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Un nuovo meccanismo di produzione dei globuli rossi nell'anemia cronica: e il metabolismo dei grassi si fa avanti
I globuli rossi sono le cellule più abbondanti nel corpo. È noto da tempo che quando i globuli rossi si rompono o si verifica un’anemia dovuta a emorragia, l’ormone eritropoietina (EPO) aumenta, portando alla proliferazione di cellule immature (eritroblasti) che alla fine diventano globuli rossi, ripristinando così il numero di globuli rossi. Tuttavia, il modo in cui le “cellule staminali…
#anemia cronica#apolipoprotein E#cellule staminali#emolisi#eritrociti#eritropoietina#globuli rossi#midollo osseo#proliferazione cellulare#recettore VLDL
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Occhia gialli: le cause possono derivare dal fegato
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Occhia gialli: le cause possono derivare dal fegato
L’ingiallimento degli occhi, noto come itterizia, è un sintomo che può essere causato da diverse condizioni sottostanti. L’itterizia si manifesta quando c’è un’elevata concentrazione di bilirubina nel sangue, una sostanza prodotta durante la distruzione dei globuli rossi. Ecco alcuni sintomi comuni e cause di occhi gialli:
Sintomi associati all’itterizia:
Colorazione gialla della parte bianca dell’occhio (sclera).
Colorazione gialla della pelle e delle mucose, come la bocca e il palato.
Urina scura.
Feci chiare o color argilla.
Affaticamento e prurito.
Cause comuni di itterizia:
Epatite: L’epatite è un’infezione del fegato che può causare itterizia. Le infezioni virali, come l’epatite A, B e C, sono le cause più comuni di itterizia infettiva.
Colelitiasi (calcoli biliari): La presenza di calcoli biliari nelle vie biliari può bloccare il flusso di bile e causare itterizia.
Epatite alcolica: Il consumo eccessivo di alcol può danneggiare il fegato e causare itterizia.
Epatite autoimmune: Questa è una condizione in cui il sistema immunitario attacca erroneamente il fegato, causando infiammazione e itterizia.
Cirrosi epatica: La cirrosi è una condizione in cui il tessuto del fegato sano è sostituito da tessuto cicatriziale. Questo può ostacolare il flusso di bile e causare itterizia.
Emolisi: La distruzione accelerata dei globuli rossi può aumentare la produzione di bilirubina e portare all’itterizia. Questa condizione può essere congenita o acquisita.
Ostruzione delle vie biliari: Un’ostruzione delle vie biliari può essere causata da calcoli biliari, tumori o altre condizioni. Questo ostacolo impedisce alla bile di fluire correttamente e può portare all’itterizia.
Malattie del sangue: Alcune malattie del sangue, come l’anemia emolitica, possono causare itterizia a causa della distruzione accelerata dei globuli rossi.
Farmaci: Alcuni farmaci, come il paracetamolo in dosi eccessive, possono danneggiare il fegato e causare itterizia.
Malattie genetiche: Alcune malattie genetiche, come la sindrome di Gilbert, possono causare itterizia intermittente.
Se si sospetta di avere itterizia o si notano occhi gialli, è importante consultare un medico. La diagnosi e il trattamento dell’itterizia dipenderanno dalla causa sottostante. La gestione della condizione dipenderà dalla gravità e dalla causa specifica dell’itterizia, che può includere terapie mediche, modifiche della dieta, interventi chirurgici o trattamenti specifici per la condizione di base.
Colelitiasi
La colelitiasi è una condizione caratterizzata dalla presenza di calcoli biliari all’interno della cistifellea, un piccolo organo situato sotto il fegato. I calcoli biliari sono masse solide che si formano all’interno della cistifellea o delle vie biliari e sono composte principalmente da colesterolo, pigmenti biliari e sali biliari. Questi calcoli possono variare in dimensioni e numero e possono causare una serie di sintomi e complicazioni. Di seguito, sono descritti alcuni aspetti importanti relativi alla colelitiasi:
Cause della Colelitiasi: La formazione dei calcoli biliari può essere dovuta a diversi fattori, tra cui:
Eccesso di colesterolo nella bile. Concentrazione anormale di sali biliari nella bile. Infiammazione della cistifellea. Stasi biliare, cioè rallentamento o arresto del flusso di bile. Fattori genetici o ereditari. Sintomi della Colelitiasi: Molte persone con calcoli biliari non presentano sintomi e potrebbero non essere consapevoli della loro presenza. Tuttavia, quando i calcoli biliari causano problemi, i sintomi possono includere:
Dolore addominale superiore, di solito nella parte destra superiore o nel centro dell’addome. Nausea e vomito. Gonfiore addominale. Dispepsia (indigestione). Senso di sazietà precoce. Giallo della pelle e degli occhi (itterizia) in caso di ostruzione del flusso di bile. Complicazioni della Colelitiasi: I calcoli biliari possono portare a diverse complicazioni, tra cui:
Colecistite: Infiammazione acuta della cistifellea, spesso associata a dolore intenso e febbre. Colangite: Infezione delle vie biliari, che può causare sintomi gravi e richiedere un trattamento immediato. Ostruzione delle vie biliari: Un calcolo biliare può bloccare il flusso di bile, causando itterizia, dolore e altri sintomi. Pancreatite: Un calcolo biliare può migrare nel dotto pancreatico, causando infiammazione del pancreas. Calcoli biliari nel dotto biliare comune: I calcoli possono migrare nel dotto biliare comune, causando ostruzione e dolore. Diagnosi e Trattamento: La diagnosi della colelitiasi può essere confermata mediante esami di imaging, come l’ecografia addominale o la tomografia computerizzata (TC). Il trattamento può variare a seconda dei sintomi, delle complicazioni e della gravità della condizione. Le opzioni di trattamento possono includere:
Osservazione e monitoraggio.
