-performance di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini. Nella versione perfomance i due artisti presenti siedono a due piccoli scrittoi separati da un muro, mentre nell’installazione sugli scrittoi vengono proiettate le parole delle lettere di uno scambio epistolare tra il nonno deportato in Germania e la nonna a casa con i figli. Il pavimento è ricoperto da riccioli di matita temperata: sul tavolino sono proiettate le parole scritte nelle lettere, in sottofondo le parole di Hitler, Mussolini e Pio X e nel video immagini storiche dell’epoca. Si tratta dell’installazione “Così lontano, così vicino” del 2003 riallestita per la mostra del PAC. Forse non originalissima, ma comunque piuttosto suggestiva. (continua)
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Martin Scorsese incontra il Papa
Martin Scorsese incontra il Papa. Reduce da una standing ovation al Festival di Cannes, Martin Scorsese, ha reso noto il suo prossimo progetto cinematografico, ovvero un’opera incentrata su Gesù. L’idea è nata successivamente all’appello di Papa Francesco, rivolto agli artisti, chiedendo loro di realizzare più contenuti sulla vita del Messia e sul concetto di fede. Da quanto emerge dalle ultime indiscrezioni, pare che il regista si sarebbe commosso di fronte alla richiesta del Pontefice, decidendo di rispondere coinvolgendo la sua arte, quella del cinema: “Ho risposto all'appello del Papa nell'unico modo che conosco: immaginando e scrivendo una sceneggiatura per un film su Gesù. E sto per iniziare a realizzarlo”. Martin Scorsese, insieme a sua moglie, Helen Morris, ha poi partecipato ad un'udienza privata con il Papa lo scorso sabato (come riportato da Variety). Dopo l’esclusivo incontro, il cineasta ha rivelato che per il suo prossimo film, la sua fonte di ispirazione, sarà Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. In attesa di ulteriori aggiornamenti, ora l'appuntamento è al cinema, con Killers of the Flower Moon, nelle sale italiane dal 19 ottobre.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Ho una strana fissazione per la bomba atomica. Ho scritto romanzi con protagonista Enola, un ragazzo gay che crede di avere in grembo il nuovo messia che lui chiama Little Boy, e con Fat Man, un ragazzo obeso che sta aspettando che il suo amico Bock passi a prenderlo con la sua macchina per partire alla volta del viaggio della vita, non sa ancora se negli States o in Giappone. Si tratta di metafore delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. E la mia più grande intuizione è stata scoprire che la serie "Twin Peaks" è una citazione della bomba atomica: i cognomi di ciascun personaggio citano figure storiche legate al Progetto Manhattan e alla bomba atomica. Ne parlai per Sky TG24 il 17 maggio del 2016, ben prima della nuova serie revival di Twin Peaks, uscita nel 2017. Serie che in qualche modo conferma la mia tesi: la bomba atomica con Twin Peaks c'entra eccome! Quindi il mio entusiasmo nello scoprire che Christopher Nolan sta lavorando a un film sull’invenzione della bomba atomica e su J. Robert Oppenheimer è incontenibile. Ve ne parlo su Sky TG24. E qui vi ripropongo il mio articolo sulla teoria della bomba come chiave di lettura di Twin Peaks: https://tg24.sky.it/.../twin-peaks-analogie-bomba-atomica-
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L’INFINITO DAL BALCONE DI CASA
La parola ha un corpo minuscolo e una forza impressionante.Cercherò in tutto questo di parlare dell'eterno divenire e del mondo, della grande fenice che nasce all'alba e muore ad ogni tramonto. Farà freddo quando la cenere immobile smetterà di gemere, ma non temere perché questa, quando meno te l'aspetti, s'aprirà e la vita sarà tornata a volare.
Il cielo sopra è una fumigazione rabbiosa, fatto di scarichi d' auto e fabbriche, la statale che tutto governa e uccide, le piante appena spuntate al ciglio della strada muoiono tra liquami che scivolano lungo le canalette di scolo. Questo terrario è sudore, è puzzo di piedi, è polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budella intasate, di sfinteri stitici, è fetore di ascelle deodorate, di sorche sfitte, di bischeri disoccupati che berciano intorno a costruzioni di cemento armato, che non sono più nostre. Mi raccontava una mia amica che nel 2010 in Portogallo, all'inizio della crisi per loro, una catena di supermercati aveva deciso di mettere in vendita tutta la propria merce al 50%. Il giorno in cui si aprirono le porte dei supermercati migliaia di persone che ci si riversarono dentro, calpestando uomini, donne e bambini, solo per mangiare a meno. Al supermercato vedo le vecchie mezzo piegate dentro i banchi freezer a prendere la merce che scade oggi, perché costa meno, così si va a fare la spesa ad agosto: in pelliccia. La Venere in pelliccia, è una sensazione sinuosa, che scivola come unto, scivola fino a terra senza scomparire mai. La fissavo quella presenza inquietante che s’ostinavano a chiamare cielo, e pensavo che nella nostra generazione c’era stata come la speranza che ci fosse qualcosa di vero negli angoli di casa, nei vicoli, sui muri sporchi di piscio. La pioggia caduta in abbondanza sull'asfalto non aveva generato altro se non umidità e muschio invernale. Da piccolo speravo d’ essere in un film, d'essere quello che d’improvviso gli capita un avventura sola e con quella s'è sistemato la vita, oppure speravo che venisse qualcuno