#concerti jazz
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Il MonJF celebra il successo del 2024 con un momento conviviale e un prestigioso riconoscimento
Una serata speciale per festeggiare i traguardi del Festival e guardare al futuro del jazz italiano
Una serata speciale per festeggiare i traguardi del Festival e guardare al futuro del jazz italiano Alessandria, 3 febbraio 2025 – Sabato 25 gennaio, presso l’agriturismo Cascina Trapella a Roncaglia, la direzione artistica del MonJF – Monfrà Jazz Festival ha organizzato un momento conviviale per tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’edizione 2024 del Festival. Un’occasione…
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chez-mimich · 5 months ago
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Bill Frisell, “Four”. Teatro dell’Arte Milano, JazzMi, novembre 2024
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lospeakerscorner · 4 months ago
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Napoli e Jazz
Peppe Servillo e Danilo Rea sono i protagonisti del primo appuntamento del Ravello concerti d’inverno con Napoli e Jazz RAVELLO (SA) – All’Auditorium Oscar Niemeyer sabato 28 dicembre alle ore 19 due grandi artisti come il cantante e attore Peppe Servillo e il pianista e compositore jazz Danilo Rea sono i protagonisti di Napoli e Jazz del primo appuntamento di Ravello concerti d’inverno, rassegna…
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cristinaitaliani · 10 months ago
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experience-made-chella · 2 years ago
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diceriadelluntore · 2 months ago
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Storia Di Musica #363 - Deftones, Diamond Eyes, 2010
Il barbagianni in copertina, nella sua bellezza candida, ha una sua storia da raccontare: il suo nome scientifico è Tyto Alba (da τυτώ, la parola greca che traduce gufo, e dal latino alba perchè è bianco), il nome comune barbagianni, che usiamo solo noi in Italia, potrebbe derivare dal fatto che le piccole piume ricce attorno agli occhi possono sembrare una barba, oppure in maniera molto più fantasiosa, da barba, che in molte regioni soprattutto settentrionali vale "zio", e Gianni, ipocoristico di Giovanni, quindi "zio Giovanni", un nome parentale dovuto alla credenza che questo uccello abbia una funzione tutelare (è una versione che non mi convince, perchè anche al Sud si chiama solo barbagianni, la approfondirò).
La storia invece della band di oggi inizia quasi per caso nella seconda metà degli anni '80 con un incidente stradale: Stephen Carperter, mentre faceva skateboard, è investito da un'auto. Per questo, è costretto per un po' su una sedia a rotelle, e per passare il tempo un suo amico gli regala una chitarra, con cui inizia a imparare le canzoni dei suoi gruppi heavy metal preferiti. Due suoi amici, Chino Moreno, che ama cantare, e Abe Cunningham, che suona la batteria, vengono a scoprire che Stephen sta imparando a suonare la chitarra, così mettono su un gruppo, l'autista che aveva investito Carpenter fu costretto a rimborsarlo a causa dei danni fisici riportati e questo permise al gruppo di acquistare l'equipaggiamento necessario per cominciare ad esibirsi. A loro un amico di Moreno, Dominic Garcia, si unisce come bassista. Manca solo un nome: Carpenter unisce un termine dello slang dello skateboard e dell'Hip Hop, Def (che vuol dire, bello, figo) con il suffisso Tones, che lui leggeva stupito sulle copertine dei gruppi doo-woop che ascoltavano i genitori. Nascono così i Deftones, tra le realtà più importanti della musica alternativa americana degli ultimi 30 anni.