Cambiamenti nella dieta. Farmaci per sciogliere i calcoli biliari. Chirurgia per rimuovere la cistifellea (colecistectomia), spesso eseguita in modo laparoscopico. La colecistectomia è il trattamento più comune per i pazienti con sintomi persistenti o complicazioni legate ai calcoli biliari. La rimozione della cistifellea solitamente non compromette la digestione, poiché il corpo può adattarsi a funzionare senza di essa. Consultare un medico è fondamentale se si sospetta di avere calcoli biliari o si manifestano sintomi correlati.
Emolisi:
L’emolisi è un processo durante il quale i globuli rossi (eritrociti) vengono distrutti prematuramente e in modo anormale, portando alla liberazione dell’emoglobina contenuta all’interno delle cellule. Questa condizione può verificarsi in vari contesti e può essere dovuta a diverse cause. Ecco alcune informazioni importanti sull’emolisi:
Cause dell’Emolisi: L’emolisi può essere causata da una serie di fattori, tra cui:
Anomalie genetiche: Alcune condizioni ereditarie, come la talassemia o la sferocitosi ereditaria, possono rendere i globuli rossi più fragili e suscettibili all’emolisi.
Malattie autoimmuni: In alcune malattie autoimmuni, il sistema immunitario del corpo attacca erroneamente i globuli rossi, provocando la loro distruzione. Un esempio è l’Anemia Emolitica Autoimmune.
Malattie infettive: Alcune infezioni, come la malaria, possono causare emolisi dei globuli rossi.
Esposizione a sostanze chimiche: L’emolisi può essere causata da esposizione a sostanze chimiche tossiche, come il plomo.
Malattie emolitiche ereditarie: Queste sono malattie rare in cui i globuli rossi sono suscettibili all’emolisi a causa di difetti genetici.
Sintomi dell’Emolisi: I sintomi dell’emolisi possono variare a seconda della gravità e della velocità con cui si verifica la distruzione dei globuli rossi. Alcuni sintomi comuni possono includere:
Anemia: A causa della perdita di globuli rossi, il paziente può sviluppare anemia, che può portare a sintomi come stanchezza, debolezza e pallore.
Itterizia: La distruzione dei globuli rossi può portare all’itterizia, che è caratterizzata dalla colorazione gialla della pelle e degli occhi.
Aumento della produzione di bilirubina: L’emolisi può portare all’aumento dei livelli di bilirubina nel sangue, che può causare urine scure e feci chiare.
Dolore addominale: Alcune forme di emolisi possono causare dolore addominale, specialmente se i calcoli biliari si formano a causa dell’aumento della bilirubina.
Diagnosi e Trattamento: La diagnosi dell’emolisi coinvolge spesso esami del sangue, tra cui un emocromo completo e misurazioni dei livelli di bilirubina. La causa sottostante dell’emolisi deve essere identificata e trattata, se possibile. Il trattamento dipende dalla causa e dalla gravità della condizione. Ad esempio, nei casi di anemia emolitica autoimmune, possono essere utilizzati farmaci immunosoppressori, mentre nelle malattie ereditarie delle emolisi, potrebbe essere necessario un trattamento specifico.
Epatite autoimmune:
L’epatite autoimmune è una malattia del fegato caratterizzata da un’infiammazione cronica e un’attivazione errata del sistema immunitario, il quale inizia a attaccare le cellule epatiche normali. Questo processo danneggia il fegato e può portare a vari sintomi e complicazioni. Di seguito sono fornite informazioni importanti sull’epatite autoimmune:
Cause e sintomi
Le cause esatte dell’epatite autoimmune non sono completamente comprese, ma si pensa che una combinazione di fattori genetici, ambientali e immunologici possa contribuire allo sviluppo della malattia. L’epatite autoimmune è considerata una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule del fegato.I sintomi dell’epatite autoimmune possono variare da lievi a gravi e possono includere:
Affaticamento e debolezza. Dolore addominale superiore, specialmente nella zona destra. Dolore articolare. Itterizia (colorazione gialla della pelle e degli occhi). Prurito. Urina scura. Feci chiare. Nausea e perdita di appetito. Aumento del volume dell’addome (ascite). Ritenzione idrica (edema). Sanguinamento facile e ecchimosi.
