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Il cerchio della felicità di Paulo Coelho: storie per riflettere e ritrovare se stessi. Recensione di Alessandria today
Una raccolta di racconti intrisi di saggezza e bellezza che toccano il cuore e illuminano il cammino della vita.
Una raccolta di racconti intrisi di saggezza e bellezza che toccano il cuore e illuminano il cammino della vita. Recensione di “Il cerchio della felicità” Paulo Coelho, maestro dell’alchimia narrativa, ritorna con “Il cerchio della felicità”, una raccolta di racconti che ci invita a esplorare le profondità dell’animo umano. Attraverso storie brevi e toccanti, l’autore brasiliano ci conduce in…
#Alessandria today#Amore#capolavori letterari#Crescita Personale#crescita spirituale#Destino#disegni di Sergio#Favole#felicità#felicità circolare#Filosofia#generosità#Google News#Il cerchio della felicità#ISPIRAZIONE#italianewsmedia.com#letteratura brasiliana#lettura emozionante#lettura per tutte le età#libri illustrati#libri per l’anima.#libri per riflettere#maestri della narrativa#Narrativa#narrativa contemporanea#Paulo Coelho#Pier Carlo Lava#Raccolta di Racconti#Racconti#regali per lettori
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stamattina mi sono svegliato ed ero vivo ho aperto gli occhi: c'era il soffitto che conosco e un materasso aderente alla mia schiena ho di nuovo ricevuto questo dono e neanche ho scritto la letterina ho poggiato i piedi a terra e le mie gambe mi hanno portato in cucina in piena autonomia caffè colazione eccetera tutto sembra circolare discretamente, liquidi, particelle di cui ignoro il nome viaggiano a velocità folle per fini misteriosi lungo nervi e vene non morirò di fame né di freddo
ieri ero a pranzo da Stefano, c'era cibo sulla tavola, vino da bere per tutti, ospiti parole, pezzi di vita, qualche guaio, qualche gioia, risate il sole, fuori, per il tempo concessogli, dispensava luce e calore non so dire se ciò possa chiamarsi felicità ma il solo fatto di porsi la domanda la fa somigliare molto dunque grazie a questo complesso di circostanze che qualcuno chiama caso, fortuna, culo, destino o con il nome proprio di qualche divinità per me è indifferente, ciò che conta è la parola chiave: grazie
Fabio Magnasciutti, Facebook
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Ciascuno ha talenti diversi perché il sangue di Dio possa circolare.
Tutto desidera ciò che gli manca: è un primo passo. La percepita mancanza cerca il contatto, il sì, l'inizio della circolazione. Di fronte a un no, sentiamo di morire, ghiacciare, avere fallito lo scopo; e così è: restiamo un neurone senza contatto, una cellula senza osmosi, un operaio che non ha svolto il proprio compito.
Il sentimento della mancanza non è che un processo naturale; non deve spaventare. Non è miseria: è solo la nostra natura, di svolgere un compito.
A partire dal primo sì, ne seguono molti: amiamo uno, due, dieci, mille. Sentiamo di percorrere ed essere l'intero cervello di Dio. Nulla ci manca. E la felicità è non più avere un nome, perché si è l'intero.
Ma che fare davanti a un no? Non disperare; cercare un altro contatto, fin oltre la morte. Chi è solo in vita, non può esserlo nella morte, che è un campo così vasto da non ospitare l'impossibile.
Ciò che non è stato, sarà. Sembra non essere stato: in realtà, non era ancora rivelato. In Dio scorre il sangue che alimenta continui pensieri: siamo il sangue di Dio che scorre, siamo i suoi sogni, le sue fantasie. A ciascuno sembra mancare qualcosa, ma è solo il contatto che manca, la rivelazione iniziale. Dalla prima, si arriva fino alle punte delle dita di Dio, si percorrono i vasti campi del suo più alto pensiero. Qualcuno chiama questo "la Luce".
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Soluzioni adatte ai paesi dell’Europa orientale
I compattatori GREENMAX sono particolarmente adatti alle esigenze delle piccole e medie imprese nei paesi dell’Europa orientale. La nostra gamma di dispositivi include opzioni adatte sia a piccole comunità che a grandi industrie, garantendo un riciclo della schiuma efficiente e sicuro.
Inoltre, il nostro team di supporto offre consulenze professionali e assistenza tecnica per garantire un utilizzo senza problemi.
Incoraggiamo inoltre individui e aziende a partecipare ad azioni ecologiche, come scegliere decorazioni e materiali da imballaggio riutilizzabili durante le festività o consegnare i rifiuti di plastica espansa ai centri di riciclo locali per essere trattati con attrezzature professionali.
L’impegno ecologico di GREENMAX
Come leader nel settore del riciclo della plastica espansa, GREENMAX si impegna costantemente per la sostenibilità. Oltre a fornire apparecchiature di alta qualità, ci dedichiamo a promuovere l’economia circolare e i principi dello sviluppo sostenibile. Attraverso i nostri sforzi, speriamo di aiutare sempre più aziende e comunità a celebrare le festività proteggendo al contempo l’ambiente.
In questa stagione calda e piena di speranza, GREENMAX invita i nostri amici dell’Europa orientale a unirsi alle iniziative ecologiche. Con la forza dei compattatori per schiuma, possiamo ridurre l’inquinamento, dare nuova vita ai rifiuti e lasciare un pianeta migliore alle generazioni future.
Auguriamo a tutti un felice Natale e un anno nuovo pieno di felicità!
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Roma: la passione per le Fiat 500 d'epoca vince al TAR!
Buone notizie per gli amanti della vecchia Fiat 500! Grazie alla sentenza del TAR, i veicoli storici potranno circolare a Roma senza più restrizioni.