Dopo le prime registrazioni, dove si lanciano in un furioso heavy metal, piano piano vengono fuori altre influenze, dovute agli stili musicali prediletti dai nostri: Carperter ai gruppi heavy metal come Metallica o Pantera affiancava l'amore per l'Hip Hop degli esordi, Moreno era cresciuto con i gruppi post new wave internazionali (ama i The Cure ma pure i Duran Duran). Dopo un po' Cunningham abbandona, per fondare i Phallacy, e viene sostituito da Chi Cheng, bassista, spostando Garcia alla batteria. Cheng, musicista più formato degli altri all'inizio, porta con sé il suo amore per il blues, il jazz e il reggae di Bob Marley. Garcia se ne va, dopo alcuni batteristi provati ritorna Cunningham e con questa formazione nel 1993 vengono scritturati dalla Maverick, la casa discografica di Madonna, che produce i loro dischi fino al 2006. L'inizio è sorprendente: Adrenaline del 1995 è uno dei primi album nu metal, per le influenze di genere diversi su base metal, e grazie ad un tour di concerti dovunque e all'esibizione di un brano suonato dalla band nel film Il Corvo 2 inizia a passi spediti a farli diventare conosciuti, obiettivo che raggiungono con Around The Fur (1997, la cui iconica copertina è una delle foto musicali più apprezzate di Tumblr), e soprattutto White Pony del 2000, meno estremo e più melodico, il brano Elite vince il Grammy del 2001 per la migliore canzone metal. Sono ormai famosi, e le collaborazioni con Maynard Keenan dei Tool o Serj Tankian dei System Of A Down (in Meline, da Saturday Night Wrist del 2006) testimoniano l'affetto non solo nelle vendite dei fan, ma una grande considerazione tra i musicisti, affascinati dalle contaminazioni delle loro canzoni, potenti quanto ricche di lirismo.
Ma accade una cosa: mentre erano alle prese con le prime registrazioni per il nuovo disco, dal titolo provvisorio di Eros, Chi Cheng ha un terribile incidente stradale. Trasportato in coma in ospedale, nel novembre del 2008, in un primo momento le sue condizioni sembravano migliorare, tanto che la band continua a lavorare su quel materiale con Sergio Vega, ex-membro dei Quicksand, che già nel 1999 lo aveva sostituito per un breve periodo durante un tour con i Deftones. Ma le cose non migliorano, e nel 2009 la band abbandona il progetto Eros. Nel frattempo, per aiutare a raccogliere fondi, si esibirono per due sere consecutive il 20 e 21 Novembre del 2009 con alcuni dei più grandi nomi americani del metal.
Nel Maggio 2010, quasi a sorpresa, la band pubblica Diamond Eyes. Un disco prodotto con Nick Raskulinecz, già in consolle con Foo Fighters, Velvet Revolver, Alice in Chains. È un disco che viene costruito in maniera molto più semplice e immediata, abbandonando i metodi degli ultimi lavori per ritornare alla tecnica dei primi: scrivere insieme, provare tantissimo e cercare la sintonia perfetta nei pezzi. Nonostante l'umore, il disco è pieno di ottimismo, si lascia da parte ogni dolore privato e parla con considerazione di emozioni. Svetta e Royal con riff grezzi che graffiano e raschiano i versi, quindi liberano la voce di Chino Moreno in ritornelli luccicanti e minacciosi. Moreno e il chitarrista Stephen Carpenter si spingono avanti e indietro su CMND/CTRL come se cercassero di sbattersi a vicenda fuori tempo, caricando la tensione e la sfumatura che mancano a così tanti contemporanei hard-rock dei Deftones. You've Seen The Butcher dal video musicale splatter, è anche un omaggio alla band amica dei Jawbox . Come sempre amano spaziare e contaminare, come dimostrano le sfumature trip-hop di Beauty School, ma sanno scrivere granitiche canzoni come Prince. Il primo singolo fu Rocket Skates, che fu una delle prime canzoni distribuite gratuitamente sul sito di una band, cosa che fece andare in tilt il sito internet dei Deftones. Due canzoni rimangono nell'immaginario: la potentissima Diamond Eyes, che apre il disco con la rabbia, ma soprattutto Sextape, meravigliosa ballata che ha un titolo fuorviante rispetto al suo incedere e ai suoi testi, collegati con delicatezza al suono e al movimento delle onde del mare, un grandissimo brano.
Accolto con entusiasmo da critica e fan, rimane uno dei loro dischi migliori e uno dei capisaldi del metal moderno. La band continuerà in questo stato di grazia con Koi no yokan, del 2012, dal titolo in giapponese che descrive più o meno la sensazione di due persone che si stanno innamorando. Pochi mesi dopo la pubblicazione, Chi Cheng muore, dopo un'agonia di 5 anni. Due incidenti stradale legano l'inizio e l'evoluzione di una grande band.