Diagnosi dell’Epatite Autoimmune:
La diagnosi di epatite autoimmune coinvolge una serie di test e procedure, tra cui:
Esami del sangue: I test possono rilevare la presenza di anticorpi specifici nel sangue che sono tipici dell’epatite autoimmune.
Biopsia epatica: Questa procedura coinvolge il prelievo di un piccolo campione di tessuto epatico per valutare l’entità dell’infiammazione e del danno al fegato.
Imaging: L’ecografia, la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica (RM) possono essere utilizzate per valutare l’aspetto del fegato e delle vie biliari.
Trattamento dell’Epatite Autoimmune: Il trattamento dell’epatite autoimmune mira a sopprimere l’infiammazione e a rallentare il processo autoimmune. Le terapie comunemente utilizzate includono:
Corticosteroidi: I farmaci corticosteroidi, come il prednisone, sono spesso prescritti per ridurre l’infiammazione epatica e sopprimere la risposta autoimmune.
Farmaci immunosoppressori: Alcuni farmaci, come l’azatioprina o il micofenolato mofetile, possono essere utilizzati per sopprimere il sistema immunitario e ridurre l’attività autoimmune.
Terapie biologiche: In alcuni casi gravi o refrattari, possono essere utilizzate terapie biologiche, come i farmaci anti-TNF, per gestire i sintomi e l’infiammazione.
Trapianto di fegato: In caso di grave danno epatico o fallimento, un trapianto di fegato può essere necessario.
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COSA FARE IN CASO DI MORSO DI VIPERA
(post resosi necessario per la percezione di una perturbazione nella forza)
Noi non siamo come l’Australia dove praticamente ogni essere vivente è dotato di veleno mortale, però anche noi abbiano i nostri ragnetti e i nostri serpentelli dai quali sarebbe meglio non farsi mordere.
Questa è la mappa della distribuzione della vipera in Italia
Quindi si salva solo chi abita nell’isola d’Elba, nel Parco Nazionale dell’Asinara, sull’Isola di S.Pietro, a Sant’Antioco e a Trieste (anche se credo sia stato un errore di riempimento colore con lo strumento di Paint).
Esistono principalmente altri tre tipi di vipera oltre la Aspis cioè Ammodytes (nelle Dolomiti), Berus (Nord-italia) e Ursini (Umbria, Marche, Lazio e Campania) ma ecco una mappa più dettagliata
Insomma... ce n’è per tutti e anche se nell’immagine successiva potremo vedere le varie differenze di specie, in questo post parleremo del trattamento del loro morso in modo sovrapponibile:
Il morso di vipera è EMOTOSSICO cioè induce EMOLISI DEI GLOBULI ROSSI, che è l’effetto che dobbiamo temere di più, visto che causa trombosi. La neurotossina presente, invece, a differenza delle loro piccole prede non è sufficiente a paralizzarci.
La DL50 (dose letale) è di 1 mg/Kg e visto che in media ne inietta 8-20 mg (in base alle dimensioni dell’animale e alla quantità di veleno presente nelle sacche) un adulto in buona salute se la dovrebbe quasi sempre cavare con un arto gonfio e molte bestemmione... cosa diversa per bambini, cani o adulti con problemi di coagulazione.
NON INCIDERE IL MORSO
permettereste solo una sua diffusione ematica più veloce
NON METTETE UN LACCIO EMOSTATICO
i danni da mancato afflusso di sangue all’arto supererebbero i benefici
NON PERDETE TEMPO A SUCCHIARE IL VELENO
ma andate con calma in PRONTO SOCCORSO.
Esiste un siero antiofidico (immunoglobuline specifiche ‘coltivate’ su plasma di cavallo) ma vista la frequenza degli effetti avversi, si preferisce trattare il paziente morso con CORTICOSTEROIDI per ridurre la reazione infiammatoria, EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE per scongiurare la trombosi emolitica e ANTIBIOTICO per evitare sovrainfezioni.
Quindi occhio se andate in giro PER IL CENTRO DI TORINO a non farvi mordere da questo bell’esemplare di Vipera aspis... anche se credo che le sue ghiandole velenifere ora siano vuote.
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Domanda esistenziale: i gambetti del prezzemolo sono davvero velenosi come dice mia madre? Perché la mia razionalità va in conflitto tra “figurati se nella grande distribuzione possono vendere qualcosa che se non stai lì 25 minuti a levare bene uno per uno tutti i gambetti, muori” e “la mamma ha sempre ragione”. Conscio che qualsiasi risposta, mi condurrà a trauma e conseguenti anni di analisi, manlevo il candidato da qualsiasi responsabilità per le conseguenze. Referenti ossequi.
non saprei, sinceramente: non mi pare ci siano grosse differenze tra gambo e foglia. Grandi quantità di prezzemolo possono portare a problemi di coagulazione e di emolisi, per non parlare dell'aumento del rischio di calcoli renali. e i semi di prezzemolo sono irritanti per la pelle (così come l'olio essenziale).
