#elezioni 2018
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@Anon che mi chiede di GioPizzi non ho mai visto i suoi video in merito quindi ora appena posso me li recupero e ti faccio sapere
#io di suo ho visto tipo un paio di video satirici sulle elezioni del 2018 e i video sul mostro di firenze. e basta#e sono giunta alla conclusione che non saprebbe fare un accento toscano neanche se lo pagassero. spero sia migliorato nel frattempo bdbdhsh#personal#italian tag
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domani, dopo le elezioni del 2018, tornerò a fare lo scrutatore. giuro che se solo dovessi vedere una scheda, sulla quale la ‘x’ è posta su fratelli d’italia o lega, prendo la vostra tessera elettorale del cazzo e le do fuoco
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“ In America Latina la tribù bianca si è imposta durante la conquista con la strage dei popoli indigeni e l’imposizione della “civiltà cristiana”. In questi ultimi trent’anni, i gruppi fondamentalisti cristiani e le Chiese evangeliche provenienti dagli Usa vi hanno trovato terreno fertile. Oggi il “suprematismo bianco” sta penetrando in quasi tutti gli Stati dell'America Latina. Forse il caso più eclatante è proprio il suo trionfo in Brasile. “Siamo in un Paese,” afferma la filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, “che a lungo ha negato l’esistenza del razzismo. Il Brasile è stato uno degli ultimi ad abrogare la schiavitù (1888) che era alla base dell'economia brasiliana. Gli schiavi liberati non hanno avuto né terra né diritti. Il governo invece ha favorito l’immigrazione europea per lo ‘sbiancamento’ della popolazione brasiliana e a questi ha dato terreni. Il Brasile non aveva la segregazione legale come negli Usa, ma aveva e ha ancora una segregazione di tipo istituzionale. La popolazione povera è povera perché nera.” È in questo scenario che le Chiese evangeliche Usa sono riuscite a penetrare nel tessuto brasiliano e a diventare talmente forti da silurare il governo di Dilma Rousseff, per eleggere l’ex militare Jair Bolsonaro, che sta portando avanti una politica omofoba, sessista e xenofoba. Bolsonaro ha venduto il Brasile alle multinazionali che stanno massacrando l’Amazzonia. E, da buon seguace di Chiese fondamentaliste e negazioniste, non ha voluto fare nulla per bloccare la pandemia da Covid-19, portando il Brasile al disastro sanitario. Nel Paese confinante, la Colombia, gli accordi di pace tra il governo e le Farc sono falliti perché evangelici e cattolici fondamentalisti vi si sono opposti asserendo che quegli accordi difendevano aborto, omosessualità… Altrettanto in Bolivia, dove i militari e i gruppi religiosi fondamentalisti hanno compiuto un colpo di Stato contro Evo Morales, il presidente della Repubblica, reo di aver dato centralità politica, culturale ed economica ai popoli indigeni, da sempre schiacciati. E hanno organizzato il colpo di Stato con la Bibbia e il Crocifisso in mano. Ma nelle elezioni del 18 ottobre 2020, i cittadini hanno dato la maggioranza assoluta (il 53 per cento) al Movimento per il Socialismo (Mas), eleggendo Luis Arce, ex ministro di Morales, come presidente della Repubblica. Lo stesso sta avvenendo in Centro America. In Costa Rica, nel 2018, il pastore evangelico Fabricio Alvarado ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma a favore dei “valori cristiani” contro l’aborto e a favore del neoliberismo. Nel Salvador, il presidente della Repubblica, Nayib Bukele, al suo insediamento ha invitato il pastore evangelico argentino Dante Gebel, molto legato ai pastori ultraconservatori degli Usa, a guidare la preghiera. Un deputato ha presentato una mozione in Parlamento per imporre la lettura obbligatoria della Bibbia in tutte le scuole. Sono solo alcuni esempi di un movimento che potremmo chiamare l’“internazionale cristo-neo-fascista, neo-liberale e patriarcale”. In America Latina è la reazione della tribù bianca in difesa della propria supremazia: utilizzare il “Vangelo della prosperità” per legittimare il neoliberismo imperante. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
#Alex Zanotelli#America Latina#popoli indigeni#saggistica#Lettera alla tribù bianca#discriminazione#leggere#razzismo#fondamentalismo cristiano#nativi americani#civiltà cristiana#Chiese evangeliche#Brasile#Djamila Ribeiro#sbiancamento#suprematismo bianco#schiavitù#segregazione#multinazionali#società brasiliana#Dilma Rousseff#Jair Bolsonaro#xenofobia#ultraconservatorismo#Amazzonia#omofobia#sessismo#Usa#Evo Morales#negazionismo
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Gli stop alle macchine adottano il medesimo meccanismo del green pass. Vengono dalla UE. Riguardano una minoranza. La minoranza è toccata nel vivo quindi reagisce. Però è minoranza. La maggioranza non toccata dai divieti è così divisa: - Favorevoli (inquinano, cazzo vogliono?). Sono la maggior parte, tutto il PD, tutti i conformisti, tutti i farisei che non mancano mai. - Indifferenti (cazzomene, io c'ho il Porsche benzina, cazzomene, io manco ho la patente ecc. ecc.) Sono appena inferiori come numero alla prima categoria: qui troviamo i molto ricchi, i molto poveri, i molto indaffarati... - Contrari (eh però queste limitazioni non sono giuste, i crediti cinesi, la finestra di Overton) Quattro gatti: intellettuali controcorrente, ribelli, gente che ha capito il gioco, ecc. ecc... Rimane quindi la minoranza dei toccati dal provvedimento più quattro gatti idealisti fra cui io (ho una (...) euro 6, potrei tranquillamente essere nella categoria dei cazzomene). Scene già viste. Risultato? Il solito: il piddino mette i limiti prima di tutti (Beppe Sala, area B, 2018) e nessuno fiata, anzi lo rieleggono di corsa. Il centrodestra si divide in entusiasti (la maggioranza dei miei cittadini lo vuole!!!) e prudenti. I prudenti traccheggiano finché non arrivano le sentenze, allora cedono. Cedendo perdono voti perché la minoranza impattata dai divieti di sente tradita. Alle elezioni dopo vince il PD e mette le limitazioni triple. Quindi suggerimento mio alle amministrazioni locali prudenti: la prudenza non vi salverà, o vi omologate e sperate che il vostro elettorato vi consideri un piddino ma un po' meglio del piddino doc salvandovi (succede raramente ma succede) o prendete eroicamente posizione contro tutte le limitazioni e provate a vedere se sposare una battaglia giusta se pur minoritaria vi porterà bene, pur sapendo che le conseguenze, anche giudiziarie, non tarderanno ad arrivare. Tutto qui.
sintesi perfetta di Claudio Borghi: il problema è SISTEMICO, sta nell'esser provinciali dentro (non per caso il Piemont è il primo, dopo Milan ovviamente), via https://twitter.com/borghi_claudio/status/1694131481940013153
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Ultima Generazione: Carbone vegetale nell'acqua della Fontana di Trevi.
Le risposte degli analfabeti funzionali con "la spunta blu Twitter".