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jazzandother-blog · 9 months ago
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CHARLIE PARKER, DIZZY GILLESPIE & JOHN COLTRANE (young).
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(English / Español / Italiano)
Charlie Parker asked Dizzy Gillespie one day why are you always on time for your shows/concerts?
Gillespie replied:
Because they (referring to the white-skinned businessmen who hired him), they don't expect that from me, they think that because I'm a black-skinned musician I'm going to be late, stoned, drunk or just not show up and "I'm not going to give them the reason."
Charlie Parker was often late, drunk, high, or simply didn't show up for his performances or concerts.
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Charlie Parker le preguntó un día a Dizzy Gillespie ¿por qué siempre llegas a tiempo a tus presentaciones/conciertos?
Gillespie le respondió:
Porque ellos (refiriéndose a los empresarios de piel blanca que lo contrataban), no esperan eso de mí, piensan que por que soy un músico de piel negra voy a llegar tarde, drogado, borracho o simplemente no voy a llegar y "No les voy a dar la razón".
Charlie Parker frecuentemente llegaba tarde, borracho, drogado o simplemente no llegaba a sus presentaciones o conciertos.
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Charlie Parker chiese un giorno a Dizzy Gillespie: "Perché sei sempre puntuale ai tuoi spettacoli/concerti?".
Gillespie ha risposto:
Perché loro (riferendosi agli uomini d'affari di pelle bianca che lo hanno ingaggiato), non si aspettano questo da me, pensano che siccome sono un musicista nero sarò in ritardo, drogato, ubriaco o semplicemente non mi presenterò e "non sarò d'accordo con loro".
Charlie Parker era spesso in ritardo, ubriaco, strafatto o semplicemente non si presentava ai suoi spettacoli o concerti.
Fuente: Pasión por el Jazz y Blues
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unfilodaria · 2 years ago
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dato che @anonpeggioredelmondo ha detto che potevamo sentirci liberi di autotaggarci, io lo faccio, tze
1. Are you named after anyone?
Il mio nome è la classica "pezza a colori" come si suol dire dalle mie parti. Nessuno in particolare a cui riferirsi ma in famiglia tra zii, bisnonni e cugini ce ne sono almeno tre o quattro. Il Maria poi ha dato un tocco esotico, che mi ha creato non pochi problemi ma mi ha salvato da un inverecondo Annino, perchè nato il giorno di Sant'Anna
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
Non mi vergogno a dire che di tanto in tanto piango. E' liberatorio. Ed il fine 2022, inizi 2023 mi ha dato tanti spunti seri per farlo
3. Hai figli?
Una. Il mio "tesssoroooo"
4. Fai largo uso del sarcasmo?
Sarcasmo, ironia conditi da espressioni dialettali a me care ma che non tutti afferrano
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
A livello agonistico? divano estremo. Nella mia mente, sarei un ottimo runner e da ragazzino avrei voluto eccellere nel baseball (mai giocato) e nella palla a mano (praticata ai giochi della gioventù delle medie)
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Gli occhi e mani e soprattutto espressioni. Poi se è donna, anche il resto ma solo dopo, giuro. Gli occhi e le mani dicono tutto
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Castano scuro
8. Scary movies o happy endings?
Tragedia greca ehehe... No, Commedy romantiche... in fondo, ma molto in fondo, sono zuccheroso a rischio diabete
9. Qualche talento particolare?
Avere il dono di non essere capito... sicuramente ho difficoltà a trasmettere cosa voglio dire o penso realmente. Grosso limite e grandi fraintendimenti e incazzature
10. Dove sei nato?
Avellino
11. Quali sono i tuoi hobby?
Cinema, musica, letteratura e (ultimamente) concerti jazz. Prima cucinavo (ed anche bene, dicevano, ma non avendo per chi esibirmi ho smesso)
12. Hai animali domestici?
me stesso? Ho un geco che mi fa compagnia fissa da 3 anni sul mio balcone. Appare puntualmente a giugno per sparire a fine settembre. Una rondine che ha deciso di nidificare da 4 anni sul mio box auto, un merlo cacacazzo e scacazzone che viene a mettermi sottosopra i gerani e poi ogni tanto appaiono in casa dei "simpaticissimi e affettuosissimi e schifosissimi" animaletti con le antenne, che, nonostante la guerra batteriologica messa in atto da me da anni, se ne infischiano e ogni tanto mi fanno venire lo "spannico" (la paura)
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13. Quanto sei alto?
