#fedeltà a sé stessi
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Riflessione de giorno: Crescita e il Cambiamento: L'importanza di Rimanere Fedeli a Sé Stessi
Nella vita, siamo costantemente messi di fronte a scelte che ci spingono a cambiare, a reinventarci e a crescere
Riflessione sulla Fedeltà a Sé StessiNella vita, siamo costantemente messi di fronte a scelte che ci spingono a cambiare, a reinventarci e a crescere. Il cambiamento è inevitabile, fa parte del naturale ciclo della vita. Tuttavia, in questo incessante percorso di trasformazione, una domanda fondamentale si pone: come possiamo continuare a cambiare senza perdere la nostra essenza? La fedeltà a sé…
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La gioventù porta a cercare una corrispondenza il più totale possibile tra sé stessi ed i soggetti con cui ci si relaziona, siano essi amici o amori, ma anche artisti, fazioni politiche e sociali, squadre di calcio; una corrispondenza che sappia abbracciare le estetiche, gli impianti valoriali, le idee, gli approcci al mondo (grande e terribile) che c’è là fuori.
Ci si concede minimi spazi di deroga, alla prerogativa suddetta, finendo per clonarsi e per cercare cloni, anche rumorosamente, sbandierando acconciature di capelli simili, magliette tazebao che sbraitino tanto come la pensiamo quanto chi la pensa esattamente come noi, prese di posizione perentorie e dell’elasticità (assente) del marmo di Carrara.
Questo modo d’essere contribuisce per certo a definire l’identità di un individuo in maniera netta, tracciando linee evidenti come se fossero ripassate a china, ed a cementare il corpus di ideali e principi astratti da declinare poi nei comportamenti d’ogni giorno, ma altrettanto esclude, seleziona a priori, finendo poi per tenere lontano, finendo poi per far perdere esperienze, confronti, fruizioni solo perché non sufficientemente fedeli alla propria linea (e la fedeltà alla linea, fra poco, sarà evidente che non è stata citata a caso.
Io ero un giovane adolescente a metà degli anni ottanta, alla ricerca, come milioni di miei simili, di una forma (che sapesse poi diventare sostanza) da prendere, ideologicamente e politicamente, umanamente ed individualmente, e l’inciampo nelle opere musicali (folli e sconclusionate, quasi parodistiche, ma di un’ortodossia sociale cristallina) dei CCCP-Fedeli alla Linea, capitanati da Giovanni lindo Ferretti e Massimo Zamboni, furono forgianti e fondamentali, nel mio percorso: la logica lineare, e di matrice aristotelica, dell’interpretazione della società del socialismo degli albori s’appoggiava perfettamente al mio istintivo ed euclideo modo di pensare, il sillogismo ferreo di valutazione oggettiva e consequenzialità d’azione della dinamica ideologica era esattamente il mio strumento di osservazione ed analisi della realtà.
Capirete la delusione quando, tutto ciò, finì nel gigantesco incendio che la caduta del muro, nel 1989, innescò e che cancellò, o quantomeno archiviò come fallimentare l’esperienza del blocco est-europeo.
E capirete ancora meglio la delusione quando Giovanni Lindo Ferretti rinnegò ciò che era stato e ciò che aveva pensato per vestirsi di un cattolicesimo dogmatico, agreste e rituale, da cui, sostiene nei suoi scritti, proveniva ed di cui aveva sempre fatto parte, riducendo il suo allontanamento da esso ad una mera manifestazione della necessità educativa di ribellione tipica dell’adolescenza e della prima età adulta.
La delusione fu così forte che, per anni, a quella musica, che fu parte integrante della colonna sonora dei miei anni liceali, non seppi più nemmeno avvicinarmi. Per fortuna si cresce e ci si relativizza.
Per fortuna si cresce, forse (anche solo perché ci si è dimostrati capaci di essere sopravvissuti a lungo) ci si fortifica, e non si ha più bisogno di pensarla uguale su tutto per essere amici, per volersi bene, per godere di una manifestazione dell’arte.
Per fortuna.
E complice anche il tour che i CCCP (e basta, nel nome, adesso) hanno fatto quest’estate (intitolato In Fedeltà la Linea C’è) hanno orchestrato quest’estate, con l’infinita sensibilità poetica di Giovanni Lindo Ferretti (e forse con la mia adolescenza) ho fatto pace.
Pace, proprio, nella misura in cui sono più pacifico, meno inquieto, nelle mie giornate: ed anche più, paradossalmente sicuro, dei miei valori, anche se sono meno le persone che li condividono.
Giovanni Lindo Ferretti incluso.
