#fantascienza e filosofia
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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Le Timeo - La Genesi di Antonio Guastella: una straordinaria odissea tra distopia, scienza e filosofia. Recensione di Alessandria today
Autore: Antonio GuastellaAnno di pubblicazione: 26 febbraio 2025Genere: Fantascienza, Distopia, Filosofia, AvventuraValutazione: ★★★★☆ Un viaggio oltre il tempo e la conoscenza In Le Timeo – La Genesi, Antonio Guastella ci trasporta in un futuro distopico in cui il passato è stato cancellato e la conoscenza è proibita. La storia segue Ant, un giovane cresciuto in questa società controllata, che…
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abatelunare · 1 year ago
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Una vita da lettore
La mia vita di lettore è sempre stata caratterizzata da una serie di scelte cruciali, che hanno comportato, volta per volta, almeno una dolorosa esclusione. Alle medie leggevo soltanto i romanzi di fantascienza della collana Urania. Nel contempo, mi dedicavo ai fumetti: Superman e l'Uomo Ragno. Alla fine delle medie, ho compiuto le prime due scelte. Basta Urania. E basta Superman. Ho portato avanti unicamente l'Uomo Ragno. Al liceo sono sbocciato come secchione nelle materie umanistiche (italiano e filosofia, sostanzialmente). Alla fine del quinto anno, ho compiuto un'altra scelta. Basta Uomo Ragno. Solo libri. I fumetti, però, li amo ancora. Anche se non li compro più.
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multiverseofseries · 1 year ago
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Dune
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LA RECENSIONE IN BREVE
- Dune mette in scena solo la prima metà del romanzo, gettando solide basi per reggere una storia estremamente complessa.
- Villeneuve prende decisioni che possono piacere o meno, ma dimostra piena consapevolezza della materia narrativa che sta adattando.
- Il minuzioso world building non rappresenta una premessa, ma è essenza stessa di Dune.
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«Io sono un seme» è ciò che dice Paul Atreides a circa metà del romanzo scritto da Frank Herbert nel 1965. Una rivelazione indottagli della spezia geriatrica, la droga che altera la percezione spazio-temporale, e che impregna l’aria di Arrakis, o meglio conosciuto come Dune. È in quel momento che il ragazzo smette di essere, improvvisamente, solo un ragazzo. E per la prima volta, Paul, figlio del Duca Leto Atreides e Lady Jessica, educato dalla donna alle sacre vie del Bene Gesserit, esprime consapevolezza di sé, trovando alcune dolorose risposte alle sue domande, nella conclusione del primo arco narrativo del suo personaggio. Primo arco narrativo di molti, tanti quanti sono i nomi con cui verrà chiamato all’interno del libro: Muad'dib, Usul, Lisan al Gaib, Kwisatz Haderach, Madhi. Un seme, creato con un determinato scopo, certo, ma dalla crescita imprevedibile, che penetra in profondità, si diffonde, si trasforma, e modifica il territorio circostante.
Dune di Frank Herbert, è uno dei romanzi di fantascienza più influenti di sempre, il libro ha dato origine a una saga che ha cambiato profondamente l’immaginario collettivo a partire dalle sue fondamenta, è esso stesso un seme. Lo è nel suo modo di contenere tutta una serie di idee, temi, suggestioni, capaci di sbocciare in luoghi e situazioni sempre diverse, senza però perdere specificità. Perché, questa saga, dietro la sua facciata di epica eroica di tradizione classica, che sembra solo apparentemente seguire il monomito, ovvero il viaggio dell’eroe (di cui, in realtà, Dune rappresenta un’aspra critica), la storia di Paul e dei Fremen, il popolo nativo di Arrakis, è invece un romanzo che a volte sembra un trattato di filosofia, di psicologia, di etica o di religione. Altre acquista connotati politici, parlando di lotta di classe e degli effetti del colonialismo, mettendo in discussione sia le figure messianiche che i leader carismatici. Altre ancora assume la forma di un’eco-narrazione che anticipa alcune delle problematiche che oggi sembrano più urgenti che mai.
Anche la prima parte dell’adattamento di Denis Villeneuve, in cui è Timothée Chalamet ad interpretare Paul Atreides, è un seme. O perlomeno, il primo stadio di un qualcosa che sembra destinato ad acquistare forma. È, però, necessario prima piantarlo per poi poter godere dei suoi frutti, ed è quello che Villeneuve ha provato a fare con il suo Dune, che segue piuttosto fedelmente la storia di Herbert, ma risulta anche intimamente villeneuviano,(scusate l’aggettivazione). È qui che forse c’è un equivoco di molti: il ricercare compiutezza in un’opera che per sua natura rappresenta un inizio. Questa versione di Dune è un tentativo di gettare solide basi per reggere una storia ancora più complessa, non tanto nell’intreccio, quanto nella stessa costruzione del suo stesso mondo. Di fatto, si tratta della prima parte di un dittico, e come tale deve essere considerata.
In molti lo hanno ripetuto così tante volte da farlo divenire un logo comune: Dune è un libro impossibile da trasporre al cinema. Potrebbe essere vero ma solo in parte, nel senso che un adattamento presuppone sempre il dover fare alcune scelte, perché a un cambiamento del mezzo di narrazione deve seguire, necessariamente, un cambiamento della stessa materia narrativa. Sta di fatto che il romanzo di Herbert è così denso, stratificato e colto, da per poter essere raccontato in un altre forma che non sia il libro, figuriamoci quella filmica che ha durata limitata. il libro di Herbert lo si può paragonare a un prisma dalle molte facce, che riflettono la luce in modo diverso a seconda di come le si guarda. Ora immaginate di dover dipingere quel prisma. Prima di tutto è necessario scegliere come orientarlo e farlo colpire dalla luce. È quello che fa Villeneuve, insieme ai co-sceneggiatori Jon Spaihts e Eric Roth, prendendo delle decisioni che possono piacere o meno, ma dimostrando una profonda consapevolezza. Mancano dei personaggi questo è vero e alcuni snodi non sono ancora esplicitati, ma non era difficile aspettarsi qualcosa di diverso da questo. 
Il Dune di Frank Herbert è realmente uno strano oggetto letterario. Ha un approccio molto concreto al mondo che racconta, costruendo nei minimi dettagli interi ecosistemi per soffermarsi poi in maniera particolare a delineare il contesto dal punto di vista politico e socio-economico. C’è una parte del romanzo in cui il Duca Leto (nel film interpretato da Oscar Isaac) discute dei salari da offrire agli estrattori di melange, la sostanza presente solo su Arrakis e che permette i viaggi interstellari, il cui monopolio è detenuto dalla Gilda spaziale. Leto ha, infatti, ricevuto dall'Imperatore Padiscià Shaddam IV, che governa l’Universo, l’ordine di trasferirsi dal suo pianeta natale Caladan ad Arrakis, subentrando ai nemici di sempre, gli Harkonnen, per gestire la raccolta di spezia.