Ma, ribadisco, grandi quantità. Se ti fai una spolverata di prezzemolo sopra un piatto di pasta non succede niente, nemmeno se c'è qualche gambo.
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EMOGASANALISI con prelievo arterioso L’emogasanalisi (Ega) è un prelievo di sangue per lo più arterioso che si effettua attraverso la puntura di un’arteria; comunemente si punge l’arteria radiale, brachiale o femorale. Il campione ematico viene poi analizzato da un’apposita macchina (emogasanalizzatore) in grado di fotografarci, in pochissimi minuti, le condizioni del paziente. Si tratta di un esame che può essere fatto di routine, ma più frequentemente viene fatto se la persona è critica, instabile o con difficoltà respiratoria. l risultati di questo prelievo permettono di valutare: la ventilazione, il metabolismo, l’emoglobina e gli elettroliti. Quando si punge un vaso arterioso bisogna tenere in considerazione tre aspetti clinici molto importanti: Rischio di emorragia: in arteria il sangue ha un flusso poderoso che può spingere il sangue fuori dal sistema vascolare piuttosto rapidamente; Rischio di eventi trombotici e dei conseguenti, seri problemi ischemici a valle del tratto vascolare interessato; È spesso vissuta con timore e sgradevolezza dal paziente poiché può risultare dolorosa. L’esecuzione del prelievo da utilizzare per l'equilibrio acido-base deve rispettare precise norme: -Bisogna evitare stasi poiché potrebbe provocare emolisi, quindi, alterare i risultati dell’esame. -Bisogna evitare scambi di gas con l’esterno per alterare i valori delle pressioni parziali dei gas da analizzare: per tale motivo si impiegano sistemi “chiusi” di prelievo sottovuoto. -Bisogna prevenire gli effetti del metabolismo del globulo rosso (produzione di lattato) che si verificano se il campione non è analizzato immediatamente; si utilizzano provette contenenti eparina che inibisce la glicolisi oltre ad evitare la coagulazione del sangue. -Bisogna evitare bolle d’aria nella siringa: una bolla d’aria pari al 10% del volume di sangue provoca una riduzione della PO2 pari al 15% specie se la siringa viene agitata. #ega #emogasanalisi #infermieristica #infermiere #angelwithastethoscope #nurse #unilife #nursingstudent #futurinfermieri #nursery #nursingram #studygram #studytips #professionisanitarie #professionista https://www.instagram.com/p/Bn0c8bwhio_/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1lnl0tvc7l2hp
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La preeclampsia o gestosi in gravidanza
Cosa si intende per pressione alta Quando parliamo di pressione arteriosa dobbiamo innanzitutto tener conto di due parametri: la pressione diastolica (o minima) e la pressione sistolica (o massima), che corrispondono rispettivamente alle fasi di diastole e sistole cardiache, ovvero alla forza che il sangue esercita sulle pareti delle arterie tra un battito e l’altro del cuore (nel caso della pressione minima) o quando il cuore si contrae (nel caso della pressione massima). Possiamo parlare di pressione arteriosa alta o ipertensione quando con un misuratore di pressione si rilevano valori della pressione superiori ai valori normali, e nello specifico: Ipertensione diastolica (quella che viene definita come “una minima alta”); Ipertensione sistolica (quando i valori della pressione massima sono oltre la norma); Ipertensione sisto-diastolica (quando entrambi i valori sono oltre la norma). I valori della pressione variano in base all’età e al sesso, oltre che ad essere influenzati da alcune patologie. In generale, la pressione arteriosa diastolica si situa tra i 60-90 mm Hg, mentre la sistolica tra i 100-140. Molto spesso i fattori di rischio che possono portare a una pressione arteriosa alta vanno ricercati in varie situazioni del nostro stile di vita e squilibri nella nostra dieta. Tra queste, sedentarietà, obesità, alcol e fumo, sostanze stupefacenti, eccesso di sodio o di zucchero, carenza di potassio o di vitamina D, stress e assunzione di alcuni farmaci. Nel caso in cui si manifesti in gravidanza, se associata a proteinuria, l’ipertensione provoca gravi rischi per la salute della futura mamma e del bambino, facendo insorgere quella che fino a qualche tempo fa veniva chiamata gestosi e che viene indicata come preeclampsia.
La pressione arteriosa durante la gravidanza
Durante la gravidanza la pressione arteriosa subisce dei cambiamenti. Nei primi due trimestri di gravidanza, infatti, soprattutto la minima tende a diminuire, per poi risalire verso la fine della gestazione. Il problema sorge se, dopo la ventesima settimana, la pressione si alza improvvisamente e nel contempo vi è una concentrazione anomala di proteine nelle urine, ovvero quella che viene indicata come proteinuria e che indica un difetto di funzionamento dei capillari dei reni che disperdono nell’urina proteine del sangue.
