#essere unica per qualcuno
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𝓨𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻𝓮 𝓟𝓪𝓾𝓵 𝓐𝓽𝓻𝓮𝓲𝓭𝓮𝓼 𝔁 𝓻𝓮𝓪𝓭𝓮𝓻
𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Dune
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento yandere, Fem reader, relazione tossica, matrimonio forzato (menzionato), tentato omicidio, avvelenamento, aborto, relazioni extra coniugarli, tradimento, utilizzo della voce, manipolazione psicologica, instabilità emotiva, ricatto, tocco non consensuale.
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 3170
I corridoi a quest’ora della notte erano quasi del tutto vuoti, fatta eccezione per i soldati di guardia e della figura leggiadra della bella donna chiamata (nome) Alithea e in futuro Atreides -se mai il matrimonio fosse andato a buon fine naturalmente-. La bellezza della figura meritava per certo il soprannome che gli era stato affidato quando era ancora una bambina. La principessa degli Alithea. Come unica figlia femmina fino ai suoi 12 anni era stata amata e adorata quasi al pari della contessa che una volta era stata sua madre.
La sua bellezza e purezza non era ancora caduta in disgrazia secondo il pubblico.
La sua bellezza, la sua educazione e il suo carattere mansueto avevano permesso tale nomignolo. Poco si potrebbe immaginare che dietro quella bella facciata si potrebbe nascondere una donna non più diversa.
Una donna fredda e crudele, cresciuta fino a riconoscere la sua unica utilità come scambio tra famiglie. Il nome e l’importanza degli Atreides per una donna fertile ed educata che avrebbe mantenuto alta la discendenza.
Si era quasi stancata di sentire tali voci venire dall’esterno, oramai quasi tutti i servi al servizio del Duca e della sua famiglia avevano familiarità con il caratteraccio della donna.
❝ Mia signora cosa ci fate sveglia a quest’ora? ❞ La donna si fermò barcollante nei suoi passi. ❝ Dovreste essere nelle vostre stanze a riposare. ❞ (nome) ha un aspetto malaticcio nei suoi lineamenti morbidi. Il colore della pelle è sbiadito quel tanto che bastava per farla sembrare tra la vita e la morte. I capelli (colore) scompigliati, sono sciolti dal solito complicato intreccio, permettendo così delle morbide onde ad accompagnare il suo viso. Il piacevole movimento delle ciocche seguiva il suo viso una volta che decise di poter onorare questa persona con le sue attenzioni.
Duncan Idaho era in mezzo al corridoio con aria solenne. La postura eretta e impeccabile è proprio qualcosa che ci si poteva aspettare da casa Atreides e da uno dei suoi fidati.
Lo sguardo dell’uomo affronta con sospetto il corpo gracile ea mala pena sostenuto della sua signora. Non c’è traccia di ostilità verso qualcuno, solo il suo solito io viziato. O almeno è quello degli ultimi 7 anni. Quando d’improvviso la dolcezza della bambina venne sostituita con il gelo caratteristico di casa Alithea.
Duncan non ha mai diffidato di lei. Non che potesse in qualche modo, è una donna talmente fragile e minuta che si poteva dubitare potesse ferire qualsiasi componente della famiglia Atreides. Solo non poteva che notare il cambiamento di carattere durante la sua crescita al fianco all’erede Atreides. Davanti agli occhi ha visto come qualcuno potesse sprofondare nell’oscurità poco a poco.
Lo sguardo affilato della donna cadde sul soldato, fidato agli Atreides e vicino a quello che sarebbe diventato suo marito. ❝ Niente di importante Sir, cerco solo di raggiungere il mio futuro marito nelle sue stanze. Mi ha chiesto di parlare in privato. ❞
Duncan dubitava che Paul potesse essere così dannatamente maleducato da scomodare la sua fidanzata che fino a qualche giorno fa era in letto di morte. Poi nessun -nemmeno Paul- gli aveva parlato di questo incontro e per quanto potesse essere un incontro tra innamorati, di cui dubitava molto, il ragazzo avrebbe comunque avvertito qualcuno della cosa.
In genere lady (nome) non era nemmeno una persona da incontri romantici al chiaro di luna, ne di una avventura in camera da letto. Quindi era ben presumibile stesse architettando qualcosa che avesse a che fare con Paul. Duncan sperava vivamente che questo non li avrebbe messi nei guai.
❝ In tal caso lasciate che vi accompagni.❞ Il suo onore gli impediva di lasciare la sua signora andare in giro per le sale di Castel Caladan alla ricerca del futuro marito, quando nemmeno riusciva a camminare correttamente.
Stava anche tremando a tratti sotto la stola in lama.
Lo sguardo della donna si assottigliò lasciando brillare le pagliuzze argentate annegate nel (colore) delle sue iridi. (Nome) era abbastanza furba da non tentare una discussione per una tale sciocchezza. Per quanto irrispettosa potesse essere, il tutto sarebbe diventato solo più sospettoso. ❝ Se è ciò che desiderate.❞ Duncan camminò fino a sorpassare (nome) e guidarla verso la sua destinazione.
La stanza di Paul non era molto lontana, di conseguenza il viaggio fu breve. La principessa bussò con eleganza alla porta e Paul rispose aprendo la porta. La sorpresa era palese dai suoi occhi verdi, ma si riprese l’attimo dopo aver notato anche Duncan. Salutó l’uomo con un cenno e poi si rivolge alla donna di Alithea ❝ A cosa devo la visita della mia signora? ❞ (Nome) ridusse la sua espressione a puro disgusto e entrò nella stanza lasciandosi alle spalle Duncan e la sua espressione disperata dai capricci e dalle bugie della donna. Paul non fece altro che un’espressione di scuse al compagno fidato chiudendo la porta intimandolo di continuare con i suoi doveri.
❝ Spero ci sia un motivo valido per disturbare il tuo riposo e Duncan. ❞ ❝ Non gli ho chiesto io di disturbarsi. ❞ Lady (nome) ha tralasciato le sue condizioni precarie mentre si fermava nel mezzo della stanza incrociando le braccia al petto. La stola e la vestaglia morbida annientava ogni curva che la donna potesse possedere. Un sospirò lasció le labbra di Paul mentre si avvicinava a lei per avvolgere le braccia intorno alla figura della donna, ❝ La vostra crudeltà non appassisce mai mia signora, nemmeno quando siete malata. E dire che quando eravate piccola possedevate una tale gentilezza. ❞ Il calore della loro pelle che si tocca era qualcosa che (nome) ha detestato, e sapeva che in futuro non gli sarebbe bastato questo da lei.
Si crogiolò segretamente nel tepore del loro abbraccio, forse avrebbe dovuto prendere una stola più pesante ma non è riuscita a trovarla da sola. ❝ Io inizierei a ritermi il colpevole di tale comportamento se fossi in te, Paul.❞ Il suo nome aveva una cadenza sprezzante ma L’Atreides, in qualche modo contorto, sembrò apprezzare. Paul stampa un bacio sul suo collo, incurante dello strato di capelli che si sovrapponeva alla pelle di (nome). Rabbrividì disgustata.
