#evoluzione del jazz
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Il MonJF celebra il successo del 2024 con un momento conviviale e un prestigioso riconoscimento
Una serata speciale per festeggiare i traguardi del Festival e guardare al futuro del jazz italiano
Una serata speciale per festeggiare i traguardi del Festival e guardare al futuro del jazz italiano Alessandria, 3 febbraio 2025 – Sabato 25 gennaio, presso l’agriturismo Cascina Trapella a Roncaglia, la direzione artistica del MonJF – Monfrà Jazz Festival ha organizzato un momento conviviale per tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’edizione 2024 del Festival. Un’occasione…
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alessandro55 · 6 days ago
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Vincenzo Balsamo
testi di Giovanni Granzotto e Elisa Parma
Giorgio Corbelli Editore, Brescia 2000, 228 pagine, 22x28,5cm, Edizione bilingue italiano/inglese
euro 18,00
email if you want to buy [email protected]
Vincenzo Balsamo nasce a Brindisi nel 1935. Giovanissimo lavora presso la bottega di un pittore e decoratore locale dove acquisisce una buona capacità compositiva e con essa i primi rudimenti dell'arte del ritocco. Negli anni Cinquanta si stabilisce a Roma dove conosce i maestri della Scuola Romana. I soggetti di quegli anni sono paesaggi tosco-umbri profondi e intensi. A partire dagli anni Sessanta le sue opere tendono a scomporsi, le figure si frammentano e i piani si intersecano smembrando le prospettive. In questo periodo nel quale conclude la sua formazione artistica, Balsamo frequenta gli artisti che vivono nella capitale, in particolare quelli appartenenti alla “Scuola romana”, ma conosce anche anche poeti, scrittori e gente del cinema, affinando il suo intimo sentimento artistico. Gli anni sessanta sono segnati dall'inizio della sua nuova famiglia, sposa Lidia Tedesco dalla quale avrà tre figli,  espone per la prima volta a Roma nella Galleria “Il Camino” e realizza l'allestimento scenografico per alcuni film fra cui “Cleopatra” negli studi di Cinecittà. Espone in America una serie di opere ispirate alla musica Jazz, intitolate "I musicanti", partecipa alla X Quadriennale di Roma, espone a Zurigo alla Galleria “Bürdeke”, studia i quadri dei pittori del passato nei musei, conosce personalmente alcuni grandi della pittura moderna, come André Verdet, César, Pablo Picasso, Hartung e Fernand Léger rimanendone fortemente colpito. Lo stile di Balsamo negli anni Settanta continua la sua lenta ma continua evoluzione, dal Cubismo passa all'Astrattismo, la figurazione sparisce totalmente fino ad arrivare alle “Decomposizioni”, opere informali, materiche, corpose, dure nella loro espressione pittorica. Nella seconda metà degli anni Settanta, il pittore prosegue nella sua sperimentazione approdando ad opere chiamate “Nebulose”, che rappresentano un viaggio interiore alla ricercare del giusto equilibrio del segno con il colore.  Alle Nebulose seguono le “Evocazioni”, dipinti contenenti figure strane e deformi, surreali, fantastiche, ma senza gioia, senza entusiasmo.  Da questo momento, e per i dieci anni successivi, Balsamo Vincenzo rinuncia alle esposizioni, combattuto dal desiderio di abbandonare la pittura. Negli anni Ottanta Balsamo si trasferisce con la famiglia a Velletri dove, seguendo un percorso a ritroso cerca di ritrovare sè stesso dipingendo opere legate al suo personale  concetto astratto-cubista.
06/04/25
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diceriadelluntore · 2 years ago
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Storia Di Musica #290 - Steely Dan, Gaucho, 1980
Devo ammettere che la fine di questo percorso sulle storie musicali alla ricerca del suono perfetto non poteva che fermarsi a questi due. Che in un decennio dove nella musica sono successe infinite cose, gli anni ’70, sono passati tranquilli e inscalfibili a diffondere qualcosa di completamente diverso. E per molti versi inclassificabile. Walter Becker e Donald Fagen sono probabilmente i musicisti più maniacali, quasi in senso patologico, che io conosca nella storia della musica pop occidentale. Siamo davvero ad una sorta di mania di perfezionismo che nasce in un momento preciso. Infatti i loro Steely Dan (dal nome di un dildo meccanico a vapore citato da William Burroughs ne Il Pasto Nudo) all’inizio erano un gruppo, formato dal duo (che sanno fare tutto, ma si dividono tra voci e chitarra) con Denny Dias insieme a Jim Holder alla batteria, Jeff Baxter alla seconda chitarra, e David Palmer. Il loro esordio è già fenomenale: Can’t Buy A Thrill (1972) vola subito nella Top 20 e frutta due canzone mito degli anni ’70 come Do It Again e Reeling The Wheel. Già è presente il mix, a tratti soprannaturale, di stili, un pop venato di jazz, rock, soul, fatto di sovrapposizioni di strumenti, intrecci vocali, perfezione esecutiva a cui sia accompagna una ironia sfacciata nei testi. Con Pretzel Logic, del 1974, un capolavoro, hanno addirittura una hit single, nella perfetta Rikki Don’t Lose That Number (omaggio a Horace Silver, grande jazzista), ma durante il tour che segue Fagen ha un attacco di panico sul palco e decide di non esibirsi più. La decisione successiva è di sciogliere il gruppo, di diventare un duo e per compensare il mancato contatto con il pubblico, quello di scrivere canzoni perfette. Una perfezione esecutiva, compositiva e di registrazione, diventando in questi tre rispettivi campi dei punti di riferimento assoluti. Decidono quindi di chiedere servizi ai più bravi e famosi sessionisti in tutto il mondo, di usare il meglio della tecnologia e di cercare la perfezione sonora. Già con Aja, del 1977, toccano vette assolute, ma i due attraversano un periodaccio. Quando iniziano a pensare al nuovo disco Becker viene investito sotto casa, nell’Upper East Side, e si frattura diverse ossa e passa settimane in ospedale, ma ha voglia di non perdere tempo, tanto che sviluppano le idee del disco e della sua evoluzione via telefono con Fagen (tuttavia non suona in molti brani dell'album). Tra l’altro, la sua fidanzata, Karen Roberta Stanley morirà per complicazioni dell’abuso di stupefacenti, appena finite le registrazioni del nuovo disco. La famiglia della ragazza, accusando Becker di esserne stato l’iniziatore, chiese un risarcimento da milioni di dollari, ma una sentenza di qualche anno più tardi scagionò il musicista. Tutto questo non impedì che per Gaucho, che esce nei negozi di dischi il 21 Novembre del 1980, abbiano fatto ruotare nei soli 7 brani 62 musicisti, tra i più famosi del mondo, tra batteristi, chitarristi, percussionisti, sassofonisti, coristi e ben 11 ingegneri del suono.
Basta dire che fecero provare per ore Bernard Purdie, leggenda vivente del jazz e inventore del Purdie Shuffle (terzine nel tempo tagliato) le sue parti nei brani. Tutti i batteristi, tra i più grandi di sempre (ricordo Steve Gadd, Jeff Porcaro dei Toto, Rick Marotta e altri ancora) passarono ore a provare il tocco che volevano quei due, che non contenti chiesero a Roger Nichols, uno dei più grandi ingegneri del suono americani, di creare una drum machine particolare che li aiutasse: con un investimento di 150 mila dollari (una follia per l’epoca) Nichols portò loro Wendel, che per quanto fosse il massimo di sofisticatezza del tempo, per difficoltà nella programmazione fu usata pochissimo. Ma c’è un particolare simpatico: quando l’album divenne disco di platino, un disco celebrativo fu regalato persino a Wendel in quanto “artefice” del successo. Chi altro poteva chiedere a Mark Knofler, in quei mesi il chitarrista più famoso del mondo per quel pezzo leggendario che fu Sultans Of Swing, di provare ore intere un assolo da 40 secondi per Time Out Of MInd? O chi poteva pensare di passare per 55 tentativi prima di centrare la voluta dissolvenza finale di Babylon Sisters?