La passione per i veicoli storici, e in particolare per la Fiat 500, continua a scaldare i cuori di tanti italiani. Grazie alla recente sentenza del TAR del Lazio (n. 14699/24 del 18 luglio 2024), i veicoli certificati di interesse storico e collezionistico potranno finalmente tornare a circolare liberamente nella Capitale. La vicenda nasce dalle ordinanze sindacali di Roma Capitale, che negli ultimi anni avevano introdotto restrizioni alla circolazione di veicoli storici, seppure con alcune deroghe. Tuttavia, grazie all'intervento dell'ASI (Automotoclub Storico Italiano), che ha presentato ricorso, il Tribunale Amministrativo ha stabilito che tali limitazioni erano illegittime. Questo risultato rappresenta una vittoria non solo per i possessori di auto storiche come la Fiat 500, ma per tutti gli appassionati di motori che considerano questi veicoli un patrimonio culturale.
Un riconoscimento importante La decisione del TAR non è la prima a favore dei veicoli storici. Anche in passato, lo stesso tribunale aveva annullato ordinanze simili, ribadendo l’importanza di tutelare questi mezzi. Nel caso specifico della Fiat 500, una delle auto più amate dagli italiani, questa sentenza rappresenta un riconoscimento importante per chi investe tempo e risorse nel mantenerla in perfette condizioni. Il Presidente dell'ASI, Alberto Scuro, ha espresso grande soddisfazione, sottolineando come questa decisione permetta di continuare a usare i veicoli storici nel rispetto delle norme e dell’ambiente. I possessori di Fiat 500 e altri mezzi certificati potranno finalmente godersi le loro auto per turismo, eventi e semplici giri in città, senza più doversi preoccupare delle limitazioni.
L’impatto ambientale dei veicoli storici Uno degli argomenti centrali della sentenza riguarda l’effettivo impatto ambientale dei veicoli storici. Come evidenziato dal TAR, solo lo 0,29% del totale dei mezzi circolanti a Roma è rappresentato da veicoli storici. Un numero esiguo che non giustifica restrizioni così rigide, soprattutto considerando l’importanza culturale e ludica di queste auto. La Fiat 500 d'epoca, emblema della dolce vita e dell'ingegno italiano, è un esempio perfetto di come questi veicoli siano un pezzo di storia che merita di essere conservato. La possibilità di far circolare nuovamente i cinquini a mantenere viva la memoria del passato, mentre si continua a promuovere un turismo lento e sostenibile, ideale per scoprire le bellezze dei nostri territori.
Il futuro della vecchia cinquecento Questa sentenza non solo restituisce ai possessori di veicoli storici la libertà di circolare, ma rappresenta anche un messaggio forte per il futuro: le Fiat 500d'epoca, come tanti altri veicoli di interesse storico, devono essere considerate parte del nostro patrimonio culturale, non un semplice mezzo di trasporto. Il mondo del restauro e della conservazione dei veicoli storici potrà ora prosperare con maggiore serenità, e i tanti appassionati, giovani e meno giovani, potranno continuare a coltivare la loro passione. Una passione che, come sappiamo, va oltre la semplice guida: è un modo per tenere viva una tradizione che parla di ingegno, design e felicità. E tu? Cosa ne pensi di questa decisione? Sei d'accordo con il TAR del Lazio che permette la circolazione delle Fiat 500 e altri veicoli storici? Condividi la tua opinione nei commenti!
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💋Voglio sfogliarla completamente, toglierle le inibizioni e tuffarmi nella sua nuda lussuria
Voglio accarezzare le sue gambe posare le mie labbra , sfiorare delicatamente il suo tesoro.
Voglio farle sentire la punta della mia lingua pascolare, leggermente, attraverso la sua impalpabile seta...
Voglio farle ascoltare i miei morbidi mormorii e gemiti ,mentre il suo gusto delizioso stuzzica la mia voracità..
Voglio sentire il suo profumo permanere e circolare nei miei sensi.
Voglio scrivere estasi attraverso il sapore della sua anima.
Quando distesa , sarà aperta al mio sguardo, al mio tocco.
Voglio farle una serenata ,mentre il mio corpo si congiunge al suo ...
Voglio sentire i suoi sospiri ,vederla alzare i fianchi per andare incontro ai miei.
Voglio crollare su di lei ..
Sentire i corpi accaldati grondanti di sudore....
Labbra alle labbra, anima all'anima e stringerla mentre gioiamo del momento.
Voglio che lei perda il fiato e debba respirare il mio, mentre io resto nelle sue profondità .....
Voglio sentirla rialzare, sfiorare delicatamente le sue labbra alle mie.
Voglio guardala negli occhi, che brillano di riflessi della notte.....
E sapere che la causa della sua felicità infinita,ha il mio nome 💕
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CONVIVERE CON I SENSI DI COLPA: È POSSIBILE O BISOGNA FARE ALTRO❓
Il senso di colpa come punizione.
A tutti capita di provare il senso di colpa e di provare rabbia e frustrazione, dopo aver compiuto un passo falso… magari dopo aver fatto del male a qualcuno, anche involontariamente…
Sin da piccoli ci hanno inculcato l’idea che è sbagliato fare errori: è luogo comune pensare che non si devono fare sbagli, come se non ce lo potessimo proprio permettere. Tutto sembra il risultato di punizioni interiorizzate, che ci portano, spesso, a sentirci non meritevoli dell’affetto altrui.
Ma facciamo un passo indietro: cosa intendiamo con “senso di colpa”❓Cosa ruota intorno a questo sentimento❓Possiamo conviverci❓
Il senso di colpa: chi è più vulnerabile❓
Il senso di colpa, a discapito di quello che si possa pensare, è un’emozione che sembra addirittura ricoprire una funzione: quella sociale; se ci pensate, il senso di colpa ci permette di capire se è stato commesso uno sbaglio o un danno nei confronti altrui consentendoci di rimediare.