176 cm... anche se il dietologo mi ha detto che mi sono accorciato di 2 cm
14. Materia preferita a scuola?
Disegno tecnico, italiano e geografia astronomica
15. Dream job?
Vincere un terno secco, sulla ruota di Napoli, una settimana si ed una no (cit.)
taggo: @finestradifronte,, @vivenda, @guelfoalexander, @2delia e @laperlla
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theperfectpints · 11 months ago
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Cattura l’occhio l’esterno della facciata posta al 42 di Wellington Quay. ‘Ha’ penny Bridge Inn’, posto a pochi passi dal celebre ponte di Dublino, è un pub che vale la pena visitare. Le sue origini partono da lontano, precisamente dal 1816. Inizialmente chiamato ‘Iron Bridge’, assunse l’attuale denominazione in onore di quel ponte posto a pochi metri che obbligava il pagamento di mezzo penny per poter arrivare all’altra sponda del fiume. È uno dei pochi pub rimasti a conduzione famigliare nei pressi di Temple Bar, riuscendo a mantenere il suo carattere prettamente tradizionale. Oltre all’affezionata clientela fedele nei secoli dei secoli, non mancano turisti e occasionali avventori pronti a mandare giù pinte su pinte e a godere dell’intrattenimento in programma quasi tutti i giorni della settimana: il programma prevede session di musica tradizionale, concerti di musica folk, country, jazz e serate di stand-up comedy utili per alleggerire le serate alcoliche. In una zona ormai quasi prettamente turistica e commerciale, ‘Ha’ penny Bridge Inn’ è un pub tuttora ancorato alla tradizione. Per fortuna. 🇮🇪 🍻 🥃 🎻
© Irish tales from Rome
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kiki-de-la-petite-flaque · 1 year ago
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Sheila E. La E sta per Escovado. Nasce a Oakland, California, da un matrimonio misto tra una nera e un messicano. Dirla così potrebbe suggerire un quadro da suburbio squallido e vittima dello sprezzo razziale WASP. Non correte subito a rifugiarvi nelle solite immagini sociali. Suo padre non è un fattorino qualsiasi che cerca di mantenere la conigliata. Pete Escovado è un percussionista di fama internazionale. Già da ragazzo entra nel giro che conta, affastellando esperienze lavorative invidiabili, come quella assieme a Marvin Gaye.
Ma il vero fenomeno in famiglia è la piccola Sheila E. Ma ditemi se un talento in boccio non rigogli in un contesto simile. Suo zio Alejandro è un rispettato cantautore. Un altro zio, Javier, è il fondatore di una cult band punk rock californiana nota come The Zeros. I suo padrino è un certo Tito Puente… basta a dare un’idea?
DALLA CULLA AL PALCO
In una culla di stimoli come questa il talento eccezionale di Sheila E. non può che venir fuori come un portento sismico, no? E così non si stenta a credere che a 15 anni faccia già quello che fa ora ma pagata milioni. E visto il carnet di appuntamenti con la storia del pop-rock che ha già depennato. Roba da far impallidire i maschietti se proprio non possiamo evitare di metterla sul piano sessuale.
La sua prima esperienza ufficiale in uno studio di registrazione è nel 1976, quando ha appena diciannove anni, assieme al bassista jazz Alphonso Johnson (Santana). Ma in poco tempo il percorso già battuto da papà Pete, Sheila E. lo ripercorre pari pari e così veloce da lasciare una scia di fuoco alle calcagna.
UN PICCOLO PRINCIPE PER SHEILA E.