Tutte le canzoni sono dei gioielli in un disco che racconta di hipster un po’ in là con gli anni in cerca di divertimento: Babylon Sisters ne è l’essenza, quasi a disegnare un sogno californiano che finisce a bere un kirschwasser from a shell; oppure la famosissima Hey Nineteen (che si dice fosse piaciuta tantissimo a John Belushi che ne voleva fare un soggetto per un film) dove un attempato conquistatore rimane basito che la sua nuova conquista diciannovenne non conosca Aretha Frankiln (Hey Nineteen/ That’s ‘Retha Franklin/ She don’t remember the Queen of Soul/ It’s hard times befallen/ The sole survivors/ She thinks I’m crazy/ But I’m just growing old), in una sorta di incomunicabilità generazionale (No, we got nothin’ common/ No, we can’t dance together/ No, we can’t talk at all) e che finisce in una probabile ritiro tra Cuervo Gold (una famosa marca di tequila), Fine Colombian (che non è cioccolato bianco) e Make tonight a wonderful thing tra il sibillino e una solitaria sconfitta sentimentale. Glamour Profession racconta la vita scintillante di uno spacciatore, raccontata con dovizia di particolari; Gaucho, altro classico, una storia d’amore gay mandata in frantumi da un gigolò che veste i panni bizzarri di un gaucho, un uomo in spangled leather poncho che riesce a distruggere la quiete domestica della coppia entrando dentro la loro preziosa dimora, la leggendaria custerdome (uno dei luoghi steelydaniani per eccellenza, che non ha una traduzione letterale soddisfacente) e fu scritta pensando a Long As You Know You're Living Yours di Keith Jarrett, dal suo disco del 1974, Belonging. Jarrett ottenne il riconoscimento come autore e il relativo pagamento di diritti d’autore (nelle moderne ristampe compare come autore del brano). Time Out Of Mind è probabilmente il racconto di un primo racconto con l’eroina, a inseguire “dragoni” fino a Lhasa. My Rival è la storia intrigante di un tradimento, ma visto attraverso gli occhi di un investigatore privato con l’apparecchio acustico (He’s got a scar across his face/ He wears a hearing aid) sulle tracce di qualcuno da smascherare (Sure, he’s a jolly roger/ Until he answers for his crimes/ Yes, I’ll match him whim for whim now). E l’ultima canzone è un altro colpo da KO: Third World Man è un'accusa niente affatto sottintesa al falso interesse per le questioni sociali dei paesi in via di sviluppo, che ha perfino un verso cantato in italiano da Fagen (è l’era del terzo mondo, scritto con Victor di Suvero, poeta italiano naturalizzato americano) e ha l’ultima pazzia: l’assolo, meraviglioso, di Larry Carlton fu ripescato dalle registrazione di The Royal Scam (del 1976) e ricostruito per quella canzone, tanto che Carlton nemmeno sapeva fosse presente nei crediti del disco. Sulla musica di questi brani, lascio a voi scoprire tutte le meraviglie sonore, di ricercatezza, gli effetti da sentire e risentire, ma molti se ne accorsero presto, perché vinse il Grammy Award del 1981 per la migliore registrazione non classica. Dopo tutto questo, gli Steely Dan si sciolgono. Fanno in tempo a scrivere, a nome solo di Fagen, quell’altro capolavoro che è The Nightfly (1982, con la copertina più bella di tutti i tempi – andatela a vedere) e a ritornare, dopo 21 anni, con Two Against Nature che, come potrebbe raccontare un testo delle loro canzoni perfette, li fa conoscere ad una nuova e giovane generazione, ammaliata da quel tocco incredibile che la leggendaria rivista jazz Downbeat una volta descrisse così: Non c’è nulla che suona così bene come un disco degli Steely Dan.
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tarditardi · 2 months ago
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Zanzibar Café Vol 14 (Lofi Music), la compilation perfetta per chi vuole rilassarsi 
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La serie di compilation Zanzibar Café, pubblicata da Lofi Music, una delle tante label del gruppo Jaywork Music Group, rappresenta un viaggio sonoro attraverso atmosfere esotiche, lounge e chill-out, creando un perfetto equilibrio tra relax e ottima musica. La serie è arrivata ormai al vol.14. E' un viaggio musicale in ben 14 canzoni. Da "Drift Away" di Lacla fino a "Nippi Nippi" (Daniele Soriani Mix) dei The Black Cat Project... il viaggio è emozionante. I brani evocano tutti ambientazioni suggestive, spesso ispirate ai caffè e ai locali più raffinati delle località tropicali e delle metropoli cosmopolite.
Ogni volume di Zanzibar Café propone una selezione accurata di brani che spaziano dalla musica elettronica downtempo al nu-jazz, passando per sonorità deep house e world music e Zanzibar Café Vol 14 non fa certo eccezione. Ogni brano è curato in ogni dettaglio e rilassa, eccome.  Grazie alla sua identità musicale ed alla qualità delle selezioni proposte, Zanzibar Cafè è diventata un punto di riferimento per gli appassionati di sonorità chill-out e lounge, consolidando il suo posto tra le raccolte più apprezzate del genere.
Mentre scriviamo, il link sul sito Jaywork non è ancora disponibile, ma è un'ottima idea procurarsi anche Zanzibar Café Vol 13. La label che pubblica il CD, Lofi Music è poi specializzata in produzioni di qualità. Tra le produzioni più recenti di questa label, ecco San Valentino Best Love Songs, un sogno da ascoltare, ovviamente un mix di canzoni soprattutto chill out... 
Zanzibar Café Vol 13 sul sito Jaywork
Lofi music sul sito Jaywork 
COS'E' JAYWORK MUSIC GROUP
Jaywork Music Group è presente ed attiva sul mercato discografico dal 1998. Dal 2011 Luca Facchini, dj e produttore, ha acquisito il marchio e tutto il catalogo trasferendolo a Ferrara per proseguirne l'attività discografica. Dal 2018 Luca Peruzzi diventa A&R delle Label di Jaywork e gestisce il gruppo con Luca Facchini. Jaywork Music vanta all'attivo la produzione di numerose Hit tra le quali il progetto "2Black" con la notissima "Waves of Luv", che ricalca il grande successo del brano musicale "In alto mare" di Loredana Bertè.
Jaywork Music attraverso le sue etichette discografiche si propone di dare spazio e  scoprire nuovi talenti emergenti in Italia e non solo, essendo proiettata nel futuro ed alla costante ricerca di contenuti innovativi. Jaywork Music dispone di numerose Sub-Labels che abbracciano vari generi e stili musicali, dalla musica Italiana alla musica Dance. "Se siete dei produttori e state cercando un etichetta discografica sempre in evoluzione, Jaywork è la vostra scelta migliore", spiegano Luca Facchini e Luca Peruzzi.
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agrpress-blog · 3 months ago
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“Discipline of Freedom” di Davide Perico e Mellow Dive  Un album per tutti e per nessuno… I mu... #davideperico #disciplineoffreedom #francescojamesdini #mellowdive #yotsugi https://agrpress.it/discipline-of-freedom-di-davide-perico-e-mellow-dive/?feed_id=8745&_unique_id=677b2f32220ac
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hiphopurbans-blog · 3 months ago
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Il Rap negli Anni ’90: La Golden Age che ha Cambiato la Musica
Gli anni ’90 sono stati un decennio fondamentale per il rap americano, un periodo che ha definito lo stile, l'identità e l'evoluzione di questo genere musicale. Considerato da molti l’apice creativo e commerciale della cultura hip-hop, questo decennio ha visto nascere vere e proprie leggende e ha dato vita a un’incredibile varietà di stili e sottogeneri. Ma cosa ha reso il rap degli anni ’90 così unico e iconico? Scopriamolo insieme.
Il panorama musicale e culturale
Il rap negli anni ’90 non era più soltanto una musica di nicchia: era una voce potente che parlava delle lotte quotidiane, delle disuguaglianze sociali e delle tensioni razziali. Il genere si espandeva in due grandi direzioni geografiche e stilistiche:
East Coast: Con New York come epicentro, la scena East Coast si caratterizzava per testi profondi e complessi, spesso incentrati sulla vita urbana e sulle difficoltà di vivere in quartieri difficili. Tra i nomi più rappresentativi troviamo Nas, The Notorious B.I.G., Wu-Tang Clan e Jay-Z.
West Coast: Sulla costa opposta, la West Coast puntava su un suono più rilassato, con influenze funk e atmosfere G-Funk. Gli artisti più noti di questa scena sono Dr. Dre, Snoop Dogg, 2Pac e Ice Cube.
La rivalità tra East e West Coast, spesso enfatizzata dai media, culminò in una serie di eventi tragici, tra cui la morte di due dei più grandi rapper di sempre: Tupac Shakur e The Notorious B.I.G.. Questi episodi segnarono profondamente la cultura hip-hop e il suo futuro.
I protagonisti della scena
Gli anni ’90 hanno visto emergere artisti che non solo hanno segnato un’epoca, ma che continuano a influenzare generazioni di rapper:
Nas: Con il suo album di debutto Illmatic (1994), Nas ha fissato nuovi standard per il rap lirico. L’album è considerato uno dei migliori dischi hip-hop di tutti i tempi.
Tupac Shakur: Poeta ribelle, carismatico e controverso, Tupac ha combinato una lirica potente con un’anima militante, toccando temi di giustizia sociale, amore e morte.
The Notorious B.I.G.: Biggie Smalls, con il suo flow inconfondibile e il suo stile narrativo, ha raccontato la vita di strada in modo crudo e realistico. Il suo album Ready to Die (1994) è ancora oggi un classico.
Wu-Tang Clan: Questo collettivo, composto da nove membri, ha rivoluzionato la scena hip-hop con il loro suono grezzo e la loro estetica ispirata ai film di kung-fu.