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati. Umberto Galimberti
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La doppia morale del ministro Valditara, sospende un professore per quel che ha detto fuori dalle mura scolastiche ma rivendica il proprio diritto di manifestare davanti ad un tribunale come un “semplice cittadino” La sanzione inflitta dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio, diretto da Anna Paola Sabatini, una rampante democristiana prima in quota Pd poi passata a Forza Italia, contro Christian Raimo (tre mesi di sospensione dall’insegnamento con dimezzamento dello stipendio), professore di filosofia in un liceo romano, vivace animatore culturale, già assessore alla cultura del III municipio del comune di Roma, candidato per Avs alle ultime elezioni europee, per aver espresso critiche molte aspre contro la politica dell’istruzione condotta dall’attuale ministro Giuseppe Valditara, non è solo un segnale ulteriore dell’autoritarismo di questo governo, composto da un ceto politico insofferente alle critiche e vigliaccamente vendicativo, ma la conferma della torsione disciplinare introdotta con la controriforma del voto in condotta che va di pari passo con regolamenti interni presenti in diversi istituti, ingiustificatamente repressivi, persino lesivi di alcuni diritti costituzionali degli stessi studenti. Ciò che più bisogna sottolineare in questa vicenda sono le modalità con sui è stata esercitata la rappresaglia del potere contro la parola critica. Il ministro, infatti, poteva ricorrere alla magistratura per far valere - se davvero queste erano fondate - le ragioni di un eventuale danno alla sua immagine. Quando si è espresso, infatti, Raimo non era in cattedra, non stava tenendo lezione ai suoi studenti ma parlava in uno spazio pubblico, all’interno di un dibattito sulla scuola durante la festa di Avs, lo scorso settembre. Era in qualità di cittadino e non di docente che Raimo interveniva esercitando un diritto costituzionale che forse a questo governo dispiace. Eppure la punizione comminata a Raimo non è quella di un giudice che avrebbe individuato contenuti diffamatori nelle sue dichiarazioni ma una sanzione inflitta per via gerarchica dal suo datore di lavoro, il ministero del Pubblica istruzione e – quanto mai – del (De)merito. E’ come se un chirurgo fosse stato sanzionato dal ministro della Sanità per quel che ha detto in una pubblica piazza. La classe docente non porta l’uniforme, non è armata, non esercita la forza legittima dello Stato per cui è legata dalla costituzione a stretti vincoli di fedeltà, condotta e riserbo. La classe docente non giura fedeltà ad alcun regime, è composta da liberi cittadini che all’interno della scuola devono rispettare un codice regolamentare e i doveri contrattuali e quando escono hanno la piena libertà di esprimersi e criticare nello spazio pubblico. Diritto che per altro il ministro Valditara rivendica per sé, senza riconoscerlo agli altri, quando come «semplice cittadino» - a suo dire - nonostante sia membro del governo, si è recato al presidio davanti al tribunale di Palermo per sostenere il suo segretario di partito Matteo Salvini accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio al processo Open Arms. Se questa sanzione non viene ricacciata indietro non si dovrà aspettare molto perché un qualunque ufficio scolastico si sentirà libero di sindacare anche i gusti sessuali e religiosi, oltre che politici, dei docenti fuori dalla scuola, perché questi possono «ledere l’immagine dell’istituzione scolastica». Non basta dunque la semplice solidarietà, serve anche reagire e mobilitarsi dentro e fuori le scuole e bene farà Raimo a presentare ricorso in sede amministrativa, perché ha ragione da vendere. Paolo Persichetti, Facebook
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Il significato di questi simboli:
Torcia infuocata:
Luce e conoscenza: La fiamma rappresenta l'illuminazione, la comprensione e la ricerca della verità. È spesso associata al sapere e all'intelligenza.
Passione e desiderio: Il fuoco simboleggia anche l'energia vitale, la passione e i desideri più profondi. Può rappresentare un obiettivo da raggiungere con ardore.
Trasformazione: La fiamma è un elemento dinamico, in continuo mutamento. Simboleggia la crescita personale, la rinascita e la capacità di superare le sfide.
Cane nero:
Fedeltà e lealtà: Il cane è da sempre considerato l'amico più fedele dell'uomo. Il colore nero può accentuare questo significato, indicando una devozione profonda e incondizionata.
Intuizione e protezione: Il cane è spesso associato a sensi acuti e alla capacità di percepire pericoli. Simboleggia la protezione e la guida spirituale.
Ombra e mistero: Il nero è un colore legato all'ignoto, all'inconscio e al mondo dei sogni. Il cane nero può rappresentare una parte nascosta di sé o una guida attraverso le tenebre.
Chiave:
Accesso e conoscenza: La chiave apre porte e sblocca segreti. Simboleggia l'accesso a nuovi mondi, a conoscenze nascoste e a poteri interiori.
Potere e autorità: La chiave è spesso associata a figure di potere e autorità. Può rappresentare il controllo su una situazione o su se stessi.
Soluzione e risoluzione: Trovare la chiave giusta è spesso sinonimo di risolvere un problema o di superare un ostacolo. Simboleggia la capacità di trovare soluzioni e di uscire da situazioni difficili.
#Symbols#Symbolism#FlamingTorch#key#black dog#Drawthisinyourstyle#art drawing#pencil drawing#hand drawn#art#artistic#drawing on paper#DrawSimbols
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«Se il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.»
(Umberto Galimberti)
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
Umberto Galimberti
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Cosa riesce a farti innamorare di una persona?
Bella domanda anon.
Ritengo ogni persona sia un soggetto a sé stante ed in quanto tale essa sia unica e speciale, non potranno mai esistere due individui uguali in tutto e per tutto, nemmeno i gemelli lo sono, eppure a livello estetico spesso possono apparire tali ai molti, ma ad un occhi attento o a quello dei loro cari nemmeno in questo caso lo sono e ciò poiché vi sarà sempre quel particolare che contraddistinguerà uno piuttosto che l'altro: una pagliuzza in più o in meno nell'occhio, una voglia in un punto particolare del corpo e così via e così anche chi dovrebbe essere identificato non lo è mai realmente.
È proprio questa unicità che contraddistingue una persona la prima caratteristica che mi affascina e che mi può portare a voler conoscere una persona in maniera più approfondita e non superficialmente. Non vi sono infatti caratteristiche che possiede solo una persona nello specifico, ma al contempo una caratteristica che in 100 possiedono può venire sviluppata in altrettanti modi di essere ed esprimersi, proprio per questo risultare insipida in alcuni soggetti ed invece sapida al punto giusto in altro casi e perciò suscitare la mia curiosità.