A vent’anni ha già suonato con George Duke, Marvin Gaye, Diana Ross e Herbie Hancock… Questo prima di esibirsi davanti a un certo ragazzetto bruttino ma affascinante che si fa chiamare Prince.
Lei ha una tale padronanza ritmica da intimidire turnisti che vantano oltre 30 anni d’esperienza. Per quello scugnizzo del funk è amore al primo beat.
La prima volta che si incontrano, nel 1978 Prince assiste a uno spettacolo di Sheila E. assieme al padre. Lui dopo lo show si fa avanti nervoso e imbarazzato. Le rivela che per tutta la sua esibizione ha litigato a oltranza con il suo bassista su chi dei due la porterà all’altare.
Lei ride, arrossisce ma non è tempo di matrimonio. Ha molti progetti, collaborazioni da paura, una carriera solista, tanto per dire, non può mica convolare a nozze. Il Principe Roger Nelson, giura che se non riuscirà a sposarla, di sicuro farà qualsiasi cosa per averla nella sua band. – Seguo la tua carriera da anni. So chi sei e ti vorrei con me.
Sheila E. stenta a crederlo ma prende nota e trascorre quasi più di un lustro di intensa attività concertistica e da turnista. Intreccia sempre più il proprio cammino a quello del principino. Batti oggi, batti domani, inizia un vero e proprio intruglio sentimental-artistico molto fertile e stimolante.
BATTERIA O MICROFONO?
Lui è premuroso, incoraggiante, convincente. Sembra avere una visione precisa e molto ambiziosa riguardo lei (insieme a letto?). Per via del suo talento, no? E si offre di spingerla (ehm…) un po’ nell’incipit della sua carriera come singer.
È quello che vuole, Sheila E.? Diventare come Diana Ross? Il problema di Sheila E. infatti è di non sapersi decidere tra la batteria e il microfono. Dopo tanta dedizione al primo strumento, negli iridescenti anni 80 decide di tentare con il secondo.
Prince approva e le regala una hit, The Glamourous Life, che inizialmente doveva essere incisa da Vanity. Chi è Vanity? Ma l’ex-compagna di lui e futura dalia nera delle scorribande di Nikki Sixx. Il bassista dei Crue le racconta nel libro The Heroin Diaries.
Il brano che da anche il titolo al primo album solista di Sheila E. si piazza in cima alle charts di dance music. Il connubio con Prince si perpetra nel tour di Purple Rain, dove lei apre i concerti. I due consumano una relazione infuocata ma inizialmente clandestina. Lui ufficialmente esce ancora con la corista ed ennesima figlioccia artistica Susanna Melvoin.
SHEILA E. DOPO IL SUCCESSO UN ALTRO SUCCESSO
Dopo il successo di The Glamorous Life, Sheila E. sempre assistita da Prince, incide Romance 1600. Il nuovo singolo vincente vanta sempre lo zampino del reuccio: A Love Bizarre.
Il brano porta l’album a nuovi traguardi di vendite rivelandosi il picco commerciale di Sheila E. da solista. Da qui però inizia ufficialmente il suo periodo discografico come batterista. Nello specifico e in esclusiva assoluta di Prince.
In realtà Sheila E. è già presente in Parade, ottavo disco del singer. Solo nei brani Life Can Be So Nice e Venus de Milo, però.
A partire da Sign O The Time (1985) sarà lei a occuparsi del cuore ritmico della musica del suo mentore e amante. A chi le addebita un’influenza creativa “princiana” lei ribatte che è stato lui a lasciarsi contaminare da lei.
Andatela un po’ a contraddire! In realtà si può affermare che quei due siano un buon esempio della correlazione tra equazione di Dirac e Amore. Due sistemi che si influenzano vicendevolmente danno una svolta alle rispettive carriere, l’uno grazie all’altro.
DOPO SIGN O THE TIME
Dopo Sign O The Time, Sheila resta al suo posto anche in Lovesexy. Il disco consacra Prince come una delle star di successo più controverse della storia del pop. Nel mentre lei non dimentica il suo terzo disco da solista. E sebbene il singolo Koo Koo dell’omonimo album Sheila E. ottiene discreti risultati, si sente che le cose non vanno proprio al massimo.