a salvarmi, ma non c’era mai niente di veramente nuovo fuori dalla porta di casa. In fondo tutti noi abbiamo atteso che arrivasse un Messia, una forma risolutiva che ponesse fine, che facesse piazza pulita dei soliti problemi, gli unici dei trascendentali che invece restano. Ti prende per i pantaloni il piano, e te ne accorgi sempre e solo troppo tardi che ti è entrato nell'anima. “Petit et voulgarir plaisir”, è il dolce ritmo delle note che scende morbido giù giù nelle scanalature del palazzo, lo stile liberty, a basse altezze, con quella musica, che fa venir voglia di ballare. A protezione della porta d'ingresso due statue grandi e maestose che rappresentano due mezzibusti di donna, un po' barocche però, staccano rispetto le scanalature che dividono i quadrati e i rombi che intarsiano la facciata del palazzo. Nel salone principale, al livello della strada, la luce che permea dalla finestra, un pianista si sta esercitando al suo strumento, la luce concessa per vedere le note è interrotta a tratti dalle macchine che passano veloci. La malinconia, e le riprese, le note sono come la vita. Gli piace sentire la melodia, godere della propria bravura, che va avanti, non si ferma mai, non si sofferma una volta ad ascoltare lo stesso bellissimo giro di note, questo lo inebria, e suona invasato dalla sua stessa musica, tira avanti su quelle note, prima fortissimo, poi andante, moderato, aspetta che la sua rivelazione artistica gli si ripeta e va avanti, fino ad esaurire l’arte che ha in corpo per quel giorno, senza aver memorizzato nulla. Copre a tratti le urla che provengono dal piano di sopra: trova artisticamente valido il fatto che si senta un suono di note tanto malinconico che sostengono una vocina tanto acuta e stridula, è un suono statico e denso, questo gesto gli ricorda tanti bei film pieni di significato. Urla lei, urla, urla tesoro, gli occhi vitrei, le mani rigide, fredde attaccate avidamente a quello scialle rosso che ti regalò per Natale, quella sera, quegli sguardi, tra la malizia ed il candore i tuoi occhi erano stelle, lumi nella notte piccoli ed intensi senza pari, e la città magnifica brillava solo per voi, e suonava per voi il blues nei privé di ristoranti lussuosi, suonavano i quartetti d'archi solo per voi. Solo per te al vostro anniversario aveva portato un Guarnieri del Gesù e champagne al parco, solo per te viveva e lavorava notte e giorno, solo per te, belle dame sans merci, solo per te. Un'altra donna è arrivata, un'altra donna che non aveva il tuo bel vestito color blu cobalto, portava una veste in seta nera, l'ha fatto volare una notte, via da te per sempre. Sopra ci sono altre due stanze, niente d'importante, vuoi sapere per caso dove vanno bighellonando un gruppo d'amici in vacanza ed una coppia sulla quarantina? I postriboli sono posti che non mancano a questo mondo e poi alla gente bisognerà pur lasciargli un minimo di privacy. Io un quarto d'ora fa ero là sotto. C'ho preso l'autobus delle 18.10: devo tornare a vedere un posto che avevo visto da piccolo, tanto tempo fa. Dai sali, il biglietto è gratis. Si va in periferia, a raccontare le storie di chi lotta tutti i giorni a lavoro per un settanta metri quadri, di chi ha come vicini spacciatori e delinquenti, o gente povera come lui, del proletariato, come la media ipocrisia pensa ma non cataloga. Io in realtà non devo andare in un posto devo raccontarti un posto, ma per farlo ho bisogno di narrarti un bordello di storie. Al primo piano la casa è abitata solo di notte, di giorno c'è solo il cinema privato degli occhi di una ragazza che riproducono in continuazione le immagini della notte, fatta dei bisogni degli altri. Una volta sono andato da lei, erano le due o tre del mattino, non ricordo, stavo ballando come un pazzo “Lust for life” in mezzo la strada, a torso nudo facendo piroette. Lei esce dal portone e mi fa segno d'avvicinarmi con la mano, m'avvicino e mi tolgo gli auricolari per sentire che vuole “ Se te la smetti ti do un bacio”, gli ho fatto di si con la testa e lei mi ha dato un bacio, poi è tornata dentro. Che triste serata. Al piano di sopra c'è una coppia che sta urlando: litigano perché non trovano il loro bambino che doveva tornare a casa già da due ore, si stanno massacrando come bestie seminude, stanche, con le occhiaie sotto agli occhi, i muscoli appena accennati che fremono dall'esasperazione, i corpi sfatti. Lei protesta verso l’altro in un’espressione atroce di vita quotidiana troppo amara da riuscire a buttare giù: picchiarsi è anche un’ottima valvola di sfogo. Il bambino sta sognando di poter inventare il testo del compito in classe d’italiano di domani, mentre che si riposa al tramonto dopo la partita di calcetto. Non ha il coraggio di tornare a casa: troppe botte, troppa violenza, è troppo reale. Anche il tramonto è reale, è bello ma gli adulti si sono scordati completamente che al mondo possono ancora esistere cose belle e vere. Da sotto si sentono le voci che provengono da casa sua, sono voci ovattate. Un po’ per i timpani rotti, un po’ perché sa che i genitori non sono felici ed hanno bisogno di sfogarsi con le urla, quello che poi dicono è inconsistente. E entrambi si sentono una merda quando si ritrovano a pensare sul serio a ciò che fanno, sperano che il figlio ce la faccia a non fare i loro stessi errori. Eppure fra vent’anni anche lui picchierà, la violenza gratuita è così piacevole, specie quando è