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Shai Hulud è il termine usato dai Fremen per indicare i vermi delle sabbia, ossia l'incarnazione fisica della loro unica divinità.
Si tratta di una scena, quella di cui sopra, rievocata nel film di Villeneuve di sfuggita, con una sola linea di dialogo, non particolarmente importante ai fini della trama, eppure per me sufficiente per comprendere il tono dell’adattamento. Una situazione che poco c’entra con una storia nota per le atmosfere lisergiche e un certo gusto per l’eccesso, elementi enfatizzati dai due prodotti culturali più noti legati al libro: il grandioso e folle progetto naufragato di Jodorowsky nel 1975, raccontato in Jodorowsky's Dune, documentario del 2013 di Frank Pavich, e l’affascinante quando confuso disastro di David Lynch con Kyle MacLachlan del 1984 - a cui, nonostante tutto, voglio benissimo, anche solo per aver ispirato l’avventura grafica omonima, quella sì un capolavoro, di Cryo Interactive del 1992.
Dune è anche questo: l’approccio è spesso pragmatico, l'atmosfera più mistica che lisergica, il tono più solenne che eccessivo. Il film di Villeneuve è così, presenta un’austera grandiosità estetica, coerente con la visione d’insieme. La fotografia di Greig Fraser è caratterizzata da toni scuri, metallici e terrosi, mentre nella scenografia ricorrono forme geometriche e massicce, soprattutto negli edifici di Arrakeen, modellati sulle ziqqurat mesopotamiche, o nei fregi dei palazzi che ricordano i bassorilievi neoassiri. Antichità e futuro si incontrano quasi per alludere a un tempo fuori dal tempo, e non si è  fuori strada si parlasse di «tempo del mito». Mentre il vasto deserto, territorio dei Fremen dei giganteschi Shai Hulud, i vermi della sabbia, fa il resto.
Anche se narrativamente sobrio, Dune colpisce per la semplicità con cui racconta gli eventi, senza banalizzare o semplificare una vicenda parecchio strutturata già di per se. Villeneuve fa delle scelte e, per esempio, tutto il contesto religioso (e in particolare il ruolo del Bene Gesserit, ordine religioso matriarcale che muove i destini dell’Impero e che sarà al centro di una serie TV attualmente in pre-produzione), viene relegato un po’ sullo sfondo, presente solo in alcune pennellate. È anche vero che il libro è fatto di parole, pensieri, annotazioni. D’altronde, ogni capitolo del libro è corredato da estratti tratti dai testi storiografici della principessa Irulan, figlia dell’imperatore. Mentre il film di Villeneuve, puntuale nell’esporre l’intreccio, costruisce il suo mondo e delinea i rapporti anche attraverso sogni, allusioni, piccoli dettagli e, soprattutto, sguardi e gesti. Un linguaggio corporeo che va a sostituire il flusso costante di pensieri dei personaggi letterari.
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Il Bene Gesserit è la sorellanza che muove i destini dell'Impero, il cui compito è quello di incrociare e conservare le linee genetiche delle casate.
Villeneuve utilizza così le lingue, anche quelle dei gesti, in modo fluido, forse anche più del romanzo, dove l'uso di nomi e termini mutuati dalla lingua araba erano comunque fondamentali nella costruzione culturale di Arrakis. Ma non è la prima volta che il regista dimostra una certa attenzione verso tematiche come il valore fondante del linguaggio nell’identificazione culturale, il suo ruolo nell’intrecciare relazioni e la possibilità di alterare la percezione del mondo. Lo aveva fatto nel suo film più peculiare: Arrival del 2016. Che anche in quel caso si trattava di un testo letterario molto difficile da trasporre. A Villeneuve, del resto, piacciono le sfide e spesso non sembra nemmeno interessato a dare al pubblico quello che vuole o si aspetta.
Riprendendo il discorso sul linguaggio, e in particolare a come nel film è stata resa la famosa Voce, ossia una tecnica Bene Gesserit che influenza il subcoscio di chi l’ascolta attraverso la modulazione del tono, presta il fianco anche a un altro aspetto dell’opera che non lascia indifferenti: suono e colonna sonora contribuiscono in maniera attiva alla definizione del mondo stesso. Il sound designer Theo Green, che aveva già lavorato con Villeneuve in Blade Runner 2049, fa qui un lavoro impressionante nel modulare intensità e volume, giocando con l’assenza di suono in brevi, ma significativi momenti. In questo, lavora in sinergia con Hans Zimmer, che compone una roboante colonna sonora, certamente ingombrante, ma di grande importanza narrativa. Il risultato è una base sonora costante, granulosa e avvolgente su cui si innesta il racconto, e che dà costantemente la sensazione di arrancare e sprofondare nelle sabbie di Arrakis.
Giocando sulla contrapposizione tra i campi lunghi degli sconfinati paesaggi, i primi piani e dei dettagli, la macchina da presa indugia spesso sui volti dei personaggi e in particolare gli occhi. Sono gli occhi blu - per effetto della spezia geriatrica - di Chani (Zendaya) che appare nei sogni di Paul; quelli del popolo di Arrakis che accoglie il giovane duca al suo arrivo sul pianeta al grido di Lisan al-Gaib, «la voce da un altro mondo»; quelli forti, consapevoli ma spaventati di Jessica, mentre cerca di far convivere gli obiettivi del Bene Gesserit con i propri, in un’interpretazione notevolissima di Rebecca Ferguson.
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I Fremen sono i misteriosi abitanti di Arrakis. Vivono in insediamenti segreti chiamati sietch.
Timothée Chalamet è un Paul abbastanza coerente con il personaggio del libro, ma forse troppo monocorde. Di certo, non ha avuto la possibilità di emergere completamente. In questa parte della storia, Paul è un ragazzo in balia di forze che hanno segnato il suo destino, alla ricerca di se stesso.
La vera sfida d’altronde, non è cercare il Dune di Frank Herbert in quello di Villeneuve, ma provare a capire cosa il regista stia cercando di dirci attraverso Dune. In questa prima parte di un progetto più articolato, si può certamente intuire il percorso intrapreso da Villeneuve, all’interno dei tanti offerti da Frank Herbert. È un seme, come detto in precedenza, e bisogna capire dove piantarlo e cosa nascerà.