Presto Sheila E. deve fare una scelta: riconoscere di non essere lei la nuova Whitney Houston e lasciar perdere la voce. O provarci sul serio.
Mossa letale: una volta lontana dall’aletta protettrice del suo “Petit Prince” i successivi lavori solisti di Sheila E. ottengono attenzioni più moderate dalla stampa e dal pubblico. Fino a ridursi, come singer, a un lumicino in balia del borioso vento dell’indifferenza.
Nonostante la collaborazione con Prince sia ufficialmente finita, Sheila E. seguita a scrivere musica con lui e a non raccogliere i meriti che le spetterebbero.
ANNI 90
Negli anni 90, messa un po’ da parte la carriera di cantante, Sheila E. riprende a darsi da fare come batterista. Dal 1995 collabora con un sacco di bella gente: Phil Collins, Ringo Starr, Beyoncé e l’artista nipponica Namie Amuro.
Poi Jazz a tutto spiano; rock pop con Billy Cobham e Ringo Starr, ballabili con Gloria Estefan, Lionel Richie. E ancora Jennifer Lopez, Hans Zimmer e quel pezzo di sgombro di Kanye West.
Meglio nota come la batterista di Prince che per tutto il bagaglione curriculare o gli album solitari, Sheila E. ha mostrato di valere soprattutto con i piatti più che le stoviglie. La sua è una tecnica di classe finissima supportata da un potere straordinario nel dar feeling alle costruzioni ritmiche di tutti i generi.
Purtroppo ha pagato il suo esser donna, e non lo si dice per retorica femminista. Lei si è vista mettere in secondo piano accanto a Prince. E anche dopo ha sofferto il confronto con un ambiente professionale esclusivamente maschio, guadagnando attenzione per la sua presenza scenica e soprattutto la sua sensualità.
Una batterista donna è un concetto che spiazza il pubblico. Questo Prince l’ha sempre saputo. Può aver solo pensato: se è lei la tipa giusta, al diavolo cosa pensa il mondo, la prendo anche se è donna.
Ma il bricconcello sulfureo, autore di decine di brani altamente sexy. Pezzi scabrosi che hanno spinto la figlia di Al Gore alla masturbatio compulsiva nella sua stanzetta. Lui ha sempre pensato doppio sulle mosse da fare in carriera.
Francesco Ceccamea
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Artemusica XXVI edizione: Parole, Suoni, Colori celebra l'arte con la mostra "Humanity".
Una rassegna che unisce fotografia, musica e cultura ad Alessandria. Il 25 gennaio 2025, alle ore 17:30, prende il via la XXVI edizione della rassegna "Parole, Suoni, Colori", organizzata dall’Associazione Culturale Musicale Artemusica presso l’AL51.Lab i
Una rassegna che unisce fotografia, musica e cultura ad Alessandria.Il 25 gennaio 2025, alle ore 17:30, prende il via la XXVI edizione della rassegna “Parole, Suoni, Colori”, organizzata dall’Associazione Culturale Musicale Artemusica presso l’AL51.Lab in via Trotti 53 ad Alessandria. Questo attesissimo evento culturale, che si protrarrà fino al 15 febbraio, si apre con l’inaugurazione della…
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chez-mimich · 2 years ago
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MARC RIBOT-THE JAZZ BINS
Ci sono delle leggende nel rock, nel blues e anche nel jazz che raccontano di concerti favolosi, storici o tutte e due le cose, dove per assistervi gli spettatori (il popolo del rock e anche quello del jazz) hanno dovuto sopportare improbe fatiche. A Woodstock si è dovuto soggiornare nel fango mangiando solo muesli, a Venezia per sentire i Pink Floyd ci si è dovuti arrostire sotto il sole e via di questo passo, come per la famosa edizione di Umbria Jazz che si è tenuta sotto una pioggia battente. Ognuno di noi si ricorda di un concerto in cui ha dovuto sopportare il caldo, la sete, la calca o la pioggia…Ecco, in scala ridotta, annovero tra questi anche il concerto di Marc Ribot E “The Jazz Bins” per Nj Weekender Spring Edition che si è tenuto sabato scorso presso Nòva a Novara. Ne