L’evoluzione sonora: dall’underground al mainstream
Negli anni ’90, il rap ha attraversato una trasformazione sonora incredibile. Mentre agli inizi del decennio dominava un suono più grezzo e minimalista, verso la metà degli anni ’90 il rap si arricchì di nuove influenze, tra cui il funk, il jazz e il soul. Questa evoluzione ha portato alla nascita di sottogeneri come:
G-Funk: Popularizzato da artisti come Dr. Dre e Snoop Dogg, il G-Funk ha mescolato ritmi lenti, linee di basso funky e sintetizzatori melodici.
Boom Bap: Caratteristico della scena East Coast, il boom bap si distingue per le sue batterie pesanti e i sample presi dal jazz.
Conscious rap: Artisti come Common e A Tribe Called Quest hanno portato avanti un rap più riflessivo e impegnato, trattando temi sociali e politici.
La cultura intorno al rap
Il rap negli anni ’90 non era solo musica, ma un movimento culturale che includeva moda, arte e attivismo. Lo stile dei rapper influenzava le strade: felpe oversize, cappellini da baseball e scarpe da basket diventavano il look di riferimento per milioni di giovani. Allo stesso tempo, i videoclip musicali su MTV contribuivano a diffondere l’immaginario hip-hop in tutto il mondo.
La cultura del rap si esprimeva anche attraverso il graffitismo e il breaking (breakdance), continuando a portare avanti le radici del movimento hip-hop nato nei ghetti newyorkesi negli anni ’70.
Un’eredità che vive ancora oggi
L’influenza del rap degli anni ’90 è ancora visibile nell’hip-hop contemporaneo. Molti artisti di oggi si ispirano direttamente a quella generazione, sia nei testi che nelle sonorità. Album di quel decennio sono considerati pietre miliari e continuano ad essere ascoltati da milioni di persone in tutto il mondo.
Il rap degli anni ’90 ha segnato una svolta epocale, trasformandosi da musica di protesta locale a linguaggio universale. E se oggi il rap è il genere più ascoltato al mondo, lo dobbiamo in gran parte a quegli artisti che hanno messo cuore, vita e talento nei loro versi.
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usmaradiomagazine · 5 months ago
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𝐔𝐍𝐃𝐄𝐑 𝐓𝐇𝐄 𝐋𝐀𝐁𝐄𝐋
ON AIR – Friday 8 November 9:00 pm (CET) – usmaradio.org
ENG BELOW
Usmaradio presenta un nuovo spazio di esplorazione musicale: “Under the Label”, un programma ideato e condotto da Andreij Rublev. Ogni due settimane, il venerdì alle 21:00 a partire dall’11 ottobre, Rublev ci guiderà in un viaggio attraverso le trame della musica contemporanea, underground, indipendente e sperimentale, indagando le nuove tendenze e le contaminazioni tra generi che stanno ridefinendo il panorama sonoro globale.
Terza puntata: venerdì 8 novembre 2024
𝐭𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨: The Sound of Words
Nel terzo episodio, Rublev ci porta alla scoperta della parola e del suo suono. Uno spaccato sulle possibili combinazioni di spoken word, rap, slam poetry con i linguaggi della musica contemporanea (dal funk al jazz, dal noise all’improvvisazione libera).
𝐚𝐬𝐜𝐨𝐥𝐭𝐞𝐫𝐞𝐦𝐨:
> ADDICT AMEBA desert-blues, paesaggi afrobeat, cavalcate latin rock e parentesi etio-jazz. L'album “Caosmosi” si arricchisce dei contributi di Joshua Idehen, poeta e cantante anglo-nigeriano in “Look At Us”, e di Rabii Brahim, attore e musicista tunisino, in “Ya Bled”.
> OSSA DI CANE è una band Nu-Jazz senese nata dall’incontro fra Giovanni Miatto e Alessandro Vagheggini, con l’intento di unire l’estetica dell’hip-hop a quella della musica contemporanea. “La Morte Del Re”, il loro primo album analizza l’Io più profondo dell’individuo in relazione ad una realtá che lo circonda e lo attraversa.
> YAO BOBBY & SIMON GRAB il rapper togolese e attivista politico Yao Bobby collabora con il noisemaker svizzero Simon Grab. Un'intensa battaglia sonora tra testi energici proiettati in un mondo sonoro oscuro di pulsazioni elettroniche grezze con un'attitudine dub e punk. Il loro lavoro è una forma molto cruda e improvvisata di hiphop sperimentale dal vivo, Freeform Rap e Noise.
> THE SWAMP FAM misteriosa, oscura, distorta, lisergica e grottesca rivisitazione dell’hip hop e delle sue voci, con parole che sembrano venire da chissà quale oltretomba delle sample library.
> FRANCESCA NAIBO in “So Much Time” guarda al suo passato e alla sua evoluzione nel tempo. Questo l'ha portata a recuperare vecchi nastri registrati con un mangianastri economico quando aveva circa 8 anni. Ha potuto così riascoltare la sua voce, comprenderne l'essenza sonora e personale ed entrare in contatto e dialogare con essa dopo quasi 25 anni con la sua voce adulta e la sua chitarra, attraverso i linguaggi della libera improvvisazione e della composizione.
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Ogni puntata di “Under the Label” offre un’occasione unica per scoprire artisti che sfidano le categorizzazioni musicali, rompendo le barriere tra generi e culture. Le trasmissioni non sono solo un viaggio musicale, ma anche un'esplorazione critica delle tendenze culturali e sonore che caratterizzano il mondo contemporaneo
→ Andreij Rublev, alias di Andrea Gava, è un musicista e produttore italiano con un percorso che abbraccia vari progetti artistici tra sperimentazione sonora e performance dal vivo. Con una profonda conoscenza del panorama underground, Rublev è noto per la sua abilità nel creare ponti tra culture musicali diverse, spaziando dall'elettronica fino alle nuove frontiere della sperimentazione elettroacustica
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Usmaradio presents a new space for musical exploration: “Under the Label”, a show conceived and hosted by Andreij Rublev. Every two weeks, on Fridays at 9:00 PM starting October 11, Rublev will guide us through the threads of contemporary, underground, independent, and experimental music, investigating the new trends and cross-genre contaminations that are redefining the global soundscape
Third episode: Friday, 08 November, 2024
Title: The Sound of Words
In the third episode, Rublev takes us to discover words and their sounds. An insight into the possible combinations of spoken word, rap and slam poetry with the languages of contemporary music (from funk to jazz, from noise to free improvisation).
Featured artists in this episode:
> ADDICT AMEBA desert-blues, afrobeat landscapes, latin rock rides and ethio-jazz parentheses. The album “Caosmosi” is enriched by the words and the voices of Joshua Idehen, Anglo-Nigerian poet and singer in “Look At Us”, and Rabii Brahim, Tunisian actor and musician, in "Ya Bled".
> OSSA DI CANE is a Nu-Jazz band from Siena, Italy, born from the meeting between Giovanni Miatto and Alessandro Vagheggini, with the aim of combining the aesthetics of hip-hop with contemporary music. “La Morte Del Re”, their first album, analyzes the individuals’ deepest self in relation to a reality that surrounds them.
> YAO BOBBY & SIMON GRAB the togolese Rapper and political activist Yao Bobby collaborates with swiss noisemaker Simon Grab. An intense soundbattle between energetic rhymes fired into a dark soundworld of raw electronic bass pulsations with a dubby punk attitude, produced on analog feedback electronics. Their show is a very raw and improvised form of live experimental hiphop, Freeform Rap and Noise.
> THE SWAMP FAM mysterious, dark, distorted, lysergic and grotesque reinterpretation of hip hop and its voices, with words that seem to come from who knows what afterlife of the sample libraries.
> FRANCESCA NAIBO looked at her past and her evolution in time and this lead her to rescue old tapes she recorded at home with a cheap recorder when she was around 8 years old. In this way she could listen again to her voice, understand its sonic and personal essence and enter in contact and dialogue with it after almost 25 years with her adult voice and her guitar, through the languages of free improvisation and composition.
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Each episode of “Under the Label” offers a unique opportunity to discover artists who challenge musical categorization, breaking barriers between genres and cultures. The broadcasts are not just a musical journey but also a critical exploration of the cultural and sonic trends shaping the contemporary world
→ Andreij Rublev, aka Andrea Gava, is an Italian musician and producer whose career spans various artistic projects, blending sound experimentation with live performances. With deep knowledge of the underground scene, Rublev is known for his ability to bridge diverse musical cultures, ranging from electronic music to the new frontiers of electroacoustic experimentation.