❝ In ogni caso non hai risposto alla mia domanda.❞ Si staccò da lei andando a sedere dall’altra parte della stanza. Si versò qualcosa da bere e lo stesso fece per lei. (Nome) sapeva fare di meglio che cedere a tali galanterie. Era considerata una bellezza a tal punto che in molti hanno cercato le sue attenzioni con trucchi meschini.
In realtà Paul sapeva perché era lì e da cosa era dovuto il suo turbamento. C’era una incrinatura nella sua solita corazza, lasciando intravedere spiragli di rabbia e nervosismo. Aveva letto attentamento i suoi movimenti e le sue parole. Come si soffermava su qualcosa troppo allungo, come teneva coperto il ventre con la stola e come si graffiava i polsi.❝ Devi lasciarlo andare. Lui non ha colpa.❞ ❝ mmh? ❞ Prese un sorso di bevanda tenendo gli occhi su di lei. Sapeva di cosa stava parlando, non c’è stato bisogno di avere conferme, eppure lui ha continuato a fingere di non comprendere. Se lady (nome) non lo conoscesse, avrebbe potuto dire che si stava divertendo a vederla così.
Paul la conosceva a sua volta abbastanza da sapere che: niente avrebbe potuto agitare la donna se non la consapevolezza di aver condannato qualcuno per un suo errore. Non era così crudele come tutti l’avevano dipinta, e Paul lo sapeva meglio di chiunque altro. Sapeva che probabilmente le occhiaie nere sotto i suoi occhi erano solo la causa delle notte insonne per il senso di colpa.
Senso di colpa.
Forse nessuno a parte lui sapeva che Lady Alithea era capace di provare simili emozioni. Era davvero brava a mascherare le proprie intenzioni dietro la sua freddezza, non sempre ma quasi, questo Paul glielo avrebbe concesso. Forse se non fosse per le sue abilità di Bene Gesserit nemmeno lui l’avrebbe notato. ❝ Non vedo perché dovrei, (nome), dopo quello che ti ha fatto.❞ ❝ È TUTTA COLPA MIA! LUI NON C’ENTRA-❞ L’urlo lasciò trasparire tutto il risentimento che aveva nei suoi confronti. Era uscito così spontaneo dalle sue labbra che è riuscita a fermarlo solo dopo aver sfogato in parte. Certamente si era fermata ad un certo punto e una parte di colpa andava allo sguardo che l’erede degli Atreides le ha rivolto. La turbava ancora, anche a distanza di anni e nonostante la loro differenza di età. ❝ … e tu hai utilizzato l'occasione a tuo vantaggio.❞
-Nemmeno i rivelatori di veleno erano riusciti a rilevarlo. Era stata attenta. Talmente attenta che quando il sangue iniziò a colare giù dal naso e dalla bocca una confusione generale riempì la stanza. Alcuni soldati si sono precipitati lì, altri hanno chiamato il dottore Yueh e di seguito arrivò anche Hawat. Era una delle poche volte che anche il Duca era presente, forse tutta quella confusione era dovuto anche a questo.
Nessuno era riuscito a scoprire chi fosse stato e meglio come avesse fatto. Ma Paul aveva un idea. Un’idea che si era rivelata più che giusta. Lo aveva visto chiaramente. -
Le braccia della donna scivolarono dritte lungo il corpo mentre stringeva il tessuto della vestaglia tra i suoi pugni. Non era ben chiaro se si fosse pentita di averlo urlato o se avesse solo temuto per lo sguardo di Paul. Ma il resto della frase è comunque stato ridotto ad un sommesso sussurro.
Forse si sentiva colpevole. Lui non l’aveva mai toccata prima senza il suo permesso. Non le aveva mai fatto del male. Eppure lei aveva agito contro di lui. Prima ha cercato di uccidere Paul mentre dormiva con coltello di fortuna, ma fu troppo codarda per portare a termine l’impresa e crollò tra le braccia di Paul. Non aveva detto una parole ne aveva mostrato paura. Poi aveva cercato di avvelenarlo… ma cambiò obiettivo. Forse ha sperato qualcuno contestasse la sua unione con Paul, forse non ritenendola all’altezza di diventare Duchessa e un’Atreides. Ma non accade. A Paul bastó immagazzinare le informazioni , analizzarle e valutare come risolvere al meglio la situazione. Il suo attentato al giovane Duca non fu mai scoperto, e il suo auto avvelenato fu solo deviato alla soluzione più semplice. Il ragazzo così vicino a Lady (nome) da averla avvelenata per gelosia.
Questo le fece pentire in primo luogo di averlo scelto e portato con sé su Caladan, di essersi compromessa con lui e di essere stata costretta ad abortire per conservare l’onore di entrambi. ❝ Forse avresti dovuto pensarci prima a coinvolgere qualcuno di esterno.❞ È stato stupido ma lo sapeva già. Non lo amava nemmeno come meritava.
Ed è abbastanza palese che Paul stesse giocando con questi sensi di colpa.
Non le avrebbe offerto uno scambio, lui non ne aveva bisogno per farle fare tutto quello che voleva. Non c’era modo che avessero parlato di scambiare la vita del ragazzo con qualcosa che andasse a vantaggio di Paul e Lady (nome) lo sapeva abbastanza bene.
❝In ogni caso ora non dovrai più temere di coprire quella gravidanza indesiderata e io non dovrò tenere un bastardo.❞ Un erede bastardo. Era qualcosa di ironico adesso, agli occhi del giovane Paul. Non gli ricordo minimamente sua madre, che diede al Duca Leto l’erede che tanto desiderava.
La donna era colma di rancore, colpe e imbarazzo, per questo non proferì altra parola. Non cercó di salvarsi o giustificare i fatti evidenti, lui era l’unico oltre a lei a saperlo e poteva dedurre fosse solo grazie alle sue predizioni. Nemmeno il povero Elias era a conoscenza dell’avere messo incinta la futura sposa di Paul. Forse era meglio così.
❝ Dovresti essere grata. ❞ La voce di Paul perse l’affetto e il rimprovero. Divenne solo fredda come se avesse perso la possibilità di provare sentimenti. Si avvicinò alla forma della sua signora prendendo a coppa il suo viso dai tratti morbidi tra le mani. La principessa si sentiva disgustata. ❝ Per cosa? ❞ ❝ Per non averti condannata con lui. ❞
In un lampo di rabbia (nome) spinse le mani sul petto del ragazzo, allontanandosi quel che bastava.
In primo luogo pensava glielo avrebbe concesso, nel suo stato attuale, lui era più forte di lei. Perciò la distanza era quella che lui gli aveva concesso a prescindere. ❝ Avrei preferito morire a causa del mio stesso veleno che rimanere qui con te. ❞ La principessa strinse i denti ad ogni crudele dichiarazione mentre si dirige verso la porta con l’unico intento di andarsene.
❝ Non uscire dalla stanza. ❞ (nome) si fermò nei suoi passi, con la mano sulla maniglia e un piede pronto a dare il primo passo per uscire. Sapeva che Paul era in grado di usare la voce, aveva sentito parlare della cosa molte volte da sua madre mentre si esercitavano. A riguardo c’era un tacito accordo. Lui non avrebbe dovuto usarlo su di lei.