Secondo i risultati di alcune ricerche, sarebbero le donne a provare maggiormente tale sentimento che risulta essere meno pronunciato nelle più giovani.
Senso di colpa in psicologia
In psicologia questo sentimento è descritto come un insieme di elementi di natura emotiva e cognitiva che sembra derivare dalla convinzione di aver danneggiato qualcuno: ciò porta alla formazione di un conflitto interiore da considerare con un’accezione positiva dato che questo sentimento sembra richiamare una componente importante: l’empatia.
Cosa intendiamo con “empatia”❓
Con il termine empatia, si intende la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti (Bonino, 1994).
Insomma, tra senso di colpa ed empatia sembra esserci un rapporto importante e circolare: ci si sente in colpa, perché ci si mette nei panni degli altri e si sperimentano le emozioni che provano. In questo senso, il sentimento di colpa è utile a mantenere le relazioni, in modo adattivo e ottimale, ma bisogna essere attenti a non chiamare in causa il senso di onnipotenza.
Sono tante le persone che, in modo narcisistico, credono di essere responsabili della felicità o della sofferenza altrui: se l’altro non sta bene, è necessariamente loro la colpa. Si mettono al centro dell’universo o per meglio dire, si sentono il centro dell’universo, come se gli altri fossero soggetti totalmente passivi, la cui felicità, e quindi anche tristezza, dipende solo dalle loro azioni.
Ovviamente tutto ciò non è reale: noi, individualmente, siamo responsabili della nostra vita e non di quella altrui.
Senso di colpa: quando diventa patologico❓
Ma torniamo al senso di colpa e alla sua accezione positiva, correlata alla funzione sociale che ricopre: quando è sano❓
Quando abbiamo oggettivamente commesso un errore arrecando un danno vero ad un’altra persona: in tal caso, il senso di colpa è una spia che si accende per dirci che abbiamo commesso un errore.
La questione cambia, però, in mancanza di tale errore: quante volte vi è capitato di sentirvi in colpa per cose per cui in realtà, non c’era nulla da rimproverarsi❓Bene, in quel caso sappiate che siete in presenza di un senso di colpa patologico, poiché non ha motivo di esistere.
Ma se un senso di colpa diventa eccessivo, cosa può accadere❓ Purtroppo, si può arrivare a sperimentare e mettere in atto comportamenti autodistruttivi, di vero e proprio autolesionismo.
Consigli per gestire i sensi di colpa
Occorre valutare se, realmente, avete commesso un errore: questo permette di capire se c’è un reale motivo per sentirsi in colpa o se è solo una percezione sbagliata a farci credere di essere colpevoli; se avete difficoltà a capirlo, provate ad essere attori di questa valutazione.
Pensate che al posto vostro ci sia un vostro amico e non voi: ha oggettivamente commesso un errore❓Spesso, ragionando sui comportamenti altrui, siamo in grado di trovare una risposta ragionevole.
Se ritenete di aver commesso un errore, è necessario valutare la reale portata della responsabilità: è tutta vostra❓Capita a tutti di fare cose di cui non andiamo propriamente fieri, ma questo non significa che siamo sbagliati, significa solo che non siamo perfetti.
Evitate di essere troppo severi con voi stessi: non possiamo pretendere di fare sempre le cose come dovrebbero essere fatte. Siamo umani: cercate di capire cosa migliorare di voi stessi e quale lezione potete portare con voi, nel vostro bagaglio.
Avete paura del giudizio altrui❓Imparate a dare più rilevanza a quello che pensate voi: chi vi ama davvero, capirà le vostre scelte.
Non riuscite a farlo❓Chiedete un aiuto professionale, affinché un terapeuta possa aiutarvi ad elaborare, in modo ottimale, la situazione e sostituire i vostri schemi mentali con pensieri più funzionali. Datevi questa possibilità e il senso di colpa diventerà solo un ricordo.
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Sì,la ruota della fortuna girava nello spazio/tempo circolare,prendendo gioie e restituendo dolori,prendendo sofferenze e restituendo felicità.
📚☮️
#paulo coelho#hippie#leggere#lettureinteressanti#frasi libri#buone letture#leggere libri#letture consigliate#libri da leggere#lettura#libro#leggerechepassione
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Celebro ogni tramonto
per festeggiare il dono
per ringraziare stupito
tutta la bellezza
che mi è venuta a trovare,
che si è regalata a me.
E nel suo ultimo posarsi
sento che il sole mi rimanda
a un’altra bellezza,
alle liquide ciglia della notte
ai suoi misteri lunari.
Ogni tramonto vibra
di un’allegria commossa
che se conosce la lacrima
la riempie di felicità.
Solo le brutte poesie
conoscono i tramonti tristi,
e non la vertigine
di quel tempo circolare
in cui alla vita
tocca celebrare vita,
e passare
da una misteriosa luce
a un luminoso buio.
Gianluigi Gherzi
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MASTRO DEL CUORE (a soffi)
Il Mastro del Cuore, trasmette a tutto il corpo i comandi del cuore, di cui è di fatto il portavoce. Le emozioni ad esso associate sono la gioia e la felicità.
La sua ora solare di maggior forza si situa tra le 19 e le 21 ed il suo percorso termina sulla punta del dito medio di entrambi le mani. Ci aiuta a far circolare le idee, le emozioni e le energie.
Mastro del Cuore, difende l’imperatore (cuore) dagli attacchi esterni, soprattutto dalle emozioni troppo forti.