ereditaria. Voglio dirti una cosa, a te, caro amico, sul tuo futuro: io sarò solo per sempre, la solitudine è il mio inferno! Tu non ammetti di condividere la tua sorte con altri, vuoi essere il capro espiatorio, l’unico e solo capro espiatorio? Io merito solo la solitudine e posso conquistarla solo ferendo tutti, e primi tra tutti quelli che amo, la mia prova incomincia solo ora. Che tu sia benedetto figlio dell'uomo, agnello di Dio diviso tra due coscienze, e sia benedetto l'uomo in quanto tale, finché puoi essere assolto da obblighi sociali. Correre felici, a piedi scalzi in mezzo ad uno spazio infinito, dove la vastità dell’ erba secca si congiunge con un cielo azzurro e senza nuvole. Correre,correre,correre fino a star male, sino a perdere le forze sdraiandosi a terra per riprendere fiato, una volta riposati, prendere la strada di casa, con il tramonto rosso sangue che si estingue alle spalle e illumina di colori sgargianti un' immenso spazio infinito, che ti aspetta il giorno dopo per una nuova corsa. Un giorno quel bambino non potrà più tornare ai suoi campi, sarà portato ad un lavoro che lo sfinirà fino al midollo osseo e quando sarà in grado d’amare pagherà il frutto del suo amore con l’emigrazione, perché qualche multinazionale gli toglierà la terra o qualche re povero venderà la terra dei suoi sudditi. Partirà su un battello senza sapere di tornare,affronterà un mare che si paga con la vita, ed una barca che non ce la fa più a portare così tanti passeggeri e non vede l’ora di buttarlo in mare, insieme a tanti altri. Vedrà il capitano della nave puntargli un mitra contro e poi un mitra che gli indica di buttarsi in acqua, si tufferà tra le onde lasciando sulla nave i pochi averi che aveva e annasperà sino a toccare esausto la riva opposta del mare. Approderà in un paese e vorrà chiamarlo casa, anche se di notte dorme inseme ad altri venti sventurati come lui in un piccolo appartamento con quattro stanze, avrà fame, ma sopravviverà mangiando solo di tanto in tanto, patirà l'arsura ed il freddo, ma non pregherà per morire: in fondo qui si è liberi. Questi sono uomini costretti a vivere come bestie feroci e fanno di tutto per sopravvivere, non hanno più dignità né onore, conoscono solo la fame e a quella rispondono. Dopo tanti anni e tante fatiche sono le undici e mezzo di sera, un marito guarda la moglie negli occhi, e il suo sguardo scende verso una gonna elasticizzata che cinge un pancione di otto mesi, sono al piano di sotto ma li sento di rado rientrare. Un revolver carico con la sicura sta sul comodino della camera da letto, un rumore di sirene si sente in lontananza, lui spegne la cicca di sigaretta, prende il cappotto ed apre la porta, la accosta piano per non far rumore. Voglio ricordarlo così: le spalle larghe, il cappotto di pelle che cinghie le scapole sporgenti, i jeans stirati a dovere, il passo svelto: un cane ricercato dalla notte, che lascia le tentazioni per la sua famiglia. Una volta mi ha raccontato una storia: un suo amico era qui in Italia da mesi, moglie e figli in Marocco e riusciva a lavorare solo saltuariamente, per due settimane , poi per tre mesi niente, poi l'estate tutta e di nuovo niente. Erano tre giorni che non mangiava e gli bussano alla porta. Apre il chiavistello e quello gli dice “ So' che sono tre giorni che non mangi, prendi queste e non avrai più fame”, dice offrendogli tre pastiglie di benzedrina. L'uomo che stava narrando la storia si copre il volto, non conclude, troppo commosso. I figli a casa, e la speranza sono un dramma per questi uomini, prima di giudicare con moralismi ed altro credo che almeno una volta sia doveroso, per rispetto, trovarsi in una situazione del genere per poter capire davvero cosa si prova. Io sto sul quel balcone di un condominio in un' anonima periferia, ai margini della città. La porta del terrazzo da su un pianerottolo, a destra c'è la porta per il balcone a sinistra c'è un monolocale, ora sfitto, prima c'abitava Enzo, ed ora non c'è più. Prima c’era, adesso non c’è più. È rimasto solo il suo corpo, senza anima, il tempo perso sta volando via col pulviscolo e lo sporco, la coca no, la coca resta lì, ferma, lapide commemorativa del corpo che ha conquistato. Enzo aveva 23 anni, e come tanti altri giovani, all’inizio ha iniziato a farsi per reggere i ritmi richiesti dall'ospedale, perché i medici anziani del reparto possono gestire come vogliono quei 50 studenti che devono imparare tutto da loro, e così li trattavano come bestie da macellare, li fanno andare in giro come pazzi isterici dietro tutto, perché solo così ci si prepara a quell’inferno in terra che è il pronto soccorso: tagli da ricucire, gambe rotte, ferite da tamponamento, vecchi che hanno mangiato troppo e fanno un'indigestione letale e giovani che si fanno di chetamina per andare contromano con l’amico dietro senza casco e finiscono a schiantarsi contro un palo, tutto ciò non fa salire più l'adrenalina,dopo un certo punto. La soluzione di vite portate al macello in nuove forme d'amore. No, niente forme d'amore, niente amore per me e per te Enzo. Parlo delle mie disavventure, caro Enzo, ma di fronte alla tua porta è come stare di fronte alla mia lapide. Caffè, notti insonni e studi disperatissimi, forse arriverò un giorno a parlare di te in un salotto con distinti signori, e tu avresti fatto lo stesso se fossi morto io e sopravvissuto tu. Ci rivedremo un giorno, fratello mio.