In questo caso, se la donna in gravidanza presenta una pressione arteriosa uguale e superiore a 140/90 mm Hg o ha un rialzo improvviso di almeno 30 mm Hg della pressione minima e 15 mm Hg della massima, oltre che una proteinuria (oltre i 290 mg/l), si parla di preeclampsia (o toxemia gravidarium), chiamata comunemente in passato gestosi, una condizione clinica che va tenuta sotto stretto controllo, in quanto l’ipertensione provoca gravi rischi per la salute sia per la mamma sia per il nascituro. Cause e fattori di rischio della preeclampsia Benché la preeclampsia sia un disturbo che da sempre ha interessato le donne in gravidanza (se ne hanno notizie già dall’antica Grecia) e che ogni anno colpisca dal 3 al 5% delle donne che aspettano un bambino, a tutt’oggi le cause di questa patologia tipica della specie umana (non interessa infatti altri mammiferi) che dipende da un danno alle pareti dei vasi sanguigni della placenta non sono state ancora chiarite. In Italia l’incidenza della preesclampsia è piuttosto bassa, mentre in altri Paesi come ad esempio gli Stati Uniti la percentuale raggiunge valori molto più elevati. Questa patologia, inoltre, si verifica con più frequenza in caso di parti gemellari e per le primipare, ovvero per le donne che partoriscono per la prima volta, nonché in donne molto giovani o over 40. Tra i fattori di rischio accertati, l’obesità, ipertensione che sussisteva già prima della gravidanza, diabete, lupus eritematoso e patologie cardiovascolari quali ad esempio la trombofilia ereditaria (un difetto congenito dei meccanismi di coagulazione del sangue).
Come prevenire e curare la preeclampsia
In alcuni casi la preeclampsia si manifesta in forma lieve, mentre in altri subito in forma grave. Nei casi di preeclampsia lieve vengono innanzitutto prescritti riposo assoluto, controlli frequenti sia della pressione che delle urine e assunzione di farmaci ad azione ipotensiva. Nel caso di una grave preeclampsia può venir somministrato anche solfato di magnesio, utile per la prevenzione o il trattamento delle convulsioni. Studi recenti indicano che un trattamento a base di eparina e aspirina a basso dosaggio nelle prime dodici-quattordici settimane di gravidanza può ridurre il rischio di sviluppare preeclampsia in donne a rischio, mentre non ha alcun effetto nel caso in cui la malattia si sia già manifestata. In ogni caso, l’evoluzione di questa patologia è imprevedibile e può degenerare rapidamente. È dunque importante che le future mamme si attengano a controlli a intervalli periodici della pressione e a esami delle urine, in modo da poter eventualmente effettuare una diagnosi precoce. Questa malattia, infatti, non sempre presenta sintomi evidenti, ed è quindi molto importante monitorare che non vi siano ipertensione e proteinuria. Altrettanto importante che le donne in gravidanza facciano presente al proprio medico sintomi che possono far sospettare una preeclampsia, quali dolori addominali (soprattutto mal di stomaco), mal di testa, disturbi visivi (macchie scure o luminose davanti agli occhi oppure offuscamento della vista), oliguria (scarsa quantità di urine) e convulsioni. Tra le conseguenze dell’insorgenza di questa patologia, oltre al parto prematuro e a un malfunzionamento della placenta che può determinare un ritardo o addirittura un arresto della crescita del feto e, nei casi più gravi, danni neurologici e morte, vanno segnalati la sindrome HELLP (che oltre ai sintomi dell’eclampsia presenta anche emolisi e che si verifica nel 10-20% delle donne con preeclampsia grave o eclampsia), distacco della placenta, insufficienza renale acuta o epatica, edema polmonare, emorragia cerebrale e convulsioni. Questi ultimi sono tra i sintomi più evidenti di eclampsia gravidica, ovvero la peggior complicanza che può svilupparsi dalla preeclampsia. Purtroppo, proprio per le sue gravi complicanze, la preeclampsia è una delle cause principali di mortalità materna in gravidanza e durante il parto. In realtà l’unica terapia che sembra realmente efficace per questa patologia è il parto con l’espulsione della placenta, in quanto è proprio nella placenta che si trova la causa di questa malattia. Il problema sorge quando il parto dovrebbe essere indotto troppo precocemente, quando cioè il feto non ha ancora completato il suo sviluppo. È per questo motivo che, in caso di insorgenza precoce della malattia, si cercano di tenere sotto controllo le condizioni della mamma e di allungare il più possibile i tempi, di modo che il feto possa raggiungere uno sviluppo sufficiente prima del parto. Nei casi più gravi è consigliato il ricovero in un centro altamente specializzato dove in caso di urgenza si possa intervenire tempestivamente con un parto cesareo e avere tutti i mezzi necessari per assistere in modo adeguato il neonato prematuro e la mamma. Anche se generalmente le quarantotto ore successive al parto sono considerate le più pericolose, solitamente dopo il parto i sintomi si attenuano spontaneamente. Anche se poco frequente, in alcuni casi questa condizione può verificarsi anche dopo diverso tempo dalla nascita del bambino (preeclampsia post partum) ed è per questo motivo che sono consigliati controlli periodici e regolari misurazioni della pressione anche successivamente al parto. Read the full article