Il soffio deve essere delicato, per non spegnere la fiamma.
Questa fragranza, dall’eleganza senza tempo, fonde la Cannella, simbolo della Sacralità, agli accenti aromatici del Cardamomo e del Ginger.
Il sapore del Chai Tea unito alle Bacche di Ginepro e alla piccantezza dell’Amyris offrono una sensazione di pace ed equilibrio.
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Credo di averlo capito da tempo cosa mi manca per colmare il vuoto. Cerco sempre di fare del mio meglio, ma non so per quale motivo ogni sforzo è sempre stato vano e nel frattempo quel vuoto si è esteso a dismisura. Se dovessi rendere l'idea del vuoto interiore che a volte mi capita di percepire, potrei paragonarlo ad un paesaggio post apocalittico, cupo e devastato, dove l'unico a circolare senza meta sono proprio io.
Figurati, mi fa sempre piacere leggere della felicità altrui, che oggigiorno non è una cosa così scontata 🌻
Molto spesso può capitare che per raggiungere la felicità, quello che desideriamo, dobbiamo faticare molto, cadere e fallire, la cosa importante è non smettere mai di provarci. Spero che riuscirai a raggiungere presto i tuoi obiettivi 🌸
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" Ti voglio bene, zio Giacomi'"
Il periodo napoletano di Leopardi è forse quello più atipico ed inafferrabile dell’intera sua vita. Qui, amando passionalmente il Ranieri che, per quanto lo ricambi con affetto fraterno, non intende però concedergli alcune libertà, Leopardi si trova ancora una volta, forse l’ultima, ad operare una sostituzione del proprio oggetto d’amore. Così, forse memore del sollievo alla sua insoddifatta passione per la Targioni-Tozzetti ottenuta tramite il rapporto con il fratellino di lei, egli si rivolge agli scugnizzi napoletani. A questo punto, per godere di maggiore suggestione pittoresca, mi piace ricordare ed anche un po’ ricostruire, giacché non disponiamo di dati certi, ma di tracce, qual è l’aspetto esteriore del Leopardi a Napoli. Ed è quello, mi figuro, di una specie di nume tutelare, dalle sembianze tanto bizzarre e prive di qualunque comune attrattiva, da risultare un catalizzatore di attenzione e attese, da chi più e da chi meno rivestite di un misto di pietà e ammirazione. Incanutito e con la fronte amplissima, la testa grossa sopra un torace minuto e contorto, le gambe con la lunghezza di un uomo che avrebbe avuto una statura di 1, 70 metri, ma effettivamente alto 1 metro e 43, il ventre spesso gonfio per l’idropisia, zi’ Giacomino, come lo chiamavano i piccoli napoletani a cui s’accompagnava, doveva avere all’incirca la forma plastica di uno di quei gobbetti portafortuna, ibridati con un corno, che si vedono su talune bancarelle o in negozietti. Un aspetto fortemente iconico, insomma. Nella sua volontà di scendere a patti con sé stesso e adattarsi alla piccolezza della vita, credo guardasse alle persone del Sud, che con il loro vivere indolente, come in un continuo sogno, prolungavano lo stato psicologico dell’infanzia, unica età in cui ci si può dire felici e in cui la vita sia realizzabile. Si dice allora che in quel periodo frequentasse i bassifondi, luogo di prostituzione e di monelli che si vendevano per pochi soldi. Talvolta, si faceva seguire da loro fino a casa, con la promessa di altri soldi e confetti ed altre leccornie. Li portava nella sua camera, quando il Ranieri non era in casa, li prendeva sulle ginocchia e li interrogava, in attesa delle loro risposte genuine, sagaci, imprevedibili. Li osservava con invidia, come ignoranti a cui non era preclusa la felicità. E forse dava loro carezze che al Ranieri non avrebbe mai potuto dare. Carezzava in loro l’idea della sua propria infanzia, tornando ancora, in un ultimo stadio involutivo di un processo circolare, a quella forma di autosufficienza affettiva precedente il sentimento d’incompletezza e mancanza. Mi spingo a dire, senza voler offendere nessuno, che quest’ultimo stadio sarebbe stato evolutivo se si fosse naturalmente esplicato tramite la genitorialità. Io spero che almeno un “Ti voglio bene zio Giacomi’” un giorno gli abbia riscaldato il cuore e lo abbia in qualche modo accompagnato fino al momento della morte.
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i have to protect the one thing that i can't live without, you [part two]
Si svegliò con un mal di testa lancinante, le gambe completamente addormentate e gli addominali indolenziti, mosse di poco la testa e cercò di riprendere sonno ma qualcosa le fece aprire gli occhi di scatto. Di fronte a lei c'era una finestra completamente gigante che era bagnata dalla pioggia, una luce era accesa nell'angolo ma riuscì a vederne solo metà, non aveva le forze per alzarsi, sentiva il calore delle coperte addosso ma per quanto potessero farla stare bene, non era così sicura di fidarsi, qualunque cosa fosse. Provò ad alzarsi e ci riuscì, si girò verso destra e vide che sulla poltrona c'era tutta la sua roba, ma come ci è finita lì?
"Ti trovi in casa mia"disse una voce alle sue spalle che la fece spaventare.
La figura che si presentò di fronte ai suoi occhi era messa contro luce, che proveniva dalla lampada messa di fronte a lui. Lo vedeva solo di spalle, con una maglia a mezze maniche blu, un pantalone nero ed un braccio sull'altro, con il mento poggiato sulle nocche mentre guardava il restante della sua roba, dovevano essere documenti, i suoi. Riusciva a vedere la sua carta d'identità, il suo codice fiscale ed altri fogli che forse non erano suoi ma per quanto potesse focalizzare la sua attenzione su ciò che quello lì stava guardando, in realtà era solo curiosa di sapere chi era colui che le aveva rivolto la parola. Era rassicurante da un lato non essere nello stesso luogo freddo dove era rimasta per una settimana, ma allo stesso tempo non riusciva a fidarsi ed era una delle cose che gli erano state portate via da tempo, anche se a differenza di alcuni lei preferiva non mostrare questo suo lato fragile, quello che più la definiva era il suo sorriso caloroso.