Per quanto non fossero mai stati messi termini e condizioni lui lo aveva fatto solo una volta, esclusa questa. Forse è stata quella volta a convincerlo ad non utilizzarlo. Lei aveva dato letteralmente di matto, urlando e cercando di attaccarlo direttamente.
Nessuno ha saputo dare una risposta a tale comportamento e la situazione tacque in pochi giorni, lasciando un’alone di mistero sulla vicenda.
Lo sguardo della donna era intriso di rabbia e sanguinaria voglia di fargli del male. Paul la guardava a sua volta con una sorta di sfida nei suoi occhi. Sarebbe stata sopraffatta dalla voce o sarebbe stata rinchiusa per aver attentato alla vita di Paul?
Era quasi sicura che nella seconda avrebbe sofferto più lui che lei, per questo quando mosse i suoi primi passi verso il fidanzato lui socchiuse le labbra. Pronto a richiamare qualsiasi ordine l’avrebbe riportata al suo posto. Ma lei si fermò ancora prima di poter fare unaltro passo.
Lo sguardo di Paul era ancora su di lei. I suoi capelli ondulati ricadenti sulle sue spalle cadenti. La sua vestaglia argentata e la stola che era caduta dalle spalle e ora si reggeva solo alle braccia della ragazza. Una visione dannata e patetica proprio come era la sua signora quando nessuno poteva vederla a parte lui. L’orgoglio e la vanità erano scomparsi a favore della dolce disperazione e dai sensi di colpa. Ma in fondo l’Atreides non avrebbe potuto desiderare altro che essere l’unico spettatore di tale vista.
Nessuno avrebbe potuto ammirare la luce fioca e semplice di una donna, che aveva imparato a mantenere le apparenze di freddezza e nobiltà, sfaldarsi davanti a qualcosa che la stava mandando in frantumi poco a poco.
Paul era quella cosa ed entrambi lo sapevano.
I primi passi di lui furono intercettati dalla donna che indietreggiò per mantenere la distanza iniziale. Un sospiro tra l'esasperato e il divertito ha lasciato Paul mentre parlava nuovamente. ❝ Devi smetterla con queste scenate. Non ti serviranno a molto soprattutto se sono l’unico ad assistere.❞ I loro occhi erano fissi l’uno sull’altro. Niente sarebbe cambiato nel comportamento della donna, lo sapeva. Eppure i suoi occhi erano ancora attenti a qualsiasi cosa lui volesse fare di lei. Avrebbe mantenuto le parole eppure lei non era ancora disposta ad avvicinarsi. ❝ Spiegami come posso farmi ascoltare, senza per forza darti un ordine. ❞ Quel potere non era un semplice ordine! Se fosse stato solo un ordine lei avrebbe ignorato il tutto e poi sarebbe andata avanti per quello che credeva meglio. Ma in quei momenti il suo corpo smetteva di essere una sua proprietà e faceva ciò che quel coro di voci le diceva di fare. Cacciata e privata della sua stessa volontà. È così che si poteva descrivere.
❝ Non puoi. semplice, no? Basta solo che mi lasci stare, e che lo scagioni da quelle accuse, e per un po’ continuerò questa recita, per un po’.❞ Per un po’… Non significava per sempre. Non si sarebbe calmata e questo sarebbe solo qualcosa di temporaneo. Era come una pietra che colpiva il vuoto. Non faceva alcun rumore. Nessuno dei due aveva un discorso collegato con quello dell’altro eppure continuavano a parlare sulla medesima linea. Lei era lì per un motivo e poi avrebbe voluto andarsene il più lontano possibile. Anche il fondo del mare di Caladan le sembrava più accogliente e invitante di quella stanza soffusa di luce. Mentre lui desiderava cercare di convincerla a rimanere, nella sua stanza e nella sua vita. Non che lei avesse quella gran scelta in questione ma lui desiderava ancora che lei lo volesse almeno un po’.
Fece un altro passo e poi un’altro e un'altro ancora, verso di lei, in silenzio. Ma lei si allontanava ancora, ancora e ancora. I passi erano traballanti e non si poteva escludere l’eventualità che potesse cadere. ❝ Sai davvero essere crudele mia signora… soprattutto con me. ❞ A Paul sembrava piacere evidenziare come le sue parole taglienti perdessero L’affilatezza in sua presenza, intrecciando le proprie parole con terribile sarcasmo. Lei inciampò su qualcosa e cadde seduta sul letto del ragazzo. Non poteva sapere cosa, ma ha immaginato fosse colpa di Paul. Era sempre colpa sua anche quando non lo era, ai suoi occhi.
Non sapeva esattamente come fosse finita lì, ad un'estremo della stanza, opposto a dove era. Quanti passi senza guardarsi attorno aveva fatto? Quando si era persa troppo in profondità negli occhi di Paul e dell'odio che provava per lui.
❝ Ti odio. ❞ Lui rise alla conferma delle sue parole. Questo era odio. Un odio patetico che gli si addice magnificamente. ❝ Lo so. ❞ Si avvicinò al suo volto, lasciando poco spazio tra loro, tanto che ogni respiro sfiorava le pelle del loro volto. Gli (colore) della donna erano spalancati in cerca di una soluzione, di un indizio o di qualche bagliore, negli occhi del futuro marito. Una qualsiasi scintilla ma niente. Lui era impassibile e illeggibile come lo era sempre stato, e questo l’ha terrorizzata. Come nei loro primi incontri, come nel loro primo incontro. ❝ Cosa vuoi in cambio? ❞ Dopo un lungo silenzio lady (nome) si decise a parlare. Di solito durante i loro scambi di parole non si parlava mai di scambi o mediazioni. Nessuno dei due avrebbe ceduto qualcosa per averne un altra. Specialmente (nome).
❝ Rimani. ❞ Era decisamente generica come risposta e la ragazza si trovava spazientita da tanta indulgenza. Se fosse stata solo una notte potrebbe anche essere un buon affare. Se fosse trasferire le sue stanze in quelle di Paul per il suo ultimo periodo qui a Caladan prima di tornare a casa per organizzare i preparativi per il matrimonio, era eccessivo ma ancora glielo poteva concedere. Aveva chiesto un prezzo molto alto in fondo, per quanto lei stessa non volesse ammetterlo. Ma se intende per tutta la sua vita era troppo. Lei per quando crudele e fredda potesse essere aveva sempre mantenuto la parola data e per questo raramente faceva promesse soprattutto quando non voleva o non poteva mantenerle.
❝ Tutto ma non questo. ❞
❝ Prendere o lasciare, (nome). ❞
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L'intimità
L'intimità non è fatta di perfezione, ma di imperfezioni condivise..
Robin Williams disse:
L'intimità è molto più di due mani che si sfiorano, più delle risate condivise e degli sguardi complici. L'intimità è quel momento in cui ti siedi accanto a qualcuno e non hai paura di mostrare le tue cicatrici, di lasciare che le tue paure più profonde vengano alla luce.. È il sapere che puoi parlare dei tuoi fallimenti e delle tue colpe, senza timore di essere giudicato o abbandonato..