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Tg2 Ucraina..... Rai movie tutti i santi giorni un film già visto e mi fa cagare idem su 34 bluff di Celentano.... Film religiosi in 2 settimane non pervenuti in tv italiana, TV di pervertiti, Dio vi affoghi siete tutti pedofili.... Oggi ore 14. 00 Rai 1 bergoglio e poi ore 20.30 vespa e via crucis e domenica 21.30 il papa spiega il vangelo sempre Rai 1,,, sentiamo le Menzogne e le VERITÀ, guardate che bello, per ogni verità che il Papa dirà sarà premiata dal Messia di Dio con 50.000 guariti di Covid e ogni menzogna sarà punita con 10000 morti di Covid carestia o guerra, e ora vediamo se dirà più verità di Dio o più menzogne delle teorie degli uomini.... Libano e tutto medioriente senza pane e farina.... A fine ramadan saranno tutti senza cibo pure Giappone e Asia.... Tutti come Shangai finite se non smettete di mangiare carne per sempre... (presso Don Vito's Cats Bar Home) https://www.instagram.com/p/CcXY-TxDjSU/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Dune 2021 di Denis Villeneuve non solo un remake ma un nuovo plot
Dune di Denis Villeneuve non è solo un remake che a distanza di anni usa solo una diversa tecnologia ma da letteralmente vita ad un nuovo plot.
Dal romanzo Dune – e i 5 successivi cicli – di Frank Herbert, uno dei più bravi scrittori di fantascienza e acclamato dalla critica, prende il via un film che è il tentativo di traportare sul grande schermo l’epica fantascientifica nata dalla fantasia dello scrittore americano.
l primo film di Dune uscito nel 1984, è stato diretto diretto da David Lynch, che affrontò per primo la sfida di raccontare un complesso mondo basato sui temi dell’ecologia che oggi domina le prime pagine. Ma non solo, altro tema importante fu la religione, specialmente la psicologia della leadership adattata alla figura del messia. Fu comunque la prima space opera che è stata trasformata in un cult, in un’epoca in cui ricreare il pianeta Arrakis – protagonista della storia – per la tecnologia dell’epoca, fu una vera odissea.
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Il world building, cioè l’arte o la tecnica di costruire pianeti immaginari o virtuali, è una disciplina che ormai non appare più così bizzarra come in passato. Se il primo a formalizzarla è stato forse l’autore di Dune, Frank Herbert (il saggio “come si costruisce un mondo” appare nell’introduzione di Messia di Dune, secondo romanzo del suo famoso ciclo), la pratica di costruire mondi ha interessato nel corso degli anni sempre di più narratori di tutti i generi: dagli autori di serie e saghe tv, creatori di videogiochi e giochi di ruolo, curatori del look and feel di catene di negozi e così via, tanto che al giorno d’oggi esistono veri e propri corsi universitari su questa pratica.
I tempi quindi sono maturi perché Netflix estragga dal suo iperprolifico cilindro una docufiction che sembra in effetti un po’ un esercizio di stile sul world building. Così è successo.
L’arrivo di Mondi alieni
Con Mondi alieni, infatti, lo spettatore viene trasportato su alcuni pianeti immaginari ma nel complesso verosimili dove animali, vegetali e funghi extraterrestri di vario tipo mangiano, si mangiano, si riproducono e insomma fanno la loro vita. Per quanto sia ovviamente un esercizio di astrazione, Mondi alieni cerca di rimanere sempre nell’ambito della plausibilità o per lo meno della possibilità scientifica, tanto è vero che a metterci la faccia e a introdurre la serie è Didier Queloz, premio Nobel per la fisica nel 2019 e scopritore del primo esopianeta.
Per ognuno dei 4 pianeti esaminati (uno a puntata), viene messa in evidenza una differenza sostanziale con la nostra Terra. Una massa maggiore, la maggior vicinanza alla propria stella, la rotazione attorno a due stelle invece che a una e una diversa età del sistema stella-pianeta. Questa caratteristica di base porta inevitabilmente, dal punto di vista astronomico, a delle conseguenze notevoli e spesso inaspettate: ad esempio, il pianeta Janus è così vicino al suo sole da non potere ruotare su se stesso, motivo per cui avremo una faccia rovente e una faccia gelida (e la vita si svilupperà perciò, in condizioni proibitive, soprattutto nella zona intermedia, del crepuscolo, tra le due facce del pianeta).
Su Atlas la gravità è così forte invece da rendere l’aria più densa e più difficile da penetrare per i numerosi organismi volanti. Nella puntata riservata a Terra parlare di un pianeta molto vecchio diventa un espediente per parlare di civiltà estremamente sviluppate (che sembrano strizzare l’occhio al classico della hard science fiction Incontro con Rama).
L’operazione non è nuova, anzi sembrerebbe quasi uno standard della comunicazione scientifica speculativa: l’astronomo statunitense Neil Comins già nel 1993 aveva pubblicato una serie di saggi sulle conseguenze dell’alterazione di un parametro (il libro si chiamava significativamente What if the moon didn’t exist) e qualcosa del genere veniva fatto periodicamente, qualche anno fa, su pagine illustrate di Focus che proponevano una terra con una maggior forza di gravità, con più ossigeno e così via.