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micro961 · 7 months ago
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Francesco Binetti - Il videoclip del brano “Percorso”
Un viaggio al di là dei luoghi comuni
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Francesco Binetti pubblica il videoclip del singolo “Percorso”, uscito il 15 marzo 2024 sugli stores digitali e nelle radio in promozione nazionale. Il brano è incentrato sul percorso universitario dell’artista, laureato in Beni Culturali in triennale e, in magistrale, in Beni Archeologici e Storico-artistici. Nonostante i luoghi comuni, il cantante è più che soddisfatto della strada che ha intrapreso, seguendo i propri sogni e non lasciandosi mai scoraggiare. Il video, girato tra le città di Montesilvano e Città Sant’Angelo, ha come protagonista lo stesso Francesco, che canta, suona e si rilassa all’aria aperta, in una bella giornata estiva. L’invito rivolto al pubblico è quello di seguire le proprie inclinazioni, senza ascoltare i numerosi pregiudizi sulle facoltà umanistiche.
“L’ importante, però, è infischiarsene e continuare seguire i propri sogni, sempre determinati e ispirati!” Francesco Binetti
Guarda il video
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Ascolta il brano
Storia dell’artista
Francesco Binetti, cantautore pescarese, ha iniziato a suonare la chitarra a nove anni: passione che lo ha indotto ben presto a coltivare lo studio dello strumento, arrivando sin da ragazzino a comporre le prime canzoni. Prima dei vent’anni ha esplorato anche l’ambito Jazz, continuando a studiare e sperimentare. Tutto questo lo ha però riportato alle origini, tornando al cantautorato e alla scrittura di canzoni più dirette e istintive. A luglio del 2021 l’uscita del suo primo singolo dal titolo “Verrai ricompensato”, con cui si affaccia per la prima volta nell’ambito discografico e radiofonico. A gennaio del 2022 pubblica il secondo singolo dal titolo “Leopardi”. Attualmente in promozione con il terzo singolo “Percorso”, continuando la sua evoluzione come musicista e compositore.
Facebook: https://www.facebook.com/francesco.binetti.161
Instagram: https://www.instagram.com/binso94/
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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La storia del Blues: dalle radici africane ai palcoscenici internazionali. Di Alessandria today
Un viaggio attraverso la nascita, l’evoluzione e l’impatto culturale del genere musicale che ha cambiato il mondo
Un viaggio attraverso la nascita, l’evoluzione e l’impatto culturale del genere musicale che ha cambiato il mondo Le radici del Blues: l’origine africana. Il Blues affonda le sue radici nel dolore e nella resistenza. Nato nel sud degli Stati Uniti alla fine del XIX secolo, il Blues è il risultato dell’incontro tra la tradizione musicale africana e le esperienze dei lavoratori afroamericani…
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aitan · 1 year ago
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"Pithecanthropus Erectus" fu registrato in questo giorno 68 anni fa, il 30 gennaio 1956, presso gli Audio-Video Studios di New York City.
Di seguito una parte delle note di copertina dell'album epinimo che ho provato a tradurre dall'inglese barocco del suo immenso autore, Charles Mingus.
“Questa composizione è in effetti una poesia sonora jazz, perché rappresenta musicalmente la mia concezione del corrispettivo moderno del primo uomo a stare eretto – quanto era orgoglioso di essere il "primo" a elevarsi dalle quattro zampe, picchiandosi il petto e proclamando la sua superiorità sugli animali ancora in posizione prona!
Sopraffatto dall'autostima, esce a governare il mondo, se non addirittura l'universo, ma sia il suo fallimento nel comprendere l'inevitabile emancipazione di coloro che cercava di schiavizzare, sia la sua avidità basata su delle false sicurezze, gli negano il diritto di essere veramente un uomo e alla fine lo distruggono completamente. Fondamentalmente, la composizione può essere suddivisa in quattro movimenti: (1) evoluzione, (2) complesso di superiorità, (3) declino e (4) distruzione.
I primi tre movimenti sono suonati dal gruppo in una forma ABAC, con l'alto e il tenore che descrivono insieme il secondo movimento; poi ogni solista ripete questa forma, raccontando la storia a modo suo. Dopo il solo dell'alto, il gruppo suona di nuovo la forma originale, tranne il fatto che il terzo movimento si sviluppa ora in quello che ho chiamato il quarto movimento. L'ultimo movimento si basa sul terzo, ma aumenta di velocità e intensità e raggiunge un climax definitivo, indicando la distruzione finale nel modo in cui un organismo moribondo ha un'ultima frenetica esplosione prima di esalare il suo ultimo respiro.”
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daniela--anna · 2 years ago
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Guarda "Rude - Vintage 1950s Sock Hop - Style MAGIC! Cover ft. Von Smith" su YouTube
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Jazz is a musical genre born in the early twentieth century as an evolution of musical forms already used by African American slaves.
Initially it had the form of "work songs" (work songs) in plantations and during the construction of railways and roads in the United States and served to pace and coordinate movements (the rhythm was binary).
Early musicians played music by ear, and the pioneering orchestras in New Orleans were called ragtime bands.
The main elements of jazz are two: rhythm and improvisation.
From a technical point of view, modern jazz is characterized by the extensive use of improvisation, blue notes, polyrhythm and harmonic progression used in a different way compared to classical music.
Rhythm, elastic and sometimes unevenly paced, for example in swing, has always been of great importance in almost all forms of jazz, and sometimes spawned symphonic jazz.
From the very beginning, interpretation has valued expressiveness and instrumental virtuosity.
Part of early jazz was based on combinations of African musical elements, that is articulated on pentatonic scales, with characteristic blue notes, mixed with harmonies derived from European classical music with a notable use of syncopated rhythms and polyrhythms.
Improvisation, starting from the simple variation on the initial theme, has become increasingly important.
In free jazz, which had its heyday in the 1960s and 1970s, the theme could also disappear in experiments that were called collective total improvisation.
The typical modern jazz formation consists of a small musical group.
The most frequent combination is the quartet, almost invariably consisting of a rhythm section composed of drums, bass or double bass, piano and a solo instrument, usually a saxophone or trumpet.
Il jazz è un genere musicale nato agli inizi del XX secolo come evoluzione di forme musicali già utilizzate dagli schiavi afroamericani.
Inizialmente aveva la forma di "canzoni di lavoro" (work songs) nelle piantagioni e durante la costruzione di ferrovie e strade negli Stati Uniti e serviva a ritmare e coordinare i movimenti (il ritmo era binario). I primi musicisti suonavano musica a orecchio e le orchestre pionieristiche a New Orleans erano chiamate ragtime bands.
I principali elementi del jazz sono due: ritmo e improvvisazione.
Dal punto di vista tecnico il jazz moderno è caratterizzato dall'uso estensivo dell'improvvisazione, di blue note, di poliritmia e di progressione armonica usate in modo diverso rispetto alla musica classica.
Il ritmo, elastico e a volte scandito in maniera ineguale, ad esempio nello swing, ha sempre rivestito grande importanza in quasi tutte le forme di jazz, e talvolta ha generato il jazz sinfonico.
Sin dagli inizi l'interpretazione ha valorizzato l'espressività ed il virtuosismo strumentale. Parte del jazz degli albori era basato su combinazioni di elementi musicali africani, articolata cioè su scale pentatoniche, con caratteristiche blue notes, mescolate ad armonie derivate dalla musica colta europea con un notevole uso di ritmi sincopati e poliritmi.
L'improvvisazione, partendo dalla semplice variazione sul tema iniziale, ha assunto sempre maggiore importanza. Nel free jazz, che ebbe il suo periodo d'oro negli anni Sessanta-settanta, il tema poteva anche scomparire in esperimenti che venivano chiamati improvvisazione totale collettiva.
La formazione jazzistica moderna tipica è costituita da un gruppo musicale di dimensioni limitate. La combinazione più frequente è il quartetto, quasi invariabilmente costituito da una sezione ritmica composta da batteria, basso o contrabbasso, pianoforte e da uno strumento solista, generalmente un sassofono o una tromba.
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djs-party-edm-italia · 9 months ago
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Palomar" è il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet
E' in rotazione radiofonica "Palomar", il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet.
 "Palomar" è una contaminazione tra swing & pop contemporaneo e racconta di un incontro casuale e straordinario con il re dello swing, Benny Goodman. Da lì, come per "magia", il quintetto si ritroverà trasportato alla notte del 21 agosto 1935 in cui si narra che proprio al Palomar Ballroom, lo storico locale situato a Los Angeles, Benny Goodman con la sua orchestra diede vita alla swing era.
Gli artisti commentano così la nuova release: "Palomar rappresenta l'esaltazione della nostra voglia di sperimentare l'unione tra innovazione e tradizione. L'idea del testo è nata sfogliando un libro sulla storia del jazz che proprio narrava quella famosa notte con tanto di locandina dell'evento che è volutamente riportata all'inizio del videoclip."
Il videoclip di "Palomar" è ispirato all'atmosfera calda ed elegante dei night club americani Anni '30. L'energia nella stanza è palpabile e contagiosa e tutti intorno sorridono e si scatenano nella pista. Citando il testo del brano "il ritmo è travolgente ed il piede va da se". Non puoi fare a meno di sentire irradiare l'ottimismo che avvolge come seta.