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Aspetti della falcemia: focus su alcune complicanze, la gestione della terapia trasfusionale e della qualità di vita
Aspetti della falcemia: focus su alcune complicanze, la gestione della terapia trasfusionale e della qualità di vita
Complicanze neurologiche della falcemia (SCD) Le complicanze cerebrali nella SCD includono ictus, infarti cerebrali silenti, emorragia cerebrale, anomalie del flusso sanguigno cerebrale inclusa la malattia di Moyamoya e malattia microvascolare cerebrale. Fino al 50% degli individui con falcemia manifesterà un certo grado di malattia cerebrovascolare all’età di 14 anni. Gli ictus ischemici, più…
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La sindrome di Evans
La sindrome di Evans
La sindrome di Evans (EVA) è stata descritta per la prima volta da Evans nel 1951 ed è definita come la comparsa concomitante o sequenziale di trombocitopenia immunitaria (TPI) e anemia emolitica autoimmune (AIHA). L’anemia da EVA è un’AIHA dovuta agli anticorpi caldi che di solito sono di isotipo IgG, eccezionalmente IgA, escludendo quindi le agglutinine fredde. Anche la neutropenia autoimmune…
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Il controllo dell'eme sulla coagulazione del sangue: l'ultimo segreto dell'emoglobina viene alla luce
Il controllo dell’eme sulla coagulazione del sangue: l’ultimo segreto dell’emoglobina viene alla luce
Von Goethe aveva fatto dire al suo Mefistofele: “Il sangue è un succo di un tipo molto speciale”. E non a torto, dato che continua a rivelare misteri. L’emoglobina conferisce al sangue il suo colore rosso e assicura che gli eritrociti (globuli rossi) possano legare l’ossigeno per la respirazione. Questo è gestito dalla molecola legata all’emoglobina, l’eme, che è un complesso di una molecola di…
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KON-ICE: che c’hai du’spicci?
Questo è il braccio di quel tossico di @3nding che era già da qualche settimana in crisi d’astinenza da controllo del colesterolo e a cui, dopo il prelievo, è avvenuta questa manifestazione.
Intanto il prelievo di sangue venoso è stato eseguito pungendo, mi pare, la vena basilica (meno reperita della cubitale e della cefalica... però potrei pure sbagliarmi per mancanza di punti di riferimento) ma quell’ecchimosi con punto più pallido e riferito indolenzimento da venerdì ci dice che qualcosa è andato storto.
(disclaimer: questo non significa che il prelevatore abbia commesso un errore ma che comunque possa essere accaduto qualcosa, anche di inevitabile).
Sperando che in questa discussione intervengano infermiere e infermieri numerosi a dire la loro (tanto lo so che ci sono!), intanto illustro i vari punti critici.
IL LACCIO EMOSTATICO
Alcuni autori affermano che il laccio emostatico, ai fini del prelievo, sia più dannoso che utile, perché la sua applicazione troppo stretta o prolungata (> 60 secondi) può alterare parecchi valori come elettroliti, emocromo etc e mettere il vaso in condizioni di essere traumatizzato più facilmente. Visto che il laccio è utile solo per l’individuazione della vena, un vaso di grosse dimensione potrebbe essere reperito anche senza ma per comodità dell’operatore lo si applica in maniera standard. Tecnicamente, il laccio dovrebbe essere rimosso non appena si è sicuri che l’ago sia nel lume venoso, quindi prima di aspirare, sempre per il discorso della preservazione del campione e perché la suzione di sangue da un vaso ingorgato è sempre rischiosa per un suo eventuale collasso.
POSIZIONE E MOVIMENTI DEL BRACCIO
A differenza di quanto normalmente eseguito (per comodità dell’operatore), il braccio dovrebbe essere steso e leggermente inclinato verso il basso e si dovrebbe assolutamente evitare la tecnica PUMP, cioè quella di far aprire e chiudere più volte la mano per far gonfiare la vena poiché in questo modo è vero che il vaso si evidenzia ma aumenta anche il rischio di emorragia e di emolisi/iperkaliemia. Appena applicato il laccio, il prelevatore dovrebbe passare il dito sulla futura sede di venipuntura da monte a valle, visualizzare lo svuotamento e il successivo riempimento, disinfettare (solo allora!) e poi pungere.
TIPO E POSIZIONE DELL’AGO
L’ago dovrebbe essere sufficientemente grande da non emolizzare il sangue prelevato (circa 20-21 Gauge) e spinto delicatamente con un angolo d’inclinazione di 10° rispetto alla pelle, inserito per non più di 10-15 mm e MAI mosso avanti e indietro (rischio infezione ed emorragia). Se il sangue non fluisce, si estrae e si punge un’altra vena con un nuovo ago.
TIPO E POSIZIONE DEL DISPOSITIVO
Intanto sono molto raccomandati, oramai da anni, i VACUUM, quelle provette sotto vuoto che raccordate tramite un HOLDER (o ‘camicia’) all’ago di prelievo aspirano il sangue con pressione negativa standard in contenitori già pronti con i reagenti per il tipo di esame.