Basta un solo cambiamento
L’operazione è però, in Mondi alieni come nei saggi di Comins, interessante perché fa riflettere su quali radicali conseguenze si hanno anche con il cambiamento di un solo parametro. Inoltre, la docufiction di Netflix rinuncia a voler stupire a tutti i costi presentandoci miriadi di animali diversi: viceversa si concentra solo su un numero limitato di specie del pianeta (non è dato sapere se siano le uniche esistenti), evidenziandone più che le singole caratteristiche le interazioni preda predatore e/o i cicli vitali.
Per ogni pianeta quindi ci verrà presentata al massimo una manciata di creature a cui non vengono dati improbabili nomi esotici, ma che vengono definite dalla voce narrante in base alle loro caratteristiche (i pascolatori, i predatori, ecc.). La sfida più complessa di Mondi alieni è mantenere l’interesse dello spettatore verso animali che, in assenza di una vera e propria narrazione, devono sembrare abbastanza strani da essere interessanti ma al contempo abbastanza familiari da poter creare empatia.
Insomma, è interessante vedere una specie di granchio grande come un gatto ma con 5 piedi e 10 occhi mangiare altre bestioline in assenza di una storia, di una linea narrativa? E’ interessante seguire la routine di animali che non esistono senza che prima o poi succeda qualcosa che non sia un quotidiano inseguimento preda/predatore a rompere l’equilibrio? Difficile giudicare se questo avvenga effettivamente e forse anche la presenza di soli quattro mondi e quattro puntate serve a non rendere stucchevole e ripetitivo un prodotto che, sebbene ben confezionato, è nel complesso un esperimento.
Docufiction, è il tuo genere?
La docufiction non è per tutti, ma in molti casi è la presenza di una narrazione forte – come accade nei film fantasy o di fantascienza – a potenziare un senso di meraviglia nello spettatore che qui tutto sommato si prova un po’ di meno. Eppure ci si salva dalla noia o dall’effetto straniante di passare del tempo a guardare una serie di documentari su mondi che non esistono grazie a un espediente intelligente: tutte le puntate infatti presentano un continuo ping pong tra il nostro pianeta e il pianeta alieno esaminato.
Ecco allora che Mondi alieni diventa quasi una scusa per parlare anche di luoghi della Terra estremi e di estrema bellezza, talvolta poco conosciuti (e fotografati magnificamente) e per mostrarci animali estremofili o dai comportamenti particolari o da alcune caratteristiche assolutamente peculiari.
Il messaggio che passa allo spettatore è che la vita sembrerebbe attaccarsi ostinatamente un po’ dappertutto e che la vastità dell’universo potrebbe racchiudere sorprese al di là di ogni umana immaginazione, oltre che – tristemente – possibilità di analisi (allo stato delle conoscenze attuali appare difficile riuscire a conoscere molto di un eventuale mondo abitato, tanto meno comunicarci).
In conclusione una serie non per tutti ma che ha un certo fascino: se sia un esercizio di stile o l’inizio dello sdoganamento al grande pubblico del world building lo scopriremo probabilmente solo tra qualche tempo. Intanto i commenti di critica e pubblico globalmente sono positivi e molto spesso emerge la lamentela che i pianeti fossero solo quattro. Un po’ di curiosità di vederne qualcun altro, in effetti, ci è venuta.
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#Bialetti #madeinitaly #orgoglioitaliano.. COLUI CHE ASCOLTA LA MIA PAROLA E LA METTE IN PRATICA È COME CHI HA COSTRUITO CASA SU FONDAMENTA SOLIDE E CHI ASCOLTA MIA PAROLA E NON LA METTE IN PRATICA È COME CHI HA COSTRUITO CASA SU SABBIA MOLLE VIENE FIUME E PORTA VIA TUTTO costui pretende di parlare di cose sacre con vigne pecore e come costruire case, dicevano i dotti ebrei, ma come doveva parlare a gente comune? Bello IL MESSIA film vecchio e fatto bene... (presso Don Vito's cats bar home) https://www.instagram.com/p/BwsjIMaJS4d/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=yw60ioeeynyg
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Santiago Caicedo se alza con el Quirino con su ópera prima, "Virus tropical"
Santa Cruz de Tenerife (España), 6 abr (EFE).- La película colombiana "Virus Tropical", ópera prima de Santiago Caicedo, se ha alzado esta noche en Tenerife con el galardón al mejor largometraje del año en la segunda edición de los Premios Quirino, instituidos para promocionar la industria iberoamericana de la animación. Se trata de una adaptación de la novela gráfica homónima de Power Paola (Paola Andrea Gaviria) y narra la historia de Paola, una niña que crece entre Cali (Colombia) y Quito (Ecuador) y que lucha por hacerse con las riendas de su vida. Durante su discurso, Santiago Caicedo ha resaltado la aportación de todo el equipo que participó en la película y ha dedicado el premio "a todos los chicos y chicas que se atreven a ser ellos mismos" y "que tratan de encontrar su lugar en el mundo". La cinta colombiana se ha impuesto al filme brasileño "Tito y los pájaros", de Gustavo Steinberg, Gabriel Bitar y André Catoto; y a las coproducciones españolas "Buñuel en el laberinto de las tortugas", de Salvador Simó (España, Países Bajos); y "Un día más con vida", de Raúl de la Fuente y Damian Nenow (España, Polonia, Bélgica, Alemania) El Quirino a la mejor serie de animación ha sido para la tercera temporada de "Irmão do Jorel - Seja Brócolis!", de Juliano Enrico, una producción brasileña, orientada al público infantil, que muestra la vida cotidiana de una familia brasileña en los años ochenta. En su caso, competía con "Petit", dirigida por Bernardita Ojeda Sala (Chile, Argentina, Colombia); y con la segunda temporada de "Puerto papel", de Álvaro Ceppi (Chile, Brasil, Colombia, Argentina). Su director, Juliano Enrico, ha dedicado el reconocimiento a todos