è valsa la pena? Decisamente sì, naturalmente, anche se lo spazio Nòva forse non era il luogo più adatto per un pezzo da novanta come Ribot. Ma la “policy” degli organizzatori è questa e tanto vale dimenticarsi la schiena a pezzi e parlare di musica. Ma anche parlare della musica di Marc Ribot è una fatica improba, poiché le parole non riescono a supplire minimamente a ciò che le corde della sua chitarra trasmettono e si finirebbe per ricorre e fantasiose immagini mentali, a metafore, sineddoche, ellissi, insomma figure retoriche che poi lasciano sempre il lettore insoddisfatto. Ma certo non sarebbe sufficiente dire che il concerto-monster di questa edizione di Novara Jazz Weekender Spring Edition sia stato bellissimo senza aggiungere altro. E allora diciamo che Marc Ribot, assediato da centinaia di fans nella sala di Nòva e con lui Greg Lewis al sontuoso Hammond e Joe Dyson alla (esplosiva) batteria hanno incantato il pubblico. Proprio inutile cercare di definire il repertorio di Ribot che, ricordiamolo fece parte, negli anni Ottanta, dei “Lounge Lizards” di John Lurie che suonavano un jazz che sembrava punk o forse un punk che sembrava jazz. Ma Marc Ribot, oltre ad avere suonato, ha anche composto per artisti e chitarristi da storia della musica, come Wilson Pickett, David Sylvian, Tom Waits, Caetano Veloso, John Zorn, Elvis Costello, Robert Plant, Elton John, Diana Krall, Marianne Faithfull, tanto per buttare lì qualche nome, ed è proprio dovuta a questa diversità di approcci e di suggestioni musicali, la musica affascinante che Ribot propone. Sale sul piccolo palco di Nòva e, senza esitazione alcuna, attacca a suonare con piglio secco, deciso. Niente parole inutili, solo musica, di quella che è impossibile dimenticare. Cavalcate intense, variate all’infinito, “riff” possenti che inglobano tutto, free jazz, rock, groove, una potente e accurata centrifuga di generi che sembra produrne uno del tutto nuovo ed inimitabile che è poi la cifra stilistica propria di Marc Ribot. Che musica faceva Jimi Hendrix? Il rock? Il blues? È più facile rispondere che faceva la musica di Hendrix. Succede solo per i grandissimi che si chiamino Pink Floyd o che si chiami Bob Dylan. Lo stesso è per Marc Ribot che con quella chitarra in mano, che diventa una specie di bacchetta magica, è in grado di confonderci beneficamente le idee e il nostro razionale, ma spesso sterile, desiderio di catalogare tutto. Questo unico concerto italiano di Ribot è un altro gran colpo della premiata Ditta Novara Jazz che sembra ormai essere andata molto oltre, il pur prezioso festival di inizio estate, ed aver intrapreso una attività più complessa che copre tutto l’anno, con produzioni discografiche, iniziative ed eventi di più grande respiro. Però, la prossima volta, per raggiunti limiti di età, vorrei stare seduto in una confortevole poltrona o anche più semplicemente su una sedia…
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francescosatanassi · 2 years ago
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GUERRIGLIERI E DISCOTECHE
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La Casa del Popolo di San Martino in Strada (Forlì) fu fondata nel 1949 dai socialisti e comunisti del paese per avere un luogo di svago e attività politica. Negli anni ’50 nacque il Giardino d’estate, uno spazio per le feste da ballo e le proiezioni cinematografiche che negli anni ’60, coperto da una cupola, diventò Giardino d’Inverno. Negli anni ’70 fu allestito un palcoscenico per spettacoli teatrali di carattere nazionale, tra i quali quelli di Dario Fo e Franca Rame e fu restaurata l’area dedicata al cinema: quello che era Cinema Lux diventò Cinema Neva, ispirandosi al fiume russo. Il nome fu scelto da un gruppo di amici durante un viaggio in Unione Sovietica, tra i quali mio padre. Dal '93 la gestione del cinema