È comunque difficile guardare a un film come il Dune di Denis Villeneuve senza però sentire la voce di tutta la tradizione precedente e senza farsi influenzare dal peso dell’opera originale o dalle visioni dei diversi autori. Dune è, forse esagerando, il Gilgamesh del nostro tempo, o almeno la cosa più simile a un poema mitologico declinato in forma post-moderna. Contiene, come le grandi epopee antiche, molti dei temi della cultura da cui ha preso forma. Ma allo stesso tempo, è uno dei principali modelli per tutte le storie di fantascienza che sono venute dopo. Non solo un libro inadattabile ma il libro che forse più di tutti può ambire allo status di mito, quando si parla di narrazione investita di sacralità e significatività. A livello estetico, il film è eccezionale. Si questa solennità può essere, in un certo senso, interpretata come mancanza di originalità, ma in verità credo che la forza di questo adattamento di Dune sia nelle cose molto più piccole. Proprio nei piccoli dettagli sullo sfondo, nei gesti dei personaggi che hanno tutti, sempre un significato, nonostante esso spesso non sia esplicitato. Nella cura con cui una parola, detta in un determinato modo, alluda invece a un mondo intero. In questa storia, del resto, il world building non rappresenta solamente una premessa ma ne è essenza stessa. Quello che manca in un film che forse sarebbe stato meglio chiamare Dune Parte I è, letteralmente, l’epica. Ma quella verrà dopo, perché in questa fase della storia non era prevista. In questa fase abbiamo il racconto di una crisi, dello smarrimento, di morte e rinascita. L’epica verrà dopo, si spera.
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di-biancoenero · 1 year ago
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Filibus è un ladro che commette furti calandosi dal suo dirigibile e celandosi dietro una maschera. Il detective Kutt-Hendy si mette sulle sue tracce e Filibus, che in realtà è la baronessa di Troixmonde, alias conte de la Brive, escogita un piano diabolico per far credere che sia il detective il misterioso ladro. Pellicola prodotta dalla Corona Film, che affida la regia a Mario Roncoroni, ex attore, che avrebbe in seguito diretto La Nave, in collaborazione con Gabriele D'Annunzio; mentre per la sceneggiatura collaborava già con la casa Giovanni Bertinetti, scrittore poliedrico torinese che lavorò, come la sua eroina, sotto diversi pseudonimi, per trattare argomenti che spaziano dalla letteratura per ragazzi alla fantascienza; dalla filosofia a manuali d'economia domestica; dalla drammaturgia in dialetto torinese ai romanzi apocrifi salgariani. Per il personaggio di Filibus, Bertinetti si ispirò a personaggi della letteratura popolare francese molto in voga in quegli anni, ovvero i ladri gentiluomini quali Arsenio Lupin, Fantomas e Rocambole. Ma anche ad una figura nota alle cronache italiane : Rosina Ferrario, la prima donna in Italia ad ottenere, nel 1913, un brevetto di pilota, che sfruttò subito con una ascensione in aerostato. L'eroina Filibus, è donna audace e intraprendente, a suo agio sia nelle vesti maschili di conte, corteggiatore della sorella del detective; sia nell'uso di marchingegni tecnologici come la mini camera, la rilevazione di impronte digitali, l'eliografo, l'areostato. La critica dell'epoca fu negativa, forse imputabile ad un maschilismo imperante nel paese, adducendo pretesti quali storia scopiazzata ed effetti speciali infantili. Il finale presuppone un seguito, ma pochi mesi dopo l'uscita del film, l'Italia entrò in guerra. La pellicola, come la maggior parte delle pellicole del cinema muto, fragili, facilmente deperibili, andò perduta; fu poi ritrovata in Olanda, nella collezione Desmet e successivamente restaurata.
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vecsed · 3 months ago
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1000xRESIST: C’è una filosofia e una resistenza e un futuro senza alternative
1000xRESIST, sviluppato da Sunset Visitor, è un’avventura narrativa di fantascienza che affronta tematiche di oppressione, memoria e identità in un futuro distopico. Pubblicato nel 2024, si presenta come un’opera d’arte interattiva che unisce una trama profonda a un’estetica surreale. Tuttavia, 1000xRESIST non è soltanto una storia di fantascienza: il gioco rappresenta un punto di incontro tra la…
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signorinajulie · 7 months ago
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Abbiamo sempre guardato la realtà come una rete intricata di fili, una massa di eventi tra loro intrecciati che si posano gli uni sugli altri, rendendo il mondo un’entità complessa e stratificata; e sebbene questa immagine si avvicini molto al tessuto della quotidianità in cui siamo immersi, non bisogna sottovalutare l’importanza della semplificazione.
Viviamo in un complesso circuito sorretto da idee e discorsi che si influenzano vicendevolmente, generando una quantità indefinita di eventi e di risposte impreviste.
Ogni accadimento, cioè, è il frutto di molteplici micro eventi che si sono susseguiti in un ordine casuale in cui, spesso, diventa quasi impossibile stabilirne il principio. E più si scava a fondo, più emergono sfumature e causalità impreviste, il cui contributo, seppur minimo, alle sorti dell’evento, è tanto influente da cambiare la rotta di tutta la fila di conseguenze che ne risultano.
E ciò diventa più facile se si prova ad analizzare un accadimento a ritroso: il nostro modo di vivere il reale come una successione di eventi quasi deterministica, così come la nostra tendenza a trovare sempre una ragione a ciò che stiamo vivendo, ci porta a percepire un legame tra un evento così come lo stiamo vivendo e tutte le possibili alternative che avrebbero potuto modificarne il corso. Cosa, invece, che risulta ben più complicata se si guarda al futuro: prevedere i risultati di una determinata azione è più complesso e contiene sempre una variabile nascosta che si rivela solo quando l’azione, ormai, si è chiusa alle nostre spalle.
Anche la fantascienza e il cinema hanno da sempre giocato con questa visione fitta e complessa della realtà, descrivendoci scenari di salti indietro nel tempo e di ritorno al passato in cui persino un evento infinitamente minuscolo può determinare, sulle sorti del futuro, il completo stravolgimento del reale così come era prima.
E se, alcune volte, andare oltre la semplice e spontanea spiegazione che diamo agli eventi è necessario per comprenderne davvero la logica, pretendere di trovare sempre una causa altra e altrove a ciò che sta accadendo può portarci verso strade sbagliate.
La filosofia è, d’altronde, la disciplina della complessità e della stratificazione: distinguere, discernere, nominare, sono tutte operazioni che sminuzzano il reale permettendo di vedere oltre il semplice dato materiale per trovarne una ragione altra da quella apparente. Ma si dà il caso che, spesso, è proprio nella volontà di chiarificare, di indagare nel dettaglio, di non accontentarsi mai di risposte all’apparenza semplici, che si cade in errore.