C'è qualcosa di disarmante nell'essere accettati per come siamo, al di là delle maschere che indossiamo ogni giorno. È un riconoscimento silenzioso, una verità condivisa che dice: "Conosco i tuoi demoni, li vedo, eppure resto qui". È lì che nasce il vero legame, quando capisci che qualcuno è disposto a guardare oltre le apparenze, ad amare le parti di te che consideri meno degne, meno luminose.
L'intimità è fatta di dettagli: è sapere che l'altro ha bisogno di silenzio dopo una giornata difficile, è riconoscere il tremolio nella sua voce quando parla di qualcosa di importante.. È quella carezza che arriva al momento giusto, senza che ci sia bisogno di parole. È la consapevolezza che l'amore non è fatto solo di giorni perfetti, ma di notti in cui si sta svegli a parlare fino all'alba, confessando paure e sogni spezzati..
Le relazioni costruite su questa forma di intimità sono rare e preziose. Sono quelle in cui ci si sente al sicuro non perché tutto è facile, ma perché, anche quando le cose si complicano, nessuna scappa. Si resta, si ascolta, si impara a camminare insieme, senza cercare di cambiare l'altro, ma accogliendolo per quello che è, con tutte le sue sfumature..
In un mondo che spesso valorizza solo l'apparenza, l'intimità vera è il coraggio di spogliarsi di tutto e rimanere vulnerabili.. È la bellezza dell'amore incondizionato, la comprensione che ciò che rende una persona unica non solo le sue qualità migliori, ma anche le sue imperfezioni, quelle che la rendono reale, viva..
L'intimità penso sia questo..
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
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Punizione adorata
Ti basta un pretesto minimo, una mia sia pur piccola digressione o non scrupolosa osservanza della linea di condotta che tu hai stabilito per me, affinché tu mi comunichi in modo ufficiale che devi punirmi. Io al solo sentire le tue parole di disapprovazione nella nota vocale che mi spedisci già comincio a godere. E le conservo tutte, le tue note vocali: le riascolto spesso, per capire fino a che punto ti amo.
Per me il fatto che le tue mani vogliano posarsi sulle mie natiche, seppur in modo irrispettoso, sfacciato, guascone e crudele, è un premio: personalmente lo considero un vero dono del cielo. Il dolore che mi fai provare schiaffeggiandomi è la tua implicita dichiarazione d'amore nei miei confronti. Castighi la mia carne, ma nutri il mio cuore. Sento che mentre lo fai mi desideri e che non puoi fare a meno di infliggermi sofferenza, che poi non è altro che amore in embrione.
È il rito puntuale di ogni nostro sabato ed è da me agognato. Sogno tutta la settimana di farti godere e non vedo l'ora di sottomettermi a te. Mio marito è un uomo debole e in casa chi comanda e prende tutte le decisioni sono io. Ma proprio per questo ho un dannato bisogno di sentirmi dominata da un maschio vero. Voglio sentirmi profondamente donna. Ho bisogno di essere guidata, apprezzata ma anche castigata. Il motivo devi trovarlo tu ogni volta. Non ha una vera importanza. Voglio solo essere umiliata e maltrattata.
Da qualcuno che abbia dei modi spicci e che quindi sappia come e quando rimettermi in riga. E tu sei molto bravo, intelligente, discreto, sensibile ma anche inflessibile. Ti adoro, per questo: sebbene tu sia di dieci anni più giovane di me. La santa punizione del mio corpo prelude invariabilmente al godimento del tuo. Quindi io, pur soffrendo fisicamente nel ricevere il duro trattamento, stringo i denti e sopporto.
Verso certamente qualche lacrima di frustrazione, ma sono comunque massimamente felice per te. Senza eccessivi riguardi per la mia persona, a un certo punto del nostro appuntamento passi dalla sonora sculacciata ad amare brutalmente la mia carne di madre e moglie di un altro uomo; mi tratti male e mi adoperi per il tuo comodo.
Quando poi hai fatto di tutto il mio corpo il tuo uso solito, allorché mi hai spremuta e hai lungamente goduto ovunque dentro di me, io sfinita e riempita del tuo seme, mi raggomitolo sazia e contenta sul tuo grembo. Me lo lasci fare, perché è un mio privato vezzo con te; sai che così mi sento protetta, amata.
Accarezzo il tuo torace, poi il tuo inguine e mi beo del tuo odore forte di maschio. Ti lecco languidamente ovunque e assaporo il tuo gusto virile. Prendo in bocca il tuo uccello: avida, grata e lentamente lo slinguo, me lo succhio, ma senza fretta alcuna. Voglio che duri, questa assoluta, dolcissima, nostra intimità. Dio: che croce che sei per me! Una vera condanna, ma allo stesso tempo anche la mia unica, segreta, rovente passione.
E riposo davvero solo così, col tuo uccello tra le labbra, per molto tempo: innocente nell'anima e maliziosa porca nella mia mente oscena di sposa fedifraga. Godo anche molto, nell'esserlo. L'amore vero è anche questo, tra noi. Prego affinché tu non ti stanchi mai di punirmi. E di desiderarmi, mentre amorevolmente spalmi la crema rinfrescante sul mio bellissimo culo di gran puttana, moglie di ancor più grande cornuto.
RDA
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Sono 46 anni che avrei bisogno di un gatto, di sapere com' è vivere la vita con un animale e provare quello che tutti chiamano "amore incondizionato". Si, non ho figli e sarei a detta di molti nella fase del ciclo vitale "donna-single=gattara". Ho paura. Non ho mai vissuto questo tipo di esperienza e ho mille paure: e se muore perché involontariamente lo uccido? e se soffre perché lo costringo in un ambiente non suo? Se perdo la mia libertà e sto male e lui idem? E quando morirà sarà l'ennesimo dolore da affrontare. Mi faccio mille paturnie e mille problemi sia pratici che iper fantasiosi. Vedo gatti ma non mi decido e secondo me mi avranno presa anche un po' sul cazzo pensandomi come pazza inconcludente. Ecco, mi sento così. Tra l'altro faccio una vita abbastanza regolare e non avrei neanche il problema di essere in quella fase "pepe sul culo" per cui esco moderatamente e faccio robe moderate (più che altro non avrei proprio più le forze di andare tipo ad un rave...per dire eh). Detto ciò, secondo te, esiste qualcuno al mondo che si possa essere mai pentito di aver fatto questa scelta (escludendo le merde umane che puntualmente abbandonano animali per strada)?. Può succedere che una persona mediamente sana di mente si possa accorgere che questa scelta è in realtà per lei insostenibile a diversi livelli e per altrettante ragioni? Grazie per aver letto fin qui sto pippone paranoico incredibile. Sarei curiosa e felice di leggere una tua risposta. Ti seguo sempre e ti stimo un botto.
Stai parlando di uno degli esseri con il quale ci siamo scelti per sentirci meno soli nel cammino attraverso i secoli.
Finché ci sarai tu, sarà il suo ambiente e la tua e la sua libertà saranno sempre proporzionate a quella dell'altro.