Guarda il videoclip su YouTube: https://m.youtube.com/watch?v=g4sAlz-IHrw&feature=youtu.be 
Biografia La formazione nasce a Perugia nel 2015 con la voglia di dare vita ad un cocktail infallibile di Swing & Soul da un' idea di Daniela Tenerini alla voce, Roberto Cesaretti al basso, David Versiglioni al piano, Alberto Rosadini alla batteria e Paolo Bartoni alla tromba ed al flicorno. Si considerano una band di "fratelli" che si sono trovati nel tempo e questo senso di comunità si estende anche al loro pubblico. La loro musica è ispirata al periodo della Dolce Vita e alle orchestrine dei Night Club; la loro cifra è data dalla miscela delle loro diverse storie, dal rock al soul, dal funk al jazz, dal classico al contemporaneo e la sfida è sposare in modo originale tutti questi generi musicali. Attraverso arrangiamenti sofisticati e mai scontati, il quintetto ricrea un ideale ponte tra gli anni '50 ed i giorni nostri, riproponendo grandi classici del passato di calibro internazionale accostati a melodie contemporanee rivisitate con gusto ed ironia. La loro particolarità risiede nel riuscire ad accostare delle canzoni composte nella prima metà del secolo scorso a dei brani pop attuali che, magistralmente reinterpretati in chiave "vintage" godono di nuova vita, facendo così vivere al pubblico un viaggio sonoro lungo la stessa strada, ma in direzioni opposte. Il loro caleidoscopio musicale vede affiancati i Maroon Five a N.K.Cole, i Coldplay a Benny Goodman, Zaz a Paul Desmond, Megan Trainor a Irving Berlin e molti altri. Dal 2019 la band continua la sua evoluzione proponendo anche brani originali, in italiano, francese e spagnolo, nel proprio stile. Settembre 2023 è uscito il loro secondo album che contiene tre brani originali ("Ci vuole un po' di swing", "Todo va a Pasar", "Io e te") e originali rivisitazioni di grandi successi, prende il titolo dal primo singolo estratto "Ci vuole un po' di swing" che appena uscito è stato subito di grande interesse a livello nazionale. Non è senza merito che il brano è stato selezionato dalla trasmissione "Sulle strade della musica" di Rai Isoradio con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Siae e successivamente trasmesso da altre importanti emittenti radiofoniche nazionali. L' album d'esordio "Parole su parole", contenente due brani inediti ("Parole su parole" e "Comme neige") e nove cover in versione live acustica, è stato presentato ad Ottobre 2019 al Teatro Cucinelli ed inserito nella raccolta "100 dischi di jazz italiano" del giornalista, critico musicale e musicista Amedeo Furfaro. Con gli inediti, i Four Seasons hanno voluto sperimentare l'influenza dell'epoca moderna, unendo la freschezza della musica elettronica allo stile della SwingEra. Nei loro live i Four Seasons sono soliti intraprendere un affascinante viaggio intorno al mondo, che si fonde anche con i colori e le sonorità dell'America Latina. Con il loro stile personale nell'arrangiare le canzoni, il gruppo si pone come obiettivo quello di accarezzare piacevolmente chi ascolta, proponendogli un repertorio accattivante che sappia emozionarlo ed allo stesso tempo farlo divertire. Un concerto coinvolgente, fatto di canzoni inaspettate, che colpiscono per la loro semplicità e originalità, rifinito dall'eleganza e dalla splendida voce della front-woman Daniela Tenerini. La formazione ha partecipato a numerose manifestazioni, tenendo concerti in piazze e festival per eventi in Italia e all'estero, tra cui: • ITU PP 22 Bucharest per l' Ambasciata Italiana ed il Ministero degli Esteri • Festival de Printemps allo Chateau de Champ Pittet a Yverdon in Svizzera • Amalfi in Jazz in P.zza Duomo,  • Estatica Pescara all' Arena del Porto • Tramonti al Belvedere nella Terrazza Leuciana a Caserta  • Festival Villa Solomei di Brunello Cucinelli  • Jazz Up Festival a Viterbo • La settimana del Jazz a Monteriggioni  • Gran Galà Festival dei Due Mondi a Spoleto  • Accademia Navale di Livorno "Palomar" è il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet in rotazione radiofonica dal 12 luglio 2024.
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tarditardi · 9 months ago
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Palomar" è il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet
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E' in rotazione radiofonica "Palomar", il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet.
 "Palomar" è una contaminazione tra swing & pop contemporaneo e racconta di un incontro casuale e straordinario con il re dello swing, Benny Goodman. Da lì, come per "magia", il quintetto si ritroverà trasportato alla notte del 21 agosto 1935 in cui si narra che proprio al Palomar Ballroom, lo storico locale situato a Los Angeles, Benny Goodman con la sua orchestra diede vita alla swing era.
Gli artisti commentano così la nuova release: "Palomar rappresenta l'esaltazione della nostra voglia di sperimentare l'unione tra innovazione e tradizione. L'idea del testo è nata sfogliando un libro sulla storia del jazz che proprio narrava quella famosa notte con tanto di locandina dell'evento che è volutamente riportata all'inizio del videoclip."
Il videoclip di "Palomar" è ispirato all'atmosfera calda ed elegante dei night club americani Anni '30. L'energia nella stanza è palpabile e contagiosa e tutti intorno sorridono e si scatenano nella pista. Citando il testo del brano "il ritmo è travolgente ed il piede va da se". Non puoi fare a meno di sentire irradiare l'ottimismo che avvolge come seta.
Guarda il videoclip su YouTube: https://m.youtube.com/watch?v=g4sAlz-IHrw&feature=youtu.be 
Biografia La formazione nasce a Perugia nel 2015 con la voglia di dare vita ad un cocktail infallibile di Swing & Soul da un' idea di Daniela Tenerini alla voce, Roberto Cesaretti al basso, David Versiglioni al piano, Alberto Rosadini alla batteria e Paolo Bartoni alla tromba ed al flicorno. Si considerano una band di "fratelli" che si sono trovati nel tempo e questo senso di comunità si estende anche al loro pubblico. La loro musica è ispirata al periodo della Dolce Vita e alle orchestrine dei Night Club; la loro cifra è data dalla miscela delle loro diverse storie, dal rock al soul, dal funk al jazz, dal classico al contemporaneo e la sfida è sposare in modo originale tutti questi generi musicali. Attraverso arrangiamenti sofisticati e mai scontati, il quintetto ricrea un ideale ponte tra gli anni '50 ed i giorni nostri, riproponendo grandi classici del passato di calibro internazionale accostati a melodie contemporanee rivisitate con gusto ed ironia. La loro particolarità risiede nel riuscire ad accostare delle canzoni composte nella prima metà del secolo scorso a dei brani pop attuali che, magistralmente reinterpretati in chiave "vintage" godono di nuova vita, facendo così vivere al pubblico un viaggio sonoro lungo la stessa strada, ma in direzioni opposte. Il loro caleidoscopio musicale vede affiancati i Maroon Five a N.K.Cole, i Coldplay a Benny Goodman, Zaz a Paul Desmond, Megan Trainor a Irving Berlin e molti altri. Dal 2019 la band continua la sua evoluzione proponendo anche brani originali, in italiano, francese e spagnolo, nel proprio stile. Settembre 2023 è uscito il loro secondo album che contiene tre brani originali ("Ci vuole un po' di swing", "Todo va a Pasar", "Io e te") e originali rivisitazioni di grandi successi, prende il titolo dal primo singolo estratto "Ci vuole un po' di swing" che appena uscito è stato subito di grande interesse a livello nazionale. Non è senza merito che il brano è stato selezionato dalla trasmissione "Sulle strade della musica" di Rai Isoradio con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Siae e successivamente trasmesso da altre importanti emittenti radiofoniche nazionali. L' album d'esordio "Parole su parole", contenente due brani inediti ("Parole su parole" e "Comme neige") e nove cover in versione live acustica, è stato presentato ad Ottobre 2019 al Teatro Cucinelli ed inserito nella raccolta "100 dischi di jazz italiano" del giornalista, critico musicale e musicista Amedeo Furfaro. Con gli inediti, i Four Seasons hanno voluto sperimentare l'influenza dell'epoca moderna, unendo la freschezza della musica elettronica allo stile della SwingEra. Nei loro live i Four Seasons sono soliti intraprendere un affascinante viaggio intorno al mondo, che si fonde anche con i colori e le sonorità dell'America Latina. Con il loro stile personale nell'arrangiare le canzoni, il gruppo si pone come obiettivo quello di accarezzare piacevolmente chi ascolta, proponendogli un repertorio accattivante che sappia emozionarlo ed allo stesso tempo farlo divertire. Un concerto coinvolgente, fatto di canzoni inaspettate, che colpiscono per la loro semplicità e originalità, rifinito dall'eleganza e dalla splendida voce della front-woman Daniela Tenerini. La formazione ha partecipato a numerose manifestazioni, tenendo concerti in piazze e festival per eventi in Italia e all'estero, tra cui: • ITU PP 22 Bucharest per l' Ambasciata Italiana ed il Ministero degli Esteri • Festival de Printemps allo Chateau de Champ Pittet a Yverdon in Svizzera • Amalfi in Jazz in P.zza Duomo,  • Estatica Pescara all' Arena del Porto • Tramonti al Belvedere nella Terrazza Leuciana a Caserta  • Festival Villa Solomei di Brunello Cucinelli  • Jazz Up Festival a Viterbo • La settimana del Jazz a Monteriggioni  • Gran Galà Festival dei Due Mondi a Spoleto  • Accademia Navale di Livorno "Palomar" è il nuovo singolo dei Four Seasons Quintet in rotazione radiofonica dal 12 luglio 2024.