"Plagiati, manipolati, catastrofisti" in che senso? Non ho mai letto sul profilo di Ultima Generazione che essi invochino divinità, parlino a statue, facciano riti magici su altari in nome di "salvatori" o non vogliano diritti per i gay altrimenti ci sarebbe "la fine del mondo"
Twitter può essere usato gratuitamente: Giamboniere ha "spunta blu" del tipico analfabeta funzionale, che fa fatica ad usare il proprio telecomando; chiaramente non ha compreso che è la società che gestisce Twitter a dover pagare gli utenti che scrivono ogni giorno, non il contrario.
Twitter si finanzia già con le inserzioni pubblicitarie che vediamo in continuazione mentre navighiamo, mentre consultiamo e talvolta pure mentre scriviamo: non è quindi necessario pagare per la "spunta blu", visto che il prodotto lì dentro siamo noi da vendere alle aziende.
A non riuscire a ragionare con la propria testa sono i boomer cresciuti nel consumismo, nell'"usa e getta"; che fanno la corsa ai Saldi per poi riempire i cassonetti dell'immondizia di oggetti, abiti che sono ancora utili; sono coloro che amano l'"auto grossa", che ostentano.
C'è un solo modo per fermare le proteste di Ultima Generazione : la precedente generazione si rende conto delle proprie gravi responsabilità, e pone da subito (da ieri!) rimedio agli errori commessi. I giovani hanno diritto ad un futuro roseo: non devono pagare gli sbagli altrui.
Non serve mettere in galera le vecchie generazioni, poiché hanno vandalizzato l'ambiente con inquinamento, consumismo, monocolture e allevamento intensivo: basta solo che, quanto prima, correggano gli errori in corso - così da evitare altre tragedie come in Emilia Romagna.
Il movimento sociale "Extinction Rebellion" è stato fondato il 31 ottobre 2018. Scopo: "azione decisa contro il cambiamento climatico" ed azione a livello internazionale. Ultima Generazione nasce nel 2021 e fa parte di una rete internazionale, denominata A22.
16 aprile2022: manifestazione di Ultima Generazione, sul Grande Raccordo Anulare di Roma; chiede al governo Draghi di: fermare la riapertura delle centrali a carbone; cancellare ricerca ed estrazione di gas naturale; di incrementare energia solare ed eolica di almeno 20GW/anno.
In aprile 2022, diventò virale il video d'un automobilista impaziente, che tentò d'investire con l'auto una manifestante, seduta sull’asfalto del Grande Raccordo Anulare di Roma, con in mano uno striscione che recita “no gas, no carbone”. La manifestazione si tenne durante il governo Draghi, in aprile, molti mesi prima delle elezioni 2022.
La manifestazione di Ultima Generazione avvenne durante il governo Draghi, in aprile 2022, sul raccordo anulare di Roma e molti mesi prima delle elezioni 2022 (settembre 2022).
L'appello fu lanciato al governo Draghi.
Verità 1 - Complottismo/Dietrologia 0
#Ultima Generazione: Carbone vegetale nell'acqua della Fontana di Trevi.#Ultima Generazione#Twitter#Giamboniere#fanatici#catastrofisti#plagiati#manipolati#ragionare con la propria testa#vergogna#generazione#consumismo#boomer#saldi#cassonetti dell'immondizia#auto grossa#auto#ostentare#generazione disfunzionale#massaggiatrici cinesi#proteste#fermare#precedente generazione#errori#sbagli#prodotto#prodotto da vendere#aziende#pubblicità#galera
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Nei comuni Lombardi dove il covid è entrato falcidiando giovani e vecchi, dove le rsa venivano usate come l’obitorio degli ospedali battenti il valoroso ‘modello lombardia’, Fontana ha incrementato il suo consenso dal 2018.
Stando cosi le cose, al netto dell’astensionismo, miei cari lombardi (tutti) le possibilità sono due: o siete senza cervello, o siete senza cervello.
Elezioni il lombardia e lazio emblematiche di un paese che preferisce guardare sanremo divertendosi con quel nonsense musicale e stupirsi di un bacio gay simulato al marketing estremo piuttosto che vivere con una consapevolezza da homo sapiens.
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questo è il momento giusto per condividere con voi il fatto che io spesso ho frequentato pap a milano in passato. nel 2018 mi ricordo per le politiche c'era un sacco di movimento per pap ma io :) non potevo ancora votare :) perché stavo ancora aspettando la cittadinanza :)
poi ci sono state le amministrative nel 2021. e GUESS WHAT. non ho potuto votare neanche lì ho ricevuto il pezzo di carta letteralmente 2 mesi dopo :) poi condivido con voi anche la mia teoria del complotto sul fatto che quando ci sono le elezioni in vista rallentano ancora di più il processo i cessi.
di fatto io, 26 anni ad oggi, ho votato per la prima volta nel 2022. a 24 anni. e ho votato unione popolare. tutta rabbia che ho sciorinato allo jesopazzo e a giuli*nogranato quando sono stata a napoli a marzo hshsahshshsshsh domenico cuomo l'ho sempre saputo che sei il più bellissimo di tutti
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Link Campus, giallo del bonifico dopo vittoria M5s/ “Erano in attesa di soldi russi”
C’è un velo di mistero attorno alla Link Campus University, l’università romana al centro di alcune inchieste giornaliste per presunti legami con il professore maltese Joseph Mifsud (scomparso da tempo), figura chiave dell’indagine del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate e ora della contro-inchiesta di William Barr, ministro della giustizia Usa. Della Link parla anche la Verità, svelando un retroscena su un “fumoso” aumento di capitale che poi non è andato in porto. Il 5 marzo 2018, dopo la vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche, Vanna Fadini, a capo della Global education management srl (Gem), la “cassaforte” della Link, si è presentata in banca per comunicare l’arrivo di un maxi bonifico di 9 milioni di euro da Malta che non sarà mai registrato. Con sé porta due delibere assembleari per giustificare la transazione dall’estero. E annuncia che la maltese Suite Finance Scc Plc è stata cooptata come socio nella compagine che gestisce i servizi della Link Campus University. Ma quel denaro non passa mai sui conti della società. E questo perché in realtà c’era solo una dichiarazione di intenti che non è mai stata formalizzata, come ha spiegato l’amministratore e legale rappresentante della società maltese, Gabriele Carratelli.
LINK CAMPUS, GIALLO DEL BONIFICO DOPO VITTORIA M5S “ASPETTAVANO SOLDI RUSSI”
«L’operazione finanziaria non è andata in porto perché non era fattibile, non c’erano i presupposti», la spiegazione a la Verità. In merito alla sua presenza nell’assemblea dei soci a Roma, precisa che si trattava di un incontro preliminare. «Poi l’iniziativa non si è conclusa ed è decaduta». E quell’aumento di capitale che Vanna Fadini dava per fatto il 5 marzo in realtà non era «finanziabile». Un ex docente della Link Campus University spiega al giornale che «erano in attesa di soldi russi che dovevano arrivare da Malta». La “gola profonda” aggiunge poi un particolare. «Si vociferava che lo stesso Mifsud fosse coinvolto in questa storia. Non erano finanziamenti dell’Università Lomonosov, con cui c’era una collaborazione accademica, ma denari di qualche gruppo imprenditoriale russo». L’aumento di capitale della Gem era però un pensiero fisso della Fadini dal 2017: ne aveva parlato illustrando ai soci il suo piano, cioè quello di passare da 18 milioni a 27 milioni e 652mila euro. Un allargamento da proporre «a terzi». Ma quell’aumento di capitale deliberato non è stato né sottoscritto né versato. «Devono ancora trovare i soldi», conferma Vincenzo Scotti, fondatore e presidente della Link Campus University, a la Verità. Ma sul mancato accordo con la società maltese resta il mistero.