Fu proprio per scongiurare questa proliferazione di idee e di modelli del reale, che si allontanano dalla datità del fatto per trovare risposte sempre più ingegnose e complesse, che il filosofo e frate francescano del XIV secolo Guglielmo di Occam espresse questo principio, caposaldo delle scienze e della filosofia: «Pluralitas non est ponenda sine necessitate», le pluralità non dovrebbero essere postulate senza necessità.
La richiesta di complessità, la voglia di andare oltre la banalità per guardare le cose per come sono, rischia di farci cadere nell’errore opposto: quello di stravolgere i fatti, intellettualizzando la realtà e tradendo il dato reale. Se, in altri termini, non fermarsi alle apparenze è una buona pratica, allo stesso modo bisogna ricordarsi di non allontanarsi troppo dai fenomeni della quotidianità, impelagandosi in supposizioni e intellettualismi che, pretendendo di dare una spiegazione al reale, se ne allontanano.
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agrpress-blog · 1 year ago
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Pluto TV, il servizio digitale FAST (Free Ad-Supported Streaming Television), svela una novità galattica che rivoluzionerà l'intrattenimento degli appassionati di fantascienza. Dal 16 febbraio, atterra sulla piattaforma il canale interamente dedicato a "Star Trek: The Original Series", offrendo un viaggio epico nel XXIII secolo guidato dal carismatico Capitano James T. Kirk e dal suo equipaggio sull'USS Enterprise. Ideata da Gene Roddenberry nel 1964 e prodotta a partire dal 1966, Star Trek ha lasciato un'impronta indelebile nella cultura di massa, influenzando generazioni di spettatori e ispirando numerose opere cinematografiche e televisive. Pluto TV regala ai fan di Star Trek e agli appassionati della fantascienza un'esperienza senza precedenti, consentendo lo streaming gratuito di tutti gli episodi dell'opera prima del franchise di Star Trek. Il canale dedicato offre l'opportunità di immergersi 24 ore su 24 nelle avventure senza tempo della Flotta Stellare, esplorare mondi sconosciuti e incontrare creature straordinarie. Dalla filosofia dell'esplorazione spaziale alle community dedicate, gadget e fandom, l’impronta di Star Trek è evidente in ogni angolo della cultura popolare. Il canale di Pluto TV celebra questa incredibile eredità, permettendo al pubblico di rivivere o scoprire per la prima volta le radici di un fenomeno culturale senza tempo. Le frontiere dell'intrattenimento continuano ad espandersi su Pluto TV, regalando ai suoi spettatori un viaggio senza precedenti tra le stelle. L'aggiunta di "Star Trek: The Original Series" arricchisce ulteriormente il catalogo della piattaforma, confermando l'impegno di Pluto TV nel soddisfare le diverse esigenze degli spettatori.
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wildintriguingbeautiful · 3 years ago
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Si dice che il diavolo stia nei dettagli ma se sei come Taylor Swift il diavolo sta nel ricordarli; o meglio, nel non riuscire a dimenticarli. Guance rosse, una sciarpa amata e poi persa, un portachiavi stupido, l’album di famiglia, soffiare sulle candeline sapendo che il tuo desiderio non si avvererà.
E per me è lo stesso, il mio problema sono i dettagli, quei maledetti che non vogliono darmi pace, sono appiccicosi e, per quanto le scrolli, non vogliono staccarsi dalle mie dita: un’aragosta disegnata sull’etichetta di una bottiglia di vermentino, una mano sul volante e una sulla mia coscia, libri scambiati durante l’intervallo, tramezzini al salmone in riva al mare, baci in ascensore perché non si può aspettare.
Che cosa dice di noi (parlo al plurale perché sono piuttosto sicura che anche per TSwizzle sia cosi) il fatto di non riuscire a dimenticare, anche a distanza di mesi o, Dio non voglia, anni? Fa di noi delle nostalgiche o delle persone che non sanno andare avanti? Delle romantiche o delle insensate? Siamo normali o squilibrate? Le mie sono domande vere, eh, se avete delle risposte per favore scrivetemi.
In ogni caso romanticizzare la nostra esistenza è quello che aiuta a rendere tutto più cinematografico e, di conseguenza, a dare un senso a quell’accumularsi di scenette e scenate che è la vita: in un film le cose avvengono per un motivo, ogni personaggio/luogo/fatto è a servizio di una trama che segue un senso logico, c’è un copione che è stato scritto da qualcuno che sa quello che fa.
Il mio problema è che ho sempre guardato troppi film e vissuto troppo dentro la mia testa e ciò mi ha portata a guardare alla mia vita tramite una lente cinematografica.
Quando scrivo di me stessa, l’unico soggetto che (ri)conosco, mi immagino che effetto farebbe questa scena se venisse proiettata sullo schermo di un cinema. Sarebbe un film scritto e diretto dalla cugina sfigata di Phoebe Waller-Bridge.
Per questo motivo non sono mai stata capace di scrivere di altro se non me stessa. Non perché io sia particolarmente interessante ma, davvero, quando mi siedo e cerco di scrivere qualcosa che esuli dalla mia esperienza diretta finisco sempre per provare imbarazzo per quello che ho prodotto (non che il resto dei miei scritti sia sia tanto più degno di attenzioni, per carità).
Per cercare di rimediare a questa lacuna mi sono iscritta a un corso di scrittura creativa. Appena ho aperto il computer per scrivere ho cominciato a buttare fuori cose su me stessa e ci sono rimasta male, speravo in un colpo di genio che mi avrebbe dato l’idea, per un racconto che unisse, che ne so, mitologia e fantascienza e filosofia. Invece no, eccomi qui a pagare soldi per scrivere cose autobiografiche che poi vengono lette ad alta voce da sconosciuti a cui mento dicendo che una buona percentuale di quello che leggono è inventato perché mi vergogno a parlare di me stessa mentre gli altri si inventano storie di lucertole intergalattiche e sedute collettive dallo psicologo (oltre ad aver buttato via dei soldi mi tocca ascoltare delle schifezze indicibili).
Il fatto è che se penso alla mia vita come a un film allora tutto acquisisce una apparente linearità che serve a tenere a bada il senso di impotenza.