Non credo che lo ucciderai e quando arriverà il suo momento di riposare nel prato in fondo al sentiero del mondo, sono sicuro che da lui avrai imparato molto sulla vita e tutto sui rimpianti... quanto sia stata unica e piena la prima insieme a lui e come non ci sia bisogno dei secondi, se si è vissuto ogni nuovo giorno con intensità.
Loro lo sanno fare divinamente, gioendo delle piccole cose (che poi tanto piccole non sono) e quindi credo che tu non debba privarti di una connessione così profonda e bella con una creatura che ti insegnerà una nuova sfaccettatura di quella strana cosa che molti chiamano 'vita'.
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Forse l’errore (l’illusione) più grande è aspettarsi di essere amati come amiamo. Forse è più complicato, ma veritiero, accettare che ognuno ami a suo modo, con i suoi gesti, le sue parole, quella modalità unica e particolare che è il risultato di una storia, di una vita, di un cuore.
Forse la salvezza è desistere dall’ideale della favola, per accogliere la verità dell’Essere Due in tutte le sue complicate contraddizioni, dove le due parti della mela non coincidono quasi mai ed è, giorno dopo giorno ,un laborioso tentativo di capirsi, venirsi incontro, accettarsi, un po’ sopportarsi. Qualsiasi nome abbia la relazione, di qualsiasi forma d’amore si tratti, non è mai un continuo “e vissero felici e contenti”, è più un “e vissero cercando di essere felici e impegnandosi a farsi contenti”, tra una lacrima, un errore, un tentativo fallito, una parola sbagliata.
Ognuno di noi sa per certo ciò che lo rende infelice, ciò che non potrebbe sopportare (nemmeno per amore), ciò che segna il confine tra la comprensione e il venire a meno dell’amore per se stessi,allora lì decade anche l’impegno a volere a tutti i costi che la combinazione funzioni. Allora bisogna solo accettare che Altrove è l’unica salvezza.
E che se la vita non è una favola e l’amore ancora meno c’è un piatto della bilancia che deve sempre pesare più del resto e si chiama “amarsi”. Abbiamo tutti diritto a una vita il più possibile felice...
Fin dove possiamo scegliere, cerchiamo chi, a suo modo, contribuisca ad accrescerla e non a boicottarla. Qualcuno che le lacrime ce le asciughi e non ce le faccia versare. Qualcuno che magari non sia perfetto, ma sia perfetto per noi, in ogni sua imperfezione. Qualcuno che, insieme a noi, viva l’amarsi in ambedue i suoi significati: connubio perfetto di infinite fragilità..
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Alcuni stralci da: Gaza Restiamo umani.
Un cataclisma di odio e cinismo piombato sulla popolazione di Gaza come «Piombo fuso» che fa a pezzi corpi umani.”
Vittorio Arrigoni Origine:
Gaza. Restiamo umani, p. 31
Questa, infatti, non è una guerra, perché non ci sono due eserciti che si danno battaglia su un fronte: è un assedio unilaterale condotto da forze armate (aviazione, marina ed esercito) fra le più potenti del mondo […] che hanno attaccato una misera striscia di terra di 360 kmq, dove la popolazione si muove ancora sui muli e dove c'è una resistenza male armata la cui unica forza è quella di essere pronta al martirio.”
Vittorio Arrigoni Origine:
Gaza. Restiamo umani, pp. 45-46
Qualcuno deve arrestare questa carneficina, ho visto cose in questi giorni, udito fragori, annusato miasmi pestiferi, che difficilmente riuscirò a raccontare ai miei eventuali futuri figli. Sentirsi isolati e abbandonati è desolante non meno della vista di un quartiere di Gaza dopo una campagna di raid aerei. […] Le manifestazioni in tutto il mondo dimostrano che esiste qualcuno in cui credere, ma non sono ancora in grado di esercitare la pressione necessaria sui governi occidentali perché fermino i crimini di Israele.”
Vittorio Arrigoni Origine:
Gaza. Restiamo umani, p. 47
“Mi chiedo come Israele possa definirsi civile e democratico, se per stanare e uccidere un suo nemico nascosto in un edificio abitato il suo esercito non esita un attimo ad abbatterlo seppellendoci sotto decide di innocenti.” —
Vittorio Arrigoni Origine:
Gaza. Restiamo umani, p. 69
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esiste una parola più corta per "telefono cellulare" di "cellulare" o "telefonino"? ho già sentito "mobile" prima - e "cell", ma solo una volta su reddit.
Non voglio proprio dire "dov'è la cel-lu-la-re?" ogni volta che non riesco a trovarla. grazie : )
Ciao!
Prima di risponderti, permettimi di farti notare che cellulare va usato al maschile, quindi nel tuo esempio dovresti dire "dov'è il cellulare?" (e "trovarlo"): cellulare in questo caso è un aggettivo che viene utilizzato come nome per abbreviare la definizione intera che, come già sai, è "il telefono cellulare" (telefono è il nome, maschile singolare, come devono essere di conseguenza anche articolo e aggettivo).
Per il resto... sì, puoi dire "il cell", soprattutto se stai parlando con te stess* o con amici. Credo che venga molto più spesso utilizzato nello scritto, per essere più veloci quando mandiamo messaggi, ma anche usarlo nel parlato in certe situazioni molto informali va bene. Altri modi oltre a quelli che hai citato putroppo non ce ne sono, ma puoi tranquillamente usare "lo smartphone" se preferisci, lo diciamo spesso anche nelle pubblicità ormai. Unica cosa: fai attenzione quando usi "il mobile": credo che questa definizione (questo aggettivo) del telefono sia usata solo in contrapposizione a "il fisso", cioè la linea fissa/di casa (quella che una volta aveva il telefono col filo, quindi che non si poteva muovere = fisso, non mobile), e non nel linguaggio comune ma in specifici contesti. Se mi parli di "mobile" io penso prima di tutto a una parte della tua forniture e non al tuo mobile phone. Onestamente lo eviterei, a meno che non stia firmando un contratto per una nuova linea o dando i tuoi dati (telefono fisso/telefono mobile) a qualcuno.
Io personalmente, quando mi trovo nella tua situazione, mi chiedo "dov'è/dove ho messo il telefono?" :)
Certo in italiano abbreviamo molte parole, ma con certe altre non è proprio possibile... credo dovrai arrenderti e prenderti del tempo per parlare del tuo telefono! (che non è poi male: andare piano, con calma, è utile soprattutto quando si è nel panico e non si riesce a trovare qualcosa ;) ) Oppure, lascialo sottinteso: se parli con te stess*, sai già a cosa ti riferisci, quindi puoi chiederti semplicemente "ma dov'èèèè?!" (e se vuoi sembrare ancora più italian*, puoi aggiungere una o più swearing or fake-swearing words tipo "ma dove cazzarola è *finito*?!")
#it#italian#langblr#italiano#italian language#italian langblr#languages#lingua italiana#text#italianblr
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"Anzitutto l'operaio deve negare decisamente qualsiasi solidarietà col giornale borghese.
Egli dovrebbe ricordarsi sempre, sempre, sempre, che il giornale borghese (qualunque sia la sua tinta) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi.
Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un'idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice.
Ma il bello, cioè il brutto, sta in ciò: che invece di domandare quattrini alla classe borghese per essere sostenuto nell'opera di difesa spietata in suo favore, il giornale borghese riesce a farsi pagare... dalla stessa classe lavoratrice che egli combatte sempre.
E la classe lavoratrice paga, puntualmente, generosamente."
Antonio Gramsci
Oggi c'e' da aggiungere anche tv, radio e media vari, anch'essi al totale servizio della borghesia (a meno che qualcuno riesca a convincermi che gente come Elon Musk, Bill Gates, Zuckerberg, o Berlusconi, Angelucci, DeBenedetti, Cairo e Co, hanno acquisito tv, media e giornali per aiutare gli operai). Unica certezza, dopo 100 anni, sono gli operai che seguitano, imperterriti, a pensare che la borghesia e' quella che possa risolvere i loro problemi. @ilpianistasultetto
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L'anno delle raccomandate
Ottobre 2023: Arriva una cartella dell'agenzia delle entrate. 2800 € per la dichiarazione dei redditi di 2 anni prima. Chiamo l'AdE e si scopre che hanno sbagliato di 2300 € ("eh sa questi sono controlli automatici, a volte ai computer certe cose sfuggono", MAH) . Comunque devo saldare i rimanenti 500 €, perché il mio CAF aveva sbagliato la provincia di residenza e quindi le addizionali comunali e regionali erano sbagliate.
Novembre 2023: Arriva un'altra cartella da 1000 €. Chiamo di nuovo: "ah sì, questo deriva sempre dall'errore nei controlli, la può ignorare".
Luglio 2024: Quando suona il postino per la raccomandata ormai è panico. Questa volta l'AdE mi chiede 330 € per tasse non pagate sul TFR ricevuto nel 2020. Stavolta dall'assistenza mi spiegano questo meccanismo geniale: quando il datore di lavoro ti paga il TFR, non sa esattamente quante tasse dovrà trattenere. Fa una stima approssimativa e ti toglie quelle. Si chiama tassazione provvisoria. Poi, a distanza di anni l'Agenzia delle Entrate fa il calcolo definitivo e poi ti chiede il resto, se la stima del datore di lavoro era in difetto. Ovviamente la stima nel mio caso era in difetto. Settembre 2024: Ormai quando arriva la busta verde non scappo neanche più, accetto rassegnato il mio destino. Stavolta non è l'Agenzia delle Entrate, ma la società di riscossione comunale. E' un "Atto di pignoramento di fitti e pigioni" (chi dice "pigione" nella vita reale?). Sono io che devo dei soldi al comune? No. Un'altra persona non ha pagato tributi comunali per 850 €. Si dà il caso che questa persona dal 2013 al 2015 mi abbia affittato casa. Adesso, alla società di riscossione risulto "essere debitore di un canone mensile di locazione" a questa persona, e quindi mi pignora le somme a debito. Questa cosa si chiama Pignoramento Terzi. Solo che sono passati quasi dieci anni da quando vivevo lì. Non ho avuto debiti o controversie, ho pagato l'affitto sempre in tempo e non ho mai più sentito la proprietaria dopo la fine del contratto. Ora, la mia unica spiegazione per questa serie di eventi è che ci sia qualcuno che ha fatto una mia bambolina voodoo, e che ci stia infilando nel culo tanti fogliettini verdi.
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Ho appena finito di vedere la diretta di Andrea Colamedici sul discorso del ministro della cultura Giuli.
Devo essere sincera, io la politica la sto seguendo pochissimo (a mia discolpa) anche perché cerco di usare Instagram (la mia unica - purtroppo - fonte di informazione sull'Italia) massimo 1h 30min al giorno, quindi mi sono vista qualcuno di quei meme ma non li capivo (tanto ormai mi capita spesso).
Dopo aver letto il suo post e visto la diretta, ho capito tutto e mi trovo in gran parte d'accordo con lui. Ma, a parte questo, quei 2 min di discorso "altolocato" (?) di Giuli spiegato da Colamedici mi ha fatto pensare di nuovo a quanto sono ignorante, a quante cose volevo leggere dopo l'università e a quanto poco sto leggendo (zero assoluto), a quanto avrei voluto studiare altra filosofia e a quanto sono lontana dalla conoscenza che vorrei avere, a quanto mi sento schiava di questo sistema disonesto e a quanto dovrei ottimizzare i miei tempi per riuscire ad essere chi vorrei essere. Ma ottimizzare i tempi in parte mi sembra un altro imperativo capitalista a cui non voglio cedere e quindi mi ripeto che va bene usare quel poco di tempo libero per oziare però dall'altra parte se in quel tempo ozio non ho più nessun altro tempo per fare quello che vorrei fare per diventare meglio di come sono, ed è un cane che si morde la coda già da un anno e ne voglio uscire ma non ci riesco.
#Giuli#Andrea Colamedici#filosofia#pensieri notturni#impoverimento intellettuale#ottimizzazione dei tempi#imperativi capitalisti
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Ah, L’Amore! Tanto amato e tanto odiato. Ho 16 anni, sinceramente non so cosa significa essere amati, ma so cosa vuol dire amare. Per me l’amore è qualcuno che quando è in giro ti compra qualcosa dicendo “ho pensato a te“. L’Amore è mio padre che nonostante le difficoltà fa di tutto per me e la mia famiglia. L’amore è la lettura un miliardo di storie che ti coinvolgono in una avventura unica e irripetibile. L’amore è guardare le stelle e pensare che ne esiste una per ognuno di noi abbastanza lontana per impedire ai nostri dolori di offuscarla. L’amore sono i protagonisti dei miei libri preferiti, che nonostante tutto trovano sempre un modo per amarsi. Ma soprattutto per me l’amore sono io, che nonostante le delusioni continue non smetto mai di amare, perché dopo tutto continuo ad avere un grande bene per le mie vecchie relazioni. Se dovessi dire cosa rappresenta l’amore senza dubbio risponderei così.
Per esperienza passata posso dire che l’amore è libertà, senza oppressione, ma sempre con un pizzico di gelosia.Non esiste amore,se ti vieta la gioia, la vita e la libertà. Sono dell’idea che l’amore ossessiona, invade la mente e il cuore ; ognuno di noi cerca un amore passionale che ci stravolge l’anima, e senza ossessione a parer mio non si può amare al 100%, mi spiego meglio: Amare significa lasciare la persona per cui proviamo questi sentimenti libera, tuttavia se noi non abbiamo un pizzico di ossessione, questa persona non può invadere ogni cellula del nostro corpo. Amare vuol dire impazzire all’idea di perdere chi amiamo, non dormire la notte dopo un litigio, provare nonostante tutto a risolvere.
Sono dell’idea che ci siano centinaia di modi diversi per amare, ma come disse una mia vecchia conoscenza “Io ti amo, ma non nella mia concezione d’amore”, sarò onesta, questa frase mi ha tormentato le giornate, settimane e settimane a rimuginarci su, però alla fine ho capito che esistono due tipi di persone, chi ama e chi viene amato. Chi ama vive la relazione con passione, con dedizione assoluta e con romanticismo. Chi è amato, si limita ad essere idolatrato. Non dico che amare sia brutto, non fraintendetemi, ma la verità è che si soffre moltissimo.