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chez-mimich · 3 years ago
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TRIO CORRESPONDENCES
Quando ad un concerto jazz incontro quel mostro sacro della critica musicale che è Riccardo Bertoncelli, significa che qualcosa di grosso bolle in pentola. Un po' come se la sua presenza fosse garanzia della qualità del concerto. E così, facendo il disinvolto e chiacchierando dei tempi passati approfitto per chiedergli per quale dei tre musicisti del "Trio Correspondences", di scena sabato scorso al “Nòva”per l’edizione invernale di Novara Jazz 2022, si fosse scomodato. Lui con la solita "nonchalance", mi risponde che è venuto a dare un'occhiata. Ma io so che le sue "occhiate" non sono mai casuali, ed infatti Jason Roebke al contrabbasso, Josh Berman alla cornetta e Sven-Åke Johansson alla batteria, danno vita ad uno dei più suggestivi ed intensi concerti della stagione a "Nòva” uno spazio, vale la pena ricordarlo, ricavato da un'ex-caserma e al centro di interessanti progetti futuri. Quando Jason Roebke impugna il suo contrrabbasso ed esita a lungo, con gesti trattenuti, prima di far vibrare le corde dello strumento, si comprende all'istante che sta per accadere qualcosa di molto interessante. Roebke sembra far suonare il silenzio che non è poi proprio la cosa più facile del mondo: si tratta di far percepire allo spettatore il silenzio come parte integrante di un pezzo musicale. Accade a volte, nel jazz come nella musica classica, che il silenzio faccia la sua parte nel mezzo di un movimento, un intervallo dove lasciar risuonare gli armonici, dove dare allo spettatore il tempo di una rapida riflessione o, nel caso del jazz, un respiro, dopo qualche mirabolante virtuosismo. Tuttavia, far risuonare il silenzio, prima che il brano inizi, è cosa che riesce a pochi grandi o grandissimi musicisti. Anche Josh Berman esita a lungo prima di produrre una nota, anzi un primo vagito rumoristico e, persino la batteria del grande vecchio Sven-Åke Johansson, inizia rispettosa in quel vuoto abilmente popolato da “non-suoni". Poi una volta che l'incanto del silenzio si è rotto, incomincia il ricamo musicale fatto di suoni assolutamente originali, dove è sempre Josh Berman a popolare lo spazio (e il tempo), di figure in veloce evoluzione, che evocano moltitudini e solitudini, con l'impasto dei colori sonori del jazz di Chicago (ricordiamo che sia Josh Berman che Jason Roebke, provengono da quella città). A Sven-Åke Johansson, sembra essere riservato il ruolo di "disturbatore autorizzato", ruolo che riveste magnificamente e con grande immedesimazione simbiotica con gli altri due musicisti. Scorre via veloce questa intensa ora di concerto, tra le iperboliche figure musicali della cornetta di Berman, le strozzature sincopate del contrabbasso di Roebke e le sfarinature della batteria di Johansson, un continuum di vuoti più che di pieni, un jazz “sottrattivo” di grande carattere. Lo sapevo, che quando Riccardo Bertoncelli esce dal suo proverbiale rifugio pieno di dischi rock, per “dare un’occhiata”, una buona ragione c’è sempre. Direi un’ottima ragione…
 
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gazemoil · 5 years ago
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I 10 MIGLIORI ALBUM DI METÀ 2020
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Se possiamo spendere due parole riguardo questi primi sei mesi del nuovo decennio diciamo semplicemente che non è stato come ci aspettavamo. Ci sentiamo ancora sopraffatti e commentare a livello generale una situazione così delicata e dai molteplici aspetti è davvero impossibile e non è nostra intenzione. La musica ci ha raccontato in parte di questo periodo difficile, ma la verità è che tutto è sembrato cristallizzarsi e poi esplodere di nuovo sfuggendo al nostro controllo. La musica avrebbe voluto non fermarsi e se un lato è stato così dall’altro non possiamo ignorare il fatto che i nostri artisti stanno procedendo faticosamente in ginocchio. Anche noi della redazione virtuale di gazemoil abbiamo fatto silenzio per un pò per occuparci di altro e far in modo che in futuro, lentamente, potessimo ripartire. Abbiamo deciso di farlo da qui, raccontandovi il meglio di ciò di cui non abbiamo parlato. Questi sono i 10 Migliori Album di Metà 2020.
10. Grimes - Miss Anthropocene (4AD, 2020)
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Specialmente in questi ultimi anni Grimes, nome d’arte di Claire Bucher, ha vissuto in un mondo tutto suo. La producer, cantante e multistrumentista è sempre stata un personaggio sui generis, ma con una vita privata che ultimamente si lega sempre di più a quella pubblica è inevitabile che la sua personalità fuori dagli schemi si scontri con i canoni dell’essere una figura sotto ai riflettori, dunque confrontarsi con l’essere messa in discussione, ma ancora di più per il suo stile di vita e delle idee davvero bizzarre, spesso per gli altri non comprensibili. Ed è su questo precario e non ben definito equilibrio tra l’essere visionari e l’avere una fantasia piuttosto spiccata che nasce l’album più importante della sua carriera, Miss Anthropocene. Invece di rispondere al fuoco incrociato che l’ha vista protagonista di polemiche e critiche ha deciso di allontanarsi ancora di più dalla mondanità costruendo un universo inventato parecchio più inquietante e contorto di quello reale, dove il disastro climatico si intreccia a malvagie divinità aliene che desiderano soggiogare l’essere umano e mandare il mondo in rovina. La parte strumentale è quasi ambiziosa tanto quanto il concept - ma al contrario di quest’ultimo funziona sicuramente meglio ed è eseguito con più chiarezza - e vede Grimes ampliare ancora la sua palette sonora, rivelando una raffinata e lineare evoluzione del suo interesse di vecchia data verso la nostalgia della cultura rave e l’allettante musica pop dalle varie parti del mondo. I territori esplorati sono davvero tantissimi e l’eclettismo dell’artista è il punto forte di un disco che nel bene e nel male si è conquistato il diritto di guidarci verso le nuove rotte della musica pop.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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09. Yves Tumor - Heaven To A Tortured Mind (Warp, 2020)
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Un’altra personalità che ha intenzione di riscrivere le coordinate del pop a modo suo è il misterioso Yves Tumor che emergendo dalle viscere scure del post-industrial e della musica noise completa la sua metamorfosi in falena affascinante dell’rnb e dell’art rock, abbandonando i detriti sperimentali da brivido e lavorando invece sulla sua sorprendente capacità nel rendere orecchiabile ed armonico qualcosa di fondamentalmente dissonante e pure disturbante. S’illumina di una trasognata attitudine pop il nuovo disco Heaven To A Tortured Mind, senza tradire il bisogno di essere fluido e trasgressivo, ma sicuramente meno dilagante e disorientante. Lui è un’artista che avevamo già intuito essere sulla buona strada per il successo col disco precedente, ma stavolta stupisce davvero per la maturità. Astratto, ma ora anche molto più concreto, Heaven To A Tortured Mind trova l’occasione per schiacciare l’occhio a sensualità jazz e psichedeliche, regalandoci ballate al buio trasversali.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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08. The Strokes - The New Abnormal (RCA, 2020)
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Quella degli Strokes è una carriera leggendaria e lo sappiamo benissimo tutti. Per una band che ha influenzato in maniera indelebile il primo decennio degli anni duemila ed ha vissuto quasi tutto il successivo sopra le spalle dei loro brani immortali non deve essere stato facile ritornare con un nuovo disco inedito. Più volte abbiamo creduto che l’intenzione di Casablancas fosse quella di continuare a fare musica con il suo side-project The Voidz e che con gli Strokes non ci fosse più la scintilla di un tempo - vedi il ritorno a mani basse con l’EP Future Present Past del 2016 - ma a smentirci, fortunatamente, c’è The New Abnormal dove la band è animata da un’energia tutta nuova. Con la produzione di Rick Rubin il disco riesce a spingere alcuni limiti della band ed offrire delle tracce stravaganti, creative e dalle strane scelte, al contempo ritrova quel brio chiassoso dei primi lavori che ne sporca i suoni e riporta alle origini del loro rock da garage. I riferimenti agli anni ‘80 ci sono, dalla copertina fino ai rimandi musicali, ma The New Abnormal non è un disco vecchio o prevedibile, anzi estremamente orecchiabile, classico ed audace. Sì, gli Strokes continuano ad essere rilevanti anche vent’anni dopo. 