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ORA SIAMO PIÙ TRANQUILLI - ''I 9 MILIONI ALLA LINK VENIVANO DALL'UCRAINA''. PARLA STEPHAN CLAUS ROH, AVVOCATO DEL CONTROVERSO PROFESSOR MIFSUD, SVANITO NEL NULLA. ''FU SCOTTI A DIRMI CHE I SOLDI ARRIVAVANO DA KIEV E NON MOSCA''. OVVIAMENTE L'EX MINISTRO DEGLI ESTERI NEGA TUTTO E MINACCIA QUERELE URBI ET ORBI
Giacomo Amadori e Antonio Grizzuti per ''La Verità''
Lo scoop della Verità sul bonifico fantasma da 9 milioni che sarebbe dovuto arrivare sui conti della Global education management (la cassaforte della Link campus university) e su cui indaga la Guardia di finanza, ha attirato l' attenzione di uno dei protagonisti del Russiagate, l' avvocato Stephan Claus Roh. Il legale assiste il controverso professore Joseph Mifsud a cui le autorità statunitensi hanno sequestrato i cellulari. Mifsud è sospettato di aver gestito la polpetta avvelenata delle mail di Hillary Clinton alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016.
Qualcuno dice che abbia usato quell' esca per danneggiare la Clinton, qualcun altro che l' abbia utilizzata, con l' aiuto dei servizi segreti e del governo italiano, per affossare Donald Trump. Dovunque si trovi la verità, l' attenzione dei media internazionali è stata calamitata dalla piccola università privata Link, l' ateneo romano in cui sono di casa 007 ed esperti di intelligence di tutto il mondo.
assiduo frequentatore Link e addirittura è diventato socio con il 35% delle quote della Link international. Nei giorni abbiamo scritto che, secondo un ex docente della Link, dentro all' ateneo girava voce che quei 9 milioni dovessero arrivare dalla Russia. Quel che è certo è che il 5 marzo 2018, dopo le elezioni nazionali in cui hanno trionfato i 5 stelle, l' amministratrice della Gem, Vanna Fadini, aveva annunciato in banca l' arrivo di un bonifico da 9 milioni dalla Suite finance di Malta, società segnalata nei Paradise papers, la lista nera degli investitori offshore redatta dal consorzio internazionale di giornalismo investigativo. L' operazione, mai conclusa, è stata segnalata all' unità di informazione finanziaria della Banca d' Italia e successivamente trasmessa alla Guardia di finanza.
La nostra inchiesta ha suscitato anche l' attenzione di Roh, che della Gem è socio al 5% e che compare in un verbale di assemblea dell' agosto 2018 in cui si discusse di aumento di capitale. «Ho controllato con il mio team e con una fonte interna della Link. Non ha senso che l' investimento promesso provenisse dalla Russia. L' accordo con Suite Finance è stato firmato nel 2017, quindi il finanziamento è stato promesso ben prima che 5 stelle salissero al potere nel 2018. Anche l' accusa che entrambi gli eventi siano collegati è una sciocchezza».
In realtà noi abbiamo solo rilevato che l' annuncio in banca del bonifico, con relativa segnalazione all' ufficio Antiriciclaggio, secondo le nostre fonti, sarebbe avvenuto il 5 marzo, il giorno dopo il trionfo dei grillini. Ma passiamo alla parte più interessante delle dichiarazioni di Roh: «Scotti (Vincenzo, ex ministro, fondatore e presidente della Link, ndr) disse che i soldi attesi provenivano da fonti ucraine. Lo stesso è stato confermato dalla mia fonte dentro alla Link. Scotti è parte del patto con Suite Finance, conosce perfettamente lo scenario».
Roh evidenzia che anche Mifsud, con cui ha ottima familiarità, aveva portato a casa con successo finanziamenti a favore della Link, come quello da parte della famiglia saudita Obaid. «Mifsud è più legato all' Ucraina che alla Russia... la stampa ha riferito che ha una compagna e un bambino in Ucraina e che è andato spesso lì. Mifsud ha negato di avere un bambino, ma ha confermato che stava viaggiando in Ucraina e stava aiutando la Link a trovare finanziamenti, essendo stato direttore internazionale della Link nel 2016-2017».
Ovviamente la pista ucraina cambia radicalmente la prospettiva. Ricordiamo che in questo momento negli Usa i democratici hanno chiesto l' impeachment di Trump perché questi avrebbe contattato l' omologo di Kiev, Volodymyr Zelensky, facendo pressioni affinché guidasse un' indagine sul candidato democratico Joe Biden. A scovare la notizia, dando vita al cosiddetto Ucrainagate, sarebbe stato un agente della Cia, Eric Ciaramella.
Uno 007 che, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, era ospite proprio di Biden al pranzo di gala organizzato in onore di Matteo Renzi nell' ottobre 2016. Ma che cosa c' entra Joe con Kiev? L' ex braccio destro di Barack Obama (sospettato da una delle vulgate di questa spy story di aver armato Mifsud contro Trump) ha un figlio che si chiama Hunter.
Nel 2014 il ragazzo, consulente legale, lobbista e manager, entra nel consiglio di amministrazione di Burisma holdings, la più grande compagnia ucraina di gas naturale. A capo di Burisma c' è Mykola Zlochevsky, imprenditore ucraino già ministro dell' Ecologia e delle risorse naturali tra il 2010 e il 2012 ai tempi del presidente filorusso Viktor Yanukovych, deposto nel febbraio 2014 e sostituito dall' obamiano Petro Poroshenko.
Mentre il figlio fa affari, Biden è il membro dell' amministrazione Obama più impegnato in Ucraina durante la crisi politica con la Russia.
Un' attività diplomatica rinforzata dalla promessa di 1 miliardo di aiuti a stelle e strisce. Anche grazie a questa leva, il governo americano o quanto meno l' ambasciata Usa pone come condizione le dimissioni del procuratore generale dell' Ucraina Viktor Shokin. Per i sostenitori di Biden l' aut aut andrebbe ricondotto alla scarsa dirittura morale del magistrato, troppo morbido con la corruzione (versione corroborata dalle accuse del vice di Shokin, Vitaly Kasko). Shokin avrebbe invece rivelato all' avvocato di Trump, Rudolph Giuliani, di essere stato licenziato proprio perché stava indagando su Burisma. Insomma l' Ucraina nella guerra di spie che sta destabilizzando il governo statunitense non è un Paese secondario.
Ma che cosa c' entra con la Link? Abbiamo provato a chiederlo a Scotti, riferendogli quanto affermato da Roh: «Finanziamenti dall' Ucraina? Ma non dica stupidaggini. Ambasciator porta pena. Con voi non parlo di queste cose. Adesso arriverà dalla società (la Gem, ndr) una richiesta di danno notevole». Ma noi facciamo solo delle domande. «E io dico che non rispondo di queste cose.
La Suite finance non ha fatto nessuno accordo con me per l' aumento di capitale, smentisco totalmente questa cosa».
Ci hanno detto che uno dei titolari, Simone Rossi, l' avrebbe incontrata durante la trattativa. «Ho conosciuto Rossi, ma che cosa c' entra? La Gem si occupa dei servizi dell' università, è normale che fossi interessato al buon esito dell' operazione». L' avvocato Roh ha detto che lei avrebbe fatto riferimento a fondi ucraini: «Ha detto una cosa totalmente falsa».