"Sono James Barnes... giusto per rispondere alla domanda che mi ha fatto due giorni fa"disse lui e finalmente si girò verso di lei
Alto, quasi un metro e novanta, non aveva le spalle larghe ma si vedeva ad occhio nudo che il suo era un fisico lavorato. Si girò verso di lei con nonchalance e mettendo le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri sedendosi sulla poltrona messa di fianco a lui, mettendo poi i gomiti sulle ginocchia. Solo in quel momento potè vedere come era fatto il suo viso, aveva un po' di mascella quadrata o forse erano solo le ombre che la luce provocava, le mani ora erano giunte e lei riuscì a vedere le vene su di esse, gli avambracci perfettamente delineati e quando le rivolse l'ennesimo sguardo riuscì a vedere il colore degli occhi. Ma se non l'avrebbe fatto si sarebbe risparmiata, sicuramente, un salto del suo cuore, perché? Perché bastò solo quell'attimo a farle rendere conto che oramai non avrebbe avuto nessuna speranza, il suo cuore forse no ma di salvarsi si.
"Wanda, giusto?"chiese lui e lei annuì deglutendo
"Allora... voglio che ti senta a tuo agio prima di tutto, sei in casa mia ed io non sono chi tu pensi, sono un agente della CIA... sono un paio di mesi che indago sul caso di Zemo e proprio due giorni fa, in un magazzino ad Eastview c'erano i suoi scagnozzi e insieme a loro anche tu, è stato difficile rintracciarli, persino te... credo abbiano usato uno di questi aggeggi dove il segnale non è recepibile, o almeno sarebbe stato lieve, in ogni caso tu non eri l'unica cosa che avevano sequestrato. Con loro c'erano delle armi, armi pesanti a quanto ho capito, nucleari e cercavano questa..."disse lui mostrando ciò che aveva tra le mani
"Plutonio, non è vero? Numero atomico 94, densità di 19 816 chilogrammi al metro quadrato, raggio atomico di 159 metri e stato solido... a meno che tu non abbia una buona motivazione per tenerlo con te non vedo perché tu debba rimanere ancora qui. Non aspetterò che tu non mi risponda per farti del male, non è da me, ma se provo a farti scappare da quella porta blindata, tutti e due saremo fottuti... io avrò un'altro incarico quindi da un lato non c'è problema ma tu non avrai la stessa protezione che ti offrirà la CIA se dirai la verità, e fidati che ti serve, a te la scelta... "
Wanda, così era il suo nome, non aveva scelta. Non perché non sapesse farlo, era solo che da un momento all'altro si era ritrovata in qualcosa che neanche lei sapeva che potesse esistere. Vivendo nell'Upper East Side era sempre stata circondata da grazie e felicità, la sua vita era circondata dalla bellezza e soprattutto dalla ricchezza, ma da quando aveva perso suo fratello gemello Pietro nulla era più sembrato tale. La bella famiglia che aveva costruito la sua vita in uno dei palazzi più importanti di New York, si era spezzata a metà proprio per quell'evento, suo padre si era trasformato in un mostro che riversava su di lei tutti i suoi fallimenti a lavoro e sua madre, disperata, aveva trovato la soluzione solo in antidepressivi e alcool, soluzioni per niente valide secondo una ventitreenne come lei.
Dopo la morte del padre, di cui si portava ancora dietro i traumi e di cui sentiva ancora le sue urla nelle orecchie, decise di mandare sua madre in una casa di cura dove se ne sarebbero occupati terzi e lei avrebbe potuto continuare con la sua carriera universitaria e con il suo lavoro. Ma quando aveva preso, di nuovo, in mano la sua vita ecco che un enorme problema le si era presentato davanti, e come ogni problema che si rispetti bisognava affrontarlo, però una come lei preferiva scappare, non prendersi responsabilità. Lei non era preparata, non quando dei criminali conosciuti in tutti il mondo, la stavano cercando per ucciderla. È stato davvero un colpo di scena, vedere la ragazza ben vestita e sempre preparata, correre di fretta, con la paura addosso senza neanche un paio di Jimmy Choo, via da casa sua, ma se gli altri verrebbero a sapere della verità non sarebbero così felici neanche loro.
"Non so chi sia Zemo... so solo che uno dei suoi scagnozzi era un mio ex, collaborava con altri per lui"disse lei con voce flebile
Sentì quasi i brividi quando ascoltò la sua voce dolce. Non sentiva una voce femminile da tempo, aveva nella sua testa solo quella di sua madre che gli infestava ancora il sonno e che ricordava solo in quelle memorie che custodiva di quando era piccolo. Era quasi come la sua, non uguale alla sua ma quasi però non voleva lasciarsi influenzare dal suo animo, aveva una missione da portare avanti e l'avrebbe fatto fin quando non si sarebbe trovato faccia a faccia con lui
"Qual è il suo nome?"chiese lui
Lo guardò in maniera indagatoria, timorosa. Da quando in qua chiedeva così tante informazioni che lei sapeva sarebbero andate nel personale, se pochi minuti prima l'avrebbe fatta fuori? Capire cosa gli passava per la testa era impossibile e chiedergli qualcosa per lei era quasi una condanna, non sapeva come avrebbe reagito, se poteva fidarsi, se lui era davvero buono così come pensava.