Non possiamo amare se non siamo pronti a soffrire. L’amore è 50% anche dolore, non scordiamolo mai.
Però sono dell’idea che non ci sia cosa più bella di essere innamorati, con le farfalle nello stomaco e la testa tra le nuvole, ma se vogliamo amare dobbiamo essere pronti anche al lato doloroso dell’amore, cioè la sofferenza che ci porta la perdita della persona amata, perché ci vuole un coraggio immenso per amare ed essere pronti anche all’effetto collaterale.
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“ A volte penso di appartenere a un’altra specie; questo pensiero che avanza in me assurdo come una mostruosità, contraddetto dall’apparenza ordinaria dei miei tratti e dalla mappa fantastica dei cromosomi, ha il potere di rasserenarmi. Nelle rare lezioni che ascoltai quando vagabondavo per le università, le uniche che ebbero il potere di incatenare la mia attenzione, richiamandomi alla coscienza strane e diverse emozioni, mostravano il mirabile codice della specie. Di esso rimanevo stupita come se la spirale della vita fosse un’altra possibile versione della chiave musicale del violino; una sorta di vibrazione sfuggita alla deflagrazione originaria da cui ogni cosa prese forma. Non volli imparare la catena di formule che, intrecciandosi in una magica danza, non ripeteva mai se stessa e con certezza assoluta custodiva l’identità unica di ogni nuova vita. Mi sembrò sempre che la riduzione di un simile prodigio all’apprendimento sterile del nome scientifico, la sua evocazione dotta e assurda nelle luce morta dei laboratori, avrebbero aperto, attirandola su noi, la catena infinita e ottusa del dolore. Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi!
Così, quando in un paese qualunque, forse nell’emisfero australe o nel silenzio dimenticato degli Incas, qualcuno ha trovato serbata la chiave della vita nel cuore indifferente di una pietra, come se questa fosse la cellula di un corpo o la memoria atomizzata dell’unica esplosione, io ho avuto la conferma di ciò che sempre pensai. Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un’unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere. Allo stesso modo, ho orrore dell’onnipotenza feroce, della dogmatica sordità, che traccia il confine fra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all’arroganza impietosa dei corpi sani, all’oscena prepotenza della loro forza; alla sicumera gloriosa con cui avanzano nell’universo pretendendo di esserne i padroni invulnerabili. Niente è più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po’ di pietra e d’albero; un po’ di mare e di tuono per ricordarsi la nota originaria; bisogna essere un po’ mostri per sentire risuonare la meraviglia e l’orrore di altri mondi lontani. In me vive il dubbio che l’errore genetico, da cui prendono vita creature mostruose e tenerissime; piccoli tartari con gli occhi all’insù, dalla memoria prodigiosa di Pico della Mirandola che suonano a volte come angeli, o vecchi-bambini destinati a vivere un quarto di secolo, nascosti come ragni nelle case per non offendere la proterva salute dei normali, incarni un’altra razza. O forse creature di altri spazi; abitanti di pianeti lontani, i cui frammenti vitali caddero errando, nel luogo sbagliato. Questo spiegherebbe la malinconia commovente di certi occhi fissati nel vuoto, che guardano mondi perduti e sorridono solo a essi, resistendo a tutte le seduzioni della nostra inutile umanità. La follia infine; non so se i suoi segni siano iscritti nell’abbraccio elicoidale della vita e neanche se appartenga al codice segreto di un’altra specie precipitata sulla terra. Credo piuttosto che essa sia un tramite; un sesto senso rimasto aperto per vocazione o per destino, dove le mostruosità svelano la propria origine autentica. In altri luoghi, lontani dagli orridi tavoli vivisettori che in nome della scienza profanano oscenamente i misteri della vita e della morte; in altri tempi da quelli in cui l’angoscia ci stringe a vivere, i folli furono celebrati come creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onnisciente. Erano tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva ancora vinto, né aveva ancora sedotto l’intera umanità al peccato originario dell’invidia e alla pestilenza della sua vanità coattiva. Così essa non tollera che una creatura fugga al giogo delle rivalità fra uguali e, attraverso i mondi della follia, scelga l’identità eversiva a cui lo destinava l’unicità della sua nascita. Con un ukàse che non ammette eccezioni, l’alieno viene piegato all’annientamento dei suoi mondi e il veleno sottile dell’invidia raggiunge il suo centro creativo distruggendone le centraline. Ridotto a un’oscurità senza mostri e a un silenzio senza presagi, finalmente appartiene alla specie. “
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 116-117.
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GLI ANZIANI
"Siamo nati nel 40-50-60".
"Siamo cresciuti negli anni 50-60-70".
"Abbiamo studiato negli anni 60-70-80".
"Ci frequentavamo negli anni 70-80-90."
"Ci siamo sposati e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90".
Ci avventurammo nell'80-90.
Ci stabilizzammo negli anni 2000.
"Siamo diventati più saggi negli anni 2010".
E stiamo andando con decisione verso ill 2030.
"Si scopre che abbiamo vissuto OTTO decadi diverse..."
"DUE secoli diversi..."
DUE millenni diversi...
"Siamo passati dal telefono con operatore per le chiamate interurbane alle videochiamate in qualsiasi parte del mondo, siamo passati dai cinema a YouTube, dai dischi in vinile alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle email e WhatsApp".
"Dalle partite in diretta alla radio, alla TV in bianco e nero, e poi alla TV HD".
Siamo andati al Video Club e ora guardiamo Netflix.
"Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischetti e ora abbiamo gigabyte e megabyte in mano sui nostri telefoni cellulari e IPad".
Indossammo pantaloncini per tutta la nostra infanzia e poi pantaloni lunghi, stringate, bermuda, ecc.
"Abbiamo evitato la paralisi infantile, la meningite, l'influenza H1N1 e ora il COVID-19".
Abbiamo guidato su pattini, tricicli, auto inventate, biciclette, motorini, auto a benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrici al 100%.
"Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita abbiamo avuto!"
Potrebbero classificarci come “essenziali”; persone nate in quel mondo degli anni Cinquanta, che hanno avuto un'infanzia analogica e un'età adulta digitale.
"Siamo una specie di "Yaa seen-it-all - già visto tutto "
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e testimoniato più di ogni altra in ogni dimensione della vita.
È la nostra generazione che si è letteralmente adattata al “CAMBIAMENTO”.
Un grande applauso a tutti i membri di una generazione molto speciale, che sarà UNICA".
*🏹🏹*IL TEMPO NON SI FERMA*
"La vita è un compito che ci siamo portati a fare a casa._
Quando guardi... sono già le sei del pomeriggio; quando guardi... è già venerdì; quando si guarda... il mese è finito, quando si guarda... l'anno è finito; quando si guarda... sono passati 50, 60 e 70 anni!
Quando guardi... non sappiamo più dove sono i nostri amici.