Sono inerme di fronte a un rapporto che marcisce, alle disattenzioni di chi dovrebbe avere occhi solo per me, alle telefonate casualmente crudeli fatte nel nome dell’onestà (uno dei versi più amari della discografia di Taylor. Chi di noi non ha mai ricevuto una chiamata del genere?), al passare del tempo. E quindi esercito il mio potere dove posso, ovvero su come ricordo i miei ricordi: quelli che decido di eliminare (pochi, purtroppo. Per le cose inutili ho una memoria da elefante), quelli che invece mando in loop sulle mie palpebre chiuse o, i migliori, quelli che mi attraversano la mente di tanto in tanto e suscitano solo affetto e compassione per la persona che ero.
Un’altra cosa che mi aiuta è fantasticare che le molte persone che hanno navigato attraverso la mia vita pensino a me come io penso a loro. Non avrò mai una risposta a questa domanda e quindi tanto vale che sia una conferma.
Magari è una combinazione di Red TV, secondo giorno di ciclo, un pizzico di malinconia da cambio di stagione. O magari dovrei andare dallo psicologo, possibilità da non escludere. Taylor Swift e la scrittura, però, sono molto più economiche della terapia e comunque, per quanto folle e immaturo possa suonare, devo anche, soprattutto, a Taylor quel poco di ordine che riesco a dare ai miei sentimenti. La sua musica è per chi, come me, ha sempre un rimpianto che ronza nell’orecchio; per chi non riesce a non chiedersi se quella persona ci stia pensando tanto quanto sta infestando la nostra quotidianità; per chi non riesce a lasciare andare l’idea che le cose sarebbero potute andare diversamente “se solo…”.
Per chi ricorda tutto fin troppo bene.
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È soltanto una questione di tempo
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Scultura di Dalì in Piazza San Babila
Non fermarti sono pochi gli anni forse sono solo giorni E stan finendo tutti in fretta e in fila Non ce n’è uno che ritorni
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Così cantava il grande Lucio Dalla in Balla balla ballerino, ma il concetto di tempo è naturalmente un tema infinito in filosofia, letteratura, cinema. Sorvoleremo quindi sul capolavoro in assoluto, che sembra aver esaurito ogni possibile riflessione al riguardo, ovvero La recherche di Proust, per segnalare alcune letture e qualche film.
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Delle perle di saggezza contenute nelle  Lettere a Lucilio  di Seneca, ne ricordiamo solo una: il tempo è l’unica cosa che, una volta che ti sia stata sottratta, nessuno ti potrà mai restituire. Ovvero, questo giorno è l’unico che hai a disposizione e non tornerà mai più, ottima ragione per non sprecarlo. E come impiegarlo al meglio se non leggendo, perché, come diceva Umberto Eco, “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro”.
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A proposito di Ti con zero di Calvino citiamo direttamente le parole dell’autore: “In Ti con zero cerco di vedere il tempo con la concretezza con cui si vede lo spazio. Nel racconto, ogni secondo, ogni frazione di tempo è un universo. Ho abolito tutto il prima e tutto il dopo fissandomi così sull’istante nel tentativo di scoprirne l’infinita ricchezza. Vivere il tempo come tempo, il secondo per quello che è, rappresenta un tentativo di sfuggire alla drammaticità del divenire. Quello che riusciamo a vivere nel secondo è sempre qualcosa di particolarmente intenso, che prescinde dall’aspettativa del futuro e dal ricordo del passato, finalmente liberato dalla continua presenza della memoria. Ti con zero contiene l’affermazione del valore assoluto di un singolo segmento del vissuto staccato da tutto il resto”.
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Un americano alla corte di Re Artù (1889) di Mark Twain è uno dei primi romanzi sul tema del viaggio temporale. Il protagonista è un uomo del Connecticut, Hank Morgan, che per qualche misterioso motivo si ritrova trasportato indietro nel tempo fino all’Inghilterra medievale, negli anni di re Artù. Da semplice cittadino americano, grazie alle sue nozioni di tecnologia del XIX secolo, Morgan diventa un mago agli occhi di chi vive nel passato. Si tratta di un romanzo ancora molto noto nelle bibliografie per ragazzi e numerose sono state negli anni le trasposizioni teatrali, a cartoni animati, a fumetti e su pellicola.
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Naturalmente, con un tema come questo, la fantascienza si può sbizzarrire, perciò ci limiteremo a segnalare alcune opere. La macchina del tempo di Herbert George Wells (1895) racconta la storia di uno scienziato che ha costruito un marchingegno in grado di far cambiare epoca a chi lo manovra. Il protagonista vive nell’anno 802.701, in un’epoca in cui l’umanità è divisa in due classi sociali: in superficie i gentili e pacifici Eloi, mentre sottoterra si trovano i ripugnanti Morlock, esseri fotofobici che si nutrono della carne degli Eloi.
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La fine dell’eternità (1955) di Isaac Asimov: in un remoto futuro l’umanità viaggia nel tempo con molta disinvoltura, organizzando addirittura scambi commerciali tra ere differenti. Il sistema consente anche un controllo sociale e politico: è sufficiente cancellare dal passato tutti gli elementi che potrebbero essere di disturbo. Chi si occupa di queste selezioni è la casta degli Eterni,di cui fa parte il protagonista, Andrew Harlan, che si troverà a dover affrontare una scelta terribile.
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Dottor Futuro di Philip Kindred Dick (1960) racconta la storia del dottor Parsons il quale, a causa di un incidente, si ritrova in un futuro molto lontano, caratterizzato da una civiltà avanzatissima dedita al culto della morte, che reputa illegale impegnarsi a salvare vite umane. Ma alcuni, come accade anche in 1989 di Orwell e in Fahrenheit 451 di Bradbury, non sono allineati al comune pensiero, e decidono di sfruttare le competenze mediche di Parsons per provare a salvare il futuro del loro mondo.
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Ma l’archetipo di questo genere è sicuramente Il curioso caso di Benjamin Botton tratto da I racconti dell’età del jazz di Francis Scott Fitzgerald  (La vita non si misura in minuti, ma in attimi), da cui è stato tratto un film di successo con Brad Pitt e Cate Blanchett.
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Solo un cenno ad altri titoli sull’argomento: di Bruno Arpaia  Tempo perso (2002), Il futuro in punta di piedi (1994) e Il passato davanti a noi  (2006); di Audrey Niffenegger La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo (2003); di Guillaume Musso  L’uomo che credeva di non avere più tempo  (2005); di Luis Sepúlveda  Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013); di Antonio Tabucchi  Si sta facendo sempre più tardi  (2005) e Il tempo invecchia in fretta  (2011); un classico riproposto di Jerome K. Jerome  Sul tempo perso a perdere tempo (2016). Come titoli più recenti: dell’inossidabile duo Guccini-Macchiavelli  Tempo da elfi (2017) e di Matt Haig  Come fermare il tempo (2018).