"Ora fai il poliziotto buono?"chiese lei prima guardando in basso e poi lui
"Sto cercando solo di aiutarti"
"E prima non volevi farmi fuori?"
"Quello era solo per emergenza"
"Emergenza? Questa la chiami emergenza? Quindi portarmi a casa tua, con tu che mi fissi mentre dormo è considerata emergenza? Non so sicurezza? Molto probabilmente sarai così bravo a fare il tuo lavoro, ad uccidere persone che neanche provi minimamente a conoscerle"
"Tu non sei nessuno per giudicare il mio lavoro"disse lui fermo mentre le prendeva un polso ma Wanda lo guardò con uno sguardo di fuoco
"Perché sono qui allora?"
"Sei qui perché ti ho trovata io, quasi morta, in un capannone con cinque criminali che lavorano per qualcuno di più grande, di più pericoloso... Zemo, che non sai chi sia ma lascia che te lo spieghi..."disse lui ora guardandola con severità
"È un terrorista, i suoi attacchi sono sempre stati organizzati in maniera dettagliata... Parigi, Roma e Bruxelles ma ora il suo obbiettivo non è quello. Zemo conosceva tuo fratello gemello Pietro, non te ne ha parlato?"chiese lui alla fine e lei rimase scioccata
Non sentiva il nome di suo fratello da tanto tempo, non cercava di nominarlo per nessuna ragione al mondo, anche perché se lo faceva sentiva dentro il suo cuore solo un peso formarsi che si faceva via via sempre più pesante, come un macigno da portarsi sulle spalle mentre si scala a una montagna. La stessa montagna che Wanda pensava di aver scalato, dove pensava di aver raggiunto la cima, ma non è stato così. Era come se quella montagna fosse un vulcano e tutta la sua lava rossa l'avesse bruciata e l'avesse fatta cadere giù, senza nessuna speranza di potersi salvare. I problemi a cui cercava di non pensare, che aveva accantonato per un sacco di tempo erano ritornati e la stavano travolgendo.
"No... mio fratello Pietro è morto da quasi quattro anni"
"Zemo cercava il plutonio da tuo fratello per costruire armi nucleari, una sola particella gli basterà per innescare tre di queste... tuo fratello in principio accettò il contratto, non sapendo che cosa avrebbe dovuto fare. Lui studiava geologia, non è vero?"
"Si... come fai a sapere tutte queste cose? Sei una spia?"
"Sono solo un agente della CIA, seguo il caso di Zemo da poco, la morte di tuo fratello era una delle cose che non mi erano chiare... mi mancava un tassello, ed ora eccoti qui"
"Se pensi che ti darò una mano nel tuo caso ti sbagli, ho promesso a mio fratello che nessuno avrebbe avuto ciò che lui mi ha dato"
"Se il plutonio è l'unica cosa che il tuo gemello ti dà in eredità sono davvero sorpreso, visto il vostro rapporto così forte pensavo ti avrebbe dato almeno qualcosa di più valido non un'arma senza sapere che questa, se nelle mani sbagliate, potrebbe uccidere chiunque"
"L'hai detto tu stesso che Pietro è morto per mano sua, per mano di Zemo... e ti ringrazio guarda, per un'attimo avevo rimosso questo trauma"
"L'ho detto, è vero... ma io mi riferivo alla tua morte, visto che, se quello che tu consideri eredità, non sarà nelle sue mani, ucciderà chiunque... a partire da te"
Il sangue nel corpo di Wanda smise per un'attimo di circolare, era come se i suoi muscoli non rispondessero e la sua mente si fosse fermata, insieme al suo cuore. Era davvero la soluzione giusta quella di scappare, di continuare a fare finta di niente? Di trovare il rimedio solo in sotterfugi, in scorciatoie? Oppure qualcuno gli aveva fatto il miracolo dall'alto in modo che si rendesse conto che tutto questo non sarebbe riuscita a portarlo avanti? Quindi quella occasione che si era presentata davanti a suoi occhi, e che ora la guardava, era davvero l'occasione per salvarsi?
"Ti aiuterò..."
"Io non ti ho chiesto nessuno aiuto"
"Beh... senza di me, molte informazioni non le avresti e sai meglio di me che non ho protezione lì fuori"
"Ti devo proteggere? Pensavo lo sapessi fare bene da sola"
"Non troppo..."
"Bene, se proprio vuoi aiutarmi e aiutarti... metti la sveglia alle sette domattina"
"Cosa?"
"Per caso nel tuo appartamento nell' Upper East Side ti alzavi dal letto a mezzogiorno?"chiese lui con sarcasmo mentre si alzava dalla sua sedia per dirigersi alla porta
"Non sai niente di me"
"So più di quanto immagini"disse lui avvicinandosi a lei
Non aveva visto, fino a quel momento, di che sfumatura fossero i suoi occhi ed ora che erano vicinissimi potè tranquillamente notare come erano perfetti. Era quasi scontato dire che ci si poteva vedere il mare ma non era quello solito che a lei mancava, per via delle vacanze passate in Grecia oppure in Spagna, era un mare di emozioni che Wanda avrebbe scoperto e vissuto presto.
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11 Gennaio 1945: Cattura di Piero Pinetti
Nato il 3 dicembre 1924 a Genova.
Di professione meccanico, assunto presso l’Ansaldo di Sampierdarena (GE).
Membro del partito comunista clandestino, dopo l’armistizio partecipa alla lotta di liberazione impegnandosi, almeno inizialmente, in diversi compiti organizzativi.