Non ritengo di essere una persona difficile in ambito amoroso quindi per farmi innamorare non occorre ricoprirmi di doni, che ritengo anche divenire superflui se continui e non necessari, oppure di parole e lusinghe cuore di sentimento e di dimostrazioni volte più ad esibire sé stessi che l'amore che si può provare per l'altro.
La prima "regola" che tutti dovremmo ricordarci per far innamorare una persona di noi, e non di una maschera oppure di un personaggio che ci siamo creati per conformarci alla convenzione sociale, è quella di essere noi stessi: belli, brutti, emotivi, riservati, studiosi, sportivi, eccentrici, timidi e così via. Se una persona riesce ad essere sé stessa e mi mostra il suo vero io già questa qualità può farmi innamorare, ciò dal momento in cui noto i suoi particolari, i cosiddetti pregi e difetti che plasmano quella persona e non un'altra.
Trovo i difetti particolarmente interessanti. Tutti siamo capaci di bearci dei pregi di una persona per la quale proviamo interesse e altresì siamo tutti soddisfatti quando in noi vengono notati e poi riconosciuti dei pregi, infatti facciamo di tutti perché siano ben visibili o pronti all'occorrenza; tuttavia, tutti, nessuno escluso, possediamo dei difetti che vogliamo sia nascondere, per paura del giudizio altrui,( sebbene io ritenga che il giudizio che temiamo di più e ci porti a nasconderli sia proprio il nostro) sia far amare all'altro in quanto ciò equivarrebbe per noi al riconoscimento del fatto di essere giusti. Osservando i difetti di una persona io posso innamorarmi di lei, sì perché in primis ciò che può risultare un difetto o una caratteristica negativa per l'altro può invece essere un particolare interessante o una caratteristica positiva per me; ad esempio: se una persona ritiene essere un difetto la timidezza, per me invece può risultare un pregio se mi piace che la persona con la quale interagisco arrossisca a un complimento. Al tempo stesso, come detto, anche una persona che riesce ad accettare i miei difetti, valorizzandoli e rendendoli belli può farmi cambiare idea su me stessa, farmi innamorare iniziando da farmi amare da me.
Stabilità,presenza,rispetto,lealtà,fedeltà, complicità, sincerità e fiducia sono caratteristiche che se combinate, equilibrate tra loro nel giusto mix mi fanno innamorare di una persona la quale dimostra di essere in qualche modo solida e matura abbastanza per poter far battere il mio cuore ad un ritmo maggiore e farmi pensare di poter costruire qualcosa di solido e duraturo,non sono fatta per lo stare insieme un giorno e lasciarsi il successivo.
Mi fanno innamorare le dimostrazioni d'affetto, di interesse e la voglia di farmi sentire apprezzata, voluta e cercata. Mi piace se mi si chiede come sto e si ascolta con vero interesse la risposta, ed ancora di più se coglie che magari dietro alle parole sto bene in realtà c'è della tristezza; se ricevo il messaggio del buongiorno o della buonanotte perché la persona fa caso ai miei orari e decide di mandarmeli per farmi svegliare col sorriso o se ha deciso di ricordarmi che mi pensa anche se occupata; mi strappa un sorriso sentire la voce di una persona che mi chiama o mi manda un vocale senza un motivo preciso, ma solo per farmi sapere che mi pensa.
Mi fanno innamorare i "mi manchi", i "ho visto questa o quella cosa ed ho pensato a te", i "ti penso", i "appena torno voglio stare con te", i "sei importante" e così via; mi fanno innamorare i gesti spontanei, farti senza bisogno che vengano chiesto: gli abbracci, stringere una mano, offrire ascolto se mi si vede triste, una coperta o una giacca se sento freddo, compagnia per la solitudine, un fiore colto da un prato, una lettera ecc.
Il modo di parlare o quello di camminare di una persona mi intrigano e possono suscitare in me curiosità, possono farmi innamorare se particolari,se noto una cadenza o un avvento particolare, se si aprono o chiudono le vocali, se mentre cammina prima muove il piede destro o il sinistro se sta scritto oppure no e tutti altri dettagli che possono diventare speciali per me e farmi riconoscere una persona tra le altre come unica al mondo.
Mi fanno innamorare due occhi che cercano i miei, che non hanno paura di sostenere il mio sguardo, che come io scruto il loro colore, la loro luce, la loro storia abbiano voglia di fare altrettanto con i miei; due mani calde o fredde, più o meno grande oppure più o meno morbide che però sanno stringere al momento giusto e mai per forza; un profumo scelto apposta per essere quello con il quale potrei identificare il suo arrivo o riconoscerlo in mezzo ad altri.
Le sorprese sono gesti che mi regalano ricordi ed esperienze che posso continuare a riportare alla mente e rivivere sempre con gioia, non serve esse siano di grande portata, perché quelle che apprezzo di più sono quelle semplici, creative e fantasiose, quelle che vengono dal cuore e dalla voglia del momento di vedermi sorridere non dettate dal fatto di dovermi stupire ad ogni costo o da convenzioni sociali per le quali per sorprendere il gesto deve essere estremo o ina qualche modo eclatante.
La premura mi fa innamorare, la complicità mi fa innamorare, la simpatia mi fa innamorare se non estremizzata al ridicolo, la cura, ma soprattutto la bellezza interiore, la sua essenza, il suo colore, la sua luce.
Per questo motivo ci sono caratteristiche che mi fanno innamorare di una persona, ma ogni persona in quanto unica potrebbe averne che non conosco e che potrebbero farmi innamorare e farmi dire in seguito che è stato merito loro se ho sviluppato questo sentimento.