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Il Brasile trasformato
Il 30 ottobre si è conclusa l’elezione più combattuta della storia brasiliana: Luiz Inácio Lula da Silva ha battuto Jair Bolsonaro. Chi si è recato alle urne sapeva che non si trattava di un voto qualunque. Bolsonaro aveva fatto di tutto per manipolare il processo democratico e aveva minacciato di contestare qualsiasi risultato che non fosse andato a suo favore. Ma Lula, il 77enne leader del Partito dei Lavoratori (PT), ha fatto leva sull’enorme popolarità che aveva accumulato durante i suoi precedenti anni al potere, arrivando al traguardo con il 50,9% contro il 49,1% di Bolsonaro. Così facendo, ha recuperato parte del terreno che il PT aveva perso nelle elezioni del 2018 e ha aumentato la quota di seggi della sinistra in un parlamento dominato dalla destra. Il risultato è stato senza precedenti: mai prima d’ora un presidente brasiliano era stato eletto per un terzo mandato, né il presidente in carica era stato sconfitto da quando è stata introdotta la possibilità di rielezion
Solo tre anni fa si pensava che Lula fosse politicamente finito e forse destinato a trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre, essendo stato condannato per corruzione. Ora è tornato, ma il Brasile che presiederà è molto diverso da quello che ha lasciato al suo successore Dilma Rousseff nel 2010. La serrata corsa elettorale ha smentito la convinzione, sostenuta da molti a sinistra, che questo fosse ancora essenzialmente lo stesso paese che aveva eletto il PT per quattro volte.
Una volta entrato nel Palácio da Alvorada a gennaio, Lula dovrà fare i conti con un’economia fiacca in patria e all’estero, con l’eredità di sei anni di gravi disfunzioni istituzionali, con un Congresso diviso e con una potente estrema destra. Mentre il suo primo governo ha beneficiato del boom delle materie prime all’inizio del millennio, non sembra esserci all’orizzonte una simile fortuna; e anche se ci fosse, la prospettiva di un cambiamento climatico dilagante limita la misura in cui potrebbe essere sfruttata. Dati questi vincoli il suo spazio di manovra – per aumentare la spesa sociale o espandere i diritti dei gruppi emarginati – sarà ancora più ristretto rispetto al 2003.
Per comprendere questi cambiamenti non è sufficiente dare la colpa alla vasta rete di influencer online, canali YouTube, gruppi WhatsApp e Telegram, stazioni televisive, emittenti radiofoniche e chiese evangeliche che si sono coalizzate intorno a Bolsonaro nel 2018.
È inoltre necessario esaminare le dinamiche di lungo termine che sono state messe in moto dalle amministrazioni del PT degli anni 2000 e 2010, insieme a quelle che sono emerse negli anni successivi. Tali dinamiche sono state all’opera nelle quattro storie principali della recente campagna elettorale: l’impressionante dimostrazione di forza di Bolsonaro, il degrado delle istituzioni democratiche brasiliane, l’ascesa del settore estrattivo come forza politica e sociale e l’ampia coalizione che il PT ha messo insieme. Questo saggio analizzerà ciascuno di questi aspetti.
I
Nel 2018, Bolsonaro poteva affermare di essere il candidato della speranza e del cambiamento. Nel 2022, invece, portava con sé il peso di un bilancio presidenziale disastroso: politica continuamente in subbuglio, aumento del costo della vita, corruzione palese, terribile gestione della pandemia Covid-19. Ci si aspettava che questi problemi alienassero una fetta consistente degli elettori che avevano favorito la sua vittoria quattro anni prima. In effetti, con l’annuncio dei risultati, è apparso chiaro che il destino di Bolsonaro è stato segnato da quella frazione di elettori che ha cambiato bandiera per Lula a Rio de Janeiro, San Paolo e Minas Gerais. Ma questa tendenza non è stata così forte come avevano previsto i sondaggisti; invece di perdere la maggior parte degli elettori indecisi, Bolsonaro è sembrato averne portato gran parte all’interno del suo zoccolo duro, che è emerso dal ciclo elettorale con un aspetto più ampio e coeso. Ciò ha senso se si considera che Bolsonaro, come Trump, si è sempre preoccupato di mantenere i suoi sostenitori impegnati e mobilitati piuttosto che di occuparsi delle attività quotidiane di governo. Se da un lato questa strategia gli ha fatto perdere molti sostenitori di centro, dall’altro ha consolidato il blocco bolsonarista.
La coalizione di Bolsonaro è in gran parte tenuta insieme dall’impressionante infrastruttura comunicativa dell’estrema destra. Tuttavia, le sue origini possono essere fatte risalire alla crisi economica scoppiata verso la fine del primo mandato di Rousseff e che ha innescato la fine anticipata del secondo, nonché alle varie riforme delle pensioni, del lavoro e della spesa sociale che ne sono seguite. Tra coloro che sono usciti dalla povertà durante gli anni del boom, il raggiungimento di standard di vita da classe media (spesso finanziati dal debito) è diventato una fonte importante di autostima. Ma la recessione iniziata nel 2015 ha minato il progetto del PT di « inclusione attraverso il consumo », provocando insoddisfazione verso il partito, aggravata da successivi scandali di corruzione. Da quel momento in poi, il « neoliberismo dal basso », ormai consolidato da tempo, si è combinato con la propaganda libertaria « dall’alto », dando vita a un nuovo paesaggio ideologico. Con l’esplosione del numero di persone che lavorano per la gig economy in Brasile (un aumento del 979,8% dal 2016), la sottoccupazione, la deregolamentazione e la crescente coercizione economica sono state interpretate come segni di libertà personale, imprenditorialità e sana concorrenza di mercato, consentendo a settori dell’elettorato di riacquistare parzialmente l’autostima che era stata persa sotto il PT. Contemporaneamente un rinnovato investimento nei pregiudizi di genere, razziali, religiosi e di classe – che la destra ha presentato come una difesa dei valori familiari repubblicani e cristiani – ha fornito una compensazione psicologica per l’incertezza economica e la riduzione delle aspettative. Man mano che si faceva strada un’idea della crisi che mescolava ultraliberismo e paranoia anticomunista, molte persone che avevano beneficiato delle politiche sociali del PT sono arrivate a vedere il loro avanzamento sociale come una conquista individuale – e a incolpare quelle stesse politiche, così come i gruppi e le minoranze che avevano aiutato, per le loro attuali tribolazioni.
Questo senso di risentimento nella classe medio-bassa convergeva con il senso di risentimento che si era creato fin dal primo mandato di Lula tra una classe medio-alta che si trovava in bilico tra i ricchi, che diventavano sempre più ricchi, e i poveri, che diventavano sempre meno poveri (minacciando così i loro segni di distinzione di classe). Nella campagna di Bolsonaro del 2018, questi due strati hanno unito le forze con una classe capitalista che ha visto nella caduta del PT l’opportunità di far passare una serie di riforme (tra cui un tetto permanente alla spesa pubblica) e in Bolsonaro l’occasione per almeno quattro anni di predazione senza freni.