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Per quanto riguarda la decima Musa, vi consigliamo un noir di classe del 1947, A sangue freddo, diretto da Robert Rossen, con Dick Powell e Lee J.Cobb, inaspettatamente nel ruolo di buono e fantastico nella scena iniziale, ancora prima dei titoli, sotto il grande orologio in una inquadratura degna di Hitchcock: da vedere!
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Senza via di scampo è un film del 1987, con Kevin Kostner e Gene Huckman, remake di Il tempo si è fermato del 1948 (con Ray Milland e Charles Laughton): entrambe le pellicole sono godibilissime e il divario cronologico di quasi 40 anni non fa che accentuare il ruolo decisivo del fattore tempo.
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Concludiamo il post e apriamo con ironia il nuovo anno grazie a Woody Allen:
Tanto per cominciare, si dovrebbe iniziare morendo, e così il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi cominci la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebé. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un luogo che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni. E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo.
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janiedean · 5 years ago
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Janie quando hai letto Dylan Dog se ti va puoi farci du un post e/o spoilerare? Non so tipo NULLA di DD e di Bonelli in generale ma mi hai incuriosito parecchio!
allora la cosa è che spoilerartelo non me la sento perché in ordine:
sto indietrissimo con quelli prima perché letteralmente non so dove cazzo mettere i fumetti ho finito lo spazio quindi ormai compro i numeri superimportanti e il giorno che faccio spazio faccio un bellissimo ordine arretrati alla bonelli e bona, e tipo... era la conclusione di una sottotrama che non ho seguito del tutto quindi pure se te lo spoilero non ha senso because non ho il resto del contesto ma
te posso dire che non è una presa in giro X°D cioè.... era legit e sto a crepare da venti minuti e tipo... my heart
MO, IN GENERALE:
la bonelli è una a++++ casa editrice che fa prodotti supervalidi da anni e tipo purtroppo come detto di sopra non posso più comprarne più di tanto perché NON SO DOVE METTERLI ma la qualità è sempre altissima e tipo so sempre stati avanti perché per di ken parker era sto alternate western uscito negli anni ‘70 dove parlavano di diritti dei nativi, schiavismo, sessismo, scioperi in america ecc e giuro a+, poi ovviamente se te leggi tex non trovi l’attivismo sociale ma comunque hanno avuto un sacco di titoli splendidi (io personalmente oltre dylan leggo fisso dampyr che è una delle poche cose serie di vampiri che amo visceralmente e ha l’ot3 dei sogni anche se pure lì devo recuperare causa mancanza di spazio, leggevo julia che ho dovuto mollare perché VERAMENTE NON SAPEVO DOVE METTERLO ma è veramente scritto bene, martin mystere lo scroccavo a mio zio ma era n’altro titolo adorbs e soprattutto l’amico uomo di neanderthal era l’amore della mia vita, nathan never lo leggevo occasionalmente ma è fantascienza a+ e per un periodo prendevo pure legs [lo spinoff con la protagonista wlw] che poi ha chiuso per mancanza di fondi ma comunque l’hanno tirato avanti per anni, poi i semestrali di enoch - gea e lilith - sono ottimi ma tipo tutti i titoli bonelli sono fumetti fatti coi controcazzi) e tipo I always support comprare i titoli bonelli;
(ma se te compri solo questo non si capisce niente temo XD)
dylan è tipo... la premessa è che c’è questo che fa l’investigatore paranormale che abita a londra con l’assistente (groucho che è... groucho marx fondamentalmente) e risolve(va) *casi* con l’aiuto (o il non aiuto) del suo ex capo ispettore bloch a scotland yard (poi bloch è andato in pensione qualche anno fa e ci hanno messo gente nuova a+ ma sto a parla di com’era anni fa XD) concernenti so-called *mostri* che tipo... nove volte su dieci erano vittime di gente *normale* stronza dentro (TIPO SE DOMANI VAI IN FUMETTERIA E TE TROVI JOHNNY FREAK NUMERO 81 TI FAI SOLO DEL BENE e quello puoi tranquillamente leggertelo senza contesto e tipo... è abbastanza un riassunto della filosofia di sta testata) e specie all’inizio c’erano miriadi di citazioni di classici horror sia film che libri a cui erano ispirati i numeri, poi ad un certo punto la cosa ovviamente è scemata ma comunque è una serie coi controcazzi e I love everything it chose to be;
mo: ad un certo punto - tipo post 200 poi c’è stata una ripresa e poi post 300 prima che arrivasse recchioni - c’è stato un calo di qualità spaventoso come è pure normale se c’hai un fumetto che dura 400 numeri ma mo che recchioni sono anni che fa il rehaul mi sembra ben ripreso e vedrò di fare marie kondo solo per trovarmi lo spazio per gli arretrati ma ecco come dì tutta la roba 1-100 e gli speciali che sono usciti nel frattempo sono VERAMENTE QUALITY, dopo ovviamente c’è stata l’oscillazione anche perché il creatore (tiziano sclavi) era in pesantissimo blocco dello scrittore/depressione e ha lasciato fare altra gente che era... meno quality ma comunque so sicura che se giri su internet ti trovi qualcuno che ti fa la guida se vuoi provare a leggertelo XD (una volta c’era cravenroad7.it dove avevano un forum frequentatissimo, mo non so se ancora tirano a campare perché il sito non è aggiornato ma poesse che il forum ancora vive) o puoi chiedere sul fb ufficiale che credo c’abbia abbastanza traffico ;)
comunque: se sei into horror è un’ottima scelta xD
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cronache-di-un-mesotes · 5 years ago
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Leon: il protagonista di Cronache di un Mesotes, ragazzo che si riscopre formidabile guerriero e pensatore; si interroga sui mondi in cui viene inviato per difenderne i popoli dalle armate del Portatore. Non solo si sofferma su ciò che vede e su ciò che sente, bensì elabora ogni informazione e la accresce con la consapevolezza che un giovane può coltivare in una situazione tesa e di pericolo come i campi di battaglia. Ironia, interrogativi, dubbi e speranza (contando un’ottima dose di forza di volontà) sono gli ingredienti della personalità di Leon, visibili all’inizio del romanzo in maniera intermittente e poi più presenti nelle pagine successive. Appassionato di arti marziali e filosofia cercherà con tutto se stesso di prepararsi a scotrarsi contro il nemico più grande di ognuno di noi... se stesso! Ringrazio molto Daniele d’Elia per l’illustrazione . . . #inlibreria #bookabook #autoriesordienti #libribelli #fantasyitaliano #fantascienza #fantascienzaitaliana #scrittoriitaliani #librifantasy #romanzidaleggere #romanzi #lettoridiistagram #leggodiverso #instalibri #amoleggere #libriconsigliati #scrittoriesordienti #bookstagramitalia #recensionilibri #saggifilosofia #cronachediunmesotes #autopubblicazione #leggerepervivere #letturefuture #scifi #libriavventura #romanzifantascienza #citazioni #frasi #libreria https://www.instagram.com/p/B7io7iEHEBo/?igshid=1jovp1rcejlc8
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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DEIM - La città del futuro di Manuel Ganino: un viaggio in una metropoli in continuo mutamento. Recensione di Alessandria today
Autore: Manuel GaninoAnno di pubblicazione: 9 gennaio 2024Genere: Fantascienza, Distopia, AvventuraValutazione: ★★★★☆ Un’utopia dinamica o una distopia nascosta? Nel romanzo DEIM – La città del futuro, Manuel Ganino ci trasporta in una metropoli avveniristica dove la monotonia è stata sconfitta: ogni struttura della città è in perenne movimento, trasformandosi continuamente. Gli abitanti di…
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levysoft · 5 years ago
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Nel 1999 Matrix ha segnato in modo indelebile il corso della storia del cinema. Qualcuno si chiede se oggi sarebbe possibile realizzare un film ad alto budget con le premesse di quel tipo.