Grazie della domanda.
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«Perdonare in primo luogo i nostri genitori, per l’immenso male che ci hanno fatto senza rendersene conto. Perdonare i nostri maestri e professori, soprattutto per la loro incompetenza, ma anche per la loro incuria e crudeltà, quando si sono vendicati su di noi per le loro frustrazioni. Perdonare i nostri amici – anche loro – dato che spesso non sono stati dei veri amici. E i nostri fratelli, perché sono stati instancabilmente in competizione con noi. I nostri partner, coniugi o amanti, perché hanno chiamato amore ciò che non era amore. O perché hanno permesso ingannevolmente o stupidamente che una storia d’amore si rovinasse. Perdonare i nostri compagni o colleghi, poiché hanno fatto l’impossibile per non farci primeggiare. I nostri figli, che hanno replicato con sconvolgente fedeltà i nostri difetti. I nostri discepoli, che ci hanno tradito uno dopo l’altro. I nostri nemici, che si sono accaniti contro di noi mettendo la nostra anima in pericolo.
È urgente perdonare i nostri governanti per il loro egoismo, per la loro goffaggine, per la loro vanità. Perdonare la nostra comunità religiosa per la sua indifferenza, per la sua intolleranza, per la sua frivolezza.
E soprattutto perdonare noi stessi, causa principale di tutti i nostri mali.
Perdonare sé stessi comporta lasciarsi giudicare, non condannarsi, analizzarsi; comporta smettere di essere esigenti con sé stessi, di guardare con insistenza al passato, di immaginarsi continuamente come avrebbe potuto essere tutto.
Perdonare sé stessi è riconciliarsi con ciò che si è stati e si è.
Fin quando non viene perdonato assolutamente tutto, non c’è niente da fare. Perdonare tutto persino a Dio, che ha pensato per noi qualcosa che non capiamo e che non avremmo mai scelto. Perdonargli persino il Suo amore, di fronte al quale ci sentiamo a disagio. Quel che rende più difficile il nostro cammino spirituale è proprio non perdonare. Per questo, se abbiamo qualcosa contro qualcuno, o qualcuno ha qualcosa contro di noi, fare la pace viene prima di tutto» (Pablo d’Ors, Biografia della luce).
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Se il tradimento non è solo un esercizio di sessualità, io penso che abbia una sua dignità. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi più autentica e vera.
Nasciamo nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi".
C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra.
Eppure senza questo profilo d'ombra, che puerilmente chiamano "fedeltà", è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile.
Fedeltà e tradimento devono l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal sonno e dalla pigrizia emancipativa scambiata per "amore".
Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza accorgersi che nel tempo della fedeltà la sua identità era solo un dono dell'altro.
Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
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2012 (2009)
Cronaca di un'apocalisse annunciata
Roland Emmerich va dritto per la sua strada. C'è in effetti una coerenza notevole, nel percorso cinematografico del regista di origini tedesche, che dai tempi del suo trasferimento a Hollywood non si è discostato (quasi) mai dal genere fanta-apocalittico che gli ha dato il successo. Basta questa fedeltà a sé stessi a delineare qualcosa che somigli a una poetica? A parere di chi scrive no, e non sarebbe utile, né produttivo, fare voli pindarici e dialettici per trasformare il cinema di Emmerich in ciò che non è; è infatti una tentazione assai pericolosa quella di cercare sottotesti e temi da "morte del cinema" in film che restano macchine da intrattenimento studiate e curate maniacalmente negli aspetti visivi e più superficialmente emotivi, in cui la narrazione in sé passa in secondo piano di fronte a uno stordimento sensoriale che diventa loro principale ragion d'essere. E' tenendo bene a mente questo discorso che ci si deve approcciare a un film come 2012, del regista di Stargate, imponente e rutilante Blockbuster che sfrutta paure e suggestioni new age per offrire l'ennesimo sfoggio di distruzione cinematografica.
E sembra effettivamente divertirsi come un bambino, Emmerich, a disintegrare sullo schermo città, nazioni e continenti, a offrire spettacoli di devastazione apocalittica tra crateri che si aprono e miracolosamente non ingoiano mai i protagonisti, grattacieli che crollano decretando in pochi secondi la fine della civiltà occidentale, vulcani che eruttano sputando fuochi che sembrano armi aliene, gigantesche maree che inghiottono politici e gente comune, militari e cantanti, eroi e codardi. In mezzo a tutto questo, uno scrittore squattrinato e divorziato che cerca di recuperare un rapporto con i suoi due figli, un hippie mezzo svitato che, come da copione, aveva previsto tutto, un presidente che con uno scatto di orgoglio patriottico decide di restare a fianco dei suoi cittadini, qualunque siano le conseguenze. E un programma segretissimo con lo scopo di selezionare i più adatti al proseguimento della specie, quelli che dovranno ricostruire la società dopo il cataclisma, quelli con le capacità (mentali e fisiche sulla carta, economiche nei fatti) più adatte alla sopravvivenza; il tutto su postmoderne arche che rinnovano un mito, quello del Diluvio, che si dice sia stato molla ispiratrice, nella mente del regista, per l'intero progetto. Ed è forse interessante, almeno a livello di curiosità speculativa, notare che il tema era già stato affrontato da Emmerich nel suo primissimo lungometraggio, intitolato 1997 - Il principio dell'Arca di Noè e realizzato nel 1984 per la Munich Film School, in condizioni produttive ovviamente lontanissime da quelle attuali.