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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07. Against All Logic - 2017-2019 (Other People, 2020)
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Anche questo per Nicolas Jaar sembra essere un anno d’oro. Il poliedrico produttore americano-cileno vive un periodo particolarmente prolifico e la musica registrata sotto lo pseudonimo Against All Logic è interessante tanto quanto quella con il suo nome di nascita, se non di più. Tanto è vero che a finire sulla nostra lista non c’è Cenizas, ma 2017-2019 che segue l’eccellente disco di due anni fa in cui si avventura sui territori meno battuti della musica techno con un approccio innovativo fuori dal comune. Quello di 2017-2019 è un suono distorto e duro che fa da controparte all’avvolgente e calda musica house del debutto, ma è ugualmente eccentrica ed ambiziosa. Il mix è ipnotico, caotico ma incredibilmente diretto, le successioni dei brani sono fluide ed i ritmi sempre serrati, centrati su bassi profondi spesso al limite della trama sonora, strane percussioni e melodie accattivanti.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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06. Charli XCX - how i’m feeling now
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Nel bel mezzo della pandemia ed a pochi mesi di distanza dal suo ultimo ed acclamatissimo disco, la regina - indiscussa - del nuovo pop Charli XCX ci ha raccontato come se la stava passando con una raccolta di undici tracce messe insieme di fretta e furia, neanche del tutto finite, che spiegano perfettamente come ci si sente ad essere presi alla sprovvista. how i’m feeling now è stato un fulmine a ciel sereno un pò come tutta la situazione che abbiamo vissuto, un progetto per nulla confezionato che incapsula il recente passato musicale dell’artista attraverso getti d’ispirazione istintivi suggestionati dalla sua sfera emotiva in una situazione di isolamento ed alienazione. Il risultato è davvero eccentrico e spigoloso, molto personale e riflessivo, ma al contempo bello per intrattenersi con del buon pop d’avanguardia. Vanta tra le produzioni quelle di Dylan Brady (100 gecs) che satura ancora di più tutto l’universo accelerato di Charli, fondendo il bubblegum pop della prima con l’elettronica sperimentale del secondo. 
VOTO: 80/100
Di Viviana Bonura
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05. Rina Sawayama - SAWAYAMA (Dirty Hit, 2020)
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E’ davvero un coraggioso nuovo mondo quello che si sta creando la musica pop negli ultimi anni - non a caso fino ad ora tre album su cinque in questa lista sono pop - e Rina Sawayama vi sta contribuendo a pieno, mostrandoci esattamente come nel suo debutto SAWAYAMA. Sempre a fianco dell’alchimista del pop Clarence Clarity che si è occupato delle produzioni i due riescono a definire con chiarezza la direzione artistica del disco. Estremamente contemporaneo, contaminato e stiloso, incorpora elementi del teen pop dei primi anni 2000 à la Christina Aguilera con le sue evoluzioni bubblegum molto più moderne ed elettroniche, ed ancora il nu-metal dei Deftones coi ritmi club. Sembra fin troppo ambizioso ed eccessivo, ma SAWAYAMA unisce con entusiasmante maestria suoni aggressivi ed altri decisamente più inoffensivi facendo tesoro dell’eredità culturale dell’artista e contemporaneamente esplorando i temi dell’identità, sentimenti personali e filosofie più in generale sul mondo. E’ un disco importante perchè si posiziona con prepotenza nelle cerchie del pop pur avendo un’anima estremamente anticonvenzionale, strana e piena di giustapposizioni. 
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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04. Moses Sumney -  græ  (Jagjaguwar,2020)
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L’arioso e tentacolare secondo disco della gemma dell’art-pop Moses Sumney è un tripudio di sfumature emotive e musicali. Diviso in due parti (la prima uscita in versione digitale all’inizio dell’anno) esplora gli spazi grigi - “grey areas” - tra la musica, le parole e soprattutto nell’individuo, mettendo in discussione la nostra esistenza binaria. Momenti strumentali organici che spaziano dal jazz al soul si susseguono elevando il linguaggio del disco e schiarendone le ombre, insieme a distorsioni elettroniche ed arrangiamenti sperimentali che ne intrecciano la traiettoria. Anche questa volta il collante è la splendida ed anamorfica voce dell’artista, intenta a spezzarci letteralmente il cuore. Sebbene la paura della solitudine di Sumney definisca ancora gran parte dell'album, il suo abbracciare questi spazi di mezzo apre nuove possibilità di auto-determinazione e attualizzazione. Spirituale, sperimentale, vivido e dolce sono le parole per descrivere græ.
VOTO: 80/100
di Viviana Bonura
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03. Laura Marling - Song For Our Daughter (Chrysalis / Partisan, 2020)
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Giunta al settimo album in studio a soli trent’anni, la cantautrice e musicista Laura Marling continua a volare sotto i radar del grande successo, probabilmente perché durante la sua carriera è riuscita a far sembrare semplicissime cose molto più complesse ed intricate, giungendo ad una maturità artistica notevole per la sua età. Song For Our Daughter conferma la natura taciturna dell’autrice, anzi risparmia moltissimi elementi a favore di una semplicità che fa emergere solo l’essenziale, premiandone la scelta coraggiosa con un risultato che lo colloca tra i suoi lavori più completi. E’ un disco che si pone poeticamente come un dialogo con una figlia immaginaria, ma che in realtà è una lettera a cuore aperto alla sè più giovane, quella di una volta. Come se avesse vissuto chissà quante vite o la sua anima fosse davvero vecchia, la Marling compensa alla mancanza di sperimentazione e strumentali assolutamente non protagoniste con una delle scritture più belle di quest’anno. Apparentemente troppo delicato e sottile, Song For Our Daughter è invece un disco robusto capace di mantenere viva l’attenzione con storie toccanti piene di colpi e riflessioni inaspettate, cantate dall’elegantissima voce senza tempo di un’autrice la quale statura viene spesso paragonata a quella della leggendaria Joni Mitchell. Chissà se allora la sua avventura diventerà un classico.
VOTO: 85/100
di Viviana Bonura
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02. Lucio Corsi - Cosa faremo da grandi? (Sugar Music Italia, 2020)
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C’era una volta il cantautorato narrativo e Lucio Corsi lo ha preso e rispolverato con grazia. E’ una ninna nanna di nove ballate per adulti Cosa faremo da grandi: “Perché nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”. L’album è ricco di storie senza tempo e personaggi semi fiabeschi, fuori dagli schemi della società odierna. Il cantautore maremmano fa da eccentrico narratore in questo dolce album con tante nuove storie raccontate in versi di canzoni oniriche. Le melodie serene e allietanti dei brani di Cosa faremo da grandi? non sono un manifesto del sound attuale, ma nel complesso l’album è molto originale grazie alle parole ricercate all’immaginario che le storie suscitano. La ricerca e gli arrangiamenti valorizzano il fatto che l’album sia un puzzle di figure semplice e pure come i disegni dei bambini. E’ un lavoro che nasce nel 2020, ma potrebbe essere traslato indietro nel tempo o collocato in un’Italia futura: il suo essere senza tempo lo rende eccentrico e speciale.
VOTO: 85/100
di Agnese Centineo
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01. Perfume Genius - Set My Heart On Fire Immediately (Matador, 2020)
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Il quinto album di Mike Hadreas, in arte Perfume Genius, si destreggia fluido tra melodie sublimi e dissonanze cupe con la delicatezza di uno degli artisti più sensibili degli ultimi anni, abbracciando le gioie ed i dolori del corpo umano e le sue innumerevoli ed intangibili aspirazioni. Hadreas ha dimostrato durante tutta la sua carriera come ogni disco è capace di rappresentare una metamorfosi - artistica e personale - e Set My Heart On Fire Immediately non fa eccezione. Come No Shape mantiene una sensibilità rock ed un riguardo verso l’orecchiabilità in funzione della radio, mentre come Too Bright alterna struggente momenti di tenerezza ed alienazione, mettendo in circolo dramma, emozioni, piacere e sofferenze in maniera meno intricata e sicuramente più risolta. Gli arrangiamenti sono vivi, così come le sue parole. Quella di Perfume Genius è una musica estremamente intima e liberatoria, una musica che colpisce perché nella sua vulnerabilità è capace di umanizzare qualsiasi esperienza. L’artista è riuscito a teatralizzare in musica un travagliato percorso e dopo aver imparato a trascendere dal corpo umano ne ha finalmente abbracciato la sua essenza concreta. 
VOTO: 85/100
di Viviana Bonura
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MENZIONE A:
Pufuleti - Catarsi Awa Maxibon (La Tempesta Dischi, 2020)
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R.A.P. Ferreira - Purple Moonlight Pages (Ruby Yacht, 2020)
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Phoebe Bridgers - Punisher (Dead Oceans, 2020)
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Colapesce & Dimartino - I Mortali (Sony Music, 2020)
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CLICCA QUI per visualizzare l’archivio completo delle nostre valutazioni di quest’anno.