Quando guardi... abbiamo perso l'amore della nostra vita e ora è troppo tardi per tornare indietro.
Non smettere di fare qualcosa che ti piace per mancanza di tempo.
Non smettere di avere qualcuno al tuo fianco, perché i tuoi figli presto non saranno tuoi e dovrai fare qualcosa con quel tempo rimanente, dove l'unica cosa che ci mancherà sarà lo spazio che può essere goduto solo con i soliti amici. Quel tempo che, purtroppo, non torna mai..."
È necessario eliminare il "DOPO"...
"DOPO"...
Ti chiamerò.
"DOPO"...
Io faccio.
"DOPO"...
lo dico.
"DOPO"...
Io cambio.
Lasciamo tutto per *Dopo*,
come se il *Dopo*
fosse migliore...
Perché non lo capiamo...
"DOPO"...
il caffè si raffredda
"DOPO"...
la priorità cambia,
"DOPO"...
il fascino è perso
"DOPO"...
presto si trasforma in tardi,
"DOPO"...
la nostalgia passa,
"DOPO"...
le cose cambiano,
"DOPO"...
i bambini crescono
"DOPO"...
la gente invecchia,
"DOPO"...
il giorno è notte,
"DOPO"...
la vita è finita
Non lasciare niente per *Dopo*,
perché in attesa del *Dopo*,
puoi perdere
i migliori momenti,
le migliori esperienze,
i migliori amici,
i più grandi amori.
Ricorda che *Dopo* potrebbe essere tardi.
*Il giorno è oggi!*
*NON SIAMO PIÙ IN UN'ETÀ PER RIMANDARE NULLA.*
Spero che tu abbia tempo per leggere e poi condividere questo messaggio... oppure lascialo per *Dopo* e vedrai che non lo condividerai mai!
Sempre insieme
Sempre uniti
Sempre Fratelli
Sempre amici
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Ho trascorso gran parte della mia vita immerso nelle tenebre e mi piaceva, facevo tutto ciò che mi attraeva e mi appagava. Sempre avuto molte passioni e ho sempre dormito poco, per me era tempo che toglievi alla vita. La sera mi si faceva giorno e il giorno nonostante i miei lavori vivevo come in apnea. Amavo i vizi, il ballo, la musica e i locali notturni. Avevo tanti interessi e amici ma anche se mi è successo raramente, se qualcuno provava a darmi testimonianza di fede, rifiutavo di ascoltare o seppure le mie risposte erano per le esperienze negative già avute, sempre uguali: "Se Dio è quello che ho visto attraverso la chiesa cattolica ed il suo clero, io non ne voglio sapere".
È assai chiaro, che vivevo nell'ignoranza, e nella sola unica regola egoistica dell'io sono mio e del mi prendo tutto ciò che voglio. Io ero legge a me stesso e m'imponevo una sola regola: il rispetto.
Ma con il passare del tempo, qualcosa iniziava a disturbarmi, a farmi sentire insoddisfatto e dopo tanti altri eventi, le cose che prima mi piacevano sono diventate la routine ed hanno cominciato a stancarmi, a venirmi a noia fin a non desiderarle più. Succedeva, che più mi riempivo e più avevo fame, più mi dissetavo e più avevo sete. Di tutto.
Proprio come una dipendenza e ogni mattina mi svegliavo, con una sensazione di nausea. Già, io non ero felice e, senza neanche accorgermene, era cresciuto in me l'orgoglio, che, naturalmente dopo poco tempo, mi ha trascinato alla caduta.
E mentre stavo per affogare, una giovane donna con un sorriso mi dette la sua mano mi convinse a seguirla. Lei mi accompagnava, ma allo stesso tempo io mi domandavo cosa stesse accadendo e cosa fosse quella luce che emanava il suo viso fin quando, una forza sconosciuta mi convinse a rilassarmi, ad abbandonarmi, a gettare via i pesi, oppressioni, scuri pensieri per vivere finalmente nella riposante condizione dell'amore vero. Mi è bastato crederci. Mi ha salvato. Ero libero!
Mi si disse, abbandona la tua conoscenza e non seguire più leggi dell'uomo, lascia l'orgoglio e fai un gesto d'umiltà. Ascolta il tuo discernimento e più che mai il tuo cuore e sali al livello superiore, quello da privilegiato, schierati ancora una volta e segui chi è stato capace di essere diverso, uno contro tutti, sii fuorilegge anche tu. Apri il cuore e annulla la mente. Sei stato scelto, sii onorato.
La mia vita è cambiata, sono libero davvero, ora sono felice, mia figlia è felice, tutti i miei affetti e i miei cari sono felici con me. Io posso fare tutto ciò che voglio, e sono un uomo come tutti, sono un peccatore salvato per grazia ed ora cammino nel mondo testimoniando la mia storia a coloro i quali sono disposti ad ascoltare. Amo la vita ora, e amo la luce, amo l'amore e non esiste cosa più bella che amare ed essere amati. Gesù tanto Dio quanto uomo mi ha salvato la vita, fuorilegge lui fuorilegge io, contro le ingiustizie lui e io con lui, niente clero lui e niente io. Ora la mia vita, non è più facile, ma è di gran lunga migliore. È amore e fede. Nessun segreto, è facile, basta dire di Si.
#nelmezzodelcammindellamiavitamitrovaiinunavalleimpregnatadiprofumiediaromiesaporidicioccolatoemieleconecodimusica
lan ✍️
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Probabilmente, la maggior parte dei nostri problemi origina dal fatto che cerchiamo con tutte le nostre forze di dimostrare agli altri, e al mondo, di andare bene.
Di essere ok.
Ma più facciamo questo e più ci allontaniamo dalla nostra vera natura.
La quale è unica, complessa, insondabile.
E dunque non possiamo piacere a tutti, sempre, e soprattutto a volontà.
La volontà di piacere, di ottenere consenso, è prostituzione dell'anima.
La spinta a voler essere accettati dagli altri ci porta a negare noi stessi pur di ottenere quel riconoscimento capace di darci sostegno, amore, accoglienza.
Questo crea una spaccatura interna tra ciò di cui abbiamo bisogno - cioè amore -, e ciò che realmente siamo ma che mettiamo da parte per soddisfare quel bisogno.
Una volta ottenuto lo sguardo dell'altro, ne vogliamo ancora e ancora.
La sazietà che proviene dallo sguardo di approvazione dell'altro, cioè da parte di qualcuno che non siamo noi, crea fame.
Non appaga mai definitivamente, ma genera viceversa una fame infinita.
Alimenta la voragine.
Questo perché deve soddisfare non ciò che realmente siamo, ma una nostra carenza.
Deve placare la paura e anzi il terrore profondo di essere abbandonati o rifiutati.
Ciò che funziona invece è diventare noi quello sguardo amorevole e riconoscente, che tentiamo di catturare nel volto degli altri.
Il nostro sguardo è sempre a disposizione, e soprattutto è l'unico che, una volta che ci siamo accettati e riconosciuti, può comprendere davvero la nostra essenza.
E uno sguardo interiore che comprende la propria intimità, la accoglie incondizionatamente, è già prendersi cura di sé.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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