Entrato nelle fila della 175ª Brigata Garibaldi SAP (poi Brigata Guglielmetti, dislocata a Genova-Val Bisagno), nell’agosto del 1944 ne diventa il vice-comandante. Caduto in una trappola tesagli da alcuni elementi della X Mas, che gli danno un falso appuntamento per un rifornimento di armi, Pinetti viene arrestato in via Bobbio, a Genova, l’11 gennaio 1945.
Imprigionato nelle carceri cittadine di Marassi, il 29 gennaio viene processato e condannato a morte dal tribunale militare straordinario, riunitosi a Palazzo Ducale. All’alba del 1º febbraio 1945 viene prelevato dalla cella e condotto presso il Forte Castellaccio, un antico bastione situato nell’entroterra della provincia di Genova, dove viene fucilato dalle Brigate Nere assieme a Sabatino Di Nello (Pietro Silvesti), Alfredo Formenti (Brodo), Angelo Gazzo (Falco), Luigi Achille Riva (Foce) e Federico Vinelli (Ala-Seri), tutti partigiani condannati a morte e detenuti nel penitenziario di Marassi.
Il seguente racconto, tratto dal giornalino “Il Quartiere”, è stato narrato dalla signora Ida Folli:
“Quel mattino del 1^ febbraio 1945 una nebbia fitta e densa permetteva di vedere a pochi metri di distanza; erano circa le sei quando venni svegliata da alcuni colpi battuti alla porta di casa. Erano le Brigate Nere che volevano sapere dove fosse l’ingresso del Forte Castellaccio; mi portai sulla strada per indicarglielo e notai che vi erano alcuni automezzi fermi con il motore acceso che invertirono poi il senso di marcia e ridiscesero. Circa un’ora e mezza dopo, come di consueto, mi avviai per la strada che scende al Righi per recarmi al lavoro ma, giunta sull’ultima curva prima del ponte levatoio, venni fermata dalle Brigate Nere e invitata a tornare indietro.
Mentre discutevo con costoro per vedere di riuscire a passare e proseguire, le grida di un giovane che invocava la mamma mi fecero ammutolire e trasalire; subito dopo alcune raffiche di mitra soffocarono quelle invocazioni. I colpi isolati che seguirono furono più eloquenti e mi fecero capire cosa stava succedendo.
Non contai più il tempo e quando mi fecero proseguire, stavano caricando le casse funebri precedentemente allineate ai margini della strada sui terrapieni dopo il ponte.
I soldati del Comando dell’Artiglieria della Repubblica Sociale Italiana, alloggiati nel Convento delle Suore Crocifisse sfollate a Stazzano (AL) , avevano fornito loro le sedie prese in chiesa e servite per i condannati a morte, e adesso le riportavano indietro. La nebbia aveva impedito loro di trovare l’ingresso del Castellaccio e così, con il servizio ausiliario di becchini, i soldati fucilarono i Partigiani sotto il ponte levatoio. Se fossero entrati nel Forte, sedie e becchini li avrebbero forniti molto probabilmente i Risoluti o i Bersaglieri.”
LETTERA DI PIERO PINETTI ALLA MADRE
“Genova 29 gennaio 1945
Carissima mamma,
quando tu leggerai queste
mie ultime righe il mio sangue avrà forse da
un pezzo smesso di circolare nel mio corpo.
L’ultima volta che ti vidi mi dicesti di farmi coraggio e mantenendo fede alla parola data vado incontro alla morte senza paura e senza sgomento.
Ti riuscirà forse difficile comprenderlo, ma sappi che chi ha reclamato il frutto del tuo sangue e chi lo ha giudicato, sono stati gli uomini.
A parer mio tutti gli uomini sono soggetti
a fallire e non hanno perciò diritto di giudicare
poiché solo un ente superiore può giudicare tutti
noi che non siamo altro che vermi di passaggio su questa terra.
Ciò che ho fatto è dovuto al mio fermo carattere
di seguire un’idea e per questo pago con
la vita come già pagarono in modo ancora più
orrendo ed atroce migliaia di seguaci di Cristo
la loro fede.
Io ho creduto in questo, sia giusto o sbagliato,
ed ho combattuto per questo fino alla fine, non negandolo a nessuno. Con questo non posso far altro che dirti di combattere il dolore che ti ho causato e di perdonarmi se ti riesce nella possibilità di farlo.
Ti prego di rimanere calma e di non lasciarti battere e di non pensare a combinare sciocchezze
poiché allora implicheresti la tua stessa esistenza ed allora la sventura verrebbe duplicata.
Devi adattarti al pensiero che io avrei potuto mancare a te, in migliaia di casi, di malattia, al fronte, ecc. Come vedi il fato era diverso la sorte sempre la stessa. Tu sai che in vent’anni io ho avuto molto a che fare con la vita ed ho avuto pure dei profondi abbattimenti morali tanto che in questi momenti la vita mi pesava.
Con ciò non voglio dirti di perdonarmi del dolore e dell’ingratitudine che ho avuto per te.
Ricordati però che ciò nonostante non ho mai cessato di amarti e di ricordare ciò che hai fatto per me.
Con questo ti invio un aff.mo bacio come ultimo
ricordo del tuo carissimo figlio
Pinetti Pietro”
LETTERA DI PIERO A MARIA
“Genova 29 gennaio 1945
Pinetti Pietro
Signorina Cappellotto Maria
Via Ponte Carrega 7/6
Carissima Maria,
come immaginerai chi ti scrive per la
prima e l’ultima volta è Piero.
Come vedi, attendo di ora in ora la fucilazione per reati politici. Voglio che tu comprenda da queste mie
poche righe che un ultimo pensiero come lo rivolgo ai miei genitori ed alla zia lo rivolgo anche a te.