Sebbene l’uso di questi dispositivi abbia velocizzato, standardizzato e reso molto più sicuri i prelievi, in particolari condizioni (fragilità venosa, vasi molto piccoli) l’operatore potrebbe decidere di prelevare il sangue con siringa standard e iniettarlo successivamente nella provetta (anche se così facendo si aumenta il rischio di schiumaggio ed emolisi, cioè la rottura della parte corpuscolata del sangue).
La buona pratica vuole che l’ago di prelievo sia avvitato direttamente sull'holder
ma molti preferiscono usare un butterfly con tubo di raccordo affinché gli eventuali movimenti dell'holder (tenuto con l’altra mano) non si trasmettano all’ago inserito in vena.
(quel cappuccio grigio nasconde un’ago interno che si scopre nell’attimo in cui il tappo di gomme della provetta ci spinge contro)
DOPO IL PRELIEVO
Si mette un batuffolo di cotone o una garzina sul punto di iniezione e si chiede al paziente di tenerlo premuto dolcemente per cinque minuti, evitando assolutamente di massaggiare o DI PIEGARE IL BRACCIO, il sistema migliore perché il sangue arterioso faccia aumentare la pressione nella vena punta, bloccata dalla flessione del gomito, e si rischi così lo stravaso ematico.
CONCLUSIONI DELLA GIURIA
Quando ho detto che quell’ecchimosi non sta a significare obbligatoriamente che il prelevatore abbia commesso un errore intendevo che il buon fine di un prelievo ematico non dipende soltanto dalla bravura dell'operatore (che non deve commettere errori!) ma pure da tutta una serie di variabili anatomiche ed emotive, spesso imprevedibili.
Per esempio, il fatto che il braccio sia ancora dolente è probabilmente legato a un meccanismo intintivo di difesa organica con il quale 3nding è avvertito dal suo cervello animale che in quel braccio un vaso �� stato lesionato e che quindi deve stare fermo sennò muore dissanguato. I cervello animale è molto utile ma spesso pure un po’ stupidino.
@gianlucavisconti per la reprimenda sulle eventuali sciocchezze dette.
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Emocromocitometrico : cos'è e cosa comprende
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Emocromocitometrico : cos'è e cosa comprende
L’esame emocromocitometrico (o più semplicemente emocromo) è uno dei più noti quando si effettuano le analisi del sangue.
Il suo obiettivo, è quello di valutare lo stato di salute di un paziente, basandosi su una serie di parametri, come ad esempio:
Il numero delle cellule ematiche, e dunque globuli bianchi (leucociti), globuli rossi (eritrociti) e piastrine (trombociti)
La proporzione del volume di sangue data dagli eritrociti
La percentuale dettagliatadei globuli bianchi, che si possono classificare in linfociti, monociti, neutrofili, basofili ed eosinofili.
Esame emocromocitometrico mcv
Confrontando i risultati dell’emocromocitometrico, possiamo notare che non sono soltanto i globuli bianchi a ricevere una particolare attenzione, bensì anche i globuli rossi e le piastrine.
Infatti, con la sigla MCV si fa riferimento alla misura delle dimensioni medie dei globuli rossi. Come molti di voi già sanno, i globuli rossi, sono le cellule del sangue più diffuse.
Osservandole al microscopio, sarà possibile appurare la loro forma biconcava (ossia leggermente schiacciata nella parte centrale) e il colore rosso, dato dalla presenza dell’emoglobina. Quest’ultima è una delle proteine più importanti in assoluto, in quanto consente il trasporto dell’ossigeno nel sangue e contiene ferro.
Il midollo osseo deve produrre costantemente questi globuli, poiché vengono eliminati dalla milza ogni quattro mesi circa. Senza contare il fatto che una parte di essi li perdiamo ogni volta che sanguiniamo.
Valutare le loro dimensioni attraverso l’MCV, ci fa capire nel dettaglio il nostro stato di salute.
Esame emocromocitometrico mon
Attraverso l’esame emocromocitometrico, si ha modo di calcolare anche il MON. Cosa indica questa sigla?
Essa fa riferimento ai monociti, ossia un tipo di globuli bianchi molto importanti, in quanto adibiti alle nostre difese immunitarie. Inoltre, fanno particolare riferimento a infezioni, fagogitosi (ossia la capacità cellulare di inglobare dei virus), la coagulazione (attività svolta dalle piastrine) e altri fattori patologici, come ad esempio l’arteriosclerosi.
Emocromo completo cosa comprende
Come vi abbiamo accennato in precedenza, l’emocromo (o esame emocromocitometrico), mira all’analisi dello stato di salute generale di un essere umano.
Oltre a basarsi sul numero delle cellule ematiche, la proporzione del volume di sangue occupata dagli eritrociti e la formula leucocitaria, l’emocromo analizza le caratteristiche dei globuli rossi e delle piastrine.