Dopo quattro anni di questo tipo, il Brasile è ora un Paese più brutale e diseguale, ma questo non ha necessariamente danneggiato la posizione politica di Bolsonaro. Al contrario: per molti dei suoi aderenti, il fascino del bolsonarismo è quello che si potrebbe definire uno stato di natura distribuito in modo differenziato: una situazione in cui lo Stato non svolge più alcun ruolo nel mitigare le relazioni di potere esistenti e ogni persona è libera di esercitare la propria autorità in qualsiasi ambito possa esercitarla, anche se si tratta solo di moglie e figli o di gruppi minoritari oppressi. Anche per coloro che si trovano nelle periferie, l’idea che lo Stato si allontani e si rifiuti di intervenire può sembrare più liberatoria che minacciosa.
C’è una forma perversa di egualitarismo all’opera: la sensazione che, se si è sottoposti a condizioni di vita e di lavoro sempre più spietate, queste dovrebbero essere imposte a tutti – tranne, ovviamente, ai vincitori di cui si aspira a far parte e alla cui libertà senza limiti si spera di partecipare. Da qui il paradossale status di Bolsonaro come simbolo di disciplina e di permissivismo: egli rappresenta una forma di darwinismo sociale in cui competere significa operare al limite della moralità e della legge, e vincere significa non essere più soggetti alle stesse regole di tutti gli altri.
II
Tuttavia, i risultati del 30 ottobre non sono solo il riflesso di queste tendenze storico-politiche. Sarebbe dare troppo credito a Bolsonaro ignorando gli effetti del suo straordinario uso dell’apparato statale per sostenere la sua campagna elettorale. Questa è la seconda storia principale della competizione: anche se la sconfitta dell’ex capitano dell’esercito ha evitato al Brasile di imboccare una strada simile a quella dell’Ungheria di Orbán, il processo elettorale ha reso evidente l’erosione istituzionale avvenuta negli ultimi anni.
Sebbene Bolsonaro abbia promesso una « nuova politica », il suo mandato ha effettivamente radicalizzato alcune delle pratiche più losche della classe politica brasiliana, notoriamente egoista. Minacciato da indagini penali che riguardavano lui e i suoi figli e temendo un impeachment per la sua sconsiderata risposta alla pandemia, il presidente ha cercato di accattivarsi il favore del Congresso istituendo un « bilancio segreto » che, dal 2020, ha consegnato ai legislatori favorevoli 46,2 miliardi di reais da utilizzare senza alcun controllo democratico. (A titolo di confronto, l’inchiesta Lava Jato ha preteso di recuperare 6,28 miliardi di reais sottratti sotto il PT). Questo sistema, che aumenta notevolmente le opportunità di corruzione, ha contribuito a garantire la lealtà dell’organo legislativo, consentendo a Bolsonaro di approvare un numero impressionante di misure clientelari prima della campagna presidenziale. Tra queste: l’espansione dei programmi di trasferimento di denaro, l’apertura di linee di credito per i beneficiari di tali programmi, benefici per i conducenti di camion e taxi (due bastioni del bolsonarismo) e tagli fiscali per ridurre i prezzi del carburante. Tutto ciò ha portato a una temporanea ripresa delle condizioni economiche, dando credito alle affermazioni di Bolsonaro secondo cui il Brasile stava ottenendo risultati migliori di altri Paesi all’indomani della pandemia. Mentre Lula ha mantenuto il suo vantaggio tra la fascia più povera dell’elettorato, queste riforme hanno probabilmente contribuito a mantenere parte dei sostenitori che Bolsonaro avrebbe altrimenti perso a causa dell’aumento del costo della vita.
Inoltre hanno creato un deficit fiscale stimato in almeno 150 miliardi di reais, che sicuramente limiterà il programma del presidente entrante.
Oltre a questa operazione di acquisto di voti, Bolsonaro ha ripetutamente messo in dubbio il processo elettorale e ha suggerito che si sarebbe rifiutato di riconoscere una vittoria di Lula. Ha corteggiato apertamente l’apparato di sicurezza, ha nominato oltre 6.000 membri delle forze armate in posizioni di governo e ha accennato alla prospettiva di un golpe di destra. Anche se questo non si è mai concretizzato, le azioni della Polizia autostradale federale – che ha interrotto il traffico nelle roccaforti di Lula il giorno delle elezioni – hanno dimostrato che non si trattava di una minaccia del tutto vana. Nel bel mezzo della campagna elettorale, anche la lotta contro le disfunzioni istituzionali ha iniziato ad assumere una forma disfunzionale. Quando il Tribunale elettorale è intervenuto per controllare la diffusione della disinformazione di destra, lo ha fatto in modi legalmente discutibili, alimentando le rivendicazioni bolsonariste di essere ingiustamente presi di mira dall’apparato statale.
Tutto ciò ha alzato la tensione delle elezioni e ha avvelenato l’atmosfera politica. Un elettore su tre, soprattutto donne e sostenitori di Lula, ha citato la violenza politica come preoccupazione. Le tensioni sono arrivate al culmine nella settimana che ha preceduto il secondo turno, con due gravi incidenti che hanno coinvolto gli alleati di Bolsonaro.
Prima, l’ex deputato in disgrazia Roberto Jefferson ha inscenato un confronto armato con la polizia federale, che ha cercato di arrestarlo dopo che aveva violato le condizioni degli arresti domiciliari definendo un giudice della Corte Suprema « una puttana consumata ». Poco dopo, la rappresentante federale Carla Zambelli ha puntato una pistola contro un uomo di colore con cui aveva avuto un alterco per le strade di San Paolo.
Il presidente in carica sperava chiaramente che queste truppe d’assalto avrebbero protetto la sua posizione. Dopo le elezioni, è rimasto in silenzio per 44 ore, consultandosi con vari alleati e aspettando di vedere se i blocchi stradali che i suoi sostenitori avevano eretto si sarebbero trasformati in un movimento abbastanza grande da permettergli di contestare i risultati. Quando ciò non si è verificato, ha tenuto un riluttante discorso di due minuti in cui non ha detto nulla sul suo avversario, ha celebrato la « vera emergenza » della destra sotto la sua amministrazione, ha fatto alcune dichiarazioni vaghe per mantenere viva la speranza della sua base e ha lasciato al suo capo di gabinetto il compito di annunciare che il processo di transizione era iniziato.
III
La terza grande storia delle elezioni riguarda la forma della mappa elettorale e l’affermazione della campagna brasiliana come forza sociale e politica.
Bolsonaro ha vinto, spesso con ampi margini, nel Sud, nel Midwest e in alcune parti del Nord: le terre del cuore dell’agrobusiness dove la frontiera estrattiva si sta espandendo. Ciò coincide con la diffusione della deforestazione durante il suo mandato. (Solo in Amazzonia è aumentata del 73% negli ultimi quattro anni, mentre sotto Lula era diminuita del 67%). Naturalmente, le amministrazioni del PT erano tutt’altro che nemiche dell’industria estrattiva; al contrario, la loro scommessa sul boom delle materie prime ha accelerato la riprimarizzazione dell’economia iniziata negli anni Novanta. Al di là dei discorsi sui « valori condivisi », ciò che spiega la preferenza del settore agroalimentare per Bolsonaro è stata la prospettiva di un’accumulazione non ostacolata da alcun vincolo o forza contraria, siano essi il riconoscimento delle rivendicazioni indigene, le normative ambientali o le politiche distributive. Anche se la maggior parte della ricchezza prodotta di recente nelle roccaforti dell’agrobusiness è finita nelle tasche di un ristretto numero di famiglie, il trionfo di Bolsonaro in queste regioni dimostra che azioni come lo smantellamento delle agenzie statali e l’incoraggiamento delle attività minerarie e di disboscamento illegali hanno veicolato con successo un messaggio aspirazionale: il suo governo avrebbe coperto le spalle dall’avventuroso uomo di frontiera e avrebbe difeso la libera impresa con ogni mezzo necessario.