All’epoca non c’erano ancora – incredibile da pensare – tutti quei blockbuster PG-13 prodotti a getto continuo che sarebbero diventati dominatori delle estati, e oggi di quasi tutto l’anno.
Un film di fantascienza cyberpunk-filosofico, pieno di effetti speciali, vietato ai minori e con un buon budget (65 milioni) nonostante la piena libertà ai registi non era un fatto per il quale gridare al miracolo, anche se un azzardo, certo.
Matrix è un caso più unico che raro di qualcuno che ha potuto riversare in un film di genere tutte le sue passioni e i suoi interessi, plasmarlo con la libertà di un film d’autore e renderlo un successo per le masse.
Pensiamoci bene: cultura underground, musica elettronica, romanzi cyberpunk, manga e anime, buddismo e arti marziali, deep web e filosofia.
Tutto insieme e tutto abbastanza ben sviluppato. Chi può dire di aver visto qualcosa di altrettanto compiuto e di successo?
Ma soprattutto, quanti a Hollywood possono dire di aver avuto un’idea del genere e vederla realizzata?
Caspita, immagina di essere un giovane autore di belle speranze e di presentare ai gollum decisionali di una casa di produzione l’idea di…
“gente che vive in una simulazione virtuale ma nella realtà non è altro che una batteria in incubazione per le macchine, ma si sveglia grazie a dei ribelli che usano il kung fu nella simulazione per combattere degli agenti cattivissimi che schivano proiettili, mentre tutti fanno salti altissimi e lunghissimi e hanno un oracolo…”
L’esempio più lampante ce lo ha portato un attore, Will Smith, che in un video, ridendo, ha parlato della sua decisione di non accettare il ruolo di Neo che gli fu proposto perché non aveva capito nulla di come gli era stata presentata la pellicola.
In compenso al suo posto ha girato Wild Wild West. Quello sì che era comprensibile :)
Fortuna – col senno di poi – ha voluto che alla fine lo script arrivasse nelle mani di Keanu Reeves, all’epoca attore di meno pretese, ma soprattutto in grado di accettare una sfida impattante fatta di allenamenti e filosofia.
Altri attori che rifiutarono Matrix: la prima scelta delle autrici per il ruolo di Neo, Johnny Depp, e poi Leonardo Di Caprio che non vedeva di buon occhio tutti quegli effetti speciali. Anche Val Kilmer, Brad Pitt e David Duchovny furono presi in considerazione.
Per il ruolo di Morpheus, andato alla fine a Laurence Fishbourne, fuorno interpellati Samuel L. Jackson, Gary Oldman e Russell Crowe.
Pochi dubbi su Carrie-Ann Moss nell’iconico ruolo di Trinity invece, anche se sembra che all’inizio si fosse pensato a Jada Pinkett come ruolo femminile di spicco.
Non sono uno dei più grandi fan dei suoi sequel, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, ma c’è da dire che anche in queste due opere successive le sorelle Wachowski hanno riversato tonnellate di ispirazioni e passioni, a volte anche in maniera meno a fuoco dell’originale.
Hanno espanso un universo già interessante con ulteriori, complessi livelli di lettura, colpi di scena che hanno giocato con le aspettative dello spettatore e una parte finale che ha lasciato più dubbi che certezze.
La cosa più incredibile a vent’anni di distanza è che le discussioni e le interpretazioni della trilogia non si sono praticamente mai fermate.
Se il maggior pregio di un’opera cinematografica è quella di stimolare intellettualmente i suoi spettatori, si può dire che Matrix abbia pienamente fatto centro.
Questo, certo, è dovuto ad una ambiguità di fondo non si sa fino a dove voluta dalle sue autrici: molti sono i punti poco chiari e le chiavi di lettura lasciate completamente aperte al pubblico, a volte senza un vero indizio su cosa le pellicole vogliano realmente comunicare.
Arriviamo all’agosto del 2019 quando viene annunciato un nuovo film della saga di Matrix, lanciando subito la bomba che il nucleo del cast originale sarebbe tornato assieme a una delle due autrici, Lana Wachowski, in veste di scrittrice e regista.
Annuncio non certo sorprendente, dato che ormai ogni franchise di successo del passato viene recuperato e rivitalizzato al cinema e nelle serie tv.
Ci si chiede però come si faranno quadrare i conti con la presenza di Reeves e Moss alla luce di quello che abbiamo visto nella trilogia originale.
Nell’universo di Matrix comunque sembra che tutto possa essere possibile, quindi prima di farci assalire dai dubbi rimaniamo speranzosi.
Una cosa è certa: sarebbe più interessante vedere un seguito rispetto ad un prequel, e in questo senso la presenza dei due protagonisti potrebbe dare speranza.
Anche se in un’epoca di de-aging digitale non si sa mai…
I due potrebbero essere il motore di una nuova generazione di eroi, che magari si accorgono delle tante crepe nel sistema lasciate dalla conclusione precedente e devono affrontare un nuova minaccia.
Qualcosa che non sia il buon vecchio Agente Smith o un altro programma andato in palla, dato che Hugo Weaving ha davvero detto tutto anche a livello di carisma per quanto riguarda un personaggio.
Ci piacerebbe avere risposte ai grandi interrogativi rimasti aperti o comunque poco esplorati, come la figura dell’Eletto e la sua reale portata all’interno delle varie profezie, i poteri che si riflettono nel mondo reale, l’universo che c’è oltre a Zion, la situazione precaria rimasta in sospeso tra macchine e umani.