E' forse utile spendere due parole anche sull'aspetto sociologico del film, sulle suggestioni che offre, sulle idee che cerca, più o meno consapevolmente, di veicolare. La profezia maya che colloca la fine del mondo alla data del 2012 resta fortunatamente sullo sfondo, mentre è comunque presente, nel film, il tema new age della rinascita, l'enfasi sul nuovo inizio e sull'importanza della solidarietà come fondamento per esso, l'ovvia affermazione della morale a stelle e strisce come base più adatta per realizzarlo. Tutti temi trattati in modo abbastanza schematico, soffocati dalle necessità di intrattenimento del film, non sviluppati da una sceneggiatura che volutamente non va a fondo, neanche nella definizione dei personaggi. I quali da par loro risultano stereotipi o poco più, con in testa quello di un John Cusack un po' statico nella recitazione, e di un Danny Glover che almeno non cerca mai di imitare Barak Obama.
E rimanendo in tema politico, risulteranno divertenti, per il pubblico italiano, i riferimenti alla nostra politica e specie al Presidente del Consiglio dell’epoca: i sorrisi più genuini (più o meno cattivi) vengono forse proprio da quelle scene. Ma in fondo i blockbuster (americani) non si occupano mai di politica estera. O sì?
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EMISFERO DESTRO CHIAMA
"Un inganno perpetrato dalla matrix è quello di aver confuso le menti delle persone attraverso romanzi e film, quello fondato sul…e vissero per sempre felici e contenti. Nietzsche, ne ridefinisce i limiti e i confini: "Si possono promettere azioni ma non sentimenti: questi infatti sono involontari. Chi promette a qualcuno amore eterno, odio eterno o eterna fedeltà, promette qualcosa che non è in suo potere".
Questo non significa che non si può amare tutta la vita una persona, ma non è detto che questo debba accadere sempre o costantemente soltanto perché viene promesso. Se il sentimento è puro, deve contenere in sé la libertà, non solo di amare chiunque, ma di cessare di amare quando quel sentimento si è trasformato in qualcos'altro.
Perché la libertà viene prima dell'amore, e se non si è liberi di amare come ci viene meglio, amore non è. Si è semplicemente prigionieri degli schemi dell'etica e della morale, e sopratutto della paura di essere se stessi e dunque di essere giudicati per ciò che si è".
Concordo. L'amore vero, che può essere eterno, esiste. Ma non può essere promesso, giurato e predefinito. Semplicemente accade, momento dopo momento. Come disse Emily Dickinson: Per sempre è composto da tanti "ora". Ed è qualcosa che trascende l'ego: origina direttamente dalle Anime. Col sostegno della mente, dei corpi e delle personalità, ovviamente 😉 Siamo fatti di Spirito, e siamo fatti di carne e sangue, attraverso i quali l'anima agisce e interagisce.
Resto comunque dell'idea che la Relazione d'Amore vada PROTETTA e PRESERVATA preventivamente attraverso gesti, azioni, intenti, pensieri ed energie. Nulla vive di rendita, nemmeno l'amore, e come tale va nutrito e coltivato nel tempo. Se scegliamo il mordi e fuggi, stiamo scappando. Se intraprendiamo un Percorso col nostro Amato, stiamo costruendo. E, pur senza obblighi o pretese, si può creare stabilità, si può stringere un Accordo, in Armonia, Amore e Complicità, finché le Anime saranno d'accordo.
Mi è stato detto che avrei fatto dei lavori e dei percorsi per coppie. Chissà…
Sinceramente io credo nella Coppia, intesa come Unione di polarità e intenti, come Accordo, Alleanza, come Scelta. E credo sia uno dei Doni più belli e veri della Vita. A saperlo riconoscere e valorizzare. Il Rapporto di Coppia è un rapporto di Complicità, che lungi dal limitarci e comprimerci, ci fa espandere nella Gioia©.
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Perché i gruppi di meditazione sono oggi così importanti?
In ogni progetto vitale abbiamo di solito bisogno di una squadra che ci sostenga con i talenti di ogni singolo componente; così, nell’impegno della contemplazione, abbiamo bisogno di una comunità che ci aiuti ad iniziare e a perseverare. La meditazione, come John Main ben sapeva, crea comunità perché ci rivela che noi tutti siamo collegati e che cresciamo in modo interdipendente. Il gruppo di meditazione è un’espressione di questa verità. Non c’è niente di nuovo nel fatto che dei cristiani si riuniscano a pregare. E’ un fatto che si ripete da sempre. Della piccola comunità di Gerusalemme, formatasi dopo la morte e la risurrezione di Gesù, si diceva che “l’intero gruppo di credenti era unito, in anima e corpo; erano uniti nella preghiera continua”.
Possiamo dire lo stesso dei gruppi di meditazione di oggi. Negli ultimi decenni c’è stata una trasformazione spirituale del panorama religioso, una rivoluzione silente, una rivoluzione in silenzio. E’ stata condotta non da un gruppetto di monaci, ma da uomini e donne comuni che vivono nel mondo, famiglie che lavorano e hanno figli. Non e’ stata una scoperta accademica. La pratica della meditazione nella vita di tante persone ha risvegliato la consapevolezza che la dimensione contemplativa della preghiera è aperta a ciascuno di noi ed è necessaria per tutti noi, religiosi e non religiosi. L’accesso non è ristretto. E’ un privilegio di grazia donata dallo Spirito a tutti. Ma come per tutti i doni dello Spirito, dobbiamo fare anche noi la nostra parte. La contemplazione è un dono e come tutti i doni deve essere accettato. Se vogliamo vivere la nostra vocazione individuale nella vita quotidiana con profondità e significato, dobbiamo ricevere attivamente il dono della nostra potenzialità per la contemplazione, curandocene con umile devozione e fedeltà quotidiana.