È stato durante il secondo mandato di Lula che la Cina è diventata il principale partner commerciale del Brasile, affermando definitivamente il settore estrattivo sulla scena mondiale. Ma è stato quando il settore ha abbandonato la Rousseff nel 2015 che è sembrato diventare maturo dal punto di vista politico: non si è più accontentato di difendere i suoi interessi economici immediati, ma ha cercato di imporre la sua agenda all’intero Paese. Con Bolsonaro, infine, al settore è parso capire che una forma di capitalismo sorvegliante – una situazione in cui l’interesse di garantire la massima predazione porta il capitale a stringere accordi diretti di condivisione del potere con le forze di sicurezza trasformate in agenti economici e politici indipendenti – sarebbe la più compatibile con la sua prosperità sfrenata.
La tendenza storica più ampia potrebbe essere l’inversione del dominio politico delle campagne da parte delle grandi città (e dei settori industriali e dei servizi), iniziato con Getúlio Vargas negli anni Trenta. Questa inversione è una conseguenza diretta della formula di governo del PT durante il suo primo periodo al potere: conciliare la crescita economica con la distribuzione della ricchezza percorrendo la strada di minor resistenza, utilizzando la cornucopia offerta dal boom delle materie prime per combattere la povertà senza tentare riforme strutturali in settori come la proprietà della terra e la tassazione. Il potere che questo approccio ha conferito alle industrie estrattive è tale che, come ha osservato recentemente un analista, è diventato impossibile governare senza il « Mega-Midwest ». Se questo è indubbiamente vero nel breve e medio termine, la domanda per qualsiasi progetto politico che si occupi di uguaglianza economica e politica è se sia possibile governare con esso nel lungo periodo, o se continuare ad alimentare questo settore porterà inevitabilmente a qualcosa di ancora peggiore di ciò che è accaduto dal 2016.
IV
La quarta e ultima storia principale di queste elezioni è che l’ampio fronte democratico che il PT sperava di riunire nel 2018 alla fine si è affermato, con importanti figure della destra e del centrodestra che hanno deciso di non poter più concedere a Bolsonaro il beneficio del dubbio. La composizione del gabinetto di Lula rifletterà sicuramente questa eterogeneità politica, così come la necessità di stringere alleanze con un parlamento di destra ma ideologicamente eterogeneo. Lula ha già dichiarato che questo non sarà un governo del solo PT. Tuttavia, la vera questione è se il PT cercherà di affermare la propria leadership sulla coalizione di governo, o se cercherà semplicemente di mantenere un equilibrio che è destinato ad essere altamente instabile.
Nei prossimi quattro anni, il PT si troverà ancora una volta ad affrontare la pressione di perseguire la riduzione della povertà senza riforme strutturali, ma questa volta senza le entrate derivanti dal boom delle materie prime. Mentre si unisce alla schiera di leader più giovani, definiti la « nuova marea rosa » dell’America Latina, la sfida per Lula, come per loro, sarà quella di imparare le lezioni della vecchia marea rosa.
Forse la più importante è che, a parte un’improbabile situazione rivoluzionaria, la questione non è mai se fare o non fare concessioni, ma se, anche facendo concessioni, si sta comunque lavorando per una trasformazione a lungo termine dell’equilibrio delle forze. In caso contrario, e in assenza di un’evidente direzione di marcia o di un programma strategico, la linea di demarcazione tra concessione e capitolazione scompare ed è probabile che si debba concedere sempre di più. Data la duplice minaccia del cambiamento climatico e di un’estrema destra in crescita, la decisione di lavorare all’interno dei vincoli esistenti, senza sforzarsi di cambiarli, non potrà che rivelarsi disastrosa.
Le condizioni per una presidenza Lula non sono mai state così sfavorevoli come ora, ma la congiuntura gli offre anche una grande opportunità: guidare il Brasile fuori dall’isolamento internazionale che si è autoimposto e posizionarlo come leader mondiale nella lotta per un equo, ecologicamen
te realistico e socialmente trasformativo Green New Deal. Se questa strategia avrà successo, potrebbe contribuire ad ampliare il suo spazio di manovra a livello nazionale. Per usare una metafora calcistica che il presidente eletto senza dubbio approverebbe, passare all’offensiva potrebbe essere la migliore forma di difesa. Resta da vedere se Lula, il politico più talentuoso della sua generazione, sarà all’altezza di questa sfida.
Da: https://newleftreview.org/sidecar/posts/brazil-transformed
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cinque ragioni per cui è importante per la scienza Elezioni nel Regno Unito: Implicazioni per la Scienza La prossima settimana, il Regno Unito si prepara ad affrontare le elezioni generali, con il partito laburista di Keir Starmer in vantaggio. Gli scienziati sperano in maggiore stabilità dopo anni tumultuosi. Sfide e Opportunità per la Ricerca Dal 2010, i ricercatori britannici hanno affrontato varie sfide, tra cui il crollo finanziario del 2008 e la Brexit. La creazione di UK Research and Innovation nel 2018, benché problematica inizialmente, ha portato a un maggiore supporto governativo per la ricerca. Le Politiche sull’Immigrazione e il Settore Scientifico Le restrizioni sui visti britannici introdotte dai
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Claudia Sheinbaum. La Presidenta
“Per la prima volta in 200 anni di Repubblica, diventerò la prima donna presidente del Messico. Non sono qui da sola, sono qui con tutte. Sono con le eroine che ci hanno regalato la patria, con le nostre antenate, le nostre madri, le nostre figlie e le nostre nipoti“.
Claudia Sheinbaum Pardo è la Presidenta del Messico dal 2 giugno 2024.
Conosciuta anche come la Doctora��per le sue brillanti credenziali accademiche, è una fisica con un dottorato in ingegneria energetica. È stata un’autrice del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, vincitore del premio Nobel per la pace.
Ha scritto articoli e libri su energia, ambiente e sviluppo sostenibile, vanta un’importante attività politica, il suo primo ruolo pubblico è stato come Ministra dell’Ambiente di Città del Messico.
Nel 2018 è stata inserita nella lista delle 100 donne della BBC.
Nata a Città del Messico il 24 giugno 1962, da Carlos Sheinbaum Yoselevitz, ingegnere chimico e Annie Pardo Cemo, biologa e professoressa emerita della Facoltà di Scienze dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM).
Cresciuta in una famiglia ebrea laica, i nonni erano arrivati in Messico da Bulgaria e Lituania.
I suoi genitori hanno partecipato attivamente al movimento del 1968, crescendola in un ambiente con grandi stimoli intellettuali e politici.
Quando studiava fisica all’UNAM è stata nel Consiglio Studentesco, gruppo poi diventato il movimento giovanile fondatore del Partito Messicano della Rivoluzione Democratica (PRD). Attivamente impegnata nei movimenti di solidarietà con le lotte operaie e contadine, ha partecipato alle rivendicazioni per l’istruzione gratuita.