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jazzluca · 5 years ago
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OPTIMUS PRIME ( Leader ) Movie Studio Series [44]
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Gran bella cosa la linea Studio Series, filogica nel riproporre tutti i vari personaggi visti nei 6 lungometraggi usciti al cinema, ed utilissima sopratutto per recuperare quei personaggi minori mai o non adeguatamente rappresentati nelle linee di giocattoli del periodo, certo... ma terribilmente ridondante, invece, per quelli invece che già ai tempi avevano ricevuto la loro bella dose di sovraesposizione sugli scaffali.
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E' il caso, primo fra tutti, di OPTIMUS PRIME, giustamente uscito nella primissima wave Voyager, ma almeno questo aveva uno stampo nuovo, laddove invece Bumblebee riciclava parte del mold del suo omonimo Last Knight, per non dire di Ratchet ripreso di peso dal Deluxe di Dark of the Moon... Ma per il buon Optimus targato SS 05 la “fregatura” è arrivata in ritardo, nella forma di un ulteriore nuova versione del capo degli Autobot ( SS 32 ), questa volta adibita alla combinabilità con il Jetfire Leader di Rotf.
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La buona notizia è che, almeno, quest’ulteriore successiva versione Leader, la SS 44,con il rimorchio di Dark of the Moon, ha di base l'Optimus Voyager SS 32, così ai più pazienti è bastato aspettare questo per non trovarsi doppioni in collezione.
Io che sono ancor più lungimirante, invece, ho bellamente saltato pure il Voyager 05, sempre per quel discorso della nause da reiterazione dei soliti 5 - 6 personaggi più famosi: ma è anche vero che per Optimus la ridondanza mi pesa meno che per i suoi colleghi tipo Ironhide e Bumblebee, forse per la sua modalità alternativa di CAMION, più versatile ai cambiamenti ed aggiornamenti, come appunto l'aggiunta del rimorchio del terzo film.
Rimorchio che finalmente arrivò appunto nel terzo lungometraggio, facendosi un po' aspettare, magari, ma in effetti naturale evoluzione dell'armamentario di Optimus, dopo aver assaggiato la potenza nell'unione con Jetfire in Rotf che gli donò un signor zaino a razzo.
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Partiamo quindi dalla modalità veicolare, col suo carico di nostaglia a ripensare all'originale G1 che si presentava sugli scaffali già "rimorchiato", anche se nell'accessorione non è che brillano chissà quali dettagli dipinti in quelli scolpiti come l'iconica striscia laterale con simbolo di fazione. La motrice, almeno, ha una colorazione migliore dello stampo precedente, con tanto di arancione in più sulle fiamme blu del cofano, a scapito però dei vetri della cabina dipinti di grigio anzichè in plastica trasparente ( nonostante quanto si veda invece nelle immagini promozionali ).
I portelloni del rimorchio volendo si aprono pure, ma c'è subito un ostacolo che non lo rende "abitabile" per qualche veicolo più piccolo. Camion e rimorchio fra loro sono bene in scala, ed in generale anche la motrice stessa lo è con gli altri veicoli Autobot tipo Jazz... oddio, forse se era più grande era meglio, ma poi vedremo come il robot "esploderà" nella trasformazione rispetto alla modalità veicolare.
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Infine, la motrice ha come sola parte non proprio in disguise le piante dei piedi del robot in vista sul retro, mentre può ospitare su una fessura del retro cabina una pistola, mentre il resto delle armi in dotazione sono nascoste nel rimorchio, ma volendo anche la pistola vi trova posto all'interno.
La TRASFORMAZIONE del camion in robot è oramai pressochè la solita rielaborazione di quanto visto nei vari Optimus sia Movie che pure di quelli come il Prime, data la forma del camion, ma non per questo non si è riesciuti a trovare soluzioni intriganti, fortunatamente: le gambe si ottengono facilmente dalla parte posteriore del veicolo, posizionando all'indietro i piedoni prima stesi sulle tibie, mentre la parte interessante è quella del muso che si apre a rivelare le braccia, mentre la griglia si apre in due andando a nascondersi dietro la schiena, così come da questa viceversa si proiettano in avanti dei parabrezza fasulli che coprono quelli effettivi del camion, ma dando così più spessore al torso. Infine, tornando le gambe, va menzionato come due delle ruote posteriori si proiettino dai polpacci verso le cosce, sempre per dovere di accuratezza filmica.
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In ROBOT risultante è un piccolo capolavoro in quanto movie accuracy, ed un netto miglioramento rispetto allo stampo precedente che gli fa da base e di cui mantiene praticamente solo alcune parti come cosce e bicipiti: non che questo fosse malvagio, ma peccava in un paio di difetti estetici qui eliminati, sopratutto le due cerniere al centro del petto che univano i parabrezza.
Ma in generale l'estetica è proprio migliorata rispetto al SS 05, con le ruote sulle cosce non di fianco a queste ma nascoste dietro, il tettucio dietro la schiena non visibile e maggiormente accorpato, e in generale il petto meno ampio che non quello invece un po’ goffo del 05. Non fosse per i paraurti sotto le ascelle e le due parti della griglia frontale dietro la schiena, lo si potrebbe quasi scambiare per un'Action Figure non trasformabile e sputata al modello in CGI!
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E l'accostamento con i normali pupazzetti da collezionisti non varrebbe solo per l'aspetto, ma pure per l'alta posabilità, in un tripudio di polsi e bacino rotanti, caviglie inclinabili e testa che si muove anche frontalmente! Come dicevo sopra, inoltre, è vero che purtroppo i parabrezza sul petto non sono in plastica trasparente ma dipinti in argento, ma per il resto la colorazione è a mio avviso  superiore al precedente SS 32, con un grigio più metallico e brillante, ed un rosso più scuro ma brillante anch'esso, ed idem il blu.
A guardare la sola CGI, il Dotm aveva un design nell’addome diverso dai precedenti Movie e Rotf, e quindi ecco un semplice modulo nuovo sulla pancia rispetto al SS 32, modulo rimovibile dato che per potersi combinare poi con Jetfire ci vuole quello in stile Rotf, e per fortuna con il Transformers aereo Blackbird c'è in dotazione proprio un tal modulo, così da non far bestemmiare  chi appunto non ha preso lo SS 32 ma solo questo 44. ^^
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Ed a proposito di combinazioni, torniamo al rimorchio, che finalmente è pure questo movie accurate nella TRASFORMAZIONE, dopo le false partenze viste in passato: infatti per la linea ufficiale di Dark of the Moon uscì sì un Optimus con rimorchio, ma questo diventava tutto un super mode per il robot motrice, spettacolare e giocabile sì, ma poco a che vedere con quanto visto al cinema. Successivamente si sono visti dei rimorchi solo apribili od un solo modulo jet come giocattoli, ma solo ora abbiamo il rimorchio che diventa appunto una postazione di armi, con una parte dedicata al ZAINO A RAZZO ALATO.
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Questo si ricava da gran parte del tetto del rimorchio, e si attacca alla schiena di Optimus: l'apertura alare è bella ampia, ed ovviamente è fedele al design in CGI, e le ali stesse possono ruotare alla base e pure ripiegarsi... peccato solo per la vuotezza dei razzi, belli da vedere solo da dietro / sopra ma non sotto / frontalmente. :-/
Il rimorchio invece assume una forma tondeggiante e diviene la POSTAZIONE PER ARMI, che a pensarci come idea non è affatto male come evoluzione delle vecchie basi o avamposti armati. E, manco a dirlo, come armi ci sono tutte quelle che Optimus esibisce in Dark of the Moon, a partire dallo scudo, passando per i due cannonazzi impugnabili e concludendo con la spada e l'ascia del duello finale del film. L'unico neo in tutto questo ben di Primus è che, guardando le immagini sulla confezione, solo la spada risulta colorata di arancio sulla lama, mentre tutto il resto è il solito grigio scuro metallico, laddove anche l'ascia doveva avere dell'arancio e scudo e cannonazzi dettagli in nero.
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Infine, compare pure il classico fucile dello stampo del SS 32, anche qui monocromatico invece che con la canna che vira verso il nero come nell'apparizione originale.
Insomma, un po' di colore non avrebbe guastato a questi accessori, davvero essenziali nelle forme, ma direi che a livello di giocabilità fanno la loro figura e sono un buon contorno all'eccezionale robot Voyager di base, e in generale dati gli eccellenti aspetto e trasformazione, avere anche un rimorchio così trasformabile è una degna ciliegina sulla torta ad un Leader complessivo, anche visto la discesa in termini di mera massa dei colleghi di classe Generations, ad esempio.
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Beato chi, dunque, ha resistito ai precedenti SS 05 e 32 che, seppur belli, sono ridondanti con questo Optimus Movie definitivo, e speriamo che però ora la smettano con questo design e pensino a darci un Prime AoE/Last Knight bello quanto questo!  
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