E poi ci sono le sequenze d’azione. Pochi altri film hanno segnato l’immaginario mondiale come Matrix, per cui ci si aspetta qualcosa di diverso e altrettanto stimolante rispetto alle leggendarie coreografie ideate dal maestro Yuen Woo-Ping.
Dopo il bullet-time, sarà ancora possibile trovare un’applicazione agli effetti speciali che risulti innovativa e perfettamente funzionale alla struttura del film?
Sia a livello visivo che a livello di impatto spettacolare, è lecito aspettarsi qualcosa di sorprendente se non addirittura rivoluzionario.
Per non parlare poi del comparto intellettuale: Matrix è stato pioniere e profeta di molte suggestioni relative all’intelligenza artificiale e al rapporto uomo-macchina, per cui non si potrà scindere la componente tecnica da quella culturale.
Chissà se le Wachowski saranno ancora in grado di leggere il presente e il futuro in maniera originale e profonda come furono capaci in quel lontano 1999.
E tu cosa ti aspetti dal nuovo Matrix?
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cartofolo · 6 years ago
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Dicono queste entità “La credenza che molti si incarnano da altri pianeti ha una base logica,si vivono condizioni di vita analoghe alla terra. Più che altro chiediamoci una cosa teorica,i messaggi di alta filosofia e i fenomieni fisici del Cerchio danno credibilità ai ‘Maestri’. Bene la stessa credibilità hanno anche le entità che danno messaggi di alta filosofia e producono fenomeni fisici ma parlano di incarnazioni da altri pianeti. PERCHÈ le seconde dovrebbero mentire?!
Come ho spiegato altre volte, per quello che è stata la mia esperienza, le comunicazioni medianiche non sono esenti da conoscenze, idee e pregiudizi del medium, in quanto la qualità medianica che possa superare le barriere dell’io, è molto rara. Quindi quando valuto una comunicazione medianica, non mi interessa da chi provenga, ma giudico il suo contenuto al pari di qualunque espressione filosofica o didattica che mi capiti di leggere o ascoltare da una persona qualsiasi. Se qualcuno mi dice che è possibile reincarnarsi su un altro pianeta, mi deve anche spiegare come si sviluppi il meccanismo karmico con l’ambiente e con le persone che, in quel modo viene interrotto. Ecco che qui sorge una contraddizione insanabile nella logica conseguenziale di un discorso filosofico. La credibilità non è nelle Entità, Anon, ma deve essere nelle spiegazioni che rispondono ai nostri dubbi con quel rigore logico e filosofico che è richiesto quando si affrontano certe tematiche. Diversamente si fa della fantascienza.
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pizzakaiju-and-friends · 6 years ago
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Oh, del video sugli androidi e l'evoluzione non ve n'è importato niente, però il mio trip robotico prosegue. Niente, volevo solo rendervi partecipi. Trattate bene la vostra tecnologia, non sia mai che un giorno dobbiate contare sulla sua simpatia. Non prendere a calci la lavatrice, non insultare il computer quando si impalla, non suonare il clacson in preda all'ira. Potresti pentirtene. #isaacasimov #robot #filosofia #androidi #tecnologia #libri #romanzi #fantascienza #scifi #leggidellarobotica #robotica #ginoide #androide #anchegliandroidisognanopecoreelettriche #replicanti #scifiworld #nerd #nerdplanet #letture #leggere #letteratura #nerdgirls #nerdygirl #popculture #oggicosì #instapop #instanerd #diversamentegiovane #warning https://www.instagram.com/p/B0qNdQ3lsWw/?igshid=83v3tzyy3ias
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passeggero95 · 6 years ago
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SI PARTE!
Diario di un Viaggio Interstellare!
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Siete pronti ad imbarcarvi sulla più antica Nave Generazionale esistente? Lunga 12.742 km e costruita più di 4,5 miliardi di anni fa dalla Forza di Gravità. La TERRA, nostra casa tra le stelle, un piccolo puntino azzurro che viaggia nell'universo con più di 7 miliardi di passeggeri!
Nel 1990 Carl Sagan ebbe l'idea di girare la fotocamera della sonda Voyager-1 e di scattare una foto della Terra distante circa sei miliardi di chilometri.
(Ad oggi, Febbraio 2019, Voyager-1 ha percorso 21 miliardi e 700 milioni di chilometri, e ancora trasmette!)
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La foto venne chiamata "Pale Blue Dot" (Pallido Puntino Azzurro) e la Terra appare grande meno di un singolo pixel. Nel suo libro "Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space" Sagan descrisse così la fotografia:
« Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse.
Ma per noi, è diverso.
Guardate ancora quel puntino.
È qui.
È casa.
È noi.
Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita.
L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole.
La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di questo puntino.
Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio.
Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida.
Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico.
Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita.
Non c'è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare.
Visitare, sì.
Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte.
È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere.
Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo.
Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto. »
Mi emoziono sempre con le sagge parole del buon vecchio Carl Edward Sagan!
Ma tranquilli, non vi parlerò troppo di astronomia, ci sono persone molto più qualificate ed intelligenti di me che impegnano la loro vita nella divulgazione scientifica.
Questo blog raccoglierà ciò che non è ancora scienza, la FANTASCIENZA!
È qualcosa che ho iniziato su Instagram, anche se inventare e raccontare storie brevi di fantascienza è qualcosa che faccio da quando ne ho memoria. Per chi mi conosce da @the._third._wheel saprà di cosa sto parlando, serie come "SPACE HISTORY" e altri racconti sullo spazio sono stati quasi il tema centrale del mio profilo instagram, purtroppo 2200 caratteri si stanno rivelano sempre troppo pochi, ogni storia che scrivo finisco per doverla dimezzare. Ed ecco perché esiste "DIARIO DI UN VIAGGIO INTERSTELLARE" pubblicherò su instagram piccoli estratti, ma qui potrete (se vorrete) leggere il racconto per intero e lasciarmi le vostre impressioni!
Ci saranno le Space History, avventure ambientate dai 1000 ai 10.000 anni nel futuro.
Racconti brevi di fantascienza vintage.
Universi Paralleli, Alieni, filosofia e morale portata agli estremi!
E magari farò uscire anche dei Vlog! Ok... la mia vita non è esattamente "Fantascienza" nel 2019, ma sicuramente lo era nel 1920 dai... em... vi faccio anche delle recensioni di vario genere, così da Nerdare un po' insime!
Sono il Passeggero95, ma potete chiamarmi Belzé!
BENVENUTI!
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