los artistas, guionistas, animadores, productores y actores brasileños, y ha recalcado que la animación en su país es "mucho más" que entretenimiento, "es un negocio, son muchos artistas y mucho talento, y tiene que continuar", ha afirmado. En la categoría a mejor corto de animación, el Quirino fue para "Guaxuma", de la brasileña Nara Normande, un corto "muy honesto y sincero" que reflexiona, a través de la arena, sobre la muerte, la infancia, la amistad y los recuerdos. En este caso, la coproducción brasileño-francesa competía contra el cortometraje español "La Noria", del director canario Carlos Baena; y la coproducción franco-española "Soy una tumba", de Khris Cembe. Durante su discurso, Normande ha criticado el régimen "fascista" del presidente de Brasil, Jair Messias Bolsonaro, y ha recordado al expresidente Lula da Silva, al que se ha referido como "preso político", y a Marielle Franco, la concejal y activista de Río asesinada en marzo de 2018. Asimismo ha asegurado que el futuro del cine en Brasil "ahora mismo es incierto" porque están "casi sin fondos", por lo que ha llamado a "luchar". Los Premios Quirino también han reconocido a otras seis grandes obras: las españolas "Patchwork", de María Manero; "La increíble historia del hombre que podía volar y no sabía cómo", de Manuel Rubio; y "Black is Beltza", de Fermín Muguruza se hicieron con el Quirino a mejor cortometraje de escuela, mejor animación de encargo y mejor diseño de sonido y música original, respectivamente. La argentina "Belisario - El pequeño gran héroe del Cosmos", de Hernán Moyano se hizo con el reconocimiento a mejor obra innovadora; la chilena "La casa lobo", de Cristóbal León y Joaquín Cociña, fue merecedora del premio a mejor desarrollo visual; y la coproducción entre Chile, Brasil, Colombia y Argentina "Puerto Papel - La vida de los otros", recibió el premio a mejor diseño de animación. Los promotores de los Premios Quirino, José Luis Farías y José Iniesta, han recalcado que industria iberoamericana de la animación debe estar unida para que se "fortalezca el sector". "Creemos juntos, celebremos juntos, hagamos juntos y crezcamos juntos. Larga vida a la animación Iberoamérica y larga vida a los Premios Quirino", ha concluido Iniesta. Estos galardones deben su nombre al creador del primer largometraje de animación de la historia, Quirino Cristiani, que en 1917 dirigió "El Apóstol", una producción argentina en la que se utilizaron 58.000 dibujos hechos a mano y varias maquetas que representaban edificios públicos y calles de Buenos Aires. El largometraje de animación, Virus Tropical, de Santiago Caicedo (2i), y parte de su equipo, junto al consejero de Turismo del Cabildo de Tenerife, Alberto Bernabé (2d), tras hacerse con el galardón al mejor largometraje de animación de los Premios Quirino. EFE
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AvX: la recensione 1 Prologo: X-Sanction e introduzione Avviso: ogni riferimento alla storia dei mutanti sarà tra [ ] (parentesi quadre). La storia della Marvel è fatta di racconti appassionanti, scazzottate ed è legata alla frase "Supereroi con super problemi" poiché i personaggi sono dotati di grandi poteri eppure avevano delle debolezze e spesso affrontavano i problemi dell'uomo comune tra uno scontro e l'altro. (Oggi sembra un po' meno ma comunque…) La pagliuzza più corta nella lotteria delle sfighe l'hanno vinta i mutanti: prossimo stadio dell'evoluzione, la gente li vede solo come un pericolo. Gli X-Men ne hanno viste in tanti anni come la saga di Fenice [l'entità conosciuta come Fenice, una potentissima creatura cosmica che si legò a Jean "Marvel Girl" Grey con terribili conseguenze], House of M [saga che portò alla quasi estinzione dei mutanti per mano della strega-mutante Scarlet, figlia del criminale mutante Magneto] e Messiah Complex [la lotta per proteggere la prima nuova mutante dopo il precedente evento, Hope]. Questi tre avvenimenti sono il filo conduttore della storia che sto leggendo: Avengers VS X-Men, AvX per gli amici. Avrei voluto scrivere una recensione seria e articolata, snocciolando conoscenze della storia mutante e dei Vendicatori ma credo che sarà solo articolato perché la dividerò in capitoli e mi limiterò a trarre conclusioni visto che è un'evento ramificato e stratificato, molto a causa degli Uomini X che tra famiglie allargate, viaggi nel tempo e roba così hanno complicato la vita a tutti (Da qui il motivo della nota iniziale). Comincerò col parlare del prologo in quattro parti, X-Sanction, e del numero 0 di AvX. Il prologo è l'equivalente di un film d'azione, creato da un duo che ha fatto fumetti d'azione: Jeph Loeb e il mio adorato e cartoonoso Ed McGuinness. Come un blockbuster anni '80 con Stallone o Schwarzeneger, regala botte e violenza con un'anima, come Rambo. O più come Commando dove un padre va ad ammazzare i cattivi per salvare la figlia. Anche se qui il padre è il super soldato mutante del futuro Cable, la figlia è la messia mutante e prossima portatrice della Forza Fenice Hope e i cattivi sono… i Vendicatori. E come negli action degli anni d'oro ci sono armi giganti, il tempo che scorre e un virus assassino. Loeb ci mette l'anima umana con i flashback del padre post-apocalittico e la sua lotta suicida per salvare la figlia mentre McGuinness piazza muscoli dappertutto, mascelle serrate, movimenti esplosivi, ombreggiature pesanti… A seguire c'è il numero 0 che presenta due delle pedine più importanti sulla scacchiera: Scarlet per gli Avengers che non le hanno perdonato le follie di Vendicatori Divisi e Hope che invece si trova schiacciata dalle mille aspettative su di lei, soprattutto quelle di Scott Summers. Non molto altro da dire se non che vedere Frank Cho disegnare è sempre piacevole. Prossimamente: fuoco alle polveri!