passò a Nanni Moretti e la sala fu da lui rinominata Nuovo Cinema Sacher. Io ero piccolo ma ricordo bene l'insegna. All’inaugurazione, il regista fu accolto da applausi e fette di torta al cioccolato. Intanto, anche il Giardino d’inverno aveva cambiato nome ed era diventato il Ciaika, altro nome russo come si usava ai tempi, diventando uno dei locali più grandi della Romagna. Vi suonarono Dalla, De André, Venditti, Vasco Rossi e ci furono spettacoli di Walter Chiari e Benigni. Nacque una biblioteca per i ragazzi del quartiere e un laboratorio di sperimentazione educativa centrato su tematiche politiche e sociali. E poi i congressi del PC, le Feste dell’Unità, fino alla visita di una delegazione di guerriglieri e politici del Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam davanti a 2.000 persone. Negli anni ’80 iniziò la collaborazione con il Naima Club e iniziarono i concerti jazz con l’obiettivo di rendere accessibile un genere musicale elitario. Chet Baker ci suonò nel 1984 tra l'entusiasmo del pubblico. Alla fine degli anni '80, divenuti insostenibili i costi di gestione, il Ciaka fu ceduto a una società privata e nacque la discoteca Empyre, chiusa nel 2012. Nel ’97 anche l’area bar era stata affittata a privati che avevano ridisegnato la struttura in chiave moderna, ponendo fine al modello popolare e aggregativo del circolo. Oggi non esiste più nulla della struttura originale né delle iniziative a esse legate. Al suo posto ci sono appartamenti e negozi.
(nelle foto: la facciata esterna, De Andrè il 26 dicembre 1975, Chet Baker nel 1984, l'interno del Ciaka, i Giovani Comunisti del paese accolgono i guerriglieri vietnamiti)
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musicletter · 7 days ago
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Ravenna Jazz 2025: un festival tra culture e generazioni
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panicjazzclub · 10 days ago
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BILLY MOHLER
MERCOLEDI 09 APRILE BILLY MOHLER QUARTET
Billy Mohler: contrabbasso Hermon Mehari: tromba Francesco Bigoni: sax, clarinetto Nate Wood: batteria
Il contrabbassista Billy Mohler è una delle figure di spicco della vivace scena di Los Angeles. Laureato al Berklee College of Music, Mohler ha frequentato il Thelonious Monk Institute of Jazz studiando e suonando con Herbie Hancock, Wayne Shorter e altri luminari. Affermatissimo nel mondo pop e rock come compositore, produttore, polistrumentista e turnista, Mohler ha ricevuto una nomina ai Grammy, e ha lavorato con artisti del calibro di Ringo Starr, The Smashing Pumpkins e i Complex del loro batterista Jimmy Chamberlin, Macy Gray, Nile Rogers, Lady Gaga, Mavis Staples, Steven Tyler, Dolly Parton, Jon Brion e molti altri. I suoi album Focus, Anatomy, Ultraviolet [clicca sui link per ascoltarli su Bandcamp], contengono "musica incredibilmente libera, creativa, piena di colpi di scena emozionanti e deviazioni costanti". Il suo approccio come leader mette in risalto la chimica istintiva dei musicisti così come le sue composizioni ritmate e avvincenti. Dal 2 al 13 aprile 2025 Mohler porterà in tour uno straordinario quartetto, energico ma sofisticato, che fonde sensibilità europea, newyorkese e losangelina, attraverso alcuni dei musicisti più entusiasmanti e promettenti di quelle scene: Hermon Mehari alla tromba, Francesco Bigoni al sassofono e clarinetto, e uno dei più fidati collaboratori di lunga data di Mohler, il batterista Nate Wood dei Kneebody.
INIZIO CONCERTI ORE 22 INGRESSO GRATUITO
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI: 042472707 / [email protected] Panic Jazz Club / Piazza Castello 42 / Marostica (VI)
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experience-made-chella · 2 years ago
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