Non è una novità che il cristianesimo attraversi una fase di turbolenta transizione, da una mentalità medievale ad una moderna. Se ascoltassimo solo i media e i sociologi potremmo anche concludere che il cristianesimo sia giunto al declino terminale. Certo, le sue strutture e le sue attitudini stanno attraversando un processo di morte, ma al cuore della visione cristiana della morte c’è una speranza certa di risurrezione. Il gruppo di meditazione cristiana è uno di quei segnali positivi di speranza di vita rinnovata, un segno, autorevolmente silenzioso, del fatto che lo spirito prevale sul caos e sul collasso, e genera nuovo ordine e nuova armonia.
La meditazione è una pratica universale che conduce oltre le parole, le immagini e i pensieri verso un vuoto ricolmo di fede e di presenza, la povertà di spirito che noi chiamiamo il silenzio di Dio. Quel che è specificamente cristiano è la consapevolezza che tale pratica ci porta, attraverso la fede, direttamente nella preghiera di Gesù stesso. Questo significa che ci conduce ad una scoperta trasformatrice della sua presenza in noi (“Cristo in voi”). Quando condividiamo la consapevolezza umana di Gesù, che è aperta contemporaneamente a ciascuno di noi e a Dio, cominciamo ad essere davvero più aperti l’uno all’altro. Siamo in grado di creare e sperimentare l’unione di persone che chiamiamo comunità, un’unione che evolve e si sviluppa. Quando appaiono i frutti dello spirito – amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé – allora si rivela anche la grazia di riconoscere Gesù nel più profondo di noi stessi e vicendevolmente l’uno nell’altro.
Laurence Freeman OSB
Estratto da: “La perla di grande valore”
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Roberto Oliva "Fedeli al dono"
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2023) Vangelo: Mt 25,14-30 Essere credenti, in fondo, vuol dire essere fedeli. Fedeli a sé stessi, agli altri e al Dio dei doni. Alla fine della vita ci sarà richiesta questa fedeltà — concreta ma essenziale — non misurabile e non giudicabile. Il credente (pistos) ripone fiducia nelle cose e nelle persone, senza sorvolare troppo velocemente…
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#Commenti al Vangelo#OMELIE#Vangelo#Vangelo di Domenica prossima#XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
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Shoppy Code Recensioni
INDICEShoppy code come funziona? Shoppy Code: vantaggi e svantaggi Vantaggi: Svantaggi: Shoppy Code: principali funzionalità Shoppy code recensioni Shoppy Code è una piattaforma di commercio elettronico che si specializza nell'offerta di gift card per una varietà di servizi e marchi come Amazon, Apple, Conad, TheFork, Q8 e IP. Utilizzando un sistema di elaborazione delle transazioni in tempo reale, la piattaforma assicura la consegna immediata delle gift card direttamente nella casella di posta elettronica dell'utente. Oltre all'acquisto diretto di gift card, Shoppy Code implementa un sistema di punti fedeltà chiamato "PTS", che gli utenti possono accumulare e successivamente convertire in ulteriori gift card. Dal punto di vista economico, Shoppy Code funge da intermediario nel mercato delle gift card e offre un meccanismo di incentivazione economica attraverso il suo sistema di punti fedeltà. Questi punti, che variano in base all'importo speso, possono essere riscattati per ottenere gift card gratuite. In questo modo, la piattaforma crea un ciclo di acquisto e risparmio, servendo sia come un mezzo per fare regali che per gestire spese quotidiane, permettendo agli utenti di accumulare punti per ulteriori vantaggi economic
Shoppy code come funziona?
Shoppy Code è una piattaforma online specializzata nella vendita di gift card elettroniche per una varietà di marchi e servizi, come Amazon, Apple, Conad e molti altri. Ecco come funziona: - Selezione del Brand: Dopo aver acceduto al sito ufficiale di Shoppy Code, gli utenti possono selezionare il brand della gift card che desiderano acquistare. - Acquisto: Una volta scelto il brand, gli utenti possono procedere all'acquisto cliccando sul tasto "Acquista Ora". - Conferma dell'Ordine: Dopo aver completato l'acquisto, gli utenti ricevono una email di conferma dell'ordine con un riepilogo di ciò che è stato acquistato. - Consegna della Gift Card: Quasi immediatamente dopo l'acquisto, la gift card viene inviata all'indirizzo email fornito durante la registrazione o l'acquisto. - Sistema di Punti (PTS): Ogni acquisto effettuato sulla piattaforma consente di guadagnare punti fedeltà chiamati "PTS". Questi punti possono essere accumulati e successivamente convertiti in altre gift card. - Catalogo Premi: Gli utenti possono consultare il "Catalogo Premi" per vedere quali gift card possono essere riscattate utilizzando i punti PTS accumulati. - Metodi di Pagamento: Shoppy Code accetta vari metodi di pagamento, tra cui carte di credito e debito (VISA, MasterCard e Maestro). Al momento, PayPal non è un metodo di pagamento accettato. - Assistenza Clienti: In caso di problemi o domande, gli utenti possono contattare l'assistenza clienti attraverso una chat bot o via email all'indirizzo [email protected]. Questo modello di business non solo permette agli utenti di acquistare gift card per sé stessi o come regali, ma offre anche l'opportunità di accumulare punti che possono essere convertiti in ulteriori gift card, creando un ciclo di acquisto e risparmio.