Prima vi abbiamo parlato dell’MCV, ossia la misura media dei globuli rossi ma in realtà esistono altri valori essenziali, per far sì che un esame di emocromo risulti completo. Eccone alcuni:
Contenuto medio dell’emoglobina nei globuli rossi (MCH)
Concentrazione media di emoglobina nelle emazie (MCHC)
Misura delle dimensioni medie di una piastrina (MPV)
La variabilità delle dimensioni dei globuli rossi (RDW)
Quest’esame, viene vivamente consigliato periodicamente, specialmente per chi soffre di alcune patologie o manifesta una serie di sintomi sospetti. Nella tabella seguente, vi mostriamo i valori medi che dovrebbero apparire nei risultati di emocromocitometrico (alcuni variano in base al sesso o ad altri fattori):
Ematocrito (Hct) 40-54% (uomo) 38-47% (donna)
Emoglobina (Hb) 13,5-18 g/dl (uomo) 12-16 g/dl (donna)
Eritrociti/μl (RBC) 4,6-6,2 x 106 (uomo) 4,2-5,4 x 106 (donna)
Volume corpuscolare medio (MCV) 80-98 fl (uomo) 81-99 fl (donna)
Emoglobina corpuscolare media (MCH) 26-32 pg (uomo) 26-32 pg (donna)
Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC) 32-36% (sia per gli uomini che per le donne)
Ampiezza di distribuzione degli eritrociti (RDW) 11,6-14,6% (uomini e donne)
Reticolociti 0,5-2,5%
Valori emocromo in caso di tumore
Quando l’esame emocromocitometrico presenta delle anomalie, è bene rivolgersi al medico. Egli saprà analizzare al meglio la situazione e definire se alla base di tutto c’è una situazione tranquillamente risolvibile (ad esempio attraverso dei farmaci) o più complessa.
Nei casi più gravi, un emocromo dai valori sballati potrebbe essere la spia di un tumore. Ovviamente non è una cosa certa: per poter fare una diagnosi ben precisa, sarà necessario sottoporsi ad ulteriori esami clinici.
Di conseguenza, non esistono dei valori precisi di emocromo che indicano un tumore, al massimo lasciano dei sospetti. Questo perché la possibilità che l’emocromocitometrico risulti sballato non è bassa.
Spesso infatti, il paziente può semplicemente soffrire di qualche infezione, carenza di ferro, anemia e altre patologie. Pertanto, non ha senso cadere in inutili allarmismi ancor prima di saperne di più.
Emocromo basso
L’emocromo basso si verifica quando il valore dei globuli rossi risulta essere inferiore rispetto al previsto. Tale fenomeno è dato da una scarsa presenza di emoglobina.
Di conseguenza, potrebbe essere correlato ad una serie di problematiche, tra cui:
Anemia
Emolisi
Disturbi al midollo osseo
Infiammazioni
Ulcere
Emorroidi
Insufficienza renale
Perdite di sangue anomale
E tanto altro ancora…
Tuttavia, bisogna tenere a mente che alcune donne presentano un emocromo basso dopo aver effettuato l’esame con il ciclo mestruale. Quest’ultimo potrebbe influire notevolmente sull’esito, mostrando dei valori sballati (ad esempio la carenza di ferro). L’emocromo basso può inoltre dipendere da una serie di carenze alimentari: vitamina B12, folati e via dicendo.
Se i valori sballati dovessero invece riguardare i globuli bianchi, è probabile che sia proprio una questione di costituzione (purché la differenza non sia eccessiva) o qualche malattia autoimmune. In ogni caso, non si possono effettuare delle diagnosi affrettate basandosi semplicemente su dei valori.
Pertanto, come vi abbiamo accennato in precedenza, è preferibile sottoporsi ad ulteriori accertamenti.
Emocromo alto
Allo stesso tempo, può succedere che una persona si ritrovi con la problematica opposta, ossia l’emocromo alto.
Questo caso è molto più raro ma non di certo impossibile: nell’eventualità in cui un soggetto dovesse presentare un eccessivo numero di globuli rossi e di dimensioni ridotte, è probabile che sia affetto da anemia mediterranea.
In alternativa, bisogna prendere in considerazione altri fattori, tra cui:
Uno stato di disidratazione, generato da virus intestinale e diarrea frequente
Tabagismo, ossia l’inalazione del fumo di tabacco, in maniera tossica e assidua
L’assunzione di eritropoietina, un ormone adibito alla regolarizzazione dei globuli rossi
La mancanza di ossigeno, causata da fattori ignoti
Quando i valori alti di emocromo coinvolgono i globuli bianchi, potrebbe trattarsi di semplice stress, oppure infiammazioni, ustioni e in rari casi leucemia. Invece, se l’emocromocitometrico dovesse rilevare un’alta presenza di piastrine, si parla di trombocitosi ed è probabile che abbia a che fare con le seguenti condizioni:
Post intervento
Post partum
Iniezione di adrenalina
Stress acuto
Necrosi tissutale
Emorragia acuta
Malattie infiammatorie intestinali
E tanto altro ancora…
Ricordatevi sempre che riscontrare dei valori sballati di emocromo può capitare a tutti, l’importante è sapersi documentare e approfondire, in modo da poter individuare le cause e le cure più idonee.
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