#avengers vs x men#avx#avengers x sanction#recensione#comics#cable#xmen#avengers#captainamerica#iron man#wolverine#spider man#hope summers#phoenix#phoenixforce#jeph loeb#edmcguinness#marvel comics
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Qualcosa su “DUNE”, il mondo creato da Frank Herbert: luddista, arcaico, reazionario, esoterico e al tempo stesso estremamente libertario
Quando, molti anni fa, Frank Herbert concepì il mondo di DUNE, non lo pensò mai come un ennesimo immaginario fantascientifico da Space Opera, ma creò un universo basato su una complessa struttura mistica nel quale ogni umano – e sovrumano – aspetto si fonde l’uno nell’altro senza confini ben precisi.
Ecco che la prossima uscita del nuovo film DUNE, questa volta con la regia di Denis Villeneuve, dopo quello, per chi scrive meraviglioso – seppur fallimentare – del lontano 1984 a firma dell’immaginifico David Lynch, ci dà l’occasione per ripercorrere il “Sentiero Aureo” tracciato dal romanzo e dai suoi seguiti che espandono il suo variegato milieu. Herbert ha attinto ad innumerevoli fonti, dall’epica greca con lo stesso nome della Casa Atreides ai miti norreni, dal mondo celtico a quello estremo orientale, profondendo in questo suo straordinario affresco che si snoda nel tempo e nello spazio, a piene mani, temi sociologici, politici, etici ed estetici oltre a quelli religiosi.
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In DUNE troviamo la scienza più estrema, quella dei cloni e delle modificazioni genetiche, in stretta convivenza con tecniche mentali che profumano della magia naturale del Rinascimento o di vie filosofiche orientali. Il Cristianesimo, nella sua formulazione sincretica Cattolico Orangista, è coesistente con una strana forma di Islamismo Zen, definita non a caso ZenSunni, mentre la misteriosa e inafferrabile popolazione dei Fremen – gli uomini liberi che vivono nel profondo deserto di Arrakis, il pianeta noto come Dune – sono seguaci del culto del Grandi Vermi e vivono in una società tradizionale, arcaica, simile ai clan delle Highlands o alle tribù di nativi americani, tra le rocce scolpite dai terribili venti che sferzano il pianeta dalle due lune. I Fremen sono gli “uomini liberi” che restano tali anche all’interno di un sistema feudale qual è l’Impero del Milione di Mondi, dove l’Imperatore stesso trama in continuazione con tutte le forze in gioco, con la Gilda, con il Landsraad delle Grandi Case in un eterno “divide et impera” sorretto dalla preziosissima droga geriatrica che soltanto su Arrakis viene prodotta: Il Melange, e senza la quale, irreplicabile, non è possibile né vivere a lungo né muoversi nel continuum spaziotemporale. Senza la Spezia ogni cosa si fermerebbe, non vi sarebbe più vita.
Chi governa Arrakis dunque, controlla l’Universo. Herbert allora, in un afflato poetico dopo l’altro, in una prosa che è verso e ritmo, costruendo trame e sottotrame, riprende il mito del Salvatore, del Messia che giunge da altrove, “la voce da un altro mondo”, a portare la vera pace dopo una guerra di liberazione.
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DUNE è il romanzo iniziatico sulla formazione di un giovane uomo, Paul Atreides, figlio del Duca Leto Il Giusto e di sua madre, la concubina Jessica, che dalle acque del suo pianeta Caladan, diventerà il Messia atteso dal popolo dei Fremen e guiderà i grandi vermi contro la nemica famiglia degli Harkonnen. Se nella visione di Herbert, gli Atreides sono l’onore, la dignità, l’orgoglio, l’eroismo di un mondo aristocratico e colto benché feudale, i loro nemici congiunti, la casata Hartkonnen ne è l’opposto speculare: è la brutalità, la sopraffazione, il tradimento spinto sino al genocidio dei popoli e della natura violata.