Shoppy Code: vantaggi e svantaggi
Ecco un elenco dei vantaggi e degli svantaggi di utilizzare Shoppy Code: Vantaggi: - Ampia Selezione di Brand: Shoppy Code offre gift card per una vasta gamma di marchi e servizi, tra cui Amazon, Apple, Conad, TheFork, Q8 e molti altri. - Consegna Immediata: Le gift card vengono inviate quasi istantaneamente all'indirizzo email fornito dall'utente, rendendo il processo molto rapido. - Sistema di Punti Fedeltà (PTS): Ogni acquisto effettuato sulla piattaforma consente di guadagnare punti fedeltà, che possono essere accumulati e successivamente convertiti in altre gift card. - Facilità d'Uso: Il sito è facile da navigare e l'acquisto di gift card è un processo semplice e diretto. - Servizio in Italiano: La piattaforma è completamente in italiano, rendendo più facile per gli utenti italiani l'interazione con il sito. - Garanzia sugli Acquisti: Shoppy Code offre una garanzia su ogni acquisto effettuato, aumentando la fiducia degli utenti nella piattaforma. Svantaggi: - Limitazioni nei Metodi di Pagamento: Al momento, PayPal non è un metodo di pagamento accettato, il che potrebbe essere un inconveniente per alcuni utenti. - Scadenza dei Punti: Secondo guadagnissimo.com, i punti fedeltà (PTS) accumulati scadono ogni 31 dicembre, il che potrebbe essere un problema se non vengono utilizzati in tempo. - Assistenza Clienti Limitata: L'assistenza clienti è disponibile solo tramite chat e email, il che potrebbe non essere ideale per tutti gli utenti. - Nessun Rimborso per Carte Perdute: Se perdi la tua gift card, non puoi ottenere un rimborso o una sostituzione. Questi vantaggi e svantaggi possono aiutarti a valutare se Shoppy Code è la piattaforma giusta per le tue esigenze, specialmente se stai cercando modi per fare acquisti intelligenti online. Ecco qui sotto la tabella dei vantaggi e svantaggi di shoppy code Shoppy Code: Vantaggi e Svantaggi
Shoppy Code: Vantaggi e Svantaggi
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Shoppy Code: principali funzionalità
Le principali funzionalità di Shoppy Code sono le seguenti: - Vendita di Gift Card: Shoppy Code offre una vasta gamma di gift card elettroniche per vari marchi e servizi, tra cui Amazon, Apple, Conad, TheFork, Q8 e molti altri. - Consegna Immediata: Una volta completato l'acquisto, la gift card viene inviata quasi istantaneamente all'indirizzo email fornito dall'utente. - Sistema di Punti Fedeltà (PTS): Ogni acquisto effettuato sulla piattaforma consente di guadagnare punti fedeltà, noti come "PTS", che possono essere accumulati e successivamente convertiti in altre gift card. - Catalogo Acquisti e Catalogo Premi: Il sito offre due cataloghi distinti: uno per l'acquisto diretto di gift card ("Catalogo Acquisti") e uno per la riscossione di gift card tramite punti fedeltà ("Catalogo Premi"). - Metodi di Pagamento: La piattaforma accetta vari metodi di pagamento, tra cui carte di credito e debito (VISA, MasterCard e Maestro). Al momento, PayPal non è supportato. - Assistenza Clienti: Shoppy Code offre assistenza clienti tramite chat bot e email, fornendo supporto per qualsiasi problema o domanda possa sorgere durante l'utilizzo della piattaforma. - Garanzia sugli Acquisti: Ogni acquisto effettuato su Shoppy Code è coperto da una garanzia, aumentando la fiducia degli utenti nella piattaforma. - Interfaccia in Italiano: La piattaforma è completamente localizzata in italiano, rendendo l'esperienza utente più fluida per gli utenti italiani. Queste funzionalità rendono Shoppy Code una piattaforma versatile e utile per chi cerca di acquistare gift card online, sia per uso personale che come regalo, con l'aggiunta di un sistema di punti fedeltà per incentivare acquisti ripetuti.
Shoppy code recensioni
Le recensioni di Shoppy Code su Trustpilot e Guadagnissimo offrono una visione complessa della piattaforma. Secondo Trustpilot, la piattaforma ha ricevuto 4,611 recensioni con una distribuzione delle stelle che vede il 90% delle recensioni a 5 stelle e solo una piccola percentuale di valutazioni più basse. Gli utenti elogiano la vasta gamma di gift card disponibili e la consegna immediata. Tuttavia, alcune recensioni negative indicano che il risparmio potrebbe non essere significativo per tutti gli utenti; ad esempio, un utente ha sottolineato che spendendo 100 euro, si risparmiano solo circa 2 euro. Dall'altro lato, Guadagnissimo elogia il sistema di punti fedeltà (PTS) di Shoppy Code, che permette di accumulare punti per ottenere gift card gratuite. Tuttavia, il sito evidenzia anche alcuni svantaggi, come l'assistenza clienti limitata a chat e email e la scadenza dei punti fedeltà ogni 31 dicembre. In generale, le recensioni suggeriscono che Shoppy Code è una piattaforma affidabile per l'acquisto di gift card, ma i vantaggi in termini di risparmio potrebbero variare da utente a utente. Read the full article
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Dopo la confessione messianica di Pietro a Cesarea di Filippo, inizia una nuova tappa di Gesù che “cominciò a spiegare”. In questo nuovo inizio i tratti sono disegnati dal primo annuncio della sua passione, morte e resurrezione. Gesù mostra come unico segno della sua identità messianica la sua passione, morte e resurrezione. Gesù è appena stato confessato Messia da Pietro! Gesù specifica in che cosa consista la sua identità messianica. Gesù svela il suo mistero, il segreto della sua identità profonda, intima, personalissima, ricevuta dalla volontà di Dio. La necessità della sua passione è inscritta nel ministero profetico.