Credo capirai quanto ti ho rispettato e non abbia mai disperato sull’avvenire. Vorrei che dessi con questo un ultimo sguardo all’affezione che ho avuto per te per comprendere quanto abbia potuto amarti. Oggi non spero più, ho seguito una strada che mi ha condotto alla tomba e che non mi ha permesso neppure di rivederti, come non rivedo da 19 giorni i miei cari parenti. Ricordati che tu sei stata sempre e nonostante tutto la mia più cara e testarda amica, che ha fatto tanto fantasticare il mio povero cervello, e che perciò a te sola, di tanti scrivo.
Non so se tu proverai un sincero dolore per questa disgrazia che strazierà il cuore della mia povera mamma, ed è per questo che ti prego di cercarla, e cercare di farla dimenticare, di rincuorarla ed incoraggiarla. Chi ti parla in questo momento non è altro che un fantasma, un moribondo che spera ancora in una cosa:
che la sua povera mamma si dia pace; ed è per questo che t’invoco che tu voglia cercare di far qualcosa per lei. Ti ringrazio contento che tu non mi negherai questa mia ultima ed umana preghiera.
Ti prego volermi pure salutare la zia e tutti i tuoi parenti, soprattutto la piccola Elsa. Ti auguro per l’avvenire la più assoluta felicità e ti prego volermi ricordare come un fratello. Attendendo impazientemente la morte t’invio un carissimo e fraterno abbraccio.
Tuo aff.mo e sincero amico Piero”
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La mente pian piano incomincia ad andare altrove. Si intensifica con qualcosa di prettamente potente. Forte. Una sensazione di felicità che sfiora la pelle, colpendo i muscoli, entrando nelle ossa a tal punto da rompere la gabbia toracica, dando luce al cuore. Qualcosa che riempie le viscere, scombussola lo stomaco e stringe il fegato. E’ una sensazione di pura consapevolezza, di forza e potenza. Un ricordo felice che viene guardato nella propria memoria, così vero, così reale e puro, che s’intensifica ogni secondo che passa, arricchendosi di dettagli. Non c’è un vero e proprio gesto con il catalizzatore, solo un semplice movimento naturale, come un accompagnamento verso l’esterno, seguendo l’intenzione di ciò che la mente continua a creare. Perché è man mano che si stagliano degli occhioni carta da zucchero, su un viso spruzzato di lentiggini, incorniciato da capelli lisci castani e una frangetta che la rende più adulta; Corine. Perché è a lei che vorrebbe che quel patronus messaggero corporeo arrivasse, così, silenzioso, senza dire nemmeno una parola; nemmeno uno sbuffo, nemmeno una voce. Un « Expècto Patrònum. » verbale che fuoriesce preciso, sicuro, marcato dalle proprie labbra, riaprendo gli occhi al termine per capirne la realizzazione e controllare che questo fluttui davvero in aria. Nella speranza, poi, che uno scoiattolo ‘rosso’ in quella forma perlacea argentata, zampetti nel vuoto, compiendo il suo ‘lavoro’, irrompendo in quel locale, direzionandosi con una scia delicata verso il tavolino circolare occupato dalla Corvonero, eseguendo una leggiadra trottola intorno a lei, prima di dissipare nel nulla. Nel totale nulla. E in quell’ufficio postale, l’attesa di quella consapevolezza nel sapere che tutto sia andato secondo i suoi piani.
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C’è solo questa vita. Ed è bella, anche quando cerchiamo un abbraccio che ci scaldi il cuore per via del freddo, il freddo dentro… C’è solo questa vita. E io vi auguro un tramonto tanto bello da farvi piangere di gioia, da farvi alzare le braccia al cielo urlando: “Io ci sono!”. Uno di quelli che ci ricorda che non è mai la fine, perché il giorno e la luce non sono altro che l’inizio delle stelle e la luna. Un’onda circolare. Come il bene, come l’amore… E non sarà mai davvero finita perché noi inventeremo un finale sempre nuovo! C’è solo questa vita. Pensateci quando decidete di non chiamare un amico dicendo “lo faccio domani”. Fatelo subito! Ma che aspettate? È il vostro amico, la vostra amica, la vostra vita! Sono le vostre persone! È tutto quello che resta, è tutto ciò che abbiamo. Chiamate i vostri genitori, se avete la fortuna di averli, passateli a trovare, stappate una bottiglia buona per loro, è questa la vostra migliore occasione per brindare. È adesso! Chiamate i vostri fratelli e urlategli che li amate! Che si aggiusterà tutto! Che andrà tutto bene… C’è solo questa vita. Ed è bella, cavolo! Pure se qualcosa è andato storto, pure se qualcuno non c’è più, pure se pensavi fosse lei quella giusta e invece no, pure se pensavi fosse lui quello giusto e invece no, pure se stai combattendo una battaglia per farcela, ecco, sorridi lo stesso, se trovi la forza! Perché quando ridi l’universo lo sente e, in fondo, quando ridi, tu ce l’hai già fatta! C’è solo questa vita. Le occasioni dell’amore sono rare, sta a voi coglierle, sta a voi proteggerle, decidete voi se lottare o scappare, se farvi battere dalla paura o avere coraggio. Se ne vale la pena significa che merita coraggio, non cercate scuse, non inventate alibi, le vostre catene sono le vostre catene, potete scioglierle solo voi, uscite da quella gabbia, e non temete il vento forte e il mare grosso, li attraverserete come guerriere, la tempesta finirà, la batterete, e sarete felici! C’è solo questa vita. E io vi auguro questo: il coraggio della felicità. È lì, subito dopo tutta quella paura. Forza, è adesso il momento... Saltate! Prendetevi l’amore! Prendetevi la vita! Perché c’è solo questa, di vita…
Roberto Emanuelli
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