Nel 1982 ha anche fatto campagna elettorale per Rosario Ibarra, la prima donna candidata alle elezioni presidenziali in Messico e figura di spicco nella difesa dei diritti umani nel Paese.
Dopo la laurea, conseguita nel 1989, ha ottenuto un dottorato di ricerca in ingegneria energetica e fisica a Berkeley, in California, analizzando l’uso dell’energia nei trasporti del Messico e pubblicando studi sull’uso energetico degli edifici nel suo paese.
Negli anni Novanta, ha contribuito allo sviluppo di metodologie che hanno permesso alle autorità di Città del Messico di misurare l’inquinamento e definire misure per contrastare l’emergenza ambientale.
Nel 1999 ha ricevuto il premio di miglior giovane ricercatrice in ingegneria e innovazione tecnologica.
Il 20 novembre 2000 è entrata a far parte del gabinetto del Capo del governo di Città del Messico Andrés Manuel López Obrador diventando Segretaria dell’Ambiente di Città del Messico fino al 2006.
Nel 2015 è diventata sindaca di Tlalpan – una delle aree in cui suddivisa amministrativamente Città del Messico. Ha lasciato l’incarico due anni dopo per sostenere la campagna presidenziale di Obrador e costruire la propria candidatura a sindaca di Città del Messico, dove è stata eletta nel 2018, prima donna a ricoprire l’incarico.
Al governo della capitale messicana ha portato avanti progetti importanti in campo scientifico, avviando la costruzione del più grande impianto fotovoltaico urbano del mondo, un’opera da circa 40 milioni di dollari che punta a ridurre le emissioni di anidride carbonica di 11.400 tonnellate all’anno. La sua amministrazione ha anche creato la prima rete di autobus elettrici a transito rapido della città e dell’America Latina.
È stata nominata per il premio World Mayor 2021 in Nord America, dalla City Mayors Foundation per la sua gestione della pandemia di COVID-19 in Messico.
Candidata della coalizione Insieme faremo la storia, lo slogan della sua campagna elettorale è stato “Per il bene di tutti, prima i poveri”.
Ha vinto con una schiacciante maggioranza, il 58,8%. È stata la presidente più votata di sempre in un Paese notoriamente machista.
Il suo compito è immane: portare sicurezza in uno dei Paesi più violenti al mondo, dove oltre 30 candidati sono stati uccisi solo durante i tre mesi di campagna, gli omicidi sono duplicati negli ultimi sei anni, 100mila persone sono scomparse e dove ogni giorno si consumano 10 femminicidi. Per farlo deve affrontare i cartelli narcos e politici corrotti che spesso vengono dalle sue stesse fila.
Determinata e combattiva, saprà affrontare queste complicate sfide.
Noi facciamo il tifo per lei!
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Risultati europee 2024: le candidate elette al parlamento europeo
Risultati europee 2024: quali donne italiane candidate al parlamento europeo sono state elette e governeranno nei prossimi cinque anni? Iniziamo col dire che: le candidate elette per il centro e la sinistra sono 13: 8 nel PD, 3 in AVS e 2 nel M5S mentre le elette per la destra sono 9: 5 nelle fila di Fratelli d'Italia, 2 per Forza Italia e 4 per la Lega. Risultati europee 2024: le parlamentari del PD Le europarlamentari elette per il PD sono: - Cecilia Strada. Ex presidente di Emergency, è al suo debutto in politica. Nella sua campagna elettorale ha puntato su temi come inclusione e umanità. - Irene Tinagli. Eurodeputata al Parlamento europeo per il PD dal 2019, ha presieduto la Commissione per i problemi economici e monetari. - Alessandra Moretti. La sua carriera politica nei primi anni Duemila nelle istituzioni locali, approda poi nel parlamento italiano nel 2013 e in quello europeo l'anno seguente. Attualmente è al suo terzo mandato in Europa. - Elisabetta Gualmini. Politica e politologa, insegna Scienze Politiche presso l'Università di Bologna. Dal 2014 al 2019 è stata assessore al welfare e politiche sociali della regione Emilia-Romagna. - Camilla Laureti. Dopo alcuni incarichi nell'amministrazione comunale di Spoleto, è eletta segretaria provinciale del PD in provincia di Perugia e nel 2023 entra nella Segreteria nazionale del PD. Entra nel parlamento europeo nel 2022 in seguito alla morte di David Sassoli. - Lucia Annunziata. Volto noto del giornalismo televisivo italiano, è risultata la seconda candidata più votata per il PD nella circoscrizione meridionale. - Pina Picierno. Eletta deputato nel 2008 oggi è al suo terzo mandato europeo. Nel 2022 è stata eletta tra i 14 vicepresidenti del Parlamento europeo. - Georgia Tramacere. Già vicesindaco di Aradeo, ha avuto un vero e proprio exploit alle elezioni europee. Le parlamentari di AVS Le candidate che siederanno al parlamento europeo per AVS sono: - Ilaria Salis. Il suo nome occupa le cronache da mesi per la sua detenzione in Ungheria in condizioni disumane. - Benedetta Scuderi. Candidata non eletta alle ultime elezioni politiche, l'attivista è al suo primo mandato europeo. - Cristina Guarda. Già Consigliera della Regione Veneto, per il quale si occupa di ambiente, agricoltura e salute, è al suo primo mandato europeo. Le parlamentari di M5S Siederanno sugli scranni del parlamento europeo per il M5S: - Carolina Morace. Ex calciatrice, allenatrice di calcio è al suo primo mandato europeo eletta nella circoscrizione Italia Centro. - Valentina Palmisano. Deputata per il M5S nel 2018, non viene confermata nel 2022; entra nel consiglio comunale di Ostuni e ora approda in Europa. Le europarlamentari di FdI Per Fratelli d'Italia sono state elette: - Lara Magoni. Eletta consigliera regionale della Lombardia per la Lega Nord nel 2013, nel 2018 lascia il partito e aderisce a Fratelli d'Italia. Nel 2018 è stata eletta senatrice. Nel 2023 è stata eletta al Consiglio regionale della Lombardia. E' al suo primo mandato europeo. - Mariateresa Vivaldini. Dopo diversi incarichi nelle amministrazioni locali del bresciano, la Vivaldini è approdata al parlamento europeo. - Elena Donazzan. Ministro regionale (Veneto) più longevo e uno dei ministri più longevi della politica veneziana in diversi partiti di destra, dal Movimento sociale ad Alleanza Nazionale, passando per Forza Italia, ora è al suo primo mandato in Europa. - Antonella Sberna. Già consigliera comunale di Viterbo, siederà al parlamento europeo per la prima volta. - Chiara Gemma. Eletta in Europa nel 2019 con il M5S, lascia il movimento con la scissione voluta da Luigi Di Maio per poi entrare nel 2023 in Fratelli d'Italia. Le candidate elette per FI Per Forza Italia andranno al parlamento europeo: - Letizia Moratti. Politica di lungo corso con numerosi incarichi sia a livello locale che nazionale, nel 2023 ha aderito a Forza Italia. - Giuseppina Princi. Dirigente scolastica e consulente del MIUR, nel 2021 è stata nominata vice-presidente della Regione Calabria. Anche lei è al suo primo mandato europeo. Le parlamentari della Lega Le parlamentari italiane quota Lega sono: Isabella Tovaglieri. Avvocato, inizia la sua carriera politica nel 2011 nelle istituzioni locali di Busto Arsizio. Ora è al suo secondo mandato europeo dopo quello del 2019.Anna Maria Cisint. Già sindaco di Monfalcone, il suo nome è salito agli onori delle cronache per la sua decisione di chiudere i luoghi di culto musulmani. E' al suo primo mandato europeo.Silvia Sardone. Ha iniziato la sua carriera politica a livello locale con Forza Italia, partito che lascia nel 2018 per aderire alla Lega. Questo per lei è il secondo mandato europeo.Susanna Ceccardi. Sindaca di Cascina, è stata eletta europarlamentare per la seconda volta: la prima era stata nel 2019. Il caso Giorgia Quanti voti ha avuto Giorgia? Siederà anche lei al parlamento europeo? Ci permettiamo di chiamarla solo per nome su suo stesso invito lanciato durante la campagna elettorale. Il nostro presidente del consiglio, infatti, si è candidata alle europee dicendosi fiera di portare in Europa una figlia del popolo. Peccato, però, che la carica che riveste non sia compatibile con la presenza in Europa. Chi ha votato Giorgia, quindi, non la vedrà mai al parlamento europeo ma al suo posto ci saranno altri 5 candidati, uno per ogni circoscrizione in cui si era candidata. Lapsus? Ovviamente no. Test politico? Anche. Unicum in questa tornata elettorale? Sì. Nessun capo di governo europeo si è cimentato in questa operazione. In copertina foto di Dušan Cvetanović da Pixabay Read the full article