Herbert inserisce giochi verbali, poesie, litanie e canzoni nella sua infinita narrazione, disegnando così una società multistrato, cristallizzata e fluida al tempo stesso, dove i soli veri “alieni” sono i giganteschi vermi di Arrakis ed è piuttosto l’umanità ad essersi trasformata e differenziata dopo la sua espansione nel cosmo, avvenuta migliaia di anni prima dell’ascesa al trono di Paul Atreides. Così come in essa non esistono i robot antropomorfi, rinnegati dal “Jihad Butleriano” sostituiti dai veri e propri “computer umani” noti come Mentat. DUNE è luddista, arcaico, reazionario ed esoterico e al tempo stesso estremamente libertario. Il sesso è una componente essenziale di questo arazzo, ma mai disgiunto dall’amore, quale quello struggente di Leto per Jessica o quello destinato e scritto nelle stelle di Paul per Chani. La Sorellanza Bene Gesserit infatti, addestra le proprie adepte a un uso magico della sessualità, sino al controllo del sesso del nascituro e non soltanto come pratica erotica, ma l’amore è sempre l’aspetto più alto di tutto ciò e misticamente sfugge al controllo delle Streghe, come vengono spregiativamente chiamate le Reverende Madri. Una casta di femmine matriarcali che agisce nell’ombra, tramando contro ogni altra forza politica in gioco sulla scacchiera cosmica, ma impedita nel raggiungimento del proprio scopo dall’imprevisto che è il Kwisatz Haderach, Paul, istruito nelle pratiche misteriose della Sorellanza e che possiederà la capacità di vedere sia il futuro sia il passato e potrà recarsi “nel luogo che terrorizza tutte le Madri Bene Gesserit, il luogo dove non si può andare”.
*
Un Messia che diventerà Rex et Sacerdos, sedendo infine sul Trono del leone, per poi accettare di scomparire nel deserto più profondo, “cieco veggente” Paul Muad’Dib – come sarà chiamato il giovane Atreides, o Usul per i Fremen – scomparirà infine dal mondo dell’uomo. Come per la nascita del Cristo anche per il giovane Paul è prevista una “strage”, non d’innocenti, ma della sua stessa casata. E così anch’egli deve fuggire per porsi in salvo da coloro che lo vorrebbero uccidere. Ma a differenza del Gesù storico, egli non predicherà la mitezza e il perdono, quanto la Guerra Santa, quasi in una visione millenarista cristiana. Infatti non è certo un caso se i Guerrieri Sacri di cui si circonda Muad’Dib, ovvero i Fedaykkin, siano la riproposizione dei Templari, degli Ismailiti o degli stessi misteriosissimi sufi del Vecchio della Montagna.
Ma Muad’Dib non è un dio, egli è piuttosto il Restauratore del Principio Primo e Assoluto, mentre raffigurazione terrena di Dio, per i Fremen, sono i grandi vermi, gli Shai-Hulud, nome con cui essi a volte designano anche lo stesso Principio Divino. Creatore è chiamato il verme che percorre il profondo deserto di Arrakis. Creatore della misteriosa sostanza psicotropa che consente ai Navigatori della Gilda di piegare il Tempo e lo Spazio. Piccolo Creatore è il cucciolo dei vermi che i Fremen sacrificano per ottenere la caustica Acqua della Vita, il liquido azzurro ottenuto dalla bile dei vermi, ci porta all’Alchimia: Aqua Vitae, l’acquavite, l’uiske betha irlandese, assumendo la quale l’uomo diviene prossimo a Dio.
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Paul Atreides, Muad’Dib, utilizza scientemente la violenza di un popolo vissuto per secoli nella più feroce repressione, soprattutto dopo lo sfruttamento indiscriminato operato dagli Harkonnen, per trasformare Arrakis in un mondo paradisiaco dove scorra liberamente l’acqua, facendolo diventare un pianeta verde dove il deserto sia soltanto una sorta di “riserva protetta” nella quale far vivere i grandi vermi.
L’Impero sotto il governo di Muad’Dib è dunque una civiltà tradizionale con un centro spirituale che è Arrakis, o meglio ancora la Città Santa di Arrakeen, posta dietro al Muro Scudo, sul circolo polare artico del pianeta, eco dell’Invariabile Mezzo, come un’iperborea Thule rediviva. Paul diviene il nuovo “legislatore universale” e in virtù della sua condizione, esprime la presenza dell’Assoluto in seno all’ordinamento temporale, assumendo la funzione di pontifex, dunque di mediatore, tra il naturale e il sovrannaturale. Usul è simile al Chakravarti della tradizione hindu, essendo egli il centro che può anche essere in ogni altro luogo, ed è Signore di Pace e Giustizia.
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Come il Deserto e come Dio, anche Muad’Dib sarà Uno, nessun altro della sua stirpe lo eguaglierà mai in Potenza, Saggezza e Misericordia lungo tutti i millenni del Sentiero Aureo, ma a noi uomini che ancora ardono del desiderio di sognare infiniti mondi e sovrumani silenzi, Frank Herbert ha lasciato questo dono fatto di pagine che si susseguono, come un labirinto di specchi dipinti in una dimora assoluta, colme di bellezza e di crudele violenza ma soprattutto d’amore per un luogo che non ha confini né limiti né nel nostro cuore né nei nostri sogni.
“Dimmi delle acque del tuo pianeta, Usul!” sussurra Chani all’orecchio dell’amato Paul.
Dalmazio Frau
*In copertina: Sting nel film “Dune” secondo David Lynch (1984)
L'articolo Qualcosa su “DUNE”, il mondo creato da Frank Herbert: luddista, arcaico, reazionario, esoterico e al tempo stesso estremamente libertario proviene da Pangea.
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