La vocazione è sempre l’incontro tra la parola e la libertà di un uomo che si sente raggiunto in prima persona dalla parola e dalla volontà. In quell’incontro si manifesta l’azione dello Spirito e si esprime l’obbedienza creativa della persona.
Le parole di Gesù suscitano la reazione indignata di Pietro. Reazione verbale ma anche fisica. Pietro “prende con sé” Gesù, lo “trae a sé”, e accompagna questo gesto con le parole scandalizzate e di rimprovero: “(Dio) ti preservi, Signore, questo non ti accadrà mai!” (Mt 16,22). Per Pietro, ciò che Gesù ha detto è semplicemente irricevibile. L’idea di Messia che Pietro ha in mente è assolutamente inconciliabile con il destino di sofferenza e di morte. Ma Pietro sta proiettando su Gesù i propri desiderata, la propria immagine del Messia. E Gesù rivolge un rimprovero a Pietro: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
È bello cogliere come Gesù reagisce anche con un gesto: Gesù “si sottrae”, “si volta” e rispedisce Pietro dietro a sé, nella posizione del discepolo che segue il maestro. Pietro, il beneficiario della rivelazione del Padre, ora è apostrofato come “satana”, il destinatario della beatitudine è ora motivo di scandalo, la roccia è ora pietra d’inciampo. In Pietro queste dimensioni contraddittorie convivono, come convivono in ogni credente possibilità di fede e di non-fede, di comprensione e di ignoranza, di fedeltà e di abbandono, di umiltà e di supponenza. In particolare, di fede e di sufficienza, di adesione al Signore e di presunzione di sé.
È bello cogliere come dopo aver annunciato la sua passione, Gesù annuncia la passione del discepolo: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Rinnegare è verbo del linguaggio che indica il rifiuto di difendere qualcuno.
Il “rinnegamento��� di Pietro comprende il suo rifiuto di difendere Gesù. Rinnegare se stessi e prendere la propria croce significa rinunciare a difendersi e a giustificarsi e assumere e portare lo strumento della propria condanna a morte.
“L’espressione ‘prendere la propria croce’ mira a un avvenimento del tutto concreto: il condannato alla crocifissione deve compiere un itinerario tra la moltitudine urlante e ruggente. L’amarezza di questo cammino sta nella sensazione di essere scacciato senza pietà dalla società e consegnato senza difesa all’oltraggio e al disprezzo. Chiunque mi segue, dice Gesù, deve rischiare una vita difficile quanto la via crucis di un condannato in cammino verso il patibolo” (Jeremias).
Siamo chiamati a rinunciare all’idolatria di sé, uscendo da meccanismi di autogiustificazione, abbandonandosi al Signore in una follia in cui risiede il segreto della libertà del discepolo. Segreto che comporta la coscienza che la sequela si spinge fino alla morte contemplando la possibilità della perdita della vita. La follia evangelica fa sì che perdere la vita per il Signore e per il vangelo sia, in verità, trovarla, esservi immerso pienamente.
La situazione di uomini tesi a possedere, a estendere il proprio agire e il proprio accumulare al di fuori di sé, di fatto è fallimento della propria vita, perdendo se stessi. Forse, tutti estroversi proprio per non incontrare se stessi, per non entrare nel doloroso faccia a faccia con se stessi.
Se Pietro aveva manifestato la sua opposizione alla prospettiva della passione e morte di Gesù, evidenzia che l’assunzione della croce per il discepolo è irricevibile.
Nella vita cristiana la croce non la si sceglie: la si riceve. Si tratta di un indesiderabile, di un irricevibile, di qualcosa che sentiamo come assolutamente da rigettare, perché insensato, disumano, ingiusto, ripugnante: ad essa ci ribelliamo con le nostre forze. Salvo poi doverci rendere conto che forse proprio lì, in quell’indesiderabile che è avvenuto, in quell’impensabile che ci è piombato addosso, si cela la forma della nostra croce: “prenda la sua croce”.
Come ha scritto Bonhoeffer: “attraverso ogni evento, quale che sia eventualmente il suo carattere non-divino, passa una strada che porta a Dio”. Questo è ciò che ha vissuto Gesù assumendo la sua croce.
Ma Gesù come ha vissuto il rinnegamento di sé, il prendere la croce? Non la croce ha reso grande Gesù, ma la vita di Gesù ha dato senso anche alla croce quando vi è stato appeso. È la vita di Gesù spesa nell’amare, nel riconoscere e venire incontro all’altro nel suo bisogno; è la vita di Gesù segnata da fraternità, affetti, contemplazione del creato, incontri gratuiti.
Fedeltà a Dio e solidarietà con gli uomini sintetizzate in un unico amore a Dio e al prossimo. Gesù non ha mai avuto come fine l’auto-annichilimento, il perdere la propria vita, ma il viverla pienamente e gioiosamente perseguendo la libertà e l’amore. Amando liberamente fino alla fine, fino all’estremo, fino al punto di non ritorno. Gesù ha vissuto donando vita: a malati, a peccatori, ad emarginati, a disprezzati. Gesù ha saputo, ha scelto e voluto dare vita.
Il suo perdere la propria vita, è stato un donare tempo, forze fisiche e spirituali, energie psichiche e affettive: Gesù ha donato la sua vita dando vita agli altri. Non è stato un mero perdere, ma un donare, un generare, un trasmettere.
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