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Nuove regole per il redditometro
Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha firmato un decreto ministeriale con cui si introducono nuove regole per il cosiddetto redditometro, un vecchio strumento che usava l’Agenzia delle Entrate per comparare le spese di un contribuente con il suo reddito dichiarato, e utilizzarlo come spunto per individuare eventuali somme evase nel caso i due valori non fossero coerenti. È uno strumento che una parte della destra ha sempre contestato e che in generale non è mai stato particolarmente popolare, perché ritenuto lesivo della privacy dei cittadini e delle cittadine. Il decreto è stato pubblicato lunedì in Gazzetta Ufficiale ma era atteso da anni, perché il redditometro era stato introdotto per la prima volta nel 2013 e poi sospeso nel 2018 con il “decreto Dignità” del primo governo guidato da Giuseppe Conte, di cui la Lega faceva parte. Venne sospeso perché si attendeva un decreto ministeriale che indicasse criteri più precisi per effettuare i controlli sulle spese, e nel frattempo più volte la Corte dei Conti aveva osservato come l’Agenzia avesse poteri limitati senza questo strumento, che infatti aveva avuto risultati assai limitati. Con il nuovo decreto il governo ha quindi introdotto nuove regole, facendo tornare operativo il redditometro e creando qualche problema politico ai partiti della maggioranza, presi dalla campagna elettorale per le elezioni europee di giugno: Lega e Forza Italia hanno già fatto capire che il decreto è arrivato un po’ a sorpresa, e di essere contrari. Il redditometro rientra tra gli strumenti che in gergo si chiamano di “accertamento sintetico”, perché permettono all’Agenzia delle Entrate di presumere il reddito reale di un contribuente a partire da alcuni indicatori a sua disposizione, tra cui appunto le spese che vengono rilevate dalle banche dati a cui può accedere legalmente: per esempio acquisti di immobili e di automobili, pagamento di rette scolastiche, oppure tutte le altre spese dichiarate, cioè presenti nella dichiarazione dei redditi. È uno strumento ritenuto molto utile dagli esperti per combattere l’evasione fiscale, ma che da sempre si scontra con evidenti limiti imposti dalle norme sulla privacy: ai fini della lotta all’evasione l’ideale sarebbe poter tracciare tutte le spese dei contribuenti, ma nei fatti l’Agenzia si limita a usare le informazioni di cui si ritrova in possesso per legge, come le dichiarazioni dei redditi, o di cui potrebbe venire a conoscenza incidentalmente nel corso di altri controlli laterali. Il nuovo decreto ministeriale introduce 56 voci specifiche di spesa che l’Agenzia può tracciare, tra cui quelle per l’abbigliamento, i generi alimentari, il costo del mutuo o dell’affitto, le bollette, le spese per i mezzi di trasporto di proprietà (rate della macchina o costo dell’assicurazione), ma anche quelle per l’acquisto di borse e valigie, o il pagamento di alberghi e ristoranti. Saranno tenute sotto controllo anche alcune spese per il tempo libero (videogiochi e abbonamenti alle piattaforme di streaming), e alcune più inusuali come quelle per mantenere un cavallo di proprietà. Ci sono inoltre 9 voci di investimento che l’Agenzia potrà controllare, tra cui l’acquisto di immobili e terreni, di titoli finanziari, e anche quelle legate alle manutenzioni straordinarie degli immobili, che l’Agenzia ha a disposizione se per esempio si è fatto domanda per ricevere i bonus edilizi. Se nelle banche dati non ci sono tutti questi dati allora si prenderanno a riferimento le spese medie per famiglia stimate dall’ISTAT. Con questi dati, l’Agenzia delle Entrate elaborerà poi il totale delle spese effettuate presumibilmente dal nucleo familiare. Se grazie al redditometro verrà individuato uno scostamento superiore al 20 per cento tra il reddito dichiarato e le spese rilevate l’Agenzia delle Entrate potrebbe procedere con ulteriori accertamenti. Il meccanismo potrà essere applicato ai redditi dichiarati dal 2018 in poi (il decreto dice dal 2016, ma la legge stabilisce che gli avvisi di accertamenti fiscali possono essere notificati solo «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione»). Anche se il decreto era atteso da tempo, all’interno del governo le nuove regole hanno creato una certa agitazione in vista del voto europeo dell’8 e del 9 giugno prossimi, e già dal pomeriggio di lunedì l’argomento era su tutti i siti di news. Forza Italia ha subito fatto sapere alla stampa di essere «sempre stata contro il redditometro». Anche la Lega ne ha preso le distanze e il suo capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, avrebbe detto di trovare la proposta «un po’ strana» visto che «noi del centrodestra siamo sempre stati critici su questi strumenti». La Lega ha poi detto che «l’inquisizione è finita da tempo» e «controllare la spesa degli italiani, in modalità grande fratello, non è sicuramente il metodo migliore per combattere l’evasione». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che è anche leader di Fratelli d’Italia di cui il viceministro Leo fa parte, ha risposto mercoledì che «mai nessun “grande fratello fiscale” sarà introdotto da questo governo» e di essere sempre stata contraria al redditometro, prendendo così le distanze dalla misura. Ha aggiunto di aver chiesto un confronto con Leo nel Consiglio dei ministri di venerdì, in modo che «se saranno necessari cambiamenti sarò io la prima a chiederli». Martedì alcuni esponenti di Fratelli d’Italia avevano invece difeso la decisione di Leo, anche se avevano ammesso che non era stata comunicata al meglio. Read the full article
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COSA INSEGNANO LE TRUFFALDINE ELEZIONI MAGGIORITARIE D'ABRUZZO?
Nel 1953 venne sconfitta la legge elettorale maggioritaria, definita “legge truffa”, proposta dalla destra politica al potere di Redazione Nel 2018 in Italia si erano svolte le elezioni amministrative e su quella tornata elettorale avevamo fatto con i nostri compagni una riflessione politica che vi riproponiamo in quanto non sono cambiate nella sostanza le condizioni di fondo tra le classi e…
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